Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance
Segui la storia  |       
Autore: shoved2agree    19/03/2012    6 recensioni
[Traduzione][Frerard]traduzione di OhCheshireCat
Gerard Way vede il mondo in modo differente. Solo e segregato in un istituto psichiatrico, afferma di essere braccato, e che la sua mente contenga la chiave dell'esistenza. Davvero Gerard è in possesso di un segreto così potente? O è solo pazzo, come tutti gli altri all'interno dell'ospedale?
Pensavo di potermi nascondere da loro. Pensavo che si sarebbero dimenticati di me. Mi stanno cercando, proveranno a farmi parlare. Ma non posso far loro sapere -perchè sono l'unico che capisce quanto questo potrebbe essere devastante?
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

A SPLITTING OF THE MIND

***

15.

You Don’t Get Mood Swings From Eating Cornflakes




 

 



“Sembri insolitamente felice oggi, Gerard,” commentò Markman, tirandosi avanti per appoggiare i gomiti sulla scrivania.
Mi irrigidii, cercando di immaginare i miei lineamenti facciali. Stavo sorridendo? Probabilmente sì. Era stato un caso, comunque, una svista. Non avevo intenzione di sorridere. Bhè, almeno non davanti a Markman. Frank era un'eccezione. Frettolosamente abbassai gli angoli delle labbra per formare uno sguardo corrucciato, e lo rivolsi subito nella sua direzione.
Markman non si turbò per il mio sguardo. Sapeva di avermi colto in un momento di debolezza. Il mio unico desiderio era che non avesse dedotto da quel sorriso la mia intenzione di scappare. Sembrava un po' esagerato mettere tutte queste cose assieme, ma l'avevo già sottovalutata una volta, e l'avevo pagata cara.
“Stai programmando qualcosa?” scherzò.
Sapevo che stava scherzando, ma questo non mi impedì di farmi sentire preoccupato. Aveva i suoi modi per capirlo.
Sapevo che se fossi restato ancora in quella stanza, avrei potuto tradirmi. “Posso andarmene?” chiesi. Erano passati solo quindici dei quaranta fatidici minuti.
“No.”
Cazzo. Pensai di averla resa ancora più sospettosa, chiedendo di andarmene. “Bene,” dissi imbronciato.
Markman mi squadrò, sospettosa. Assumetti un'espressione innocente. Mi stava guardando un po' troppo intensamente per i miei gusti. Evitai di guardare altrove, per evitare di incrementare ancora i suoi sospetti. Sapeva che stava succedendo qualcosa.
Gesù Cristo, donna! Esci dalla mia testa!
Strinsi gli occhi verso di lei. Se puoi sentirmi, guarda da un'altra parte, ora. Dissi la frase nella mia testa e appena la completai, Markman si risedette e interruppe il contatto visivo.
Accidenti, porca puttana. Era stata una coincidenza, va bene?
“Mi dispiace ricordartelo, Gerard, ma è passato un mese dai tuoi ultimi esami del sangue.”
Una sola goccia di sudore cominciò a corrermi sul lato della faccia. Ero totalmente conscio di tutto il suo viaggio dalla mia fronte, fino al colletto.
“No.”
“No?” sembrava sorpresa. Era seria? Insomma, si aspettava veramente che dicessi “ma sì, certo”, facendola facile? Stronza.
“No!” esclamai, stringendo con forza le braccia al petto, per proteggere le mie vene.
Cercò di farmi ragionare. “Gerard, ti prego, non fare il difficile.”
Ero io il difficile? Seriamente!? Ma che cazzo? Voleva infilarmi un pezzo di metallo nella pelle e nelle vene, per poi estrarmi Dio solo sa quanto sangue. No! Non doveva succedere. No.
Markman sospirò. “Non puoi negoziare. Possiamo farlo ora o più tardi, ma dobbiamo farlo oggi.”
“La prossima settimana?” Ah, se tutto fosse andato secondo i piani, non sarei nemmeno stato lì la settimana successiva.
“No,” disse lei con fermezza; il mio cuore affondò.
Cercai di arrampicarmi sugli specchi. “Domani!” insistetti.
No.
“Che cazzo di cretinata,” mormorai con rabbia, sbuffando.
“Sta attento a quello che dici,” schioccò lei.
Alzai lo sguardo, sorpreso. Non aveva mai alzato la voce con me, soprattutto non per le mie imprecazioni. Stava succedendo qualcosa. “Qual'è il suo problema?” chiesi.
Non ne rimase colpita. Bhè, non era mai colpita da me. Era sempre delusa o scontenta del mio comportamento. Non facevo mai niente di buono, e quando lo facevo si limitava a sorprendersi o a scrutinarmi intensamente. Era abbastanza irritante.
Markman non rispose alla mia domanda. Tornammo di nuovo in silenzio. Era successo un sacco di volte ultimamente. Era come se non sapesse pensare a cosa rispondermi. Comunque non era il nostro consueto silenzio; quel vecchio silenzio sfumato di fastidio e aspettazione che avevamo l'uno per l'altro. Questo nuovo silenzio era diverso; come se lei si sentisse colpevole. Si sentiva colpevole perchè sapeva che ero nei guai e sapeva che non c'era niente che potesse fare. Non ne avevamo mai parlato. Nessuno dei due aveva mai menzionato quel fottuto interrogatorio che avevo fatto la settimana passata, o cosa avevo detto. Non avevamo nemmeno parlato di quello che avevo fatto.
Sospirai un po' troppo esageratamente e strinsi più forte le braccia al petto. Markman era una donna astuta. Non mi sarei sorpreso se avesse potuto produrre un ago dal nulla e infilzarmi mentre ero distratto. Sapevo che avrebbe voluto. Sapevo certe cose.
Per rompere il fastidioso silenzio decisi di risollevare il problema del nuovo cuoco e della qualità del cibo che cucinava. Alzai lo sguardo. “Il nuovo cuoco sta cercando di avvelenarci,” dissi.
Markman non ne rimase colpita, di nuovo. Non ho forse detto che non rimaneva mai colpita da me?
“No,” disse bruscamente, senza nemmeno distogliere gli occhi dalla sua agenda.
“Um, sì, invece sì!” insistetti. “Ha provato la zuppa di pollo? E' fottutamente disgustosa. Mi sorprendo che non sia ancora morto nessuno.”
Lei cercò di nascondere un sorriso. Non ci riuscì. Lo vidi. “Cosa vuoi che faccia per questo, Gerard?”
“Riassuma la vecchia cuoca.”
“Non posso.”
“Perchè no?”
“Perchè è così.”
Roteai gli occhi. Mi piaceva la zuppa di pollo. No, mi correggo. Amavo la zuppa di pollo. La vecchia cuoca faceva la migliore zuppa di pollo che avessi mai assaggiato. Ma poi se n'era andata, ed era arrivato questo fottuto coglione di cuoco e ci mancava poco che avvelenasse tutto l'istituto psichiatrico.
“Glielo dico, sa di rifiuti tossici.”
“No, non è vero. Non fare la persona melodrammatica.” Markman abbandonò l'agenda per continuare la conversazione.
Un terribile pensiero mi attraversò la mente. E se lui stesse cercando di ucciderci? Veramente? Se stesse cercando di uccidere me? Porca puttana. E se loro lo avessero mandato come infiltrato nell'istituto per avvelenarmi in modo che potessero entrare e prendermi? Tutto ciò sarebbe derivato da una ciotola di cibo avvelenata, che mi avrebbe fatto svenire, in modo che loro potessero arrivare a rubarmi i segreti. Fanculo.
Cominciai improvvisamente a spaventarmi. Fortunatamente non avevo ancora mangiato quella mattina. Altra cosa buona: avrebbe potuto mettere veleno per topi nelle mie uova strapazzate, per quello che ne sapevo.
“Gerard, a cosa stai pensando?” Markman ritornò alla sua frase da strizzacervelli preferita.
Mi domandavo se dovessi dirglielo. Forse mi avrebbe aiutato a farlo. O forse mi avrebbe chiamato pazzo e avrebbe cercato di convincermi ad agire diversamente.
“Non posso aiutarti se non me lo dici.”
Respirai bruscamente. Avrei dovuto dirglielo. Avrei dovuto chiederglielo. Se qualcuno sapeva come stavano andando le cose in quel posto, era proprio Markman.
“C'è qualche possibilità che il nuovo cuoco sia cattivo?” Merda, non era uscito nel modo giusto. Cattivo era la parola sbagliata.
“Cosa?” Pensai che fosse del tutto confusa.
Mi sforzai di trovare le parole giuste. Riesaminai il mio vocabolario, ma non ne venne fuori niente. Sospirai e provai a spiegarlo a parole mie. “Voglio dire... il cuoco, non c'è possibilità che stia cercando di avvelenarmi, non è vero?”
Dopo tutto quel tempo ancora non capivo perchè Markman rimanesse scioccata dalle cose che dicevo. La mia ultima accusa sembrava averla resa senza parole. Certamente non era molto professionale, questo era certo.
“Come mai te ne esci con queste affermazioni?” chiese lei, dopo essersi ricomposta. Si sfregò gli occhi con stanchezza e mi guardò esasperata.
Mi sentii incredibilmente imbarazzato. Doveva suonare davvero assurdo; anche se non impossibile. Alzai le spalle e guardai altrove. Non volevo più parlarne. Markman non me la fece passare. Mi mise sotto pressione per avere più dettagli.
“Perchè pensi che qualcuno dovrebbe farti del male, Gerard?”
Fissai il pavimento, con gli occhi vaganti sopra gli orribili motivi del tappeto. Se mai avessi dovuto avere un tappeto a casa mia, sarebbe stato senza motivi e di un solo colore, come il blu. Niente a che fare con la merda policromatica che c'era attorno. In realtà, forse avrei preferito le piastrelle.
“Gerard,” Cazzo, era persistente quel giorno. Era l'ultima volta che le dicevo qualcosa. Avrebbe potuto pensare che avessi ucciso il presidente o qualcosa del genere.
Sbuffai e presi un momento per stirarmi le braccia. Si erano un po' intorpidite per tutto il tempo che le avevo tenute piegate sul petto.
“Perchè pensi che il cuoco stia cercando di farti del male?” mi ripropose di nuovo la domanda ed ero sicuro che fosse stato in caso che l'avessi dimenticata. Me l'aveva già detta una volta quella fotttuta domanda; non dimenticavo le cose così velocemente.
“Era solo un pensiero,” mormorai.
Markman mi ispezionò da vicino. “Pensi che forse potrebbe avere qualcosa a che fare con loro?” disse timidamente. Non aveva mai parlato di loro. Era come se pensasse che avrei dato di matto, sentendoli menzionare. Aveva ragione, fottuta psichiatra. Strinsi gli occhi verso di lei. Tossisci se puoi sentirmi.
Non tossì. Non fece nulla. Riconsiderai la situazione. Forse lo stava tenendo per se'. Se poteva leggere la mia mente, non me l'avrebbe detto esplicitamente. Dovevo trovare un altro modo per metterla in trappola.
“Per favore, non ignorarmi,” disse lei, mentre apriva il mio file e cominciava a scrivere.
Aggrottai di nuovo la fronte. L'avevo guarda male una marea di volte quel giorno. Non era colpa mia se me n'ero uscito con un pensiero casuale che avevo in testa. Era solo la maniera in cui funzionava il mio cervello. Era un cervello degno di nota, quindi non avevo messo in dubbio il pensiero che mi era passato per la mente. Doveva avere qualche significato o importanza.
“Non lo so. Forse,” dissi sfuggente. Non volevo parlare di loro in quel momento. Loro mi spaventavano a morte, quindi cercavo di pensarci il meno possibile. Comunque non ero del tutto convinto che fossero stati loro a infiltrarsi nella situazione. Erano estremamente intelligenti. Non si sarebbero preoccupati di avvelenarmi. Avrebbero preferito usare i loro mezzi con forza brutale, per intromettersi nel mio cervello. In effetti, ero sicuro che avrebbero preferito che fossi cosciente, in modo da potermi sentire mentre mi aprivano la testa.
Un brivido freddo mi percorse la schiena al solo pensiero. Era per questo che cercavo di non pensare mai a loro.
“No,” mi corressi. “Non penso che sia per loro. E' troppo semplice, troppo amatoriale.”
“Gerard, nessuno sta cercando di avvelenarti. Te lo giuro.”
Un'altra possibile spiegazione apparve nella mia testa. E se il cuoco fosse stato lì per vendicarsi di me? E se sapesse delle persone che avevo ucciso? Se mi volesse punire per quello che avevo fatto? Solo Dio sapeva quante persone erano morte a causa mia. Ero un assassino, ma non ero andato in prigione come avrei dovuto. Forse era stanco di aspettare che il sistema giudiziario americano mi punisse, quindi voleva prendersene lui la responsabilità. Aveva senso.
Stava cercando di uccidermi.
Mi coprii la bocca con la mano quando realizzai che avevo mangiato le lasagne la notte passata. Veramente, ora che ci pensavo, mi ero sentito un po' male di stomaco dopo cena. Il veleno avrebbe dovuto penetrarmi nel flusso sanguigno proprio in quel momento. Chi poteva sapere quanto altro veleno avevo assunto durante quel mese, dopo aver mangiato il suo cibo. Potevo essere arrivato al dosaggio letale. Oh dio. Mi domandai se fosse troppo tardi per vomitare.
Lei si alzò, allarmata. “Gerard, che succede?” chiese immediatamente.
Stavo andando fuori di testa, e doveva anche apparire così, perchè Markman era piuttosto preoccupata.
“E se mi stesse punendo?” dissi, terrificato.
Markman camminò attorno alla scrivania e si accovacciò accanto a me. “Chi ti sta punendo?”
“Il cuoco!”
“Perchè dovrebbe volerti punire?”
“Perchè li ho uccisi!” urlai, nascondendomi la testa fra le mani.
Dopo ciò aspettai disperatamente che lei mi dicesse che non li avevo uccisi. Aspettai che mi dicesse che non dovevo preoccuparmi di essere punito, perchè non avevo fatto nulla di male. Ma non lo fece. Ero colpevole.
Strinse la spalla per confortarmi. “Gerard, nessuno sta cercando di punirti. Nessuno sta cercando di avvelenarti. Stai diventando paranoico; è un sintomo della tua malattia, ricordi? Ci siamo già passati. Nessuno sta cercando di farti del male. Sei al sicuro. Te lo giuro.”
Non volevo più stare lì. Dovevo trovare Frank e dirglielo. Lui mi avrebbe creduto. Lui non mi avrebbe fatto sentire pazzo. Certamente non mi avrebbe detto che stavo diventando paranoico. “Posso andarmente, per favore?”
Markman si alzò. Mi annuì con rammarico e mi affrettai velocemente verso l'uscita.

Camminai con passo rapido verso la caffetteria. Presumetti che Frank fosse lì. Era molto presto, ma lui amava svegliarsi presto e fare colazione quando la mensa era ancora relativamente vuota. Normalmente andavamo a colazione insieme, ma quella mattina avevo avuto ridicolosamente presto il mio appuntamento con Markman, quindi ci era andato da solo.

Arrivai in caffetteria e scrutai attentamente i tavoli, cercando Frank. Stranamente, non era lì. Individuai Ray e Bob e decisi di chiedergli se sapessero dove fosse andato.
Avevano una pagina di giornale davanti a loro e stavano dibattendo animatamente riguardo qualcosa. Mentre mi avvicinavo, realizzai che un grosso pezzo di carta era stato strappato dalla pagina. Che strano. Ora che ero più vicino, potevo sentire quello su cui stavano discutendo.
Te l'avevo detto che non era morta,” disse compiaciuto Ray, indicando il foglio.
Bob era chiaramente infastidito. “Come facevo a saperlo? Ho fatto una ragionevole supposizione basata sui fatti a disposizione.”
Ray mi vide in piedi accanto al tavolo e ghignò. “Vedi, Gerard, te l'avevo detto che non potevano aver ucciso la moglie del Fantasma.”
Ma. Che. Cazzo? Alzai un sopracciglio. Ray spostò il pezzo di giornale e realizzai che si trattava di una pagina di un fumetto. Immediatamente riconobbi Calvin, Hobbes e Garfield. “Fantastico, Ray,” dissi senza entusiasmo.
Ray era rimasto ossessionato dalla pagina del Fantasma per quasi un mese, fino a quando Ben non aveva cominciato a dargli delle nuove pagine ogni domenica. Regolarmente mi aggiornava su che cosa stesse succedendo nella storia. Lo ascoltavo, ma solo perchè di solito non avevo niente di meglio da fare.
“Avete visto Frank?” chiesi, cambiando argomento.
Uno sguardo torvo si posò sul viso di Ray. “Sì,” disse amaramente. “Era qui, poi ha cominciato a dare di matto per qualcosa e ha strappato metà del giornale. Dopo se n'è andato. Ha strappato Spiderman! Ora non saprò mai cos'è successo a Ruby,” finì, con voce sorprendentemente angosciata.
“Dov'è andato?” chiesi. Sia Bob che Ray alzarono le spalle. “Grazie,” mormorai e me ne andai in direzione della stanza di Frank. Non mi piaceva quello che mi aveva detto Ray. 'Dare di matto per qualcosa' non era per niente una cosa buona. Sperai che lui stesse bene. Forse aveva visto i numeri della lotteria o qualcosa del genere e aveva vinto un milione di dollari. Non ne avevo idea.
Bussai timidamente tre volte alla sua porta e aspettai. Nessun suono uscì dalla sua stanza, quindi aprii la porta. Mi guardai attentamente attorno, ma era vuota. Che strano. Non riuscivo a pensare a un altro posto dove potesse essere. Chiusi la porta e restai nel corridoio per un momento, pensando intensamente. Diedi un'occhiata all' entrata del bagno e notai che non era completamente chiusa.
Cazzo.
Con calma aprii la porta ed entrai dentro. Mentre camminavo attraverso lo spogliatoio, sentii lo scorciare di una sola doccia. Questo mi confuse, perchè da parecchi mesi ormai che Frank non sentiva il bisogno di fare la doccia al mattino. Quando girai l'angolo, il mio cuore affondò. Era così danneggiato. Forse non c'era modo per guarirlo.
Era rannicchiato con le ginocchia al petto, e le braccia strette attorno ai polpacci. La sua testa era appoggiata sulle gambe ed era seduto sotto il violento getto della doccia. Era completamente vestito e bagnato dalla testa ai piedi. Spaventato, corsi verso di lui e quasi scivolai sulle numerose pozzanghere che si erano formate sulle piastrelle. Arrivai ai rubinetti della doccia e li chiusi. I miei jeans si erano bagnati quando il getto si era interrotto, prima di spegnersi del tutto; l'acqua era fottutamente gelida. Perchè cazzo Frank avrebbe dovuto stare sotto l'acqua ghiacciata?
Alzò la testa e capii che stava piangendo.
Oh dio.
“Su,” mormorai, cercando di metterlo in piedi. La stanza era stranamente silenziosa senza lo zampillare della doccia. Ora l'unico suono che riuscivo a sentire era quello dei singhiozzi di Frank e il gorgogliare della fognatura mentre l'acqua ci scivolava dentro. Frank lasciò che lo accompagnassi agli spogliatoi. Avevo un braccio attorno alla sua vita e il suo braccio era attorno al mio collo. Lo feci sedere su una delle panche e presi un asciugamano dalla pila che c'era accanto al muro. Avevo appena finito di avvolgerglielo sulle sue spalle, quando la porta si aprì ed entrò Ben.
“Gerard, cosa stai-,” cominciò. “Sta bene?” corse verso di lui e lo esaminò, incredibilmente preoccupato.
“L'ho appena trovato,” dissi con calma, dando un'occhiata a Frank. Lui stava fissando la porta, il suo corpo tremava violentemente per il freddo.
“Chiamo la dottoressa,” mi disse Ben, e se ne andò.
Mi risiedetti accanto a Frank e delicatamente alzai il suo viso, perchè mi guardasse. Mentre mi guardava, una goccia d'acqua cadde dalla frangia, per poi corrergli lungo la fronte e poi sulle ciglia. Mi avvicinai e con affetto gli tirai indietro i capelli.
“Dimmi,” sussurrai.
I suoi occhi si spostarono oltre le mie spalle mentre Ben tornava rapidamente seguito da Markman e Zach. Markman gli diede uno sguardo e ordinò, “Qualcuno gli porti dei vestiti asciutti, per favore.”
Si avvicinò a lui. “Frank, devi cambiarti i vestiti,” disse, in modo molto dolce e disponibile. Non pensavo di averla mai vista così... gentile. “Qualcuno ti può aiutare, se vuoi?”
Frank guardò proprio me appena lei finì la domanda. Anche Markman mi fissò, ma non fece nessun commento.
“Dai,” dissi e lui si alzò in piedi. Presi i vestiti asciutti e un nuovo asciugamano da Zach e portai Frank nello spogliatoio più vicino. Chiusi la porta, ma non c'erano serrature. Mi avvicinai per tirare giù l'orlo della sua maglietta. Con obbedienza lui alzò le braccia, mentre gli toglievo la maglietta bagnata dalla testa. La lanciai sul pavimento, facendola atterrare con un tonfo. Gli porsi l'asciugamano pulito e glielo avvolsi attorno alle spalle scoperte. Mi accucciai e cominciai a slacciargli le scarpe. Gliele levai e poi tolsi anche i calzini. Li spostai di lato.
“Mi dispiace, Gerard,” mormorò Frank.
Mi fermai e scossi la testa. “Non devi dispiacerti. Non hai nulla per cui dispiacerti.”
Sospirò soltanto. Mi alzai in piedi e spostai lo sguardo sui suoi jeans. Esitai nel raggiungerli. “Posso?” chiesi.
Lui annuì senza esitazione. Slacciai il bottone dei pantaloni e abbassai la zip. Il mio cuore battè sorprendentemente forte quando lo feci. Tutta la situazione era assolutamente qualcosa di non sessuale, ma mi sentivo ancora nervoso. Avevo già visto una volta Frank nudo, ma non così da vicino. Lui non sembrò assolutamente turbato mentre gli tiravo giù i jeans e i boxer, lasciandolo nudo. Mi forzai di non guardare. Non ne aveva bisogno in quel momento.
I pantaloni erano così bagnati e fradici che era praticamente impossibile tirarli giù dalle ginocchia e dai piedi. Alla fine, comunque, finirono sul pavimento insieme alla maglietta. Appena i suoi piedi furono liberi, si mise l'asciugamano attorno alla vita. Presi i vestiti asciutti dal pavimento e glieli porsi uno alla volta, e lui cominciò goffamente a rivestirsi. Il suo corpo era ancora umido, quindi gli fu davvero difficile mettersi i jeans asciutti. Ci volle lo sforzo di entrambi per farli scivolare sulle sue gambette magre, per poi chiuderli attorno ai fianchi.
Feci un passo indietro dopo che ebbe fatto e realizzai che stava ancora un po' tremando. Mi tolsi la giacca e gliela porsi in modo che se la mettesse. Era un po' grande, ma ci stava benissimo. Frank si avvicinò e mi abbracciò per un breve momento, prima di aprire la porta e uscire. Markman stava ancora aspettando. Gli disse qualcosa e lui annuì. Lei gli mise una mano sulla schiena e lo guidò fuori. Proprio mentre se ne stava andando, mi diede un' occhiata fugace che mi lasciò senza respiro.

Ancora non sapevo cosa avesse sconvolto Frank. Era frustante dover aspettare fino a quando non avesse finito con Markman. Per una volta desiderai che gli amici valessero di più degli psichiatri altamente qualificati.
Mi incamminai fuori dalle docce verso la sua stanza. Sapevo che non gli sarebbe importato se mi fossi steso per un po' sul suo letto. Lo avrei aspettato lì. Poi gli avrei chiesto cos'era successo.

Mi sdraiai sul suo letto sfatto e chiusi gli occhi. Ero davvero stanco; mi ero alzato prestissimo per quella sessione di terapia con Markman. Mi appisolai quasi subito, pensando a come poter aiutare Frank.

Frank gattonò dentro al letto, svegliandomi dal sonnellino. Con mia sorpresa, si stese accanto a me e si rannicchiò contro il mio corpo, mettendo la testa sulla mia spalla. Istintivamente gli avvolsi un braccio attorno e lo avvicinai. Non parò, sembrava davvero triste.
Mi faceva male vederlo così. Ogni volta che soffriva sentivo il dolore allo stomaco incrementarsi sempre di più. Volevo solo che stesse meglio. “Cos'è successo?” chiesi.
Non rispose. Lo guardai e vidi che aveva gli occhi chiusi. Non glielo richiesi. Non ne avevo il coraggio. Mentre aspettavo che che mi dicesse qualcosa, cominciai a pensare al piano di fuga. In quel preciso momento era abbastanza irrealizzabile. Sarebbe stata più dura di quanto pensassi uscire da quel posto senza essere visti. Ovviamente ci 'saremmo preoccupati' di tutti coloro che erano di sorveglianza, ma mi sentivo male al pensiero di fare male a qualcuno, anche se era qualcuno di fastidioso come Ben o Zach.
“A cosa stai pensando?” disse Frank, tracciando distrattamente col dito un disegno sul mio petto.
Abbassai lo sguardo verso di lui. “A te.”
Sorrise timidamente. “Bugiardo.”
Gli restituii il sorriso e scossi la testa. Pensavo che non ci fosse minuto che non pensassi a lui. “Mi stai spaventando,” confessai e lui guardò altrove, con un po' di vergogna. “Ti prego, dimmi cos'è successo.”
Frank si sedette e si allungò per prendere qualcosa da sotto il materasso. Mi porse un pezzo di giornale e poi si rannicchiò come una piccola palla, con la testa nascosta sulla pancia. Incerto, diedi un' occhiata al giornale. Lo aprii e quasi sorrisi quando vidi il fumetto di Spiderman di Ray sull'altra pagina. Ritornai dall'altra parte, e lessi il titolo di testa. La paura che mi sommerse fu quasi insopportabile. Mi stavo sentendo male.

 

Ragazzo di tredici anni picchiato e stuprato.

“Frank...” dissi terrificato. “Cos'è questo?”
“Guarda la foto,” urlò, con la voce satura di paura e dolore. Una sola lacrime gli cadde sulla guancia.
Saltai il testo e fissai le due mani disegnate dai bozzettisti della polizia, alla fine dell'articolo. Non le riconobbi, ma Frank ovviamente sapeva. “Frank, sono loro?” sapevo già la risposta.
Scoppiò in lacrime. “Sì,” singhiozzò. “Sono loro. Oh, Dio, Gerard.”
Mi sedetti frettolosamente e mi avvicinai a lui. Cadde fra le mie braccia e io le strinsi attorno a lui per farlo sentire al sicuro. Pensavo di sapere cosa volesse dirmi. L'articolo diceva che il ragazzo era stato assalito nella parte sud di Princeton. Bluestone si trovava nella parte nord.
Gli stupratori di Frank erano qui, a Princeton, e lui ne era terrorizzato. La sua paura era così tangibile che stava contagiando anche me.
Le sue lacrime spesse cadevano velocemente. “Loro hanno detto -lui ha detto- oh Dio, Gerard, non posso. No. Ti prego. No. Non posso. Non di nuovo.” le sue parole erano biascicate, messe alla rinfusa. Pensai che avesse capito che riuscivo a malapena a capirlo, perchè fece un paio di respiri profondi e provò di nuovo. “Ha detto – oh Dio, aveva ragione. Gerard, stanno venendo per me.”
“Cosa?” era l'ultima cosa che mi aspettavo che dicesse.
Frank singhiozzò ancora. “Ha detto, 'ci vediamo la prossima volta'. Non posso di nuovo, Gerard. Ti prego non lasciare che lo facciano. Non di nuovo. Oh, Dio, fa così male. No. No. No. Ti prego. No. Oh aiutami, ti prego. Gerard.”
Lo abbraccia stretto, aggrappandomi con disperazione al lato della sua maglietta. Avevo perso le parole ancora prima di dirle. Non sapevo cosa fare. Chiusi gli occhi e mi concentrai a tenere sempre più stretto Frank. Potevo sentire le sue unghie scavare nella mia schiena, ma il dolore era quasi superficiale se comparato a quello che stava scendendo dagli occhi di Frank. Tutto il suo corpo tremava, mentre singhiozzava contro il mio petto.
“Non lascerò,” dissi. “Non lascerò che ti facciano del male. Mai.”
Mi domandai se lui avesse ragione. Sapevano veramente dove fosse o era solo una coincidenza?
“Mi senti?” dissi, cercando di sovrastare i suoi singhiozzi. Si acquietò per un momento. “Sei al sicuro. Nessuno ti toccheranno mai più. Capisci? Non lascerò che ti prendano. Sono qui per proteggerti. Non ti faranno del male. Nessuno ti farà mai del male di nuovo. Mi senti?!” urlai, dando uno scossone a Frank. Le mie emozioni stavano prendendo il meglio di me.
Con la testa ancora contro il mio petto, Frank annuì una, due volte. Sospirai e feci scivolare una mano sulla sua schiena. Raggiunsi la sua testa e feci correre le dita fra i suoi capelli. “Non lascerò che ti facciano del male,” dissi lentamente, chiudendo gli occhi, sentendolo piangere silenziosamente.

 

***


Gli occhi di Frank erano ancora rossi e la sua faccia ancora macchiata quando ci sedemmo al nostro tavolo in caffetteria. Lui fissò il suo sandwich come se fosse pieno di vermi. Guardai il mio. Non l'avrei mangiato. Avevo una fame da lupi, ma non avrei messo niente in bocca. Non ero ancora convinto dell'innocenza del cuoco. Per quello che sapevo poteva aver riempito il pane di arsenico.
“Neanche tu hai fame?” Chiese Frank quando notò che avevo spostato di lato il cibo.
Alzai le spalle. Mi domandavo se dovessi dirgli dei miei sospetti. Ero abbastanza sicuro che avrebbe riso, dicendomi di smetterla di fare lo sciocco e di mangiare quel dannato sandwich. Non volevo che lo facesse; avrebbe ferito i miei sentimenti. Ma non volevo neanche mentirgli.
“Che succede?”
Colto in flagrante.
“Gerard, che succede?” Frank non si arrese.
Guardai verso il bancone, per essere sicuro che il cuoco non mi stesse ascoltando. Sapete, giusto nel caso in cui fosse davvero cattivo. Mi avvicinai e lui fece lo stesso, in modo che le nostre teste quasi si toccassero. “Ho paura che il nuovo cuoco stia cercando di avvelenarmi,” sussurrai e e guardai con preoccupazione l'incriminato pezzo di cibo.
Frank non commentò. Sbattè gli occhi un po' di volte, la sua espressione era indescrivibile. Mentre lo guardavo, il suo sguardo si abbassò sul mio sandwich messo da parte. Prima che potessi reagire, lui lo raggiunse e diede un grande morso nel mezzo.
Ansimai e trattenni il respiro. Mi aspettavo seriamente che potesse cadere a terra, morto. Ma non lo fece; masticò il pane e il burro di arachidi pensosamente, prima di ingoiarlo.
“No, è buono,” annunciò, posizionando di nuovo il panino mezzo mangiucchiato sul mio vassoio. Non sembrava più così appetitoso.
Guardai Frank attentamente, nel caso svenisse o impallidisse, ma non successe nulla. Sembrava stesse bene. Dannazione. Mi ero sbagliato... di nuovo. Non mi ero mai sbagliato prima. Comunque, il risultato era stato inconcludente. Il cuoco avrebbe potuto non avvelenare quel particolare pasto; non ero ancora convinto.
Frank sospirò. “Gerard, nessuno sta cercando di avvelenarti.”
“Sembri Markman,” brontolai.
“Markman ha ragione,” mi rispose. Lo disse senza nessun cenno di sarcasmo o sorpresa.
Misi il broncio e abbassai gli occhi sul vassoio. Frank fece un verso di disapprovazione. “Bhè, non dovrai preoccupartene ancora a lungo, giusto?”
“Huh?” onestamente non sapevo a cosa si stesse riferendo.
Mi guardò divertito. Si spiegò meglio. “Stiamo ancora per scappare, vero?”
Questo mi sorprese. Credevo che tutta quella cosa su 'gli stupratori sono in città e mi stanno cercando' significasse che non voleva lasciare la sicurezza che gli forniva l'istituto.
“Vero?” sembrava un po' agitato.
Lo guardai accigliato. “Vuoi andartene? Pensavo che...”
La sua faccia divenne improvvisamente pallida. “Non possiamo restare qui,” disse, enfatizzando con forza le parole. “Stanno arrivando a prenderti. Ti porteranno via da me. Hai promesso di proteggermi. Come potresti farlo se fossi in prigione, Gerard?” la voce di Frank era piena di paura.
Annuii con fervore. “Non lascerò che ti facciano del male. Troverò un modo. Te lo prometto.”
Frank si abbracciò forte lo stomaco. Non avevo idea di come far uscire entrambi dall'istituto senza essere visti. Un paio di notti prima ero uscito dalla mia camera e avevo provato ad aprire la porta di vetro, ma il codice era cambiato da quando ero riuscito a decifrarlo molti mesi prima. A meno che non lo decifrassi in 24 ore, avrei dovuto trovare un altro modo. Non consideravo nemmeno l'entrata per i visitatori. L'unico modo per entrare o uscire da quella porta era sgattaiolare oltre i membri del personale alla reception. Anche la porta di servizio era inaccessibile. Poteva essere aperta solo se una persona aveva una carta d'identità e sapeva il codice giusto. Considerando che non avevo ne' il codice, ne' la carta d'identità, ero fregato.
Pensavo che Bluestone avrebbe dovuto essere un istituto di minima sicurezza. Finora, era dannatamente impossibile uscirne.
Anche se, in qualche modo, io e Frank fossimo riusciti a scappare dall'edificio, c'era ancora il grande problema della recinzione, e la possibilità che ci fossero delle guardie. Pensai fosse assurdo che un piccolo istituto mentale di minima sicurezza potesse avere delle guardie. Era come se volessero prevenire il fatto di uscire o di entrare.
Ero così immerso nel mio inutile progetto del piano che non notai il il pezzo di carta che era svolazzato nel mio vassoio. Frank lo notò e lo prese. Alzò un sopracciglio e lo aprì. Si guardò attorno e vide Bob e Ray che correvano via. Ci scambiammo uno sguardo. Era uno sguardo che diceva chiaramente: 'oh santo cielo, e adesso?'
Lui schiarì la gola e lesse il messaggio. “Incontriamoci da Percy alle 15.30 precise. Assicuratevi di non essere seguiti. X.”
“X?” ripetei sghignazzando.
Frank ghignò, finalmente un' espressione gradita dopo tutta quella mattinata. Guardò l'orologio. “12.50.” mi disse.
Non avevo tempo per questo. Avevo altre cose più importanti da fare quel giorno. Anche continuando a ripetermelo, mi ritrovai a camminare dietro Frank alle 15.30. Bob e Ray ci stavano aspettando accanto al ceppo dell'albero conosciuto come Percey. Io e Frank ci scambiammo uno sguardo afflitto e ci avvicinammo.
“Siete seguiti?” domandò Ray.
Entrambi ci girammo per guardarci dietro le spalle. Non c'era nessuno dietro di noi, nemmeno nel raggio di venti metri. Ray annuì soddisfatto, e ci disse di sederci. Esitammo, ma il suo sguardo feroce ci forzò a metterci in ginocchio in meno di tre secondi.
“Spero ti sia piaciuto il giornale,” commentò Ray, guardando scaltramente Frank.
Lui diventò tutto rosso. “Mi dispiace,” mormorò. Sapeva quanto Ray fosse ossessionato dai suoi fumetti.
“Lo rivoglio,” disse l'altro in modo brusco.
Frank si girò verso di me e fece un grande respiro. “Non ce l'ho, Ray,” disse dispiaciuto.

Ray alzò le braccia irritato. “Bhè, ora non saprò mai cosa è successo a Ruby!”
“E' per questo che ci volevi qui?” dissi io con rabbia. Avevo altre cose migliori da fare. Non avevamo bisogno di un interrogatorio su dove fosse quel fottuto fumetto. Non capivo perchè Ray amasse così tanto Spiderman.
Bob scosse le mani. “No, non è per questo,” disse, cercando di calmare Ray con uno sguardo. “Abbiamo qualcosa che dobbiamo condividere con voi.”
Ray diede un'occhiataccia all'amico. “Ma dovevo saperlo!”
Feci un sonoro rumore di rabbia con la gola. “Scivola dal terrazzo e cade dal ventesimo piano, ma Spiderman riesce a salvarla poco prima che stia per spiaccicarsi al suolo.” Come cazzo facevo a saperlo?
Ray spalancò gli occhi. Sogghignò trionfante. “Sapevo che non l'avrebbe lasciata morire!”
Bob mi sorrise e diede un colpetto sul ginocchio di Ray. “Possiamo dirglielo ora?” gli chiese.
Ero solo per metà interessato a quel discorso. Non sapevo se ci fosse qualcos'altro che avrebbero potuto dirmi che avrebbe potuto cambiare tutto.
“Vogliamo aiutarvi a scappare.”
Aprii la bocca, sbalordito. Come cazzo facevano a saperlo? Era una cosa negativa. Più persone sapevano quello che stavamo progettando di fare, più persone avrebbero potuto coglierci sul fatto. Guardai Frank. Era terrorizzato tanto quanto me. Ci girammo entrambi verso gli altri due. Ero vicino al dare un ceffone a Ray. Ero convinto che mi avesse spiato, o almeno che avesse sentito le mie conversazioni.
“Non stiamo per scappare,” mentii. Dovevo convincerli in qualche modo.
Bob e Ray risero. “Va bene!” disse Bob. “Non lo diremo a nessuno. Vogliamo aiutarvi.”
Oh, grandioso.
Frank mi lanciò uno sguardo preoccupato. Sapeva che poteva solo che finire male. Poteva non conoscere Ray quanto me, ma lo conosceva abbastanza per sapere che era incredibilmente instabile. Cominciai a pensare a come corrompere Ray e Bob per fargli dimenticare quella conversazione. Senza accorgermene presi un filo d'erba e cominciai ad arrotolarlo fra le dita.
“Gerard,” disse Bob con fermezza.
Alzai lo sguardo. “Che c'è?”
“Non farlo.” indicò il filo d'erba che avevo in mano.
Oh, giusto. Rimisi il filo d'erba per terra e roteai gli occhi.
Ray si schiarì la gola. “Posso dirvi cos'è successo?” non aspettò la mia risposta e proseguì.
“Bhè, è stato poco tempo fa, Gerard, te lo ricordi?”
Ne dubitavo.
“Te lo ricordi?! Ti ho chiesto se stavate progettando di scappare?”
Porca puttana, aveva ragione. Cazzo.
“Ma tu hai detto di no?”
Bhè, non ci pensavo, a quel tempo.
“Comunque, è venuto fuori che i miei cereali avevano ragione, si erano solo sbagliati riguardo il quando. Gerard, i miei cereali hanno predetto che sarebbe successo questo!”
“Dovrei applaudirti o qualcosa del genere?” dissi sarcasticamente.
Lui mi ignorò. “Ero così deluso al tempo che decisi di smetterla di mangiare cereali. Ero così stufo che avessero torto. Ma è questa la cosa! Non avevano torno! Appena l'ho realizzato ho capito che dovevo mangiarli di nuovo. E loro mi hanno detto esattamente come sareste scappati.”
Non riuscivo a credere che stavamo parlando delle predizioni dei cereali.
“Come?” chiese Frank.
“L'allarme antincendio,” disse Ray, con l'aria di chi la sapeva lunga.
Mi sentivo così incredibilmente stupido. Era come se avessi tradito il mio cervello. Ma certo! Il punto di evacuazione dell' istituto era il parcheggio del personale. Una volta fuori, tutto quello che avremmo dovuto fare sarebbe stato staccarsi dal gruppo e correre via. Era davvero semplice e mi sentii irritato per non averci pensato prima.
La speranza sul volto di Frank era qualcosa di meraviglioso. Mi fece venire voglia di baciarlo. Si girò verso di me. “Funzionerà?” chiese, con gli occhi luminosi come stelle.
“E' brillante,” si intromise Ray, guardando fra me e lui.
Lo ignorai e mi rivolsi a Frank. “Funzionerà,” dissi onestamente. Stavo silenziosamente invidiando il fatto che Ray avesse battuto il mio cervello. “Ma-”
“Ma cosa!?” ci interruppe di nuovo. “Gerard, funzionerà. L'unica cosa è... che dovrete andarvene stanotte.”
Alla mia destra, Frank annuì.


 

***


 

Il mio cuore pulsava ansioso a 110 battiti al minuto mentre stavo sdraiato nella cupa oscurità della mia stanza. Era troppo veloce per i miei gusti. Dopo che Ray aveva annunciato che se volevamo andarcene, dovevamo andarcene quella sera, tutto sembrava aver cominciato a muoversi a velocità doppia. Non dico che non volevo andarmene, ma sono che non volevo essere scoperto perchè il piano faceva schifo o non era stato pensato adeguatamente. Avevo seri dubbi. Le probabilità di successo erano così poche che nemmeno esistevano. Cazzo.
Piegai il braccio sinistro e trasalii. Nonostante le mie proteste, subito dopo l'incontro con Ray e Bob ero stato portato a fare l'esame del sangue. Sì, ero stato un po' aiutato dal fatto che Frank fosse lì, ma tremavo ancora così tanto che l'infermiera aveva mancato la vena e aveva dovuto fare il prelievo due volte. Giuro, tutto il personale della clinica era formato da incompetenti.
L'istituto era così silenzioso di notte, che mi ero preoccupato inutilmente di non sentire il segnale. Mi alzai in piedi quando sentii la voce di Ray risuonare nel corridoio. Strinsi con forza la maglietta fra le mie mani e strisciai verso la porta. Sentii dei passi e due degli inservienti in servizio corsero velocemente verso la stanza di Ray. Feci un respiro profondo e aprii la porta. Guardai attentamente fuori. Dopo aver visto che era deserto, uscii e la richiusi senza far rumore. Potevo ancora sentire Ray che continuava e sapevo che non avevo tempo da perdere. Lui poteva far sorgere un dramma dal nulla, e quella notte lo stava certamente facendo.
Attraversai frettolosamente il corridoio, lontano dalla stanza di Ray, e verso la caffetteria. Doveva esserci la luna piena, perchè la mensa era illuminata quando la attraversai. Da lì mi diressi verso il corridoio che portava all'allarme antincendio. Mi era familiare quel corridoio; lì vicino c'era l'ufficio di Markman.
Di solito non ci era permesso stare lì, a meno che non dovessimo vedere qualcuno. Riconobbi la piccola scatola di vetro a metà del corridoio, vicino alla porta che diceva 'Dr. Jared Leto'. Mi misi di fronte all'allarme e cominciai ad arrotolare la maglietta attorno al mio pugno. Le istruzioni dicevano, 'Rompere il vetro in caso di incendio'. Era esattamente come avevo programmato.
Proprio mentre stavo per infrangere il vetro, sentii un rumore dalla fine del corridoio. Esitando, guardai nella direzione da cui proveniva. Markman era sorpresa nel vedere me, quanto io nel vederla. Si bloccò a metà strada, mentre stava chiudendo a chiave il suo ufficio. Abbandonò la porta e cominciò a camminare verso di me.
“Gerard,” disse lentamente. “Cosa stai facendo?”
Alzai di nuovo il pugno. Non avrei lasciato che mi fermasse.
Nel momento in cui capì cosa stavo per fare, si fermò a qualche metro da me. “Gerard, non farlo.” disse, in un modo assurdamente calmo; Stavo sudando tantissimo e il cuore mi batteva forte. Fece un passo avanti, ma io tirai in avanti il pugno minacciosamente.
“Sai bene che qui ci sono molte persone che reagiranno molto male alla situazione che stai per creare.”
Era quello che volevo. Volevo il caos. Senza il caos ci avrebbero segnalati come persi quasi immediatamente. Avevamo bisogno di una copertura.
“Gerard, dimmi cosa stai pensando?” chiese Markman, facendo un altro passo avanti. “Perchè vuoi farlo?”
“La smetta!” sibilai, guardando nervosamente prima Markman, poi l'allarme.
Lei mi guardò intensamente. Porco diavolo, non stavo per uccidere nessuno.
“Gerard, perchè vuoi farlo? Per avere attenzione?”
“La smetta!” ripetei. Non avevo bisogno delle sue abilità da strizzacervelli in quel momento. Il tempo stava scorrendo. Dovevo far suonare l'allarme, o sarebbe finita.
“Gerard, non ne trarrai alcun beneficio. In effetti, ti ho già avvisato sul fatto di non metterti più nei guai. Oppure...”
Cominciai ad aprire e chiudere con ansia il pugno coperto dalla maglietta. C'ero quasi. “Non capisce?” ringhiai. “Pensa davvero che possa stare qui ad aspettare che vengano a prendermi per portarmi via? Non posso aspettare qui. So di aver fatto una cosa cattiva e mi dispiace, ma non posso lasciarlo. Lui ha bisogno di me. Ho detto che l'avrei guarito, ma ho bisogno di più tempo. Non posso lasciare che mi portino via da lui.”
Dire che Markman fosse sorpresa sarebbe stato riduttivo in quel momento. “Lo stai facendo per Frank,” precisò, silenziosamente.
“Io lo amo,” sussurrai in modo squallido. Era la prima volta che lo ammettevo a qualcuno. Era la prima volta che dicevo quelle tre parole a voce altra. Ugh, che patetico.
Con la frase ancora sulla lingua, mi girai e diedi un pungo al vetro, più forte che potei. Il vetro si infranse rumorosamente e cadde sul pavimento, attorno ai miei piedi. Avvolsi le dita tremanti attorno alla leva rossa e la tirai giù.





 

Note del traduttore: Allora, siamo arrivati al capitolo 15! Ne mancano ancora 6 (se consideriamo che il capitolo 16 è diviso in due parti), quindi penso di riuscire a finire la traduzione entro la fine di Aprile (scuola permettendo).
Volevo inoltre cogliere l'occasione per ringraziare particolarmente Agua, che è stata la mia beta per questo capitolo.

  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance / Vai alla pagina dell'autore: shoved2agree