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Autore: Sasha Drake    19/03/2012    0 recensioni
“... non lo sapevo ancora, ma quegli occhi sarebbero stati la mia rovina. Il fascino che da loro promanava potente, mi trafisse l’anima in profondità, costringendomi, anche se solo per un secondo, ad abbassare lo sguardo in segno di tacita adorazione ...”
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO I 
La partita

 

Io ci sono nato con quella cosa nel cielo e sinceramente mi era sempre stato bene.
Loro avevano il cielo, noi la terra. Loro si crogiolavano nel lusso, tra comodità e servitù, noi ci accontentavamo di ciò che avanzava.
La situazione avrebbe anche potuto restare questa, se non fosse stato per Julian Bellock, il mio miglior amico dall’età di cinque anni. Avevamo condiviso di tutto, dalle paure più idiote, ai terrori da far crollare una fede; dalle gioie spaccacuore, alle piccole scintille di felicità che ti allietano la singola giornata.
Vedete ... Questi “Celestri”, come si facevano chiamare, possedevano una superbia ed un’arroganza sconfinate. Contemplavano solo loro stessi.
Non avvertendo che i propri bisogni, ignorando completamente quelli dei poveri terrestri, decisero, in totale autonomia, di arrogarsi un diritto particolarissimo ... Reclutare i migliori tra i nostri, per trasportarli sulle loro diaboliche piattaforme. Non gli bastava l’onnipotenza dei beni materiali, no ... Volevano di più, volevano noi!
Niente da obbiettare fin tanto che avessero operato ad un palmo dal mio naso. Tuttavia, era solo questione di tempo, prima o poi, la loro strada maestra ed il mio vicolo buio si sarebbero incrociati mortalmente. Quello che ignoravo, però, era ben più inquietante. Ahimé ... L’odio radicato tra di noi, attirò l’attenzione indiscreta di entità sinistre, esseri che mai avrebbero dovuto interessarsi al nostro insignificante pianeta. Essi mutarono la concezione che avevamo dell’esistenza, guidandoci in un viaggio attraverso le nostre più ataviche paure.
Mi chiamo Joshua King e sono un terrestre. Vi racconterò di quando forze al di la della vostra comprensione, decisero di combattersi per la supremazia dell’universo e di come tutto questo fu, in effetti, causato dal mio amore proibito per una sconosciuta venuta dal futuro ...

* * *
ANNO 2606
HEREMO CITY
PIAZZA CENTRALE
FINALE DI SHADOW BALLS

 
Ogni anno, ormai da centosei anni, si disputava ad Heremo City un torneo spettacolare chiamato Mist and Shadow.
Vi partecipavano una cinquantina di squadre formate dai più disparati gruppi, provenienti dai diversi quartieri cittadini. La disciplina in questione era lo Shadow Balls, sport alquanto originale e per nulla tedioso, ideato dal Prof. Vico J. Door, che ne elaborò i rudimenti nelle pause tra una lezione di astronomia ed una di fisica quantistica all’università di Olimpia, poiché, affermava: “tale giocoso passatempo, scuote le fondamenta stesse della mia immaginazione. C’è qualcosa nello Shadow Balls, qualcosa di tenebroso ed allo stesso tempo di affascinante, che chiede solo di essere portato alla luce. Il mio compito, è permettere che le persone di tutto il mondo possano lottare per riuscirci”. Parole cariche di retorica, certo, ma abbastanza concrete da spingerlo a creare un vero e proprio campionato con tanto di premi ed albo d’oro. Mistificato dai Celestri, col passare degli anni si diffuse a macchia d’olio tra i giovani terrestri, che ne fecero uno status symbol della loro generazione, iniziando, letteralmente, ad idolatrare coloro che di volta in volta trionfavano nel Mist and Shadow, e a praticare, nelle rispettive città di appartenenza, questa mitica disciplina. Le folle lo adoravano ed erano disposte a percorrere parecchi chilometri, dalle piccole città limitrofe, per assistere alle singole partite eliminatorie. Figuratevi, poi, quale calca infernale potesse generarsi in occasione della grande finale annuale.
Le regole di base non sono complicate e con un pò di buona volontà se ne possono afferrare i criteri fondamentali in un paio d’ore.
Le squadre sono composte da due giocatori ciascuna. Uno di loro, definito “attaccante”, riceve in dotazione una sfera di piombo mentre all’altro, “il difensore”, viene consegnato un sacco di juta.
Sì, avete capito bene. Una palla di piombo ed un sacco di juta.
Il campo da gioco è di forma rettangolare, ampio una novantina di metri circa in lunghezza ed una cinquantina in larghezza. Al contrario di quello che si potrebbe ipotizzare, però, i punti di riferimento della partita, cioè le “porte”, sono collocate agli angoli opposti del campo, quelli ricollegabili da una diagonale immaginaria, per capirci.
Gli angoli sono come un prezioso tesoro per i due team coinvolti e questi devono proteggerli a tutti i costi. La loro costituzione estetica è decisamente peculiare. Si tratta di due muri di mattoni grezzi alti poco più di cinque metri, che hanno un foro di  tre metri di diametro nel loro esatto punto di congiunzione, ad altezza d’uomo. Il terreno di gioco è assai irregolare poiché composto da tunnel sotterranei segnalati soltanto dai buchi d’entrata e di uscita e da piccoli labirinti claustrofobici che rendono impossibile, per chiunque osservi dall’esterno, il prevedere da dove possa fuoriuscire l’avversario.
Lo scopo ultimo dello Shadow Balls è quello di far entrare una sfera di piombo nel foro avversario, servendosi, appunto, dei tunnel sotterranei e dei mini – labirinti per sorprendere gli oppositori. Il difensore deve restare a guardia del proprio foro ed usare il sacco di juta di cui è munito per catturare le palle lanciate dagli altri. Se una palla è catturata nel sacco, è persa e l’unico modo per ottenerne un’altra è quello di acciuffare la sfera plumbea degli antagonisti. A quel punto i difensori possono passare la sfera ai propri compagni attaccanti, ma solo tramite il sacco di juta, senza quindi toccarla con le mani. Se una palla cade a terra, il difensore non può recuperarla. Sarà l’attaccante avverso a doverla afferrare per compiere un’ulteriore offensiva, salvo prima ritornare all’angolo di propria competenza. Il concetto generale è che i difensori non possono mai, ed in nessun caso, anche solo sfiorare la palla di piombo con le loro mani e non possono prenderla una volta che ha toccato terra. Per effettuare lanci o assist agli alleati, devono sempre utilizzare come “longa manus” il sacco di juta. Il loro, in effetti, è il ruolo più delicato di questo sport, ma anche gli attaccanti se la vedono brutta. Pensate se foste voi a dover segnare in un foro coperto per metà dal corpo di una persona che non ha alcuna intenzione di spostarsi. E’ un gioco tattico e ricco di suspance, a volte perfino crudele. Difficile restare a guardare quando uno di quei proiettili grigio scuro impatta violentemente sul corpo di un giocatore uccidendolo o menomandolo a vita.
Un ultimo indizio di tale crudeltà lo si percepisce nella regola più importante: “per vincere basta un unico punto”. Se la sfera attraversa il foro alle spalle del difensore una volta, ed una soltanto, la partita si conclude.
Come avrete intuito, in questa disciplina non esistono pareggi, ma solo vincitori e sconfitti!
Il fatto di usare un oggetto pesante come la sfera di piombo, ha sempre spinto i tifosi dello Shadow Balls a provare ammirazione e rispetto per le doti fisiche degli atleti, nonché per il loro sprezzo del pericolo, ma sorpassata questa prima superficiale analisi della faccenda, ci si accorge di quanto ciò, in realtà, sia solo una conseguenza obbligata, dovuta alle condizioni di vita in cui versano i terrestri. Vico J. Door, l’ideatore, ne era al corrente e volle escogitare un divertimento capace di coinvolgere le masse derelitte accorpatesi all’ombra delle scintillanti piattaforme celesti.
Del piombo e qualche sacco di juta risultavano semplici da reperire, anche per gente in miseria come loro.
Forse è per questo che, ripensandoci adesso, mi colpevolizzo. A quell’epoca ero troppo stupido per accorgermi delle reali intenzioni dei celestri. Avrei dovuto subodorare la fregatura. Se degli individui così raffinati come quelli, si interessano ad uno sport così “terrestre”, non lo fanno per un’innata bontà di spirito, ma per soddisfare un bisogno più subdolo e sinistro ...
All’epoca in cui ebbe inizio la mia storia, i campioni in carica erano gli “Anonymous Hunters”, vincitori del Mist and Shadow per ben tre anni consecutivi. Il primo dei tre successi si verificò nel 2603, quando sottrassero lo scettro ai “Dukes”, storici veterani di questo sport.
Il ventiquattro dicembre di ogni anno, nella Piazza Centrale di Heremo City, si teneva la partita decisiva del torneo. La finalissima del 2606 vedeva, come nuovi sfidanti per il titolo, gli “Earthquakes” composti dal fascinoso Julian Bellock e ... dal sottoscritto. Gli Anonymous erano capeggiati da Natalya McGregor, un attaccante col ghiaccio nelle vene, capace di mantenere il sangue freddo anche nelle circostanze più impensabili. Il suo gregario era Hugo McGregor, il fratello maggiore ... Maggiore solo nella vita di tutti i giorni perchè, nello Shadow Balls, Natalya non aveva rivali!
Il sindaco della città, Vincent Thorpe, come di consueto, decise di esibirsi in uno dei suoi discorsi “scalda – animi” poco prima del fischio di inizio: –Carissimi ... Carissimi concittadini! Benvenuti alla finale più attesa dell’anno, la finale di Shadow Baaaalllss!! ... Gli Anonymous Hunters della terribile Natalya, sfideranno questa sera gli Earthquakes del principino Julian Bellock, per la gloria e la fama eterne!!!-
L’occhiata che mi lanciò Julian fu esemplare ed io risposi prontamente: -Beh dai, qualcosa deve pur propinare alla marmaglia no?-
-Perchè, invece, non fa pagare un credito a persona? In questo modo, al posto del solito buono omaggio per cinque favolosi pasti al ristorante di Gordon Blue, potremmo portarci a casa un borsone stracolmo di bei soldi!- sussurrò Julian.
-Parla per te “campioncino”, io non ho ancora mai vinto nulla e quindi il buono non mi pare tanto male a conti fatti!-
Dovete sapere che Julian, fino ad un anno prima, aveva giocato per gli Anonymous Hunters al fianco di Natalya.
Questo accadeva per una triade di semplici motivi: a) nonostante fossi il suo miglior amico, non conoscevo lo Shadow Balls e non mi interessava conoscerlo; b) quei due erano fidanzati di brutto e giocare nello stesso team era un altro modo per stare insieme; c) Natalya andava pazza per lo Shadow Balls. Suo padre era stato un giocatore, suo nonno era stato un giocatore, il suo bisnonno era stato un giocatore e così via fino a risalire ai tempi nebulosi del Professor Door. Uno, più uno, più uno, fece tre.
Purtroppo, o per fortuna, i due ebbero una lite furibonda dopo il secondo successo nel torneo, si vocifera causato da una disputa su chi fosse la stella della squadra, o una cosa così. Ad ogni modo, non volendo perdere i contatti con la disciplina che tanto li appassionava, lei reclutò il fratello maggiore e Julian tormentò me per mesi, finendo col costringermi ad accettare la candidatura a membro ufficiale del suo nuovo team, gli Earthquakes!
-... E poi lo sai che preferisco l’attacco, con questo sacco del cavolo non mi trovo!- dissi in preda ad una crisi di nervi, forse per l’ansia che solo una finale poteva indurmi a provare.
Julian abbozzò un sorrisetto malizioso –Tranquillo, segnerò prima ancora che possano impensierirti; non voglio che tu ti faccia male alla testa come nella semi finale di una settimana fa-
-Te l’ho già spiegato! Roteando il sacco con dentro quella stramaledetta palla, sono scivolato sul terreno ghiacciato e ho picchiato la testa, poteva capitare a chiunque! Basta rivangare il “doloroso” passato!-
-Si, certo Joshua, come dici tu- Bellock a stento soffocò il ghigno che stava per esplodergli sulla bocca.
-La sfera è entrata nel foro? E’ entrata? No! E allora che vuoi? Pensa alla tua di testa! Credo che stasera uno degli avversari te la romperebbe volentieri ...- il ghigno adesso era passato sulle mie labbra.
-Spiritoso, davvero spiritoso! Tu non puoi capire, non ce l’hai mai avuta una fidanzata!-
-Eh ... Se è così, nemmeno voglio avercela! Meglio stare da soli ed essere la fonte dei propri mal di testa, dico io.- conclusi con la più bella faccia da schiaffi della giornata.
Improvvisamente, qualcosa ci ridestò dallo stato di trance nel quale i nostri battibecchi ci avevano fatti precipitare, e per l’esattezza, dieci magiche parole del sindaco Thorpe: -Quest’/anno/il/premio/non/sara’/costituito/dai/buoni/pasto-
Come due faine, scattammo subito sull’attenti, così fecero pure i due giocatori della squadra avversaria.
–Molti di voi potranno non approvare ciò che sto per dire, ma credo che, considerati i pro ed i contro, per l’esistenza di noi terrestri sarà più ... profiquo e più ... più ... vantaggioso, ecco!-
Io e Julian ci fissamo qualche secondo inebetiti prima che manifestassi apertamente le mie perplessità: -La trama si infittisce, che diavolo va blaterando quel Thorpe? Come se non bastasse, mi si sta gelando il fondo schiena! L’avevo detto che l’idea di giocare dopo le diciasette era un’idiozia.-
Il sindaco, intanto, arrivò al nocciolo della sua elucubrazione: -Nei giorni scorsi, siamo stati contattati dagli ambasciatori celestri di Heremo City ...-
Il silenzio calò come una scure sulla masnada di spettatori presenti. Thorpe proseguì fiducioso. –Sono rimasti impressionati dalla popolarità raggiunta dal nostro sport, il quale coinvolge, oramai, tutte le città terrestri del pianeta. La sua imprevedibilità li affascina. Insomma, amici miei ... lo adorano a tal punto che vogliono farne parte, anche se in un modo un pò particolare ...-
Si avvertiva soltanto il fischio acuto del venticello invernale e qualche cane randagio mugolare in lontananza. La gente stava attendendo il momento giusto, quello in cui avrebbe capito se arrabbiarsi o esultare pazza di gioia.
-Da quest’anno il premio sarà ... la possibilità per il miglior giocatore del team vincente, di essere adottato da una famiglia celestre e, quindi, di trasferirsi a vita sulla piattaforma di Heremo City. Così pure per tutte le altre città terrestri, che già avranno preso accordi con le rispettive delegazioni celestri-
-Che cosa sta farfugliando? Il freddo gli ha dato alla testa??- rimasi esterrefatto dopo quelle parole. “Il giocatore migliore del team vincente?” Avrebbe fatto prima a dire Julian Bellock. Era sempre stato lui il miglior Shadow Baller di Heremo. Natalya era di sicuro la più decisiva durante le varie partite, ma il gioco spettacolare di Julian non consentiva paragoni, sapeva infiammare la folla come nessun’altro in quella città dimenticata da Dio. Forse, la scaramuccia tra lui e la bella McGregor degenerò anche per questo. Julian vinceva sempre il premio di miglior giocatore e questo faceva letteralmente imbestialire la sua orgogliosissima fidanzata, che durante i match faticava il doppio di lui.
Realizzai solo in un secondo istante il particolare più tenebroso:”Avrei perso il mio miglior amico ” e per cosa poi? Per un gioco senza senso che fino ad un anno prima premiava i suoi “eletti” con cene da quattro soldi in bettole poco raccomandabili?
Purtroppo non ebbi molto tempo per preoccuparmi, perchè la massa la prese alla grande, inneggiando al sindaco e ai celestri. Il fischio d’inizio giunse una ventina di secondi più tardi.
la partita più importante della mia intera vita, era cominciata!
Mi disposi come da copione: spalle al mio angolo e sacco di juta nella mano sinistra. Proprio in quel frangente, però, una squallida intuizione mi squarciò la mente di prepotenza:”se avessi fatto perdere la mia squadra? In questo modo i celestri avrebbero scelto il miglior giocatore della compagine avversa ...”. Sono conscio del fatto che quel pensiero non mi fece onore e che l’averlo anche solo ospitato nel mio cervello basterebbe per rinneggarmi a vita dal ruolo di miglior amico di Julian, però ... Se fossi riuscito in quel viscido proposito mi sarei tenuto stretto la famiglia, perchè Julian, in fondo, era questo per me ... L’unica vera famiglia che avessi mai avuto e la migliore che si potesse desiderare nelle mie condizioni di orfano terrestre alla deriva.
Tutto sarebbe dipeso dal modo in cui avrei inscenato la cosa, se mai mi fossi deciso, e soprattutto ... da quanto casuale e non voluta l’avrei fatta sembrare!
-Attento Joshuaaaaaaaaaaaaaaaa!!!- Un urlo tonante vibrò nell’aria riportandomi, un pò stordito, alla cruda realtà che consisteva, al momento, in una sfera di piombo di dieci centimetri di diametro che, roteando su stessa, sfrecciava verso di me alla velocità di cinquanta chilometri orari.
Non avevo molto tempo per agire, il tiro sembrava ben centrato. Probabilmente, se mi fossi scostato, sarebbe entrata nel foro con facilità. “Che fare? Lasciarla passare o tentare la magia?” Mi ci sarebbe voluto più tempo per inibire la mia coscienza e convertirmi al lato oscuro, quindi, lì per lì, optai per la magia.
La strategia era ben chiara nella mia testa. Mi abbassai con uno scatto felino, piegando la schiena all’indietro come per schivare un fendente mortale diretto alla gola, poi, voltai il capo in modo tale da non scorgere la palla. Il motivo di quest’ultima azione era fondamentalmente uno:”Caso mai avessi mancato l’acrobazia, non mi sarei beccato quel proiettile plumbeo dritto sul muso, rischiando che mi sfigurasse il volto a causa di un rimpallo barbino”. Lo si sarebbe potuto definire un “no look catch”. Disegnai un arco veloce col braccio sinistro, tenendo il sacco di juta ben saldo per il bordo inferiore, cosicché, lo stesso spostamento e l’aria lo mantenessero ben spalancato all’altezza dell’imboccatura, poi ... si sarebbe trattato solo di fortuna, pura e semplice.
Nemmeno mi accorsi di ciò che accadde. L’unico segnale comprensibile del successo della mia spericolata manovra fu l’urlo impazzito delle persone confinate dietro le inferiate di legno.
Risparmiando parecchio e su ogni cosa possibile ed immaginabile, il sindaco Thorpe era riuscito ad accaparrarsi, acquistandolo per uno sproposito dai nostri aguzzini celesti, un mega schermo auto - alimentato ad energia bianca. Lo montarono in obliquo, su di un braccio metallico gigantesco che lo lasciava penzolare a livello del centro della piazza. Rimandarono il “miracolo” in “slow motion” sul super televisore ed ammirandolo notai, con soddisfazione, che il rallentatore mi aveva conferito le movenze di un falco che ghermisce la preda in picchiata ... un modo eloquente per dire che mi fece apparire estremamente eroico!
Avevo deciso per il meglio. Ci sarebbero state altre occasioni di sabotare il match, ma con quell’opera d’arte ottenni un duplice risultato: 1) sembrare un maledetto genio dello Shadow Balls e 2) dimostrare il mio impegno profondo nonché la mia dedizione alla causa. Qualora si fossero verificati “imprevedibili” errori nel proseguio della partita, nessuno avrebbe potuto sospettare della mia buona fede.
In parole povere, l’energia sfoderata nel recupero di quel missile divenne la mia assicurazione sulla vita. Avevo dimostrato quanto valevo e avevo impostato delle basi per l’attuazione del mio diabolico piano.
Julian mi mostrò un pollice alzato, accompagnato da un sorriso a cinquantadue denti, mentre Natalya, l’autrice della bomba, mi mostrò qualcos’altro sul quale ... sarà meglio soprassedere.
Dunque, mi ero impossessato della loro sfera. Adesso, per ottenerne un’altra, non gli restava che un’opzione ... lasciar tirare Julian e sperare di emularmi.
Non sapevo molto sul difensore degli Anonymous Hunters, Hugo Macgregor, o almeno, non più di quanto il suo aspetto già non rivelasse. Era enorme, tipo due metri per centodieci chili di muscoli che pulsavano agonismo a trecentosessanta gradi!
La mia teoria era questa:”Se sei grosso sei moscio”. Un bestione del genere, con quella mole, con tutto quel testosterone concentrato in un‘unica carcassa non poteva essere addirittura agile o scattante, la fisica non gliel’avrebbe permesso e Julian, tiratore fenomenale, avrebbe, di sicuro, pasteggiato con la sua incompetenza. Non passarono neanche due secondi, quelli che il mio cervello utilizzò per elaborare tale teoria, che Julian si era già smaterializzato. Lui non giocava questo sport, lo viveva, ne conosceva ogni prospettiva, ogni eventuale risvolto, per questo anche un osso duro da digerire come Hugo, tremava al solo pensiero di dover fronteggiare un campione consumato come Bellock, il principe dello Shadow balls.
Nonostante fossi il suo compagnio di squadra, non avevo la più pallida idea di dove fosse andato a nascondersi, se in un tunnel o dietro la parete di uno dei labirinti. La sua ex fidanzata lo aveva imitato con la medesima celerità e per qualche attimo, sul campo da gioco, il pubblico potè deliziarsi con la magra visione di un difensore che ne fissava un altro a novanta metri di distanza.
Quelli che si definiscono: tempi morti!
Era un aspetto dello Shadow Balls, quello, che non avevo mai sopportato. Data la capacità eccelsa di Julian di colpire e nascondersi, io mi ritrovavo, nove volte su dieci, con gli sguardi indispettiti delle persone puntati su di me e questo mi mandava letteralmente ai pazzi, timido e riservato com’ero. Comunque, è bene che vi spieghi la ragione per cui anche Natalya decise di scomparire in quel dedalo di tunnel che si spandeva al di sotto del terreno. In questa disciplina, l’attaccante sprovvisto di palla ha la facoltà, se lo desidera, di ostacolare l’oppositore che tenta di realizzare il punto. Raccontata così parrebbe semplice, ma vi posso garantire che c’è qualcosa di macchiavellico in questo meccanismo. Intuire da quale delle tante montagnole sbucherà l’avversario, da quale labirinto deciderà di lanciare un’offensiva, non è cosa da poco. Si tratta di anticiparne le mosse, di prevederne le giocate.
Lo Shadow Balls assomiglia molto ad una grande battaglia navale, dove colui che sa pianificare a lungo termine ha maggiori probabilità di successo. Chi fosse lo stratega migliore tra Natalya e Julian, però, non avrei saputo dirlo ...
Le bambine più piccole cominciarono a scandire il solito ritornello in onore del loro idolo: -Julian! Sei forte! Col-pi-sci-a-morte! Julian ti adoro! Met-ti-la-nel-foro!-
All’inno delle fanciulle si unirono gli incitamenti spasmodici dei più grandi, ma lui niente, non si mostrò. Alla folla piaceva immaginarlo accovacciato sotto terra, pronto a sferrare il colpo decisivo come un cobra del deserto, ma io, che lo conoscevo da prima che la manìa di quello sport lo rapisse, sapevo fin troppo bene che amava ascoltare le dediche sonore che il pubblico a gran voce gli lanciava e per questo ritardava il suo attacco, caricando gli spettatori ed innervosendo gli avversari.
Improvvisamente, dalla montagnola forse più imprevedibile, distantissima dalla zona calda e leggermente spostata sulla destra, fece la sua comparsa trionfale. Il balzo con il quale si auto – catapultò fuori fu impressionate, da canguro. I granelli di sabbia che sollevò in quel’azione spettacolare crearono una specie di scia simile a quella che lasciano le comete durante il loro passaggio attraverso lo spazio cosmico, roba da mozzare il fiato.
Una dote naturale di Julian, che esaltava i suoi fans e destabilizzava il delicato equilibrio psicologico dei suoi antagonisti, era quella di saper saltare in qualsiasi direzione con le braccia dietro la schiena. Questo impediva ai membri dell’altro team di vedere in quale mano reggesse la sfera e di conseguenza di capire da quale parte sarebbe stato sferrato il tiro. Hugo sembrava paralizzato. Julian, avvertita la difficoltà del ragazzo, mostrò di scatto l’arto sinistro che però era disarmato. Questo gesto ingannò il difensore degli Anonymous quel tanto che bastava a farlo sbilanciare dalla parte sbagliata e così accadde. La messa in scena inbastita da Bellock costrinse Hugo a scivolare verso sinistra di circa mezzo metro. L’attaccante, che aveva fintato il lancio col sinistro, continuò nella rotazione naturale del proprio corpo, trovandosi, ad un certo punto, capovolto e con la testa perpendicola al terreno. Il braccio destro, rivolto col dorso della mano verso la porta di Hugo, esplose il colpo. Ne uscì fuori un tiro ad effetto notevolissimo. Il difensore appariva ormai spiazzato, lo sapeva lui, lo sapeva la folla, in delirio dopo l’acrobazia di Julian. Se la partita si fosse conclusa in quella maniera e con quella rapidità, il mio stratagemma sarebbe stato vano. Il mio migliore amico sarebbe volato su quella dannata piattaforma ed io sarei rimasto solo per il resto della mia misera esistenza ...
Reggevo il sacco di juta, appesantito dalla palla di piombo di Natalya, e pregavo, per la prima volta da quando lo avevo conosciuto, per il suo fallimento. Una sensazione di nausea mi si presentò in bocca, come se il mio stesso corpo respingesse il sentimento malato che il mio cuore mi pompava nelle vene. Un sentimento spregevole e decisamente fuori luogo. Avrei dovuto essere felice per lui, partecipare alla sua gioia per un futuro roseo e spensierato a bordo della piattaforma celeste, eppure ... qualcosa dentro di me me lo impediva e combatteva a spada tratta per sopravvivere. Il rischio che l’unica cosa bella della mia vita mi venisse levata ed il fatto che ciò non dipendesse assolutamente dal mio volere mi annegarono in un mare di depressione e sconforto.
Un conto è trovarsi di fronte ad una tragedia annunciata, un altro è sapere che niente possiamo fare per evitarla.
Avrei terminato di fare i conti con la mia coscienza in un secondo momento. La concitazione di quel frangente mi impediva di mantenermi concentrato sui miei turbamenti interiori.
Quando risollevai lo sguardo, perso tra le sabbie del campo, per rifocalizzarlo sulla scena di gioco, quello che vidì mi fece biascicare: -Non è possibile ...-
Hugo, che tutti noi avevamo già dato per spacciato, stupì la platea e chi vi sta parlando, con una mossa di audacia incommensurabile, una tecnica caduta in disuso, residuato di un’epoca in cui lo Shadow Balls era ancora una novità .... “L’artiglio del Fantasma” ...
 

  
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