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Autore: _ A r i a    03/07/2015    15 recensioni
{Storia ad OC | Iscrizioni chiuse} {Percy Jackson!AU}
La vista dall'alto era a dir poco sorprendente:da quella quota qualsiasi palazzo, perfino quelli più alti, che da terra sembravano a dir poco immensi, ora non erano ridotti a nient'altro che piccoli punti indistinti.
A Kidou piaceva quella prospettiva, lo faceva sentire così insignificante, proprio come si sentiva sempre, certo, solo che non del tutto:da lì ci si rendeva veramente conto delle dimensioni ed era lì che si comprendeva che non c'era poi molta differenza tra un ragazzo ed un grattacielo.
Entrambi sono soggetti allo scorrere del tempo, entrambi, prima o poi, crolleranno.
Genere: Avventura, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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Si ringrazia rie (endorphin) per il banner~


Lo Scettro della Notte


Non era stato facile accettare il trasferimento.

Mi trovavo bene ad Hartford, nel Connecticut, nonostante la mia solitudine e la mia innata timidezza, che mi era sempre stata d’intralcio nel fare nuove amicizie.

A volte nemmeno volevo farmene, di nuovi amici.

Avevo scoperto di stare bene da sola, in compagnia unicamente di me stessa. Tante volte, non riuscivo nemmeno a trovare conforto in me.

Poi venne il trasloco.

Mio padre era un astronomo, studiava la volta celeste ed i suoi innumerevoli fenomeni. Non era raro che un osservatorio astronomico richiedesse un valido scienziato presso la propria struttura per avvalersi della sua collaborazione. Solo che non avrei mai immaginato che mio padre, Jason Drake, avrebbe deciso di accettare una tra quelle numerose proposte di lavoro.

Mi sarei immaginata, che so, un posto in un qualche centro di controllo desolato, nel bel mezzo del nulla nel North Carolina, tuttavia mai la mia mente sarebbe riuscita ad immaginare un posto tanto lontano da Hartford, dal Nord America, né tantomeno dagli States stessi.

Giappone.

Francamente mi ero chiesta a lungo perché mio padre avesse scelto un posto tanto lontano da casa ma non mi aveva lasciato altra scelta che adeguarmi.

Sarei potuta rimanere ad Hartford, ormai avevo compiuto sedici anni ed ero indipendente da parecchio –era normale che mio padre non tornasse a casa per giorni, impegnato in rilevamenti cruciali all’osservatorio, così avevo imparato presto a saper badare a me stessa e la cosa non mi dispiaceva affatto- ma non me l’ero sentita di lasciar partire mio padre alla volta di un paese tanto lontano.

Il giorno della partenza me lo ricordo benissimo:avevamo trascinato le nostre pesanti valigie giù per le scale di casa e caricate difficoltosamente in macchina. Avevo provato un vago senso di malinconia osservando il cartello dell’agenzia immobiliare, il paletto conficcato nel piccolo giardino davanti all’abitazione, a segnalare che il luogo nel quale avevo vissuto per sedici lunghissimi anni era ora in vendita, alla mercé del migliore offerente, anche se, pure in quel momento, l’unica cosa che mi ero limitata a fare era stata tacere ancora una volta.

Ci eravamo lasciati alle spalle la nostra città natale, avevamo superato le distese boschive del New England e ci eravamo abbandonati alla frenesia di New York, per perderci tra le sue mille luci. Non a lungo, però, giusto il tempo di un check-in.


Volare era stata un’esperienza del tutto nuova, per me. Non che non avessi mai viaggiato prima di allora, peccato che i miei spostamenti fino a quel momento si fossero limitati a brevi viaggi in macchina con mio padre per raggiungere la meta delle nostre vacanze –nelle rare occasioni in cui ci concedevamo una vacanza- e la mattina in autobus, per andare a scuola.

Erano state ore lunghe, che passavano lentissime.

Mio padre ne aveva approfittato per dormire, al contrario io non c’avevo nemmeno provato.

C’erano troppe cose che catturavano la mia attenzione, come potevo rilassarmi?

La comoda pelle blu dei sedili, il buio della notte fuori dai finestrini, le nuvole che sfrecciavano sotto di me.

Certo, non saltellavo dalla gioia come una bambina di due anni ma decisi di mantenere un comportamento decoroso, quantomeno per non far fare una figuraccia a mio padre.

Una cosa nella quale avevo scoperto, parecchio tempo prima, di essere naturalmente portata era osservare le cose che mi circondavano con innata curiosità, anche se poi non ero altrettanto brava ad esternare i miei sentimenti –sempre a causa della mia timidezza-.

Mentre sorvolavamo il Pacifico l’aereo fu investito da alcune turbolenze, niente di grave ad ogni modo.

Non ne fui affatto spaventata nonostante fossi alla mia prima esperienza in aereo.

Forse avrei dovuto cominciare a preoccuparmi del fatto che non riuscivo ad essere preoccupata per niente.


Se avevo trovato frenetica New York, allora non avevo parole per poter descrivere al meglio Tokyo.

Era un brulichio di vita, una città in perpetuo fermento, un’infinita moltitudine di colori, immagini, profumi e sapori.

Ne rimasi affascinata, come se i ciliegi ed i loro fiori rosei fossero riusciti a stregarmi, rubandomi l’anima.

Cominciavo a credere d’aver preso la decisione giusta, scegliendo di seguire mio padre fino in Giappone.

La temperatura non era eccessivamente rovente ma camminare sui marciapiedi, in compagnia dell’interminabile folla degli abitanti del luogo e della sfilza di turisti non era affatto un’impresa facile, considerando anche che dovevo trainarmi dietro il trolley lilla con tutte le mie cose, che mi aveva seguita a partire da Hartford.

Ormai mi sembrava che tutto fosse già diventato un ricordo lontano, confuso nella mia memoria tra tutte le novità che avevo visto nelle ultime –più o meno- ventiquattro ore.

Non riuscivo a capire se fosse una cosa positiva o meno.

Mio padre fermò un taxi, che ci condusse fino al nostro appartamento. Modesto, nient’affatto appariscente, grazie al cielo.

Scelsi la stanza in fondo a sinistra, dalle pareti panna, un letto nuovo e comodo, pronto per lasciare che ci cadessi sopra a peso morto, la faccia schiacciata sul cuscino.

Ah, avrei dovuto dormire, in aereo.
Sperai che, almeno per quella notte, gli incubi non tornassero a tormentarmi.


* Angolo autrice *


Okay, lo ammetto, questo prologo/primo capitolo o come lo si voglia chiamare non ha nulla né di Inazuma Eleven né di Percy Jackson.

Avevo però bisogno di un’introduzione agli eventi veri e propri e questo è quanto di meglio sono riuscita a sfornare.

Vi ricordate quanto vi avevo detto riguardo alla storia ad OC per il fandom di PJO alla quale stavo lavorando? Ecco, come avevo previsto l’ho cestinata.

Però, visto che sono testarda ho cercato di scrivere qualcosa di simile:una AU per il fandom di IE dove i protagonisti scoprono di essere … semidei! Comprendo che non ci si capisca niente in questo primo atto della storia ma vi imploro umilmente di perdonarmi e per facilitarvi tale arduo compito ho deciso di farvi un regalo –se così lo si possa definire-:la storia prevede iscrizioni ad OC!

In pratica potrete essere dei semidei e delle semidee all’interno del mondo del nostro anime. Vi piace l’idea? Mi risparmiate? * faccia da cucciolo *

E no, niente, se vi va di partecipare fatemi sapere in recensione, qualora accetterete di partecipare provvederò a farvi avere tramite MP la scheda per il personaggio. Mi auguro che conosciate la serie di Percy Jackson, ad ogni modo. Bene, credo sia tutto, pertanto mi dileguo.

A presto (spero)

Aria_black
   
 
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