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Autore: SAranel    20/03/2012    18 recensioni
In una tranquilla giornata d'autunno, un' inaspettata sorpresa attende Sherlock e John al 221b. Una persona a Sherlock molto cara porterà un po' di scompiglio, ma aiuterà i due a scoprire qualcosa di veramente importante... che succederà?
“Ma tranquilli, è perfettamente normale! Quando una coppia è giovane ha bisogno di conoscersi, sotto tutti i punti di vista… sapessi io e tuo padre, i primi mesi di matrimonio...” si perse nuovamente in fantasticherie. Sherlock e John si guardarono, e il medico vide una lampante espressione di scuse sul volto di Sherlock. Sembrava avesse scritto in fronte ‘perdonami, è più forte di me’.
“Preferirei continuare ad ignorare certi dettagli, grazie” tagliò corto Sherlock, con l’espressione di chi vorrebbe solo eclissarsi e ricomparire su un altro pianeta.[...]
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera!
Mi è impossibile staccarmi da questo fandom, devo pubblicare assolutamente quando butto giù qualche idea! E’ veramente gratificante, e voi siete fantastici, grazie mille, mille mille!
Questa è un po’ diversa dalle altre, in quanto introduco un personaggio non descritto nei libri o dalla BBC (tranquilli, non è una bionda e formosa Mary-Sue che attenta alla storia d’amore dei nostri due beniamini) bensì la madre di Sherlock, l’eccentrica ma simpatica Signora Holmes.
Sperando vivamente che vi piaccia, e di non aver fatto troppo male, vi auguro una buona lettura!

S.

 

 

 

Tutto merito di mamma

 

*

 

 

 

 

Quando John ritornò al 221b, carico di buste della spesa, Sherlock non era in casa. Il medico si era aspettato di trovare casa vuota al suo ritorno e così era salito imprecando fra sé e sé per la fila interminabile da Tesco, per le sue maledette casse automatiche e per il fatto che non sarebbe mai stato troppo presto quando il suo coinquilino si sarebbe deciso a dare una mano nelle faccende domestiche, qualche volta.
Proprio per questo quasi cadde contro il tavolino da caffè quando scorse una figura seduta sulla poltrona di Sherlock.

“Oh mio Dio!” gridò, lasciando cadere una delle buste sul parquet, con un tonfo secco. Fissò lo sconosciuto, o meglio, la sconosciuta, che adesso gli rivolgeva un sorriso gentile e curioso, guardandolo da capo a piedi come se cercasse di sfogliarlo come un libro.

Era una signora non più tanto giovane ma ugualmente signorile ed elegante. Indossava un tailleur grigio che ben si intonava ai suoi acquosi occhi chiari e i capelli castani erano raccolti in un intreccio elaborato tenuto su da un fermaglio.
Più John la guardava, più quella donna gli sembrava terribilmente familiare.
Quando John riacquistò la parola la donna era ancora li a fissarlo, come imbambolata. La sua espressione adesso era cambiata dall’incuriosito all’intenerito, come se John fosse indecentemente adorabile, ai suoi occhi. Il dottore si sentiva quasi come un orsetto di peluche in una vetrina di Hamleys bramato da una bambina per la strada.
“Buongiorno!” disse poi la donna, probabilmente decidendo di averlo osservato a sufficienza “Il Dottor Watson, presumo” continuò con una voce cristallina e stranamente profonda per un fisico come il suo. John non sapeva ancora cosa pensare.
“Sono io. E questo è il mio appartamento. E lei è?...” John si costrinse a chiedere, cercando nel frattempo di visualizzare qualcosa nella stanza che avrebbe potuto utilizzare come difesa nel caso quella donna si fosse rivelata pericolosa. Con Sherlock e i suoi clienti il modo di dire ‘mai fidarsi delle apparenze’ era quanto mai appropriato.
Lei gli sorrise, melliflua.

“Oh mi scusi per il modo in cui mi sono introdotta in casa sua, ma la gentilissima Signora Hudson ha detto che avrei potuto aspettare qui” indicò con lo sguardo il pianerottolo attraverso la porta ancora aperta. “Dubito che qualcuno le abbia mai parlato di me” esordì, storcendo il naso, evidentemente irritata a quel pensiero. “Sono la Signora Holmes. La madre di Sherlock”.

John sbarrò gli occhi come se avesse appena visto un marziano: Sherlock l’aveva menzionata così raramente che quasi aveva dimenticato che Sherlock e Mycroft avessero effettivamente dei genitori. La signora poi, e si sentiva uno stupido a non aver collegato prima, aveva una somiglianza impressionante con Sherlock molto più che con Mycroft. Il viso era ovviamente più armonioso e garbato (nonostante Sherlock fosse decisamente molto attraente così com’era, ma John arrossiva ogni volta che si trovava a riconoscerlo) ma la forma particolare delle labbra, il naso dritto e gli espressivi occhi chiari erano decisamente quelli della donna di fronte a lui.

“Oh, Signora Holmes, ehm” John si ritrovò spiazzato, senza saper cosa dire. “E’ un vero…un vero piacere conoscerla finalmente” gli porse una mano, educatamente, e la donna gli sorrise ancora più sollevata, stringendola. Si sedette nuovamente sulla poltrona di Sherlock, e John si strofinò le mani, indeciso sul come comportarsi.
“Come… come mai da queste parti?” le domandò, anche se non era sicuro di aver formulato la domanda nel modo appropriato. Riascoltandosi, sembrava che l’avesse chiesto come se l’irritasse la sua presenza. La signora però non parve affatto offesa.
“Oh, è da tanto che non vedevo i miei figli, Dottor Watson”
“Mi chiami pure John, la prego” intervenne lui.
I suoi occhi si illuminarono, di nuovo con quell’espressione ammirata, come se la sua fosse una gentilezza d’altri tempi.
John, allora” asserì “quei due non fanno altro che farmi rischiare un infarto al giorno, ma sono comunque i miei bambini e beh, una madre ne sente sempre la mancanza” spiegò.
“Capisco perfettamente” John annuì, con la mente proiettata sulla fantomatica e inquietante immagine di Sherlock e Mycroft bambini. Ogni tanto credeva che quei due fossero nati direttamente già adulti. “Sherlock sarà qui a momenti. E’ a Scotland Yard, per alcune…faccende”
La signora Holmes sbuffò, scuotendo la testa.
“Sarà dentro qualcuno dei suoi pasticci, vero? Oh, quel ragazzo non cambierà mai” esclamò con voce mista tra il preoccupato e lo spazientito.
John era tutt’altro che pronto ad affrontare l’argomento del cacciarsi continuamente in enormi pasticci di Sherlock e decise di prendere un po’ di tempo a preparare una tazza di tè per la donna, che subito accettò con entusiasmo, anche se ancora immersa nei suoi pensieri.

“Sempre ad un passo dal saltare in aria! E rifiuta anche l’aiuto di Mycroft…” si ricollegò all’argomento che John aveva cercato in tutti i modi di evitare e lui si morse la lingua, scervellandosi su qualcosa di brillante da dire.
“Beh…Mycroft sa come… rendersi poco sopportabile” ammise, anche se subito se ne pentì dato che Mycroft era comunque suo figlio. Lei però non sembrò affatto prendersela.
“Oh come lo so, sempre stati difficili quei due. Non so come sono sopravvissuta fino ad adesso”

Quando le porse la tazza lei ringraziò cortesemente, e si guardò attorno, soffermandosi con espressione atterrita davanti al teschio sul camino, al muro martoriato dai proiettili e agli strani contenitori accatastati sul tavolo del salotto.
“E’ opera sua” il medico lesse nei pensieri della donna che gli sorrise mestamente “ha un carattere abbastanza… difficile quando si annoia”

Lei emise uno strano versetto squillante, come una strana bambola per bambini quando le si schiaccia la pancia. John lo interpretò come un ‘non sai quanto ti capisco’.
“Una volta ha fatto esplodere la finestra di camera sua con qualche robaccia trovata in cantina. E avresti dovuto vedere quanto era felice!” cominciò a raccontare, e John in quel momento si sentì terribilmente come una sorta di psicanalista. “Per non parlare di quanto ha nascosto una colonia di millepiedi in una scatola aperta sotto il letto di Mycroft! Quel povero ragazzo non ha più voluto dormire su quel materasso fin quando non è partito per l’Università. Oh, che ragazzaccio…” sorseggiò un po’ del suo tè mentre John ascoltava come rapito le parole della donna. Gli sembrava di entrare più profondamente in una parte della vita di Sherlock che non aveva mai conosciuto. Oltre qualche sporadica informazione scoperta così per caso, parlando del più e del meno, John ignorava completamente l’infanzia di Sherlock. Quei piccoli particolari seppur piccoli e relativamente insignificanti affascinavano John più di quanto si potesse immaginare. Oltre al fatto che, e per un secondo si era odiato per quello, avrebbe adorato ascoltare qualche aneddoto imbarazzante su di lui. Ridacchiò, sommessamente.
“Diciamo che non è cambiato molto” John le rispose e lei finì di bere il suo tè, appoggiando la tazza sul tavolo già strapieno lì accanto. Lei annuì pensierosa, prima di sollevare lo sguardo e puntare gli occhi in quelli di John, pieni di dolcezza. La bocca di lei era piegata in un sorrisino ancora più stucchevole.
“Oltre tutto questo John, com’è vivere con Sherlock? Insomma, è un buon compagno, pericoli mortali a parte? Ti tratta bene? E’…abbastanza affettuoso?”

John quasi si strozzò con il suo tè non ancora finito. Si decise a smettere di bere per la sua incolumità e tossicchiò, sperando che la Signora Holmes non se la prendesse a male.
“Beh, non mi lamento. La mia vita è decisamente piena, adesso. Ma…diciamo che le dimostrazioni d’affetto non sono il forte di Sherlock”

Lei piegò la testa, come a voler osservare John da un’altra angolazione. In quanto ad eccentricità, anche se non a quei livelli, Sherlock era palesemente identico a lei.

“Oh immagino di si, e mi dispiace. Insomma per te dev’essere difficile non ricevere nessuna…palese dimostrazione, ma sono sicuro che lo fa a modo suo”
John ripensò alla definizione di ‘indirizzatore di luce’ che gli aveva affibbiato qualche tempo prima. E anche all’apprensione per lui durante il piacevole incontro con Moriarty alla piscina quando lo aveva visto letteralmente imbragato di esplosivo. O il visibile disappunto sul suo volto quando lo aveva visto rivolgersi in maniera tanto confidenziale a Lestrade, durante il caso Baskerville… John sorrise, divertito.

“Questo non posso negarlo” ammise e la donna sembro re-illuminarsi. Ridacchiò, con una vocina squillante e allegra.
“E dire che da bambino non era affatto così!” cominciò, “C’era una bambina, alle elementari, di cui Sherlock era terribilmente innamorato”
John ringraziò di aver abbandonato il suo tè, o il tailleur della donna di fronte a lui sarebbe passato da quel grigio perla perfetto ad un accozzaglia di macchie scure e briciole di biscotti. Cercò di mantenere un certo contegno anche se il nome ‘Sherlock’ e il verbo ‘innamorarsi’ nella stessa frase facevano un certo effetto, a John.

“Tutto bene?” domandò la donna, preoccupata.
“Tutto perfetto, continui pure”

Rivolgendogli lo stesso di tanto in tanto delle occhiate preoccupate, la donna riprese il racconto.
“Rimaneva sempre silenzioso quando c’era lei, ma a casa lo vedevo scrivere ovunque il suo nome, fissare la foto di classe mentre accarezzava il suo delizioso faccino sulla carta stampata. Mycroft lo tormentava per quella cosa, ma era talmente adorabile…” lo sguardo della donna era perso nei ricordi, e un sorriso dolce indicava a John quanta mancanza avesse di quei tempi. Dal canto suo, bramava di sapere altro.

“E un giorno l’ho preso da parte e gli ho detto che se davvero le voleva così bene doveva sorprenderla, fare qualcosa di meraviglioso e plateale per attirare la sua attenzione e far si che lei ricambiasse. E sai cosa ha fatto, quel piccolo genio?”

John sembrava stesse guardando un film dalla trama intrigante e affascinante. Era proteso verso di lei, come se non volesse perdersi una parola.
“Cosa?”
“Ha preso in mano la situazione e si è presentato una sera sotto casa della piccola Joanne. Si era portato dietro il suo violino e una composizione musicale scritta apposta per lei che aveva intitolato ‘La mia dolce amica Joanne’” sospirò. John non sapeva se essere sconvolto oppure divertito come un matto. Pensando a Sherlock, una cosa del genere era l’ultima cosa che gli sarebbe mai passata per la testa. Avrebbe avuto materiale incredibile per una moltitudine di frecciatine/ricatti/prese in giro che neanche immaginava.

“Ha suonato tutta la sera, con lei alla finestra e giuro che quella piccoletta lo ricorderà per tutta la vita. Scese e gli diede un bacio sulla guancia, abbracciandolo” La signora Holmes strinse tra loro le mani, come se potesse rivivere quell’abbraccio “e Sherlock ha rifiutato di lavarsi per una settimana pur di non lavar via la traccia di quel bacio”.

John rimase a fissare la donna, come intontito.
“Che meraviglia” optò per una reazione diplomatica e prevedibile. Anche se il medico era decisamente piacevolmente colpito. La donna sembrò apprezzarla.

“Non avrà fatto così anche con te, John?” domando poi lei ridacchiando. “Insomma, non ha più otto anni ma me lo aspetterei”
John la guardò senza capire. Che cosa intendeva con ‘anche con te’?
“Ehm… credo di non comprendere, Signora Holmes”
“Il vostro primo bacio!” esclamò battendo le mani. “Insomma, spero abbia continuato ad usare la doccia anche dopo!”

John strabuzzò gli occhi farfugliando parole senza senso, mentre cercava di riconnettere il cervello alle sue corde vocali. Cosa… cosa aveva detto?
“Primo bacio?” riuscì a cincischiare, cercando di ignorare la totale mancanza di saliva nella sua bocca impastata. “Ehm…”

“Il primo bacio, John” disse poi una voce esterna, proveniente dalla porta d’ingresso. Sherlock era sulla soglia, visibilmente teso in volto, con le mani che frugavano nervosamente nelle tasche. “Il nostro. Lo ricordi, vero?” gli chiese, fissandolo come per trasmettergli un qualche messaggio. John comprese abbastanza da decidere di non controbattere.
“Tesoro!” la donna si alzò dalla poltrona e corse verso Sherlock, abbracciandolo affettuosamente. Lui ricambiò con molto più trasporto di quanto John si sarebbe mai immaginato.
“Ciao, mamma” disse lui “è una…sorpresa, vederti”
Lei di tutta risposta, lo abbracciò nuovamente.
“Ho pensato di venire un po’ nella vecchia Londra a vedere come se la cavavano i miei due uomini” gli accarezzò dolcemente il viso, sistemandogli il colletto della camicia. Sherlock alzò gli occhi al cielo mentre John premeva il pugno sulla bocca per costringersi a non scoppiare a ridere. “Sono passata da Mycroft ma era troppo impegnato, così ho pensato di venire qui… e conoscere il tuo coinquilino” spiegò “o meglio il tuo…compagno” squittì, emozionata.

John guardò Sherlock e poi la donna, senza capire una parola di quel folle scambio di battute. Compagno? Guardò Sherlock, che ancora lo supplicava con lo sguardo di rimanere in silenzio e assecondarlo. Fece un terribile sforzo per compiacerlo dato che l’unica cosa che aveva voglia di fare in quel momento era prenderlo da parte e chiedergli cosa diavolo stava succedendo.
Sherlock si avvicinò al medico, e gli posò una mano sulla schiena, strofinandola su e giù.
“E l’hai conosciuto. Cosa te ne pare?”
Sul viso della madre di Sherlock si ripresentò lo stesso sguardo deliziato e adorante che aveva sfoggiato per tutta la durata della loro chiacchierata.
“E’ adorabile, Sherlock. Così a modo, educato e molto molto carino” lo guardò ad occhi socchiusi con una strana smorfia sulla faccia, come si guarderebbe un paffuto bambino appena nato. “Magari un po’ bassino ma sono sciocchezze! Le dimensioni non contano, dopotutto, anche se lì il contesto è un altro, giusto?” affermò con voce squillante, aggiustandosi la gonna. Sherlock trattenne il respiro, guardando il più lontano possibile dagli occhi di John e sua madre.

“E immagino sia un contesto che affrontate spesso, vero?” ammiccò ai due, mentre Sherlock si passava una mano sulla faccia, impotente. John era incapace di spiccicare mezza parola, non dopo quell’affermazione.
“Ma tranquilli, è perfettamente normale! Quando una coppia è giovane ha bisogno di conoscersi, sotto tutti i punti di vista… sapessi io e tuo padre, i primi mesi di matrimonio...” si perse nuovamente in fantasticherie. Sherlock e John si guardarono, e il medico vide una lampante espressione di scuse sul volto di Sherlock. Sembrava avesse scritto in fronte ‘perdonami, è più forte di me’.

“Preferirei continuare ad ignorare certi dettagli, grazie” tagliò corto Sherlock, con l’espressione di chi vorrebbe solo eclissarsi e ricomparire su un altro pianeta.
Il dottore cercò di analizzare la situazione con compostezza e metodo, per quanto l’assurdità di tutta la vicenda lo bloccasse in partenza. La madre di Sherlock era convinta che stessero insieme, e questo era palese. Vagliò l’ipotesi che Mycroft le avesse fatto una sorta di scherzo ma decisamente il fratello maggiore tutto patria e segretezza di Sherlock non gli sembrava decisamente propenso a certe cose. L’unica altra possibilità era Sherlock. Ma che motivo avrebbe avuto per dire una cosa simile? Si ritrovò stranamente sollevato, dopo il piccolo shock iniziale.

All’improvviso, poi, dopo una lunga, lunghissima (o almeno così gli era sembrata, con gli occhi di Holmes madre e Holmes figlio puntati addosso) sembrò comprendere ogni cosa.
“Questa è bella” pensò, intrigato e divertito dalla faccenda. “Non la passerà liscia, oh no”

Il braccio di John scivolò sulle spalle di Sherlock, cingendolo e attirandolo a sé. La sua espressione mutò in un’occhiata amorevole e complice che sconvolse totalmente Sherlock e procurò indescrivibile piacere alla donna.
“Sherlock, dovrei parlarti un secondo in privato” sussurrò all’orecchio di Sherlock ma a voce abbastanza alta perché anche la donna potesse sentire. Lei si alzò in tutta fretta, sembrando a disagio, e andò in cucina ad armeggiare con i fornelli.
“Fate pure ragazzi, io nel frattempo preparo una tazza di tè per Sherlock” squittì. John afferrò la sciarpa del detective e lo trascinò su per le scale.
“Questa devi spiegarmela” sbottò contro Sherlock, con un tono autorevole con una nota divertita. “Tua madre è convinta che io e te stiamo insieme. Qualcuno dovrà pur averglielo confermato e io sono propenso a credere che sia tutta opera tua”

Sherlock non distolse lo sguardo ma si limitò a mordersi un labbro, nervosamente. Arrossì furiosamente e John si convinse di aver assistito ad uno degli spettacoli più rari che avesse mai avuto il privilegio di ammirare: Sherlock imbarazzato.

“Mi ha telefonato tempo fa. Si è messa a farmi la solita ramanzina sul fatto che sono sempre da solo, che ho un carattere orribile, che allontano le persone e tutte quelle cose noiose che mi sento ripetere ogni giorno e di cui non m’importa assolutamente nulla. Insomma, sarebbe finita li se alla fine non mi avesse minacciato di presentarmi alla figlia di una delle sue amiche del Club del Libro, e a quel punto ho decisamente preferito inventare una scusa”

John scoppiò a ridere.
“E io sarei la tua scusa? Le hai detto che stai con me?”

Lo sguardo di Sherlock era eloquente.
“Sa che sei il mio coinquilino, sa che passiamo l’intera giornata insieme. Eri la persona perfetta, John”
John sbuffò.
“Non mi hai nemmeno interpellato, prima”
“E’ stata una cosa improvvisa! E lei…lei era così felice, anche se mi sarei aspettato un’altra reazione, che non me la sono sentita di… di telefonarle e dirle la verità” ammise, guardandosi la punta delle scarpe.
John lo osservò a lungo, senza poter evitare di sorridere mentre lo faceva. Quella conversazione era una delle più umane, normali che avessero mai avuto, nonostante l’assurdità della cosa. Dimostrava quanto Sherlock non fosse così privo di sentimenti tanto quanto affermava.
“Guardatelo. Il freddo, geniale Sherlock Holmes che non vuole dare un dispiacere alla sua dolce mammina”
Sherlock fece finta di volerlo colpire con un pugno ma John si ritrasse, ridendo.
“Piantala. Ho una reputazione”
“Che potrei distruggere in qualunque momento” lo minacciò John. Sherlock si avvicinò e lo raggelò con lo sguardo.
“Saprò come vendicarmi, se mai lo farai”
“Lo vedremo” John rise ancora più forte. “Per adesso però, reggerò il gioco. Nulla mi toglierà la soddisfazione di sapere che mi devi un favore”.

Sherlock non replicò ma John vide l’ombra di un sorriso sul suo volto prima che scendesse le scale, per raggiungere nuovamente il salotto.

 

“Oh bentornati” disse la donna. “Avete fatto in fretta” osservò e John si sentì avvampare.

“Abbiamo solo parlato, mamma” mise in chiaro Sherlock guardando sua madre esasperato, dato che la donna era tornata a fissarlo con quello sguardo da chi la sa più lunga.
“Oh certo, tesoro. Ne sono sicura” agitò una mano come a liquidare il discorso e porse una tazza a Sherlock, che la prese controvoglia.
“E’ davvero ben sistemato questo appartamento” sentenziò guardandosi attorno. “Molto pulito, a parte i buchi alle pareti e la confusione. Conoscendoti Sherlock, immagino che le pulizie le faccia John”
John, non senza un briciolo di autocompiacimento, annuì.

“Oh ma che tesoro. Dovresti essergli più riconoscente, ragazzino!” puntò il dito contro Sherlock come si fa contro un monello dopo una marachella. Questi si limitò ad annuire, esaperato.
“Dovresti portarlo fuori più spesso, invece di star dietro alle tue stramberie giorno e notte! Fargli qualche regalo, farlo sentire importante!” lo redarguì.
John decise di punzecchiarlo un po’.
“Dovresti fare come con Joanne” aggiunse il medico, beccandosi un’occhiata orripilata e sconvolta da parte del detective che quasi lasciò cadere la tazza colma della bevanda calda sul pavimento.
“Tu gli hai detto di Joanne!” sbottò, rivolgendosi alla donna con aria accusatoria. “Perché racconti ancora in giro quella storia?”

La Signora Holmes sembrava decisamente turbata dalla maniera in cui Sherlock aveva reagito a quella scoperta. Si sistemò le maniche e arricciò le labbra, sollevando un sopracciglio con aria contrariata. In quello, John non poté fare a meno di osservare, assomigliava terribilmente a Mycroft.

“Perché non dovrei far sapere in giro che c’è qualcosa di umano in te, Sherlock? Non mi va che si dica che sei una specie di automa super intelligente senza alcuno stimolo e sentimento!” replicò fieramente la donna.
Sherlock batté un pugno sul tavolino da caffè facendo traballare la pila di contenitori che vi era appoggiata.
“Ma non con una storia di secoli fa!”
Forse John non avrebbe dovuto essere così allegro, durante tutta quella storia e per un secondo si sentì quasi in colpa, ma non poteva farci nulla. Era qualcosa di talmente inusuale, e sì, talmente dolce nella sua stranezza che non poteva far altro che trovarlo terribilmente divertente.

“E allora dammi nuovo materiale, Sherlock!” la donna rispose a tono, con le mani sui fianchi, indispettita.
Il detective si voltò verso John in cerca di appoggio, ma il dottore era fin troppo occupato a godersi la scena per poter fare alcunché. Sherlock sbuffò e si mise le mani tra i capelli, scompigliandoli.
“Forza Sherlock!” disse la Signora Holmes battendo le mani “John!”.
John sussultò quando si sentì chiamare in causa dalla donna. La guardò, cercando di capire le sue intenzioni ma la sua espressione era totalmente illeggibile.
“Un bacio, ragazzi! Un bacio è quello che mi ci vuole!” esclamò, come se fosse la cosa più semplice del mondo. John fissò Sherlock e poi la donna, senza sapere come reagire, senza pensare a nulla.
“Un…un bacio?” chiese alla donna, che attendeva una loro reazione. Sherlock non lo aiutava. Anzi, sembrava compiaciuto e più che pronto a fare quello che sua madre stava ordinando loro di compiere.
“Certo! Cosa c’è di così difficile? Lo avrete fatto miliardi di volte” fu il commento di lei.
“Oh si, miliardi” le diede corda Sherlock. Lo sguardo che gli rivolse John era più eloquente che mai. Prima ancora che John potesse riflettere sul da farsi, prima ancora di poter scegliere un qualunque tacito insulto da rivolgere a Sherlock fu raggiunto dal viso di lui, che annullò drasticamente le distanze fra i loro volti, coinvolgendolo in un bacio decisamente appassionato.

John non protestò, ne cercò di ritrarsi, mentre afferrava la camicia di Sherlock e questi afferrava il suo maglione, cercando di frenare la sua tachicardia improvvisa. Cercò di metabolizzare la palese evidenza delle labbra del suo coinquilino premute contro le sue e non solo quelle, dato che Sherlock aveva sapientemente schiuso le labbra per approfondire il contatto tra le loro bocche in un intreccio caldo e piacevole, e John era stato costretto ad ammettere che il tutto stava diventando tremendamente eccitante. Dove Sherlock avesse imparato John lo ignorava completamente ma era totalmente plausibile che fosse qualcosa di innato, come quasi ogni sua capacità. John si godette quel bacio, che fino a poche ore prime avrebbe creduto impossibile, come mai con ogni altra persona nella sua vita.

Quando si separarono, per pure esigenze respiratorie, la Signora Holmes era visibilmente accaldata oltre che quasi commossa, a giudicare dalle guance arrossate e gli occhi lucidi.
“Oh ragazzi, siete stupendi” disse lei, asciugandosi appena gli occhi con un fazzoletto in tono con il suo vestito. “Sherlock, sono veramente fiera di te”.

Sherlock non distolse gli occhi da quelli di John, che era altrettanto impossibilitato a rivolgere altrove lo sguardo. Un qualcosa di grande e intenso sembrò cominciare a bruciare dentro di loro, producendo un calore piacevole, confortante. Qualcosa che John aveva già assaporato anche se mai in quel modo, e che Sherlock scopriva per la prima volta nella sua vita.
L’idillio fu infranto da un inopportuno squillo di cellulare, che si rivelò essere quello della madre di Sherlock.
“Oh, non ci voleva” disse la donna, rovistando nella sua borsetta e tirandone fuori il cellulare, armeggiando con la tastiera per aprire la chiamata.
“Oh, Mycroft!” squillò la sua vocina, quando identificò il chiamante. “Sei tornato, tesoro! Cosa dici? Adesso?” rivolse un veloce sguardo a Sherlock e John, che esattamente nello stesso posto in cui erano fermi ormai da quasi dieci minuti, la guardavano a sua volta. “Certo. Con tuo fratello ho concluso, posso prendere un taxi” chiuse la chiamata e ripose il cellulare.

Si avvicinò a John con un sorriso a trentadue denti e strinse le mani del medico tra le sue, con dolcezza.
“Mi ha veramente fatto piacere conoscerti, caro. Sono sicura che sarete felici” gli augurò, con voce amabile. John le sorrise a sua volta. “E’ stato un piacere anche per me Signora Holmes, davvero. Spero di rivederla presto”.

Lei arricciò il naso, compiaciuta. Poi si rivolse a Sherlock abbracciandolo nuovamente. Lui ricambiò con ancora più trasporto di prima.
“Abbi cura di te, tesoro” gli disse “e di John, ovviamente! Ricordati quello che ti ho detto!”

Sherlock guardò John con occhio complice poi annuì, con aria rassegnata.
“Te lo prometto” disse.
La donna batté le mani, allegramente.
“Bravo ragazzo” sentenziò. “Ci vediamo presto. E chiama qualche volta!” disse, sul pianerottolo scendendo le scale. Quando sentirono il portone chiudersi, entrambi si accasciarono sulle loro poltrone.

“Mio Dio, Sherlock” John ruppe il silenzio. “Tua madre è una forza della natura”
“E ha una forza altrettanto distruttiva” sbottò il detective, appoggiando il collo sullo schienale, rilassandosi.

“Parla il cocco di mammina” lo punzecchiò John e Sherlock gli rivolse un’occhiata scocciata di risposta.

John sorrise e si rilassò anche lui, cercando di fare il punto su tutto quello che era successo. Non sapeva cosa pensare e non traeva alcuna conclusione, ma non poteva evitare di sentirsi terribilmente bene.

“Dimentica la storiella di Joanne, ti prego” lo pregò Sherlock fissandolo.
“Ma era adorabile, Sherlock” esclamò.
Sherlock sbuffò, ma vide un’espressione sollevata sul suo volto. Non era seriamente arrabbiato.
“E a questo punto, tesoro” lo punzecchiò John “pretendo una tua composizione originale intitolata ‘Il mio dolce amico John’”
Sherlock, con gli occhi chiusi in totale relax, non poté fare a meno di scoppiare a ridere, a quelle parole.

“Certo, John. Mi ci metterò domani” asserì.
Il silenzio che seguì poi però, fece sprofondare John in una nuova attesa piena di dubbi.

Si sollevò dalla poltrona e si sedette al davanzale, in cerca di qualcosa da fare per ingannare il tempo e per riempire quel momento vuoto, aspettando che Sherlock parlasse, che dicesse qualcosa, anche solo una parola su quello che era accaduto. Non era possibile che per lui fosse stata solo finzione, che fosse rimasto totalmente indifferente di fronte a quel bacio e John lo sapeva. Qualcosa si era acceso dentro di lui ed era praticamente certo che quello stesso qualcosa fosse successo anche dentro il suo impassibile compagno.

“Sherlock” disse, osservando alla finestra e guardando la madre di Sherlock ancora dall’altro lato della strada che si sbracciava per salutarli da lontano. Lui ricambiò il saluto, divertito. “Tua madre è qui sotto”.
Sherlock aprì gli occhi e sbuffò, alzandosi e raggiungendo il dottore accanto alla finestra. Si sporse appena e rivolse un cenno alla madre che però non contenta, li osservò con sguardo supplichevole, unendo le mani in una muta preghiera.
“Credo che voglia un altro bacio” Sherlock interpretò il gesto. John sembrò pensieroso all’idea, spaventando decisamente Sherlock, ma rivolgendogli poi un’occhiata divertita.
“Credo si possa fare” riuscì a dire, prima di essere nuovamente catturato dal dolce contatto con la bocca dell’altro. Lo afferrò saldamente ai fianchi questa volta, attirandolo a sé più che poteva mentre Sherlock faceva lo stesso affondando le sue dita tra i capelli biondi del dottore, cercando di eliminare quanto più possibile le distanze tra i loro corpi. E a Sherlock piaceva il contatto con le mani abili del suo coinquilino, le sue carezze, il modo possessivo e dolce con cui lo stringeva a sé così come John adorava quelle mani tra i suoi capelli, sul suo collo, sulla sua pelle. Entrambi avrebbero desiderato che quel contatto non finisse mai.
John si separò da lui quando bastava per riacquistare fiato e notò che la donna era appena salita su un taxi di passaggio. Lasciò comunque che Sherlock riprendesse il bacio, ridendo contro la sua bocca, lasciando che il respiro del detective lo accarezzasse.
“Possiamo smettere, sai?” disse, soffiando sulle labbra umide dell’altro. “Tua madre è appena salita su un taxi”.
Sherlock lo guardò, ridacchiando.
“Quella donna sa essere subdola e piena di risorse. Potrebbe essere nascosta dietro una siepe a controllarci. O dietro la colonna della posta”
John non riuscì a trattenere una risata.
“Oh beh, in questo caso sarà meglio continuare ancora per un po’, cosa ne dici?”

 

 

 

 

*

 

 

 

  
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