Capitolo II
Un Diario
L’Ammiraglio
non poteva assegnargli incarico peggiore!
Scartoffie!
Lui odiava le scartoffie. E i cinque scatoloni
ben allineati sul tavolo della sala riunioni avevano tutta l’aria di
esserne
pieni.
Il Comandante
Rabb guardò con aria depressa tutto il
materiale che Jennifer Coates gli aveva fatto trovare, dopo che era
uscito
dall’ufficio del suo superiore.
“Inizierà
lei, Comandante, e poi, quando il Colonnello
rientrerà dalla missione fra due giorni, lavorerete assieme al caso.”
Al caso!
Come poteva
chiamarsi “caso”, termine che lui e Mac
usavano per definire l’indagine che precedeva di solito un processo,
quell’insieme di carte e vecchi manoscritti che arrivavano addirittura
dall’Archivio Storico dell’Accademia Navale?
Tutta quella
roba aveva come minimo più di cento anni e a
lui sarebbe toccato doverla leggere per… per cosa, poi?
Per scoprire
un colpevole? No.
Per difendere
o accusare qualcuno ad un processo? Neppure.
Solo per
aiutare dei professoroni a preparare una
conferenza in occasione della commemorazione del centenario della
scomparsa
dell’Ammiraglio Alexander Blackbird, eroe della Marina Americana.
La recente
scoperta di nuovi documenti storici, donati
all’Accademia Navale dall’ultimo dei suoi discendenti, faceva supporre
che
avesse avuto contatti con la Monarchia Asburgica ai tempi
dell’Imperatore
Francesco Giuseppe. Sembrava addirittura che l’Ammiraglio avesse
contribuito
alla fuga di due stranieri cui l’Imperatore aveva affidato la vita
della moglie
Elisabetta: sventato l’attentato contro l’Imperatrice, certi equilibri
di
potere avevano costretto l’Imperatore a nascondere al suo entourage che
era
ricorso all’aiuto di un francese e di un’inglese per proteggere la sua
Consorte, e i due stranieri ad abbandonare Vienna e l’Europa per
rifugiarsi in
America, proprio sulla nave dell’Ammiraglio Blackbird.
Come mai
l’Ammiraglio, ufficiale della Marina Americana,
si trovasse ad avere contatti con gli Asburgo era ancora tutto da
chiarire, ma
questa recente scoperta aveva creato un ulteriore mistero alla già
avventurosa
e brillante carriera dell’ufficiale e l’Accademia, in occasione del
centenario
della sua morte, voleva arricchire la biografia dell’Ammiraglio
Alexander
Blackbird con tutto ciò che poteva dare maggiore lustro alla Marina
Americana.
A questo punto entravano
in scena lui e Mac: il JAG era stato contattato per aiutare un gruppo
di
storici a selezionare documenti di diritto americano di oltre un secolo
prima
da incartamenti prettamente militari o da carte private e personali. E
l’Ammiraglio aveva affidato a lui il compito, pur sapendo quanto
odiasse certi
lavori. Che volesse ancora fargliela pagare per le sue impulsive
dimissioni?
Cercò di
pensare all’unico lato positivo della faccenda:
avrebbe lavorato a stretto contatto con Mac, appena fosse rientrata
dalla
missione che la vedeva lontana dal JAG per altri due giorni.
Accidenti che
voglia che aveva di rivederla! Quel bacio,
che solo pochi giorni prima lei gli aveva dato, bruciava ancora sulle
sue
labbra, accompagnato da mille dubbi e mille pensieri…
Distratto da
quel ricordo, non si era neppure accorto di
essersi messo inconsciamente all’opera: aveva aperto uno scatolone e
ora si
trovava tra le mani un quaderno di pelle marrone che aveva tutta l’aria
di
essere un vecchio diario. Forse dell’Ammiraglio Blackbird stesso.
Si sedette
sulla poltrona della sala riunioni, allungando
le gambe davanti a sé incrociate alle caviglie; delicatamente aprì il
quaderno
e s’immerse nella lettura.
Le
note di un valzer giungono festose alle mie orecchie,
sebbene io sappia che la situazione richiederebbe melodie di ben altro
genere.
Sua Maestà l’Imperatore è preoccupato e ha richiesto il mio
intervento: l’identità della persona che fra due giorni dovrò
incontrare e
condurre a Palazzo mi è ancora sconosciuta, ma ho capito che Sua Maestà
ripone
molta fiducia in questo Inglese. E, a quanto mi ha lasciato ad
intendere
l’Imperatore, io e il nuovo arrivato lavoreremo a stretto contatto, il
che è
alquanto significativo e sta ad indicare il clima di grande sfiducia ed
enorme
sospetto che si è venuto a creare ultimamente a Corte.
Un Conte francese ed un
Gentiluomo inglese per salvare la Monarchia Asburgica e proteggere la
vita di
Sua Maestà l’Imperatrice
Elisabetta…
[1]
In
realtà, nel periodo in cui si svolge il racconto (Inverno
1856-1857), Francesco Giuseppe ed
Elisabetta erano in viaggio in Italia. Dal
libro “Sissi
–vita e leggenda di un’imperatrice”di
Nicole Avril, Oscar Mondatori, collana Storia, pagg. 57-62. N.d.A.
***
La carrozza
correva a perdifiato nella notte. A bordo due
uomini e una donna cercavano di combattere una battaglia contro il
tempo che
sembrava persa in partenza.
“Siete
sicuro, Conte?” chiese con voce affannata la
giovane.
“Più che
sicuro, Milady. Sua Maestà ha chiesto
espressamente di Voi.”
Lady Sarah si
chiese cosa mai volesse da lei Francesco
Giuseppe, Imperatore di uno sterminato territorio che si estendeva dai
confini
con la Russia ai Balcani ed oltre.
Il vestito
con le crinoline la infastidiva molto, lei
abituata a portare nelle sue missioni comodi abiti maschili, quando
doveva
indossare qualcosa di più femminile era impacciata. Ma doveva essere
ricevuta a
Corte quindi l’etichetta andava rispettata.
L’accompagnavano
il Conte André François D’Harmòn, un francese,
e il suo segretario Robert, un tipo grassottello ma simpatico e
disponibile. Il
Conte l’aveva colpita al primo sguardo: alto e atletico, capelli neri
eternamente scomposti raccolti in un corto codino, e due pozze verdi
come laghi
di montagna in cui perdersi.
Il loro lungo
viaggio era cominciato due giorni prima a
Calais, quando lei era sbarcata dalla “Persefone”, nave traghetto che
faceva la
spola tra il porto francese e Dover, in Inghilterra, trovando
all’attracco
l’affascinante Conte ad attenderla.
Lady Sarah si
stava godendo una meritata vacanza dopo
l’ultima missione per conto di Sua Maestà la Regina Vittoria. Non
pensava di
doversi catapultare quasi al polo opposto dell’Europa dopo appena due
giorni di
permanenza a Bath.
Tuttavia,
quando il dispaccio che le annunciava
l’immediata partenza per Vienna era giunto all’albergo presso il quale
alloggiava, non aveva avuto molta scelta. La missiva era molto chiara e
la
firma in calce alla stessa non lasciava adito a dubbi: l’Imperatore
d’Austria
necessitava della sua presenza a Vienna.
Eppure il
loro precedente incontro, avvenuto due anni
prima a Bad Ischl la sera del fidanzamento di Francesco Giuseppe con la
cugina
Elisabetta, non era stato certo all’insegna della cordialità!
In
quell’occasione era stata l’Arciduchessa Sofia ad avere
bisogno dei suoi servigi e l’aveva spedita in Ungheria per indagare su
una
possibile rivolta degli insurrezionalisti capeggiati dal Conte Hyula
Andrassy
finalizzata alla destabilizzazione dello status quo mediante un
attentato alla
vita del monarca austriaco: il suo compito sarebbe stato quello di
scoprire se
veramente avevano intenzione di uccidere l’Imperatore. E così aveva
fatto, solo
che i metodi utilizzati dalla polizia ungherese fedele al regime una
volta
informata dell’imminente rivolta e attentato non erano stati proprio
ortodossi…
non era stata certo colpa sua. Del resto la sua opera si era limitata
ad una
semplice investigazione infiltrandosi nell’organizzazione.
Francesco
Giuseppe, quando era venuto a conoscenza di
quanto era accaduto in Ungheria, non l’aveva presa molto bene e in una
riunione
privata e segreta con lei e sua madre, poco prima del ricevimento che
avrebbe
ufficializzato il suo fidanzamento con Elisabetta Duchessa in Baviera,
si era
inalberato moltissimo sostenendo che in un momento simile la violenza
era
l’ultima cosa di cui l’Impero aveva necessità.
Lady Sarah
era intervenuta affermando che non era stata
sua intenzione provocare l’arresto degli insorti e l’Arciduchessa Sofia
aveva
ricordato al figlio che le rivolte andavano sedate con la forza se si
voleva
conservare potere e controllo.
L’Imperatore
se n’era andato sbattendo con forza la porta
e chiamando a gran voce il suo aiutante di campo.
L’Arciduchessa
si era rivolta a Lady Sarah e le aveva
detto: “Non vi preoccupate Milady, l’Imperatore è ancora molto giovane
e non
comprende quali siano le vere priorità di un monarca che voglia
conservare il
suo dominio.” Poi le aveva pagato il compenso pattuito e l’aveva
invitata al
gran ballo di quella sera.
Ed ora quella
convocazione improvvisa.
Chissà cosa
mai poteva volere da lei.
Alzò lo
sguardo verso il Conte D’Harmòn: “Conte, conoscete
per caso la natura dell’invito di Sua Maestà?” chiese.
“No, Milady.
Mi è stato ordinato di giungere a Calais e di
portarvi a Vienna” rispose fissandola nello sguardo.
Lady Sarah si
sentì incatenare da quegli occhi. Sentiva
che, se solo avesse voluto, sarebbe potuta affondare in quello sguardo
chiaro.
“Debbo
supporre che lo scoprirò solo quando l’Imperatore
mi riceverà” concluse lei.
André
D’Harmòn annuì e tornò a sprofondarsi nella lettura
di un libro, senza curarsi degli sguardi di sottecchi che provenivano
dalla
giovane donna.
Sul far del
mattino giunsero a Vienna e subito il
cocchiere prese la direzione della residenza imperiale dello Schonbrunn.
Lady Sarah si
aggiustò la voluminosa gonna di seta blu
notte e diede una lisciata al corpetto. Continuava a provare fastidio
per tutta
quell’impalcatura che era stata costretta ad indossare, ma si impose di
portare
pazienza ancora per poco tempo.
Sporse la
testa fuori dal finestrino e l’aria frizzante
del primo mattino viennese le solleticò le narici. I profumi
dell’autunno si
spargevano nell’aria tersa e pulita. La rivoluzione industriale che
imperava in
Inghilterra ancora non aveva intaccato completamente questa parte dell’Europa,
pensò soddisfatta Lady Sarah, mentre la carrozza superava la cancellata
dorata
del palazzo e si fermava in un ampio cortile.
Il Conte
scese e, dopo essere passato dalla sua parte, le
aprì galantemente lo sportello porgendole la mano per aiutarla a
scendere,
mentre il suo aiutante Robert si dirigeva verso la guardia per
annunciare
l’arrivo dell’ospite.
D’istinto
Lady Sarah avrebbe rifiutato qualsiasi aiuto, ma
quella volta accettò la presa salda del Conte con un brivido che le
correva
lungo la schiena.
Anche lui
aveva dovuto percepire la medesima sensazione,
perché lo sguardo che le lanciò valse più di mille parole.
Lady Sarah
fece finta di non comprenderne il significato e
una volta scesa si diresse verso il portone principale che le fu aperto.
Pochi
minuti dopo si trovava nello studio dell’Imperatore.
***
***
Sarà
intrigante lavorare con lei…
“Già, lo è
stato davvero…” pensò Harm, chiudendo il diario
“e lo è di più ogni giorno che passa…” aggiunse nella sua mente,
sorridendo al
pensiero del bacio che Mac gli aveva dato pochi giorni prima.
Si ricordò
che anche lui, come il conte francese, era
rimasto molto sorpreso quando aveva incontrato Sarah per la prima
volta: a
differenza del conte non sapeva che avrebbe dovuto incontrare qualcuno.
Ma
quando l’Ammiraglio li aveva presentati, ricordava ancora come il suo
cuore per
poco non si era fermato nel vederla: era l’esatta copia di Diane… Ed
era
bellissima.
Sì, era
bellissima. Lo aveva notato subito, appena si era
ripreso dallo stupore. Non tanto per l’aspetto fisico, che essendo
talmente
identico a Diane, era ovvio che gli piacesse, ma per quell’aria
indipendente e
un po’ aggressiva dietro la quale si nascondeva. Lo aveva capito quasi
subito,
da quella prima stretta di mano, che lei era sulla difensiva, anche se
non
voleva lasciarlo ad intendere. Anzi, ci teneva a sfoggiare
l’atteggiamento da
duro Marine! Ma lui aveva scoperto ben presto quanto fosse vulnerabile
e adorabile...
Ma che
c’entrava, ora, il suo incontro con Mac?
Si guardò
attorno confuso e adocchiò l’orologio sulla
parete: era già ora di pranzo. Possibile che si fosse immerso così
profondamente in quelle “scartoffie” vecchie di oltre un secolo, tanto
da non
accorgersi neppure del tempo che passava?
Passò una
mano sulla copertina del diario del conte
francese… era solo all’inizio e il quadernetto era scritto fitto fitto
fino a
poche pagine dalla fine. Chissà che storia racchiudeva? E chissà come
mai era
finito tra le carte dell’Ammiraglio Blackbird? Che il conte francese,
cui il
diario sembrava appartenere, fosse uno dei due stranieri che
l’Ammiraglio aveva
aiutato a fuggire? E se l’altro straniero fosse stato Lady Sarah? In
quel caso
la storia doveva essere vera! Più tardi avrebbe cominciato a spulciare
tra gli
altri scatoloni, alla ricerca di maggiori informazioni. Ma al momento
era
incuriosito dal sapere come continuava il diario.
Si alzò,
recuperò berretto e libricino e decise che
avrebbe pranzato, in mancanza di Mac, assieme ad un nobile europeo di
due
secoli prima.