DODICI FEBBRAIO.
Sei e trenta di mattina.
La sveglia suonò –Dio, mi tocca
andare a scuola! – pensò Kristah, mentre scendeva di sotto e faceva colazione,
come tutte le mattine della sua vita.
Si stava rendendo conto della monotonia
della sua vita.
Doveva movimentarla, fare qualcosa.
Si preparò in fretta e
furia, infilò la felpa di Star Wars che aveva indosso il pomeriggio prima.
Si
acconciò i capelli in una coda di cavallo, salutò la madre e andò alla fermata
del pullman.
Vide Luca e Matteo, e notò l’assenza di Marco.
–Ottimo, ora che ho
deciso finalmente cosa fare, lui non c’è- pensò Kristah, mentre saliva sul
pullman e si accoccolava su uno dei scomodi sedili di plastica grigia.
Si mise
le cuffie dell’ I-pod e attese di arrivare a scuola.
Il pullman fermò
bruscamente la sua corsa a causa di una lastra di ghiaccio, che evitò per un
soffio.
Kristah venne così riportata alla realtà.
Si guardò attorno e vide Luca
pensieroso guardare fuori dal finestrino e Matteo che ripassava.
Arrivarono a
scuola, e scesero tutti e tre in silenzio, cosa che non accadeva mai.
Sembrava
fosse morto qualcuno.
Dieci minuti dopo l’inizio della prima ora, Marco arrivò
trafelato in classe e venne lasciato fuori dalla professoressa.
Alla seconda
ora poté finalmente rientrare, per andare a sedersi accanto a Kristah, in
silenzio.
Lei decise di prendere in mano la situazione; non voleva più essere
una ragazza monotona.
Doveva uscire da quella routine che si era creata alle
superiori, impugnò la matita e scrisse, in alto al suo foglio:
“Ti devo
parlare”
vide Marco scuotere la testa e scrivere sul banco
“Forse sono io che
non voglio parlare con te”
la ragazza lo guardò interrogativa, ma la
campanella suonò, e Marco si alzò prima che lei potesse dire qualsiasi cosa;
alzò gli occhi al cielo, e sentì Katia:
“Che c’è?” le chiese, preoccupata.
“Voglio morire”
“No, non vuoi morire”
“Davvero. Mi sento malissimo. Voglio morire”.
Il professore entrò e così Katia
non ebbe il tempo per ribattere.
“Ambrosini, dov’è il tuo compagno di banco?”, Kristah sorrise, ricordando cosa
le aveva risposto Luca lunedì mattina.
“Sinceramente non lo so”
“Vuoi un invito scritto per andare a cercarlo, tanto sei sempre fuori dalla
classe”
“Questo non è vero, e lei lo sa”, disse Kristah mentre si alzava e si dirigeva
fuori dalla classe.
Si diresse sul retro della scuola, e trovò Marco,
appoggiato al muro, con la sua sigaretta a metà, con aria pensierosa guardava
il cielo grigio.
“Marco”, disse lei, mentre spingeva il maniglione antipanico
della porta rossa della sua scuola, e metteva la testa fuori.
“Che?”
“Devi rientrare”
“Non voglio tornare”
“Non è un ragionamento filosofico, se non volevi rientrare, facevi prima a non
venire!”
“Piantala. Torna dentro. Ora arrivo” concluse lui, svogliato, finendo la sua
sigaretta.
Kristah uscì, e si chiuse la porta alle spalle, per evitare di fare rumore.
“Ieri sei venuto da me oppure era un sogno?”
“C’ero. So che hai sentito la nostra conversazione. Me ne sono accorto, e
volevo fare finta di niente, ma non ci riesco”
“Nessuno ha detto che devi far finta di niente, comunque”, gli disse lei,
sempre più sicura di quello che stava facendo.
Era certa di non voler ferire i
sentimenti di Marco.
Ma sopra tutto non voleva essere sola.
“E’ un doppio no. Sulla scala dei no”, le disse lui, facendola sorridere, come
un’idiota.
Un doppio no.
Proprio quello che aveva detto Katia.
Infine raccolse il coraggio che aveva dimenticato di avere e baciò Marco.
“Questo sarebbe?” le chiese lui, visibilmente confuso.
“Non lo so, ma adesso
dobbiamo rientrare”.
Lui scosse la testa e la baciò di nuovo.
Furono interrotti
dalla bidella impicciona del piano terra.
“VIA DI QUI! DOVRESTE ESSERE A FARE
LEZIONE! COME VI CHIAMATE?”.
Marco e Kristah si guardarono, e lui disse:
“Daniel
Casella"
lei sorrise sotto i baffi e disse:
“Francesca Milani”
“Tornate in
classe, forza!” concluse la bidella.
I due tornarono in classe ridendo, e
quando rientrarono il professore chiese loro dove fossero stati.
“Sulla Morte
Nera, prof”, gli rispose Marco, facendo l’occhiolino a Luca, che lo guardava
con aria interrogativa.
“Matelda, Ambrosini, tornate ai vostri posti e seguite
la lezione”, disse il professore esasperato.
La campanella dell’intervallo suonò e Luca si girò senza
dare nemmeno il tempo a Marco e Kristah di alzarsi.
“No, mi dovete delle
spiegazioni!”, Marco guardò l’amico, esasperato.
Quando ci si metteva era
veramente una seccatura!
“Non ti dobbiamo nulla. Adesso devo andare fuori a
fumare”, disse Marco, prendendo il suo pacchetto di sigarette e alzandosi in
piedi.
“La tua ragazza non è gelosa?” chiese Luca, indicando Kristah.
Katia sentì
tutto e corse a razzo, proprio, fino al banco di Kristah.
“SIETE INSIEME?”
“SHH!” disse Kristah.
Troppo tardi.
Daniel era entrato, proprio mentre Katia le
aveva rivolto quella domanda così scomoda; si avvicinò al banco di Kristah, che
intanto stava scivolando sulla sedia.
Marco era sparito, scappato da Luca e
dalla sua lingua tagliente.
Ora tutti erano intorno a lei.
Luca, Daniel e
Katia.
Soprattutto Daniel, che la stava fissando, in un modo strano, quasi
deluso.
“Dobbiamo per forza essere etichettati?” chiese Kristah, ma Katia si
mise a ridere:
“Dio santissimo benedetto re dei Cieli! Per la Madonna che sta
nella Divina Commedia, Kristah Isabella Denise Ambrosini. State o no insieme?”
Vide Marco rientrare.
Kristah alzò gli occhi al cielo, e vide gli occhi di
Marco sui suoi.
La fece alzare e la baciò di nuovo.
Le labbra di lui si
modellarono perfettamente a quelle di lei.
A Kristah sembrò non finire mai, si
era dimenticata tutto il resto.
Alla fine lui si staccò, e la riportò alla
realtà.
“Stiamo insieme? Forse”.
La campanella suonò, e Daniel trascinò Kristah
fuori dalla classe.
Nei corridoi c’era ancora un sacco di gente che si stava
facendo gli affari propri.
“Cosa cazzo sta succedendo?” Kristah era confusa,
non riusciva a capire.
Nulla. Era tutto offuscato.
“Che cos’hai? Sta succedendo che mi sono messa con Marco. Dovresti essere
felice!”
“Non potevi aspettare domenica?”
“Perché? Così saresti partito, e avresti potuto dimenticarti di me?” gli
chiese, guardandolo negli occhi.
Le sembrava così surreale che due giorni prima
lui le avesse detto che si stava per trasferire in America, in Colorado.
“Avrei evitato tutto questo!” le disse, indicando il corridoio, che ormai si
era svuotato.
Daniel stava praticamente urlando, cosa a cui Kristah non aveva
fatto caso, perché sentiva urlare tutti sempre.
I suoi fratelli, sua madre, suo
padre, Alina, Katia.
Ma in effetti non aveva mai sentito urlare Daniel, sempre
così tranquillo e pacato.
Non voleva farlo arrabbiare.
Non aveva nemmeno fatto
nulla di male.
“Daniel, calmati, comunque. Adesso rientro in classe” si girò, e
Daniel l’abbracciò da dietro.
Le cinse la vita con le sue braccia.
“Perdonami,
ti prego” le sussurrò all’orecchio, facendole venire i brividi lungo la schiena.
Kristah rientrò in classe, dopo essersi staccata, diciamo
pure a malavoglia da Daniel; il professore non era ancora arrivato, -strano-
pensò la ragazza, mentre la bidella entrava.
“Ragazzi, non urlate, ma il
professore non c’è.
Non hanno professori liberi che siano disposti a venire a
fare supplenza alla vostra classe di scellerati” concluse, chiudendo la porta
verde, con il maniglione antipanico.
Kristah era rimasta in piedi accanto alla
cattedra, mentre la bidella dava loro la notizia, con quella sua cadenza del
sud Italia; tornò a sedersi vicino a Marco e appoggiò la testa sulla sua
spalla, rubandogli la cuffia dell’I-pod che aveva appena acceso.
Marco stava
mettendo una di quelle canzoni smielate e romantiche, e Kristah gli schioccò un
bacio sulla guancia, mentre gli prendeva l’I-pod dalle mani.
“Mh … Vediamo un
po’ …” disse, scorrendo i brani che c’erano.
“Questa”, disse infine, scegliendo
Welcome to the Black Parade dei My Chemical Romance.
Chiuse gli occhi, e si
rilassò, mentre sentiva il respiro di Marco rallentare.
Avrebbero potuto
addormentarsi, senza nessuno problema.
Soprattutto Kristah, che inspirava il
profumo di Marco, di talco.
I suoi pensieri vennero interrotti dall’arrivo di
Katia, che non aveva nulla da fare, ovviamente, se non rompere le scatole alla
sua migliore amica, riguardo al suo nuovo ragazzo.
Katia prese la sedia accanto
a Luca, che era rimasta libera perché Silvia, la compagna di banco di Luca era
andata a sedersi vicino ad Elena.
“Quindi …” disse la ragazza, a voce
abbastanza alta, da farsi sentire dall’amica, completamente assorta nella
canzone.
Kristah aprì gli occhi a malincuore.
“Cosa vuoi Delle Torri?”
“Certo, adesso chiamami per cognome. Diseredami da tua migliore amica!”
“Ma piantala!” le disse Kristah, levandosi la cuffia, e lasciandola cadere
sulla felpa di Marco, che guardava Luca in cagnesco, perché gli stava scrivendo
sul banco qualcosa.
“Ma come ti sei seduta? Sembri Sharon Stone in
Basic Instinct!” esclamò Kristah ridendo a crepapelle.
Infatti Katia era seduta
con le gambe aperte, non aveva nemmeno girato la sedia, lo schienale della
sedia era appoggiato al banco di Kristah.
“Piantala. Sembro una gnocca da
paura!” le rispose l’amica, mentre si sistemava i capelli; picchiettò il
braccio di Luca: “Vero o no che sembro una gnocca seduta così?”.
Per poco al
ragazzo non venne un infarto.
Non era un segreto, infatti che Katia fosse
bellissima.
“Ah, ah!” le disse Luca, con la bocca aperta.
“Casanova, chiudi la
bocca!” le disse Kristah ridendo, tirandogli un calcio da sotto il tavolo.
Prese lo stinco di Marco, che la guardò malissimo
“Mi hai tirato un calcio?” le
chiese con il sorriso sulle labbra.
Katia prese la palla al balzo.
“Probabilmente si farà perdonare in qualche modo, nei prossimi due o tre
giorni”
“La finisci o no di darmi della poco di buono?”
“Lo faccio perché ti voglio bene”, fu la risposta della sua amica.
Kristah alzò
gli occhi al cielo, e sentì il telefono vibrare, lo estrasse dalla tasca, e
vide che mancava solo un quarto d’ora alla fine della lezione.
Era Alina.
Perché sua sorella le mandava un messaggio dal Messico, proprio alle dodici
meno un quarto?
Lo aprì curiosa: “Ohi, ciao Bella. Stavo pensando che quando
torno dobbiamo andare a Roma a trovare Cesare”, Kristah rise.
Sua sorella era
in tutto e per tutto simile a lei.
Scriveva la prima cosa che le veniva in
mente, e non le importava nemmeno se era dall’altra parte del mondo, e un
messaggio le era costato venti euro.
Le rispose, con il sorriso sulle labbra:
“Sì. Cesare. Comunque io sarei a scuola, adesso” poi si girò verso Luca:
“Che
cazzo di ore sono in Messico, genio?” gli chiese.
“Non lo so. Non sono un
genio” le rispose lui, continuando la sua opera d’arte sul banco di Marco.
“va
bè, non so che ore sono lì in Messico, comunque ti voglio bene. Ciao, forma di
vita basata sul carbonio comunemente chiamata Alina” lo inviò e controllò il
credito.
Aveva assolutamente bisogno di una ricarica.
Controvoglia mise il
telefono in tasca, quando sentì la campanella suonare.
Il professore di
Italiano li avrebbe torturati per le successive due ore, così Kristah prese la
lima ed iniziò a limarsi le unghie, sotto lo sguardo stupito di Marco.
Uscirono dalla scuola, e stava piovendo. –ottimo! Ora mi
toccherà tornare a casa sotto la pioggia battente- pensò Kristah, prima di
vedere l’auto di sua madre avvicinarsi al parcheggio della scuola.
Il suo
telefono vibrò.
“Sono venuta a prenderti, perché sta piovendo e non voglio
vederti arrivare a casa da strizzare”
Nessuno la stava guardando, così si
infilò in mezzo alla marmaglia di gente che andava verso il parcheggio.
Improvvisamente un braccio le cinse le spalle.
Era Daniel.
“Cerchi di evadere?”
le chiese.
Kristah perse il lume della ragione, iniziò a pensare cose senza
senso, continuando a camminare, come se non avesse sentito la domanda
–STUPIDO,
IPOCRITA, FALSO, IDIOTA, DEFICIENTE, IGNORANTE! – gli urlò nella mente.
Era
davvero fortunata che i vampiri e tutte queste creature sovrannaturali non
esistessero.
Se avessero sentito il casino che c’era nella sua testa,
l’avrebbero portata da un psicologo.
Scosse la testa, divertita, pensando che Daniel
non aveva sentito nessuna di quelle parole.
Poi lui si fermò e le mise le mani
sulle scapole e Kristah fu costretta a guardarlo negli occhi.
–Stronzo, eppure
così dannatamente bello- pensò, arrossendo leggermente.
Lo abbracciò e poi si
diresse di corsa verso l’auto della madre, senza voltarsi indietro.
Salì in
macchina, che ancora odorava di nuovo.
“Ma quello era Daniel Casella?” le
chiese la madre, mentre indicava Daniel con il dito.
Kristah notò che aveva le
unghie fresche di French.
“Era lui. Comunque, perché sei venuta a prendermi?”
“Perché non voglio che pensi che tua madre sia una completa idiota”. Kristah
scosse la testa.
Sua madre era giovane. Aveva solo trentacinque anni e quasi nessuno credeva che
avesse già quattro figli.
Era una bella donna: non troppo alta, con i capelli
biondi e gli occhi nocciola.
Aveva un carattere degno di una persona che soffre
di disturbi di personalità multiple, comunque.
C’erano dei giorni in cui le
sembrava una sua coetanea, e giorni in cui le sembrava una cinquantenne
depressa.
Non aveva mai coperto molto l’idea che Alina fosse stata solo uno
sbaglio da sedicenne.
Così, a diciannove anni si trovava ad accudire una figlia
di soli tre anni e ad essere già incinta di Kristah.
Sembra una cosa che non
sta né in cielo né in terra, ma la realtà è che queste cose accadono.
E grazie
al cielo suo padre le era sempre stato vicino.
Eppure, anche a distanza di
venti anni, non si erano ancora sposati.
E non lo avrebbero mai fatto, Kristah
lo sapeva bene.
Venne riportata al presente dalla madre che le diceva:
“Kristah, a questo punto dovresti dirmi che io non sono un’idiota, sai?”
“Ero sovrappensiero.
Sai già di non essere un’idiota, mamma” la rassicurò la
figlia, mentre guardava la strada.
“Com’è andata oggi?” le chiese.
La risposta
era sempre la stessa: “E’ andata. E sarei stata più felice di non andare a
scuola”
“Poi ti vengono i rimorsi” le disse la madre.
E lo sapeva bene.
Aveva
abbandonato gli studi per poter crescere Alina, e avrebbe voluto riprenderli a
diciotto anni, ma si era ritrovata nuovamente incinta.
Ogni tanto Kristah
pensava se erano i loro genitori sfigati che prendevano i preservativi da
quattro soldi, oppure se veramente non usavano nessuna protezione.
La lasciò
davanti a casa e le disse: “Oggi Chris e Adam si fermano dai loro compagni di
classe, quindi non devi passare a prenderli, li riportano a casa i genitori di
Manuel. Hai la casa libera” le disse la madre, ammiccando. “MAMMA!” le urlò
Kristah, ridendo ed entrando in casa, dopo averla salutata con un cenno della
mano.
Si sdraiò sul divano, mentre aspettava che il microonde suonasse.
Chiuse
gli occhi e si addormentò.
Fu svegliata dalla madre che rientrava dal lavoro.
“Kristah” le sussurrò all’orecchio.
Non aveva sentito la porta d’ingresso
chiudersi, né aveva sentito i messaggi di Katia e Marco, non aveva sentito
nemmeno le quattro chiamate di Daniel a casa.
Era come se fosse morta.
Kristah
si mise a sedere sul divano e si scusò con la madre.
“Per esserti
addormentata?”
“Per quello e per non aver sentito nulla, e perché non ho fatto
i compiti”
“E’ morto qualcuno? No. Quindi non importa” le disse la madre,
andando in cucina e iniziando a preparare la cena.
“Certo che se il letargo si
impossessa di te, cara la mia Kristah, faresti meglio a vivere come un ghiro, tesoro”
le disse la madre ridendo.
Kristah andò in cucina e aprì un pacchetto di
patatine.
“Fame?” le chiese la madre, indicando il pacchetto.
“Mh! Non ho
mangiato nulla! CIBO! Ho bisogno di cibo!”
“Avrai bisogno di un dietologo, se vai avanti così!”.
Infatti Kristah aveva
appoggiato sul tavolo del pane bianco, un barattolo di Nutella, il pacchetto di
patatine e un tè freddo alla pesca.
“Magari domani!” le rispose la ragazza
ridendo.
Passò la serata sul divano, a guardare le Cronache di Narnia con i
suoi fratelli e sua madre, che commentava un po’ troppo spesso il Principe
Caspian e Peter.
“MAMMA! Stiamo cercando di vedere il film!” le dissero Adam e
Chris, dopo l’ennesimo commento.
“Scusate, ora divento un pesce!” alle undici e
mezza, Kristah era ancora sveglia, la madre, prima di andare a letto le disse
che se voleva poteva dormire sul divano, risparmiandosi le scale.
“Okay.
Buonanotte mamma” le disse Kristah, per poi sdraiarsi sul divano.