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Autore: My Pride    19/03/2012    3 recensioni
~ Raccolta di dieci one-shot/flash fiction un po' assurda e sentimentale incentrata sulla coppia Roy/Ed ♥
» 10. It's the story of my life ~ Special Chapter ~ Hearts Burst Into Fire
Chiusi gli occhi umidi, annuendo soltanto. E la sua presa diventò più salda, più protettiva.
Stretto e piangente ad un uomo che non fosse ‘To-san o ‘Ka-san, capii che i miglior amici erano quelli che ti erano vicini al cuore anche senza saperlo.
[ Partecipante alla challenge indetta dalla community Think Fluff ]
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Roy/Ed
Note: Lime, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Shattered Skies ~ Stand by Me'
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Disguidi insensati del giorno dopo Titolo: Disguidi insensati del giorno dopo
Autore: My Pride
Fandom: FullMetal Alchemist
Tipologia: One-shot
[ 1612 parole [info]fiumidiparole ]
Personaggi: Roy Mustang, Edward Elric
Tabella/Prompt: Animali › 07. Farfalla
Genere: Generale, Sentimentale, Fluff
Rating: Giallo
Avvertimenti: 
Shounen ai, What if?


FULLMETAL ALCHEMIST © 2002Hiromu Arakawa/SQUARE ENIX. All Rights Reserved.

    Il vento infuriava fuori fra le vie, uggiolando negli anfratti dei vicoli e sferzando con la sua potenza le rade fronde degli alberi, le cui foglie autunnali si sarebbero sicuramente staccate dai rami per mulinare lontano, accompagnando la pioggia scrosciante che picchiava contro i vetri della mia finestra.
    Avvolto nel mite tepore delle lenzuola, in un stato di dormiveglia appagante, sfregavo in continuazione il viso contro il cuscino, nel tentativo di riscaldare il naso,
mentre ascoltavo il rumore delle porte chiuse che sbattevano appena e il tamburellare delle gocce sul tetto. Con gli occhi ancora categoricamente chiusi e pesanti, mi accorsi poco a poco di star abbracciando qualcosa di molto morbido, ma non vi prestai attenzione più di tanto, pensando che, come mio solito, avessi capovolto l'altro cuscino di piume d'oca ritrovandolo al mio fianco, usandolo un po' a mo' di pupazzo. Però, pian piano, tutto stava acquistando maggior consistenza, e dovetti ammettere che per essere un cuscino era ben modellato. Fin troppo modellato, avrei osato aggiungere.
    La mia mano vagò in rassegna di quell'oggetto lentamente, come se cercassi di capire con esattezza cosa fosse, e fu proprio per tentare di far chiarezza nei miei dubbi che aprii piano gli occhi velati di sonno solo per scorgere un baluginio dorato offuscarmi leggermente la vista. E mi ritrovai a fare i conti con la dura realtà. Specialmente quando mi accorsi dove si era fermata la mia mano e cosa stava toccando. Non ebbi il tempo di ritrarla di scatto che un pugno d'acciaio, lanciato contro di me a tutta velocità come se si fosse trattato di un treno in corsa, mi centrò in pieno una guancia, quasi facendomi ritrovare ai piedi del letto.
    Le polle d'ambra di Acciaio, luccicanti e fiammeggianti d'ira, mi osservavano con tutto il disprezzo che fosse mai stato possibile.
«Dovevo immaginarlo che non sarebbe stato di parola!» mi accusò iracondo, puntandomi con fare minaccioso l'indice contro. «Voleva approfittare di me mentre dormivo, razza di pedofilo depravato!?»
    Spiazzato e boccheggiante, intontito per il sonno e per il colpo che mi era stato appioppato, non sapevo né cosa dire in mia difesa né tanto meno riuscire a fare qualcosa per calmare la sua rabbia, che sembrava insormontabile. Dormivo, l'avevo toccato accidentalmente. Come spesso mi capitava, difatti, dimenticavo in che luogo mi addormentavo e, cosa molto più importante, con chi. Ma era da più o meno due anni che non mi ritrovavo in un letto con qualcuno, più che plausibile quindi che non ne fossi più abituato. Deglutendo senza distogliere lo sguardo da quelle iridi dorate ardenti di collera, mi rimisi in piedi portandomi una mano alla guancia, che mi pulsava in maniera spropositata per il colpo ricevuto. Ne aveva di forza, quel soldo di cacio.
«Senti, lasciami spiegare, Acciaio», provai, alzando subito le braccia per rendere veritiera la mia resa e il mio addio alle armi.
    Lui, però, stizzito come non mai, trasmutò il suo auto-mail e, senza minimamente pensarci due volte, mi puntò con foga la lama d'acciaio alla gola.
«Non c'è nulla da spiegare!» sbraitò, il corpo scosso dalla rabbia, dimentico che ci trovavamo in un motel dove avrebbe potuto sentirci chiunque in qualsiasi momento. «Mi ha palpato ben bene! Dopo che aveva giurato che non mi avrebbe toccato!»
    E sei anche ben fornito, evitai di dirgli, per non alimentare la sua ira. Non sarebbe risultato un complimento, in quel momento esatto. Così, accordai con me stesso un'altra inutile scusante.
«E' un banalissimo equivoco», cercai ancora una volta di spiegargli, ma il suo sguardo di fuoco mi bloccò, così come il rombo di un tuono che, come se avesse seguito la sua collera, squarciò il cielo.
    Il suo volto diventava man mano sempre più rosso, mentre indietreggiava sul materasso.
«Per lei è banale, forse!» ribadì a voce sempre più alta, scansando così velocemente la lama che mancò poco che mi colpisse tagliandomi la gola. «Sono i miei gioielli quelli che ha toccato, porco!»
    La questione stava prendendo una piega un pp' troppo imprevista. E anche la sua spropositata presa di posizione per quella faccenda, stava degenerando sempre più.
«Cerca di darti una calmata», dissi in tono basso, ponendo entrambe le mani in avanti. «Ritrasmuta il tuo auto-mail e siediti, per favore».
    Lo vedevo distintamente tremare, anche se non capivo se fosse per rabbia o per altro, mentre la lama d'acciaio tentennava. Aveva il respiro velocizzato e si mordeva violentemente il labbro inferiore, quasi facendolo sanguinare per come stringeva i denti. Piano poi, molto piano, abbassò la lama quando battè le mani, riportando il braccio al suo stato normale mentre si lasciava cadere in ginocchio sul materasso, seduto sulle proprie gambe. Evitava di guardarmi, per imbarazzo o per disagio, era difficile da stabilire.
    Sospirando rasserenato per il momento di quiete che mi stava concedendo, mi sedetti sul bordo del materasso, lanciandogli un'occhiata di sottecchi.
«Adesso vuoi ascoltarmi?» gli domandai con voce piatta, vedendolo distogliere maggiormente lo sguardo, quasi fosse offeso. Ma annuì svogliato, senza arrischiarsi ad incrociare i miei occhi. «Giuro sul mio onore, Acciaio, che non volevo», eloquii pacato, spostandomi appena verso di lui  per avvicinarmi un po'. «Mi ero dimenticato di non essere solo, pensavo fossi nel mio letto».
    «Sa quanto le credo», borbottò subito a bassa voce, continuando cocciuto a tenermi il muso con lo sguardo puntato verso il muro.
    «Puoi credermi come non farlo», dissi saccente, alzando lo sguardo al soffitto inumidito della stanza, incrociando poi le gambe sul materasso. «Continuare a insistere sulla mia innocenza sarebbe esattamente come gettare benzina sul fuoco».
    Per un bel po' di tempo, né io né lui parlammo, a riempire quel vuoto e il silenzio imbarazzato che si era creato fra noi c'era soltanto l'insistente scrosciare della pioggia sulle tegole del tetto del motel. Poi, sebbene non me lo aspettassi, lui mi lanciò un'occhiata che colsi con la coda dell'occhio, e lo vidi massaggiarsi distrattamente il braccio sinistro, come se gli facesse male.
«Ho esagerato, mi scusi», bofonchiò sulla difensiva, e sul suo volto si dipinse la tipica espressione di chi era costretto ad inghiottire contro voglia un rospo. E letteralmente, c'era da aggiungere. Era raro, difatti, che chiedesse scusa per qualcosa. Specialmente a me.
    Riabbassai completamente lo sguardo per osservarlo meglio, trovandolo contrariato.
«Mi spieghi che t'è preso?» gli chiesi, e lui sussultò, quasi a disagio. Ancora una volta si massaggiò il braccio, cominciando nervosamente a stuzzicarsi la carne del labbro inferiore con i denti. Mi lanciò un'occhiata, le guance imporporate di rosso mentre lasciava ricadere entrambe le braccia in grembo, grattandosi poi distratto una coscia.
    «Non lo so», mormorò, lo sciabordio quasi coprì il suo sussurro. «E' che... è stato strano, ecco». Poi, come se si fosse reso conto che ciò che aveva detto era stupido, si sbatté una mano sulla fronte, scuotendo la testa. «Cioè, so che in certi contesti si hanno... come dire... delle reazioni ma... non pensavo che...» si interruppe per scuotere ancora una volta la testa, rosso in volto. «Lasci perdere, Taisa», soggiunse sottovoce, le bionde sopracciglia corrugate in un'espressione quasi rammaricata.
    Dal canto mio, cercavo di capirci qualcosa. Mi aveva aggredito a quel modo... perché aveva paura di cosa? Che potesse eccitarsi? O la mia mente deviata aveva interpretato male le sue parole? Il tarlo del dubbio mi fece aggrottare la fronte, ma non osai chiedergli altro per il timore della sua lama d'acciaio nuovamente alla gola. Me lo sarei domandato a lungo il perché, supposi.
    Vidi distrattamente Acciaio portarsi dietro alle spalle i capelli che aveva lasciato sciolti la sera addietro, poi, sollevando un sopracciglio, mi osservò con una strana espressione. Si lasciò sfuggire una piccola risata. Né divertita né triste. Solo non entusiasta.
«Spesso mi comporto da stupido, vero?» disse di punto in bianco, con un tono di voce che sembrava cercasse conferma da me. Non sapendo cosa dire, mi limitai a sbattere le palpebre perplesso. Lui si grattò non curante dietro al collo, gattonando a ritroso per poggiare i piedi sul pavimento, oltre il bordo del letto. Mi guardò, con un sorrisetto privo di ogni sfumatura. «Credo di aver capito perché ha tanta fama con le donne, Taisa», il sorriso d'un tratto si accentuò, acquistando tonalità e sarcasmo. «Con un semplice tocco manda in panne il cervello». Dandomi le spalle, recuperò la sua giacca dal comodino e se la infilò, sistemandosi il colletto prima di guardarmi di nuovo. «Mi sono sentito un po'», si fermò, come a voler cercare le parole adatte, «colto di sorpresa e mi è andato il sangue alla testa, visto che non sono abituato... oltretutto, ha delle mani molto calde», soggiunse quasi pensoso, distogliendo non curante lo sguardo.
    Io, frattanto, cercavo di razionalizzare ogni pensiero che mi gironzolava per la testa senza che ci fosse un filo unico che li connettesse tutti. Dapprima la sua rabbia, poi il suo imbarazzo. Adesso era ironia, o complimenti? Non sarei mai riuscito a capire quel mistero che era per me Edward Elric, l'Alchimista d'Acciaio. Scuotendo la testa mi alzai a mia volta per recuperare la mia camicia e gli stivali, rivestendomi più in fretta che potei. E tutto con lui voltato da un'altra parte. Deciso più che mai a porre fine alla questione, mi avvicinai a lui arrischiandomi a cingergli le spalle, riuscendo persino a sentire il battito del suo cuore come se si fosse trattato di una farfalla intrappolata nelle mie mani. Ci guadagnai un'occhiata, ma sollevai appena le sopracciglia prima di socchiudere gli occhi e sorridere mesto.
«Credo sia ora di tornare a casa, aye?» la buttai poi lì quasi distrattamente, mollandolo per incamminarmi.
    Dopo poco, però, lo sentii al mio fianco, la sua aria allegra e serena era tornata vivace sul suo volto. E 
mi sorrise con fare sarcastico, forse persino con un velo d'imbarazzo. «La prossima volta lo scelgo io il motel».






_Note inconcludenti dell'autrice
Questa storia si colloca subito dopo il capitolo quattordici della raccolta Hearts Burst Into Fire, ovvero quando Roy e Edward si ritrovano a dormire nel motel dopo essersi dichiarati in un certo senso i loro sentimenti
Come le precedenti, questa storia è parecchio vecchiotta, e ci ho dovuto mettere un po' mano per sistemarla come si conveniva, date le virgole fuggite in ogni dove
Era un peccato lasciare a marcire queste storie dentro l'archivio del mio computer, però, così ho voluto postarle una volta per tutte prima di completare tutte le storie che mi restano da finire
Proverò, comunque, a scrivere qualcosa di nuovo prima della conclusione di questa raccolta, dato che ne ho assoluto bisogno
Commenti e critiche sono ben accetti, ovviamente
Alla prossima. ♥


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