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Autore: Dernier Orage    19/03/2012    4 recensioni
Brest, Natale 1971. Annik deve lavorare, Stephane è troppo piccolo per rimanere a casa da solo e viene ospitato a casa del migliore amico.
Fluff fluff fluff (preslash)
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'No Human Can Drown '
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Closer than you can imagine







I've wanted to hold you
Closer to my heart
Closer than you can imagine
I felt this from the start

Clan of Xymox - At the End of the Day






Brest, Natale 1971

Annik sorrideva e sospirava triste guardando il figlio, gli pettinava i capelli, non capacitandosi della quantità di nodi e di disordine: avrebbe aspettato la primavera per tagliarglieli corti, per non fargli patire troppo il freddo. Gli aveva fatto indossare i vestiti più eleganti, tutti di seconda mano, un maglioncino beige a righe rosse, dei pantaloni di velluto a coste, degli scarponcini gialli, Jean Jacques l’aveva rassicurata, dicendole che non sarebbe stata una cena sfarzosa ma solo una serata in famiglia, però poteva già immaginare i piccoli Chalm vestiti come piccoli Lords, dalle maniere impeccabili, forse annoiati e la cena in religioso silenzio.
– Tesoro, devi promettermi che ti comporterai bene.- Stephane l’aveva guardata sorridendo e annuendo. – Promettimelo s'il vous plaît-
- Promesso! – Esclamò il figlio posando la mano destra sul petto.
- Oh, tesoro! Io ti prometto che l’anno prossimo staremo insieme tutto il Natale! E’ solo per stanotte, mi hanno chiamata all’ultimo momento e… mi dispiace tanto.- Annik lo abbracciò stretto e gli accarezzò i capelli, poi lo aiutò ad infilare giacca, sciarpina, cappello e guanti di lana, ricontrollando la sporta con il pigiamino, un ricambio, lo spazzolino da denti, il pacchetto con il regalo per il piccolo Neven.- Il regalo di Ismael? Non dimenticarlo.-
Stephane spalancando gli occhi corse nella cameretta e recuperò la busta colorata, che conteneva una sciarpa fatta a mano di lana bianca con delle sottili bande blu e rosse a distanza regolare e lo stemma dell’OL recuperato in una merceria, cucito su una estremità, era già da qualche anno che l’Olympique Lyonnais non vinceva e rischiava sempre la retrocessione – nonostante i miracoli dell’allenatore Aimé Mignot - eppure era diventata la squadra preferita di Ismael.
Non abitavano distanti dell’appartamento della famiglia Chalm, eppure Annik preferì pedalare il più veloce possibile, perché era già buio e Stephane appollaiato sul telaio le faceva sempre un po’ paura. Respirò profondamente appena, svoltando la curva, si ritrovarono nel viale alberato, rinnovò raccomandazioni al figlio, lo baciò e abbracciò augurandogli un buon Natale. Lo vide sgambettare attraverso il cortile e poi sparire dietro un portone di legno e la gonna lunga e nera della domestica. Asciugandosi una lacrima si illuse fosse stato in vento gelido a farla scendere e si allontanò canticchiando la Ballad of Sacco and Vanzetti di Joan Baez.

Stephane stava osservando la sua giacca, il suo cappello, la sua sciarpa e i suoi guanti sparire come una macchia di colore tra i vestiti scuri della cameriera quando fu distratto da due piccoli tornado che gli si gettarono al collo e lo strinsero, quasi contendendoselo. Stephane sorridendo diede un bacio alla fronte del piccolo Neven e poi salutò Ismael abbracciandolo nuovamente. Cercò di non ridere, a vederlo con un completo blu notte di velluto dai pantaloni corti e i calzettoni al ginocchio e soprattutto un colletto di merletto bianco.
Quasi intercettando il suo pensiero Ismael aggiunse: - Sono obbligato, stasera scende anche mia nonna. Dopo lo bruceremo.-
Stephane sorrise e gli porse il regalo: - Lo apri ora o lo metti sotto l’albero? –
In pochi secondi Ismael strappò la carta in tanti piccoli coriandoli e si avvolse compiaciuto nella sciarpa, nascondendo quanto più colletto possibile. Pensava che anche se il campionato 1970-1971 l’aveva vinto l’Olympique de Marseille, e il Lione era arrivato settimo in classifica, il nuovo campionato era iniziato in modo soddisfacente e probabilmente avrebbero ottenuto risultati migliori.
- Grazie, grazie, grazie, grazie! E’ morbidissima!- Esclamò facendo una giravolta e sorridendogli. I suoi occhi brillavano e risaltavano sul viso piccolo e chiaro. – Il tuo domattina, se non ti dispiace.-
Stephane annuì per poi consegnare il regalo al bimbo di quattro anni, Neven osservò per qualche secondo la carta, poggiando la punta delle dita su ogni figura disegnata, quando la strappò tirò fuori da sotto un quaderno da colorare e dei feutres fiammanti. Si aggrappò al maglione di Stephane per ringraziarlo con un abbraccio.
- Ragazzi, la cena sta per essere servita.- Li informò la domestica rientrando nella sala attraverso una piccola porta che da chiusa si confondeva con la tappezzeria rossa.
Tutti e tre corsero nel bagno vicino alla sala da pranzo per lavarsi le mani. Stephane vedendosi riflesso nello specchio sollevò di scatto le sopracciglia in un’espressione sorpresa, con i capelli tirati indietro grazie alla Brylcreem quasi non si riconosceva. Ismael gli scompigliò i capelli, allontanandosi poi per ammirare il lavoro. – Decisamente meglio.-

La cena fu traumatica. La tavola era immensa e pomposa, con decori rossi e dorati sulle tradizionali tre tovaglie bianche di dimensioni diverse, il segnaposto di Jean Jacques Chalm si trovava a capotavola, alla sua destra già attendeva la nonna sulla sua sedia a rotelle, le mille rughe risaltavano sotto il trucco pesante azzurro e i gioielli pesanti brillavano sull’abito nero. Ismael l’aiutò ad aprire il tovagliolo sopra le ginocchia, quando tutti ebbero preso posto Jean Jacques fece il suo ingresso salutando a gran voce ed augurando un buon Natale, prima di baciare Neven, Ismael e Stephane sulla testa si tolse i guanti in pelle e li gettò sulla consolle vicino alla finestra. Ignorò lo sguardo penetrante della suocera e baciò sulle labbra la moglie, Marguerite Odette Blanchard de la Roche. Appena si sedette al suo posto la cameriera entrò con il carrello delle vivande e la prima portata. Per i bambini il menù comprendeva una crema di piselli, quiche di zucchine e come dessert il classico bûche de Noël. Per gli adulti avevano sacrificato un’anatra e per fingere che fosse buona l’avevano cucinata con una salsa di arance.
Ismael era riuscito a convincere il padre ad aggiungergli una goccia di Beaujolais nouveau al bicchiere pieno d’acqua. Neven già alla seconda portata si era distratto e aveva iniziato a tirare calci alla cieca sotto il tavolo e a strattonare la tovaglia. Stephane osservava a disagio la signora anziana che altèra si tamponava gli angoli della bocca un boccone sì ed uno no. La madre correggeva gli errori della cameriera, senza alzare la voce ma con un’inflessione antipaticamente distaccata. Jean Jacques ogni tanto faceva qualche battuta, cercava di portare una conversazione fluente e coinvolgente ma l’unico risultato che ottenne fu notare gli sguardi stanchi dei figli e permettergli di lasciare la tavola dopo aver salutato la nonna.

Come i migliori attori i bimbi si ripresero subito quando da soli poterono giocare liberamente.
- Io sono Berlioz!- Esclamò Ismael sedendosi sulla panchetta davanti al pianoforte e arricciando il naso. La settimana precedente erano andati al cinema a vedere Les Aristochats e il riccio diceva di assomigliare almeno un pochino al gattino nero, solo che non trovava punti in comune con nessun altro dei personaggi e i suoi amici, nemmeno Thomas O’Malley. All’uscita dal cinema avevano riso perché era passato un sidecar guidato da un anziano dai capelli bianchi, il papà li aveva portati al salon de thé La Mascotte e poi aveva preso sulle spalle Neven e avevano fatto una passeggiata fino ad accompagnare Stephane al locale della mamma, dove si era rifugiato dietro il bancone a ridere ancora un po’ nascosto tra le gambe della madre.
Neven si coricò sul tappeto a disegnare con i feutres su dei fogli bianchi ma ben presto trovò più interessante colorarsi il palmo della manina destra.
Stephane si ritrovò felice, gli mancava la sua mamma ma non più del solito, era felice perché solo che quattro mesi prima sarebbe dovuto rimanere nella casa dei nonni a Quimper, in assoluto silenzio con una remotissima speranza che arrivasse zio Louan da Amburgo o qualche zia o zio dall’Inghilterra a raccontargli delle storie di paesi stranieri e regalargli qualche figurina dell’Arsenal e un pacchetto di Cadbury Buttons. Invece era col suo migliore amico e il suo fratellino, li osservava dal divano, sì, era felice.
Ismael raddrizzò la schiena di scatto, ricordandosi di qualcosa, corse da Stephane e gli si inginocchiò di fronte.
- Aiutami per favore.- Gli indicò il colletto e i bottoncini. Stephane si chinò in avanti e lo aiutò a staccare il merletto inamidato. Ismael lo prese con assoluto disgusto tra la punta delle dita e lo lanciò nel fuoco del camino, per poi ridere soddisfatto.
Giocarono per una mezzora a ping pong, ma il tavolo era troppo alto per loro e facevano fatica a colpire bene la pallina arancione con la racchetta da quella angolazione. Stephane sogghignava all'ennesimo rinvio sbagliato di Ismael e all'espressione infastidita che gli dipingeva sul volto, mentre incassava il mento nella sciarpa e socchiudeva gli occhi, bastava che iniziasse a soffiare e poteva veramente dire di assomigliare a Berlioz! Tentò di incenerire con lo sguardo la domestica quando entrò nella sala con il bottiglione dello sciroppo ed un cucchiaio e storse il naso quando dovette ingoiare quel liquido giallo canarino.
- Bravo Ismael, adesso vado in cucina e vi preparo una cioccolata calda.- Si fece perdonare subito la cameriera.
- Oh, hai già fatto? Bravissima!- Esclamò Jean Jacques raggiungendoli e vedendo lo sciroppo.- Bene piccoli, accompagno la mia signora alla veglia di Natale. Stephane... pensavo di fare un salto da tua madre mentre aspetto Marguerite, vuoi dirle qualcosa?-
- Che le voglio bene.- Disse sorridendo Stephane.- E buon Natale!-
- Va bene, riferirò.- Guardandosi intorno da sotto le ciglia, con un cipiglio e un'aria assorta che il figlio maggiore aveva ereditato, aggiunse:- Non andate a dormire troppo tardi. Buonanotte!-
Jean Jacques si allontanò nuovamente, come era venuto. Portandosi via sua aria da aviatore dalle spalle larghe e i capelli rossicci, mentre la domestica lo aiutava ad infilare la giacca di camoscio e la moglie gli sistemava la cravatta, prima di venire avvolta nella pelliccia bianca.
- Giochiamo a cache-cache! Vi va?- Propose Ismael, approfittando dell’assenza della madre per concedersi delle corse per casa senza timore di rimproveri.
- Sì, però conta il più piccolo.- Aggiunse Stephane.- E il più basso.-
Neven gli fece una linguaccia e poi si appoggiò allo schienale del divano, iniziando a contare come credeva si contasse:- Un, deux, trois, cinq, six, quatre, deux, sept, huit, neuf, douze, vingt… -
Ismael prese per mano Stephane correndo fuori dalla sala e attraversando il corridoio. Aprì la seconda porta sulla destra, una delle camere degli ospiti, corsero all’interno nella stanza buia, appena un raggio di luce filtrava dalle tende, disegnando un’ombra spezzata sul pavimento e la parete. Si nascosero in un angolo tra il muro ed un armadio.
- Sai, la mamma voleva farti dormire qui, ho detto che sei come Neven e di notte cadi dal letto, così rimani con me.- Sussurrò Ismael dandogli di schiena, attento a recepire ogni più flebile rumore dal corridoio.- Almeno non ti mancherà la mamma e non sarai troppo triste.-
- Mael, io non sono triste, lo giuro. Sto bene.- Cercò di rassicurarlo, rischiando di alzare troppo la voce per risultare convincente.
- Papà diceva che lo saresti stato.- Aggiunse Ismael con un fremito alle spalle.
- Io ti dico di no!- Replicò Stephane, vide l’amico girarsi e sorridergli e aggiunse:- Forza, cerchiamo di arrivare alla tana senza farci trovare e finiamo qui, la cioccolata sicuramente sarà pronta, senti che profumo!-
- Esatto. Io vado, mi libero. Tu aspetta finché non senti Neven allontanarsi di nuovo, lo bloccherò io.- Ismael arrivò dalla porta e la socchiuse, guardò fuori, si aspettava di trovare il fratello nel corridoio, invece era nella sua cameretta, corse fino al divano della sala e si liberò, seguito da Neven che tentava di trattenerlo per i pantaloni. Il tempo di tornare indietro per cercare Stephane e oltrepassare appena la camera dei genitori e Ismael lo bloccò, piazzandosi a braccia aperte in mezzo al corridoio. Stephane corse alla tana e si liberò, risero dello sguardo iroso di Neven. C’era più soddisfazione nella trappola che avevano preparato che nell’effettiva vittoria, soprattutto perché non era che un bambino di quattro anni che non era ancora capace a parlare benissimo e la maggior parte delle volte chiamava le macchine imitando il rumore del motore, i cani facendo dei versi che dovevano assomigliare ad un abbaiare e via discorrendo. Si sarebbero fatti perdonare versandogli una parte in più della cioccolata calda che li attendeva sul tavolino basso della sala.

La cameretta di Ismael era una grossa stanza, col parquet lucidissimo, illuminata da un’alta finestra dagli infissi bianchi. I mobili erano di legno scuro: un letto a baldacchino dall’aria antica ad una piazza e mezza, pressappoco, i tendaggi pesanti blu, un armadio, uno scrittoio che sembrava quasi in bilico sulle sottili gambe di legno, qualche mensola appesa alle pareti, un baule ai piedi del letto. Aveva due porte, una collegata al corridoio ed una piccola che dava sulla stanza del fratellino, come certe camere d’albergo.
Si erano messi il pigiama e lavati i denti; Neven giocava appoggiato allo stipite della porta, con una piccola toupie magique, una di quelle trottole senza la punta ma con la base sferica, che girando ruotavano fino a trovarsi in equilibrio sottosopra, Ismael aveva tirato fuori due spade di legno ad elsa crociata, ne lanciò una a Stephane che la prese al volo.
Iniziarono a giocare per un po’, da bravo spadista si trattava di esercizio puramente accademico per Ismael, un’abitudine che quasi lo annoiava, dunque ben presto abbandonò le stoccate per aggiungere dei mulinelli, agiva per disarmare Stephane ignorando volutamente tutte le regole e le convenzioni della disciplina. Non sentiva la competizione, non la desiderava neppure, con il suo comportamento bizzoso cercava sempre di stupire i neofiti con la tecnica e i suoi coetanei futuri schermidori con un ibrido tra canne de combat e qualche mossa di arti marziali dal nome sconosciuto di cui aveva visto una competizione in una palestra di periferia.
- Vile marrano so che hai messo gli occhi sulla mia torta! - Esclamò Ismael azzardando una stoccata.
- E tu sulla mia dama.- Ribatté Stephane con un’espressione truce mista a divertita.
- Prendi questo! - Ismael riuscì a disarmare e mettere con le spalle al muro l’amico. - E questo! -
- Non mi chiamo marrano, io sono sir Kester, duca delle Tre Terre e devoto alla Regina…- Stephane gli porse la mano destra.
- Ed io sir Trevorian, piacere di fare la sua conoscenza. - Ismael assottigliò gli occhi come per proteggersi dall’eccessiva luce, ghignò:- Come ci si sente ad aver perso il duello? -
Stanchi si coricarono sul tappeto ad osservare i riflessi di luce e colori sopra le sfaccettature delle gocce del lampadario; per sbaglio Ismael lo aveva sfiorato con la punta della spada e ancora era mosso da un leggero dondolio. Sentirono la stanchezza scivolare lentamente sulle membra come una calda coperta.
- Andiamo a dormire?- Mormorò Ismael voltandosi su un fianco per guardarlo. Stephane represse uno sbadiglio e si alzò di scatto, per poi porgergli la mano ed aiutare l’amico a tirarsi su.
Stephane si buttò nel letto, non aveva neanche la forza di infilarsi sotto le coperte. Quando Ismael e Neven lo raggiunsero si sentì dolcemente sballottato, ritrovandosi in mezzo. Il piccolo si addormentò istantaneamente come solo i bimbi possono fare, il maggiore invece prese tempo, spense la luce un attimo prima che il padre entrasse a controllare; finsero entrambi di dormire, sentirono il peso di una coperta in più, l’odore della lana e il rumore della porta socchiudersi.
- Domani andrai a casa?- Sussurrò Ismael fissandolo nella penombra, per poi muovere il resto del corpo su un fianco e raggomitolarsi.
- Già, dai nonni e magari ci sarà anche qualche zio.- Confermò Stephane. Nella stanza c’era un’aria fresca che permetteva di non soffocare sotto tutte le coperte e le tende del baldacchino.
- Ricordati il mio regalo.- Riprese a voce bassa Ismael, poi sorridendo aggiunse:- Che ti avrà portato?-
- Boh, di solito roba per la scuola o cartoline.- Rispose annoiato e un po’ preoccupato Stephane.- Forse niente, visto che mi hanno messo in punizione a scuola.-
- Se vuoi vengo anche io a raccontare come è andata.- Cercò di rassicurarlo l’amico, ricordava bene quel giorno, l’ingiustizia con cui era stato punito: Stephane si era alzato per consegnare la verifica sulle tabelline e Philippe, un compagno di classe, aveva messo tutte le penne sul bordo del banco, passando Stef le aveva scontrate e fatte cadere, la maestra lo aveva messo in punizione. Una vera ingiustizia.
Stephane scosse la testa.
Se distrattamente scorreva lo sguardo sui tendaggi del baldacchino poteva confondere i cordoni con dei serpenti a sonagli. Si strinse vicino a Ismael cercando di cacciare via l’immagine dei rettili per non avere incubi.

La domestica li svegliò per le otto entrando in camera, aprendo le tende, poggiando sul baule ai piedi del letto tre pile di vestiti piegati. Neven con fare impettito si alzò e scavalcò Stephane ed il fratello, facendo ballare il materasso. Era il più piccolo e la domestica lo aiutava ancora a lavarsi e vestirsi.
- Bonjour Stef! Devi aprire il mio regalo!- Lo scosse Ismael per svegliarlo.- E dobbiamo fare colazione prima che arrivi la tua mamma!-
- Ma io sono stanchissimo!- Brontolò il piccolo Stephane infilando la testa sotto il cuscino. Proteste deboli contro la testardaggine di Ismael, appena le coperte volarono in aria per poi schiantarsi sul parquet, si alzò. Ismael era coricato sull’impiantito, di nuovo, si rotolava tra le coperte, stiracchiandosi e ridendo a crepapelle. Stephane sbuffò:- Ho anche fame.-
Ismael si rialzò guardandolo, abbracciò le coperte per sollevarle e gliele porse da mettersi sulle spalle. Di soppiatto uscirono dalla camera, nel corridoio dalla tappezzeria rossa si appiattirono al muro per non farsi vedere da dietro lo stipite della porta dalla cuoca, uscirono di corsa dall’appartamento e poi giù per le scale di marmo, attraversarono il cortile interno e giunsero sotto l’arcata prima del cancello. Inspirando sentivano l’aria gelida congelare il naso e la gola. Espirando emettevano nuvolette di soffice fumo bianco. Appoggiato al muro, appena sotto l’impianto citofonico c’era il regalo per Stephane: un enorme fiocco dorato abbelliva una bicicletta rossa fiammante, laccata, con il manubrio di ferro lucidissimo, le ruote e il coprisella bianchi.
Stephane spalancò la bocca nel vederla: era splendida, era bellissima, non aveva mai avuto una bicicletta tutta sua, andava in giro appollaiato sul telaio di quella della madre, aveva imparato ad andarci sui tricicli dell’asilo ma mai ne aveva posseduta una. Sembrava una bici da corsa, sottile, scattante, avrebbe tagliato l’aria e tutti i traguardi.
Si voltò verso Ismael, che, arrossito vistosamente, cercò di minimizzare:- Ne avevi bisogno, tua madre ne ha parlato con il mio papà, però l’ho scelta io.-
Stephane lo abbracciò e ringraziò mille volte. Rientrarono in casa solo quando la domestica brontolando venne a cercarli, tornati in camera si vestirono con gli abiti buoni e scesero nella sala da pranzo per la colazione.
Jean Jacques leggeva il giornale e li aspettava, Neven era attaccato al grembiule della cameriera.
- Buongiorno. Come state?- Li salutò il signor Chalm. - La mamma non scende, ha mal di testa.-
- Bene, grazie per la bicicletta, è bellissima.- Rispose Stephane versandosi un’omelette nel piatto e avvicinandosi al vassoio con il burro.
Ismael attento a non scottarsi diluì il the concentrato con l’acqua bollente del samovar in tre tazze che poi porse al fratello minore e a Stephane. Aggiunse qualche goccia di latte e dello zucchero alla sua tazza e si preparò un pezzo di pane con burro e marmellata di more.
Jean Jacques continuò a leggere il giornale e sorseggiò del caffè fatto con la cafetière napolitaine, la superficie lucida sembrava oleosa, il profumo era fragrante. Quando voltava pagina doveva poggiare la tazzina sulla tovaglia, rimanevano dei cerchi scuri perfetti sulla stoffa candida. La politica estera gli avrebbe fatto venire l’ulcera.











   
 
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