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Autore: Blue Tiger    17/10/2006    7 recensioni
Mi sei sfuggito ancora una volta Akito Hayama. Come sempre…
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aspetto.
Non so da quanto.
Probabilmente un ora. Non di più.
La cosa certa è che sto incominciando ad innervosirvi.
Sono seduta ad un tavolo di una caffetteria della periferia abbastanza modesta. Sono proprio davanti alla finestra che dà sulla strada. Davanti a me solo automobili più o meno nuove che circolano. In una un signore sta strillando contro i suoi tre pargoli che non la smettono di strattonarsi. Una coppia, camminando mano nella mano, passa davanti a me. E così ricordo anche io quando circolavamo così insieme, senza vergogna, da semplici innamorati. Attraversavamo la strada e ci guardavamo negli occhi. Le macchine ci suonavano ma per noi non esistevano. Non so se tu ricordi queste cose. Probabilmente no. Sono passati venti anni. Io sono felicemente sposata ed ho un bambino bellissimo. L’ho chiamato Akito. Non ho mai parlato a mio marito di noi due. Mai. Eppure non passava giorno in cui non ti pensavo. In cui non ti ricordavo. Te. Io e te. Noi. Semplicemente. Adesso non so se aspetterò ancora un altro po’. Ho saputo che ti alleni nella palestra proprio qui sopra e che per accedervi devi passare nella caffetteria dove ora io sono tranquillamente seduta ad aspettarti. Invano. Tra un po’ devo andare a prendere mio figlio a scuola di karate. Gli ho parlato di questa disciplina e ne è rimasto affascinato. Chissà se diventerà un grande karateka come te, un giorno.


Alla nascita di mio figlio i giornalisti impazzirono. Tutti volevano una mia intervista, una mia foto con in braccio al mio Akito. Poi mi chiesero perché l’avevo chiamato così. Allora scelsi bene le parole. Dissi che l’idea era stata mia, che questo nome mi aveva sempre affascinato. Ma loro volevano sapere ben altro. Furbi come volpi mi dissero che in passato si era vociferato su una mia storia con un certo…Akito. Dissi che non mi ricordavo neanche di te, non ricordavo il tuo nome, niente. Non so se mi credettero. Devi aver sofferto molto quando hai letto questa mia frase. Mi dispiace, non potevo dire la verità, a casa sarebbe scoppiato un putiferio. Fuka, Aya e gli altri capirono subito il perché di quel nome. Come potevano dimenticarti. Come potevo dimenticarti. Ma mi promisero di non farne parola con Nikoth. Mio marito. Galeotto fu il set.
Ci conoscemmo durante le riprese di un film in cui lui era l’aiuto-regista. Ne rimasi folgorata. Mi aiutò anche a dimenticarti. Ma con scarsi risultati. Anche lui ebbe dei sospetti riguarda al nome di Akito quando si venne a sapere che avevo avuto una storia con te. Ma siccome è un uomo straordinariamente fantastico, non mi ha reso ancora più complicata la situazione.


Sorseggio un caffè. Ma non si può definirlo tale. Ha un brutto odore e un sapore sgradevole. Decido di non berne più. Non vorrei finire all’ospedale proprio stasera. Stasera. Quando mi assegneranno l’Oscar come miglior attrice del 2006. Sono appena le cinque meno venti. Ho tutto il tempo di prepararmi. Mi aspettano decine di truccatrici e parrucchiere, pronte a nascondere ogni mio più piccolo difetto. Ma stasera annuncerò una cosa importante. Stasera farò sapere a tutti che lascerò la recitazione. Voglio dedicarmi interamente alla mia famiglia. Mi sto accorgendo che mio figlio soffre. Soffre per me. Non ha una mamma fissa ventiquattr’ore su ventiquattro. E io non voglio che sia infelice. Sarà banale dirlo, è solo uno stupido luogo comune. E io nella mia vita ne ho usati molti di luoghi comuni. Soprattutto con te. Che stupida sono stata! Quando ti dissi che volevo lasciarti per non soffrire più…beh, quello era un luogo comune. Per colpa sua ho rovinato la storia più importante della mai vita. Con te.


Sono le cinque meno un quarto. Sto pensando seriamente di andarmene. Non credo che pagherò il caffè, faceva veramente schifo. E poi non credo che quando il cassiere mi riconoscerà, mi farà sborsare qualcosa. Accidenti! Sbuffo. Gioco con le dita. Pulisco l’orlo della tazza che ho qui davanti. E di un colore azzurro. No, turchino. E’ bellissima. Beh, almeno quella. E’ il suo contenuto che non è della stessa portata. Mi vibra il cellulare. Ho deciso di non mettere più la suoneria dopo quella volta. C’eri anche tu con me quel pomeriggio in biblioteca. Tutti in un silenzio di tomba. Tu che cercavi di spiegarmi qualche regola di aritmetica. Ad un certo punto parte la musica del limbo. La mia nuova suoneria. Sul display, un solo nome:Rei. Pensai che mi avesse chiamata per informarmi di qualche intervista o conferenza stampa fissata per domani. Tutti si voltano a guardarmi. Spengo il cellulare senza neanche rispondere. Povero Rei. Emetto un sottilissimo “Scusate”, poi, rossa in viso, abbasso al testa per non far notare il colore divampato soprattutto sulle mie guance. Tu ridacchi. Che cos’hai tanto da ridere?! Ti fisso. Ti accorgi che sono ancora rossa e ridi più forte. La direttrice ci guarda per un attimo, poi si avvicina a noi e ci prega “gentilmente” di sloggiare. Adesso quelli rossi siamo due. Finalmente fuori, urlo soddisfatta. Tu cominci a prendermi in giro come al solito e per non farti acchiappare scappi. Ti inseguo. I miei ricordi sono interrotti da un cameriere che viene a chiedermi se voglio qualcos’altro. Rispondo di no e gli porgo al tazza ancora quasi piena. La coppia che prima è passata mano nella mano entra nel locale. Si siedono ad un tavolo poco distante dal mio. Parlano e ridono animatamente. Altri flash-back si susseguono nella mai mente. Ma non ho più tempo di pensarci.


Controllo l’orario. Le cinque meno dieci. Basta. Me ne vado. Mi alzo. Prendo la mia giacca appoggiata alla sedia di fronte. La metto. Fa abbastanza freddo fuori. Soprattutto l’aria è umida. Faccio per pagare ma, come previsto, il proprietario che fino a qual momento non mi aveva riconosciuto, si accontenta di un autografo. Apro la porta interamente fatta di vetro. Dio com’è fredda! Sono in strada. O meglio, sul marciapiede. Fa più freddo di quanto immaginassi. Mi alzo il colletto della giacca e me la stringo forte in vita. Mi guardo attorno. Questo quartiere non mi piace proprio, quanta desolazione. Ricordò facilmente dov’è che ho messo la macchina e mi dirigo verso quella direzione. Mi sei sfuggito ancora una volta Akito Hayama. Come sempre…


Salve a tutti!!!
Mi dispiace se l'attesa è stata lunga, ma alla fine ce l'ho fatta!!!
Intanto volevo ringraziare veramente di cuore chi ha recensito anche per l'ultimo capitolo della mia precedente fan fiction...grazie davvero!!!
Vi lascio alla lettura e mi raccomando...recensite recensite
baci
Blue Tiger
  
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