Capitolo 19 - Incoronazione
Sì, sono io, Roro, e ho fatto di nuovo ritardo. X°°°D Avrei voluto aggiornare prima, ma... Non ce l'ho fatta. La scuola, il tennis, e tante altre piccole cose non mi hanno dato la possibilità di finire il capitolo, ma... Ma non è poi tanto breve, e, spero, sia almeno decente.
Non vi faccio spoiler, sia chiaro, tanto il capitolo è qui e, ora, potete gustarvelo - sperando vivamente che vi allieti almeno un po' -, ma vi dico che... Che per la mia coppia preferita c'è un cambiamento. E non è negativo.
Penso che il numero dei capitoli passerà da 23 a... Non so, 24, 25, ma è ancora incerto, e dipende tutto dalla lunghezza dei prossimi capitoli. Non vorrei farli troppo farciti di avvenimenti, capite? Sarebbe solo noioso, e tutto risulterebbe accennato, cosa che mi dispiacerebbe non poco. E' per questo che sto valutando l'idea di alzare - seppur di poco - il numero dei capitoli.
Poi... Poi la smetto con questa noiosa introduzione, e vi lascio al capitolo. I ringraziamenti, come sempre, alla fine. Baci! */*
Deglutendo,
Rin si
preparò alla scarica di domande che, ne era certa,
l’avrebbe assalita.
Lo
leggeva negli occhi
di Kagome, e nel sorriso minaccioso di Sango –
“Cosa dovrei raccontarvi?”,
domandò fingendosi ingenua.
Naturalmente,
nessuno
le diede credito.
“Di.
Te. E.
Sesshomaru.”, scandì pazientemente Kagome, mentre
Sango tormentava un lembo
della coperta.
“Ah”,
fu il pacato
commento della ragazza – gli occhi erano persi nel vuoto, e
le gote avevano assunto un
timido colorito roseo. “E allora perché non
parliamo di Kagome e Inu-Yasha?”.
L’interessata
si fece
a dir poco paonazza, e fulminò Sango che, nel frattempo,
aveva annuito
compiaciuta. Dopotutto, se la principessa Rin non
parlava, poteva sempre
strappare qualche informazione a Kagome, taciturna riguardo la sua relazione
clandestina.
“E
perché non di Sango
e Miroku?”. Con una linguaccia, la mora si era vendicata,
coprendosi poi con un
cuscino per evitare la furia dell’amica del cuore, rossa come
un pomodoro
maturo. E incavolata.
Mai
mettere mano nelle
storie di Sango, la punizione era la sua eterna rabbia. E Kagome aveva
rischiato tante volte, la sua eterna rabbia.
“Ragazze?”.
Il
capo di Misha,
un’anziana cameriera della residenza, fece capolino da uno
spiraglio
dell’ingresso. Sorrideva benevola, leggermente curvata in
avanti per l’età
avanzata, ma vispa come un’adolescente.
“Sì,
signora?”, chiese
Sango rispettosa, fermando il suo proposito di rompere il materasso a
suon di
pugni.
“È
stato indetto un
festeggiamento per l’incoronazione, che si terrà a
breve, e la vostra presenza
è, naturalmente, richiesta”, spiegò
tranquilla la vecchietta. “Per di più,
arriverà anche il sovrano del regno di Yoshi, è
un grande onore”.
Mentre
la porta si
richiudeva con un debole clic, Rin si
lasciò scivolare sul pavimento –
“Papà”, singhiozzò. Era
troppo tempo che non lo vedeva, le mancava. Molto.
“Ehi,
su”. Kagome le
si era seduta accanto, comprensiva. Diversamente da Sango, abituata a
lunghi
periodi senza i genitori, anche lei aveva nostalgia di casa.
Benché qual
viaggio fosse il suo sogno, desiderava riabbracciare sua mamma, e
raccontarle
di tutto ciò che aveva visto. E anche di Inu-Yasha,
dopotutto.
“Kagome-chan,
dici che
dovremmo scendere?”, domandò Rin, alzando appena
il capo ed asciugandosi le
guance bagnate con una manica.
La
mora annuì – “Se ci
hanno chiamate, forse significa che hanno bisogno anche della nostra
presenza.
Sarebbe saggio incamminarci”.
***
Seduto
al centro della
sala, le sopracciglia aggrottate, Inu-Yasha Taisho continuava a
lanciare
occhiate curiose al fratello maggiore, intento nei preparativi. Era
stato scacciato, poiché
ritenuto troppo inetto per aiutare,
e, come se
non bastasse, aspramente rimproverato da Miroku.
“Ma insomma,
Inu-Yasha, sei così scemo?
Non dovevi farti sorprendere, è questa la prima regola di un guardone!
Sesshomaru avrebbe potuto ucciderti!”.
Lanciò
l’ennesima
occhiata oltre i confini della porta, tentando di scorgere quantomeno
Totosai –
il pensiero di deridere il vecchio lo divertiva immensamente, e si
gongolava
sulla sedia, pregustando il gioco.
L’attesa
è sempre più buona della portata.
E
lo capì subito.
Totosai
era così
impegnato che solo l’idea di riuscire ad avere un colloquio
con lui era
impossibile: nessuno – nessuno
–
doveva disturbarlo. Era intento nel ripassare antichi manoscritti sulle
incoronazioni, e necessitava di un’elevatissima
concentrazione.
Afflitto,
Inu-Yasha si
lasciò scivolare contro lo schienale, gli occhi socchiusi e
le labbra
semiaperte. Sembrava addormentato, ma non
lo era.
Rifletteva.
Sul
regno, sul trono,
sul popolo, sull’esercito, sulla lotta imminente, su Kagome.
Su
tutto.
Divenire
re non era
mai stata una sua aspirazione e, contrariamente a Sesshomaru, la sua
era stata
un’educazione più limitata, volta solo a renderlo
capace nella lettura e di
donargli i rudimenti della scrittura.
Non
era, quindi, suo
compito il leggere e lo scrivere. Erano deboli svaghi che si
concedeva nelle pause dei giochi.
Chinando
il capo verso
il pavimento, notò Kagome avvicinarsi – il suo
odore gli riempì le narici,
pizzicando e inebriandogli i sensi. Era una sensazione di confusione e
intontimento che detestava e, al contempo, adorava.
“Ciao”,
sussurrò,
senza alzare gli occhi. Sapeva che lei gli si sarebbe seduta accanto,
e,
difatti, non deluse le sue aspettative.
Presa
una poltroncina,
si lasciò cadere accanto a lui, un debole tonf
ad accompagnarla.
Silenziosa
come una
gatta, accavallò le gambe e rise – “Che
fai di bello?”.
“Nulla”,
a sua volta,
dalla gola di Inu-Yasha fuoriuscì una debole risata.
“Tu?”.
Sospirò,
volgendo gli
occhi al cielo in una muta preghiera. “Ho provato ad
interrogare Rin, ma senza
risultati. È muta come un pesce”.
“Bah,
mio fratello e
quella ragazzina si vergognano della loro relazione”,
commentò a labbra serrate
l’hanyou. I capelli argentati erano arruffati e pieni di
piccole foglie,
residuo della scampagnata in
giardino
di poche ore prima.
Kagome
costatò che non
si era né cambiato né pettinato, e non
poté che sbottare le sue rimostranze.
“Dovevo
cambiarmi?”, disse in tono
bellicoso
Inu-Yasha.
“Sì,
stai per
diventare capo delle guardie, Dio!,
non puoi comportarti così, è
deplorevole!”.
Accompagnando
un
grugnito ad ogni borbottio, si alzò, quasi facendo cadere la
sedia e, seguito
da una divertita Kagome, avanzò verso le sue
stanze.
Le
pareti erano color
rubino, e tutto proseguiva in quella gradazione. Il letto – morbidissimo! – aveva coperte
di un
medesimo colore, e anche le sedie erano così foderate. I
libri avevano
copertine scarlatte e le penne erano rosso fuoco.
Kagome
sorrise. “È il
tuo colore preferito?”.
“Tsk,
non ho un colore
preferito”, sfiorando debolmente la coperta,
corrugò le sopracciglia. “Era il
colore che prediligeva mia mamma, però”.
Imbarazzata,
la
ragazza si voltò vero l’armadio, e
guardò i capi al suo interno. Non aveva
avuto alcuna intenzione di tirare in ballo quell’argomento,
anche perché conosceva
perfettamente il profondo legame tra l’hanyou e sua mamma.
Izayoi
era una donna
bellissima, una persona splendida e molto di più. Inu-Yasha
l’aveva amata
immensamente, e quando questa era morta, una mese prima di venire
imprigionato
al Goshinboku, il dolore l’aveva quasi ucciso. Si era
ammalato, e doveva la
vita a Kikyo.
La
gelosia le fece
provare una fitta al petto.
Sebbene
sapesse
perfettamente che quel sentimento era quanto di più stupido
il suo animo
potesse immaginare, la affliggeva
comunque. E se ne vergognava.
Infilò
il capo
nell’armadio, desiderosa di nascondere quel rossore,
finché non vide l’anta
aprirsi e la testa di Inu-Yasha avvicinarsi alla sua.
“Non
hai parlato di
una cosa spiacevole”, le bisbigliò in un orecchio.
“No?”.
“No.
Io amavo mia
mamma. E se il tuo cervellino ha anche pensato a Kikyo, sappi che amavo
anche
lei. E molto”.
Le
si era scurito il
volto, e lo fulminò, stringendo le mani a pugno e aprendo la
bocca. Nella sua
mente, l’Accuccia era
già pronto ad
essere formulato.
“Ma
ora amo te”,
sussurrò, afferrandole la vita e
dandole un lieve bacio tra i capelli corvini. “Quindi, smetti
di fare la
donnina gelosa e fammi prendere i miei vestiti. Devo cambiarmi d’abito,
no?”.
“Stupido”, ridacchiò
lei, afferrando un abito a caso e posandoglielo
sul corpo. Era di un tenue rosso – logicamente – ed
assomigliava a quello da
lui solitamente indossato. “Penso che questo sia
più che perfetto”.
Sorridendo
sghembo, lo
strappò dolcemente dalla debole presa della ragazza e
sospirò – “Se ti piace,
metto questo”.
Lei
annuì,
indicandogli il bagno e facendogli cenno di andare. Senza rimostranze,
Inu-Yasha si richiuse la sottile porta di legno dietro le spalle,
mentre Kagome
prendeva posto al centro del letto e apriva la mano. Le aveva messo
qualcosa
tra le dita, quando l’aveva abbracciata, e lei desiderava
sapere cosa.
Rigirò
l’involto più e
più volte, senza riuscire, tuttavia, a dedurne il contenuto.
E poi lo aprì.
Della
sabbia sottile
fluì dal piccolo buco, scivolandole sulla camicia e
sporcandola tutta. A seguire,
poi, un qualcosa di piccolo. E brillante.
Arrossì.
Era
un diamante,
piccolo, rosa, incastonato in un cerchio d’oro bianco
luminoso.
“Inu-Yasha…”,
mormorò
con voce soffocata, puntellandosi sui gomiti e osservandolo, deposto
sul palmo.
“Inu-Yasha!”.
La
porta del bagno si
aprì, e lui cacciò il capo verso di lei, stupito
– “Cosa c’è?”.
“Un…
anello?”,
biascicò, avvampando. Lui
seguì il suo esempio, diventando di una tonalità
scarlatta che nulla aveva da
invidiare all’abito e all’ambiente circostante.
“Beh,
sì. Ma se non lo
vuoi, puoi restituirmelo”.
Aveva
richiuso
l’uscio, e si era lasciato scivolare contro la porta, gli
occhi alzati verso il
cielo e l’aria spaesata. Se lei avesse detto che sì, gliel’avrebbe
restituito, era certo che il suo cuore non avrebbe
retto. O, meglio, avrebbe sì retto, ma si sarebbe ancora una
volta richiuso.
I
progressi di quegli ultimi tempi dipendevano da una parola,
e
Kagome neppure se ne rendeva conto.
“No”.
“Come?”.
“No,
non voglio
restituirtelo. Voglio quest’anello, e tutto ciò
che per te significa”.
“Allora
te ne sei
accorta”, borbottò lui alzandosi.
“Sì.
E grazie”.
“Di
nulla”, rispose
mantenendo un tono distaccato. Era l’anello di fidanzamento
di sua mamma, e la
scelta di donarglielo era stata una scelta quasi istintiva. Doveva regalarglielo.
Aveva
raccolto un po’
di sabbia, presa dalla spiaggia poco lontana, e l’aveva incartato in un pezzo di carta rinvenuto
in un cassetto.
Quando
l’aveva vista
cercare qualcosa, poi, aveva deciso che era quello, il momento adatto,
e gliel’aveva
dato. Ed ora era terribilmente in
imbarazzo.
Nel
momento stesso in
cui aprì la porta, si ritrovò travolto da una
valanga umana di capelli corvini.
Kagome sorrideva a dir poco raggiante, l’anello tra il
pollice e l’indice della
mano destra, mentre il braccio destro si era stretto intorno al collo
del
ragazzo. Lanciava piccoli squittii eccitati.
“Ehi,
calma!”,
borbottò lui. Non sapeva proprio che fare, non si era
immaginato una simile
reazione.
“Ma…
Ecco… Io…”.
Si
era staccata di
scatto, ed era arrossita, il piccolo tesoro ancora in mano.
Lui,
abbozzando un
leggero sorriso, lo prese, rigirandoselo tra le dita con aria
indifferente. Le
prese la manca, e la osservò, finché, sospirando,
non le alzò l’anulare e lo
mise lì. “Penso che qui stia bene, no?”,
disse con una punta di nervosismo
nella voce.
Kagome
singhiozzò,
ributtandosi contro si lui.
“Ehm…”.
“Ma
è mai possibile che vi troviamo solo in queste
posizioni?”.
Sango
e Miroku
ridevano, accompagnati da Kirara e Shippo. I due demoni si erano persi
nel bosco,
ed erano stati portati al castello da un cacciatore inesperto che li
aveva
visti atterriti dopo l’attacco di un millepiedi gigante.
“Ma
non è colpa mia”.
Tentando di mantenere un qualche contegno, Kagome si alzò e
si lisciò le pieghe
della gonna, sgualcitasi. Gli occhi erano umidi e l’aria
gioiosa, ma Sango si
astenne dal fare commenti, e costrinse Miroku a fare lo stesso.
“Smettetela
di fare i
bambini e andiamo”, borbottò Shippo. Gli adulti
gli davano costanti problemi.
***
“Ah,
Inu-Yasha, ricordo ancora come se fosse ieri quando rincorrevi i
passerotti per il giardino!”.
Stringendo
i denti,
Inu-Yasha fulminò ancora una volta il vecchio Totosai:
sebbene il suo compito
fosse di dare loro il ruolo che gli spettava per eredità
paterna, il demone non
sembrava curarsene, continuando a divagare sull’infanzia del
giovane hanyou, ed
evitando accuratamente di citare il seppur minimo ricordo su
Sesshomaru, dato
che questi lo minacciava con occhiate gelide.
“Vogliamo
procedere?”,
chiese ancora una volta con voce bassa e infastidita.
“Eh?
Perché, cosa
stavamo facendo?”.
Dopo
l’ennesimo pugno
assestato sulla tempia del vecchio, Inu-Yasha incrociò le
braccia sul petto e
prese a battere il piede sul pavimento, aritmicamente.
“Ah,
ora ricordo! Sì,
continuiamo. Con il potere conferitomi, che
noia!, proclamo Inu-Yasha centoventisettesimo capo della
guardia reale. E,
sempre il potere conferitomi in quanto funzionario e consigliere reale,
proclamo anche Sesshomaru centocinquantaduesimo re del regno di
Yoshi”. Poi, con
un ampio sbadiglio, girò sui tacchi e prese una corona,
posandola sul capo di
Sesshomaru. “Ecco fatto, buona giornata”.
Tra
lo sbigottimento
di alcuni e la commozione di altri, i due si voltarono verso i presenti.
L’aria
di Sesshomaru
era imperturbabile, e sembrava perfetta per il ruolo ora ereditato.
Inu-Yasha,
invece, era a disagio, e continuava a cercare il volto di Kagome tra la
folla,
quasi questi lo tranquillizzasse.
Avevano
ereditato la
loro carica da neppure due minuti, e già tutto sembrava loro
diverso.
Le
persone sembravano
più servili nei loro confronti, e si prostravano al loro
passaggio e
sorridevano, chiedenti appoggio per qualcosa. Subito iniziarono
richieste
d’ogni sorta, che Sesshomaru concedeva di buon grado.
Inu-Yasha
convenne con
Kagome che, almeno, non s’era rivelato un despota.
E pagò la scommessa, borbottando improperi
all’indirizzo dei kami, che avevano
rivelato un animo molto più umano
di
quel che credeva.
Dannazione.
Sentirono
un brusio, e
l’enorme portone d’ingresso si aprì.
Era
un piccolo gruppo
di persone, alla cui testa vi era un uomo. E Rin lanciò un
urlo, facendo
voltare persino Sesshomaru.
“Padre!”.
*\* Ehm... Non è stato 'sto granché, vero?
Ma non mi uscivo nulla di meglio, non con l'interrogazione di italiano alla porte, almeno. Questo è stato il mio meglio, e spero voi l'abbiate apprezzato.
Il capitolo, poi, è dedicato a tutti gli amanti della InuXKaggy, in special modo a quelli che ho conosciuto su msn (Se volete entrare nel gruppo, il mio contatto è nella mia presentazione XD). E, tra queste persone, in particolare a chi mi sprona a scrivere, magari anche minacciandomi.
ù.ù Grazie a tutti per il sempre costante sostegno!
I ringraziamenti saranno molto rapidi, ma ho un paio di problemini che non sto qui a spiegarvi e devo fare in fretta.
RINGRAZIO:
AvinPhi
marychan89
KaDe
kirarachan
kaggychan95
Bchan
Aryuna
inufan4ever
mikamey
kaggy95
demetra85
ryanforever
Grazie mille, perché il vostro sostegno mi spinge a scrivere. E perché amo i vostri commenti, e mi dispiace, magari, non vedere più qualche commentatore.
Davvero mille grazie: spero di riuscire a scrivere un nuovo capitolo in tempi non troppo lunghi, ma non prometto nulla. Vi chiedo solo di portare pazienza, e di non eliminarmi XD.
Alla prossima!