sakurina265
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Negli abissi infernali Ulisse è un condannato alla sofferenza eterna, e non riferirà a dante le sue mirabili imprese nella mitica guerra troiana, nè tanto meno il macchinoso e sofferto ritorno nella sua amata Itaca, ma la storia della sua morte. "Nell'immaginario dell'uomo moderno la figura di Ulisse è il simbolo della ricerca del sapere, di colui che instancabilmente cerca nuove strade e sposta in continuazione i traguardi di quel suo inarrestabile e metaforico viaggio verso ciò che è ancora sconosciuto. Difficilmente l'uomo moderno, ancor più l'uomo del secolo appena trascorso e di quello presente, trova elementi negativi nell'impresa di Ulisse alla ricerca del sapere, e se problematiche etiche si pongono ancor oggi allo scienziato in ordine ad esempio alle questioni della manipolazione genetica, è però altrettanto vero che per noi la conoscenza è un valore comune ormai acquisito e fortemente interiorizzato.La libertà di ricerca e di pensiero è una realtà indiscussa, non esistono più tribunali, nemmeno immaginari, che mettano in discussione il sapere. Le nuove frontiere raggiunte dalla conoscenze stimolano spesso dibattiti accesi e spesso preoccupati sulle conseguenze della realizzazione tecnica delle scoperte scientifiche, ma questo è il frutto inevitabile e legittimo del rapporto etico che l'uomo ha con la realtà.Dante, invece, non è un uomo moderno, appartiene fortemente all'epoca in cui è vissuto, è cioè un uomo del medioevo, il suo pensiero è fortemente radicato a quella realtà.Dante condanna Ulisse all'Inferno nell'ottava bolgia, tra i consiglieri fraudolenti, ma quello che emerge con maggior forza nel canto XXVI è il racconto dell'ultima, estrema impresa di Ulisse: il "folle volo" oltre le colonne d'ercole. Un'altra importante considerazione si impone a questo punto per comprendere maggiormente la posizione dantesca rispetto all'astuto Ulisse: nel medioevo cristiano l'aggettivo sapiente non implicava un giudizio morale necessariamente positivo ed era importante, se non indispensabile, distinguere tra vera sapienza e vana sapienza, cioè tra la sapienza che si rivolgeva a Dio e quella invece che aveva come come fine le cose terrene. Per l'uomo medievale è fondamentale stabilire il valore positivo o negativo della conoscenza, il fine cui essa tende. La sapienza, se non è rivolta a Dio, è stoltezza, è superbia e quindi Ulisse non si trova tra coloro che seguirono le giuste vie della sapienza, ma è dannato nelle Malebolge.L'orazione di Ulisse ai compagni, nonostante muova da un desiderio di perfezionamento della natura umana (fatti non foste per viver come bruti,/ ma per seguir virtute e canoscenza), è per Dante un consiglio fraudolento, in quanto la virtù può esercitarsi solo nell'osservanza delle leggi divine e nel riconoscimento dei limiti posti alla conoscenza umana.Nonostante tutto questo Dante non nega a Ulisse una comprensione umana che nell'Inferno aveva già riservato a Francesca el senso che la sua è una condanna sofferta perché sente quel che di grandioso vi può essere nell'impresa di Ulisse. Innanzi tutto Dante non è un uomo "copernicano", la sua visione cosmologica gli impone un'immagine dell'Oceano profondamente diversa da quella che più tardi le scoperte geografiche avrebbero offerto. Per lui l'Oceano non è l'ignoto da scoprire, non è la possibile via di comunicazione con i mercati orientali, per Dante oltre le Colonne d'Ercole c'è il mondo sanza gente (Inf. XXVI; 117), la parte del globo terrestre negata ai viventi, dove l'unica terra emersa è la montagna del Purgatorio. L'impresa di Ulisse rappresenta quindi per il poeta medievale la violazione delle leggi divine. Dante, allora, non poteva supporre che non molti anni dopo la sua morte l'Oceano al di là delle Colonne d'Ercole sarebbe stato navigato e che in Europa si sarebbe presto diffusa la notizia della scoperta delle Canarie. Il motivo di fondo per cui Dante mette Ulisse all'Inferno non è semplicemente per il suo ateismo o per il fatto che avesse una concezione del tutto formale della religiosità, ma per il fatto che nel proprio ateismo egli non tenesse in alcuna considerazione gli umani sentimenti. Ulisse è una specie di specchio negativo di Dante. Dal punto di vista della conoscenza, entrambi sono degli eroi, degli scopritori. Tuttavia Dante è, per così dire, un esploratore approvato da dio, mentre Ulisse è un ribelle, un temerario che osa imporre la propria volontà agli dèi. La presunzione umana rappresenta un inconcepibile sovvertimento dell'ordine dell'universo, e come tale è una forma di "follia". Infatti, l'aggettivo folle, come segnale preciso di questa volontà assurda per chi è sostenuto dalla fede e dalla grazia,a definire la natura insana dell'impresa di Ulisse. L'autore, dunque, sente vicina alla propria l'esperienza di Ulisse (che può rappresentare quella dei filosofi laici che - come lo stesso Dante giovane - si lasciarono tentare da una conoscenza che fosse dei tutto indipendente dal valore della fede religiosa). Ma Dante credette di salvarsi in tempo dal fallimento, tornando alla fede. In questo senso, il personaggio di Ulisse lo rispecchia, ma solo per gli aspetti negativi che lo segnarono in passato e che al tempo in cui scrive la Commedia egli ha ormai superato. Da un lato quindi Dante deve condannare, formalmente, l'eroe greco per empietà e irresponsabilità, dall'altro però, nascostamente, non può fare a meno di elogiarlo, per aver saputo di molto anticipare i tempi, al punto che dedica al racconto del tragico naufragio
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