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Autore: ClarinetteM    02/04/2013    4 recensioni
C'è una vecchia leggenda che gira al porto. Narra di una donna capace di dominare il vento e si sa, l'idea di vele sempre gonfie fa gola a qualsiasi lupo di mare. Per controllare il suo potere basta catturarla e marchiarla a fuoco: niente di più facile per Bran, il Capitano senza onore.
Ma lei ha una missione da compiere, tre dee assetate di vendetta da accontentare e un destino che travolgerà entrambi.
Dal Cap. 3:
Non fu l’ultimo, rauco ordine della Vecchia a indurre Nora a guardare verso il cortile. Fu un sospiro d’aria fredda che le passò accanto, rapido e nato dal nulla. Furono un grido e il rumore di un corpo che crollava a terra. Un ragazzo che Nora riconobbe senza esitazione alcuna: era la giovane guardia che le aveva offerto da bere dopo il suo primo colloquio con le tre donne, alla festa. Il giovane che, nonostante lei l’avesse degnato a stento di un grazie e di uno sguardo, si era offerto di accompagnarla alle sue stanze.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3


Aveva le braccia indolenzite. Uno in particolare, il destro, era abbandonato lungo il fianco, pesante come un macigno. Alla sua estremità il pugno era chiuso e stringeva qualcosa che, al tatto, aveva tutta l'aria di essere un pezzo di metallo intiepidito dal contatto con la pelle.
 Nora aprì gli occhi e si ritrovò a fissare un soffitto familiare. Ricordava di essersi messa a letto subito dopo la festa da cui era fuggita il prima possibile, accompagnata da una giovane guardia che, vedendola sconvolta per chissà quale motivo, le aveva offerto un bicchiere d’acqua e una spalla cui appoggiarsi lungo il tragitto fino alle sue stanze. Si era infilata sotto le coperte ancora vestita mentre le ancelle si affaccendavano per la stanza. Aveva chiuso gli occhi e tentato, invano, di scacciare dalla mente l’immagine della Vecchia. Il suono della sua voce. Eppure, si era addormentata subito. A quel ricordo le sfuggì un sospiro. 

Le rispose un gemito.
Non suo.
Si mise a sedere di scatto, con gli occhi che già cercavano la fonte del lamento appena udito.
Attorno a lei sembrava esserci stata un’esplosione: la porta era divelta, i muri macchiati di nero, le tende del baldacchino ridotte a brandelli, il grande armadio di legno accartocciato su se stesso, arso per metà. E silenzio. Fu proprio quel silenzio così innaturale a ricordarle il gemito appena udito. Si lasciò scivolare dal letto. Mosse qualche passo verso la finestra spalancata.
Accasciate contro la parete giacevano tre donne, le sue ancelle. Sgozzate e madide di sangue scuro. Una, giovane e dai capelli chiarissimi, sembrava ancora viva. Miria. La fissava con un paio d’occhi verdi e terrorizzati o meglio, fissava la sua mano destra.
Lentamente, con estrema fatica, Nora realizzò che le sue dita stavano ancora stringendo qualcosa, aggrappandocisi con forza. Vide lo sguardo della ragazza bionda seguire il movimento della sua mano. Fece altrettanto.
Tagliente e accusatorio, nei suoi occhi prese forma il riflesso di un pugnale e, per la seconda volta nel giro di poche ore, Nora si ritrovò ad ascoltare il grido sfuggito senza preavviso dalle sue labbra.
Lasciò cadere la lama e tornò a voltarsi, terrorizzata, verso la ragazza. Aveva ripreso a gemere, un suono lamentoso accompagnato dal gorgoglio del sangue che continuava a sgorgarle dalla gola impregnando la stanza dell’odore dolciastro della morte. Con le sue ultime forze stava alzando un braccio, il dito indice puntato nella direzione di Nora.
“Nora ha un pugnale! Nora ha un pugnale!” la voce di una bambina irruppe nella sua testa. “Nora ha un pugnale, le ancelle sgozzate, guarda e riguarda, le hai ammazzate!” proseguì la voce, cantilenante e allegra, per poi concludere con una risata che sembrò riecheggiare per tutto il palazzo, rimbalzando da un’ala all’altra.
Nora non attese oltre. Corse fuori dalla sua stanza, lanciandosi per il corridoio. Ovunque, macerie e corpi senza vita schiantati contro le pareti scrostate e ricolme di crepe. A differenza delle ancelle, tuttavia, i cadaveri che a tratti le sbarravano la strada non mostravano, almeno a prima vista, alcun segno di violenza. Non c’era sangue, non c’erano armi, nulla.
La risata, intanto, continuava, nella mente di Nora e ovunque. Alla voce della bambina se ne era unita un’altra, dolce e melodiosa: “Scappa Nora, fuggi.” Le stava ordinando. “Va’, prima che ti scoprano!” Sembrava estremamente divertita, felice e Nora, suo malgrado, dovette obbedire. Scese di corsa la scalinata che portava al salone d’ingresso, cercando di ignorare i corpi senza vita che continuava a incontrare lungo il suo cammino, finché non raggiunse il portone dischiuso. Lo aprì quel tanto che bastava per permettere al suo corpo di immergersi nella notte bagnata dalla luce della luna piena.
Tremante, con la fronte imperlata da un sudore freddo, Nora si spinse nell’oscurità padrona del lato est del cortile. Soffiava un vento forte, tanto violento che il suo fischio sordo era l’unico suono che riusciva a raggiungere le sue orecchie. Si fermò nell’ombra, spalle al muro di fredda pietra, capace solo di respirare. Di riprendere fiato. Di tentare di fare ordine fra i pensieri.
Disseminati sulla terra battuta del cortile c’erano decine di corpi senza vita, anch’essi privi di segni che potessero far almeno intuire la causa della loro morte, tutti con gli occhi spalancati, persi in una notte senza fine. Si costrinse a distogliere lo sguardo, mentre il panico dentro di lei saliva e un rumore di cavalli in corsa, sempre più vicino, prendeva forma. Si voltò, decisa a fuggire prima che la Guardia Reale potesse arrivare, ma dovette fermarsi quando le gambe minacciarono di non sostenerla oltre.
E fu proprio quando ruotò su se stessa per cercare una via d’uscita, la mano sinistra appoggiata a una grossa botte di legno, che si vide riflessa nel vetro di una finestra. Non era sola: due donne, una per lato, le sorridevano gentili. Al centro, dove avrebbe dovuto esserci il suo viso, c’era quello della Vecchia.
Non si voltò nemmeno a controllare se la presenza delle due donne fosse reale, impegnata a soffocare il grido che, era certa, le avrebbe graffiato la gola. Con le gambe che ormai le obbedivano a malapena, Nora fece un passo indietro, verso il rumore di cavalli e uomini che ormai si apprestava a varcare il portone d’ingresso.
“Fermati.” La Madre continuava a sorridere. Dolce. Vagamente protettiva, ma non abbastanza rassicurante perché Nora smettesse di allontanarsi.
“Fermati.” Ripeté questa volta la voce della Fanciulla, intenta a giocherellare con un fiore di campo, una bocca di leone che, gialla, spiccava contro il buio.
I cavalieri avevano varcato la soglia del cortile, li sentiva avvicinarsi. Suo cugino, insieme a parte della Guardia Reale, doveva aver trascorso la notte fuori dalle mura del castello, presso il forte vicino al mare. O in qualche locanda del porto. D’altronde, in quel Regno poco incline a guerre e sommosse, i soldati avevano ben poco da fare oltre a gozzovigliare tra vino e donne. Anche se le loro future spose non potevano lasciare il castello. Nonostante le circostanze, Nora si trovò a reprimere il solito moto di fastidio che quell’abitudine del cugino, per il resto tanto ligio al dovere, le provocava. Tornò nell’ombra, gli occhi puntati sulla Fanciulla, decisa a ignorare le rughe che deturpavano il volto centrale.
«Che cosa volete da me? Chi ha fatto tutto questo?»
“Ma sei stata tu ovviamente, gioiello mio.” Ancora una volta la Madre.
Nora scosse la testa, incredula. «Io stavo dormendo, qualcuno deve…»
La Fanciulla rise. “Sei stata tu, Nora. Hai sgozzato le tue ancelle e invocato gli Zefiri perché si prendessero le vite di questi miserabili.”
“E l’hai fatto maledettamente bene.” C’era una nota di orgoglio nella voce della Madre.
«No.» Poco più di un bisbiglio. Nora si rese conto una volta di più che le voci delle donne non erano reali. Facevano parte dei suoi pensieri. Erano i suoi pensieri. La sua mente veniva attraversata dalle loro parole senza che potesse fare nulla per controllarle né per far cessare il fischio di sottofondo, simile al rumore del vento che fino a poco prima spazzava il cortile e che ora sembrava essersi trasferito nella sua testa. Si portò entrambe le mani a tappare le orecchie. Chiuse gli occhi. Cadde in ginocchio. Non sentiva più nulla di quanto stava accadendo intorno a lei, dimentica per un attimo degli uomini che, poco distanti, fissavano impietriti il pavimento di cadaveri. In compenso il fischio nella sua testa era aumentato, accompagnato dalle risate trillanti della Madre e della Fanciulla e dal sibilo sordo della Vecchia.
Sua madre. Sua madre, prima di perdere del tutto la ragione, le aveva parlato di quello stesso fischio. Di quell’alito di vento che esisteva solo nei suoi pensieri e che la tormentava giorno e notte. Non le aveva creduto. Nessuno le aveva creduto. E nessuno avrebbe creduto nemmeno a lei. Si sentì invadere dal gelo.
«Voi. Siete state voi.» Si prese la testa tra le mani, sconfitta. Tremava tanto da battere i denti. Poco distante sentiva Lorcan impartire ordini, la voce spezzata dalla paura quasi quanto la sua. Lorcan l’avrebbe aiutata. Le avrebbe creduto. Avrebbero sistemato tutto. Si era quasi convinta a uscire dall’ombra, quando la Fanciulla tornò a parlare: “Dubito che ti crederà, con quel pugnale.”  La ragazzina si strinse nelle spalle mentre con noncuranza continuava a far ruotare il gambo tra le dita.
Per la seconda volta, Nora avvertì nella mano destra l’impugnatura di una lama che, lo sapeva senza aver bisogno di guardare, era macchiata di sangue ancora tiepido. La stessa lama caduta poco prima sul pavimento della sua camera, accanto al letto. La strinse più forte consapevole, in un lampo di lucidità, che se l’avesse fatta cadere sarebbe stata scoperta.
“Sta’ a sentire, dolcetto mio.” La Madre si intromise nel flusso di pensieri che aveva cominciato a vorticare nella mente di Nora insieme a una nuova ondata di terrore. “La tua scelta è molto semplice: puoi ascoltarci o puoi andare dal tuo affascinante cugino.”
“E farti ammazzare.”
“E farti ammazzare, sì.” La voce materna confermò quella infantile.
«O posso andarmene e non ascoltare voi né cercare Lorcan.» Aveva respirato a fondo fino a placare almeno in parte la folle corsa del suo cuore. Si era addirittura alzata, ben attenta a non uscire dall’ombra e a non parlare a voce alta. Anzi. Il suo era ormai un mormorio. Muoveva sì le labbra, ma quello che sfuggiva alle stesse era poco più di un soffio. Non guardò i volti riflessi, le bastò udire la risatina trillante della più giovane fra le tre donne.
“Potresti, ma sei proprio sicura di volerlo fare?”
“Voltati.”
Non fu l’ultimo, rauco ordine della Vecchia a indurre Nora a guardare verso il cortile. Fu un sospiro d’aria fredda che le passò accanto, rapido e nato dal nulla. Furono un grido e il rumore di un corpo che crollava a terra. Un ragazzo che Nora riconobbe senza esitazione alcuna: era la giovane guardia che le aveva offerto da bere dopo il suo primo colloquio con le tre donne, alla festa. Il giovane che, nonostante lei l’avesse degnato a stento di un grazie e di uno sguardo, si era offerto di accompagnarla alle sue stanze.
«Fermi!» L’ordine di Lorcan ai suoi mentre lui solo si avvicinava, inginocchiandosi accanto al ragazzo impegnato a contorcersi, le mani al collo come se non riuscisse più a respirare. Era cianotico e annaspava nel tentativo vano di riempire i polmoni d’aria, con gli occhi che minacciavano di schizzare via dalle orbite da un momento all’altro.
Nessuno poté fare nulla per aiutarlo. Né Lorcan che, insieme ai suoi uomini, lo fissava impotente né Nora che sembrava aver perso lei stessa la facoltà di respirare. La morte per il giovane arrivò presto: mosse per un’ultima volta i piedi, in un calcio al nulla che lo stava trascinando con sé, per poi abbandonarsi sul terreno. Un cadavere come i tanti che lo circondavano. Sul volto non c’era più alcun segno di asfissia: era tornato a essere pallido, come se niente fosse successo.
“Questa volta abbiamo mirato in basso. Il prossimo sarà il Capitano.” Con la voce della Vecchia che le risuonava ancora nella mente, Nora guardò suo cugino, il promesso sposo di cui non era innamorata ma al quale era legata da un affetto fraterno.
“Non abbiamo già colpito qualcuno più in alto, nonnina?”
La domanda della Fanciulla, colma di un’ingenuità ostentata e fastidiosa, unita al grido di una delle guardie entrate in avanscoperta nel castello, costrinse Nora a distogliere lo sguardo da Lorcan e a portarlo in alto, sulle merlature.
«Sono tutti morti!» Stava urlando la guardia sporgendosi verso il cortile. «Il Re è morto!»
Nora fece appena in tempo a sentire il ringhio frustrato del Comandante prima di crollare di nuovo sulle ginocchia. Poggiò il pugnale a terra, mentre la mano sinistra correva a chiudere la bocca, a intrappolare per quanto possibile un singhiozzo e un lamento. Non aveva mai avuto molta stima di suo padre, un uomo severo che aveva costretto la moglie a vivere nella sua ombra e sembrava voler riservare lo stesso destino alla figlia. Eppure, la notizia della sua morte aveva privato Nora dell’ultimo rimasuglio di lucidità e, non fosse stato per la reazione rumorosa degli uomini, di sicuro il suo gemito, per quanto sommesso, l’avrebbe fatta scoprire. Non udì neppure Lorcan domandare di lei, presa com’era dai suoi singhiozzi.
“Su, su” la voce materna, accompagnata da un alito di vento che le sfiorava le spalle, tentò di quietarla. “A tutto c’è rimedio, Nora cara, perfino alla morte.”
“Ti basterà venire con noi!”
“O portarci con te, che dir si voglia.”
“Ti basterà obbedire.” La Vecchia pose fine a quello scambio. “Smetti di frignare e ascoltaci, piccola sciocca.”
Ancora singhiozzando Nora scivolò all’indietro, schiena contro il muro di pietra, rannicchiata su se stessa. Non dava segno di aver udito le rimostranze della Megera, eppure questa continuò: “C’è una terra circondata dal mare, a Nord. Portaci lì, compi il tuo dovere, e potrai dimenticare tutto questo.”
«D-dovere?» Gli occhi ora fissi sul cugino intento a dividere gli uomini in squadre, Nora non aveva potuto fare a meno di chiedere. Aveva formulato la domanda quasi senza accorgersene.
“Dovere.” Confermò la Vecchia. “Quella terra ci è stata sottratta e serve il Vento per riconquistarla. Tu puoi controllarlo, puoi dominarlo sotto la nostra guida...”
«Voi non esistete e io sto impazzendo.» Ancora una volta Nora portò entrambe le mani a coprire le orecchie. Prese a dondolarsi su se stessa, piano. «Non esistete e io...»
“... proprio come hai fatto stanotte.” La voce nella sua testa proseguì ignorando la sua cantilena.  Guardati intorno, ragazzina. Pensa a quello che hai appena visto. Fa’ come ti viene detto, per una volta nella tua inutile vita e ti garantisco che tornerai sana e salva da tuo cugino a da tuo padre. Redivivo.”
“Nora” era di nuovo la Madre, “non sei impazzita, bambina. Capirai tutto a suo tempo, per ora fidati di noi. E vattene da qui.”
Il popolo aveva cominciato a riversarsi nel cortile, in preda al panico per quello che vedeva. Follia o no, Nora doveva andarsene da lì, se non altro per evitare che la sua presenza provocasse altre morti.
“Indossa il mantello” questa volta era stata la Fanciulla a parlare, a indicare con il fiore giallo un mantello comparso dal nulla sulla botte che Nora aveva usato come sostegno poco prima.
Senza nemmeno rendersene conto, si trovò a sollevare il braccio e a farsi scivolare in grembo il pastrano scuro. Lo indossò, si calò il cappuccio su capo.
“E ora confonditi tra la folla, sfrutta il loro terrore a tuo vantaggio.”
Con le gambe miracolosamente salde, Nora si alzò e prese a muoversi, a uscire dall’ombra per raggiungere le decine di persone che ormai invadevano la corte. Si mischiò a loro, lasciandosi trascinare per un attimo dalla corrente di quei corpi pregni di paura, avvicinandosi pericolosamente a Lorcan.
Fu proprio suo cugino a salvarla.
«Fuori! Tornate alle vostre case!» Tentò di sovrastare il vociare del popolo, invano. «Fateli uscire da qui. Ora.»
E così, sospinta dalle guardie, circondata dalle urla di protesta dei suoi sudditi, Nora ebbe gioco facile a uscire dall’imponente portone e ad allontanarsi dal castello, ignorata da tutto e da tutti, avvolta dall’odore della paura che impestava ormai il borgo intero: un misto di sudore, cenere, mare e pane appena sfornato. Allungò il passo appena gli altri iniziarono a disperdersi, diretti alle loro case.
Si stava condannando da sola. Stava fuggendo, dichiarandosi colpevole di una strage che nemmeno ricordava di aver commesso. Ma non poteva fare altrimenti: era il borbottio delle Tre a confermarglielo, nella sua mente, insieme al movimento delle sue gambe che sembravano dotate di vita propria. Chiuse gli occhi per un istante.
«Dove?» Chiese solo.
“Al porto.” Il sibilo della Vecchia non le lasciò scampo.

_____

Eccomi!
Ci ho messo un po' (la puntualità non è proprio il mio forte), ma alla fine ce l'ho fatta.
Diciamo che le tre dee mi destabilizzano un po', ecco.
In questo capitolo, Nora si trova alle prese con il pasticcio combinato da lei (almeno, a quanto dicono le simpaticone) e ha un'unica possibilità perché tutto torni a posto: obbedire.
Ce la farà? In realtà è davvero impazzita? Chissà. Di certo, visto cos'è successo appena ha provato a correre da Lorcan (che a quanto pare non è poi 'sto stinco di santo, viste le scorribande al bordello U.U), non può tornare indietro.

Il prossimo capitolo vedrà Bran impegnato a fronteggiare le conseguenze delle sue malefatte. Nel frattempo, grazie a chi ha recensito, inserito la storia tra le seguite, le preferite e le ricordate :)
Come sempre, mi fa piacere sapere cosa ne pensate, nel bene e nel male. Perciò, se avete consigli, bacchettate o lodi, vi invito a recensire.

Per chi fosse interessato a spoiler, anticipazioni, avvisi vari (soprattutto sui ritardi, ehm ehm...) ho aperto una pagina facebook e un profilo twitter.

Alla prossima!

 

   
 
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