Jorah
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• Qualcuno ci sorveglia mentre scriviamo. La madre. Il maestro. Shakespeare. Dio. 

Il vento soffiava, la neve cadeva. Nella grande casa italiana, un bambino nasceva.
Mi piace immaginarla così la mia nascita. Qualcosa di semplice, mentre le finestre sbattevano per la bufera. E mentre io ero lì, pronto a sbucare fuori un po' troppo in ritardo. Ma magari non è andata così. Non me lo ricordo, in fondo. 
Il primo ricordo dell'infantilità che ho, è bere del tè davanti al camino, in una giornata fredda - proprio come durante la mia nascita. Con la neve svolazzante, la tempesta, il vento che sembra un grido lamentoso. Ma un'altro grande ricordo che ho, riguarda lo scrivere. Quando ero piccolo - non che ora io sia grande - scrivevo su ogni foglio che mi capitava sotto mano. Scrivevo sì, storie non molto belle, ma allora mi rendevano così fiero che non potevo che vantarmene. Ora, ritrovandole e rileggendole, mi verrebbe da sbattere la testa contro il muro, ma come si dice? L'importante è il pensiero. Mi ricordo di scrivere una storia di un certo Crimson, dai capelli azzurri e i grossi occhiali. E ricordo che era una storia di quarantadue pagine, e che non aveva alcun senso. Ma vorrei solo poterla rileggere, sinceramente. Ma non so perché io stia "sprecando" lo spazio bio per parlarvi di Crimson. Dovrei scrivere di me, come stavo facendo all'inizio. Perché cosa sono io? Non sono la persona più affidabile per dirlo; un narcisista, dichiarerebbe la mia migliore amica; aspirante sociopatico, ribatterebbe mio fratello; inquietante affermerebbe mia madre; secchione direbbero i miei compagni di classe; acculturato, preferirebbero i professori. Potrei dire di essere tutto ciò - che magari dipende dal volto che decido di mostrare e a chi mostrarlo. Ma in fondo non lo so bene cosa sono - o meglio sì: un essere umano di dodici anni e quasi cinque mesi, un corpo, composto da materia. Potrei dirvi cose futili, come che i miei capelli sono ricci, o disturbarvi con discorsi filosofici sull'io, o potrei semplicemente smetterla. Finirla qui, interrompermi senza nemmeno finire la parola, trascurando l'ultima silla


 

 




 

 

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