Buonasera!
Mi è impossibile staccarmi
da questo fandom, devo pubblicare assolutamente quando butto
giù qualche idea!
E’ veramente gratificante, e voi siete fantastici, grazie
mille, mille mille!
Questa è un po’ diversa
dalle altre, in quanto introduco un personaggio non descritto nei libri
o dalla
BBC (tranquilli, non è una bionda e formosa Mary-Sue che
attenta alla storia
d’amore dei nostri due beniamini) bensì la madre
di Sherlock, l’eccentrica ma
simpatica Signora Holmes.
Sperando vivamente che vi piaccia, e di non aver fatto troppo male, vi
auguro
una buona lettura!
S.
Tutto
merito di mamma
*
Quando John ritornò
al
221b, carico di buste della spesa, Sherlock non era in casa. Il medico
si era
aspettato di trovare casa vuota al suo ritorno e così era
salito imprecando fra
sé e sé per la fila interminabile da Tesco, per
le sue maledette casse
automatiche e per il fatto che non sarebbe mai stato troppo presto
quando il
suo coinquilino si sarebbe deciso a dare una mano nelle faccende
domestiche,
qualche volta.
Proprio per questo quasi cadde contro il tavolino da caffè
quando scorse una
figura seduta sulla poltrona di Sherlock.
“Oh mio
Dio!” gridò,
lasciando cadere una delle buste sul parquet, con un tonfo secco.
Fissò lo
sconosciuto, o meglio, la sconosciuta,
che adesso gli rivolgeva un sorriso gentile e curioso, guardandolo da
capo a
piedi come se cercasse di sfogliarlo come un libro.
Era una signora non
più
tanto giovane ma ugualmente signorile ed elegante. Indossava un
tailleur grigio
che ben si intonava ai suoi acquosi occhi chiari e i capelli castani
erano
raccolti in un intreccio elaborato tenuto su da un fermaglio.
Più John la guardava, più quella donna gli
sembrava terribilmente familiare.
Quando John riacquistò la parola la donna era ancora li a
fissarlo, come
imbambolata. La sua espressione adesso era cambiata
dall’incuriosito
all’intenerito, come se John fosse indecentemente adorabile,
ai suoi occhi. Il
dottore si sentiva quasi come un orsetto di peluche in una vetrina di
Hamleys
bramato da una bambina per la strada.
“Buongiorno!” disse poi la donna, probabilmente
decidendo di averlo osservato a
sufficienza “Il Dottor Watson, presumo”
continuò con una voce cristallina e
stranamente profonda per un fisico come il suo. John non sapeva ancora
cosa pensare.
“Sono io. E questo è il mio appartamento. E lei
è?...” John si costrinse a
chiedere, cercando nel frattempo di visualizzare qualcosa nella stanza
che
avrebbe potuto utilizzare come difesa nel caso quella donna si fosse
rivelata
pericolosa. Con Sherlock e i suoi clienti il modo di dire
‘mai fidarsi delle
apparenze’ era quanto mai appropriato.
Lei gli sorrise, melliflua.
“Oh mi scusi per il
modo
in cui mi sono introdotta in casa sua, ma la gentilissima Signora
Hudson ha
detto che avrei potuto aspettare qui” indicò con
lo sguardo il pianerottolo
attraverso la porta ancora aperta. “Dubito che qualcuno le
abbia mai parlato di
me” esordì, storcendo il naso, evidentemente
irritata a quel pensiero. “Sono la
Signora Holmes. La madre di Sherlock”.
John sbarrò gli
occhi come
se avesse appena visto un marziano: Sherlock l’aveva
menzionata così raramente
che quasi aveva dimenticato che Sherlock e Mycroft avessero
effettivamente dei
genitori. La signora poi, e si sentiva uno stupido a non aver collegato
prima,
aveva una somiglianza impressionante con Sherlock molto più
che con Mycroft. Il
viso era ovviamente più armonioso e garbato (nonostante
Sherlock fosse
decisamente molto attraente così com’era, ma John
arrossiva ogni volta che si
trovava a riconoscerlo) ma la forma particolare delle labbra, il naso
dritto e
gli espressivi occhi chiari erano decisamente quelli della donna di
fronte a
lui.
“Oh, Signora Holmes,
ehm”
John si ritrovò spiazzato, senza saper cosa dire.
“E’ un vero…un vero piacere
conoscerla finalmente” gli porse una mano, educatamente, e la
donna gli sorrise
ancora più sollevata, stringendola. Si sedette nuovamente
sulla poltrona di
Sherlock, e John si strofinò le mani, indeciso sul come
comportarsi.
“Come… come mai da queste parti?” le
domandò, anche se non era sicuro di aver
formulato la domanda nel modo appropriato. Riascoltandosi, sembrava che
l’avesse chiesto come se l’irritasse la sua
presenza. La signora però non parve
affatto offesa.
“Oh, è da tanto che non vedevo i miei figli,
Dottor Watson”
“Mi chiami pure John, la prego” intervenne lui.
I suoi occhi si illuminarono, di nuovo con quell’espressione
ammirata, come se
la sua fosse una gentilezza d’altri tempi.
“John, allora”
asserì “quei due non
fanno altro che farmi rischiare un infarto al giorno, ma sono comunque
i miei bambini e beh, una madre ne
sente sempre
la mancanza” spiegò.
“Capisco perfettamente” John annuì, con
la mente proiettata sulla fantomatica e
inquietante immagine di Sherlock e Mycroft bambini. Ogni tanto credeva
che quei
due fossero nati direttamente già adulti.
“Sherlock sarà qui a momenti. E’ a
Scotland Yard, per alcune…faccende”
La signora Holmes sbuffò, scuotendo la testa.
“Sarà dentro qualcuno dei suoi pasticci, vero? Oh,
quel ragazzo non cambierà
mai” esclamò con voce mista tra il preoccupato e
lo spazientito.
John era tutt’altro che pronto ad affrontare
l’argomento del cacciarsi
continuamente in enormi pasticci di Sherlock e decise di prendere un
po’ di
tempo a preparare una tazza di tè per la donna, che subito
accettò con entusiasmo,
anche se ancora immersa nei suoi pensieri.
“Sempre ad un passo
dal
saltare in aria! E rifiuta anche l’aiuto di
Mycroft…” si ricollegò
all’argomento che John aveva cercato in tutti i modi di
evitare e lui si morse
la lingua, scervellandosi su qualcosa di brillante da dire.
“Beh…Mycroft sa come… rendersi poco
sopportabile” ammise, anche se subito se ne
pentì dato che Mycroft era comunque suo figlio. Lei
però non sembrò affatto
prendersela.
“Oh come lo so, sempre stati difficili quei due. Non so come
sono sopravvissuta
fino ad adesso”
Quando le porse la tazza
lei ringraziò cortesemente, e si guardò attorno,
soffermandosi con espressione
atterrita davanti al teschio sul camino, al muro martoriato dai
proiettili e
agli strani contenitori accatastati sul tavolo del salotto.
“E’ opera sua” il medico lesse nei
pensieri della donna che gli sorrise
mestamente “ha un carattere abbastanza… difficile
quando si annoia”
Lei emise uno strano
versetto squillante, come una strana bambola per bambini quando le si
schiaccia
la pancia. John lo interpretò come un ‘non sai
quanto ti capisco’.
“Una volta ha fatto esplodere la finestra di camera sua con
qualche robaccia
trovata in cantina. E avresti dovuto vedere quanto era
felice!” cominciò a
raccontare, e John in quel momento si sentì terribilmente
come una sorta di
psicanalista. “Per non parlare di quanto ha nascosto una
colonia di millepiedi
in una scatola aperta sotto il letto di Mycroft! Quel povero ragazzo
non ha più
voluto dormire su quel materasso fin quando non è partito
per l’Università. Oh,
che ragazzaccio…” sorseggiò un
po’ del suo tè mentre John ascoltava come rapito
le parole della donna. Gli sembrava di entrare più
profondamente in una parte
della vita di Sherlock che non aveva mai conosciuto. Oltre qualche
sporadica
informazione scoperta così per caso, parlando del
più e del meno, John ignorava
completamente l’infanzia di Sherlock. Quei piccoli
particolari seppur piccoli e
relativamente insignificanti affascinavano John più di
quanto si potesse
immaginare. Oltre al fatto che, e per un secondo si era odiato per
quello,
avrebbe adorato ascoltare qualche aneddoto imbarazzante su di lui.
Ridacchiò,
sommessamente.
“Diciamo che non è cambiato molto” John
le rispose e lei finì di bere il suo
tè, appoggiando la tazza sul tavolo già strapieno
lì accanto. Lei annuì
pensierosa, prima di sollevare lo sguardo e puntare gli occhi in quelli
di John,
pieni di dolcezza. La bocca di lei era piegata in un sorrisino ancora
più
stucchevole.
“Oltre tutto questo John, com’è vivere
con Sherlock? Insomma, è un buon
compagno, pericoli mortali a parte? Ti tratta bene?
E’…abbastanza affettuoso?”
John quasi si
strozzò con
il suo tè non ancora finito. Si decise a smettere di bere
per la sua incolumità
e tossicchiò, sperando che la Signora Holmes non se la
prendesse a male.
“Beh, non mi lamento. La mia vita è decisamente
piena, adesso. Ma…diciamo che
le dimostrazioni d’affetto non sono il forte di
Sherlock”
Lei piegò la testa,
come a
voler osservare John da un’altra angolazione. In quanto ad
eccentricità, anche
se non a quei livelli, Sherlock era palesemente identico a lei.
“Oh immagino di si,
e mi
dispiace. Insomma per te dev’essere difficile non ricevere
nessuna…palese
dimostrazione, ma sono sicuro che lo fa a modo suo”
John ripensò alla definizione di ‘indirizzatore di
luce’ che gli aveva
affibbiato qualche tempo prima. E anche all’apprensione per
lui durante il
piacevole incontro con Moriarty alla piscina quando lo aveva visto
letteralmente imbragato di esplosivo. O il visibile disappunto sul suo
volto
quando lo aveva visto rivolgersi in maniera tanto confidenziale a
Lestrade,
durante il caso Baskerville… John sorrise, divertito.
“Questo non posso
negarlo”
ammise e la donna sembro re-illuminarsi. Ridacchiò, con una
vocina squillante e
allegra.
“E dire che da bambino non era affatto
così!” cominciò,
“C’era una bambina,
alle elementari, di cui Sherlock era terribilmente innamorato”
John ringraziò di aver abbandonato il suo tè, o
il tailleur della donna di
fronte a lui sarebbe passato da quel grigio perla perfetto ad un
accozzaglia di
macchie scure e briciole di biscotti. Cercò di mantenere un
certo contegno anche
se il nome ‘Sherlock’ e il verbo
‘innamorarsi’ nella stessa frase facevano un
certo effetto, a John.
“Tutto
bene?” domandò la
donna, preoccupata.
“Tutto perfetto, continui pure”
Rivolgendogli lo stesso di
tanto in tanto delle occhiate preoccupate, la donna riprese il racconto.
“Rimaneva sempre silenzioso quando c’era lei, ma a
casa lo vedevo scrivere
ovunque il suo nome, fissare la foto di classe mentre accarezzava il
suo
delizioso faccino sulla carta stampata. Mycroft lo tormentava per
quella cosa,
ma era talmente adorabile…” lo sguardo della donna
era perso nei ricordi, e un
sorriso dolce indicava a John quanta mancanza avesse di quei tempi. Dal
canto
suo, bramava di sapere altro.
“E un giorno
l’ho preso da
parte e gli ho detto che se davvero le voleva così bene
doveva sorprenderla,
fare qualcosa di meraviglioso e plateale per attirare la sua attenzione
e far
si che lei ricambiasse. E sai cosa ha fatto, quel piccolo
genio?”
John sembrava stesse
guardando un film dalla trama intrigante e affascinante. Era proteso
verso di
lei, come se non volesse perdersi una parola.
“Cosa?”
“Ha preso in mano la situazione e si è presentato
una sera sotto casa della
piccola Joanne. Si era portato dietro il suo violino e una composizione
musicale scritta apposta per lei che aveva intitolato ‘La mia
dolce amica
Joanne’” sospirò. John non sapeva se
essere sconvolto oppure divertito come un
matto. Pensando a Sherlock, una cosa del genere era l’ultima
cosa che gli
sarebbe mai passata per la testa. Avrebbe avuto materiale incredibile
per una
moltitudine di frecciatine/ricatti/prese in giro che neanche immaginava.
“Ha suonato tutta la
sera,
con lei alla finestra e giuro che quella piccoletta lo
ricorderà per tutta la
vita. Scese e gli diede un bacio sulla guancia,
abbracciandolo” La signora
Holmes strinse tra loro le mani, come se potesse rivivere
quell’abbraccio “e Sherlock
ha rifiutato di lavarsi per una settimana pur di non lavar via la
traccia di
quel bacio”.
John rimase a fissare la
donna, come intontito.
“Che meraviglia” optò per una reazione
diplomatica e prevedibile. Anche se il
medico era decisamente piacevolmente colpito. La donna
sembrò apprezzarla.
“Non avrà
fatto così anche
con te, John?” domando poi lei ridacchiando.
“Insomma, non ha più otto anni ma
me lo aspetterei”
John la guardò senza capire. Che cosa intendeva con
‘anche con te’?
“Ehm… credo di non comprendere, Signora
Holmes”
“Il vostro primo bacio!” esclamò
battendo le mani. “Insomma, spero abbia
continuato ad usare la doccia anche dopo!”
John strabuzzò gli
occhi
farfugliando parole senza senso, mentre cercava di riconnettere il
cervello
alle sue corde vocali. Cosa… cosa aveva detto?
“Primo bacio?” riuscì a cincischiare,
cercando di ignorare la totale mancanza
di saliva nella sua bocca impastata.
“Ehm…”
“Il primo bacio,
John”
disse poi una voce esterna, proveniente dalla porta
d’ingresso. Sherlock era
sulla soglia, visibilmente teso in volto, con le mani che frugavano
nervosamente nelle tasche. “Il nostro. Lo ricordi,
vero?” gli chiese,
fissandolo come per trasmettergli un qualche messaggio. John comprese
abbastanza da decidere di non controbattere.
“Tesoro!” la donna si alzò dalla
poltrona e corse verso Sherlock,
abbracciandolo affettuosamente. Lui ricambiò con molto
più trasporto di quanto
John si sarebbe mai immaginato.
“Ciao, mamma” disse lui “è
una…sorpresa, vederti”
Lei di tutta risposta, lo abbracciò nuovamente.
“Ho pensato di venire un po’ nella vecchia Londra a
vedere come se la cavavano
i miei due uomini” gli accarezzò dolcemente il
viso, sistemandogli il colletto
della camicia. Sherlock alzò gli occhi al cielo mentre John
premeva il pugno
sulla bocca per costringersi a non scoppiare a ridere. “Sono
passata da Mycroft
ma era troppo impegnato, così ho pensato di venire
qui… e conoscere il tuo
coinquilino” spiegò “o meglio il
tuo…compagno”
squittì, emozionata.
John guardò
Sherlock e poi
la donna, senza capire una parola di quel folle scambio di battute.
Compagno?
Guardò Sherlock, che ancora lo supplicava con lo sguardo di
rimanere in
silenzio e assecondarlo. Fece un terribile sforzo per compiacerlo dato
che
l’unica cosa che aveva voglia di fare in quel momento era
prenderlo da parte e
chiedergli cosa diavolo stava succedendo.
Sherlock si avvicinò al medico, e gli posò una
mano sulla schiena,
strofinandola su e giù.
“E l’hai conosciuto. Cosa te ne pare?”
Sul viso della madre di Sherlock si ripresentò lo stesso
sguardo deliziato e
adorante che aveva sfoggiato per tutta la durata della loro
chiacchierata.
“E’ adorabile, Sherlock. Così a modo,
educato e molto molto carino” lo guardò
ad occhi socchiusi con una strana smorfia sulla faccia, come si
guarderebbe un
paffuto bambino appena nato. “Magari un po’ bassino
ma sono sciocchezze! Le
dimensioni non contano, dopotutto, anche se lì il contesto
è un altro, giusto?”
affermò con voce squillante, aggiustandosi la gonna.
Sherlock trattenne il
respiro, guardando il più lontano possibile dagli occhi di
John e sua madre.
“E immagino sia un contesto che affrontate spesso,
vero?”
ammiccò ai due, mentre Sherlock si passava una mano sulla
faccia, impotente.
John era incapace di spiccicare mezza parola, non dopo
quell’affermazione.
“Ma tranquilli, è perfettamente normale! Quando
una coppia è giovane ha bisogno
di conoscersi, sotto tutti i punti di vista… sapessi io e
tuo padre, i primi
mesi di matrimonio...” si perse nuovamente in fantasticherie.
Sherlock e John
si guardarono, e il medico vide una lampante espressione di scuse sul
volto di
Sherlock. Sembrava avesse scritto in fronte ‘perdonami,
è più forte di me’.
“Preferirei
continuare ad
ignorare certi dettagli, grazie” tagliò corto
Sherlock, con l’espressione di
chi vorrebbe solo eclissarsi e ricomparire su un altro pianeta.
Il dottore cercò di analizzare la situazione con compostezza
e metodo, per
quanto l’assurdità di tutta la vicenda lo
bloccasse in partenza. La madre di
Sherlock era convinta che stessero insieme, e questo era palese.
Vagliò
l’ipotesi che Mycroft le avesse fatto una sorta di scherzo ma
decisamente il
fratello maggiore tutto patria e segretezza di Sherlock non gli
sembrava
decisamente propenso a certe cose. L’unica altra
possibilità era Sherlock. Ma
che motivo avrebbe avuto per dire una cosa simile? Si
ritrovò stranamente
sollevato, dopo il piccolo shock iniziale.
All’improvviso, poi,
dopo
una lunga, lunghissima (o almeno così gli era sembrata, con
gli occhi di Holmes
madre e Holmes figlio puntati addosso) sembrò comprendere ogni cosa.
“Questa è bella” pensò,
intrigato e divertito dalla faccenda. “Non la
passerà
liscia, oh no”
Il braccio di John
scivolò
sulle spalle di Sherlock, cingendolo e attirandolo a sé. La
sua espressione
mutò in un’occhiata amorevole e complice che
sconvolse totalmente Sherlock e
procurò indescrivibile piacere alla donna.
“Sherlock, dovrei parlarti un secondo in privato”
sussurrò all’orecchio di
Sherlock ma a voce abbastanza alta perché anche la donna
potesse sentire. Lei
si alzò in tutta fretta, sembrando a disagio, e
andò in cucina ad armeggiare
con i fornelli.
“Fate pure ragazzi, io nel frattempo preparo una tazza di
tè per Sherlock”
squittì. John afferrò la sciarpa del detective e
lo trascinò su per le scale.
“Questa devi spiegarmela” sbottò contro
Sherlock, con un tono autorevole con
una nota divertita. “Tua madre è convinta che io e
te stiamo insieme. Qualcuno
dovrà pur averglielo confermato e io sono propenso a credere
che sia tutta
opera tua”
Sherlock non distolse lo
sguardo ma si limitò a mordersi un labbro, nervosamente.
Arrossì furiosamente e
John si convinse di aver assistito ad uno degli spettacoli
più rari che avesse
mai avuto il privilegio di ammirare: Sherlock imbarazzato.
“Mi ha telefonato
tempo
fa. Si è messa a farmi la solita ramanzina sul fatto che
sono sempre da solo,
che ho un carattere orribile, che allontano le persone e tutte quelle
cose
noiose che mi sento ripetere ogni giorno e di cui non
m’importa assolutamente
nulla. Insomma, sarebbe finita li se alla fine non mi avesse minacciato di presentarmi alla figlia di
una delle sue amiche del Club del Libro, e a quel punto ho decisamente
preferito inventare una scusa”
John scoppiò a
ridere.
“E io sarei la tua scusa?
Le hai
detto che stai con me?”
Lo sguardo di Sherlock era
eloquente.
“Sa che sei il mio coinquilino, sa che passiamo
l’intera giornata insieme. Eri
la persona perfetta, John”
John sbuffò.
“Non mi hai nemmeno interpellato, prima”
“E’ stata una cosa improvvisa! E lei…lei
era così felice, anche se mi sarei
aspettato un’altra reazione, che non me la sono sentita
di… di telefonarle e
dirle la verità” ammise, guardandosi la punta
delle scarpe.
John lo osservò a lungo, senza poter evitare di sorridere
mentre lo faceva.
Quella conversazione era una delle più umane, normali
che avessero mai avuto, nonostante l’assurdità
della cosa.
Dimostrava quanto Sherlock non fosse così privo di
sentimenti tanto quanto
affermava.
“Guardatelo. Il freddo, geniale Sherlock Holmes che non vuole
dare un
dispiacere alla sua dolce mammina”
Sherlock fece finta di volerlo colpire con un pugno ma John si
ritrasse,
ridendo.
“Piantala. Ho una reputazione”
“Che potrei distruggere in qualunque momento” lo
minacciò John. Sherlock si
avvicinò e lo raggelò con lo sguardo.
“Saprò come vendicarmi, se mai lo farai”
“Lo vedremo” John rise ancora più forte.
“Per adesso però, reggerò il gioco.
Nulla mi toglierà la soddisfazione di sapere che mi devi un
favore”.
Sherlock non
replicò ma
John vide l’ombra di un sorriso sul suo volto prima che
scendesse le scale, per
raggiungere nuovamente il salotto.
“Oh
bentornati” disse la
donna. “Avete fatto in fretta” osservò e
John si sentì avvampare.
“Abbiamo solo
parlato,
mamma” mise in chiaro Sherlock guardando sua madre
esasperato, dato che la
donna era tornata a fissarlo con quello sguardo da chi la sa
più lunga.
“Oh certo, tesoro. Ne sono sicura” agitò
una mano come a liquidare il discorso
e porse una tazza a Sherlock, che la prese controvoglia.
“E’ davvero ben sistemato questo
appartamento” sentenziò guardandosi attorno.
“Molto pulito, a parte i buchi alle pareti e la confusione.
Conoscendoti
Sherlock, immagino che le pulizie le faccia John”
John, non senza un briciolo di autocompiacimento, annuì.
“Oh ma che tesoro.
Dovresti essergli più riconoscente, ragazzino!”
puntò il dito contro Sherlock
come si fa contro un monello dopo una marachella. Questi si
limitò ad annuire,
esaperato.
“Dovresti portarlo fuori più spesso, invece di
star dietro alle tue stramberie
giorno e notte! Fargli qualche regalo, farlo sentire
importante!” lo redarguì.
John decise di punzecchiarlo un po’.
“Dovresti fare come con Joanne” aggiunse il medico,
beccandosi un’occhiata
orripilata e sconvolta da parte del detective che quasi
lasciò cadere la tazza
colma della bevanda calda sul pavimento.
“Tu gli hai detto di Joanne!” sbottò,
rivolgendosi alla donna con aria
accusatoria. “Perché racconti ancora in giro
quella storia?”
La Signora Holmes sembrava
decisamente turbata dalla maniera in cui Sherlock aveva reagito a
quella
scoperta. Si sistemò le maniche e arricciò le
labbra, sollevando un sopracciglio
con aria contrariata. In quello, John non poté fare a meno
di osservare,
assomigliava terribilmente a Mycroft.
“Perché
non dovrei far
sapere in giro che c’è qualcosa di umano in te,
Sherlock? Non mi va che si dica
che sei una specie di automa super intelligente senza alcuno stimolo e
sentimento!” replicò fieramente la donna.
Sherlock batté un pugno sul tavolino da caffè
facendo traballare la pila di
contenitori che vi era appoggiata.
“Ma non con una storia di secoli fa!”
Forse John non avrebbe dovuto essere così allegro, durante
tutta quella storia
e per un secondo si sentì quasi in colpa, ma non poteva
farci nulla. Era qualcosa
di talmente inusuale, e sì, talmente dolce
nella sua stranezza che non poteva far altro che trovarlo terribilmente
divertente.
“E allora dammi
nuovo
materiale, Sherlock!” la donna rispose a tono, con le mani
sui fianchi,
indispettita.
Il detective si voltò verso John in cerca di appoggio, ma il
dottore era fin
troppo occupato a godersi la scena per poter fare alcunché.
Sherlock sbuffò e
si mise le mani tra i capelli, scompigliandoli.
“Forza Sherlock!” disse la Signora Holmes battendo
le mani “John!”.
John sussultò quando si sentì chiamare in causa
dalla donna. La guardò,
cercando di capire le sue intenzioni ma la sua espressione era
totalmente
illeggibile.
“Un bacio, ragazzi! Un bacio è quello che mi ci
vuole!” esclamò, come se fosse
la cosa più semplice del mondo. John fissò
Sherlock e poi la donna, senza
sapere come reagire, senza pensare a nulla.
“Un…un bacio?” chiese alla donna, che
attendeva una loro reazione. Sherlock non
lo aiutava. Anzi, sembrava compiaciuto e più che pronto a
fare quello che sua
madre stava ordinando loro di compiere.
“Certo! Cosa c’è di così
difficile? Lo avrete fatto miliardi di volte” fu il
commento di lei.
“Oh si, miliardi” le diede corda Sherlock. Lo
sguardo che gli rivolse John era
più eloquente che mai. Prima ancora che John potesse
riflettere sul da farsi,
prima ancora di poter scegliere un qualunque tacito insulto da
rivolgere a
Sherlock fu raggiunto dal viso di lui, che annullò
drasticamente le distanze
fra i loro volti, coinvolgendolo in un bacio decisamente appassionato.
John non protestò,
ne
cercò di ritrarsi, mentre afferrava la camicia di Sherlock e
questi afferrava
il suo maglione, cercando di frenare la sua tachicardia improvvisa.
Cercò di
metabolizzare la palese evidenza delle labbra del suo coinquilino
premute
contro le sue e non solo quelle, dato che Sherlock aveva sapientemente
schiuso
le labbra per approfondire il contatto tra le loro bocche in un
intreccio caldo
e piacevole, e John era stato costretto ad ammettere che il tutto stava
diventando tremendamente eccitante. Dove Sherlock avesse imparato John
lo
ignorava completamente ma era totalmente plausibile che fosse qualcosa
di innato,
come quasi ogni sua capacità. John si godette quel bacio,
che fino a poche ore
prime avrebbe creduto impossibile,
come mai con ogni altra persona nella sua vita.
Quando si separarono, per
pure esigenze respiratorie, la Signora Holmes era visibilmente
accaldata oltre
che quasi commossa, a giudicare dalle guance arrossate e gli occhi
lucidi.
“Oh ragazzi, siete stupendi” disse lei,
asciugandosi appena gli occhi con un
fazzoletto in tono con il suo vestito. “Sherlock, sono
veramente fiera di te”.
Sherlock non distolse gli
occhi da quelli di John, che era altrettanto impossibilitato a
rivolgere
altrove lo sguardo. Un qualcosa di grande e intenso sembrò
cominciare a
bruciare dentro di loro, producendo un calore piacevole, confortante.
Qualcosa
che John aveva già assaporato anche se mai in quel modo, e
che Sherlock
scopriva per la prima volta nella sua vita.
L’idillio fu infranto da un inopportuno squillo di cellulare,
che si rivelò
essere quello della madre di Sherlock.
“Oh, non ci voleva” disse la donna, rovistando
nella sua borsetta e tirandone
fuori il cellulare, armeggiando con la tastiera per aprire la chiamata.
“Oh, Mycroft!” squillò la sua vocina,
quando identificò il chiamante. “Sei
tornato, tesoro! Cosa dici? Adesso?” rivolse un veloce
sguardo a Sherlock e
John, che esattamente nello stesso posto in cui erano fermi ormai da
quasi
dieci minuti, la guardavano a sua volta. “Certo. Con tuo
fratello ho concluso,
posso prendere un taxi” chiuse la chiamata e ripose il
cellulare.
Si avvicinò a John
con un
sorriso a trentadue denti e strinse le mani del medico tra le sue, con
dolcezza.
“Mi ha veramente fatto piacere conoscerti, caro. Sono sicura
che sarete felici”
gli augurò, con voce amabile. John le sorrise a sua volta.
“E’ stato un piacere
anche per me Signora Holmes, davvero. Spero di rivederla
presto”.
Lei arricciò il
naso,
compiaciuta. Poi si rivolse a Sherlock abbracciandolo nuovamente. Lui
ricambiò
con ancora più trasporto di prima.
“Abbi cura di te, tesoro” gli disse “e di
John, ovviamente! Ricordati quello
che ti ho detto!”
Sherlock guardò
John con
occhio complice poi annuì, con aria rassegnata.
“Te lo prometto” disse.
La donna batté le mani, allegramente.
“Bravo ragazzo” sentenziò. “Ci
vediamo presto. E chiama qualche volta!” disse,
sul pianerottolo scendendo le scale. Quando sentirono il portone
chiudersi,
entrambi si accasciarono sulle loro poltrone.
“Mio Dio,
Sherlock” John
ruppe il silenzio. “Tua madre è una forza della
natura”
“E ha una forza altrettanto distruttiva”
sbottò il detective, appoggiando il
collo sullo schienale, rilassandosi.
“Parla il cocco di
mammina” lo punzecchiò John e Sherlock gli rivolse
un’occhiata scocciata di
risposta.
John sorrise e si
rilassò
anche lui, cercando di fare il punto su tutto quello che era successo.
Non
sapeva cosa pensare e non traeva alcuna conclusione, ma non poteva
evitare di
sentirsi terribilmente bene.
“Dimentica la
storiella di
Joanne, ti prego” lo pregò Sherlock fissandolo.
“Ma era adorabile, Sherlock” esclamò.
Sherlock sbuffò, ma vide un’espressione sollevata
sul suo volto. Non era
seriamente arrabbiato.
“E a questo punto, tesoro”
lo
punzecchiò John “pretendo una tua composizione
originale intitolata ‘Il mio
dolce amico John’”
Sherlock, con gli occhi chiusi in totale relax, non poté
fare a meno di
scoppiare a ridere, a quelle parole.
“Certo, John. Mi ci
metterò domani” asserì.
Il silenzio che seguì poi però, fece sprofondare
John in una nuova attesa piena
di dubbi.
Si sollevò dalla
poltrona
e si sedette al davanzale, in cerca di qualcosa da fare per ingannare
il tempo
e per riempire quel momento vuoto, aspettando che Sherlock parlasse,
che
dicesse qualcosa, anche solo una
parola su quello che era accaduto. Non era possibile che per lui fosse
stata
solo finzione, che fosse rimasto totalmente indifferente di fronte a
quel bacio
e John lo sapeva. Qualcosa si era acceso dentro di lui ed era
praticamente
certo che quello stesso qualcosa
fosse successo anche dentro il suo impassibile compagno.
“Sherlock”
disse,
osservando alla finestra e guardando la madre di Sherlock ancora
dall’altro
lato della strada che si sbracciava per salutarli da lontano. Lui
ricambiò il
saluto, divertito. “Tua madre è qui
sotto”.
Sherlock aprì gli occhi e sbuffò, alzandosi e
raggiungendo il dottore accanto
alla finestra. Si sporse appena e rivolse un cenno alla madre che
però non
contenta, li osservò con sguardo supplichevole, unendo le
mani in una muta
preghiera.
“Credo che voglia un altro bacio” Sherlock
interpretò il gesto. John sembrò
pensieroso all’idea, spaventando decisamente Sherlock, ma
rivolgendogli poi
un’occhiata divertita.
“Credo si possa fare” riuscì a dire,
prima di essere nuovamente catturato dal
dolce contatto con la bocca dell’altro. Lo afferrò
saldamente ai fianchi questa
volta, attirandolo a sé più che poteva mentre
Sherlock faceva lo stesso
affondando le sue dita tra i capelli biondi del dottore, cercando di
eliminare
quanto più possibile le distanze tra i loro corpi. E a
Sherlock piaceva il
contatto con le mani abili del suo coinquilino, le sue carezze, il modo
possessivo e dolce con cui lo stringeva a sé così
come John adorava quelle mani
tra i suoi capelli, sul suo collo, sulla sua pelle. Entrambi avrebbero
desiderato che quel contatto non finisse mai.
John si separò da lui quando bastava per riacquistare fiato
e notò che la donna
era appena salita su un taxi di passaggio. Lasciò comunque
che Sherlock
riprendesse il bacio, ridendo contro la sua bocca, lasciando che il
respiro del
detective lo accarezzasse.
“Possiamo smettere, sai?” disse, soffiando sulle
labbra umide dell’altro. “Tua
madre è appena salita su un taxi”.
Sherlock lo guardò, ridacchiando.
“Quella donna sa essere subdola e piena di risorse. Potrebbe
essere nascosta
dietro una siepe a controllarci. O dietro la colonna della
posta”
John non riuscì a trattenere una risata.
“Oh beh, in questo caso sarà meglio continuare
ancora per un po’, cosa ne dici?”
*