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Autore: fldsmdfr    16/03/2012    2 recensioni
E' la mia prima One-Shot quindi, per favore, andateci piano.
E' strana come storia, anche perché tratta di un argomento che, ora come prima, è considerato da parecchia gente un tabù.
Voglio ringraziare Ice e Tredici per avermi incoraggiato, e in particolare Tredici per avermi aiutato a scegliere i nomi.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ray non aveva amici. Ray era sola. Anzi, non si può dire che non avesse mai avuto amici, perché ne aveva avuti.

Era una storia davvero complicata, o almeno così credeva.

Lei era strana, forse la più strana di tutti, non lo sapeva. Aveva letto su persone pazze che avevano una qualche doppia personalità, aveva letto del Visconte dimezzato e anche del Dottor Jeckyll e di Mister Hyde. Ma lei si considerava diversa da loro. O forse semplicemente credeva male e non lo era per nulla. Poteva dire di essere lunatica in modo eccessivo o di avere doppie personalità, fatto stava che era continuamente contrastata da se stessa. C'erano dei momenti in cui era una santa e altri in cui non aveva pietà per nessuno e disprezzava tutti.

Aveva solo un talento, il quale, però, era anche la sua caratteristica più inquietante. Possedeva il potere della Parola. Se voleva poteva ammaliare le persone con le proprie parole, farle inchinare al proprio volere, sedurle oppure respingerle e provocarne l'ira o l'immensa tristezza che suscitava la verità che tenevano celata dentro di loro. Poteva metterli uno contro l'altro oppure far loro trovare l'amore e l'amicizia. Le bastava semplicemente parlare in modo che le persone fossero indotte a riporre la loro fiducia in lei. Era una cosa che le veniva facile.

Ma quando scoprì che la cosa faceva soffrire le persone che le stavano a cuore, smise immediatamente.

Per un lungo periodo rimase rintanata in casa, durante quelle afose giornate estive, mentre guardava le persone passare per la strada attraverso le scure che gettavano strisce di luce sui muri dietro di lei.

La Parola le premeva contro il petto. Voleva uscire. Era spietata. Voleva cacciare, sedurre, dilaniare.

Erano i momenti in cui la parte più diabolica si impossessava della mente di Ray e faceva compiere azioni meschine alla Parola.

Guardava ogni persona, ogni essere vivente che le passava accanto con un misto di odio, disgusto e rancore.

Verso la fine di agosto, in uno dei monotoni giorni passati dinanzi alla finestra, Ray si accorse di una cosa: ogni sera, verso le sei, una ragazza passava per il parco sotto casa sua, fermandosi ogni volta a guardare i fiori.

Portava i capelli rossi raccolti in una coda bassa, indossava pantaloncini scuri e una T-shirt bianca.

Provò un certo interesse nel fissare quella ragazza così spensierata e così in comunione con gli altri. Sorrideva. Sorrideva sempre. Era bello vederla sorridere; così, sera dopo sera, Ray prese l'abitudine di affacciarsi alla finestra sempre alla stessa ora, per vedere quel sorriso semplice ed armonico, che ogni volta aveva il potere di farla sentire una persona migliore.

Non passò molto tempo prima che la Parola, precedentemente calma e placida, tornasse a premere contro il suo petto, la sua gola e le sue labbra. Aveva l'impulso di parlarle, di scoprire qualcosa in più sul conto di quella ragazza, di capire perché le facesse quest'effetto.

Fece una smorfia di disgusto nel seguire la logica del proprio ragionamento: se le avesse parlato avrebbero cominciato ad affezionarsi l'una all'altra, e molto probabilmente alla fine, per solo Dio sa quale ragione, avrebbe trovato un modo per inviperirsi contro quella ragazza e distruggerle l'animo.

Incrociò le braccia lasciandosi cadere sul letto.

Sospirò. Era una faccenda complicata.

Così, decise e si impose di non guardarla più, di non cercare nemmeno di pensare a lei.

 

Passò giorni a tenere il broncio, finché la Parola e l'impulso che aveva di scoprire chi fosse quella ragazza non la travolsero. A quel punto si ritrovò ad aspettare con impazienza il tramonto, per poterla vedere di nuovo. Trascorse così una settimana. Ogni sera andava nel parco e si posizionava affianco ad un albero, ogni sera faceva un passo avanti per provare a parlarle, ed ogni sera si bloccava, per poi tornarsene a casa con l'angoscia nel cuore.

All'ottavo giorno decise di cambiare tattica: scrisse una lettera e la infilò sotto il cespuglio di rose rosse, davanti a cui la ragazza si chinava sempre per ammirarne la bellezza sanguinolenta.

L'epistola recitava: “Cara ragazza del parco, vorrei parlarti, ma non ne trovo il coraggio. Ti prego di farlo tu al posto mio, sotto il grande melo, domani sera, a questa medesima ora. Firmato: R.”

Purtroppo quella sera la ragazza non passò per il parco. Nemmeno il giorno dopo, né il giorno dopo ancora. Passò circa un mese prima che tornasse di nuovo.

La lettera era rimasta lì, sotto le intemperie di inizio autunno.

Ray si affacciò per l'ultima volta alla finestra, per quel giorno, e la vide. La vide e non ci fu nulla di più lieto per il suo cuore di quella vista. Tornò a sorridere dopo tanti giorni di depressione.

Ma subito dopo si accorse che la ragazza era malinconica, allora il suo cuore pianse, e non era solo per il suo essere lunatica.

Si fece coraggio e oltrepassò la strada che la separava dal parco e da lei. Le si avvicinò piano piano misurando con attenzione ogni movimento.

Ray la guardava; la ragazza invece sembrava non accorgersi di lei, finché non ci andò a sbattere.

-Scusami tanto! Non ti avevo vista.- Scattò sorpresa la ragazza. -D...Di nulla, non ti preoccupare- Mormorò timidamente Ray.

La ragazza accennò un sorriso mesto e fece per proseguire, e Ray, presa dal panico perché potesse andarsene, le chiese- Tutto bene?- aveva un tono di voce teso, preoccupato ed impaurito allo stesso tempo.

Lei si girò e la guardò alzando un sopracciglio.-Mi dispiace, ma non ne voglio parlare.- mormorò secca, ripensando ai propri problemi che la tormentavano. In quel momento non aveva voglia di parlarne con nessuno, tanto meno con una sconosciuta.

Ray cercò di intrattenerla.-I..Io mi chiamo Ray... Non pensavo che potesse darti fastidio la domanda, volevo aiutarti.- abbassò la testa con imbarazzo.

Il volto della ragazza si raddolcì.- Grazie, ma davvero, è un brutto periodo e vorrei solo poterlo dimenticare. Comunque, io mi chiamo Sandra.-

Sandra... Ray sentiva l'adrenalina scorrerle nelle vene. Finalmente sapeva qualcosa su quella ragazza. Una Parola però, le risalì in gola, ma lei si morse la lingua pur di non dirla. “Serpente”. Sandra era una serpe perché, nonostante tutti i crucci di Ray, lei non stava facendo nulla per aiutarla o per rincuorarla. Scacciò via subito quel pensiero spregevole, confutandolo con l'ultima frase che Sandra aveva detto: l'aveva ringraziata per il suo tentativo di aiutarla.

Ray accennò un sorriso, Sandra era davvero una ragazza speciale, e lei non voleva farsi sfuggire nessuna parola che la sua mente contorta e malvagia produceva.

Intanto cercava di non far morire la conversazione.- Ehm... Vedo che ti piacciono le rose. Effettivamente qui sono molto belle.- Accennò un sorriso, guardando in direzione del cespuglio.

Sandra- Sì, ti do pienamente ragione, sono stupende... Senti...- La guardò con i suoi occhi color del prato primaverile.- Io devo proprio andare. Ci sentiamo. Ciao.- E si incamminò per il sentiero.

Ray rimase a metà tra il soddisfatto e il deluso. Era soddisfatta perché finalmente l'aveva conosciuta, era delusa perché sapeva che non lei non le avrebbe più rivolto la parola.

 

Quella notte ebbe gli incubi. Sognò di cadere nel buio, con la voce di Sandra che rimbombava in quel luogo infinito che era la sua mente.

La sera dopo tornò in quel parco, ormai le foglie cominciavano ad ingiallire e a cadere piano piano.

Non dovette aspettare molto.

Sandra le si avvicinò, leggermente infastidita- Ma mi stalkerizzi?- Ray, tutta rossa in volto, le rispose.- No... Solo che... Beh...- Non riusciva a spiegarglielo. Non la seguiva, non lo aveva mai fatto, ma la guardava passare ogni sera, la aspettava da mesi, si affacciava ogni sera alla finestra per vederla, e in quel momento si chiese perché lo avesse fatto. Tutto quel tempo, sempre e solo lei. Perché? Per il suo meraviglioso sorriso? Sì, ma non solo.. Non sapeva come spiegarlo. E se anche avesse provato, lei, capendo, sarebbe scappata via.

Allora disse l'unica mezza verità che le sembrava decente- Abito qui di fronte... mi capita spesso di venire al parco.- Le fece posto sulla panchina su cui era seduta.- Tu invece? Vieni solo per le rose?-

Sandra si sedette al suo fianco, sorprendendola, anche perché pensava che non le avrebbe più rivolto la parola. -Non soltanto... Questo posto mi rilassa, ci vengo perché penso sia un posto speciale e bellissimo.- “Come te”, avrebbe voluto dire Ray, ma si morse il labbro inferiore per non farsi scappare nulla. Sì, aveva ragione, quel parco era stupendo, ma poco le importava.

Ray- Ti piacciono le mosche?- Chiese ad un tratto, dopo un momento di silenzio. Sandra rispose, anche se un po' sorpresa- Beh, non che le adori... Devo dire, anzi, che sono abbastanza fastidiose in estate.- Sorrise. Ray- Io penso che stiano sempre ad architettare qualcosa.- Accennò un sorriso.- Però danno fastidio anche a me.-Azzardando un'occhiata nella sua direzione, sperò tanto che quel momento non finisse.

Passarono gran parte del tramonto a parlare, e alla fine scoprirono la simpatia l'una nell'altra.

Sandra- E' tardi, devo tornare a casa.- Sorrise serena.- Domani ci sei ancora, vero?- Si voltò per guardarla, e quest'ultima annuì. Si salutarono e Sandra si avviò lungo il sentiero.

Ray sospirò e volse lo sguardo alla luna, ormai ben visibile nel cielo blu scuro.

 

Così passarono le giornate: le mattine a scuola e le sere al parco con Sandra. Ray pensava di trovarsi al settimo cielo. Ma preferiva non badarci. Però ci pensava, ma si imponeva di non farlo. Era dal loro secondo incontro che aveva questo dubbio. Sandra era sua amica o per lei significava qualcos'altro?

Il dubbio continuò a tormentarla giorno dopo giorno. Sandra sembrava così a suo agio in sua compagnia, e si chiedeva se anche lei provasse quello che provava lei. Infatti una sera le disse -Hey Sandra, tu... Cosa penseresti di due persone dello stesso sesso che si vogliono bene al punto da amarsi?- Lei guardò la strada, poi le rispose in tono pensoso.- Penso che... Se due persone si amano, hanno il diritto di amarsi apertamente. So di stonare con l'opinione pubblica, ma io credo che non ci sia nulla di più bello se non nell'amore, indifferentemente da che tipo, secondo te invece?-

Ray trattenne a stento un sorriso, nessuno poteva immagina la gioia che provava in quel momento. - Si, credo che il tuo pensiero sia molto nobile, lo rispetto e lo approvo completamente.-

Nonostante ciò non era per nulla sicura che Sandra capisse lo scopo della sua domanda, e quella notte dormì male. Pensò a tutti i momenti passati con Sandra, pensò a Sandra, quando si era ripromessa di non farlo.

Prese una decisione. Voleva provare, voleva farsi avanti.

Quella sera si presentò in anticipo. Si era fatta seria in volto. Ma appena arrivò lei, non riuscì a trattenere un sorriso, e fu come se tutti i suoi pensieri precedenti a quel momento fossero stati spazzati via.

Solo verso la fine della del loro incontro lei riuscì ad accennare all'argomento.- Ieri hai detto che l'amore è la cosa più bella del mondo... Sembravi così convinta. Sei stata innamorata?- Sandra la guardò alzando un sopracciglio.- Come mai così tanto interesse per questo argomento?- Sorrise punzecchiandola con gomito.- Ti piace qualcuno, vero?- “Se ti dicessi chi non mi crederesti...” avrebbe voluto dire Ray.- Comunque, si.- Rispose Sandra abbassando lentamente lo sguardo.- Ma cambiamo argomento: hai sentito cos'è successo l'altro giorno al ristorante infondo alla strada?...-

 

Passarono altri giorni in cui Ray non faceva che crucciarsi, cercando un modo per comunicare a Sandra quello che provava, ma non ci riusciva.

Arrivò l'inverno, e le due ragazze decisero di incontrarsi nel parco non più alla sera, ma durante il pomeriggio, poiché faceva più caldo.

Ray sentiva sempre più la Parola premerle in petto, ma non poteva farci nulla.

 

Un giorno, durante un nevoso pomeriggio d'inverno, Sandra arrivò al correndo. Era raggiante.

Abbracciò l'amica e le disse.- Oh mio Dio! E' tornato!- Tant'era felice che saltellava di gioia. Ray- Hey, calma.- Sorrise anche lei, contagiata dalla sua allegria- Che succede? Chi è tornato?- E l'altra- Simone!- Saltellò ancora per poi abbracciarla forte.

Ray -E' tuo fratello?- La strinse a sé, beandosi di quella sensazione di calore che sentiva dentro di se attraverso quel contatto. -No, è il ragazzo di cui sono innamorata.- Sorrise felicemente continuando a restare tra le sue braccia.

A Ray si pietrificò il sangue nelle vene. Era stata davvero sciocca a pensare a qualcosa così fuori dalla realtà. Accennò un sorriso straziato e folle allo stesso tempo, nascondendo il viso tra i capelli di Sandra, più bassa di lei di una spanna.

 

Quella sera, seduta sul letto, Ray giocherellava col telefono in mano, depressa e nervosa. Non sopportava l'idea di quello che stava accadendo, non poteva sopportare. Non dopo tutto quello che aveva passato.

Compose il numero senza la minima esitazione, con una pacata freddezza, come se fosse una cerimonia religiosa. La casa era silenziosa, qualche solitaria automobile passò in lontananza. Avvicinò la cornetta all'orecchio. Al terzo squillo, qualcuno rispose.- Pronto?- Sandra aveva la voce impastata per via del sonno.- Chi è? Si rende conto di che ore sono?- Ray aspettò qualche secondo prima di rispondere, con la stessa freddezza che l'aveva accompagnata per tutta la serata.- Ti prego, ho bisogno di parlarti. Vieni al parco. Ci troviamo lì tra un quarto d'ora. E' urgente.- Interruppe la chiamata senza lasciarle il tempo di rispondere e si avviò verso il parco, con movimenti lenti e stanchi.

Il paesaggio che le catturò gli occhi appena mise piede fuori dalla porta di casa era il parco. Quel piccolo gruppo di alberi e cespugli, divisi da qualche sentiero non visibile dalla sua posizione. Tutto sotto un velo di bianca e soffice neve.

Ci mise poco ad arrivare alla panchina su cui erano solite sedersi. Fissò le assi della panca restando in piedi ed aspettando pazientemente lo scorrere dei quindici minuti.

Sandra arrivò di corsa con una manciata di minuti di ritardo. Cosa era saltato in mente a Ray? Darle appuntamento nel cuore della notte? Ma nella sua voce aveva riconosciuto un tono di sofferenza, per cui non non aveva battuto ciglio e si era subito alzata.

La vide nella medesima posizione in cui era rimasta in quei quindici minuti, solo che ora aveva le guance leggermente rosse che stonavano con la sua carnagione diafana. I capelli lunghi e neri erano sciolti e le ricadevano poco sopra i gomiti.

Nel sentire i passi di Sandra, Ray voltò leggermente il capo, accogliendola con uno sguardo spento.- Salve.- Sussurrò.

Sandra- Cosa succede?- Si avvicinò all'amica per poi appoggiare la mano sulla sua spalla.- Stai bene?-

Ray scoppio a ridere a quella domanda. Che domanda stupida. La sua risata era malinconica e, per certi versi, sadica.- Io? Una meraviglia.- Ironizzò.- Ma che ti prende?- Sbuffò Sandra.- Mi hai fatta venire qui a quest'ora della notte solo per prendermi in giro?!- Si stava arrabbiando. Nel vederla così, Ray si pentì immediatamente della propria reazione, tornando semplicemente triste. - Mi dispiace, Sandra. E, no, non ti ho chiesto di venire per prenderti in giro.- Si girò completamente, in modo da averla di fronte e non di lato.- Volevo dirti una cosa...- Cominciò, ma Sandra la interruppe.- Una cosa tanto importante da farmi attraversare mezzo parco nel buio della notte.- Sbuffò molto nervosamente.- Domani parto, sai?- La guardò storto, per poi rendersi conto che qualcosa non andava. Ray, infatti, aveva sbarrato gli occhi per la sorpresa- Cosa?!- Sandra si coprì la bocca con la mano facendo una smorfia.- Ops, scusa, mi sono dimenticata di dirtelo. Domani parto per Dallas, in America. Mi dispiace... Ma pensavo di avere tempo, l'aereo decolla domani sera.- Ray, ormai disperatamente scioccata dalla notizia, mormorò.- Ah... Perché?- Sandra sussurrò- C'ero stata anche quest'estate, per un mese. E' dove vive Simone.-.

Ray la guardò negli occhi e, tra la disperazione, il dolore e l'esasperazione, disse, scandendo le parole-Sandra, sei sicura di amarlo? Sei sicura che lui ti ami davvero? Perché io non credo esista persona al mondo che ti ami più di me.-

E detto questo, tenne gli occhi fissi nei suoi, verdi e profondi nella notte. Vedendola scioccata, non volle andare oltre. Ma poi pensò che, se non lo avesse fatto in quel momento non lo avrebbe potuto fare mai più, e così si chinò su di lei lasciandole sulle labbra un dolce ed infelice bacio.

Sandra non riusciva a capacitarsi di ciò che Ray le aveva appena detto, ma quando sentì le sue labbra sulle proprie capì cosa significasse “essere a casa”. Avrebbe voluto che quel momento, così trasgressivo, dolce e passionale, non finisse mai, perché sì, aveva capito ormai cosa Ray provasse nei suoi confronti. Ma da sempre aveva amato Simone e non poteva lasciarlo.

Così, combattendo contro l'impulso di cercare ancora quelle labbra, la spinse via.

Ray barcollò, ma riuscì a mantenere l'equilibrio. Non osava più guardarla, mentre Sandra non voleva altro che perdersi nell'oscurità del suo sguardo. Entrambe restarono ferme e in silenzio per dei secondi che parvero infiniti, poi Ray parlò- Mi dispiace... Non volevo che... - Non riuscì a proseguire. Sandra la guardò- Io sono innamorata di Simone, quella a dispiacersi sono io. Non sapevo ciò che provavi per me... Ma non posso ricambiarti.- Mormorò quasi in un gemito. Lo disse più per convincere se stessa che lei.

A Ray si spezzò il cuore, più e più volte. Sentì ogni parte del suo organismo sfasciarsi, liquefarsi. Sentì le gambe rammollirsi, le braccia rinsecchirsi, e il cuore esplodere in mille frammenti di cristallo.

Cercò di mantenere un certo contegno, mormorò un “sì, ho capito, non ti preoccupare” con la voce tanto incrinata da sembrare quasi irriconoscibile.

Si avviò verso casa e Sandra la lasciò fare. Non le rispose né la salutò. Sapeva che avrebbe solo peggiorato la situazione. Guardò la figura curvata dal peso del dolore sparire nel buio oltre il sentiero e, col cuore che le doleva, si chiese se avesse fatto davvero la cosa giusta.

Quella notte nessuna delle due anime in pena chiuse occhio.

 

Gli aerei partivano, librandosi, grossi e rumorosi, dalla pista di lancio del aeroporto. Sandra abbracciava i suoi amici nella confusione dell'entrata, liberatasi ormai dei bagagli, a qualche metro dai banconi del check-in. -Ci mancherai- Dissero alcuni- Spediscici una cartolina ogni tanto!- Esclamarono altri. Ma in realtà, l'unica persona che Sandra voleva davvero vedere, abbracciare e sentire, anche se non voleva ammetterlo a se stessa, in quel momento non era lì. Si sentì morire dentro, per il senso di colpa e per dolore.

Guardandosi un'ultima volta indietro, cercò disperatamente quella chioma corvina che tanto le era familiare. Non trovandola, si girò e percorse la strada che la portava all'area d'attesa. Lì trovò Simone, che la guardava raggiante. Uno dei motivi per cui si era innamorata di lui era proprio il suo sorriso.

Dopo nemmeno dieci minuti salirono sul aereo, e Sandra si sedette nel posto vicino al finestrini. Continuava a pensare a lei. Si erano lasciate così: con un bacio e una tormenta nel cuore.

 

Era l'alba. Ray non aveva chiuso occhio. Si sentiva uno straccio.

Si diresse verso il bagno. Dopo quella lunga riflessione notturna, sapeva cosa doveva fare. Era cresciuta da quell'estate in cui non riusciva a dominare la propria Parola, le sembrava passata un'eternità, eppure era sempre al punto di partenza. Pensò che quello che stava per fare fosse una cosa stupida ed insensata. Si sarebbe fermata, pensò, voleva farlo, voleva fermarsi. Ma non lo fece.

Oltrepassò il corridoio a grandi falcate.

 

Ray si guardò allo specchio. Un viso magro e pallido. Due occhiaie scure come se fossero trucco. Prese in mano la scatoletta dei sonniferi...

 

La vicina chiamò il pronto soccorso. L'ambulanza portò Ray in ospedale, ma non c'era più nulla da fare...

 

Al funerale c'erano poche persone. Dopo la morte dei suoi genitori, Ray viveva da sola, il suo mondo erano quella finestra, quel parco e l'università. Pochi dei suoi conoscenti piansero la sua morte...

 

La bara, nera e lucida, venne calata giù, nell'oscurità della terra.

 

 

 

 

Un respiro affannato, improvviso e spaventato scosse la quiete dei vermi, che di notte andavano a nutrirsi vicino alle tombe. Era buio, tanto buio, l'aria era stantia e l'ossigeno era poco. Ray stava soffocando. Cos'era successo? Era all'Inferno?

Ora ricordava. Aveva tentato il suicidio. Perché era sveglia allora? Dov'era..?

La fredda e logica verità le mozzò quel poco fiato che aveva in corpo. Non aveva preso abbastanza sonniferi per morire, ma abbastanza per sembrare morta. E ora, era rinchiusa nella sua bara, metri sotto terra, e nessuno avrebbe potuto né sentirla, né aiutarla. Urlò comunque, si dimenò, cercò di aprire la bara, ma niente. Allora gridò- E' questo il castigo per averti amato troppo?!-. Un grido che si perse nella terra, una domanda a cui nessuno, mai, risponderà.

  
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