NOTE:
Buongiorno e
ben trovati, miei cari! Perdonate il lieve ritardo, ma purtroppo la
sfiga
sembra essersi affezionata a me (è un tantino appiccicosa
per i miei gusti),
sicché sono ancora senza computer e costretta ad
elemosinarlo da mio padre.
Ho
due notizie per voi. La buona è che il nuovo capitolo
è
già pronto e aspetta solo di venire trascritto -il quando,
però, rimane
un’incognita- e la cattiva (forse)
è
che ci avviciniamo sempre di più alla fine di questa long:
il prossimo aggiornamento
sarà anche l’ultimo. Però, se vi
interessasse continuare a leggere le
vicissitudini della famiglia Watson-Holmes, potrei prendere in
considerazione
l’idea di cimentarmi in un sequel. Sta a voi decidere se la
storia s’ha da
proseguire o meno. Fatemi sapere, mi raccomando.
Buona
lettura!
Alcuni
giorni dopo.
Boswell,
cambiato e allattato, esaminava con grande
attenzione e cinguettii soddisfatti il contenuto, sparso sul tappeto
del
salotto, della valigetta del Piccolo Chimico regalatagli da
“tia Ary”.
A
vegliare sulla sua incolumità stavano la zia in questione
e babbo Sherlock, l’una a gambe incrociate accanto al piccolo
e l’altro
stravaccato in poltrona. Irene ed Hamish riposavano nella loro
carrozzina
doppia, stazionata accanto al divano.
“Sherlock,
sicuro che sia una buona
idea maneggiare un revolver in presenza dei bambini?” si
azzardò a chiedere
Harriet, un po’ esitante.
“Tu
e tuo fratello siete così simili. Le stesse noiose,
ansiogene domande” parlò con voce strascicata il
detective, proseguendo
imperterrito a giocherellare con l’arma.
“Mi
preoccupo per i vostri figli” ribatté lei
pacatamente.
“Lo
so e lo apprezzo
molto, credimi, ma puoi star tranquilla: ho inserito la sicura. Non mi
trastullerei
mai con una pistola mettendo in pericolo la vita dei bambini”
spiegò Sherlock,
più gentilmente.
“Oh”
batté le palpebre Harriet. “Ma certo. Avrei dovuto
aspettarmi una risposta simile da un uomo accorto e previdente come
te”.
L’altro
fece un gesto noncurante con la mano, come a dire
che la perdonava per la scarsa fiducia riposta nei suoi confronti.
“Ho
notato che hai la tendenza ad apostrofare
sarcasticamente le persone, salvo poi correggere il tiro non appena ti
accorgi
che l’interlocutore c’è rimasto male.
Posso chiederti come mai, se non sono
indiscreta?”
“E’
un’abitudine che ho acquisito frequentando John. E’
stato il primo a farmi sentire a disagio per i miei modi bruschi,
così ho
imparato a moderare i termini. Secondo lui la mia incapacità
a rapportarmi
normalmente con gli altri è dovuta ad una forma lieve di
sindrome di Asperger,
e francamente non mi sento in diritto di contestare la diagnosi di un
esperto”
si strinse nelle spalle.
“In
un modo o nell’altro finisci sempre per parlare di mio
fratello, ci hai fatto caso?” domandò Harry,
intrigata dalla piega che stava
prendendo la conversazione.
“E’
vero” ammise Sherlock. “John è la mia
vita, di lui amo
anche ciò che nelle altre persone detesto. Ha creduto in me
quando tutti mi
trattavano alla stregua di uno psicopatico. Sopporta il mio mutismo, il
violino
suonato alle ore più improbabili e i cerotti alla nicotina,
non fa una piega se
gli capita di imbattersi in un contenitore per alimenti pieno di
falangi umane
nel primo cassetto del freezer. E’ un prezioso collaboratore,
nonché migliore
di tutti i medici legali cui si affida Lestrade -potrei fare
un’eccezione
giusto per Molly Hooper- ed è l’uomo
più conciliante del mondo. E’ il padre dei
miei figli. E’ normale che il mio pensiero sia sempre rivolto
a lui, non
trovi?” concluse il monologo, puntando su Harriet i suoi
incredibili occhi
color cielo d’Irlanda.
“Cielo”
sorrise la donna, a metà tra il divertito e
l’attonito. “Sei disgustosamente
innamorato
del mio fratellino”.
“E’
quello che ho detto” annuì brevemente Sherlock,
l’attenzione focalizzata su altro. Un millesimo di secondo
dopo si alzò di
scatto dalla poltrona, neanche avesse le molle ai piedi, e prese a
camminare
avanti e indietro, i lembi della vestaglia che fluttuavano morbidamente
intorno
al suo corpo.
“Qualche
problema?” s’informò premurosamente
Harriet.
“Mi
manca John” rispose senza arrestarsi. “E
ciò non va
bene, niente affatto”.
“Perché?”
“Perché
senza di lui finisco sempre per annoiarmi, e a
pagarne le conseguenze è la tappezzeria di Mrs.
Hudson”.
Harriet
lanciò un’occhiata al volto sorridente dipinto
sulla
parete alle sue spalle, scorgendo dei fori di proiettile sotto la
vernice
gialla. “Ah, quindi è a questo che ti serve la
pistola?” fece due più due,
cercando di non lasciar trapelare il suo sgomento.
La
risposta non si fece attendere; il detective puntò
l’arma
contro la carta da parati e sparò una raffica di colpi.
“Sherlock,
no! Spaventerai i piccoli!” urlò lei, sobbalzando
e coprendo poi le orecchie di Boswell con le mani, nel vano tentativo
di attutire
il frastuono del rinculo.
Holmes
ne ignorò bellamente le proteste, placandosi solo
dopo aver terminato la sua opera. Adesso la parola BORING in
stampatello
maiuscolo faceva compagnia allo smile color canarino. A sconvolgere
seriamente
la donna, però, furono le risatine gorgoglianti provenienti
dalla carrozzina.
Abbassò lo sguardo sul nipotino maggiore e vedendolo
rivolgerle un sorriso
smagliante il suo stupore accrebbe ulteriormente.
“Che
diavolo-”
smozzicò, gli occhi sgranati.
“Errore
mio, avrei dovuto avvisarti. I bambini adorano
sentirmi sparare, a quanto sembra il sibilo dei proiettili li diverte
immensamente” chiarì Sherlock, serafico.
“Non per niente hanno ereditato metà
del mio patrimonio genetico”.
“Non
per niente, già” assentì lei, ancora un
po’ scossa.
In
quel mentre comparve sulla soglia John. “Sherlock, la
povera Mrs. Hudson mi ha aperto la porta letteralmente terrorizzata.
Dimmi che
non hai di nuovo giocato al pistolero, ti prego” lo
supplicò il dottore a mo’
di saluto.
“Jawn,
finalmente sei tornato! E’ tutto così noioso in
tua
assenza” gli andò incontro, il sorriso
più innocente del suo repertorio dipinto
in volto, avvolgendolo con le sue lunghe braccia.
“Immagino,
immagino” biascicò, allungando qualche timida
pacca sulla schiena dell’altro. “Ciao, Harry.
Sopravvissuta alla tua prima
giornata di babysitting?” si rivolse poi alla sorella.
“Credo
di sì. Non posso dire lo stesso della vostra carta da
parati, ahimè”.
“Mrs.
Hudson se ne è fatta una ragione. Dai, Sherlock,
lasciami andare” cercò di liberarsi dalla morsa
del detective. “Non fare il
koala, molla l’osso” insistette, ridendo.
“Zitto,
sto annusando il bavero del tuo cappotto”.
“Cosa,
perché?” si divincolò John, inquietato
dall’improvvisa gravità della voce
dell’altro.
Sherlock
allentò la presa, irrigidendosi. Si staccò dal
dottore –le braccia tese lungo i fianchi, le mani strette a
pugno, gli occhi
gelidi.
“John”,
disse con voce sepolcrale, “c’è una
traccia di
profumo femminile sui tuoi vestiti. Da quando hai iniziato a tradirmi?”
Capitolo
non molto lungo, ma denso di avvenimenti (ah sì?
Davvero?). L’angst è in agguato, la
crisi sta per scoppiare… Non temete, il
finale sarà una delle cose più demenziali che
abbia mai scritto.
Questa,
se vi interessa,
è la mia pagina autore su Facebook, per seguire in diretta i
miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).
A
risentirci
presto, miei prodi. Buon weekend a tutti!