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Autore: My Pride    18/03/2012    3 recensioni
~ Raccolta di dieci one-shot/flash fiction un po' assurda e sentimentale incentrata sulla coppia Roy/Ed ♥
» 10. It's the story of my life ~ Special Chapter ~ Hearts Burst Into Fire
Chiusi gli occhi umidi, annuendo soltanto. E la sua presa diventò più salda, più protettiva.
Stretto e piangente ad un uomo che non fosse ‘To-san o ‘Ka-san, capii che i miglior amici erano quelli che ti erano vicini al cuore anche senza saperlo.
[ Partecipante alla challenge indetta dalla community Think Fluff ]
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Roy/Ed
Note: Lime, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Shattered Skies ~ Stand by Me'
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Quel che non si impara dai libri Titolo: Quel che non si impara dai libri
Autore: My Pride
Fandom: FullMetal Alchemist
Tipologia: One-shot
[ 2232 parole [info]fiumidiparole ]
Personaggi: Roy Mustang, Edward Elric, Jason Mustang
Tabella/Prompt: Animali › 10. Pulcino
Genere: Generale, Sentimentale, Fluff
Rating: Giallo
Avvertimenti: 
Shounen ai, What if?


FULLMETAL ALCHEMIST © 2002Hiromu Arakawa/SQUARE ENIX. All Rights Reserved.

    «Non mi sembra così difficile», borbottai con cipiglio sarcastico, gettando quasi svogliato il quaderno degli appunti di Jaz che, seduto alla scrivania in biblioteca come me, picchiettava annoiato la stilografica su un foglio, come se non sapesse cosa scrivere. Indietro con le lezioni da un bel po’, gli era toccato, quella domenica pomeriggio, studiare sodo  e recuperare tutti i compiti arretrati. E non erano mica pochi. Se si escludeva matematica - in cui era assolutamente negato -, doveva studiare venti pagine di filosofia e altrettante di storia, senza contare poi che gli sarebbe toccato scrivere un saggio su ciò che avrebbe letto. Eravamo in quella stanza da ore, però, era quasi sera tarda e ancora nessun risultato.
    Dopo un lungo sospiro, incrociai le braccia al petto, osservandolo mentre continuava a non far niente, sbadigliando di tanto in tanto. Con la coda dell’occhio guardai Edward che, subito tirato fuori da quell’intoppo, se ne stava comodamente sdraiato sul divano, immerso nella lettura di uno dei suoi libri. Riportai la mia attenzione su Jason, che mi lanciò a sua volta un’occhiata, reggendosi il volto sul dorso della mano.
    Annoiato al massimo, abbandonò la penna per allungare pigramente un braccio verso la busta di patatine che stava consumando, prendendone una e sgranocchiandola. Inghiottendo, mi guardò ancora, imbronciato. «Per te è diverso, ‘Ka-san, queste cose le hai studiate quand’eri giovane», fece ironico, prendendo un’altra patatina con non curanza.
    Inarcai maggiormente un sopracciglio, poggiando i gomiti sul bordo della scrivania. «Solleva ancora una volta l’argomento “età” e ti lascio qui a studiare da solo, così ti becchi un bel non classificato anche in queste due materie, uhm?» replicai, sfoggiando uno dei miei miglior sorrisi.
    Lasciò cadere la patatina che aveva preso, spalancando la bocca. «Ma questo è un ricatto!» esclamò incredulo, richiamando l’attenzione di Edward. Proprio lui ci guardò, abbassando di poco sul naso gli occhiali da lettura. Anche una delle sue sopracciglia bionde era inarcata con scetticismo.
    «Jaz, mettiti a studiare», disse, con il tono più normale e tranquillo che riuscì a trovare, prima di voltarsi verso di me. «E tu, Roy, finiscila di istigarlo e aiutalo». Dettato questo suo semplice ma imperativo comando, si drizzò a sedere sul divano chiudendo di poco il libro, alzandosi poi per dirigersi verso di me e scoccarmi un bacio a timbro sulle labbra. «Quando avete finito ti aspetto di là», mormorò, allusivo e sorridente, dando poi una pacca a Jaz, come se in quel modo volesse dargli manforte. Distratto, poi, agitò il libro, uscendo dalla biblioteca per lasciarci soli nei nostri studi.
    Jason sbuffò ancora, chinando afflitto il capo, con il mento poggiato sui molteplici fogli che ingombravano la scrivania. «Non finirò mai», si lagnò con voce infantile, allungando nuovamente una mano verso la busta di patatine. Ma prima che potesse prenderne una, l’afferrai spostandola lontano dalla sua portata. Ci guadagnai così un’occhiataccia, prima che si tirasse su a sedere. Picchiettò il legno con un dito, gli occhi azzurri ridotti a due fessure. «Senza quelle non studio», disse con voce neutra ma decisa.
    Per tutta risposta, posai la busta poco lontano. «Non studiare e fatti bocciare, poi ne riparliamo», replicai.
    «Se mi bocciano, ‘To-san darà la colpa a te», ribatté convinto, come per avere l’ultima parola. «E ti negherà il sesso».
    Ecco, quella era una cosa che non volevo accadesse. Assottigliai lo sguardo, quasi grugnendo. «Finisci filosofia», rimbeccai di rimando, senza voler sentir ragioni. «Altrimenti non saranno solo queste patatine ad esserti negate, ma anche altre».
    Cogliendo la sfumatura fra le righe, spalancò ancor più incredulo la bocca, sgranando gli occhi. «Ma perché usi sempre lo stesso ricatto!» urlò, battendo un pugno sul bordo del tavolo.
    «Uso solo la tua stessa moneta», la buttai lì tranquillissimo.
    «E’ una mossa vile!»
    «Anche la tua».
    «Ahhhh! Non riesco nemmeno a risponderti a tono dopo tutto questo tempo perso sui libri!» Frustrato, si passò freneticamente entrambe le mani fra i capelli scuri, scompigliandoli vigorosamente e lasciando che alcune ciocche gli cadessero a nascondere il viso. Conciato in quel modo, ricordava vagamente un pulcino spellacchiato. «‘Sto quinto anno è cominciato uno schifo!»
    Non riuscii a soffocare una risatina, riprendendo distratto il suo quaderno degli appunti. Aperto, ripresi a leggere in mente il problema di matematica, guardando poi lui.  «Prendi la penna e muoviti a togliere di mezzo almeno matematica», dissi, trattenendo un sonoro sbadiglio. Doveva fare una sola cosa, in quella materia, e ancora non l’aveva cominciata. Aveva solo scritto un paio di appunti di filosofia, ma non più di tanto. E dopo mi sarebbe toccato dettargli anche la fine prima di passare a quella dannatissima materia che era storia, anche se non mi aveva voluto dire l’argomento.
    Lo vidi accantonare per poco la sua aria da cane bastonato per allungarsi nullafacente verso la penna, quasi prendendola a moviola. Quando si fu finalmente sistemato e munito di stilografica, mi lanciò uno sguardo che poteva significare tutto, aspettando che gli esponessi il problema. Trassi un profondo respiro, sperando che almeno quello che lo saremmo tolto di mezzo in fretta. «Allora. Ascoltami attentamente perché non ripeto», cominciai, poggiando la schiena alla sedia. «Se una casa editrice deve spendere 60.000 Cens di spese fisse per produrre un libro, aggiungendoci anche 800 Cens per la carta, e ogni copia non deve superare i 1.000 Cens, quante copie del libro devono stampare?»
    Mi guardò stranito, come se avessi parlato un’altra lingua. Aveva persino la penna sospesa a mezz’aria, sopra al foglio completamente bianco. Non aveva scritto niente. «Che diavolo è ‘sto coso?» mi domandò allibito, sbattendo più volte le palpebre. Inutile, era un caso disperato...
    Trattenendomi dal lasciarmi sfuggire un lamento, mi coprii gli occhi con una mano, scuotendo avvilito la testa. «L’argomento che state studiando», ribattei sarcastico, guardandolo poi attraverso la fessura delle dita. «Le disequazioni, hai presente?»
    Scosse la testa con quella sua solita espressione innocente dipinta in volto, gli occhi azzurri esprimevano tutta la sua sincerità. Non aveva minimamente idea di cosa stessi parlando, perfetto. Cominciai, pazientemente, a spiegargli tutto dal principio, anche come dover svolgere cose molto più semplici del banalissimo problema che gli avevo esposto. Ma, dopo una mezz’oretta circa, quasi stavo per lanciare un urlo frustrato. Glielo rispiegai ancora e ancora, finché finalmente, alzò un indice e prese la penna, cominciando a scribacchiare qualcosa sul suo foglio. Poi me lo porse con un sorriso compiaciuto, incrociando le braccia al petto.
    «Adesso non ho sbagliato», disse gongolante, e mentre io ero concentrato a leggere quell’inguacchio che inchiostrava il foglio, lui allungò una mano verso la busta di patatine che avevo abbandonato poco lontano, arraffandosela. Beh, almeno aveva capito sul serio...
    Lo guardai mangiucchiare, prima di porgerglielo nuovamente. «Leggimi che hai scritto», feci tranquillo.
    Lui abbandonò per un attimo la busta ma, sgranocchiando, riprese il foglio mantenendolo dinnanzi agli occhi con due dita per poter leggere. «60.000+800x < 1.000x.» bofonchiò quasi con la bocca piena, continuando svogliato. «60.000 < -800x+1.000x, che diventa poi 60.000 < -200x. Il risultato è x > di 60.000 fratto -200, cioè 300 copie. Adesso leviamo di mezzo questa insulsa materia?» soggiunse spazientito, prendendo ancora una volta una patatina per mangiarsela al volo, prima che gli soffiassi nuovamente la busta.
    «Almeno hai capito bene quello che hai detto e il procedimento da svolgere?» domandai ancora, puntiglioso.
    Se avesse nuovamente preso un non classificato, ci avrei rimesso ancora una volta io. «Ho capito, ‘Ka-san, finiamo storia e filosofia piuttosto, ho sonno!» si lagnò come un poppante, abbandonando entrambe le braccia in avanti.
    Non volendolo sentire oltre lo accontentai, prendendo il suo libro di testo e voltando le pagine alla ricerca dell’argomento che avrebbe dovuto studiare. Cominciai a dettarglielo, assonnato quasi quanto lui mentre di tanto in tanto mi concentravo sulla stilografica che reggeva e che, lentamente, scorreva sul foglio, lasciando che la scrittura fluida di Jason lo riempisse. Se ne andarono, credo, altri quarantacinque minuti. E non perché l’argomento fosse lungo, non c’era poi molto da dire su Pitagora, ma perché, puntualmente, mi interrompeva per filare in bagno, per andare a prendersi un bicchiere d’acqua oppure un’altra busta di patatine. Dire quindi che mi ero quasi spazientito era un eufemismo. Ero letteralmente sull’orlo di una crisi di nervi.
    Quando finimmo anche quello, concentrai la mia attenzione sul libro di storia, allungando un braccio per afferrarlo e girare, altrettanto svogliato, le pagine. «Che argomento vi tocca studiare, stavolta?» chiesi distratto, leggendo e non i titoli d’intestazione.
    Non parlò limitandosi a guardare come se fosse estremamente interessato le venature della scrivania, evitando così il mio sguardo. Inarcai un sopracciglio a quel suo modo di fare, prendendo il suo quaderno degli appunti per colpirlo in testa con quello. «Ahia!» esclamò, massaggiandosi offeso il capo. «Che ho fatto adesso!»
    Lasciai cadere il quaderno sulla scrivania, guardando scettico il suo volto. «Come ti aiuto in storia se non mi dici l’argomento?» gli tenni presente in tono esageratamente ironico, ma lui, a quelle mie parole, si grattò distratto la testa. Forse a disagio, si massaggiò la spalla, guardando altrove. Poi, con la penna ben impugnata e senza degnarmi della minima attenzione, prese il foglio scrivendo il titolo del tema con la sua grafia ordinata ma alquanto insicura. Lo girò in modo che leggessi, ma non disse una parola. E quando lo feci, poggiai entrambe le mani sul bordo del tavolo con una tale violenza che lui sussultò, osservandomi smarrito con i suoi occhi azzurri, mentre mi alzavo per dirigermi verso la soglia. «Con quell’argomento non ti aiuto, preferisco che ti becchi un’insufficienza», sbottai innervosito, uscendo del tutto dalla biblioteca con al seguito le sue proteste. Ma non gli badai, andandomene in cucina. Piuttosto che mettere nero su bianco quelle esperienze, avrei davvero voluto che avesse un non classificato completo anche in storia. Non gli avevo mai negato nessun racconto quando all’occorrenza me li chiedeva, ma con quello non ci sarei assolutamente riuscito.
    A distrarmi, mentre prendevo un bicchiere dalla credenza per riempirlo di whisky, fu la sua presenza incerta sulla soglia, titubante e silenziosa. Mi versai il liquore che avevo appena recuperato, voltandomi verso di lui. Era mesto e imbronciato, vagamente intristito. «Perché non vuoi mai parlare della guerra d’Ishvar?» mi domandò flebile, mordendosi immediatamente il labbro inferiore come se volesse rimangiarsi quello che aveva chiesto.
    Io, d’altro canto, non risposi. Ero passato dallo stato di tranquilla pigrizia domenicale a quello d’incazzatura totale in poco tempo. Ma chiunque, probabilmente, avrebbe avuto la mia stessa reazione. «Perché quella non è stata una guerra, è stato un massacro», ribattei schietto, con le mani abbandonate sul bordo del lavandino, lo sguardo puntato sul bicchiere pieno a metà che avevo appena posato.
    Calò un silenzio carico d’attesa, subito dopo. Anche la presenza di Jason era quasi diventata assente. Finché non decisi di voltarmi verso di lui a braccia conserte, incamminandomi verso il tavolino al centro della cucina e spostando la sedia prima di accomodarmi. Con i pugni chiusi sulle cosce lo guardai, cercando di decifrare la sua espressione. «Scrivi solo questo sul tuo tema», ripresi, forse più nervoso di quanto avessi voluto sembrare. «Puoi anche sorvolare le cause».
    «Se non vuoi parlarmene tu lo chiederò ai tuoi commilitoni», replicò altrettanto duro, sfidandomi con lo sguardo. «Anche se preferirei che fosse mio padre a spiegarmi cosa accadde».
    Per parecchio non fiatammo, concentrato ognuno sugli occhi dell’altro. Lui si era persino avvicinato e seduto al tavolo, abbandonando fogli e penne su di esso per squadrarmi attentamente, come se temesse che potessi sgusciare via. E l’avrei sicuramente fatto, se quegli occhi agguerriti non mi avessero incatenato al suo sguardo. Mi arresi all’evidenza non più di una quindicina di minuti dopo. Aveva continuato a guardarmi per tutto il tempo, senza battere ciglio.
    Imbestialito o quasi, serrai la mascella, lanciandogli un’occhiata in cagnesco. «Se te ne parlo devi farmi la cortesia di non chiedermi più nulla», misi a condizione, sperando che capisse, almeno in parte, quanto mi costasse raccontarlo. E fortunatamente, in tacito silenzio, annuì, mettendo mano alla penna. Ripiombai in quei giorni, mentre gli raccontavo le cause dello scoppio della guerra, il disfacimento che l’esercito aveva portato nei suoi primi anni fino all’utilizzo di noi Alchimisti di Stato, spediti sul campo di battaglia alla stregua di vere e proprie armi. Non mi sfuggì il suo improvviso sussulto, a quella rivelazione. E nemmeno l’espressione che aveva assunto il suo volto quando continuai. Fu quasi con un certo rammarico che, una volta che tacqui, cominciò a scrivere sotto forma di tema gli appunti che aveva preso, in emerito silenzio. Così in silenzio che, per molto, sentii solo il graffiare della penna che scorreva sul foglio.
    Quando concluse, lo piegò di lungo e ci scrisse nome e cognome, evitando ancora di guardarmi. «Grazie, ‘Ka-san», mormorò, con quel tono dispiaciuto che usava quando, ancora bambino, veniva a chiedere scusa per una marachella commessa.
    Non volendo sollevare questioni agitai una mano, alzandomi per tornare al lavello, dove mi aspettava ancora il bicchiere di liquore. Lo presi bevendone giusto un sorso, vedendo distrattamente, con la coda dell’occhio, Jason alzarsi per andarsene, diretto forse alla biblioteca che era ormai la sua stanza. Quando mi voltai, però, rimasi stupito. Sul tavolino, fra i fogli bianchi, c’era il suo tema e, accanto, un altro foglio sul quale era abbandonata la penna, con la quale aveva finito di scrivere quel piccolo messaggio che stavo leggendo in quel momento.
    “Se ti fa star male preferisco un’insufficienza.” C’era scritto a lettere cubitali. Ma fu quando lessi la scritta più piccola che mi sentii invaso da quella che forse era tristezza. O, più semplicemente, orgoglio paterno. E quella che mi infastidì gli angoli degli occhi, forse, fu una lacrima. “Va tutto sepolto nel passato”.







_Note inconcludenti dell'autrice
Questa era una di quelle storie un po' malinconiche che avevo dimenticato nel mio piccolo archivio personale
Come si può immediatamente notare, la storia ad un certo punto ruota intorno alla guerra di Ishvar, poiché ho pensato che essa potesse essere un avvenimento importante nella storia di Amestris e che, a distanza di anni, potesse essere inserita nelle sedi scolastiche, un po' come la prima e la seconda guerra mondiale quando si tratta di guerre significative per quel che riguarda il nostro mondo.
Diciamo più che altro che volevo che Roy e Jaz affrontassero quest'argomento, difatti ho fatto in modo che Edward se ne andasse altrove e attendesse il suo compagno. Ogni tanto un pizzico di malinconia ci vuole, suppongo
Commenti e critiche sono ben accetti, ovviamente
Alla prossima. ♥


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