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Autore: Ale HP    21/03/2012    1 recensioni
Elena tenne lo sguardo fisso sulle sue mani, cercando le parole adatte per dire ciò che provava. Però, purtroppo, le parole adatte non esistono mai, e mai esisteranno.
Esistono solo parole belle, parole brutte e parole non ricambiate. E quelle di cui Elena aveva paura erano quest’ultime.

Storia ambientata a Portici, una città vicino Napoli, nell'anno 1799.
Fanfiction partecipante del Collapsign Night II, indetto dal « Collection of starlight », said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 »
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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Fanfiction partecipante del Collapsing Night - II Edizione, indetto dal « Collection of starlight », said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 »
l’icon alla quale è ispirata Elena è opera di http://boundary.livejournal.com/
La storie è ambientata a Portici, la mia città. Nel corso della storia si parlerà del "Granatello", che è il porto nella quale nel 1799 c'è stata la rivolta di cui si parla qui sotto.
Hope you like it (:

 
Il mostro di Portici.

Era notte tarda e l’oscurità era persistente, ma la ragazza non sembrava trovare difficoltà mentre correva per le vie della città.
Era maledettamente in ritardo, e non poteva assolutamente permetterselo.
La riunione doveva essere iniziata da troppo tempo, forse era stata anche conclusa. Così nessuno le avrebbe permesso di partecipare alla rivolta.
Velocizzò il passo, quando arrivò alla grande strada principale.
I cani della signora Sofia abbaiarono come matti al suo arrivo, e – stufata da tutto quel rumore che stavano facendo – si affrettò a bussare tre volte al grande portone in legno, come da copione, ed aspettò che qualcuno venisse ad aprirle.
Passarono circa cinque minuti prima che sentisse dei passi veloci e leggeri camminare verso il portone e aprirlo dopo un attimo. Una donna alta e bella, con uno sguardo autoritario e un’espressione contrariata la squadrava dal basso verso l’alto, appoggiata sull’uscio nella porta, come nessun’altra donna oserebbe fare.
«Hai fatto tardi, Elena». La sua voce era ferma e decisa, ma Elena sapeva che dietro a quella corazza Eleonora era preoccupata.
«Ho un motivo» disse, cercando di rimanere calma e distaccata come l’altra.
Ma il suo cuore batteva forte, senza fermarsi un momento, e bloccarlo era impossibile. Sarebbe scoppiato in mille parti, dentro di sé, e forse avrebbe rivelato tutto: i suoi sentimenti, le paure, i sogni, ogni singola briciola di verità sarebbe uscita fuori.
«Ne parleremo dopo» sentenziò. «Ora andiamo, vedremo se ti accettano».
Eleonora le fece segno di seguirla, prima di iniziare a camminare speditamente, come era suo solito.
Si sentivano delle voci provenire dal salone di casa de Solis, nella quale Eleonora viveva da un anno ormai, dopo il matrimonio che Elena aveva tanto odiato.
Quando la donna di casa aprì la grande porta del Salone, Elena vide i futuri capi della futura ribellione seduti vicini, circondati da donne e uomini che la ragazza non conosceva.
Vide Francesco Caracciolo, il generale, con la sua solita aria bonaria, che le faceva cenno di sedersi al suo fianco, sulla sedia lasciata libera.
Accanto a lui, sulla sinistra, sedeva Luisa San Felice: era solito riempirsi di donne, in modo che avrebbe avuto sempre almeno una doppia scelta.
Il posto a capotavola era vuoto – di sicuro spettava ad Eleonora – mentre accanto ad esso un sorridente Mario Pagano chiacchierava con qualcuno che Elena non conosceva.
In realtà, Elena conosceva ben poco di quel popoloso paese; non era facile ricordarsi i volti di tutti, quando mille persone non erano nemmeno la metà degli abitanti complessivi. Tutto ciò che sapeva era che, tempo prima, le cose andavano molto meglio.
Ed era proprio per quello che si teneva quella riunione in casa de Solis: tutti i presenti volevano riportare le cose alla normalità con una ribellione.
«Silenzio!» esclamò con il solito tono autoritario caratteristico della romana. «Non siamo qui per fare una chiacchierata amichevole». Dicendo questo, Eleonora scrutò i volti di Francesco e Mario, che non sembravano di aver capito. «Prima di tutto, questa è Elena Garofalo. Viene da Roma, come me, e vorrebbe unirsi a noi, se tutti siete d’accordo».
Nessuno dissentì, ed Eleonora fece cenno all’amica – per quanto non volesse ammettere che era tale – di sedersi dove prima aveva proposto Caracciolo.
«Bene» continuò, «qualcuno di voi ha un piano?»
Nessuno parlò, fatta eccezione per Elena.
«Potremo attaccare al porto, so che i Sanfedisti arriveranno la prossima sera. Dovranno venire via mare, non hanno molte scelte con tutti i briganti. E, avendo una flotta molto potente, penso che il mare sia l’unica opzione che resta loro».
I volti dei presenti si illuminarono, felici di venire a conoscenza che la nuova arrivata era davvero intelligente.
Il generale Caracciolo si alzò di scatto, come se volesse opporsi.
«Sarà una condanna a morte!»urlò, infatti. «E se moriamo, cosa farà il resto della città? Si arrenderà! E non possiamo permetterlo».
Eleonora sembrò pensarci sopra, prima di dire la sua opinione.
«Francesco» disse, concisa, «hai sicuramente ragione, ma non possiamo restare con le mani in mano, bisogna agire. E nessuno lo farà, se non siamo noi i primi».
Elena sorrise, felice che Eleonora fosse dalla sua parte.
«Attaccheremo domani» concluse, «al Granatello, come ha detto Elena».
 
Elena era seduta sul letto della camera del piccolo Francesco, il figlio di Eleonora,ucciso da un Sanfedista mesi prima.
L’amica ne era rimasta sconvolta, ed era anche per quello che aveva organizzato quel gruppo di rivoltosi. Voleva vendicarsi a ogni costo.
Elena sapeva che quando una madre perde un figlio non riesce più a risalire a galla, eppure vedeva in Eleonora una determinazione e una forza che prima non aveva.
Prima, quando a cinque anni giocavano nel cortile di casa Garofalo; o quando a unidici anni iniziarono a vestirsi da signorine, con tanto di capello, per poi abbandonarlo all’età di quindici anni, per dei vestiti più comodi ma ugualmente belli; o – ancora – quando a diciotto anni Eleonora se ne era andata, senza opporre la resistenza che in quel momento – Elena ne era sicura – avrebbe imposto.
Qualcuno bussò alla porta, destando la ragazza dai suoi pensieri. La testa di Eleonora sbirciava dal piccolo spiraglio che aveva aperto. «Posso?» domandò.
Elena borbottò un piccolo “Certo, questa è casa tua”, non troppo convinto.
Guardò la donna entrare con il suo solito passo elegante e la testa alta. Ma ciò che più l’affascinava era quel sorriso ampio che le rivolgeva e quegli occhi luminosi che la guardavano.
Si sedette sul letto, al suo fianco, e le posò una mano sulla spalla.
«Vuoi dirmi cosa è successo prima? Saresti dovuta essere qui stamattina, e invece…» La frase finì incompleta, aspettando che fosse qualcun altro a concluderla.
Elena tenne lo sguardo fisso sulle sue mani, cercando le parole adatte per dire ciò che provava. Però, purtroppo, le parole adatte non esistono mai, e mai esisteranno.
Esistono solo parole belle, parole brutte e parole non ricambiate. E quelle di cui Elena aveva paura erano quest’ultime.
Non sai mai cosa potrebbe succedere, cosa potrebbe pensare l’altro, non sai se ha capito, se ti ha ascoltato.
Le parole non dovrebbero far così male, però. Non è giusto.
“Nulla è giusto, ora come ora”, pensò all’istante Elena, correggendo i suoi pensieri.
Eleonora l’abbracciò, prendendola alla sprovvista.
«Qualunque cosa sia successa, sappi che io sono con te». La voce autoritaria era completamente scomparsa, facendo posto a quella dolce, come quella di una madre.
Elena si aggrappò allo sfarzoso vestito di quella che aveva sempre desiderato che fosse solo più di un’amica, e pianse.
Poche lacrime uscirono dai suoi occhi, ma – in ogni modo – uscirono.
Si staccarono dopo quelle che sembrarono ore a Eleonora, ma pochi istanti ad Elena.
Eleonora scrutò il volto dell’altra ancora una volta, preoccupata.
Il viso, più scavato del solito, era ricoperto per la maggior parte dai lunghi capelli neri, e i suoi occhi, anch’essi neri, sembravano affogare tra tutte quelle lacrime.
Le sue labbra, invece, erano sempre le stesse. Eleonora ne era rimasta affascinata fin da subito. Quel rosso accesso l’aveva catturata completamente, non poteva dire nulla al riguardo, se non che, pur non volendo, aveva iniziato a provare qualcosa per Elena, qualcosa di sbagliato.
«Io… Io penso che debba lasciarti da sola» disse, insicura. «Ma se vuoi posso rimanere».
Ora neppure Eleonora la guardava più, troppo imbarazzata da quello che stava iniziando a provare e che provava anche l’altra.
L’aveva capito qualche tempo prima, al funerale del figlio; l’aveva guardata come la guardava solo il marito, tempo prima.
 
 
Erano riuniti ancora una volta tutti nel salone, come la sera prima, per concordare gli ultimi dettagli.
«Secondo me» disse Elena, mentre Caracciolo ed Eleonora litigavano ancora, come la sera precedente, «non dovremo andare tutti. Dovremo dividerci in due gruppi, uno al porto ed uno in città. Occorre sempre avere un piano di riserva, e nel caso i Sanfedisti dovessero sconfiggerci dovranno vedersela con altri di noi, sfiniti e come minimo dimezzati».
Ci furono dei borbottii di consenso, ai quali Elena sorrise compiaciuta. Ma, ai quali, Francesco Caracciolo non partecipò.
«Perché lo fai?» urlò, mandando a benedire le buone maniere che dovrebbero esistere quando si parla con una donna. «A te non interessa nulla di questo paese!»
A quelle parole la ragazza romana si alzò di scatto, piena di ira. Non potevano dirle che non le interessava nulla di quel paese, perché qualcosa – o meglio, qualcuno – c’era.
«Non è vero!» sbottò, quindi, cercando di mantenere almeno una piccola parte del proprio corpo calma. «Lei non mi conosce, ieri mi ha visto per la prima volta in vita sua! Lei non sa quanto Portici significhi per me». La voce le si affievolì, su quell’ultima frase, conscia che non avesse chiuso la bocca avrebbe confessato i propri sentimenti per Eleonora lì, davanti a quella che poteva essere tutta l’aristocrazia Porticese.
«So a cosa ti riferisci! E non possiamo permettere che questo accada! Non possiamo permettere che una come te possa condurci nella ribellione!» urlò il generale, continuando a non prestare alle buone maniere.
Il volto dell’uomo era pieno di rabbia, Elena lo poteva vedere chiaramente, ma ciò che poté chiaramente capire, fu ciò di cui l’uomo stava parlando. Doveva aver letto le lettere che non aveva mai spedito a Eleonora e che aveva trovato la sera prima fuori dal baule; non c’era altra spiegazione.
Nel frattempo, Mario, Luisa e Eleonora si guardavano sconcertati, cercando di capire qualcosa, per poter riportare tutto alla normalità.
«Questa sgualdrina» continuò il generale, con il volto rosso dalla rabbia, «dice di essere innamorata di Eleonora!»
I presenti si guardarono sconvolti, prima di fissare Elena disgustati.
Per loro era la reincarnazione di Satana, era qualcosa che non poteva esistere, qualcosa che andava contro Dio e contro i loro principi.
La ragazza sentì le lacrime salirle agli occhi, ma prima che potessero scendere lungo le guancie, già stava scappando via, verso la camera dove alloggiava.
Era tutto come l’aveva lasciato, fatta eccezione per un foglio, poggiato sul letto.
Lo prese titubante, non sapendo cosa aspettarsi.
 
Elena,
Ho paura per quello che possa succedere. Ho dato ad un servo questo biglietto, per fartelo arrivare.
Ho da dirti una sola cosa: scappa. Più lontano che puoi, ma non tornare a Roma, ti troverebbero subito.
Pensano che tu sia un mostro, ma io non condivido la stessa opinione.
Non sai quanto bene ti voglia, e mi dispiace per tutti i guai che ti ho causato,
Eleonora.
 
La ragazza – o il mostro, come stavano iniziando a chiamarla – si guardò intorno, e vide il baule accostato alla parete, perfettamente sigillato. Eleonora voleva davvero che lei partisse e lei era pronta per scappare.
Si caricò in spalla il baule, alzò un po’ il vestito, e corse via più veloce del vento.
 
   
 
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