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Autore: Rowena    20/03/2012    7 recensioni
Malocchio non aggiunse nulla, ma procedette per il corridoio fino ad una specifica cella. Tonks non seppe capire chi l’occupasse: la targhetta identificativa era ormai un pugno di ruggine, segno che il prigioniero era lì da parecchio tempo.
«Cosa vuoi che faccia?», domandò stizzita. «Devo entrare, o…»
«Ninfadora?»
La voce la raggiunse come uno schiaffo dall’interno della cella. Era poco più che un sospiro roco e metallico, come se non fosse stata usata per anni. Tuttavia, fu abbastanza per gelare la ragazza sul posto. Si voltò verso Moody con un’espressione tetra: non poteva averlo fatto, non era possibile…
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alastor Moody, Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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«Quella di oggi non sarà una gita di piacere, perciò sii sempre preparata, hai capito, Ninfadora?»
Certo che aveva capito, era solo la decima volta che le ripeteva quell’avvertimento! Ninfadora Tonks sbuffò, mentre si preparava alla picchiata sul suo manico di scopa, sfidando il vento che, nonostante fossero ai primi di luglio, soffiava gelido e impetuoso dal mare aperto.
«Ovviamente, ma non so chi sia questa Ninfadora, perciò la smetta di chiamarmi con quel nome orrendo» rispose piccata cercando di mantenersi stabile senza sbandare.
Il carcere di Azkaban era ormai vicinissimo e la minima distrazione poteva esserle fatale: non era sua intenzione cominciare e finire la sua carriera di Auror schiantandosi sulle mura della prigione!
Davanti a lei, il suo mentore e guida scendeva rapidamente, in silenzio. Era strano, perché difficilmente a Malocchio Moody mancavano le parole per rispondere a chiunque, eppure le strane uscite della sua pupilla rischiavano spesso di mandarlo al reparto psichiatrico del San Mungo. Probabilmente sarebbe riuscita ad apostrofare in quella maniera assurda anche Voldemort in persona, se fosse mai tornato… Magari quella sarebbe stata l’arma segreta per sconfiggerlo di nuovo: la seccante logorrea di Ninfadora Tonks.
Anche solo verbalmente, quella ragazza dagli assurdi capelli rosa era un’arma dal potenziale enorme. I suoi colleghi non se ne rendevano conto, spesso, incapaci di andare oltre alla sua goffaggine, eppure bastava vedere come poteva modificare il suo aspetto grazie ai poteri che aveva fin dalla nascita per rendersi conto che si trattava di un elemento imperdibile per la squadra di giovani Auror che stavano formando.
Ninfadora strinse la presa sul manico della scopa, cercando di lasciare fuori dai suoi pensieri il freddo pungente che le intorpidiva le mani: aveva dimenticato i guanti a casa, ovviamente, e quel pazzo di Malocchio non le aveva dato il tempo di rimediare, mettendola su una vecchia Comet e intimandola di seguirlo senza fiatare.
Il suo umore era sempre più tetro. Quella gita ad Azkaban era in programma da un po’, sebbene fino all’ultimo non avesse saputo la data esatta, e non aveva fatto altro che accigliarsi sempre di più al pensiero di arrivare al carcere di massima sicurezza. Moody aveva compreso che quel malcontento non era casuale e aveva continuato a stuzzicarla per tutta la durata del viaggio, per impedirle di chiudersi in un mutismo rabbioso.
A un cenno del mago, Tonks rallentò e puntò all’ingresso sul tetto della prigione, tenendosi sempre in coda del suo insegnante, sempre attenta a non inimicarsi il tempo. Poteva sentire già l’influenza dei Dissennatori, sebbene ancora non se ne vedessero, quindi si concentrò su un ricordo di quando era una bambina e aveva ricevuto la bambola più bella che avesse mai potuto desiderare e strinse i denti.
Era tipico di Malocchio portare i suoi allievi ad Azkaban, prima o poi, ma con lei si era prodigato perché la cosa avvenisse il prima possibile, discutendo anche con i suoi diretti superiori. Tonks aveva dovuto promettere che sarebbe stata attenta e non avrebbe causato guai, neanche avesse ancora sei anni e andasse alla prima festa di compleanno!
Il povero Rufus Scrimgeour doveva aver visto troppi giovani aspiranti Auror crollare miseramente in quell’occasione, senza riuscire neanche ad avvicinarsi al loro obiettivo, perché schiacciati dal peso delle responsabilità e della loro disillusione.
Essere un Auror non era una pacchia e bisognava impararlo nel minor tempo possibile, capire che ci si preparava a un lavoro che portava con sé infiniti problemi e casini.
Moody sapeva che, se Tonks fosse arrivata intera alla fine di quel giorno in prigione, sarebbe diventata un ottimo Auror, altrimenti sarebbe stato il primo a dirle di trovarsi un’altra carriera al più presto.
Non appena posarono i piedi sul freddo tetto in pietra nera, i due avvertirono ancora più forte e nefasta la presenza dei Dissennatori.
Moody fece sparire i due manici di scopa con un tocco di bacchetta e riprese a rivolgersi alla sua allieva con voce aspra. «Ora, fai attenzione ai tuoi ricordi felici: non devi generare un Patronus completo, o scatenerai un putiferio. Concentrati sui bei momenti passati e convinciti che quella feccia non possa portarteli via».
La ragazza annuì, mordendosi la lingua per non commentare che sapeva benissimo quello che doveva fare e quello che avrebbe messo in pericolo la sua vita. Litigare con Malocchio in quella situazione sarebbe stato del tutto controproducente.
Un quadrato di pietra in quel momento s’illuminò e cominciò a levitare, lasciando intuire come entrare nel carcere di massima sicurezza.
«Parola d’ordine?»
Malocchio recitò la parola corretta quasi sputando, come se fosse indeciso tra ammirare il controllo estremo tenuto nel carcere oppure offeso dall’essere considerato un soggetto potenzialmente pericoloso, ma nonostante la sua voce un poco astiosa subito un addetto alla sicurezza comparve dall’apertura e diede loro il benvenuto.
«Le vostre bacchette, prego, saranno registrate e messe sotto traccia temporanea fino alla fine della vostra visita».
Procedura standard, ricordò Tonks, che porse la sua con tranquillità prima di scendere dietro a Moody ed entrare nel carcere. Continuò a pensare al suo ricordo felice con la massima intensità, poiché non appena furono dentro l’effetto dei poteri dei Dissennatori diventò incredibilmente più intenso.
«Vi creeremo un Patronus in un secondo, signori», continuò il mago che li aveva portati fin lì, «giusto il tempo di controllare le bacchette».
Era una prova, la ragazza lo sapeva, la prima di molte: resistere quei pochi minuti necessari affinché intorno a loro fosse lanciato l’incantesimo Patronus da una delle guardie, che sapevano dosare la loro energia magica in modo da tenere i visitatori al sicuro e allo stesso tempo da non far scappare i Dissennatori. Chi non riusciva a sostenere quel gelo e la paura che quei mostri sapevano generare, oltre alla disperata certezza che non ci sarebbe più stato un giorno felice, poteva tranquillamente dire addio ai suoi sogni di diventare Auror.
Tonks tuttavia non titubò, almeno così parve a Moody: neanche il suo occhio interiore riuscì a cogliere segni di cedimento nella sua giovane pupilla, il che lo rese una volta di più silenziosamente orgoglioso di lei.
Il guardiano sembrò prendersi ben più del tempo necessario per completare le procedure di controllo e fare quanto previsto per mettere i visitatori al riparo dall’influenza nefasta dei Dissennatori, ma quando alla fine si decise perfino l’aria sembrò per un attimo più respirabile, a Tonks. Per un attimo, perché una volta allontanata la sensazione di freddo pungente che l’attanagliava e l’angoscia provocata da quelle creature malefiche, tutto l’orrore del luogo in cui si trovavano si riversò sulla strega senza pietà. La sporcizia, l’umidità, l’odore
Mosse una mano per coprirsi naso e bocca, ma si fermò a metà strada, sentendo l’occhio vigile del suo maestro su di sé. Aveva promesso di mostrarsi forte e sarebbe stata di parola, per cui inghiottì a vuoto e fissò Malocchio come a chiedergli se avesse qualche problema.
«Allora, cosa andiamo a vedere di bello?», domandò sarcastica. Effettivamente, per quello che ne sapeva la visita serviva a provare la resistenza degli aspiranti Auror con i Dissennatori e con i risultati del proprio operato: era in quel luogo, infatti, che finivano i maghi da loro arrestati, se ritenuti colpevoli dei crimini di cui erano accusati. Servire la legge significava anche evitare che un innocente finisse nelle celle di Azkaban, e la vista del carcere doveva ricordare a lei e ai suoi compagni come poteva degenerare il loro lavoro.
«Criminali senza possibilità di perdono», sentenziò Malocchio senza aggiungere altro. Tonks fece spallucce e si disse pronta. Lo credeva davvero, ma allo stesso tempo si stava chiedendo cosa avesse architettato il suo insegnante.
Senza porre domande, il guardiano li accompagnò fino alle scale che portavano ai piani più bassi, spiegando che dovevano scendere fino in fondo. Quando la luce di una torcia rese più chiaro il suo volto, la ragazza si domandò quanta umanità fosse rimasta a quell’uomo per lavorare ogni giorno a così stretto contatto con i Dissennatori – ma anche con gli ospiti del carcere – senza impazzire. Non molta, a giudicare dall’elenco noioso con cui le espose la classificazione dei prigionieri sui vari piani e il modo in cui erano controllati in ogni momento. Se avesse parlato di libri o di oggetti in un magazzino… Quelle, però, erano persone.
Obbligandosi a ignorare quei dettagli, Ninfadora si apprestò a seguire il suo maestro, che aveva afferrato una delle torce del corridoio per incamminarsi per le scale.
«Potrebbero fare in modo che siano un po’ meno viscidi, questi dannati gradini», lo sentì bofonchiare davanti a sé. «Allora, perché credi che abbia voluto portarti qui?»
L’atteggiamento di Moody stava turbando un poco la ragazza: da quello che aveva saputo dai suoi colleghi più avanti nella formazione, normalmente si visitava piano per piano, scendendo progressivamente verso i gironi più bassi e terribili di quell’inferno in Terra. Non stavano rispettando i piani e, sebbene avesse imparato da un pezzo a non lasciarsi sorprendere con un insegnante del genere, la cosa non le piaceva affatto.
Tonks non rispose subito: stava facendo del suo meglio per non cadere e fare una delle sue solite figuracce. Il pavimento era scivoloso, come lo stesso Auror aveva notato, per via dell’umidità e delle infiltrazioni, e così le pareti. Quanto alla precisione con cui i gradini erano stati sistemati o scavati nella roccia, c’era da chiedersi se l’architetto e i suoi collaboratori non avessero lavorato sotto l’influsso nefasto dei Dissennatori, perché non ve n’erano due della stessa larghezza o altezza. Riuscire a mantenere l’equilibrio era un’impresa anche per persone meno goffe della giovane allieva e, probabilmente, se Malocchio non era ancora scivolato con la sua gamba di legno era solo per la sua conoscenza maniacale del carcere, date le sue visite frequenti.
La ragazza, invece, era così concentrata per non mancare un gradino che non si accorse che le scale erano finite, né che il suo maestro si era fermato di colpo, e andò a sbattergli contro.
«Fa’ un po’ di attenzione, signorina!», la riprese Moody senza muoversi.
Tonks riuscì a rimanere in piedi in qualche modo e si scusò, mortificata. Odiava mettere in mostra le sue debolezze, si sentiva davvero imbranata. «Mi dispiace, io…»
«Non importa, ora concentrati sul posto in cui ci troviamo e sulla tua missione», borbottò l’anziano Auror lasciando correre l’incidente. La guardia li fissò incuriosito – probabilmente quella visita si allontanava abbastanza dalla sua routine per costituire una qualche forma d’intrattenimento – ma non disse nulla, limitandosi a fare strada per il corridoio.
Nel settore dei criminali senza possibilità di perdono si trovavano i prigionieri più pericolosi, i Mangiamorte. Era semplice da intuire anche senza la spiegazione di Moody per il nome pittoresco e la densità di Dissennatori presenti al piano, così alta da mozzare il respiro nonostante il Patronus che aleggiava intorno ai visitatori.
Da una cella tra le più distanti giunse una risatina stridula, una voce femminile, che la giovane si obbligò a ignorare.
«Quella di oggi, come ti ho già detto, non è una visita di piacere», ripeté per l’ennesima volta Malocchio.
«Credevo che la nostra semplice presenza in questo luogo rendesse ovvio questo fatto», rispose a tono Tonks cercando di mantenersi ferma. «Siamo arrivati subito al gran finale, da quel che ne so».
«Per te il significato di questa gita sarà un po’ diverso, Ninfadora, rispetto a ciò che hanno sperimentato i tuoi colleghi. La tua situazione è particolare».
«In che senso?», domandò piano mentre un pensiero malevolo cominciava a farsi strada nella sua mente.
Moody non la guardò, ma continuò a camminare per il corridoio. «Sapresti ricordarmi il cognome da nubile di tua madre?»
Ninfadora trasalì, realizzando di aver avuto la giusta intuizione.
Non farmi questo, vecchio pazzo.
«Black», rispose comunque, cercando di controllarsi. «Sua sorella e suo cugino di primo grado sono ospiti su questo piano. Allora?»
Per un attimo le parve che il corridoio si stesse restringendo, come per inghiottirla. Tenere la mente lucida sul suo ricordo felice iniziava a diventare difficile e l’effetto dei Dissennatori si fece più forte.
«Sai, Ninfadora, l’Accademia è rimasta molto incuriosita quando ha ricevuto la tua domanda. Certi nomi… Non si dimenticano, lo sai, e portano a porsi delle domande».
«Dopo tanti anni qualcuno si è convinto che mia madre sia cattiva come il resto della sua famiglia?», domandò sprezzante. «Sono stata cresciuta in ben altro modo, lo sa! Ho superato tutti i colloqui attitudinali, e al San Mungo mi ritengono eccentrica ma sana di mente».
Cosa che non dicono di te da parecchio tempo, aggiungerei.
«Nessuno mette in dubbio te o i tuoi valori», abbaiò Moody, «tuttavia, voglio essere certo che tu sappia anteporre il tuo dovere, sempre».
Non osò ammettere che per qualche tempo, dal momento in cui gli era stata affibbiata quella strana allieva, aveva cercato delle somiglianze tra zia e nipote. Erano bastati pochi giorni per comprendere che la ragazza era fatta di tutt’altra pasta e che qualsiasi lato del suo assurdo carattere era quanto di più lontano dalla follia assassina che dominava ogni pensiero di Bellatrix Lestrange, al punto che il vecchio Auror era arrivato a vergognarsi di aver creduto che le due donne potessero avere qualcosa in comune, pur giustificandosi col suo solito motto.
Non l’avrebbe mai confessato a quella piccola pazza, gli era diventata troppo cara e troppo in fretta per rischiare di perdere la sua ammirazione.
C’era anche da dire che Moody non aveva mai dubitato di Black o, almeno, non aveva mai colto in lui segni di un suo possibile doppiogiochismo… Era stato un duro colpo per lui, come per tutti gli altri membri dell’Ordine sopravvissuti a quella sporca guerra.
Forse, se Tonks fosse stata imparentata con altri due Mangiamorte, Alastor avrebbe saputo giudicare meglio il caso della sua allieva, utilizzando la sua solita freddezza e le sue capacità analitiche, ma quei due erano i peggiori, nei suoi incubi. Anche peggio di Rosier e del duello che gli era costato un bel pezzo di naso.
Nel frattempo, la ragazza cercava di rimanere impassibile, ma chiaramente si stava innervosendo in fretta. Probabilmente si stava chiedendo in che modo sarebbe stata messa alla prova: Malocchio non aggiunse nulla, ma procedette per il corridoio fino ad una specifica cella. Tonks non seppe capire chi l’occupasse: la targhetta identificativa era ormai un pugno di ruggine, segno che il prigioniero era lì da parecchio tempo.
«Cosa vuoi che faccia?», domandò stizzita. «Devo entrare, o…»
«Ninfadora?»
La voce la raggiunse come uno schiaffo dall’interno della cella. Era poco più che un sospiro roco e metallico, come se non fosse stata usata per anni. Tuttavia, fu abbastanza per gelare la ragazza sul posto. Si voltò verso Moody con un’espressione tetra: non poteva averlo fatto, non era possibile…
L’Auror non disse nulla, limitandosi ad osservarla. L’occhio magico ruotava come impazzito, pronto a cogliere ogni sua debolezza.
«Ninfadora, sei proprio tu?»
Come l’aveva riconosciuta? Non la vedeva da quando aveva sette anni, forse sei, e nella sua mente era un ricordo confuso, un cugino grande che la trattava come sua pari e che le aveva regalato la sua bambola preferita. In tutto quel tempo, non aveva mai smesso di chiedersi come avesse fatto a trovargliene una dai capelli rosa.
Sirius…
Passava ogni tanto a trovare sua madre, un po’ imbarazzato perché, a pensarci bene, era in difficoltà con lei. Di certo non era abituato a occuparsi di bambini, anche se parlava spesso del figlio dei suoi amici, negli ultimi tempi. Prima di tradirli, pensò.
Non l’aveva più visto dalla sua ultima visita a casa dei suoi, lo aveva sentito dire a suo padre che stava diventando pericoloso per lui muoversi e che non voleva mettere in pericolo gli unici parenti che era felice di chiamare così. La Tonks di sei anni non aveva compreso allora, ma aveva ricordato benissimo quelle parole fino al momento in cui non era stata in grado di interpretarle.
La ragazza appoggiò la mano sulla porta della cella, cercando forse un contatto con l’uomo che stava dall’altra parte.
C’era davvero il suo super cugino, oltre quella parete viscida? Il principe che lei aveva sognato di sposare per tanto tempo, fino a quando sua madre non l’aveva ritenuta abbastanza grande per conoscere la verità? Ancora ricordava la sua smorfia di dolore nel raccontare alla sua piccola il tradimento, la cattura, la fedeltà a Colui-che-non-deve-essere-nominato…
Anche Sirius era diventato innominabile in casa loro. Da parte sua, Tonks aveva cercato di pensarci il meno possibile, di relegare in fondo alla sua mente il ricordo del giovane che la teneva sulle sue ginocchia e le raccontava le più brutte favole che si fossero mai sentite.
E ora Malocchio l’aveva portata lì senza dire nulla, la stava obbligando a fronteggiare l’unico dei suoi cugini che aveva mai conosciuto, l’unico a cui forse avrebbe mai voluto bene, e a far combaciare le sue memorie con Sirius Black l’assassino, il Mangiamorte che aveva venduto i suoi migliori amici per… Cosa, la gloria, la riconoscenza del più terribile mago oscuro che la Gran Bretagna avesse mai affrontato?
Ninfadora avrebbe voluto una risposta a quella domanda. Conoscere quella verità non l’avrebbe fatta stare meglio, ma avrebbe aiutato. Non quel giorno, tuttavia.
Voltò la schiena alla cella, rifiutandosi di mostrare un lato vulnerabile di se stessa, una parte della sua vita privata, di cui non aveva mai parlato a nessuno. Per quanto stimasse Moody, quella non era una Ninfadora che doveva vedere.
Tornò a guardare Malocchio con un’espressione determinata: «Cosa le piacerebbe sentirmi dire? Che lo rinnego, che lo maledico? So quello che ha fatto e sono consapevole che Black l’assassino sia più importante del cugino Sirius che ho conosciuto da bambina. Vuole sapere se tenterei di avere un contatto con lui, se proverei a farlo evadere? No, non lo farò», disse soffiando le ultime parole con rabbia. «Per cui, a meno che lei non desideri presentarmi a zia Bella, direi che qui abbiamo finito».
Si tirò su le maniche della divisa nera bordata d’argento, incrociò le braccia sul petto, cercando di apparire irremovibile, e tenne fisso lo sguardo sull’occhio umano di Moody, mentre quello magico la scrutava fin troppo a fondo.
Malocchio rimase in silenzio per qualche minuto, quindi fece cenno alla guardia che volevano tornare su. Il mago sembrò infastidito: da settimane quell’Auror lunatico mandava gufi a confermare quella visita e ad assicurarsi che il carcere fosse pronto a riceverli, con le sue solite paranoie, e avevano già finito? Era ridicolo!
Negli anni aveva visto Alastor Moody torturare in molti modi i suoi allievi per valutare se fossero capaci di affrontare la carriera che desideravano, ma ciò che aveva fatto con quella ragazzina dai capelli assurdi gli sembrava abbastanza insensato. Non disse una parola, tuttavia: mettersi a discutere con quel vecchio pazzo era controproducente e anche lui era comunque rinfrancato dall’idea di abbandonare così in fretta il piano su cui i Dissennatori erano più presenti, oppresso dal loro potere.
Ripercorsero la stessa strada ma più lentamente, per dare il tempo all’Auror di salire senza apparire goffo o impacciato. Certo sarebbe stato meglio se Moody non avesse imprecato a ogni scalino, ma per quello non c’era rimedio. Tonks dovette farsi forza per non rispondergli male, concentrandosi sulla sensazione di crescente sollievo che provava tornando verso il tetto della prigione. Cercò di lasciare ai Dissennatori il ricordo del parente con cui il suo maestro l’aveva obbligata a confrontarsi, ma evidentemente non era abbastanza felice.
Della famiglia di sua madre ne sapeva ben poco e, se non avesse conservato memoria del cugino, probabilmente i suoi genitori avrebbero cercato di tenerla all’oscuro dalla sua triste storia. C’erano stati momenti in cui aveva desiderato non sapere nulla di Sirius ma, ripensando a quello che aveva appena affrontato, era grata di averlo ricordato dall’infanzia, altrimenti la trovata di Moody l’avrebbe colpita come uno schiaffo ben più doloroso.
Ben presto si ritrovarono all’esterno, con tanti cari saluti del corpo di guardia.
«Capisci perché ti ho portato qui, non è vero?», le domandò l’Auror quando rimasero soli.
«Ha bisogno che le dica qualcosa di particolare? Se vuole la mia parola che non metterò mai la mia famiglia davanti al dovere, non posso accontentarla: questa», e indicò con furia il pavimento, «questa non è la mia famiglia, non lo è mai stata, mi è facile dirle che io non tradirò mai per aiutare loro. Ma se parla dei miei genitori… No, non posso prometterle niente».
Moody la fissò per un attimo con un’espressione indecifrabile, poi, mentre la sua bocca si piegava in quello che sembrava uno strano sorriso, suggerì di aspettare che calasse la raffica di vento che li stava sferzando in quel momento per riprendere il voto.
«È la risposta che mi aspettavo, comunque», mugugnò un attimo prima di alzarsi da terra. «Se fossi pronta a vendere ogni tuo affetto non saresti la persona che credo».
Tonks spalancò gli occhi dalla sorpresa, quindi spronò la scopa per stare dietro a Malocchio.
Allontandosi, rivolse un ultimo sguardo alla sagoma di Azkaban: si sentì una vigliacca per non aver osato affrontare suo cugino e confrontare il ricordo che ne aveva con l’uomo che era diventato, ma forse era meglio così.
Meglio dividere il Sirius che le era stato caro dall’assassino. In fondo, nessuno dei due sarebbe più tornato a far parte della sua vita, pensò prima di inseguire Malocchio nel cielo plumbeo.
 
 
 
Due anni dopo
 
 
Aveva già visto incantesimi Occultatori così potenti da nascondere un’intera casa, eppure per Tonks era sempre emozionante quando il segreto celato si rendeva visibile. In quel caso, tutta la schiera di casette in stile georgiano sobbalzò per fare posto a un numero in più, che comparve lentamente senza che nessuno, al di fuori di lei e del suo maestro, si accorgesse di quanto stava accadendo.
«Entriamo», borbottò Moody quando l’ingresso ebbe assunto dimensioni normali.
Tonks lo seguì lentamente, sforzandosi di non badare alla debolezza del vecchio Auror, che non si era ancora ripreso dalla brutta disavventura che gli era capitata. La ragazza si sentiva in colpa per non essersene accorta: Malocchio l’aveva avvisata che avrebbero dovuto interrompere il suo addestramento sul campo per un lungo periodo, visto il favore che gli aveva chiesto Silente, eppure il suo lungo silenzio per lettera avrebbe dovuto insospettirla. Conoscendo quel vecchio pazzo, si era aspettata che tentasse di infilarla nel contingente di sicurezza del torneo per permetterle di fare pratica in una situazione davvero seria, ma non aveva indagato quando si era resa conto della mancanza di notizie da parte di Moody, anche solo per informarsi su come stessero andando i suoi esami. Probabilmente per lei avrebbe sempre comportato un grosso debito nei confronti del suo insegnante, ma doveva cercare di non pensarci, almeno in quel momento in cui si preparava a incontrare per la prima volta l’Ordine della Fenice.
Malocchio non aveva voluto dirle molto a riguardo. Si trattava di un’associazione segreta nata vent’anni prima per combattere Colui-che-non-deve-essere-nominato e che si stava riorganizzando per fronteggiare la nuova minaccia mentre il Ministero continuava a nascondere la testa sotto la sabbia. Perché che Caramell stesse commettendo un errore era fuori questione: Tonks aveva una grande fiducia in Silente, non avrebbe mai messo in dubbio la sua parola, per cui si era subito convinta che il mago oscuro fosse davvero tornato. Moody poi le aveva proposto di entrare in quel piccolo gruppo, facendo ben presente quanta fiducia stesse riponendo in lei, ed eccola lì, sulla soglia del numero 12 di Grimmauld Place.
Una volta entrati, la ragazza fu presa da uno strano capogiro e perse il senso dell’equilibrio, inciampando in un orribile portaombrelli che sembrava messo là apposta, in sua attesa. L’impatto e la sua conseguente caduta provocarono un gran fracasso, che fu seguito da urlo a dir poco disumano.
«Accidenti, Tonks!», esclamò Moody con un’aria ormai rassegnata. Nel lungo periodo di addestramento aveva capito che nemmeno con la magia sarebbe stato in grado di liberarla da quella goffaggine. «L’hai svegliata, ora sarà un dramma farla tacere».
«Ho svegliato chi?», domandò la ragazza. Possibile che nessuno le desse una mano per tirarsi su? E, soprattutto, chi diavolo era a emettere quelle urla disumane?
«La mia adorabile mamma», esclamò un mago che Tonks non riuscì a riconoscere. «Vogliate scusarmi, vado a zittirla».
Quelle parole non la tranquillizzarono affatto, ma il tempo di udire un “FECCIA, ignobili esseri indegni della magione dei Black” bastò a gelarle il sangue. E quella voce, l’uomo che aveva parlato…
Si voltò verso Moody, che tentava di fare l’indifferente in maniera ridicola, guardandosi i piedi come uno scolaretto colto sul fatto dalla maestra.
«Dimmi che non è quello che sto pensando», ringhiò Tonks. «Dimmi che non l’hai fatto di nuovo, vecchio pazzo!»
I formalismi erano caduti da un pezzo tra loro e così gran parte delle buone maniere.
«Non saresti mai venuta, se avessi saputo che c’era anche lui», si giustificò l’Auror con naturalezza.
La strega stava per dare i numeri. Ancora qualche altra sciocchezza come quella e avrebbe fatto una scenata degna della donna che aveva gridato poco prima. «Solo questo? O che eri in contatto da tempo con il mio cugino evaso e pluriomicida e che me l’hai tenuto nascosto?»
«Solo evaso, il vero killer traditore mi ha incastrato, in realtà », la corresse alle spalle di Malocchio la stessa voce di prima con una tranquillità incredibile per le accuse che erano appena state mosse. «Fatti vedere, Ninfadora, sei diventata grande».
«Solo Tonks», replicò lei con lo stesso tono affabile prima ancora di razionalizzare chi le stava davanti. Era davvero lì, di fronte a lei, senza quella porta che l’aveva perseguitata negli incubi per tanto tempo.
Sirius, però, non era affatto come l’aveva sognato. Era pulito e ben vestito, come se la clandestinità fosse ormai un lontano ricordo. Il desiderio di ridere istericamente la percorse da capo a piedi al pensiero di tutti i turni sulle sue presunte tracce nei posti più improbabili della Gran Bretagna – comprese certe paludi da cui aveva creduto di non uscire più – quando il cugino se ne stava in una comoda casa nel centro di Londra.
«Vedo che hai conservato i capelli rosa», commentò il mago dopo una breve osservazione. «Quando eri piccola, tua madre sudava sette camicie per riuscire a camuffarli di un colore credibile prima di portarti al parco… Non so se te l’hanno raccontato, ma a volte sembravi aspettare apposta che aprisse la porta per cambiare di nuovo e vanificare tutti i suoi sforzi».
Tonks non solo si era sentita ripetere quell’aneddoto familiare fino alla nausea dai genitori e dai nonni paterni, entrambi Babbani, ma ricordava benissimo di aver agito in quel modo con la madre da piccola, quando per lei era un gioco e non era ancora in grado di comprendere cosa significassero le parole Legge di segretezza. La urtò più del previsto sentire quella storia così intima e personale in bocca a una persona che ormai era un estraneo in tutto e per tutto, anzi, in quello che ai suoi occhi era un pericoloso assassino.
Malocchio si rese conto del malessere della ragazza anche senza sfruttare i poteri dell’occhio magico e, rimbrottando entrambi di quanto fosse importante la riunione per accogliere i nuovi affiliati, mise fine a quell’imbarazzante ritrovo familiare.
Come se niente fosse, Sirius alzò le spalle e inveì contro il vecchio Auror, per poi seguirlo in cucina, dove gli altri membri dell’Ordine li stavano aspettando. Mancava ancora Silente, che doveva arrivare direttamente da Hogwarts, per cui ci sarebbe stato del tempo per socializzare. Ancora un po’ scossa, Tonks riconobbe all’istante un collega: Kingsley Shaklebolt, una persona che sarebbe stata capace di rendere mansueto e pacifico anche un drago, con la sua fermezza e la sua calma interiore. Sebbene fosse sorpresa di trovarlo lì – Malocchio non le aveva detto nulla, forse per assicurarsi che non si facessero scoprire in ufficio – trotterellò con gioia e senza scivoloni verso di lui, lieta sia di conoscere qualcuno in quella stanza che non fossero Moody o il suo latitante cugino, sia di poter beneficiare dei suoi influssi positivi.
«Tutto bene, Tonks?» le chiese gentilmente il mago notandola. «Com’è stato l’incontro con Sirius?»
«Ho come idea che lo sapeste tutti tranne me, e la cosa non mi piace», ringhiò lei in risposta scoccando un’occhiataccia alla nuca di Moody. Di certo l’occhio magico se n’era accorto.
«Oh no», rispose serafico Kingsley, «soltanto io e Silente, che gioca a manovrarci tutti: nessun altro qui conosce entrambi e sa del vostro legame di parentela, per cui non ci sembrava giusto mettere i manifesti».
Almeno quello… La strega tuttavia non sembrava ancora soddisfatta: «E così, avete preparato all’incontro mio cugino ma non me. Begli amici che siete».
L’Auror ridacchiò: «A dire il vero Malocchio ha insistito per non dire nulla neanche a lui, per potervi gestire meglio. Ti avrà riconosciuto al volo per via dei capelli, non si vedono tanto spesso teste come la tua!»
A quel commento, Tonks scosse il capo e incrociò gli occhi, cambiando la tinta della sua chioma in un viola scuro. Di certo la sua natura di Metamorphmagus e quell’aspetto bizzarro che le era congeniale la rendevano molto riconoscibile, eppure questo non spiegava come due anni prima Sirius l’avesse chiamata per nome senza nemmeno vederla.
«Ma tu sei convinto che…»
«Buonasera a tutti», esclamò in quel momento Albus Silente, appena comparso nella cucina. Alle sue spalle, la tetra figura di Severus Piton, al quale Tonks rivolse uno sguardo sprezzante non appena si rese conto che era davvero lui. Sguardo che fu immediatamente ricambiato. «Scusate il ritardo, purtroppo anche con il nemico che incombe sembra impossibile riuscire a districarsi dal dramma di Hogwarts: i nuovi orari scolastici del prossimo anno», esordì il Preside tra le risate degli altri presenti. «Prima di cominciare, vorrei presentarvi i nuovi membri dell’Ordine della Fenice: gli Auror Kingsley Shaklebolt e Ninfadora Tonks…»
«Solo Tonks, la prego», sospirò la ragazza.
Silente continuò senza badarle, cosa che la fece imbestialire ancora di più: «Moody li ha selezionati e loro hanno gentilmente accettato di unirsi a noi. Bene, ora passiamo all’ordine del giorno».
Sebbene non fosse proprio il miglior comportamento da tenere alla prima riunione, la strega approfittò del discorso di Silente per darsi un’occhiata intorno e capire quali altri membri fossero a parte della società segreta. Che partecipasse quel pipistrello di Piton le sembrava una follia: le aveva reso la vita a Hogwarts un inferno, con le sue assurde pretese per essere ammessi alla classe del sesto anno e poter ambire a un M.A.G.O. in Pozioni. Peggio per lui, era riuscita a ottenerlo malgrado l’ostinazione dell’insegnante a bocciarla a tutti i costi.
Più in là c’erano delle teste rosse che dovevano essere per forza Weasley: i genitori e Bill, che Tonks non vedeva da quando aveva lasciato la scuola ed era stata costretta a dire addio alla sua cotta da adolescente. Sarebbe stato imbarazzante parlare con lui, ma anche bello ritrovarlo dopo tanto tempo. Doveva anche scrivere a Charlie, ora che ci pensava, non sentiva quel maniaco dei draghi da un pezzo e iniziava a mancarle.
Persa in quei pensieri che la riportavano al periodo abbastanza spensierato – Piton a parte – della scuola, Tonks incrociò per caso lo sguardo di Sirius, che evidentemente la stava fissando da almeno un paio di minuti.
A disagio, la ragazza tornò a concentrarsi sulle parole di Silente, facendo attenzione a non considerare l’angolo in cui si era sistemato il cugino. Si parlava di turni di sorveglianza, di vecchi Mangiamorte da controllare, della sicurezza di Harry Potter, che era tenuto nascosto tra i Babbani e praticamente scollegato dal mondo magico.
«Continuo a dire che tutto ciò è vergognoso », esclamò Sirius a riguardo. «Il mio figlioccio deve sapere ciò che sta succedendo, lo riguarda in prima persona!»
Sirius Black era il padrino di Harry Potter. Tonks registrò l’informazione attonita, mentre Piton ribatteva con il suo solito tono mortifero.
«Ovviamente il tuo figlioccio deve essere protetto prima di tutto da se stesso. Merlino solo sa in che guai potrebbe cacciarsi, del resto è degno figlio di suo padre…»
Prima che la discussione potesse sfociare in una rissa – Sirius si era visibilmente alterato, le parole del professore lo avevano colpito al punto giusto – Silente richiamo l’ordine nella stanza. Uno sguardo severo da parte di Moody e Piton si tenne a un astioso silenzio.
Salvo quel piccolo imprevisto, che sembrava essere un teatrino abituale, perché nessuno aveva fatto una piega – anzi, la signora Weasley aveva alzato gli occhi al cielo chiedendo quando sarebbe mai finita quella situazione – la riunione procedette senza altri intoppi, anche perché non c’erano molte novità di cui discutere a quanto pareva.
Fu annunciato che, per chi avesse voluto, sarebbe stata servita di lì a poco la cena e la ragazza in particolare fu invitata a fermarsi per socializzare con i nuovi compagni. Tonks annuì e andò a salutare Bill, che sembrava contento di vederla identica a quando si erano salutati anni prima: il primogenito dei Weasley aveva il viso abbronzato e un orecchino a forma di zanna all’orecchio, oltre ai capelli lunghi legati a coda.
«Ti trovo bene», disse semplicemente la strega prima di essere quasi investita da un gruppetto di teste rosse che sembrava non attendere altro che la fine della riunione. Il resto della famiglia, comprese quando ebbe trovato un appiglio abbastanza solido per non cadere a terra. Qualcuno tentò di carpire informazioni agli adulti, ma senza risultati. Silente e Piton presero la via di Hogwarts, un’abitudine a quanto pareva.
Approfittando della confusione che si era creata, Tonks scivolò fuori dalla cucina e cercò un divano abbastanza comodo per mettersi a pensare con calma: sapeva che da quell’incontro avrebbe avuto molti spunti di riflessione, ma la comparsa di Sirius l’aveva davvero spiazzata. Decisamente aveva bisogno di un momento per riprendersi.
«Mi dispiace che ti abbiano sottoposto a questa situazione assurda», mormorò alle sue spalle una voce sconosciuta. «Sirius sembra entusiasta di averti ritrovato, ma non credo sia altrettanto semplice per te».
Tonks si voltò, sorpresa da quell’analisi così attenta e precisa del suo caso. In piedi di fronte a lei si trovava un tale che aveva appena intravisto nella cucina proprio a fianco di suo cugino, ma al quale non aveva prestato attenzione, troppo presa a ignorare Sirius. Era un uomo magro e sciupato, con l’aria di chi aveva visto il peggio del mondo e tentava di sopravvivere un giorno dopo l’altro.
«Nemmeno io avrei saputo descrivere così bene il contenuto attuale della mia testa», rispose Tonks cercando di abbozzare un sorriso. «Non ci hanno presentato, però».
«Hai ragione: sono Remus Lupin», disse lui con un tono affabile prima di tenderle la mano.
Quel nome non le era affatto nuovo… Ma certo, il Licantropo che aveva insegnato a scuola dopo il suo diploma! Si era disperata per essersi persa una cosa del genere, quando lei frequentava non succedeva niente di eccitante.
«Non mi dire, quel Remus Lupin che ha terrorizzato Hogwarts un paio d’anni fa?», domandò la ragazza senza nemmeno cambiare espressione. Avrebbe potuto chiedergli se era lui il più grande magistilista che stava presentando le sue collezioni a Parigi e sarebbe stato lo stesso, ma non era così per il mago. Remus, infatti, sembrò gelarsi sul posto e ritrasse il braccio.
«Non ti preoccupare», aggiunse rendendosi conto di aver posto male la domanda, «qualunque cosa dicano i giornali, io voglio almeno conoscere chi sei davvero, prima di giudicarti, per cui rilassati».
Non serviva la sfera di cristallo per capire che quello non era un atteggiamento a cui il mago era abituato, ma vedendo che la ragazza faceva sul serio sembrò tornare a respirare.
Stavano giusto per finire i convenevoli, quando una terza presenza si unì a loro.
«Ti sta importunando, cugina?», chiese un accigliato Sirius scoccando un’occhiataccia a Remus. «Non fidarti di quello che ti racconta, è tutta una messa in scena per sembrare tenero e bisognoso di affetto».
Difficile dire chi fosse più sorpreso: il mago, che scuoteva la testa, rassegnato, o Ninfadora, che tutto si sarebbe aspettata dal cugino perduto, tutto tranne quelle apprensioni da parente preoccupato per la sua integrità.
«Servirebbe a qualcosa farti notare che ho ventidue anni e non più sette, Sirius?», domandò Tonks con lo stesso tono infastidito con cui correggeva chi s’intestardiva a usare il suo nome di battesimo. Al vedere l’espressione confusa del mago, immaginò che la risposta fosse negativa. «Senti, ho già un padre che tende a preoccuparsi di queste cose e sono grande ormai… Non è il caso di riprendere i rapporti in questo modo».
Sirius si grattò l’orecchio in un modo molto simile a quello di un cane, pensiero che inquietò un poco la ragazza, quindi bofonchiò qualcosa e tornò in cucina.
«A volte fatica a ricordarsi quanto tempo è passato dal momento in cui è stato incarcerato, scusalo», le spiegò Remus. «È meglio non fargli notare questi lapsus, non reagisce bene».
La ragazza si sentì un pelo in colpa. Era così presa dal dramma che rappresentava per lei quell’incontro inatteso da non aver pensato a cosa potesse significare per Sirius. «Sembri conoscerlo meglio di me».
«Facevamo parte dello stesso gruppetto di amici a scuola», rispose lui con una voce carica di malinconia. «Dagli tempo, comunque… Deve capire che sei diventata adulta. Spesso mi tratta ancora come un adolescente, capisci il mio dramma».
Tonks cambiò posizione sul divano, sentendosi inadeguata. «Moody mi ha portato a trovarlo, un paio d’anni fa. Voleva studiare la mia reazione sapendo che ci divideva solo una porta», ricordò con un certo astio. «Non so come, ma mi ha riconosciuto anche senza vedermi. Forse ha sentito Malocchio chiamarmi per nome, non so…»
Remus ridacchiò: «Lui la definirebbe una questione di naso, ma gli lascio il divertimento di raccontarti questa storia», sospirò sempre sul suo personale viale dei ricordi. «Non crucciarti, però: se ti ha riconosciuto anche dopo tanti anni ad Azkaban, vuol dire che il tuo ricordo era davvero importante».
Uh, quella era un’interpretazione ben più piacevole delle tante che Tonks aveva preso in considerazione dal giorno in cui era stata nel carcere. Forse poteva concedere al cugino una possibilità, prima di decidere che fosse del tutto andato. Scusandosi con Remus, la ragazza si alzò dal divano e andò a cercare Sirius per sistemare le cose.
Il mago si spostò per riuscire a vedere i due mentre si riconciliavano: nonostante l’atteggiamento da spaccone, il suo amico sapeva essere terribilmente impacciato a gestire i suoi rapporti affettivi, chi meglio di Remus poteva saperlo? Il fatto che non avesse ancora contattato Andromeda, che era la sua cugina preferita e l’unica con cui avesse mai avuto una relazione decente in famiglia, la diceva lunga. Tuttavia, il carattere della ragazza avrebbe aiutato a rompere quel velo di disagio che si era instaurato tra i due. Remus non la conosceva, ma una persona che riusciva a squadrare in quel modo Malocchio senza che questo reagisse doveva essere una vera roccia.
In cucina, Tonks chiacchierava più o meno amabilmente, facendo il punto su ciò che era capitato nella sua vita nel periodo in cui Sirius non era stato presente. La conversazione migliorò notevolmente quando il cugino scoprì che odiava con tutte le sue forze Severus Piton, era un punto che avevano in comune e di cui entrambi andavano molto fieri.
La strega cominciò a rilassarsi e a convincersi che, oltre a contribuire per salvare la Gran Bretagna dalla minaccia di Voldemort, il suo ingresso nell’Ordine della Fenice avrebbe significato anche qualcosa di più personale e importante. Ci sarebbe voluto del tempo, ma con Sirius che doveva nascondersi non sarebbe di certo mancato.
In fondo, la parte difficile sarebbe stata riportare la notizia a sua madre!
 
 



Angoletto dell'Autrice: Uff, erano almeno due anni che volevo scrivere questa storia! Mi piaceva l'idea di descrivere il primo incontro tra Tonks e Sirius, un po' da quando si è parlato di inserirla nell'AU "Lo strano caso del cane accalappiato a mezzanotte" e nella lunga saga che stiamo scrivendo Ladyhawke, io e le altre nostre pollette su una vita meno sfigata di Sirius Black. Immaginando l'evoluzione del rapporto tra Tonks e Sirius in quel contesto, ho voluto pensare a come invece fossero andate davvero le cose. Poi ovviamente si è complicata da paura, come storia... Spero vi sia piaciuta comunque! ^^

Alla prossima,
Rowi
   
 
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