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Autore: Jerk and Bitch    22/03/2012    4 recensioni
Per riportare l’ordine nell’ormai irrimediabile anarchia causata dai Winchester negli equilibri di vita e morte, Death prende una drastica decisione: intervenire personalmente nel passato, modificando gli eventi. Le conseguenze riscrivono l’intera esistenza di Dean e Sam, creando una realtà alternativa in cui i due fratelli sono cresciuti vivendo una vita normale, completamente ignari dell’esistenza del soprannaturale. A 32 anni, Dean vive con sua moglie e i suoi due bambini, sereno seppur con il ricordo doloroso di suo fratello, morto quattro anni prima. Ma lo spirito di Sam, dilaniato dai ricordi della sua vera vita, ora vaga nel tormento. E mentre Dean, tra déjà-vu e ombre del passato, scopre l’esistenza di un mondo fatto di fantasmi, medium e cacciatori, qualcuno si sta muovendo in segreto per rimettere ogni cosa al suo posto.
Genere: Angst, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Castiel, Dean Winchester, Lucifero, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Settima stagione
Capitoli:
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So many dreams were broken and so much was sacrificed

Was it worth the ones we loved and had to leave behind?

So many years have past, who are the noble and the wise?

Will all our sins be justified?

(Hand of sorrow – Within Temptation)

 

 

 

 

 

Il suono leggero delle sue scarpe – scarpette, fottutissime scarpette da ginnastica – sul parquet faceva da contrappunto a quello violento e irregolare del suo cuore.

Aveva attraversato quel corridoio più e più volte quella sera, così tante che era convinto di avervi scavato un solco; eppure, non appena entrava nel cono di luce creato dalla cameretta di Sammy, era costretto a farsi indietro, a ritrarsi, come un dannato vampiro. O un patetico vigliacco, spaventato dal figlio di quattro anni.

Ma, davvero, come poteva guardarlo in faccia, considerando quello che stava per fare? Come poteva sostenere quei vispi occhi verdi, che lo fissavano con la venerazione che si riserva a un eroe, quando si preparava a chiuderli per sempre?

Certo, John non si sarebbe potuto definire un perfetto modello genitoriale, ma rispetto a lui era sicuramente il padre del secolo.

“Dean,” cinguettò Caroline dalla stanza del piccolo, “il tuo ometto è in pigiama, ma non ha alcuna intenzione di andare a letto senza la sua fiaba della buona notte. Vieni e salvaci tutti,” aggiunse, con una risata.

Spinto dal suo richiamo, Dean si spostò sulla soglia. Ma non l’attraversò, non ancora.

In piedi sul lettino, a cui da poco erano state tolte le sbarre, Sammy, le braccia incrociate sul petto e un adorabile broncio sul viso, scuoteva la testa per impedire a sua madre di sistemargli i capelli appena lavati.

“Sai che li preferisce Bon Jovi prima versione,” commentò Dean, un nodo alla gola.

“PAPÀ!” gridò il piccolo, saltando sul materasso. “La storia! La storia!”

“Meglio che vi lasci soli,” disse Caroline. Schioccò a Sam un bacio e sfiorò il fianco di Dean, passandogli accanto.

“Questa è tutta colpa tua,” le sussurrò Dean, quando fu a portata d’orecchio. “Dovevo cantargli Enter Sandman[1] la prima notte e questa tradizione non avrebbe mai attecchito.”

“Sta’ zitto, che l’adori,” soffiò Caroline, e spense la luce.

La piccola abat-jour sul comodino proiettava già un tenue bagliore, accogliente e caldo. Dean si sedette sul letto e Sam si accoccolò contro il suo braccio. Poi gli posò un libro sulle ginocchia con un soddisfatto “Ecco”.

“Sai, pulce, dovresti variare i tuoi interessi, fra poco potremo mettere in scena Le avventure di Lilo e Stitch,” brontolò il padre, divertito.

“Solo l’ultima volta, papà,” spergiurò il bimbo, per la milionesima, e Dean si sentì morire.

“Allora, dov’eravamo arrivati?” chiese, sbiancandosi le dita contro la copertina.

“Stitch veniva imbarcato sull’astronave,” mormorò Sammy, pieno di terrore, dimentico che in quella, come in tutte le altre sue fiabe, niente poteva andar storto. Non a lungo, non sino alla fine.

“Stitch saliva a lenti passi lungo la piattaforma che portava alla nave spaziale. Sentiva su di sé lo sguardo severo della Presidentessa del Consiglio, ma anche quello distrutto e disperato di Lilo. La sua amica, la sua famiglia. ‘Stitch deve salire a bordo?’ chiese.” Dean fece una pausa, osservando con la coda dell’occhio il suo piccolo che annuiva, rapito. “‘Sì,’ rispose la Presidentessa, stupita. Da quando 626 era così ben educato? ‘Stitch può salutare?’ domandò ancora l’alieno azzurro. ‘Va bene, sì,’ acconsentì lei, faticando a riconoscere in quella creatura tanto dolce e gentile l’esperimento fallito che si era trovata davanti solo poco tempo prima. ‘Grazie,’ mormorò Stitch, avvicinandosi con le orecchie abbassate alle due strane forme di vita terrestri. ‘Ma… chi siete voi?’ chiese l’aliena, a dispetto di se stessa e delle sue leggi: mostrarsi agli umani era vietato, comunicare con loro intollerabile e pericoloso. Era il codice galattico a stabilirlo.”

Sammy sbadigliò, rannicchiandosi maggiormente contro suo padre. Prima di continuare, Dean gli cinse le fragili spalle con un braccio, posando un bacio su morbide ciocche che profumavano di shampoo per bambini. Un odore che aveva ormai associato a suo figlio e che, come nessun altro, sapeva infondergli pace. Sentì le prime lacrime brucianti salirgli agli occhi e strinse con forza le palpebre. Non avrebbe rovinato il loro ultimo momento insieme, non poteva.

“‘Questa è mia famiglia, l’ho trovata per conto mio,’ ribatté Stitch, con orgoglio. ‘È piccola e disastrata. Ma bella. Sì. Molto bella…’” concluse Dean, uscito perdente dalla sua lotta contro le lacrime. Poco importava. Sammy si era addormentato.

L’adagiò delicatamente sul cuscino e gli rimboccò con cura le coperte, nonostante la vocina nella sua testa sussurrasse che, in fondo, i bambini mai nati non possono sentire freddo.

“Sogni d’oro, pulce,” disse, in un sussurro spezzato. “E grazie per avermi risparmiato l’Ohana, non credo l’avrei retto, questa notte.”

“È un povero orfanello, l’abbiamo adottato. Non ti importa niente dell’Ohana?”

“È stato qui solo per poco tempo!”

“Be’, anch’io. Papà diceva che Ohana significa famiglia. Ohana vuol dire famiglia…”

“E famiglia vuol dire che nessuno viene abbandonato, o dimenticato,” mormorò sulla soglia, lanciando un’ultima occhiata a suo figlio.

 

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La voce di Caroline lo guidò nella nursery. Sua moglie modulava una dolce nenia, mentre il piccolo John, stretto fra le sue braccia, succhiava dal biberon.

Allattamento misto, ricordò Dean: Caroline era convinta che il suo latte non fosse sufficiente e che il bimbo non crescesse abbastanza in fretta.

“Il sangue di demone è meglio di ovomaltina, vitamine e minerali. Ti rende grande e forte,” gli sibilò la voce di Azazel con scherno, e un brivido lo scosse. Il pensiero che fosse già accaduto, che Caroline avesse stretto un patto con lui, per Dio solo sapeva cosa, e adesso il sangue di quel figlio di puttana scorresse nelle vene di suo figlio, gli dava la nausea.

“Caroline,” mormorò, cercando di non suonare tradito quanto si sentiva, “ti spiace se continuo io?”

Lei scosse la testa e si chinò con un sorriso su John. “Il tuo papà arriva sempre dopo il cambio del pannolino, non lo trovi anche tu un po’ sospetto, tesoro?”

Shhh, non rovinarmi l’immagine agli occhi del bambino. Ancora non lo sa che il suo papà è un completo disastro.”

La donna parve accorgersi della nota stonata nella sua voce. “È per quello che è successo ieri notte?” chiese, porgendogli John. “Qualche mano di bianco, un nuovo lampadario e il soggiorno tornerà a posto. L’importante è che tu stia bene.” Fece un sospiro, poi continuò. “Non allontanarmi, Dean. Non allontanarci. Siamo una famiglia, affrontiamo la cosa come tale.”

“Va bene,” mentì lui, baciandole fuggevolmente le labbra.

Affondò nella poltrona che aveva occupato sua moglie fino a un attimo prima, il tessuto sotto di lui ancora caldo, e si mise a osservarla in silenzio. Caroline, coi capelli raccolti e il suo improponibile pigiama a righe verdi e rosa, raccattava i giochi e i disegni lasciati lì da quella peste del loro primogenito. Caroline che lui aveva creduto l’amore della sua vita, ma di cui probabilmente si era invaghito solo a causa di un obeso figlio di puttana in pannolino, interessato esclusivamente alla loro linea di sangue. D’un tratto, la donna sentì il suo sguardo su di sé e si voltò. “Non dirmi che è il pigiama… È il pigiama, vero?” chiese, indignata, la voce che saliva di un’ottava, un orsetto levato minacciosamente contro di lui.

Dean ridacchiò. “No, non è il pigiama,” rispose, accennando un comico colpo di tosse.

“Ti odio,” ribatté Caroline.

“Lo so,” confermò lui, con un sorriso. “A-Ascolta,” cominciò poi, insicuro, “tu credi negli universi paralleli? Stesse persone, vite diverse?”

“Non lo so, non c’ho mai riflettuto,” rispose l’altra, avvicinandosi. “Sei sicuro che sia tutto okay, Dean? Sei così strano…”

Suo marito annuì. “Sì, davvero. È che magari ci amiamo anche in un altro universo. Dovrebbe essere possibile, no? La nostra famiglia, da qualche altra parte,” mormorò, perso.

Lei gli si avvicinò ancora. “Suppongo di sì,” concesse, sfiorandogli il viso e posandogli un bacio sulla fronte. “Ma anche se così non fosse, cosa importa? Noi siamo qui, Dean. Noi siamo qui...”

 

 

La serranda del garage venne su, lenta e rumorosa come non mai. Doveva oliarne i cardini da mesi, per non parlare dei vecchi scatoloni da portare al deposito e dell’attrezzatura sportiva che aveva promesso all’esercito della salvezza… “Trasferirsi è l’unica soluzione,” aveva dichiarato, e ora la profetica ironia delle sue parole lo colpiva come uno schiaffo.

Si accasciò contro il sedile, sfinito, e un gridolino strozzato lo fece trasalire. Illuminò l’abitacolo e si accertò di aver schiacciato... sì, proprio la paperella di gomma del suo Sammy, l’ultima arrivata in casa Winchester.

Per pranzo, li aveva portati in un ristorantino a conduzione familiare poco distante, e la proprietaria, che adorava pizzicare le guanciotte del suo primogenito, aveva fatto loro un forte sconto e regalato al piccolo la paperella. “Vergognati,” aveva commentato Caroline, appena usciti, “sfruttare così biecamente il faccino del nostro Sammy...”

“Ehi,” aveva ribattuto Dean, piccato, “sono cose come questa che hanno reso grande il nostro paese. E Sam è un patriota, vero, pulce?”

Il piccolo li aveva ignorati, troppo preso dalla sua nuova amica, e i genitori erano scoppiati in una risata complice…

Dean ingranò la marcia e imboccò lentamente il vialetto, senza mai guardare la sua casa allontanarsi nello specchietto retrovisore. Si diresse verso Lawrence, l’ultima tappa lungo il sentiero degli addii.

Più distanza metteva fra sé e la sua famiglia, più il pensiero di Sam si faceva pressante. Ossessivo. Non era il fratello di cui si era preso cura tutta la vita che vedeva, però. Nella sua mente, si affollavano le immagini di un Sam diverso, innocente e felice. Un Sam che non aveva avuto bisogno di un Dean che lo tenesse al sicuro, ma semplicemente di un fratellone con cui scolarsi un paio di birre una volta ogni tanto. Un Sam con in tasca una laurea conseguita in una università prestigiosa e al fianco la sua fidanzatina del liceo. Non Jessica, no. Ma una brunetta dalla lingua tagliente che Mary aveva immediatamente bollato come nemico pubblico numero uno e di cui Sam era perdutamente innamorato. Ricordava la notte in cui il suo precisissimo fratellino l’aveva chiamato da un pub, completamente ubriaco, per chiedergli come ci si dichiarasse alla donna che ami. Era stata l’ultima volta in cui l’aveva sentito. In ospedale, qualche giorno più tardi, era stato loro consegnato l’anello che aveva scelto, insieme agli altri suoi effetti personali.

“Cristo!” scoppiò, colpendo con violenza il volante. Non era giusto. Era questa la vita che Sam meritava, era questo il suo posto. E invece, l’unico modo per mettere fine ai suoi tormenti era trascinarlo di nuovo nell’inferno da cui provenivano, con l’anima lacerata e la certezza che non vi fosse una soluzione.

Quando finalmente arrivò a Lawrence, era notte inoltrata. Suonò il campanello, più e più volte, aspettandosi di essere abbagliato dalle luci del portico da un momento all’altro. Niente, sua madre non era in casa. E dove poteva essere una rispettabile ex cacciatrice cinquantenne a quell’ora della notte? Dean pensava di avere una mezza idea in merito. Si lanciò al volante e ripartì, prima ancora di aver chiuso la portiera. Se aveva ragione, non c’era un solo secondo da perdere…

 

 

Scavalcò i rugginosi cancelli dello Stull, atterrando silenzioso sull’erba umida del cimitero. Si rimise in piedi e un brivido gli solcò la schiena: aveva già perso Sam due volte, in questo posto.

Mosse con determinazione verso una serie di lapidi più recenti, il lugubre richiamo di una civetta che risuonava sulla sua testa. Superato un gruppo di cipressi, scorse un rosso bagliore poco distante.

I suoi passi accelerarono in un’angosciosa corsa, che si bloccò di scatto quando riuscì infine a scorgere la familiare sagoma di Mary che si stagliava contro l’impietoso riverbero delle fiamme. Nascosto alla sua vista, il fuoco stava già divorando ciò che restava di suo fratello, e una morsa strinse il petto di Dean. Aveva distrutto le spoglie di così tanti spiriti, nella sua vita, e li aveva visti gridare e contorcersi nella sofferenza prima di venire consumati e sparire per sempre. Per la prima volta, si chiese quanto dolore potessero provare in quei momenti, e dentro di sé chiese perdono a Sam, per non essere riuscito a risparmiargli almeno questo.

“Mamma...” mormorò, avvicinandosi tremante.

Mary si voltò di scatto. Il caldo bagliore che saliva dalla tomba di Sam le danzò sul volto per un attimo, illuminando le scie delle sue lacrime.

“Dean!” esclamò, sorpresa, ma lo smarrimento non durò che un istante, prima che Mary muovesse pochi passi veloci per stringerlo a sé e soffocare le lacrime sul suo petto. Non le importava sapere come suo figlio fosse arrivato lì, era soltanto grata che ci fosse. “È finita... ora è finita,” gemette.

Dean le portò un mano alla nuca, cercando istintivamente di calmarla, nonostante la rabbia – verso se stesso? Contro di lei? –  lo stesse avvelenando.

Shhh... tranquilla, mamma,” mormorò. “Hai fatto quello che dovevi.” E presto sistemerò tutto quanto, vedrai.

Alle sue parole, si sollevò un vento impetuoso e la temperatura calò di diversi gradi, trasformando i loro respiri in bianca condensa. Sam era di certo il fantasma più attaccato ai cliché che avesse mai incontrato.

Nerd, pensò con una sorta di orgoglio.

Mary si staccò da lui all’istante. “Resta al mio fianco,” ordinò, in un tono di voce che non ammetteva repliche e che sicuramente avrebbe reso fiero suo padre.

Un nuovo e più violento bagliore si accese d’improvviso, a pochi metri da loro. Mary non riuscì a trattenere uno strozzato singhiozzo mentre, di fronte ai loro occhi, prendeva forma l’immagine di Sam, le fiamme ad avvolgerlo, una maschera di dolore il suo viso. Il fantasma emise un grido disperato, e Mary fece un istintivo passo verso di lui, certa che tra meno di un attimo lo avrebbe visto bruciare fino a consumarsi. Ma il fuoco continuava ad ardere, e Sam continuava a gridare.

In un sussurro sgomento, Dean pronunciò impercettibilmente il nome del fratello, una lacrima tremante che gli scendeva lungo la guancia mentre, impietrito, osservava per la prima volta la vera condanna eterna di uno spirito.

D’un tratto, Sam si volse verso di loro e un gemito rabbioso salì rauco dalla sua gola. I suoi occhi disperati e infuriati si posarono su Mary. Prima di riuscire a reagire, la donna si sentì sollevare e scagliare via con forza.

Il suo volo finì contro una lapide poco distante, la cacciatrice batté la testa e perse conoscenza. Dean le fu accanto in un attimo, le dita sulla sua gola che si accertavano della presenza di un battito. Si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, grato. E la voce di suo nonno non tardò a rimproverarlo. “Ipocrita,” sibilò, fra i suoi pensieri. “Hai venduto la tua stessa madre! Si trattava di lei o Sam, e tu hai scelto Sam.”

E lo farei di nuovo, ancora e ancora. Senza mai pentirmene, si disse Dean. Gli occhi serrati per non puntarli sull’anima straziata di suo fratello, alzò il volto al cielo e parlò.

“Muovi il tuo culo piumato, Michael. È tempo di rimettere a posto le cose.” Sfiorò un’ultima volta il viso di sua madre e urlò con quanto fiato aveva nei polmoni. “Sì!”

Un biancore accecante ingoiò la notte.

 


1. Dean si riferisce al brano Enter Sandman dei Metallica, che di certo nessun bambino chiederebbe mai di ascoltare una seconda volta. Qui il testo.

 


Note: Ed ecco l’ultimo capolavoro della nostra Vahly. Sì, so che la vorreste come fanartist, ma lei è tutta nostra! *avvinghiano ♥*

   
 
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