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Autore: StylesMadCarrot    22/03/2012    8 recensioni
Il cuore mi martellò sul petto, mentre mi stringeva a se'.
Non avrei mai potuto pensare che sarebbe mai successo.
Strinse la stretta, costringendo il mio corpo a combaciare col suo. Eravamo come due pezzi di un puzzle, le sue labbra erano fatte per unirsi alle mie. Le sue labbra, la sua bocca, per me era casa, il luogo sicuro dove il dolore e la tristezza non sarebbero mai esistiti.
Portai le braccia attorno al suo collo, senza mai distaccare le labbra dalle sue, per quanto erano avide di baci.
Le nostre lingue si intrecciavano e giocavano l'una con l'altra, creando scintille nel mio stomaco.
Era il mio mondo, tutto ciò che avrei mai voluto. Era l'unico al mondo capace di completarmi, di essere sempre al mio fianco senza mai stufarmi. Sentivo che era l'unico che mi potesse amare più di chiunque altro, come mi stava dimostrando in quel preciso istante. I nostri cuori iniziare a battere all'unisono e fu come se fossimo due parti di una stessa sinfonia.
C'era solo un problema.
Non ci appartenevamo.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo I
Gli occhi più azzurri che potessero esistere.

 

 
 
Aprii gli occhi davanti a quell'enorme palazzo color grigio smog in lontananza. Erano le cinque di pomeriggio, e mio padre aveva guidato tutta la notte e giorno. Tutto per non farmi prendere l'autobus. Mia madre era appisolata sul sedile del passeggero, con gli occhiali da sole ancora indosso e la bocca lievemente aperta. Mio padre si accorse del mio risveglio e mi fissò dallo specchietto.
- Buon giorno bella addormentata nel bosco- mi disse stringendo appena i suoi grandi occhi azzurri. Amavo i suoi occhi, anche se in quel momento erano cerchiati dalle occhiaie, per il sonno dato dal lungo tragitto.
Avevosempre rimpianto il fatto di non aver preso i suoi, di occhi, azzurri come il cielo. Beh, mi sarebbero andati bene anche verde smeraldo come mia madre. Invece no, la sottoscritta aveva avuto la grande sfiga di beccarseli castani, come i nonni.
- Buon giorno- risposi un po' triste. Guardai davanti a me e vidi l'enorme costruzione, grigia come il cemento, grande quanto un'accademia ma allegra come una prigione. E questo mi ero meritata per essere finita nel luogo sbagliato al momento sbagliato. Già tutto era terrificante così, ci mancavano solo i ricordi. Meglio non aggiungere altro dolore alla depressione. 
Mio padre capì al volo il mio umore: tra me e lui c'era sempre stata una sintonia profonda, molto più che con mia madre. Forse perché tutti mi dicevano che gli somigliavo... Lo sguardo sveglio, la voglia di trovare un lato positivo in tutto, ma soprattutto la nostra testa dura. Ci scambiammo uno sguardo e lui mi sorrise comprensivo, io per risposta feci spallucce e guardai al lato del finestrino. 
Un cartello dall'aria molto lussuosa apparve alla nostra vista. Lo lessi.

Churkford Private College


Mi portai una mano alla testa. Che nome noioso, mi dissi. Ci fermammo davanti ad un immenso cancello, dove mio padre premette un bottoncino di chiamata situato accanto al cartello. Mi ricordava tanto l'altoparlante del Mc Drive. Una voce distorta dall'apparecchio si rivolse a noi: -Buongiorno, benvenuti alla Churkford. Oggi non è giorno di visite, quindi... Desidera?-
Mio padre portò gli occhi al cielo per il tono severo della donna, poi disse: -Siamo qui per mia figlia. Deve frequentare la scuola e oggi è il primo giorno.-
- Mi dica il cognome prego- rispose fredda la signorina.
- Walton- sorrise mio padre. Sentii provenire dall'altoparlante dei ticchettii, come tasti di un computer, poi la tizia disse: -Prego, la signorina può entrare da sola-
Sgranai gli occhi e feci cenno di rifiuto con la testa. Mio padre fece spallucce e scese dall'auto, per aprirmi la portiera. Quando uscii, corsi tra le sue braccia.
- Mi dispiace tesoro, vorrei entrare con te, ma a quanto pare...- mi strinse tra le sue braccia e poi prese la mia valigia e me la consegnò. Mi voltai verso l'interno dell'auto, dove mia madre dormiva pacifica. Sorrisi  e poi mi diressi rassegnata verso il cancelletto pedonale, l'inizio della mia fine.

*
- Come dici di chiamarti?- sospirò la biondina protratta verso la specchiera con fare indifferente.
- Beatrix, è la sesta volta che te lo ripeto.- dissi esausta.
- Beh, devi ammettere che è un nome strano. Io sono Sylvie.- disse infine facendo spallucce, mentre applicava la novantesima pennellata di eyeliner nero sugli occhi chiari e affilati. Ero in quella stanza da più o meno un'ora. Avevo già sistemato le cose nel mio armadio, dopo aver rimosso qualche capo che la mia nuova coinquilina aveva messo senza troppi complimenti, usando la scusa che il suo era già troppo pieno. La prima cosa positiva che avevo scoperto di questa scuola era la liberà di abbigliamento. Bastava non indossare ne' pantaloncini, ne' gonne di alcun genere, ne' maglie troppo scollate e per il resto ogni capo era permesso.
La ragazza staccò lo sguardo dalla specchiera e si girò verso di me. Era molto bella. I suoi capelli erano lunghi, biondi e a boccoli; aveva i lineamenti piccoli e sottili, era alta e longilinea. Mi sorrise come si può sorridere ad un bambino di tre anni, poi andò verso il suo armadio ed iniziò a parlare.
- Bene, ti spiego come funzionano le cose qui. Sei nuova, e per giunta sei arrivata al secondo trimestre del quarto anno, quindi la maggior parte della gente già si conosce da tempo. Ti darò una mano per quello che mi sarà possibile, ma attenta a non umiliarmi davanti a Louis e il suo amichetto Harry.- alzai lo sguardo verso di lei quando disse gli ultimi due nomi.
- Chi sarebbero, scusa?- chiesi.
- Soltanto i due ragazzi più fighi dell'intero istituto, Tomlinson è il capitano della squadra di Hockey e Styles, oltre a giocare sempre nella squadra, è la star del nostro club di teatro. Non ti fare false speranze, loro mirano solo ai livelli alti.- distorsi il labbro quando me lo disse, ma per benevolenza tacqui. Sentimmo un rumore di chiavi lottare con la nostra serratura, e sia io che Sylvie ci voltammo. Entrò una ragazza minuta e dal viso dolce, grandi occhi scuri e i capelli rosso bordeaux. Ci sorrise e posò la borsa sul gancio dietro la porta.
- E chi è lei, una delle tue nuove vittime, Syl?- rise la ragazza con una voce piccola e acuta.
- No tesoro, lei è la nuova coinquilina, Bessie.-
- Beatrix- corressi. - Ma mi puoi chiamare Bea- dissi tendendo la mano verso la ragazza.
- Piacere, Savannah, sono la ragazza che si sorbisce Sylvie da quattro anni. Almeno da oggi non sarò più la sola!- disse sorridendomi e stringendomi la mano. Risi insieme a lei e la bionda ci fece una linguaccia.
- Bene, ora che le belle bimbe sono diventate amichette, mi aiutate a scegliere i vestiti per stasera?- disse tornando al suo armadio.
- Syl, è una seratina nel salone del college, non c'è granché per cui prepararsi- sospirò Savannah.
Hem hem, ti ricordo che c'è Louis!- disse Sylvie con un filo di eccitazione.
- Solo a te (e a tutto il resto della scuola) può piacere un puttaniere del genere.- replicò. Vide la mia espressione interrogativa e sorrise. – Bene, ti spiego, Harry Styles ha organizzato per stasera una piccola festa nel salone di sotto--
- E’ inutile che le spieghi, sono invitati solo i più popolari della scuola, e lei è nuova.
- Tranquilla, non intaccherò in alcun modo sulla tua scalata per il potere, tanto non mi interessano tanto le feste… Starò in camera-
dissi facendo spallucce e sdraiandomi nel lato basso del letto a castello. Savannah saltò sul letto sovrastante al mio e si affacciò.
- Perdonala, sa essere una vera stronza.- sussurrò la mia nuova amica.– Resterei con te stasera, ma purtroppo Syl mi ha “costretta” a venire…- continuò. La sua espressione sembrava seriamente dispiaciuta. Apprezzai molto la sua sincerità e sorrisi.
- Nulla, non ti preoccupare, tanto non conosco ancora nessuno… Mi sentirei a disagio.- dissi mentendo pur di tranquillizzarla. Lei ricambiò il sorriso e poi scese dal suo letto, aprendo il suo armadio.Passammo il resto del pomeriggio tra cambi, trucchi e risate. Non partecipai molto ai preparativi, più che altro stavo sdraiata sul mio letto a ridere e scambiare qualche battuta con Savannah, mentre Sylvie taceva finché non trovava un attimo di silenzio per introdurre i suoi discorsi.

*
 

Erano le nove passate. In occasione della festa, la cena in mensa era stata annullata, ma Savannah, ancora in colpa per il comportamento di Sylvie, mi portò un po’ di cibo. Poi, dopo essersi accertata se stavo bene, si congedò. In un quarto d’ora sentii la musica piombare dal piano terra. Se riuscivo a sentirla da lì, li sotto doveva essere un vero inferno.
Stetti un po’ in giro per la camera, andando avanti e indietro dal bagno alla stanza, quando poi infilai un paio di jeans e una maglietta molto modesta e decisi di andare sotto a dare un’occhiata.Giusto il tempo di vedere cosa succede, e poi salgo subito senza farmi vedere da nessuno, dissi tra me e me. Scesi due rampe di scale che mi separavano dal piano terra molto velocemente. Quando arrivai la musica mi riempì tanto i timpani da non lasciare spazio ai miei stessi pensieri. Il salone, che fino a qualche ora prima avevo visto elegante e semplice, adesso era diventato una vera e propria discoteca. Fari e luci di tutti i colori, ragazze che si godevano la loro libertà di abbigliamento indossando gonne più corte del lecito e non si vedeva nessun adulto o professore nel raggio di un kilometro. Mi avvicinai e rimasi appoggiata ad una colonna molto in disparte, solo per curiosare e cercare di iniziare a distinguere qualche volto. Ogni volta che qualcuno mi passava vicino giravo la testa o mi abbassavo, nell’intento di risultare invisibile. A quanto pare, sembrava funzionare.Non che qualcuno potesse mai rendersi conto della mia esistenza. Oltre al fatto che nessuno mi conosceva, erano tutti troppo impegnati a ballare o divertirsi. C’era da ammettere che quello Styles di cui Sylvie e Savannah mi avevano parlato quel pomeriggio ci sapeva davvero fare con le feste.
I miei pensieri si interruppero quando sentii qualcosa sbattere contro la mia spalla. Mi voltai involontariamente e mi trovai davanti un ragazzo bellissimo. La sua pelle risultava molto pallida sotto le luci della discoteca, il suo viso aveva lineamenti molto delicati e un paio di occhi verdi, grandi e bellissimi, erano incorniciati da dei bellissimi capelli mossi e castani. Il ragazzo mi squadrò interdetto. Ricambiai lo sguardo incuriosita. Poi mi sorrise e mi fece l’occhiolino, per poi tornarsene per la sua via, che guarda caso portava dritta verso Sylvie.
Era davvero bellissima. Non che non l’avessi già vista in camera, ma c’era da ammettere che fosse una bella ragazza. Un grande svantaggio per una montata come lei, che così si sentiva ancora più perfetta e insuperabile. Era molto impegnata a ballare con un ragazzo. Più che altro era incollata a lui. Aspettai che si girasse un po’ per poter vedere il suo viso. Quando ci riuscii, rimasi completamente immobilizzata. La sua bellezza era accecante. Aveva i capelli castano chiari, un po’ scompigliati e i lineamenti molto sottili. L’azzurro dei suoi occhi era così bello da essere percepibile dalla distanza in cui mi trovavo. Le sue labbra erano molto sottili, il naso piccolo e leggermente all’insù e il sorriso più bello che avessi mai visto. Vidi il ragazzo alzare lo sguardo ed incrociare il mio. Mi fissò per qualche secondo e non riuscii a muovermi. Era come se mi immobilizzasse. Cercai di fare qualche gesto indifferente per sciogliere l’imbarazzo, ma non ci riuscii. L’unico movimento fu quello che feci non appena Sylvie notò che lo sguardo del suo compagno era puntato verso di me e fece per voltarsi. Non le diedi il tempo di riuscire a vedermi che mi abbassai e mi fiondai nuovamente su per le scale.
Richiusi la porta della stanza alle mie spalle. Non riuscivo a riflettere su ciò che avevo appena visto. Avevo incontrato un ragazzo bellissimo, che mi aveva anche fatto l’occhiolino, ma dopo pochi secondi la vista di un altro aveva totalmente spazzato via lui e qualsiasi fantasia mi fossi plasmata in quei pochi istanti. Nella mia immaginazione, il ragazzo dagli occhi color cielo continuava a tenere lo sguardo posato su di me.
Confusa mi rimisi il pigiama e mi accoccolai tra le coperte come un piccolo uovo di panda(?).
Non sapevo chi fosse e ignoravo il suo nome, ma qualcosa in quel ragazzo mi aveva segnata.
Mentre chiudevo gli occhi, capii finalmente chi fosse il famoso Louis Tomlinson.

 *

 
Camminavo per la strada, osservandomi i piedi, persa nella musica intonata dalle cuffie del mio IPod. Era il crepuscolo, e l’oscurità stava per travolgere le strade. Non sentivo quasi nulla dei rumori che mi circondavano, per via della musica nelle mie orecchie. Che cosa stupida. Avrei dovuto capire che non era sicuro. Un paio di braccia mi afferrarono improvvisamente la vita, tirandomi come se fossi una bambola verso un viottolo buio. Aprii la bocca per urlare, ma non ebbi il tempo di emettere alcun suono che una mano mi tappò la bocca. Lo sconosciuto mi spinse ancora più in fondo al viottolo, finche la mia schiena non tocco la fredda e ruvida superficie di un muro. Non un lampione ne’ una piccola fonte di luce, solo io, lo sconosciuto e la musica delle mie cuffie, ormai a terra dopo l’urto violento, che rimbombavano le note di “Cut” di Plumb. Lo sconosciuto di cui ancora non avevo visto il volto incombette su di me e con terrore capii quello che stava per succedere. Iniziai a tremare e piangere, scongiurando invano l’uomo di non farmi del male. Mi prese i fianchi con le mani e cercò di stabilire un maggiore contatto tra di noi. Mi divincolai e feci il possibile per oppormi, ma l’uomo era troppo forte e ad un tratto fui costretta a cedere.
Lacrime e disperazione inondavano la mia mente, mentre lo sconosciuto mi si avvinghiava addosso e le note di “Cut” suonavano leggere, sottili, disperate e prive di speranza…
Spalancai gli occhi e mi rizzai a sedere sul letto. Mi toccai le palpebre e sentii l’umido delle lacrime inondarmi le guance. Iniziai a tremare e singhiozzare silenziosamente, mentre il tremendo sogno faceva riaffiorare i ricordi della notte più brutta della mia vita.Ricordavo bene cosa era successo dopo. Era caduto tutto nel buio e io mi ero risvegliata il mattino seguente in un lettino d’ospedale, con mia madre e mio padre disperati al mio fianco. Mi avevano detto che era stato un poliziotto a trovarmi svenuta in quel vicolo buio e che poi era riuscito a rintracciare la mia famiglia e avvertirli di ciò che mi era successo. Lo stupratore non venne mai trovato, ma i ricordi di quella sera non se ne sono più andati.
Era per questo che mia madre mi aveva rinchiuso in quella scuola, con la speranza che un luogo più sicuro e civilizzato mi avrebbe potuto aiutare.Mi alzai e mi infilai un paio di pantaloni e una maglietta azzurra, provando il vivo desiderio di uscire da quelle quattro mura. Porsi lo sguardo verso l’orologio, che segnava le quattro e mezza del mattino, poi aprii la porta della camera e uscii.
I corridoi erano vuoti. Non avendo la minima idea ne’ delle dimensioni dell’edificio ne’ in che punto mi trovassi, imboccai l’unica strada che conoscevo a parte quella che conduceva al salone: quella per l’atrio.
Aveva all’incirca le dimensioni diuna piazza, era molto bello e decorato, e al centro della sala vi era il mosaico di un grande sole a tre raggi. Essi conducevano a tre scalinate, poste in punti opposti tra loro. Anche lì non c’era segno d’anima viva, evidentemente erano tutti ancora persi nel sonno. Ma io di tornare a dormire non avevo proprio voglia. Avevo paura che i ricordi continuassero a rifiorire nella mia mente, e quella al momento era l’ultima cosa di cui avevo bisogno. Mi asciugai una lacrima ed abbassai lo sguardo, chiudendo gli occhi.
- Ehi tu, stai bene?- sentii una voce dire all’improvviso. Sobbalzai per lo spavento e caddi a terra come una povera idiota. Sentii una tremenda voglia di sprofondare in qualche voragine per la vergogna, quando davanti a me si presentò un ragazzo a dir poco bellissimo. Era molto alto ed aveva i capelli corti e di un bellissimo castano chiaro. Mi osservava dai suoi dolci occhi castani, mentre mi tendeva una mano, sorridendo come se non avesse trovato per nulla comica la mia caduta a dir poco umiliante. Arrossii violentemente ed accettai l’aiuto. -  - Sì, certo… Tutto bene- risposi. Il ragazzo mi sorrise di nuovo.
- Non mi sembra di averti vista mai in giro… Eppure non sembri una matricola del primo anno.- notò, leggermente incuriosito.
- No, non sono del primo. Sono arrivata da poco alla Churkford… - sospirai, cercando di sorridere come potevo.
- Ah bene, piacere di conoscerti allora. Io sono Liam Payne, gioco nella squadra di Hockey della scuola.- disse. Eccone un altro. Com’era possibile che finora avevo visto soltanto due giocatori della squadra di Hockey, ma entrambi erano i due ragazzi più belli che avessi mai visto? Quella scuola iniziava a piacermi più di quanto fosse lecito.
- Beatrix Walton, piacere.- sorrisi.
- Che ci facevi in giro per l’atrio alle quattro del mattino, novellina?- disse ironico Liam.
- Diciamo che stavo organizzando una rapina nell’ufficio della preside, ma non dirlo a nessuno.- risposi scherzosa. Rise alla mia affermazione e mio mi chiese:
- Potrei offrirti un caffè di buon risveglio direttamente dal distributore della scuola?-
- Volentieri-
annuii. Mi portò verso la sala mensa, una grande sala cosparsa di tavoli da pranzo. In fondo alla sala vi era la mensa, mentre accanto all’entrata io e il mio nuovo amico trovammo il distributore.
- Caffè?- sorrise Liam.
. Macchiato.- specificai. Prendemmo i nostri caffè e ci dirigemmo verso uno dei tanti tavoli vuoti. Parlammo un po’ del più e del meno e scoprii con molto piacere che frequentava alcuni corsi che frequentavo anche io.Ad un certo punto vidi l’IPhone di Liam vibrare di scatto. Lessi nel display che si erano fatte già le sei meno un quarto.
- Cre­do che tu abbia ricevuto un messaggio- gli dissi. Lui allungò lo sguardo verso il telefono e lo prese, lesse il messaggio e poi ticchettò qualcosa rapidamente sullo schermo scrivendo una risposta. Sentii dei vocii provenire dall’atrio, ciò significava che presto non saremmo più stati soli.
Il brusio si rivelò provenire da due ragazzi che si avvicinavano verso di noi, spingendosi a vicenda e ridendo. Quando furono abbastanza vicini li riconobbi: erano il ragazzo riccio che avevo incrociato la sera prima e sì… L’altro era proprio lui.
Quel lui che mi aveva fatto passare una notte piena di pensieri. I suoi occhi incrociarono i miei, quasi mi riconoscessero. Feci per aprire bocca, ma il riccio mi precedette:
- Ehi Payne, abbiamo interrotto un momento delicato? Chi sarebbe questa bella signorina?- disse guardandomi, con una piccola scintilla di malizia nel suo sguardo elettrico e nel suo sorriso smagliante. Mi fece antipatia dal primo istante.
- Lei è Beatrix, è nuova del nostro corso.- sorrise Liam ai suoi due amici. Tomlinson non aveva ancora spiccicato parola, continuava a fissarmi con il suo sguardo elettrico.
- Piacere mademoiselle, io sono Harry.- ammiccò il ricco sorridendomi ammaliante. Una parte del mio corpo fu molto attratta dal suo fascino e portamento, l’altra parte di me mi disse che il suo comportamento non faceva altro che aumentare la sua antipatia. E quindi era lui Styles, il ragazzo che aveva organizzato la festa di ieri. Mi raccolsi i capelli su una spalla e Tomlinson fece per aprire bocca. Mi si mozzò il fiato quando mi tese la mano.
- Piacere, io sono Lo—
- LOOOUIS!-
una voce a me molto familiare lo interruppe, e Sylvie sbucò alle sue spalle. Il ragazzo sorrise e la bionda si buttò tra le sue braccia, per poi avvicinarsi alle sue labbra e… Baciarlo.





-------------------------------------------Nota dell'autrice-------------------------------------------

 

Buongiorno a tutti, bei lettori!
Spero che vi sia piaciuto l'inizio della mia storia...
Ringrazio innanzitutto la mia amica Effy, che mi ha aiutato tantissimo a dare vita alla storia. Xx
Louis cosa pensa di Bea? Cosa ha in testa il piccolo Hazza? Perchè Sylvie è così fredda verso Bea?
Beh, se vorrete scoprirlo, ci vediamo al prossimo capitolo!
Inizio facendo la buona, mi bastano 5 recensioni e pubblico il seguito! ;)
Baci :D

  
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