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Autore: Ai_Sellie    23/03/2012    1 recensioni
Sorridi. Ti fa sempre un po’ strano, sentirlo parlare così.
« Immagino che abbiamo fatto un sacco di prigionieri anche questa volta, giusto? »
Non hai bisogno di girarti per sapere che ha annuito.
« Certo che sei strano. Parli di numero di perdite e prigionieri come se fossero boccali di birra eppure non hai mai ucciso un uomo in vita tua ».
Sposti gli occhi dai campi al suo viso.
Remus ti guarda senza capire, il sopracciglio destro vagamente inarcato.
« Solo perché abbiamo il potere di uccidere le persone non significa che sia giusto farlo ».
Genere: Angst, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Scritta per la settima e ultima settimana del COW-T indetto da maridichallenge e per uno dei due prompt jolly – che io ho sostituito con guerra 。◕U◕。 – del mio tabellame preso su auverse. :3
Il Mese del Pinguino indetto da destiel_italia dovrebbe essere già finito ma io, per sicurezza, un pinguino ce l'ho infilato comunque. :D
Il titolo è un verso da "Secret of Love" di Barcera. =3

Non betata.
In questa storia, la guerra l'ho intesa come guerra civile: l'esercito del Sovrano contro i ribelli, per intenderci. L'universo in cui è ambientata non è assolutamente reale – di storia ci capisco davvero pochissimo @x@ – vedetelo più come una specie di fantasy random dove ci sono gli spadaccini, gli arcieri e tutti quei personaggi classici, ecco. 。◕O◕。
La cosa veramente ridicola è che ho iniziato a scriverla un anno fa e avrebbe dovuto essere il mio contributo per l'ultima settimana di quel COW-T lì. XD

Mi sembra un secolo che non scrivo Wolfstar. *O*



Hai a malapena il tempo di registrare un movimento sospetto alle tue spalle prima che un dolore lancinante ti esploda all’altezza della spalla sinistra, diramandosi poi a tutto il resto del corpo.
Ringhi un’imprecazione tra i denti, accartocciandoti d’istinto su te stesso.
Senti il sangue colarti lungo il braccio ed avverti distintamente il sibilo di una freccia che ti passa a pochi centimetri dall’orecchio, poi il mondo comincia a farsi sempre più sfuocato e distante.
L’ultima cosa che vedi, prima di svenire, è la figura di James che ti corre incontro, urlando parole di cui non riesci ad afferrare il significato.
Ti risvegli in quella che, dall’odore, deduci essere la tenda allestita per la cura dei feriti.
Hai gli occhi coperti da una pezza umida e l’unica sensazione veramente tangibile in mezzo all’oceano di nebbia che è il tuo cervello in quel momento è quella di una mano ruvida che ti stringe con forza il polso.
Ti chiedi distrattamente a chi possa appartenere e ti riaddormenti pochi secondi dopo con la sensazione di conoscerla.
Quando ti svegli nuovamente una quantità indefinita d’ore più tardi la pezza sugli occhi non c’è più ed anche quella mano è sparita.
Senti la ferita alla spalla prudere e bruciare sotto allo strato di bende che ti blocca in parte il braccio e quando ti sforzi di metterti seduto, la testa ti gira così forte che quasi cadi dalla barella improvvisata sopra a cui eri disteso.
Chiudi gli occhi e respiri forte un paio di volte.
Cerchi di distrarti dal dolore guardandoti intorno: sei davvero nella tenda adibita alla cura dei feriti – quel movimento sospetto che sei riuscito a captare alle tue spalle doveva essere uno di quei sudici ribelli – e su sei barelle totali che riempiono lo spazio circostante solo un’altra è occupata, oltre alla tua.
A causa della posizione e le numerose bende che fasciano il corpo del giovane soldato non sei in grado di vederne il viso ma lo riconosci grazie al bizzarro ciondolo in legno a forma di pinguino che tiene appeso alla cintura: è il ragazzino appena sedicenne arruolato dall’esercito nemmeno una settimana prima.
Ripensi di sfuggita alla donna in lacrime che hai intravisto abbracciarlo stretto quando avete chiamato a raccolta le nuove matricole prima di partire, e forse anche a causa delle poche linee di febbre che ti senti ancora addosso, un brivido ti cola lungo la spina dorsale.
Recuperi la giacca dai piedi del letto appena il mal di testa ti permette di stare in piedi e te la infili un po’ a fatica, per poi uscire all’aria aperta, già stanco di stare immobile su quella barella.
Il terreno su cui è stato allestito il campo è riparato da eventuali attacchi improvvisi da una piccola collina sulla cui sommità si erge un minuscolo boschetto.
Imbocchi lo stretto sentiero che porta in quella direzione prima che qualcuno possa accorgersi che manchi all’appello e cominci a percorrerlo.
Quando finalmente riesci a raggiungere la cima sei più stanco di quanto dovresti.
Una fitta improvvisa alla spalla ti fa girare la testa per una manciata d’istanti, tanto che inciampi e per evitare di cadere di faccia sul terreno ti aggrappi al primo ramo che trovi, graffiandoti così il polso.
Sbuffi e ti rimetti in piedi, cercando intanto qualcosa con cui tamponare la ferita.
Appallottolato in fondo ad una delle tasche trovi il fazzoletto che Remus ha dimenticato nel tuo alloggio l’ultima volta che avete fatto sesso.
Per un attimo ti chiedi distrattamente perché sia finito nei tuoi pantaloni, ma poi accenni un sorriso e scuoti la testa.
Ti annodi come riesci il pezzo di stoffa intorno al polso e mentre ti stai accomodando sul grosso sasso posto alla fine del tracciato, un ramoscello si spezza alle tue spalle.
Non riesci a trattenere una risata.
« Moony, Moony » cantileni. « Anni e anni di duro addestramento e mi cadi ancora in errori così banali? Non si fa ».
Ti volti, ancora sorridendo, solo per scoprire che alle tue spalle non c’è niente, a parte qualche albero ed il sentiero deserto da cui sei venuto.
Non hai nemmeno il tempo di sbattere le palpebre, confuso, che una freccia ti passa ad un soffio dall’orecchio e si va a conficcare nel terreno appena umido.
« Sirius, Sirius. Anni e anni che ci conosciamo e riesci ancora a farti imbrogliare da questo vecchio trucco? Non si fa » ti fa il verso Remus, l’arco ancora teso; poi scoppia a ridere.
« Guarda che sapevo benissimo che non eri dietro di me, cosa credi? Ho solo voluto stare al gioco » ti difendi, mettendo su un leggero broncio.
Remus sorride e ritira l’arco nell’apposito fodero che tiene legato sulla schiena, prima di raggiungerti.
« Certo, per cui immagino che anche lo spavento facesse parte della tua messinscena, giusto? »
« Ovvio! Io non ho paura di niente ».
Remus scuote la testa e recupera il dardo appena scagliato, prima di accomodarsi al tuo fianco.
Rimanete in silenzio per qualche secondo.
« Sapevo di trovarti qui » sussurra il ragazzo appena arrivato, rigirandosi intanto la freccia tra le dita.
Ghigni bonario, battendoti la mano sana sul petto.
« Il tuo amore infinito nei miei confronti ti ha condotto fino a me? »
« No. Non sei mai dove dovresti essere, Sirius, perché non sei in tenda a riposare? »
Scrolli le spalle – o meglio, scrolli l’unica spalla che ancora riesci a muovere – sorridendo.
« Non sono stanco. Guarda che bel posto, ogni tanto viene voglia anche a me di camminare un po’ ».
Fai vagare lo sguardo sul paesaggio di campagna che vi circonda.
Campi di grano si estendono a perdita d’occhio tutt’intorno a voi e l’unica abitazione di cui riesci a scorgere la sagoma è una piccola fattoria appartenente ad un umile contadino che l’ha volentieri messa a disposizione del suo Signore, quando l’esercito ha bussato alla sua porta in cerca di un riparo.
« Sirius, ti hanno aperto in due una spalla ».
« Quanto la fai tragica, è solo una ferita ».
Anche se con movimenti un po’ rigidi, gli circondi le spalle con il braccio sano e sorridi ad un soffio dalle sue labbra.
« Se sei così preoccupato per me perché non controlli di persona il mio stato di salute? »
Remus arrossisce appena – o forse è solo il riflesso del sole che comincia a tramontare? – prima di sorridere a sua volta e lasciar scorrere una mano sulla tua schiena.
« Sai che non è male come idea? »
Le dita corrono veloci sempre più giù e tu stai già pregustando il suo acre sapore di fumo sulla lingua, quando Remus ti pizzica il fianco.
« Ma dopo, al sicuro; ci tengo alla mia testa ».
Torna a giocare con la punta della freccia mentre tu ti massaggi il fianco dolorante.
« Noioso ».
Remus, per tutta risposta, ti rifila un secondo pizzicotto sulla coscia, ancora più doloroso del precedente.
« Sei lo stesso noioso » borbotti a denti stretti.
Appoggi un gomito sulle ginocchia e ti chini leggermente in avanti, tornando ad osservare il paesaggio da quella diversa prospettiva.
« Com’è finita la battaglia, comunque? Quel dannato traditore mi ha colto di sorpresa e mi sono perso tutta la parte più divertente. Abbiamo vinto, ovviamente? »
« Ovviamente » conferma Remus senza guardarti.
« Quanti uomini ho perso? »
« Pochi. James è riuscito a coprirti le spalle e a tenere a bada anche il fronte di ribelli che era stato assegnato a te, mentre ti portavano in salvo. Se i ribelli pensano sul serio di poter vincere con le forze di cui dispongono al momento sono solo degli illusi ».
Sorridi. Ti fa sempre un po’ strano, sentirlo parlare così.
« Immagino che abbiamo fatto un sacco di prigionieri anche questa volta, giusto? »
Non hai bisogno di girarti per sapere che ha annuito.
« Certo che sei strano. Parli di numero di perdite e prigionieri come se fossero boccali di birra eppure non hai mai ucciso un uomo in vita tua ».
Sposti gli occhi dai campi al suo viso.
Remus ti guarda senza capire, il sopracciglio destro vagamente inarcato.
« E allora? »
« Lo vedi? Sei strano. Sei l’unico arciere che conosco a vantare una vista e una precisione tali da potersi permettere di scoccare una freccia a metri di distanza da un bersaglio con la certezza di colpirlo, eppure, in battaglia, non miri mai agli organi vitali e preferisci lasciar scappare qualche ribelle piuttosto che correre il rischio di ucciderne anche solo uno ».
Gli sorridi qualche secondo, poi torni a guardare le spighe di grano che ondeggiano al vento.
« Sei strano » concludi con un’alzata di spalle un po’ rigida.
Remus sospira e lo senti alzarsi in piedi.
« Solo perché abbiamo il potere di uccidere le persone non significa che sia giusto farlo ».
Ridi di cuore.
Prendi la mano che ti ha teso e ti alzi in piedi a tua volta, ma prima che Remus possa trascinarti nuovamente verso il vostro accampamento un rumore attira la tua attenzione.
« Hai sentito? »
Spostando qualche spiga, nascosta alla vista da un enorme sasso molto simile a quello su cui vi siete riposati fino a quel momento, scopri una nidiata di cagnolini.
Sembrano in buona salute, ad una prima occhiata, e quando ti inginocchi per controllarli più da vicino non cercano di scappare.
Uno dei cuccioli, seppur un po’ intimorito, si avvicina per annusare la mano che gli hai teso.
« Remus, vieni! Guarda » urli, euforico.
Remus ti raggiunge di corsa, incuriosito dal tuo casino.
« Cosa? Che c’è? »
« Guarda. Guarda cos’ho trovato ».
Sollevi un po’ goffamente il cucciolo che fino a quel momento non ha fatto altro che annusarti le dita, facendo attenzione a non caricare troppo la spalla ferita, e glielo mostri.
« Non sono adorabili? »
Glielo molli bellamente tra le mani e torni ad osservare gli altri.
« Guarda, ce n’è anche uno che ti assomiglia ».
Ridi e indichi l’unico cucciolo che, al contrario dei fratelli, non si è avvicinato.
« Ha la stessa cicatrice sulla spalla e persino la tua stessa aria perennemente imbronciata ».
Il diretto interessato ti rifila l’ennesimo pizzicotto.
« Ahia! Ma cos’è diventata, una moda? Mi ricoprirò di bolli » piagnucoli, massaggiandoti il braccio.
Remus ride e ti fa la linguaccia.
« Così impari. E poi non dici sempre che le cicatrici sono simbolo di virilità? »
Gli fai anche tu la linguaccia.
« Portiamone all’accampamento uno » proponi, lanciando una rapida occhiata ai dintorni.
« Tanto sembrano essere stati abbandonati. Io voglio quello che ti somiglia ».
Ti allunghi per prenderlo in braccio, ma il cucciolo ringhia e cerca di sfuggire alle tue mani come meglio riesce.
« Sirius, non credo siano stati abbandonati. Probabilmente la madre si è allontana solo per cercare un po’ di cibo, come credi reagirebbe se al suo ritorno non ne trovasse più uno? »
Sbuffi, rinunciando a prendere in braccio il cucciolo a cui avevi già addirittura scelto il nome.
Sposti gli occhi sul tuo amico e lo osservi da sotto in su, sorridendo.
« E se ti sbagli? »
Remus ti ignora deliberatamente e si china al tuo fianco. Lascia libero il cagnolino che aveva tenuto in braccio fino a quel momento di tornare a giocare con i fratelli, poi si alza e ti batte una mano sulla spalla sana.
« Andiamo, il sole è tramontato quasi del tutto, ormai. Devi cambiare la fasciatura e riposare ».
Lanci un ultimo sguardo alla palla di pelo che proprio non ne ha voluto sapere di lasciarsi avvicinare.
« Era carino, però » borbotti.
Prendi la mano che Remus ti ha teso e lo segui fino all’accampamento senza fare ulteriori storie.

Un paio di settimane più tardi, di quella distesa di campi e pace non è rimasto altro che cenere fumante.
Avete vinto l’ennesima battaglia, ma pagando un prezzo decisamente maggiore rispetto a quello che avevate calcolato.
I ribelli sono riusciti chissà come a procurarsi delle armi migliori e vi hanno teso un’imboscata.
È stato un massacro. I cadaveri che adesso ricoprono quello che un tempo era stata una distesa di grano sono talmente numerosi da non riuscire più a capire chi sia amico e chi sia nemico.
Sono morti quasi tutti. Lo stesso Remus – quell’idiota! – è caduto vittima di uno di quegli schifosi a cui tanto si preoccupava di risparmiare la vita.
Nel vederlo riverso a terra, il volto coperto di sangue ed una spada conficcata nella pancia, hai dato di matto.
È stato come rendersi conto all’improvviso che, per quanto si possa essere bravi, giocare con il fuoco è pericoloso anche per il migliore dei prestigiatori.
I medici stanno facendo di tutto per salvargli almeno un occhio e ricucirgli le ferite più profonde – riesci a sentire le sue urla di dolore fino a lì – ma potrebbe non superare la notte, il rischio d’infezioni è sempre troppo alto.
Serri i pugni fino a sbiancarti le nocche.
Il sole sta calando lento oltre l’orizzonte quando un rumore attira la tua attenzione.
Riconosci nei due occhietti neri che ti guardano terrorizzati tra i resti di un’armatura rotta e nella cicatrice sulla spalla il cucciolo di qualche giorno prima.
Lo raggiungi e gli allunghi una mano, che lui, in preda alla disperazione, morde forte; senti i denti bucare la pelle e affondare nella carne.
Sorridi.
« Va tutto bene, piccolo. È tutto finito ».
Lo accarezzi con la mano libera, senza forzarlo a lasciare la presa.
Trema forte, è sporco e probabilmente affamato. Non sai con certezza che fine abbia fatto il resto della cucciolata ma visto il disastro che vi circonda non ti è poi così difficile immaginarlo.
Chissà se una madre ce l’avevano davvero, alla fine.
« Non avere paura. Ti porto al caldo, Moony ».
Lo stringi al petto e ti incammini verso l’accampamento.
Alle tue spalle, il giorno muore in silenzio, insieme alle ragioni che fino a due settimane prima erano sufficienti, nella tua testa, a giustificare una guerra e le morti che era normale portasse con sé; ma che adesso, con le urla di Remus che si fanno via via sempre più vicine e raccapriccianti, non basterebbero più a compensare la sua mancanza nel caso non dovesse farcela.
  
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