Crossover
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Autore: Registe    23/03/2012    3 recensioni
Prima storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
In una Galassia lontana lontana (ma neanche troppo) l'Impero cerca da anni di soffocare l'eroica Alleanza Ribelle, che ha il suo quartier generale nella bianca citta' di Minas Tirith, governata da Re Aragorn e dal suo primo ministro lo stregone Gandalf. I destini degli eroi e malvagi della Galassia si intrecceranno con quelli di abitanti di altri mondi, tra viaggi, magia, avventure, amore e comicita'.
In questa prima avventura sulla Galassia si affaccia l'ombra dei misteriosi membri dell'Organizzazione, un gruppo di studiosi dotati di straordinari poteri che rapisce delle persone allo scopo di portare a termine uno strano rito magico da loro chiamato "Invocazione Suprema"...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 18 - Prova di amicizia


Action Boba Fett

Boba Fett




Gli piombarono nel laboratorio come tre furie scatenate.
“Ma non lo avevi stordito?”
“Marly, tappati la bocca e tienilo fermo!”
Quando Auron mise piedi fuori dal Portale Oscuro aprì gli occhi di colpo; si rimise in piedi a fatica, barcollando, e con il braccio libero cercò di sbilanciare il n. XI e di riprendersi la sua Masamune “IO VI FACCIO A PEZZI!”.
Vexen scivolò di lato, con l’amara consolazione che il mercenario infuriato non avrebbe potuto fare più danni al suo laboratorio di quanti già non ne avesse combinati la Ninfa Selvaggia. Il n. VIII lo aveva già avvisato dell’inconveniente ed arrivò a dar manforte, scivolando tra i suoi due compari ed assestando all’uomo un calcio in pieno petto.
Sapeva che il condizionamento di Mu ed Auron era ben diverso dal lavoro raffinato che aveva eseguito su Mistobaan, un puro capolavoro del suo genio. I ricordi del Braccio Destro del Grande Satana erano stati modificati mediante la magia delle Stanze della Memoria: non aveva brutalmente inserito dati e nozioni, ma aveva alterato ricordi e sentimenti preesistenti, mai cancellando, mai distruggendo, soltanto plasmando con un’altra forma.
Piccole modifiche, che sommate insieme avrebbero cambiato nel cuore il loro nemico senza che quello potesse accorgersi di alcunché.
Il condizionamento che aveva usato su Mu, Auron e sul suo stesso assistente Camus era stato un prototipo, non aveva scomodato per quei tre esseri insulsi le preziose Stanze della Memoria. Li aveva operati proprio lì, sullo stesso lettino sul quale stavano cercando disperatamente di immobilizzare il mercenario. Quando aveva chiesto al Castello dell’Oblio di mostrargli delle guide adatte alla missione gli erano comparse le figure di Auron e del sacerdote, ma per convincerli a collaborare aveva usato un condizionamento rapido e grossolano. E, come tutte le cose realizzate in poco tempo, era bastata una piccola frattura nelle emozioni del soldato per sgretolare il suo lavoro e le numerose bugie che gli aveva inserito in testa.
Axel provò ad immobilizzargli le gambe, ed in cambio ricevette una ginocchiata all’inguine. Imprecò con tanta forza che Camus, che stava rintanato in un angolo a pulire, lasciò cadere la scopa e si segnò.
Anni di studio spesi sui libri del Castello gli avevano insegnato molte cose sul funzionamento del cervello umano, molte più di quante potesse mai sperare di trovare nel suo vecchio mondo, retrogrado ed incivile: aveva scoperto come bastasse solo stimolare alcuni neuroni per inserire ricordi finti nella sua mente, comandi o fargli dimenticare porzioni intere della loro vita. Non era come il condizionamento delle Stanze della Memoria, non era basato su modifiche graduali e toccanti, ma si era dimostrato utile.
Fino a quel momento.
Narratore: "Registe, considerato che la vostra memoria è piena di buchi come i formaggi svizzeri vi consiglio di segnarvi le righe qui sopra. Mi raccomando, non fate troppi pasticci quando parlate del condizionamento …"
REGISTE: "Narratore, noi? Incasinarci? Mai!"
Narratore: "mah … ne dubito …"

“Camus, passami dei sedativi. Tutti quelli che si sono salvati”.
Le due fiale scivolarono dalla mano del sacerdote alle sue. Vexen le osservò con attenzione: non erano ciò che desiderava, ma si sarebbe accontentato.
Uno dei pochi mobili sopravvissuti alla furia di Larxen andò in mille pezzi quando Auron, in preda ad una forza combattiva assolutamente irrazionale, scagliò con odio il n. XI contro una parete con tanto di falce “Levatemi le mani di dosso, BASTARDI CONDIZIONATORI!”
Vexen non osò immaginare come quel mercenario avrebbe ridotto le sue vertebre se fosse riuscito ad agguantarlo per il collo.
“Tenetelo fermo!”
“E ti pare facile?” borbottò il roscio. Poi tutti e tre si affollarono sopra di lui, premendolo a forza contro il letto: Larxen lo aveva acchiappato per le braccia, Marluxia si era ripreso in tempo per stringergli le gambe ed Axel vi si sedette sopra con tutto il (poco) peso che aveva in corpo.
Vexen iniettò il sedativo ad una velocità incredibile “Non temete, farà effetto”.
Dopo un altro paio di tentativi per divincolarsi l’uomo rimase immobile e tutti tirarono un sospiro di sollievo “Dunque il condizionamento è saltato”
“Già” fece Larxen, assumendo la sua odiosa espressione di bambina offesa “E tutto questo perché il signore-del-condizionamento è una schiappa emerita! Sono sicura che persino io sarei riuscita a fare di meglio!”.
Non trovò le forze per risponderle. Le avrebbe rinfacciato il suo laboratorio distrutto, anni di ricerca persi per un suo capriccio, ma l’ultima cosa che voleva in quel momento era ricominciare una battaglia. Era ancora stanco, ferito e sembrava che di colpo ogni cosa stesse prendendo una piega decisamente sbagliata. Dèi ladri.
Si avvicinò allo scaffale, cercando i bisturi. Una delle poche cose che la Ninfa Selvaggia aveva risparmiato “Vi avevo detto che questo condizionamento è più instabile di quello di Mistobaan. Può svanire da solo, se si creano le condizioni sufficienti”.
“Ho visto dalle Stanze che si è liberato dal nostro controllo per colpa dell’Invocatrice. Credo che gli piaccia molto quella specie di tavola da surf …… cosa ci troverà di …”
“Non ci interessando i tuoi commenti, Axel” fece Marluxia, sistemandosi la tunica mentre continuava a perdere petali dal cappuccio “L’importante è che Mistobaan sia stabile. Possiamo tenerlo a bada, ma se dovesse liberarsi e ci cogliesse da soli sarebbe un bel problema”.
Lo scienziato li rassicurò ancora una volta.
Il Braccio Destro del Grande Satana era l’unica cosa che non lo preoccupasse al momento. Soprattutto perché il suo Nucleo Nero lo avrebbe tenuto a bada anche se il condizionamento avesse dato problemi.
Il n. VIII diede voce ad un pensiero che aleggiava nel laboratorio già da qualche minuto “Dobbiamo tenere sotto controllo anche Mu. Se si è liberato questo idiota mercenario potrebbe farlo anche quel prete!”.
Il suo assistente stava già preparando un carrello operatorio di fortuna, sistemando i teli e gli strumenti proprio con il metodo e l’ordine che il n. IV apprezzava più di ogni altra cosa quando doveva operare “Prima occupiamoci di Auron. Camus?”
La lama era ancora coperta di sangue di chissà quale esperimento.
Quello di Mistobaan, presumo.
“Sterilizza questo bisturi. ORA. Auron ci serve ancora vivo, non possiamo permetterci di causargli una setticemia, con focolaio cerebrale per di più!”.
“Padron Vexen …… ehm … l’autoclave è stata distrutta nell’ultima …… ehm … visita di padrona Larxen … e non so se…”
Dèi ladri.
Dèi ladri.
Dèi ladri.

Se fosse dipeso da lui avrebbe congelato tutto e tutti, sbattendo la porta e risolvendo quella faccenda dell’Invocazione Suprema a modo suo, da solo, lontano da quella massa di idioti; la cosa più odiosa era vedere il sorrisetto della n. XII, che gongolava ogni volta che lo vedeva in difficoltà.
“Uff, cerchiamo di sbrigarci!”
Il n. VIII rivolse un braccio verso di lui, e dal palmo della mano esplose una fiammata “Sterilizza qui. E sbrighiamoci”.
Vexen evitò di rispondergli a tono, mandando giù l’ennesimo boccone amaro della giornata. Si limitò ad appoggiare il bisturi sulla fiamma e ad esaminare se tutti gli altri strumenti fossero pronti, preparandosi già a dover sopportare per la seconda volta la presenza della Ninfa Selvaggia durante una sua operazione chirurgica “Camus, mancano gli aghi da sutura! Camus?”
Si voltò, ma il suo assistente era sparito.
“CAMUS!”



L’Intercessore aveva di nuovo ricominciato a brontolare, ma stavolta il cervello di Mu era altrove. Ripensava alle parole di Auron ed al loro discorso, a quello che avevano fatto i Membri dell’Organizzazione, che però erano saggi e potent ……
No. Basta. Non è vero!
Erano soltanto bugie.

Ma era difficile, terribilmente difficile. Incurante della nuova lite scoppiata tra l’Invocatrice e l’Intercessore strinse il suo rosario tra le mani, scavando dentro di sé, cercando di non perdere di vista quei frammenti del suo passato che ora sembravano quasi oscurati. Lui era Mu, il Cavaliere della Casa dell’Ariete. Si era opposto con tutte le forze all’ascesa del Grande Satana e poi aveva scelto di entrare a servire i Membri dell’Organizzazione perché erano …
No, non aveva mai scelto di seguirli.
Scavò nei suoi ricordi, ma continuava solo a vedere i cinque uomini in tunica nera davanti a lui, quasi circonfusi di luce, carichi di potere.
E’ tutto sbagliato, è assolutamente tutto falso!
“Mu, ascoltami, ti prego!”
Era la prima volta che vedeva Camus da chissà quanto tempo. Non lo aveva sentito arrivare, ma era chiaro che tutti gli altri membri del suo gruppo avevano gli occhi fissi sul giovane sacerdote dell’Acquario. Di lui sapeva soltanto che era stato scelto come assistente personale di padron Vexen, ma in pratica non aveva più avuto modo di comunicare con lui. Vide subito che era pallido in volto, affannato, e con una luce negli occhi che non presagiva nulla di buono.
Non c’era bisogno di aggiungere che di certo i Membri dell’Organizzazione avessero condizionato anche lui “Mu, ti prego, è successa una cosa terribile!”.
“Camus, cosa ……”
“Io non lo so …” era nervoso, guardava da una parte all’altra, fissando con terrore Mistobaan e cercando di farsi notare il meno possibile. La sua voce si ridusse ad un sussurro, in modo che nessuno sentisse “Auron è stato portato al laboratorio di padron Vexen, e voglio fare una cosa strana, dicono che devono condizionarlo di nuovo. So che padron Vexen è il più saggio e più potente di tutti, però……”
“No, Camus, ascoltami!”.
Gli raccontò tutto, dai loro primi dubbi alla certezza assoluta, a quelle parole che salivano nella loro gola prima ancora del pensiero ed a quello che erano stati costretti a fare per tutto quel tempo. Ma mentre parlava continuava a pensare ad Auron; lo avevano scoperto e lo avevano portato via per evitare che parlasse troppo, e adesso era nei guai “Mu?”.
Il ragazzo dai capelli azzurri interruppe a metà il suo discorso. I suoi occhi vorticavano, aveva la stessa espressione incredula che aveva visto dipinta sul volto del suo amico “Io … ancora non riesco a crederci … loro …”
Si sforzò di non pronunciare quelle parole odiose.
“Verranno da te, Mu. Non sanno che tu ti sei liberato, ma vorranno controllare. Dobbiamo fingere di essere ancora condizionati, o faremo la fine di Auron. Io adesso devo tornare nel laboratorio o padron Vexen sospetterà di me, gli devo portare i suoi aghi ……”
Agli angoli dei suoi occhi si affacciò una lacrima “Ancora mi sembra impossibile, loro sono così saggi e … no, lo so che non devo dirlo, però credevo in loro. E in padron Vexen”.
“Lo so”.
Non trovò altro da dirgli, e lo lasciò scivolare nel Corridoio Oscuro prima che potesse chiedergli altro.
“Cosa voleva quell’altra lattina dorata?”.
Non ebbe il coraggio di rispondere a Mara. Non avrebbero capito. Si limitò a stringere il rosario con più forza, chiedendosi cosa avrebbe fatto il suo confratello Shaka al suo posto, o il maestro Sion o il Gran Sacerdote Dohko. Le persone che aveva stimato per una vita intera.
I grani erano gelidi sotto le sue dita, ed in risposta alle sue preghiere venne solo l’immagine di Auron che imprecava, che rideva, che faceva battute idiote su padron Marluxia; erano amici, anche se in realtà si erano conosciuti per la prima volta in quel Castello, quando le loro menti erano già controllate come dei burattini.
Ma questo rendeva quel mercenario un suo amico, anche se bestemmiava e peccava costantemente.
Isolò la sua mente, cacciò via le urla di Mara e dell’Intercessore, per un attimo si sforzò di dimenticare anche che si trovava nel Castello dell’Oblio e di essere in balia dei membri dell’Organizzazione. Strinse il rosario e cercò di meditare, di calmare il suo cuore, di cercare la sua strada come facevano i Sacerdoti delle Dodici case, liberandosi dal mondo che li circondava.
“Se non vuoi che ti faccia un altro livido sotto l’occhio ti conviene spiegarmi cosa sta succedendo, Mu!”
Cosa devo fare?
Auron era in pericolo. Ed era anche suo amico.
Prima che si rendesse davvero conto della sua scelta aprì un Portale Oscuro “Mara, mi dispiace, ho un affare urgente da sbrigare”.
Lo attraversò d’un fiato e la porta del laboratorio di padron Vexen fu proprio davanti a lui, giù nell’ultimo piano del Castello, dove la temperatura era molto più bassa che altrove e dove il n. IV aveva organizzato il suo regno.
Non sono mai rimasto a guardare ciò che non condividevo. Ho abbandonato il Tempio perché credevo che fosse mio dovere fare di più, agire, aiutare la mia gente.
Credeva di aver ormai dimenticato quei bellissimi ricordi …
Non ho mai accettato che il Grande Satana imponesse il bavaglio a noi sacerdoti, e mi sono sempre rifiutato di adorarlo come una divinità. Se mi sono unito ai Ribelli è perché il mio posto non è seduto in un Tempio, in attesa. Per quel che posso, combatterò anche io!
E lo avrebbe fatto per un amico.
Per la persona con cui aveva diviso quell’orribile esperienza, per il suo compagno di viaggio.
Ripensò alla gioia con cui avevano deciso di scommettere sulla loro vittoria.
“Camus, ma sei andato nel Nirvana a prendere questi benedetti aghi?”
Padron Vexen stava operando, perciò non avrebbe avuto modo di combattere al meglio delle sue possibilità; adorava lavorare soltanto in compagnia di Camus, ed era certo che il Cavaliere dell’Acquario lo avrebbe aiutato. Una volta liberato Auron avrebbero portato via di lì tutti e due i gruppi e sarebbero tornati a casa.
Lui e Camus contro padron Vexen.
Aveva lo Stardust Revolution e lo Starlight Exstinction dalla sua parte, e l’altro sacerdote era in grado di resistere molto bene agli incantesimi di ghiaccio dello scienziato dell’Organizzazione.
Baciò il rosario e lo lasciò scivolare nell’armatura, poi lanciò il suo attacco più potente contro la porta, mandandola in frantumi “PADRON VEXEN, LASCI SUBITO IL MIO AMICO AURON O IO …”
“Tu cosa, Mu?”
Quattro paia di occhi lo fissarono da sopra le tuniche nere.
Padrona Larxen. Padron Axel. Padron Marluxia.
Camus non mi aveva detto che erano ancora nel laboratorio …
“Vediamo il lato positivo della cosa. Non dobbiamo nemmeno scomodarci di andarlo a prendere”.
Il ghigno del n. VIII gli fece correre un brivido su per la schiena; non ce l’avrebbe mai fatta da solo contro tutti loro, e nemmeno Camus, che stava passando uno strumento a padron Vexen, avrebbe potuto fare la differenza.
I Membri dell’Organizzazione sono saggi e potenti.
Le parole tornarono alla sua mente come una folgore, ma prima che potesse muoversi padron Axel svanì in un Portale e lo percepì ricomparire alle sue spalle. Poi qualcosa lo colpì con violenza alla nuca e vide tutto il laboratorio girare intorno a lui. L’ultima cosa che sentì fu padron Marluxia ordinare: “Vexen, cambio di programma. Lascia perdere di condizionare Auron. Leviamo loro il teletrasporto con una delle pozioni apposite e mettiamoli sotto chiave, abbiamo due gruppi assolutamente fuori controllo e Mistobaan con tanto di esplosivo dentro”.
“Ora che non ci servono più posso scuoiarli? Non ho mai levato la pelle ad una persona!”
“Larxen, inizi ad essere monotona”.
Poi anche il laboratorio svanì in un velo di sangue.



Sul costone di roccia la neve in alcuni punti arrivava persino alla cintura, e non aveva la certezza che le sue gambe stessero rispondendo al meglio delle forze. Zachar aveva lanciato sui loro corpi un incantesimo di riscaldamento, creando un sottile fuoco sotto la pelle che li avrebbe protetti dal morire assiderati.
Ash però continuava ad avere freddo, e nessuno aveva un mantello o un cappotto da prestargli per coprire la sua maglietta a maniche corte; per tenere in esercizio le dita infilava le mani nelle tasche e faceva scivolare le sue Pokéball una accanto all’altra, sussurrando qualcosa sicuro che i suoi amici riuscissero a sentirlo.
Il governatore Fett invece sembrava immune al gelo ed al vento, e la sua armatura si stagliava all’avanguardia del loro gruppo per ricordare loro la via; Zachar aveva insistito per farlo camminare davanti a tutti. Nonostante fosse difficile distinguere amici da nemici a più di un paio di metri di distanza, la maga voleva tenerlo sotto controllo a tutti i costi: era Fett, dopotutto, a trasportare Kaspar su una spalla, e non era mistero che avrebbe lanciato volentieri lo stregone giù da una rupe.
Lei non lo avrebbe mai permesso, nonostante tutto quello che Kaspar le aveva fatto.
Il piede di Ash incappò in una roccia nascosta, ed il ragazzo finì a faccia in giù nella neve. In quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per essere di nuovo a Dagobah, piena di paludi, alberi ammuffiti, bestie selvagge di ogni genere ed umidità alle stelle, ma almeno lì c’era una base imperiale confortevole in cui scaldarsi ed allenarsi con i suoi amici.
Sentì Zachar rimetterlo in piedi tirando la maglietta “Ash, dobbiamo accelerare. La tempesta sta aumentando”.
Era vero. Erano passate solo poche ore da quando avevano deciso di inerpicarsi per quel sentiero, ma ogni minuto che passava la tormenta diventava sempre più forte: all’inizio erano soltanto migliaia di fiocchi di neve, ma da qualche minuto nel vento c’erano anche frammenti di ghiaccio sottili come aghi. Molti di loro si infransero sull’armatura del governatore Fett, liberando dei tintinnii che risuonarono per il crepaccio in maniera sinistra.
Zachar creò intorno a sé una barriera, ma prima che l’incantesimo la rivestisse del tutto decine di schegge la raggiunsero al viso ed al braccio sinistro, lasciando delle sottili strie rosse che si solidificarono dopo qualche attimo. Incurante del dolore creò uno scudo anche intorno ad Ash, ma anche un semplice ragazzino come lui poteva accorgersi che le sue forze diminuivano man mano che salivano su per il sentiero.
“Ameba, se vuoi salvare il tuo bell’ammasso di muscoli ti conviene muoverti. Non ho intenzione di morire di freddo perché ti stanchi subito dopo pochi passi”.
Povera Zachar …
Ash era sicuro di aver letto da qualche parte che quando faceva troppo freddo le prime cose che cadevano erano le dita dei piedi, e si accorse con profondo dolore che riusciva a stento a muoverle dentro le sue scarpette da ginnastica, e che ogni tentativo gli lasciava solo fitte incredibili, perciò prese per mano Zachar e ricominciò a salire di gran carriera, affidandosi solo ad una macchia grigia per seguire la posizione del governatore Fett.
Non era in grado di stabilire il passare del tempo, perché il cielo che copriva il monte Carahdras era saturo di nuvole nere e grigie, e non aveva con sé nemmeno l’orologio che gli aveva regalato Brock per l’ultimo compleanno. Potevano essere passati pochi minuti come decine di ore, questo Ash non poteva saperlo.
Adesso anche il governatore Fett era costretto a rallentare, ed in più punti si dovette appoggiare al costone roccioso per mantenere l’equilibrio; a suo onore doveva ammettere che non aveva mai abbandonato la presa su Kaspar nemmeno per un minuto, ma il ragazzo sapeva che lo teneva in vita soltanto perché sembrava così vitale per tornare tutti quanti a casa interi. Ash ormai era coperto di neve fino a metà del petto, ma non osava fare movimenti bruschi: il sentiero che stavano attraversando correva lungo il versante del monte, ma alla loro destra vi era uno strapiombo di cui non riusciva a vedere il fondo per la tempesta.
Anche il più piccolo colpo di vento avrebbe potuto farli precipitare.
“Ash …”
Il ragazzo si accorse della sua voce solo quando la mano della sua amica lo strattonò; doveva averlo chiamato già da tre o quattro volte, ma il frastuono del vento e dell’eco coprivano qualsiasi suono.
Zachar era ancora spossata dall’ultimo combattimento, e nonostante tutti i suoi incantesimi protettivi sottili strati di ghiaccio si erano formati lungo il suo viso, mentre la barriera incantata intorno ai loro corpi si faceva ogni attimo più evanescente “Se non ce la dovessi fare …”
“Non dire stupidaggini, Zachar!”
“Cerca comunque …” il potere dell’incantesimo si dissolse, e persino il governatore Fett si girò dalla loro parte “… di uscire vivo da qui … e di salvare Au…”
Scivolò di lato senza più parlare, perdendo la presa sulla roccia alla sua sinistra e cadendo dritta verso il crepaccio, senza nemmeno le energie per mettersi in ginocchio ed affondare nella neve. Il ragazzo mise di corsa le mani nelle tasche alla ricerca della Pokéball con Bulbasaur, ma come per dispetto le sfere gli scivolarono via dalle dita, e la ragazza cadde di sotto prima che potesse allungare una mano per afferrarla.
Una figura vestita di nero fu più rapida di lui: veloce come soffio di vento ed altrettanto gelida, una mano comparve alle sue spalle ed acchiappò la ragazza per i capelli; il ragazzo non era sicuro di averla vista davvero muoversi.
Purtroppo ne seguì una voce orrendamente familiare “Appena in tempo! Senza di me la nostra cara, piccola e piatta Invocatrice si sarebbe spiattellata sulle rocce!”.
Da ciò che restava di un Portale Oscuro era ricomparsa quella strana ragazza che li aveva attaccati poco prima, quella che era caduta dal cielo come una tempesta di fulmini ed aveva rapito Zachar ed Auron. Sentì alle spalle il ronzare di un blaster attivo, ed il cacciatore di taglie fu subito davanti a lui, puntando l’arma alla ragazza “Cerchi di spaventarmi con quell’affarino, uomo-lattina? Guarda che ho appena salvato la vostra preziosa fanciulla, che ingratitudine!”.
“MI AVETE STANCATO” fece l’uomo, senza perderla di mira “FATECI USCIRE SUBITO DI QUI!”
“E’ per questo che siamo venuti”. Un altro globo di oscurità si aprì proprio alle sue spalle ed apparve Marluxia, la persona che era riuscita a fermare Kaspar; il ragazzo iniziò a tremare, e stavolta non certo per il freddo. Cosa vogliono da noi?
L’uomo dai capelli rosa prese Kaspar dalle spalle del governatore Fett e lo mise sulle proprie: sembrava addirittura più forte di Auron, visto che il peso del mago non lo fece vacillare nemmeno per un secondo. Boba guardò prima all’uno, poi all’altro Membro dell’Organizzazione, indeciso su quale dei due puntare la sua arma; Ash, dal canto suo, cercò di farsi sempre più piccolo (nella neve gli riusciva anche abbastanza bene) e sperare che un’eventuale battaglia non lo coinvolgesse troppo. Raccolse le Pokéball cadute, sfiorandole con i polpastrelli per sentire i suoi amici lì dentro: ma il gelo era profondo, ed il ragazzo si accorse che faceva ancora più fatica di prima a muovere le mani.
“Sarebbe davvero un problema per noi se l’Invocatrice e l’Intercessore morissero proprio ad un passo dalla fine” disse Marluxia “Credo che abbiate bisogno di un aiutino”.
“Da voi non vogliamo nulla!”
“Oh, Marly, l’uomo-lattina vuole rimanere qui al freddo e al gelo!”.
“Per me non ci sono problemi” rispose l’altro Membro dell’Organizzazione “A noi bastano l’Invocatrice e l’Intercessore. Se gli altri vogliono uscire vivi…” Ash si accorse che stava guardando proprio nella sua direzione “Devono venire con noi. Andiamo, Larxen, portiamo a termine questa prova e facciamola finita!”
“Ancora mi domando perché non ci abbiamo mandato Vexen!”.
“Perché lui ci serve nel suo laboratorio, mia cara”.
Ash non sapeva chi fosse questo Vexen, ma nemmeno gli importava troppo. La tormenta stava aumentando, e le due figure vestite di nero si stavano inerpicando per il sentiero innevato con la sua amica svenuta. Il cacciatore di taglie lo superò: l’arma era ben in vista.
“Non so te, Ash, ma io voglio uscire vivo di qui”.
“Anche io! Ma ho un po’ paura per Zachar e Auron…”
L’altro si incamminò dietro ai due Membri dell’Organizzazione “Per quel che mi riguarda possono andare al diavolo tutti e due. Voglio tornare a Coruscant dai miei amici”.
Anche io voglio tornare a casa. Ma insieme a Zachar.
E’ l’unica persona qui dentro che non mi creda un idiota …

Non gli rispose, perché non aveva fiato da sprecare. Tutte le energie se le stava succhiando quel freddo maledetto, e sapeva che il governatore Fett non gli avrebbe mai presto più attenzione di quanta ne potesse concedere ad una mosca. Senza l’incantesimo protettivo di Zachar ogni singola fibra del suo corpo urlava di freddo e di dolore, ma si rimise in marcia; non si sarebbe fatto lasciare indietro.



“Come sarebbe a dire che non potete aprirci uno dei vostri stupidi e fottutissimi Portali?”
“Credo di averlo ripetuto almeno una dozzina di volte” fece Marluxia, senza mai lasciare il corpo di Kaspar. Ash approfittò della pausa forzata per sedersi sul primo masso non ancora sommerso dalla neve e dal gelo e portò le mani al viso, cercando di riscaldarle per quanto possibile, guardando sempre con maggior timore l’uomo dai capelli rosa e quella ragazza che diceva di chiamarsi Larxen.
Il ragazzo non aveva la forza di guardare verso il basso: il sentiero li aveva condotti su per il fianco del Carahdras, costringendoli ad arrampicarsi in punti improbabili, attraverso percorsi che soltanto i Membri dell’Organizzazione riuscivano ad individuare. Continuava a non vedere il fondo del crepaccio, ma Ash era sicuro che cadere lì dentro sarebbe stato peggio che lanciarsi di testa dalla sommità del grattacielo più alto di Coruscant.
Si era fermati perché il sentiero si era interrotto sul più bello. Esso terminava proprio lungo il cuore di uno dei tanti costoni rocciosi che formavano la montagna. La superficie era fin troppo liscia, impossibile da scalare, e la loro marcia era stata stroncata.
L’unica via che la Stanza della Memoria sembrava concedere loro era uno spiazzo roccioso al loro fianco, proteso vuoto del burrone proprio dall’altro del versante. Tra loro ed il picco, però, vi era un balzo di circa una decina di metri.
Ed i Portali Oscuri sembravano fatti apposta per superare quel tipo di ostacolo, e per una volta Ash diede ragione al governatore Fett. Con il teletrasporto sarebbe stato tutto più facile, ma i due si erano mostrati inamovibili, soprattutto Marluxia, che li aveva squadrati con i suoi occhi blu. Gli causavano un gelo nelle ossa ben peggiore di quello del vento del Carahdras.
“Il Castello vuole che superiamo la prova. E’ lui che ci consente di usare i Portali, e teleportarci oltre questo crepaccio equivarrebbe a …”
“Barare!” fece allegra la ragazza, passandosi con molta poca delicatezza il corpo di Zachar da una spalla all’altra “E non potete capire quanto mi dispiaccia, io adoro barare!”
“Non me ne fotte un cazzo del vostro castello e della prova, IO VOGLIO USCIRE DI QUI SUBITO!” Boba gli puntò un blaster al petto ed iniziò ad insultarlo accostando tutte le imprecazioni che gli venivano in mente. L’altro glielo scostò con una mano e guardò oltre.
I tre iniziarono a litigare ad alta voce, con l’eco che ripeteva ogni singola protesta e con Kaspar e Zachar che non accennavano a svegliarsi.
Ash non prese parte alla discussione. Nessuno gli dava mai peso, ed aveva imparato da anni che la cosa migliore da fare quando gli altri prendevano decisioni era starsene in un angolo e rigorosamente NON parlare. I suoi suggerimenti non erano graditi.
Ma purtroppo non poteva far altro che pensare ed ascoltare, ascoltare e pensare e sperare di non morire congelato su quella montagna. Il baratro davanti a loro sembrava davvero insuperabile, non avevano nemmeno una fune o una scala con cui arrivarci; e di certo lassù non c’era nemmeno un alberello da fare a pezzi per provare a costruire un piccolo ponte o una scala.
L’idea gli venne tirando fuori dalla tasca le sue Pokéball e cercando di scaldarle con il palmo della mano.
Certo, poteva anche essere una stupidaggine, ma i tre non sembravano interessati a lui; e comunque fare un tentativo non avrebbe fatto del male a nessuno.
“Bulbasaur, scelgo te!”.
Sapeva che il suo piccolo amico era sensibile al gelo: come tutti i Pokémon d’erba ogni temperatura troppo alta o troppo bassa lo indeboliva, e Bulbasaur per tutta risposta gli comparve in braccio, stringendosi contro la sua maglietta. “Bulbasaur, lo so che fa freddo, ma avrei proprio bisogno del tuo aiuto!”.
“Ehi, cos’è quel mostriciattolo?” fece la ragazza.
“Si chiama Bulbasaur, ed è un mio amico” rispose Ash, avvicinandosi alla sporgenza sempre stringendo il Pokémon in braccio “Senti, credi di poter raggiungere l’altra parte della montagna con le tue liane?”.
La creatura non rispose, con gli occhi che vagavano da una parte e dall’altra e le foglie lungo la sua schiena strette una vicina all’altra per proteggerlo. “So che ce la puoi fare”.
Facciamo vedere ai Membri dell’Organizzazione che anche noi siamo una grande squadra!
Bulbasaur scivolò dalle sue braccia, camminò nella neve e si fermò sul costone, guardando oltre il crepaccio, lanciando diversi piccoli versi. Ash sapeva che il suo amico stava raccogliendo le forze, ma alle sue spalle sentì soltanto qualche risata, a cui ci si aggiunse quella del governatore Fett; ma era abituato ad essere deriso “Vai, Bulbasaur, fagli vedere come te la cavi!”.
Il piccolo Pokémon aspettò ancora qualche minuto e poi liberò le sue due liane: esse saettarono attraverso la tempesta di neve, e raggiunsero il versante opposto dopo qualche minuto. Si mossero lungo la superficie della roccia per un po’, alla ricerca di luoghi dove appendersi e cercare stabilità, lasciando tutti con il fiato sospeso. Il suo amico gli mandò un verso affermativo “Ehi, Bulbasaur ha raggiunto l’altra estremità! Possiamo lanciarci!”.
“Secondo te quella bestiolina è in grado di reggere il nostro peso? Ragazzino, smettila di prenderci in giro e torna a succhiarti il pollice in un angolo”.
“Ma lui …”
“Ash, ti prego, non ho voglia di fracassarmi l’osso del collo fidandomi del tuo Pokémon. Per una volta il Membro dell’Organizzazione ha ragione” disse il governatore Fett, con un tono di disgusto. Gli diede le spalle e tornò a rivolgere la parola alla ragazza bionda.
Ma perché non mi ascolta nessuno? Bulbasaur è fortissimo, ed io mi sono lanciato tantissime volte con le sue liane, non mi è mai successo niente e…”
“La tua idea non è da buttare, ragazzo”.
Marluxia gli venne così vicino da strappargli un brivido, scivolando come un’ombra sulla neve ed avvicinandosi a Bulbasaur “Questa tua creatura … basa la sua forza sull’erba, giusto?”.
Non capiva cosa volesse quell’uomo inquietante da lui e dal suo amico “Sì … lui è un Pokémon d’erba … sì, trae la sua energia dalle piante in generale e poi …”
“Questo mi basta”.
Quella Larxen si teleportò proprio vicino a loro, sogghignando “Ehi, Marly, vuoi davvero lanciarti su una liana nel vuoto? Se è così non posso mancare quando ti fracasserai su quelle rocce là sotto. Magari si vedrà tutto il cervello che sprizza!”.
Questa ragazza mi mette i brividi quasi più di Marluxia…
L’uomo dai capelli rosa sorrise da sotto il cappuccio “Non ho alcuna intenzione di saltare, mia cara. Sai che se possibile adoro camminare”.
“Quando camminerai su una liana sospesa nel vuoto sarà il giorno in cui Axel si tufferà di testa in un lago ghiacciato con tanto di rincorsa”.
“Stai a vedere e chiudi la bocca. La differenza tra il mio elemento ed il tuo, Larxen, è che io posso anche creare, tu puoi solo distruggere”.
Prima che Ash potesse anche solo fermarlo, il Membro dell’Organizzazione si chinò su Bulbasaur e sfiorò il germoglio sul dorso con la sua mano coperta da guanto. Per qualche attimo non accadde nulla, ma poi il corpo del suo amico iniziò ad illuminarsi di una luce verdognola; si lanciò nella sua direzione, ma il braccio libero di Marluxia lo fermò nella sua rincorsa “Stai fermo, ragazzino. Sto solo … migliorando la sua prestazione!”.
Sui fianchi blu e verdi del Pokémon si formarono dei bozzi, che man mano diventarono sempre più grandi e chiari, anche se Bulbasaur tutto sembrava tranne che preoccupato. I globi esplosero, e dal piccolo corpo partirono altre tre, quattro, sette, dieci liane che si unirono alle due già sospese nel vuoto. Il suo amico mandò diversi versi di sfida, con quella nuova energia che sembrava renderlo più forte ogni secondo.
Le nuove liane si mossero, attraversando la tempesta attorcigliandosi le une alle altre; quando raggiunsero l’estremità rocciosa si legarono alle altre due, lanciandosi attraversare da una nuova luce, più chiara, che partiva delle dita del Membro dell’Organizzazione ed attraversavano il corpo del piccolo Pokémon. Qualche minuto dopo dal corpo di Bulbasaur c’era un piccolo ponte naturale: stretto, non più largo di cinque piedi, ma abbastanza per far passare una persona alla volta.
L’uomo si rialzò e diede alla sua compagna un secondo sorriso di sfida “Prima le signore”.
Lei sbuffò, e con l’Invocatrice sulle spalle iniziò a camminare verso l’altro costone, cercando di non perdere l’equilibrio per il vento.
Marluxia con tanto di Kaspar-pacchetto si avvicinò per seguirla.
“Come hai fatto?” chiese Ash. Aveva visto diversi maghi dell’Amn studiare i suoi Pokémon, ma nessuno era mai riuscito a fare una cosa simile.
“Sono un elementale dei fiori, ed il tuo piccolo amico è un ottimo ricettacolo per le mie energie”.
Ovviamente il ragazzo non capì proprio nulla, ma non volle questionare ancora l’uomo misterioso, e seguì i suoi passi sul nuovo ponte di liane, con il governatore Fett che chiudeva la cordata.
Non ci fu bisogno di arrivare alla fine.
Nell’istante in cui quella Larxen, con tanto di Zachar sulle spalle, mise piede sul nuovo costone il bianco esplose nuovamente: le nevi sparirono in un attimo, il vento smise di soffiare e sul corpo della sua amica svenuta comparve la luce, tutta l’energia accumulata durante la prova che prese corpo dentro di lei.
Non appena comparsi nell’anticamera avrebbero cercato una via di fuga: certo, non avevano Auron dalla loro parte, ma forse la magia di Zachar unita a quella di Kaspar avrebbe potuto farli uscire. Avrebbero salvato la loro guida e sarebbero tornati a casa.
Già pregustando una gigantesca festa in compagnia di Misty e Brock, il ragazzo aprì gli occhi e si ritrovò nella solita, immutabile, bianca anticamera.
Senza né Zachar né Kaspar. Anche i due Membri dell’Organizzazione erano spariti.
Gli occhi di Boba Fett non erano visibili, ma di sicuro sotto quell’elmo c’era un’espressione di furia “Dove sono andati a finire tutti gli altri?”.
  
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