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Autore: Neko no Yume    09/10/2012    3 recensioni
Un'accozzaglia di case multicolore a cui qualcuno ha dato il nome di Skjiord.
Un ragazzo che ama il rumore delle mareggiate.
Un uomo che viaggia da troppo tempo.
Mentre le sterne migrano instancabili.
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dino Cavallone, Kyoya Hibari, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La prima cosa di cui si rese conto nello svegliarsi fu un sommesso raschiare non troppo distante da sé, che gli carezzava le orecchie mentre gli occhi restavano ostinatamente chiusi.
La seconda cosa fu che non si trovava a casa sua.
Non era la prima volta che trascorreva la notte fuori, quindi forse sua madre non aveva ancora avvertito tutta la popolazione femminile di Skjiord dell'accaduto, ma era un imprevisto.
E a Kyoya non piacevano gli imprevisti, neanche un po'.
Solitamente chiunque si fosse macchiato della colpa di deviare anche solo minimamente i suoi piani sarebbe stato pestato seduta stante, mentre, constatò Hibari aprendo gli occhi, l'uomo che lo stava assillando da tempo immemore era ancora tutto intero.
Rannicchiato accanto a lui e con la schiena appoggiata alla parete, aveva appena alzato lo sguardo dal suo quaderno, posandolo sul suo.
-Kyoya, buong...-, la voce di Dino venne soffocata da una cuscinata piuttosto violenta.
-Che ci faccio qui-, sibilò l'altro, improvvisamente seduto a gambe incrociate davanti al padrone di casa.
-Beh, ieri ci siamo addormentati entrambi dopo...-, al Cavallone bastò un'occhiata furente del ragazzo per lasciar cadere l'argomento -Emh, guarda qui!-.
Rivolse il quaderno verso di lui, tenendo il pollice tra le due pagine e rivolgendogli un sorriso soddisfatto.
Sulla carta era tracciato il volto addormentato di Hibari, immobile in un'espressione stranamente pacifica e ombreggiato da una frangia disordinata.
Il guardiano scrutava in suo modello inconsapevole da sopra il quaderno, in attesa di un commento.
Kyoya si limitò a pigiargli il blocchetto sul naso e voltargli le spalle bruscamente.
-Dovresti smetterla di disegnarmi senza permesso-.
-Eh? Ma fai delle facce così carine quando sei tranquillo!-.
Forse gli ricordava Leo, si ritrovò a pensare distrattamente il più giovane con una sospetta fitta alla bocca dello stomaco.
-Non si usa fare colazione qui?-, glissò, per poi scendere dal materasso con un salto e avviarsi verso il tavolinetto nel vano cucina.
Udì i passi di Dino dietro di lui, seguiti dal rumore dal cigolio dello sportello della credenza.
-Oggi avrai l'onore di gustare il caffé espresso all'italiana, altro che quella brodaglia imbevibile che bevete qui-, ridacchiò lo straniero, intento a sciacquare una caffettiera di metallo insolitamente lucido e riempirla di polvere scura.
Le iridi grigie di Hibari osservavano vigili ogni suo movimento, come quelle di un gatto, finché non gli venne servita una tazzina sbeccata ma fumante davanti.
Arricciò il naso, colpito dall'odore insolitamente forte della bevanda, e rivolse all'altro un'occhiata indagatrice mentre mescolava lo zucchero in entrambe le tazze.
Il Cavallone ricambiò lo sguardo con aria sorniona, per poi iniziare a sorbire il suo espresso in silenzio, aspettando che lui si decidesse a fare altrettanto.
Dopo qualche altro istante di contemplazione silenziosa, Kyoya si portò il bordo della tazzina alle labbra e mandò giù una sorsata bollente, pentendosene l'attimo dopo.
Il liquido caldo gli bruciò la lingua e il sapore amaro sembrò aggredirgli tutto il palato.
Dino per poco non si strozzò nel vederlo storcere il viso, improvvisamente congestionato, e tossicchiare indignato.
-È un bevanda troppo da erbivori?-, chiese, la voce incrinata dal vano tentativo di trattenere la ridarella.
Per tutta risposta ricevette un calcio ben assestato da sotto il tavolo.
-Okay, okay-, mugolò conciliante, per poi andare a prendere qualcosa dal frigo e tornare verso di lui.
-Forse con questo ti piacerà di più-, rimuginò, versando del latte fresco nella tazzina e stando attento a non farla straripare.
Hibari si concentrò sulle volute biancastre che il liquido disegnava nel caffé nel tentativo di ignorare il volto carico di aspettativa chino su di lui e, dopo aver deglutito a vuoto un paio di volte, si decise a bere di nuovo.
Niente sorprese sgradite, solo un tepore dal retrogusto pungente, ma piacevole.
Un po' come le labbra del guardiano, ma questo sarebbe rimasto confinato nella sua mente ancora per molto.
Vuotò la tazza in pochi sorsi, lo sguardo perso nel cielo terso che faceva capolino oltre le piccole finestre del faro.
-Ho sentito che oggi tornano le sterne-.
Le parole si persero nel tepore della timida estate di quei luoghi, appena accennate in tono casuale, fino a depositarsi come polvere sulla pelle di Dino, facendolo trasalire appena.
-Dal promontorio si dovrebbero vedere bene, no?-, provò a dissimulare, mentre nella testa tornava a rimbombargli il frastuono delle onde.
Kyoya annuì in silenzio, per poi spostare lo sguardo su quello del Cavallone che, avrebbe giurato, in quel momento sembrava in balia delle onde, come quello dei pescatori di Skjiord quando non potevano uscire in barca.
-Saranno molto stanche-, commentò senza scomporsi -meglio portarsi dietro del pane-.
L'altro impiegò qualche istante a registrare ciò che aveva appena sentito, poi sgranò gli occhi, di nuovo calmi, e spalancò la bocca in un incredulo sorriso da orecchio a orecchio.
-Dovrei averne un po'!-.


Se si escludeva la spiaggetta del porto, Skjiord aveva accesso al mare solo da una scoscesa scogliera di pietra scura, perennemente intaccata dalle onde e coperta di spuma.
Ed era da un punto relativamente basso della scogliera che in quel momento ciondolavano le gambe di Hibari e Dino, già ricoperte di schizzi salati.
-Tutto questo-, esordì l'italiano -Non mi piace-.
Stringeva convulsamente tra le dita un sacchetto pieno di pane e trasaliva ogni volta che un'ondata più forte delle altre si infrangeva sugli scogli sotto di loro.
Faceva quasi tenerezza.
Un improvviso stridio coprì lo sbuffo esasperato di Kyoya, seguito dal frullio leggero di ali che sbattevano nel cielo.
Uno stormo di uccelli bianchi sorvolò le loro teste, planando sull'erba accanto a loro o sugli scogli più in basso in un'incessante cacofonia di richiami, battiti d'ali e onde.
Il Cavallone, improvvisamente calmo, aprì frettolosamente il quaderno a una pagina bianca e iniziò a tracciare quanti più schizzi possibili, seppure approssimativi, delle sterne che gli svolazzavano attorno, le labbra schiuse in un sorriso infantile e gli occhi sgranati.
-Guarda che becchi rossi!-, esclamava ridacchiando ogni tanto -E le piume nere sul capo sono così carine, me le ricordavo bene!-.
Per un attimo Hibari si chiese dove altro le avesse mai viste, dove l'avessero portato le mareggiate in cui annegava ogni giorno, poi scosse la testa e scacciò il pensiero.
-Perché pensi che viaggino così tanto?-, chiese invece, lanciando qualche briciola nella loro direzione.
-Beh, è ovvio-, l'altro si grattò il mento con aria pensierosa -Lo fanno per trovare un posto migliore dove fare il nido-.
-Ma alla fine tornano sempre qui, no?-.
Ora aveva due iridi scure e perplesse fisse su di sé, probabilmente in attesa di capire dove volesse andare a parare (cosa che non sapeva neanche lui).
-Per quanto si affannino a cercare condizioni migliori- tentò di spiegare -Sentono il bisogno di tornare a casa, non possono continuare a viaggiare ininterrottamente-.
Si schiarì la gola e tossicchiò; non era abituato a parlare così a lungo, di solito per farsi capire gli bastavano violenza e occhiatacce.
Eppure, si rese confusamente conto mentre il grido di una sterna gli perforava le orecchie, in quel momento Dino lo stava abbracciando, o meglio stritolando tra le braccia tremanti e già incrostate di salsedine, il volto premuto contro il suo collo.
Altra cosa a cui non era abituato.
Si lasciò sfuggire un sospiro strozzato, per poi mordersi immediatamente le labbra nell'avvertire il viso dell'altro scendere impercettibilmente verso una spalla.
-Tu pensi che io possa trovare una casa dove riposare?-.
La sua voce gli arrivava attutita, soffocata dalla sua stessa pelle.
-Per forza, razza di stupido-, borbottò contrariato -E poi qui hai preso un impegno, non puoi andartene-.
Il Cavallone ridacchiò sommessamente e Kyoya fu percosso da un brivido non del tutto spiacevole nel punto in cui il suo fiato l'aveva carezzato, cosa che fece alzare lo sguardo del guardiano su di lui.
Si limitò a restare immobile e osservarlo diventare più calmo mentre si avvicinava alle sue labbra, fino a sfiorarle con le proprie.
Nell'attimo quasi inesistente prima del bacio, si chiese se non fosse stato il caso di scostarsi, lasciarlo continuare a fuggire e riempire pagine su pagine di ricordi che non voleva, poi gli gettò le braccia al collo.
Fu un bacio di quelli che ti accolgono sulla porta di casa dopo una lunga assenza, dal sapore dolce ma allo stesso tempo quasi spaesato, fatto di labbra che premono le une contro le altre a un soffio dal mordersi, di mani che stringono e spalle che tremano.


È un bacio che ancora ricorda, riflette Hibari accovacciato davanti alla finestra, trasalendo come se si fosse appena svegliato.
Ricorda che poi una sterna gli si è posata sulla testa, Dino ha riso a crepapelle e lui l'ha picchiato.
Si lascia sfuggire un sorrisetto divertito, che l'altra persona nella stanza non manca di notare.
-A che stai pensando?-.
La voce del Cavallone è allegra, forse addirittura velata di malizia, come è sempre stata da quando ha deciso di stabilirsi a Skjiord.
A volte ha ancora momenti in cui le ondate del suo mare personale lo assalgono, ma Kyoya non lascia mai che anneghi.
-A quanto fossi uno stupido erbivoro-.
Una risata divertita pervade il faro, coprendo per un istante il mormorio del mare e il fruscio del guardiano che si alza e gli va vicino.
-Perché, adesso non lo sono?-, mantiene un sorrisetto che l'altro ha sempre trovato piuttosto irritante e che gli fa guadagnare un pizzico sul naso.
-Prima eri molto peggio-, sentenzia Hibari, senza riuscire a nascondere una punta di ironia malinconica.
Dino gli si siede accanto e lancia uno sguardo dal vetro prima di appoggiare il capo sulla sua spalla.
-Oggi arrivano le sterne, vero?-, chiede, gli occhi che adesso vagano per la stanza fino a posarsi su uno scrittoio vicino al tavolo pieno di suoi vecchi quaderni.
-Così sembra-.
-Gli portiamo il pane?-.
Kyoya sbuffa.
-Tanto mi assillerai finché non ti dico di sì-.
-Come sempre-.
Questa volta sorridono entrambi, le dita intrecciate davanti alle pagine su cui sono disegnati ricordi che non fanno più male.





Yu's corner.
Chiedo umilmente perdono per il ritardo, miei erbivori!
La scuola e gli impegni stanno facendo i bulli, non è colpa mia. ;A;
Comunque, siamo giunti all'ultimo capitolo di questa storia.
Spero che vi sia piaciuta e che abbiate trovato questa conclusione degna del resto, dal canto mio sento che Skjiord mi mancherà tanterrimo.
Ciancio alle bande e alle lacrimette commosse, ringrazio di cuore chiunque abbia seguito la mia fanfiction e alla prossima!
Bye bye,
Yu.
  
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