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Autore: unbound    21/03/2012    3 recensioni
Seconda parte della storia di Kay York, alunna della Vengeance University, e delle sue amiche, Giuls, Alisee, Beatrix e Lisa.
(siete pregati di leggere la prima parte, se no non ci capite una mazza)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stare immobili su un letto d'ospedale, nutrita da zuppe dal sapore disgustoso e costretta a fissare il tetto per giornate intere, era una tortura per una persona attiva come me, soprattutto dal momento che persino respirare mi risultava estremamente doloroso.
Avevo appena subito un’operazione poco complessa a causa della mia brutta struttura scomposta a un paio di costole sul lato destro. Quella mattina, di buon’ora, due infermieri mi avevano preparato e portato in sala operatoria; nonostante fossero passate più ore, sentivo ancora gli effetti degli anestetici addosso e la mia vista era tutt'altro che confusa.
L'orario di visite sarebbe iniziato di lì a poco, perciò avrei dovuto farmi trovare abbastanza lucida e cosciente da poter sostenere un dialogo senza cadere in un sonno profondo. Se non l’avessi fatto, non avrei potuto stare con le persone che mi mancavano di più per quel poco che m’era permesso.
 
 La luce debole del sole penetrava dalle finestre socchiuse, le tende svolazzavano a causa del fresco venticello che si era appropriato di quella stanza. L'infermiera era occupata ad aggiustarmi le coperte e a ricordarmi ogni fottuta regola di norme di sicurezza dell'ospedale, ma la lucidità, come detto prima, mi veniva meno e perciò capii circa il 2% di quello che ripeteva a gran voce.
Era una donna di bell'aspetto dai lunghi e ricci capelli rosso ciliegia, raccolti in uno chignon degno delle più prestigiose scuole di danza: il suo corpo era snello e slanciato, probabilmente era parecchio più bassa di me ma, nonostante questo, era una splendida donna di 35/40 anni.
Il suo sorriso mi ricordava quello di mia zia Layla, la sorella di mia madre, uno dei miei punti di riferimento da praticamente sempre, che mi mancava maledettamente ogni giorno di più.
Lei viveva in un'isola italiana che affacciava sul meraviglioso mar mediterraneo, insieme alla sua dolce metà, mio zio Christian, nativo di quelle parti, e alle sue due figlie, Meg e Sophie, poco più piccole di me; aveva una villa da urlo che poteva far invidia ad una reggia, una moto favolosa con la quale praticava le vacanze "on the road", e tanti, tantissimi strumenti, uno più bello dell'altro, dalla batteria al clarinetto, dal pianoforte al banjo.
Era sempre stato il mio modello da seguire, fin da quando ero poco più alta di un metro; potevo benissimo dire che mi aveva fatto scuola sulla musica e non potevo mai essergliene grata abbastanza.

Non me ne accorsi nemmeno, controvoglia e senza un minimo d’intenzione, mi addormentai come un bimbo, accarezzata dai raggi solari che mi sfioravano il viso. Per fortuna o sfortuna, dipende dai punti di vista, non sognai praticamente niente.

Dopo un piccolo arco di tempo che mi sembrò un’eternità, mi svegliai con estrema dolcezza e soprattutto con una grandiosa vista; accanto al mio letto, giaceva, seduto su una sedia, Brian, con le braccia poggiate sulle mie gambe e gli occhi poggiati sui miei. Non appena io aprii quest’ultimi e li strizzai, infastidita dal sole, giurai di vedergli il volto illuminarsi come se avesse visto qualcosa di estremamente eccitante.
"Bellissima."Sussurrò, avvicinando la sedia a fianco alla mia spalla, attenta a non fare rumore. Cercai di sorridere, ma non ci riuscii, infatti uscii fuori una sottospecie di smorfia di dolore.
"Hei Bri, tutto ok?"La mia voce era praticamente soave quanto un richiamo dall'oltretomba, ma dalla sua espressione compiaciuta capii che per lui non lo era, anzi, scaturì in lui la stessa reazione che avevo io mentre saltava fuori dalla riproduzione casuale la mia canzone preferita.
"Sisi, tu?"
"Un po' frastornata, ma bene"
Mi accarezzò le guance con delicatezza e mi sorrise.
 Il dolore scomparve in un attimo come per magia, e io fui sempre più convinta che lui era uno dei migliori antibiotici per me.

Dopo un po', decisi di chiedergli spiegazioni su quanto fosse successo con Giuls il giorno prima e, mutando l'espressione tranquilla che aveva dipinto in volto in nervosismo allo stato puro, rispose:
"Ha esagerato con gli insulti soltanto perchè ho perso tempo a raggiungervi"
Si passò nervosamente una mano sulla fronte, percorrendo poi i suoi capelli perfettamente lisci.
"E' stata per una buona causa." Aggiunse poi, abbassando lo sguardo.
Che causa? Qualcosa di nuovo che non sapevo?
"Posso chiederti quale?"Mi stiracchiai le braccia e mi lasciai aiutare da lui affinché passassi dall'essere distesa all'essere seduta, in modo da rimanere più comoda e poterlo fissare meglio.
Oh, dannatamente una vista migliore.
I suoi occhi erano più belli del dovuto quel giorno; grandi, struccati e colpiti dai fiebili raggi solari, riuscirono a malapena a lasciarmi abbastanza fiato per sopravvivere. Il suo viso era stanco, visibilmente distrutto, forse era reduce da notti in bianco, ma, nonostante tutto, era tranquillo e da quel momento tutto mi sembrò incredibilmente perfetto.
"Baker ha comprato un anello di fidanzamento a Lisa."

Zacky e la Steel erano la coppia che aveva più risentito di quell'allontanamento forzato per il semplice fatto che uno dei due era il responsabile, e quindi non potevano neanche fingere o trasgredire le regole istituite per quell'occasione.
Lisa, non appena era venuta a sapere della decisione del preside grazie a me, mi aveva detto che non sarebbe stato più lo stesso e che le sarebbe stato difficile persino vivere sapendo che il suo ragazzo, lo stesso che le aveva fatto perdere la reputazione e , soprattutto, la verginità, aveva concretizzato quella regola non calcolando che l'avrebbe persa, non per sempre, ma per parecchio tempo.
Era distrutta, da quel giorno non avevo più visto neanche l'ombra di un sorriso sul suo viso, ma non potevo non biasimarla; quella cosa dava fastidio a me, parecchio, ma uccideva ,quasi nel vero senso della parola, lei.

"Con quale coraggio le acquista un anello?" 
"Se la sposa, possono stare insieme senza problemi.. La regola, infondo, dice che non possono esserci fidanzamenti tra docenti e alunni, ma se solo la sposasse, cancellerebbe ogni ostacolo." Gates gesticolava e la sua voce era meravigliosa; ebbi un sussulto, un altro ancora subito dopo, ed ancora una volta, ogni parola che veniva pronunciata da lui aveva un effetto terapeutico su di me.
"Questo potrebbe farlo anche senza sposarla.. Sai com'e', è il preside"
Portai  un ciuffo di capelli color carota dietro l'orecchio, passando poi la mano sul collo e sulle spalle, pieni di lividi.
Al tocco, non appena le mie falangi li accarezzarono con delicatezza, iniziarono a far male. Era stata una grande botta e, anche se apparivo messa bene, sentivo tutto il corpo indolenzito; ma questo non mi avrebbe sicuramente fermato, su quell’Harley dovevo salirci e presto.
“Vabbè, sai com’è Baker.. Si complica la vita quel figlio di puttana..”Rispose lui dopo un po’, incrociando il mio sguardo.
"Cosa gli fa credere che lei accetterebbe?" chiesi.
Lisa era una ragazza amante dal divertimento, era giovane e odiava la serietà in una relazione, ma tutto poteva succedere, a quel punto, e tutto poteva cambiare; avrebbe la giovane Steel tradito i suoi ideali per cedere all’amore? Non la invidiavo, per niente.
"Boh, l'amore penso."Si strinse tra le spalle, ed io spostai lo sguardo verso la finestra.
Il cielo si era dipinto di un colore rossastro, avviso di un tramonto imminente.
Amavo osservare i tramonti; quando vivevo al mare li studiavo con attenzione ogni sera, seduta sulla poltrona a dondolo di legno posta al centro dell'immenso balcone della mia camera di letto.
Giuls li guardava sempre con me e affascinavano parecchio anche lei; fantasticavamo spesso insieme sul nostro futuro davanti certe meravigliose viste, inventando storie stupide su ciò che volevamo fare da “grandi” e sui nostri futuri “fidanzatini”.
Avevamo 8 anni.
Poi ne abbiamo avuti 9,10,11,18, e non abbiamo mai smesso di farlo.

Brian seguì il mio sguardo e posò anche il suo sul cielo, accarezzandomi contemporaneamente il dorso della mano.
Passammo più di mezz'ora cosi, immobili, sorridendoci di tanto in tanto, fissando quel favoloso spettacolo cullati dal dolce cinguettio dei gabbiani.
L’ospedale, infatti, si affacciava su una piccola spiaggia privata della costa di est: perdevo la maggior parte delle mie ore vuote a fissare i fidanzati che facevano pic nic o i mocciosi che organizzavano tornei di pallavolo o robe simili.
Non appena le tenebre abbracciarono il firmamento, neanche mi accorsi del sonno che stava abbracciando me; riuscii soltanto a percepire i passi di Brian mentre si allontanavano dalla sedia su cui era seduto, le sue labbra che sfioravano la mia fronte e subito dopo la porta che si chiudeva, lentamente.

Non riuscii a godermi neanche dieci minuti di riposo, perché si riaprì quasi subito, questa volta violentemente,  e di nuovo una voce, questa volta squillante, fece in modo di riportarmi fuori dal mondo dei sogni.
"Oddio Kay tutto bene?"
Il giovane ragazzino dai begli occhi e dall’altezza dubbiosa si avvicinò al mio letto, accarezzandomi il viso e poggiando la mano sulla fronte.
Calò il silenzio.

"Non ho la febbre."Affermai vedendolo in difficoltà, sorridendogli.
"Ah già. Bhè, mi stavo accertando che non l'avessi.. Come stai?" adoravo il suo modo di voler sempre ragione, a volte inventava scuse fantasiose quanto stupide.
"Sono sicuramente stata meglio.."Sussurrai di risposta, schiarendomi la voce.
"Oddio, c'hai una voce da fattona" rise, facendo balzar fuori le sue adorabili fossette.
Delicato, insomma.
"Io sono una fattona."
"Si, una fattona. Con quella faccia."
Indietreggiò la testa e mi puntò con l’indice, come per sbeffeggiarmi.
"Che vorresti dire?"Serrai gli occhi, sforzandomi di rivolgergli un'occhiataccia, ma non riuscendoci.
"Sei troppo perfetta per drogarti." 
"Ci stai provando?"
"Forse."
Si strinse tra le spalle e continuò a sorridere, con la stessa sfacciataggine di sempre.
"Sei scemo. Se potessi ti lancerei un cuscino"
"Ti voglio bene."
"Non ci provare."

Finimmo per ridere un’altra volta, dato che era impossibile arrabbiarmi l’uno con l’altro.

Improvvisamente Giuls irruppe nella stanza con fare deciso e, dopo avermi abbracciata come solo una migliore amica sa fare, mi sorrise e si sedette accanto a Frank, sulla sedia poco prima lasciata da Syn.
“Sai chi c’era seduto su questa sedia poco fa?”
“Oh Dio, non dirmi che..”
Annuii, alzando le sopracciglia. Lei balzò in piedi, come se fosse in contatto con sostanze nocive, sfoggiando una delle sue peggiori smorfie e facendo ridere me e Frank.
Comunque, come stai?” chiese poi, sedendosi ai piedi del mio letto.
“Un po’ meglio, l’operazione è andata bene..” risposi, osservando le sue labbra piegarsi in un sorriso di felicità.
Hai avvertito mia madre?” aggiunsi subito dopo, grattandomi il braccio destro.
Lei, come per accertarsene, tirò fuori il cellulare e fissò lo schermo.
“Si c’ho parlato poco fa, penso che avvicinerà dopo cena, al secondo orario di visite, con tua sorella e tuo padre” la guardai e annuii, per farle capire che mi era chiaro.
Dopo un attimo spostai lo sguardo su Frank, che sembrava stranamente eccitato, e lo fulminai con lo sguardo.
Probabilmente non vedeva l’ora di sfoggiare le sue doti da perfetto latin lover con la mia famiglia, che stronzo.
“Bene.” Dissi, continuando a guardar male il ragazzino che, nel frattempo, se la rideva.
 
 

La mia cena fu senza dubbio una delle migliori.
 
Ironicamente parlando.
 
La dottoressa aveva pensato bene di portarmi una zuppa diversa dalle altre; questa volta non era di verdure o pollo, ma di pomodori. Alla vista di quell’orribilità, cercai di convincerla a non posarla con uno sguardo languido.
“Kay, ti fa bene.” Mi accarezzò la spalla. Era praticamente una continua competizione tra noi: io cercavo di convincerla a non farmi mangiare quelle robe, lei cercava di alleviare il ribrezzo che provavo e farmele ingerire senza esitare.
Ovviamente, perdevo sempre quella piccola gara, come una stupida.
“Ma non mi piace.”
“Ti sentirai meglio!”
“Ma non mi piace.”
 
Anche quella sera, quella roba rossa finì nel mio stomaco.
   
 
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