seleuda_
   
Membro dal: 16/01/16
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Frangar, non flectar.

Ho da subito imparato a farmi amico il mio nemico, credendo furbamente di poter sfuggire ad uno suo eventuale, fatale ed imminente attacco.

Eppure lo temevo, il mio nemico, tanto da mutare nella stratega e codarda che mai fui o volli essere e unicamente per paura, per difesa.

Me lo diceva sempre mia zia, ogni qual volta gliene capitasse occasione, con quel suo tono serafico ed io devo averci creduto, connatturandolo dentro di me come un dogma da seguire rigidamente, senza mai venirne meno:”il migliore attacco, è la difesa”

Ricordo ancora i colpi di bastone sulle mani che mi riservava il mio allenatore quando, al solo ricordo di quelle parole, trascorrevo tutto il tempo dell’incontro in posizione di difesa. Non attaccavo mai, io, tutt’al più schivavo, paravo e, di rado, contrattaccavo.

Preferivo attendere e scrutare ogni minima ed impercettibile mossa del mio avversario, fino ad arrivare a comprendere le sue attitudini e quel che più serve al fine di poter vincere: il suo punto debole.

Ognuno di noi,che dir si voglia, ne possiede uno e, con un po’ di sfortuna ed un’eccessiva dosa di sensibilità, perfino molteplici.

Io, il mio punto debole, tentai di farmelo amico.

Gli aprii le porte, quasi spalancandole, come a suggerire un invito ad entrare e fare come fosse “casa sua” o, più semplicemente parlando, come se non mi provocasse paura alcuna.

Gli riservai perfino, terrorizzata com’ero, una nicchia speciale tra il diaframma e il collo: vicino al cuore.

Lasciai stupidamente che si attaccasse alla sorgente, prosgiundo quel che di buono poteva sgorgare dal mio cuore ormai ferito, distrutto e solitario.

E, poiché codarda fui, mai me ne accorsi: il nemico non erà più dentro di me, era me.

Ma il mio nemico, che era stato prima carnefice, aveva anch’esso un punto debole e, per ciò, si ritrovò poi ad esser vittima.

Erano le parole, a infastidirlo.

I sentimenti, a scalfirlo.

Il coraggio, a distruggerlo.

Diventò un dovere morale, verso me stessa, sconfiggere il mio nemico e non lasciare che fosse lui a vincere, lasciandomi con il volto rivolto verso il suolo e le sperenze ormai assottigliate, fino a diventare futili ed impercettibili.

Ho paura . Ma non posso o voglio averne.

Ed è per questo, dunque, che io scrivo.

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