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Autore: Angorian    23/03/2012    5 recensioni
[Scorpius Malfoy, Lily/Scorpius]
Rossi, i suoi capelli erano incredibilmente rossi, facili da seguire con la coda dell’occhio nei corridoi della scuola, in quella informe calca nera di divise.
Nonostante negli anni conobbi altre ragazze, baciandone alcune, e desiderandone altre, lei rimase lì, in un angolo della mia coscienza, una fiamma delicata e sfuggente che tuttavia continuava a solleticarmi.

Una OS per Scorpius, per i suoi pensieri su Lily.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Scorpius Malfoy | Coppie: Lily/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
- Questa storia fa parte della serie 'Rewind - Nodo di Sangue'
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Rewind – True love waits


 
La luce del sole è oro che cola dalle fronde, e gli alberi della foresta il mio personale baldacchino traforato. Non c’è pace per me tra le mura della scuola: troppi fantasmi si agitano nelle ombre, errori non ancora perdonati che serpeggiano come spifferi gelidi.
Nutro pensieri stanchi che vagano senza forma, e rancori viscidi che stringono la mia anima avvelenata con le loro spire, scavandosi un nido come vipere silenziose.
Ho il corpo martoriato da sguardi più o meno diretti, che bucano la pelle come aghi; il disprezzo altrui si riversa sul mio cammino come benzina fredda.
Stringo fra le dita un fermacapelli a forma di fiore, forte, fino a sentire le punte di metallo trafiggere crudeli le carni del mio palmo, come la sua presenza lacera le mie viscere.
Lei, fuoco fatuo tra i corridoi sovrappopolati di questa maledetta scuola, lei, che vorrei afferrare e stringere e segregare nel mio pugno, come questo fermacapelli che le è appartenuto, prima che glielo rubassi.
Lei, che ogni notte violento nella solitudine del mio letto, con rabbia, immaginando di schiacciarla sotto il peso del mio rancoroso desiderio, immergendomi goloso nel candore del suo corpo bianco, mai sfiorato da mani altrui.  
Cercando di essere il mostro che tutti si aspettano.
Ma la verità è che, dopo, tra le lenzuola ancora sporche del mio seme, prego Dio, vergognandomi come un ladro, di regalarmi lei, di darmi l’esclusiva sul suo sorriso.
La verità è che l’unica cosa ad essere stuprata ed offesa da quella piaga che tutti chiamano amore, è la mia anima.

 
 

I’ll drown my
beliefs
to have you be
in peace

 
 
La prima volta che la vidi, fu nel settembre di sette anni fa.
Vapore e nebbia nascondevano alla vista i vagoni dell’Hogwarts Express, in quel primo di settembre prevedibilmente grigio e umido. Mio padre mi guidava tra la folla, la mano ferma sulla mia spalla esile, mentre con l’altra reggeva un bastone da passeggio scuro e lucido.
Maghi di ogni età si accalcavano sulla banchina in attesa della partenza, accompagnando chi un figlio, chi un nipote. Mi sentivo stranamente svuotato, nonostante avessi atteso per l’intera estate quel giorno.
Strilli di bambini, chiacchiere assordanti di adulti eccitati e commossi e il bubbolio dei gufi facevano da rumorosa cornice a quella mattina che ogni mago ricorda sempre, il primo settembre dei suoi undici anni.
Ci fermammo davanti alle porte aperte di un vagone, e mi lasciai abbracciare da mia madre, i suoi occhi scuri umidi di emozione.
«Non cacciarti nei guai, a scuola» mi disse, seria «e ricorda di mangiare, sei così magro…»
Assaporai la sua mano fresca sulla guancia accaldata, e sentii un peso nello stomaco quando depositò un breve bacio sulla mia fronte, scostando i capelli biondi tagliati di recente.
Cercai lo sguardo di mio padre, ma i suoi occhi avevano trovato e riconosciuto qualcuno tra la folla, e vidi le sue spalle irrigidirsi mentre abbassava il capo in un saluto breve, formale. Cercai di capire chi fosse il destinatario di quel saluto tanto privo di qualsiasi calore, quando il mio sguardo inciampò su una numerosa famiglia.
La persona che aveva ricambiato il saluto di mio padre era un uomo della sua stessa età, i capelli scuri disordinati su un viso indiscutibilmente noto.
Harry Potter mi aveva sempre guardato dalla prima pagina di un giornale aperto a colazione, la cicatrice a forma di saetta sempre ben visibile, gli occhi verdi brillanti di forza e determinazione. Eppure, l’uomo che vedevo circondato dalla sua famiglia era straordinariamente ordinario. I suoi occhi verde chiaro non rilucevano di una qualche forza nascosta, il suo corpo allenato dall’addestramento Auror non sembrava emanare alcun particolare potere.
Non c’era nulla in lui che lo contraddistinguesse come il Salvatore del Mondo Magico, se non quella cicatrice dalla forma bizzarra.
Era un uomo, solo un uomo.
Lasciai vagare senza un particolare interesse il mio sguardo sul resto della famiglia: una donna attraente dai capelli rossi guardava dalla mia parte, ma i suoi occhi non incontrarono i miei. Due ragazzi dai capelli scuri parlavano animatamente, uno con gli occhi scuri, brillanti e gai, e uno dagli occhi chiari quanto quelli del padre, dall’espressione preoccupata e risentita.
Vicino al padre, quasi a nascondersi contro di lui, una bambina dai capelli fulvi straordinariamente simile alla madre cercava di attirare l’attenzione del padre, strattonandolo per la giacca con decisione.
Continuai a guardarla, stregato, ricordando una fiaba che nonna Cissy mi leggeva spesso, su una fata dai capelli rossi che durante la notte annodava i capelli dei bambini cattivi per dispetto. Quella bambina sembrava il ritratto dell’illustrazione del libro, con quei capelli tanto rossi da sembrare le fiamme di un camino acceso.
«I Potter manderanno due figli più piccoli, quest’anno, ad Hogwarts?»
Sentii mia madre chiederlo a bassa voce, e mio padre rispondere seccamente:
«No, la bambina ha nove anni»
Il fischio del treno ci riportò alla realtà, ai saluti, alla commozione.
Poco dopo salii sul treno in cerca di Adrian Nott, mio compagno di giochi, e quando lo trovai insistetti per sedermi dalla parte del finestrino.
Adrian mi prese in giro, credendo che fino all’ultimo volessi vedere i miei genitori salutarmi dalla banchina affollata.
Si sbagliava, ma glielo lasciai credere; sapevo che mi avrebbe preso in giro molto di più se gli avessi confessato che in realtà guardavo la fata-bambina dai capelli rossi, cercando di imprimere nella memoria i suoi tratti infantili.
 
 

Just don’t leave
don’t leave

 
 
Pensai a lei, la prima notte che trascorsi da Serpeverde nel castello, oltre i drappi verdi del mio baldacchino, un solo spiraglio per far passare la sottile luce delle stelle.
Immaginai che, una volta arrivata ad Hogwarts, l’avrei presa per mano e ne avrei fatto la mia compagna di avventure, facendole conoscere i luoghi che mi piacevano di più. Le avrei detto di non avere paura della piovra gigante, e che non era vero che a volte faceva arrivare i suoi tentacoli fino alle finestre dei dormitori per afferrare gli studenti; lei avrebbe creduto nel mio coraggio, quando le avrei raccontato dei posti che avevo esplorato da solo, e saremmo diventati amici.
Mi bastarono pochi giorni, per capire che quello non era che un sogno sciocco e irrealizzabile.
Cominciai a conoscere parole come “traditori” e “voltagabbana”, e mi spaventai quando mi raccontarono di storie che vedevano protagonisti i “Mangiamorte”.
Parole che a casa avevo solo sentito sussurrare adesso diventavano pesanti come macigni, e sembravano incollarsi addosso, senza possibilità di scampo.
I due ragazzi che sapevo essere i fratelli della fata-bambina, erano adorati e famosi, senza che avessero fatto nulla per meritarlo se non essere i figli di Harry Potter. Ma soprattutto, imparai ad odiarli.
James Potter era un divertente combina guai, che purtroppo però prendeva sempre i Serpeverde come vittime dei suoi scherzi; conobbi l’imbarazzo di dover saltellare dall’aula di Astronomia fino all’Infermeria, e di beccarmi una serie di fatture di cui allora non conoscevo neppure il nome.
Credevo che fosse questo il lato peggiore, fino a che non capitai in classe con l’altro Potter, che tutti chiamavano Al.
Nonostante fossimo compagni di banco, non mi rivolse neppure uno sguardo per tutta la durata della lezione, e quel gelo che provai mi fece arrabbiare più di qualunque altro scherzo avessi mai subito.
Che motivo aveva, Albus Potter, di credersi migliore di me?
Fu così che capii che gli unici amici che potessi trovare, avrei dovuto cercarmeli tra i Serpeverde. Non c’era posto per noi  in una scuola dove eravamo considerati poco meno che traditori, qualunque fosse il nostro cognome o stato di sangue.
Lasciai che l’odio si stemperasse in indifferenza, e fu così che passarono i miei primi due anni ad Hogwarts.
Poi, arrivò lei.
 
 

I’m not living
I’m just killing time

 
 
«Potter, Lily»
Conobbi il suo nome il giorno dello Smistamento, quando l’intera scuola la guardava con curiosità, ed aspettativa.
Aveva i capelli arruffati e bagnati di pioggia, il viso pallido e spaventato.
Se solo il Cappello Parlante l’avesse smistata a Serpeverde, avrei potuto farla sedere accanto a me, rassicurarla. La guardai avanzare verso il Cappello, e quando il suo viso minuto fu quasi completamente oscurato dalla vecchia visiera, incrociai le dita sotto il tavolo, e sperai.
«Grifondoro!»
Fu con uno scroscio di applausi, che incassai la delusione.
Guardai le lingue di fuoco dei suoi capelli brillare sotto le luci morbide delle candele, mentre si affrettava a prendere posto tra i suoi fratelli.
Vidi Albus scostarle le ciocche bagnate dal viso, parlandole piano e ricevendo un sorriso timido in risposta.
Mi morsi le labbra, e presi ad attaccare con irritazione il mio arrosto.
Non è neanche bella, in realtà, mi dissi, guardandola di soppiatto.
Cosa mai ci avessi visto a undici anni, non riuscivo a spiegarmelo. Il suo viso magro non aveva nulla di unico, ma era imperfetto e pallido; i suoi capelli non erano tanto rossi come credevo di ricordarli, e c’era in lei tanto di quel compiacimento nel ritrovarsi una Grifondoro, che quel sentimento di curiosità e attesa che avevo nutrito per due anni divenne delusione e disprezzo.
«Se la guardi così tanto, i suoi fratelli se ne accorgeranno»
Nott non aveva neppure alzato gli occhi dal suo piatto, continuando a mangiare come se nulla fosse.
«Faccio quello che voglio» ringhiai.
Nott tagliò un altro pezzo di arrosto, e lo pose sul suo piatto.
«James Potter ti scaglierà contro una delle sue irritanti fatture»
Fissai con insolenza il ragazzo, che però conversava con la cugina, senza accorgersi di nulla.
«Che ci provi»
Nott sorrise, e riprese a mangiare.
Fu in quel momento, che lei alzò gli occhi su di me, e mi guardò.
La fissai, sfidandola ad abbassare lo sguardo, e fu proprio quello che lei fece, arrossendo come un papavero.
Quando il cugino le fece una domanda, lei scosse la testa.
Come i suoi fratelli. Sono tutti uguali.
 

Just don’t leave
dont’ leave

 
Rossi, i suoi capelli erano incredibilmente rossi, facili da seguire con la coda dell’occhio nei corridoi della scuola, in quella informe calca nera di divise.
Nonostante negli anni conobbi altre ragazze, baciandone alcune, e desiderandone altre, lei rimase lì, in un angolo della mia coscienza, una fiamma delicata e sfuggente che tuttavia continuava a solleticarmi.
Osservavo la sua vita da lontano, scoprendo che preferiva la compagnia di uno scialbo ragazzino Corvonero rispetto a quella ingombrante della sua famiglia; impegnandomi ad odiarla e a disprezzarla, ma anche tenendola sempre d’occhio, tacendo con me stesso sul perché lo facessi.
Durante il giorno fingevo che non esistesse; ma la notte quell’insana ossessione  tornava a torturarmi, e fin troppo presto scoprii che non immaginavo più un modo per avvicinarmi a lei e parlarle, ma un modo per portarmela a letto.
Era più facile, in quel modo, accettare la mia follia: Lily Potter era un prurito che mi aveva accompagnato per troppi anni, e immaginare di trascinarla in una classe vuota e buia era un modo delizioso di soffocarlo per poco. Sul pavimento, su un banco, in piedi: la forma cambiava ma la sostanza era sempre la stessa, io che mi avventavo sul suo corpo e lei che me lo lasciava fare, perché mi desiderava quanto io volevo lei.
Era questo, il lato che più mi inquietava di quei sogni lucidi: lei mi voleva quanto io volevo lei.
Volevo che mi amasse. Volevo che, davanti a tutti, lei voltasse le spalle alla sua famiglia per stare con me. Quanto sarebbe stata deliziosamente stravolta la faccia di Albus Potter, guardando la sua adorata sorella venire da me? Guardare sulla sua faccia la consapevolezza che lei si sarebbe lasciata spogliare da me, facendosi scopare da un figlio di Mangiamorte?
Confesso che, durante il mio sesto anno, pensavo che avere Lily significasse anche vincere.
 
 

And true love
waits
in haunted attics

 
 
La prima volta che riuscii ad averla tra le mie braccia, ero in cima alla guferia, infreddolito e  irritato. Dopo aver mandato un gufo a mia madre, stavo per uscire dalla guferia, quando ci scontrammo. Il pavimento era ghiacciato, così fu facile scivolare lungo distesi sulla pietra, con lei che arrossiva a quella vicinanza inaspettata.
Me la levai di dosso senza garbo, temendo una qualche reazione da parte del mio corpo.
«Mi dispiace» mormorò, cercando di rimettersi in piedi. Pessima decisione: cadde ancora, questa volta sulla pietra sporca di paglia. La sua espressione attonita fu così buffa che cominciai a ridere senza pietà, e lei arrossì ancora di più.
Ammetto che era adorabile, rossa d’imbarazzo e con i capelli pieni di paglia; la trovai ancora più adorabile quando vidi le sue calze smagliate, lasciando scoperta la pelle bianca e infreddolita delle sue gambe. Mi sforzai di distogliere lo sguardo.
Mi alzai, stando attento a non cadere, poi le porsi una mano.
«Credo che tu abbia bisogno di aiuto» commentai, ironico, e per un attimo credetti che avrebbe rifiutato l’offerta per fare da sola, testarda e orgogliosa come solo i Grifondoro sanno essere. Invece, accettò la mano, e lasciò che, una volta alzata, le cingessi la vita per tenerla salda.
«Grazie»
Aveva occhi puliti, sinceri.
«Sei ferita?» chiesi, accennando alle sue ginocchia appena sbucciate.
Lei scosse la testa, e il profumo dei suoi capelli rossi mi investì. Desiderai sentirli tra le dita, per scoprire se erano morbidi come sembravano. Cercando di capire se era fragola, il profumo dolce che sentivo, o qualcos’altro.
La lasciai andare, quasi precipitosamente.
Se le avessi davvero accarezzato i capelli, avrebbe pensato che fossi pazzo.
«No, non è nulla» disse, poi sorrise, imbarazzata.
Lasciai che mi superasse per andare a scegliersi un gufo, quando vidi qualcosa per terra brillare.
Era un fermacapelli, che doveva essersi sfilato dai suoi capelli durante lo scontro.
Lo presi, e per un attimo fui sul punto di farle notare che le era caduto; invece decisi di ficcarlo in tasca, e me ne andai.
 
 

Just don’t leave
dont’ leave

 
 
Sognai una cascata rossa avvolgermi, e labbra calde sfiorarmi piano. Immaginai di poter risvegliare ancora una volta il suo sorriso, e sentirle sussurrare parole d’amore.
Non so, esattamente, quando smisi di mentire a me stesso.
Scoprire che non m’importava nulla della sua famiglia non mi lasciò sorpreso, come non mi lasciò stupito la consapevolezza di trovare rivoltante l’idea di usarle violenza.
Aveva occhi troppo belli per desiderare di vederli impauriti o arrossati dal pianto, e capii che l’unica cosa che volevo davvero, era stare con lei. E se mai mi avesse concesso il suo corpo, anche quello sarebbe stato amore.
Perché era sempre stato amore, anche se immaturo e violento e rabbioso.
Era amore, e l’amore sapeva aspettare.

 
 
**
Note: Questa OS è nata dal bisogno di scrivere un po’ di Scorpius, visto che nella mia long il punto di vista è sempre quello di Lily. Non è necessario aver letto “Rewind – Nodo di sangue”  per leggerla, quindi non ho messo l’avvertimento ad inizio lettura.
Il titolo, come i versi della shot, sono della canzone omonima dei Radiohead.
Spero vi sia piaciuta, quanto è piaciuto a me scriverla.
   
 
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