Fanfic su attori > Alex Pettyfer
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Autore: Misses me    16/03/2012    0 recensioni
Una ragazza londinese investita proprio mentre stava andando all'università per volere dei genitori, ma questo incidente cambierà la sua vita e la costringerà ad affidarsi anche agli altri e a vivere per se stessa... Commentate please per farmi sapere che ne pensate e se la storia riscuoterà successo pubblicherò altri capitoli, baci baci.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi sveglio anche oggi dolorante: mi vesto e trucco e infine decido di fare colazione con una barretta di cioccolata mentre guardo la tv distesa sul divano. Quella pazza di mia madre mi ha mandato un messaggio alle cinque di mattina dicendo che non serve che vada all’università fino a quando non sarò guarita, che ci ha pensato lei. Finalmente qualcosa di utile l’ha fatto anche lei dopo diciotto anni di completa inutilità. Suona il campanello, con il solito, nuovo passo vado verso la porta e apro fregandomene anche se può essere chiunque, persino mia madre. Invece sorpresa delle sorprese ecco che entra il coglione biondo anche detto Alex con un mazzo di rose bianche in mano.«Che cazzo ci fai qui, fuori da casa mia!» «Calma, ho chiesto l’indirizzo all’ospedale, sono qui per aiutarti prima che mio padre mi diseredi» sorride. «Povero dovremo farti santo, se vuoi possiamo fare cambio di genitori. Non mi interessano i tuoi affari con tuo padre per quello che mi riguarda non voglio più sentire nominare né te né lui, fuori.» «Dovresti provare a fare un po’ di yoga o training autogeno, aiutano a controllare le emozioni principessa dei limoni.» «Razza di idiota pompato come faccio a fare yoga se TU mi hai rotto una gamba? E poi riesco benissimo a controllare le mie emozioni, te l’ho detto non ho bisogno di niente e di nessuno. Sparisci.» «Beh, scusa e per farmi perdonare ti ho portato il segno tangibile del mio pentimento...» «Il tuo cuore ancora pulsante in un vaso di vetro? Ci starebbe alla grande sul tavolo del salotto, farebbe davvero un grande effetto...» «No fattucchiera medioevale inacidita questo mazzo di rose.» «Ah peccato, preferivo il cuore pulsante...» «Già, già immagino. Posso entrare adesso? È un secolo che mi blocchi la porta... mi sento un bambino cattivo messo un punizione.» «No, grazie delle rose ma puoi tenertele. Le avrai raccattate chissà dove... scommetto che non sai neanche che significano...» «Sinceramente non sapevo che le rose avessero significati...» «E invece è così. Le rose bianche che mi hai appena regalato significano sono degno di te: decisamente quello che non volevi dire... fatti consigliare dal fioraio invece di fare queste figure e ora tu e quelle rose dovete proprio andarvene.» Si sporge oltre a me e mi chiede: «Ma sei sola?» «Ma certo che no, Heidi è di sopra che si sta facendo una doccia, Babbo Natale sta giocando col computer e la Befana è appena uscita a comprare un paio di scarpe nuove, ha detto di esser stufa di andare in giro con le scarpe tutte rotte..» «Tutta sola in appartamento così grande? E per di più con tutte quelle scale? Non mi piace per niente la cosa...» «E tu non piaci a me, la cosa è più che reciproca, addio.» Finalmente quel seccatore se ne è andato, così posso ritornare al mio adorabile divano e l’unico amore della mia vita: Spongebob. Ceno davanti al computer mentre chatto con Sarah riguardo all’incidente; la cena è composta da un piatto fumante di lasagne coperte di besciamella e una mela rossa il tutto annaffiato con un bella bottiglia di coca cola. Sarah dice che sono proprio una culona a poter stare a casa per ben quattro settimane e che anche lei, per la prima volta da quando la conosce, si stupisce del comportamento generoso di mia madre. Beh dai non esageriamo dai, diciamo non esclusivamente egoista e stronzo come al suo solito. Sono quasi le undici e mezza, perciò decido di salutare Sarah, che ha promesso di venire a trovarmi appena possibile, e vado a farmi una bella doccia e mettermi e il pigiama. Entro in bagno, tolgo i vestiti e li lascio cadere alla buona sul pavimento; arrivata dentro la doccia appoggio le stampelle al muro e, tenendo la gamba infilata in un sacchetto della spesa ben fuori dal getto d’acqua apro il rubinetto e mi perdo nei miei pensieri come al solito...Adesso sono a letto, sotto un piumino, ma invece di addormentarsi la mia mente sembra svegliarsi e i pensieri stupidi che il mio cervello stava macchinando sotto la doccia ora si sono amplificati, sono ossessioni. E se ora fossi sposata? Magari anche con un piccolo Eric in arrivo, come sarebbe la mia vita? Sarei felice? È quella la vita che voglio? È Eric l’uomo giusto per me? Cosa si proverebbe ad avere un anello al dito che ti ricordi continuamente che tu sei importante, sei la metà di un intero, sei necessaria più dell’aria per una persona, che vivi per permettere all’altro di vivere? Chissà se esistono questi concetti...fino ad ora o me ne ha parlato mia madre dicendo che sarebbe stato così anche per me un giorno oppure li avevo visti nei film, quelli sdolcinati da fare venire il diabete, quella in cui la parola amore capita circa dieci volte in una frase composta da undici parole... Oggi è un altro giorno, il sole non splende e io sono pronta a deprimermi per un’ altra lunghissima giornata, evvai. Passando più velocemente del solito davanti al bagno, vado in cucina a prepararmi un bel cappuccino e andare a caccia di qualcosa da sgranocchiare. Alla fine mi arrendo, bevo il cappuccino aggrappata a una mensola della cucina, riprendo le stampelle e senza neanche cambiarmi mi distendo sul divano tenendo la gamba ben alta, come mi aveva detto il dottore. Oggi mi fa più male di sempre, la sento pulsare anche da sotto il gesso è un dolore davvero atroce, persino peggio di quando me la sono rotta. Non avendo niente da fare ripenso a quanto sono sola, inutile, indispensabile neanche a me stessa...piano piano le lacrime cominciano a rigarmi le guance, poi quelle lacrime si trasformano in singhiozzi sempre più forti e incontrollabili, ormai non ho più freni. Mi alzo, prendo il vaso appoggiato al tavolo e lo scaravento con tutta la forza che ho in corpo contro il muro pensando di scaricare un po’ di quella sofferenza che mi sta uccidendo. All’improvviso mi rendo conto che mi sto comportando come mia madre quando ero piccola: ogni volta che si arrabbiava con papà prendeva tutto quello che le capitava sottomano e lo distruggeva buttandolo a terra con tale forza da farla assomigliare a un uomo. Alcune volte se la prendeva persino con me, mi prendeva per i capelli e mi portava in camera mia urlando: «Devi studiare dialettica se no come potrai mai trovare un buon marito?» . Mi diceva che se non facevo come mi ordinava mi avrebbe rinchiuso in un collegio e avrebbe buttato la chiave, che per essere una brava ragazzina dovevo fare di tutto per trovarmi un marito ricco, bello e di buona famiglia e l’unico modo per farlo era darle ascolto. Quando avevo circa dieci anni mi portò in una casa di riposo di un quartiere malfamato facendomi vedere come sarei morta sola con il mio gatto nero storpio se non avessi voluto muovermi a dare frutti all’educazione che avevo ricevuto. Mio padre era un ospite, un burattino nelle mani di mia madre. Un giorno le sentì dire a alcune sue amiche che appena conosciuto mio padre l’aveva subito incastrato con il mio arrivo, le sue amiche risero complimentandosi per l’ottimo acquisto che aveva saputo fare. Non riuscivo a capire: mio padre non era mica una borsa o un paio di scarpe! Com’era possibile allora acquistarlo? Solo tempo dopo capì davvero quanto schifo facesse davvero quella persona che chiamo mamma. In quel esatto momento ho capito come non avrei voluto essere da grande, una pazza isterica come mia madre. Comunque hanno suonato alla porta: Sarah si è finalmente degnata di venirmi a trovare. PLEASE COMMENTATE PER FARMI SAPERE CHE NE PENSATE DELLA STORIA.. XXX Misses me
  
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