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Autore: Fabi96    18/08/2015    2 recensioni
La saga di divergent, vista dalla prospettiva di una coppia ancora più coinvolta nella guerra tra le fazioni, una ragazza e un ragazzo uniti nel loro sentimento, separati dai loro valori e dalle loro scelte.
Parlo di Eric, racconto della sua visione di questa rivoluzione, delle due battaglie e delle sue rinunce. Perché anche lui ha rinunciato a qualcosa.
Parlo di una ragazza che cercherà di riportare la pace nella città disastrata di Chicago, mentre Tris e Quattro saranno al di fuori della barriera.
Racconto quella parte di storia che la Roth ci ha mostrato attraverso le telecamere del dipartimento.
Parlo di un amore non compreso, dai suoi stessi protagonisti, di una società distrutta dalla guerra e una generazione perduta.
Io racconterò del fiore di loto, che quando inizia a germogliare è sommerso dall'acqua putrida e impura, ferito da insetti e infastidito dai pesci; infine rinasce, e rimane il lottatore più forte, in una natura ostile.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questo capitolo è uno dei miei preferiti. Adoro le scene d'azione, e quando ci metti di mezzo anche un po' di disperazione, è una combinazione scoppiettante (eh si, ho detto "scoppiettante"). 
Comunque... Ditemi cosa ne pensate! Qualcuno di voi è già stato molto vicino nello "spoilerare"il finale... Se lo volete lieto fine, sarà ovvio come finirà. Ma cercherò di fare alcune varianti, per sorprendervi! 
Cosa ne pensate in tanto di questo, vi è piaciuto? Ve lo aspettavate? Cosa non è vi è piaciuto, invece?? 
Grazie alle ragazze che mi sostengono e recensiscono sempre... Anche dopo tutti quei mesi di silenzio! 
Buona lettura 
 
 
 
 
 
 
Otto mesi dopo...
 
L'ultimo colpo di scalpello diede il segnale alla folla nella piazza principale della città a un applauso rispettoso e collettivo. Molta gente piangeva, altra rimaneva solo in silenzio, in quel giorno in cui tutti ricordavano i loro cari caduti durante la guerra dei divergenti. 
La verità era stata svelata, i cancelli della barriera aperti, il dipartimento occupato da un gruppo della città, i contatti con le altre realtà oltre quella di Chicago stavano per nascere. 
La guerra tra i geneticamente puri e danneggiati nella città era svanita. 
Le fazioni distrutte.
Le vite di tutti sconvolte dal cambiamento, ma volenterosi di ricostruire un governo solido e giusto. 
Al primo accenno di pioggia nessuno si mosse dal ciottolato della piazza, ma al secondo potente scroscio che fece piegare gli alberi, la gente iniziò a rifugiarsi nelle case e nei palazzi. 
Elise non riuscì a muoversi, un po' a causa della quantità di gente che correva da una parte all'altra, un po' perchè si era incantata a guardare la fiamma della torcia accesa accanto al pannello di marmo. Era molto grande, ricopriva quasi completamente il muro dell'ex sede degli eruditi per almeno dieci metri. 
Salì i quattro scalini per raggiungere l'ultimo nome impresso nella roccia, l'ultima lettera fatta dallo scalpello, l'ultima parola a cui era seguito quell'applauso. 
C
Sfiorò La superficie del nome, seguendone la linea. Lo accarezzò di nuovo, soddisfatta di essere riuscita a farlo inserire tra i caduti per la città, e di averlo fatto accettare alla gente di Chicago. Aveva notato come il consiglio e la popolazione avessero tenuto conto della sua richiesta, e dopo molte settimane di attesa glie l'avevano concesso. Coloro o che erano ancora vivi, come lei, Quattro e Zeke, o come tutti gli altri che erano sopravvissuti ai giorni di guerra erano visti come degli eroi, trattati come tali e favoriti in molte cose. Oltre ad avere un posto fisso nel consiglio della città. 
Elise poteva tenersi occupata in quel modo, nella ricostruzione e nell'organizzazione della nuova città, e non pensare al fatto che quando sarebbe tornata a casa nell'enorme ultimo piano del grattacielo del' Hancock, nel loft che le avevano assegnato come residenza, sarebbe stata da sola. Da quello spazio gigantesco, dove le finestre del soggiorno davano sulla barriera, oltre i campi dei pacifici, cercava di scappare, di non ritrovarcisi mai. Stava da Johanna da due mesi, ormai. 
Si raddrizzò, fece un passo indietro e rilesse tutti i nomi dei caduti, camminando lungo la lunghezza del monumento.
Marlene
Uriah 
Tris
Tutti e due i genitori di Beatrice 
Tori
È così andando avanti. Le gocce di pioggia si mescolavano con le sue lacrime. 
Una mano le si appoggiò alla spalla e la riscosse dal torpore della pioggia.
"Elise." Le sussurrò.
"Arrivo Zeke, mi ero solo distratta. Adesso vi raggiungo a casa." Si scusò, continuando a scorrere i nomi. 
"Io... Volevo solo dirti una cosa."
Ma venne interrotta dalla ragazza.
"Non ti ho mai detto quanto mi sia dispiaciuto per quello che è successo a Uriah. Mi dispiace moltissimo. Ho pianto quando l'ho saputo. Mi dispiace di non esserci stata, di essere stata così egoista da pensare solo a me e non al mio migliore amico. Non sei costretto a perdonarmi, ma almeno accetta le mie scuse."
Zeke non ce la fece più, la prese per le spalle e la abbracciò stretta contro il suo petto. Ora erano tutte e due completamente fradici. Ma non importava, non in quel momento.
L'unica cosa che Zeke sentiva era il senso di colpa. Per Uriah, per Tris, per Elise. Doveva alleviarlo in qualche modo.
"Elise." Singhiozzò.
"Si, Zeke?" Lo confortò.
"Sono vivi." 
 
 
 
 
 
 
 
 
"Devi tirare più forte. Ce li hai i muscoli, hai anche una buona altezza. Utilizza questi fattori a tuo favore." Ordinò.
"Rigido qua, e qua. Rilassa invece i muscoli qui." Diede istruzioni ad un altro.
Si voltò verso il vociare che sentiva dall'altra parte della sala degli allenamenti. Si allontanò dai Sacchi per avvicinarsi al ring. 
Un ragazzo, George, stava di nuovo combattendo contro suo fratello sul ring. Finì al tappeto dopo nemmeno tre tentativi di colpire l'avversario al viso. 
"Non ci perdo più tempo con te." Urlò Eric, scocciato. 
Il ragazzo si alzò di nuovo. Tentò un gancio destro alla gola del fratello, ottenendone solo una schivata e un calcio sul retro del ginocchio, che lo fecero raggiungere nuovamente il tappeto. 
Eric sbuffò.
"Tieni alta la guardia, e prova a non attaccare per primo per una volta. Quando lo fai perdi completamente il controllo della mossa successiva. Non farlo più. Aspetta il momento giusto." Gli ripeté per l'ennesima volta. 
"Si capo!" Scherzò. 
Eric si passò una mano tra i capelli sudati e si avvicinò alla zona di tiro. 
Qualcuno era migliorato molto in quei mesi di allenamento. Altri invece erano ancora degli incapaci. Come George. Suo fratello invece nel corpo a corpo era un ottimo allievo. 
"Dovete imparare a montare e smontare un fucile nel più breve tempo possibile." Urlò al gruppo di ragazzi. 
Alcuni era più giovani di lui, altri invece erano molto avanti con l'età e non accettavano volentieri ordini da lui. Ma in quei mesi di vita spesi sottoterra a stretto contatto con quella gente si era fatto rispettare e si era costruito una reputazione: spietato, rigido, se si voleva dire, severo. 
"Eccola che arriva!" 
Una donna entrò nella palestra, e tutti gli sguardi degli uomini in quella stanza si spostarono lungo le sue curve. Sonia era una bella ragazza, non si poteva negarlo, bionda, slanciata, formosa, con il colore della pelle leggermente più scuro di tutti gli altri, abituati a rimanere sotto terra per delle settimane intere, mentre lei invece, da cosa aveva sentito Eric, era cresciuta in superficie, tra le steppe del centro del continente.  Tutta l'attenzione era su di lei, ma gli occhi di Eric erano fissi solo su Elise. Era cresciuta molto in quei mesi, aveva iniziato a farsi sentire, a dire qualche parola, ma ancora senza senso. A gattonare, lungo qualsiasi tunnel della città. Se non ci fosse stata in quei mesi Sonia dietro a Ellie, Eric non se la sarebbe mai cavata. 
La donna si avvicinò a lui, allungando le braccia, per assecondare il volere della bimba, che stava già iniziando ad agitarsi per andare in braccio al papà. 
"Ciao, piccola! Cosa hai combinato oggi? Qualche disastro?" 
"Solo una ciocca dei miei capelli in meno." Disse Sonia mostrando la ciocca mancante tra i suoi capelli dorati. 
"Come cavolo ha fatto?" Chiese allibito, mentre si sistemava la bambina sulle spalle.
"Un coltello, mi ero distratta mentre preparavo il pranzo." Raccontò, ancora sconvolta.
"Iniziamo presto, a quanto pare." Ghignò Eric a spese della ragazza. 
"È per forza tua figlia capo!" Disse George, spuntando da dietro la spalla di Eric. 
Elise si aggrappò ai capelli del ragazzo, tirando forte, e George non poté reprimere un urlo di dolore. 
"Mostriciat..." 
Uno sguardo di ghiaccio di Eric lo fece desistere dall'insulto che stava per uscire dalla sua bocca.
"Che angioletto!" Si corresse, e se ne andò con la coda tra le gambe, tirando dietro di se qualche sguardo in più a Sonia. 
"Un giorno avrà il coraggio di chiederti di uscire." Disse Eric a Sonia, concentrato a gestire Elise sulle sue spalle.
"Ah... Si, ma sono molto impegnata in questo periodo, sai con i bambini." 
Il suono della sirene riempi l'aria della caverna, avvisando che era l'ora di uscire all'aria aperta per l'arrivo delle provviste e ponendo fine allo scambio di battute tra i due. 
"Posso lasciartela ancora per due ore? Sono arrivate le nuove munizioni, e l'ultima volta ho mandato John a pagare i mercanti. Lo avevano derubato di una bella somma." Si scusò, tirando giù dalle sue spalle Elise, e piegandosi per far appoggiare i piedini della bimba per terra. I suoi capelli biondi e boccolosi non lasciavano nessun dubbio a chi guardava che fosse sua figlia. 
Eric la amava, era il suo tesoro, le voleva così bene, che ogni volta che doveva lasciarla per seguire il suo lavoro con gli allenamenti si sentiva sempre in colpa, come se si stesse perdendo un pezzo della sua crescita. Che rammollito che era diventato. 
Ogni volta che la fissava, che osserva quella massa di capelli biondi gli si stringeva la gola, gli si spezzava il fiato. Non assomigliava a Elise in nulla, se non per gli occhi. Azzurri, quasi sul grigio, ma di quel color cielo di cui era così innamorato. 
La sirena suonò una seconda volta, e gli uomini abbandonarono gli attrezzi e la stanza per salire in superficie. 
"Ci vediamo dopo" salutò Eric. 
George gli si affiancò lungo la rampa.
"La uccidi quando fai così." 
"Non ti chiedo nemmeno di cosa stai parlando, perché non ho voglia di sentirti raccontare cazzate." Chiuse la chiacchierata.
"Quando la tratti come la tua migliore amica e poi torni a quei toni freddi che usi per rivolgerti alla babysitter di tua figlia" continuò George.
"È la babysitter di mia figlia. E tu non puoi dirmi nulla a riguardo perché non hai nemmeno il coraggio di avvicinarti a lei senza usare mia figlia come scusa." Cercò di zittirlo Eric.
"Ma io gli chiederei di uscire se solo tu mettessi in chiaro che non sei interessato a lei. Prima che arrivassi tu, lei era molto disponibile con me. E adesso è tutta 'Eric di qua, Eric di la! La bambina di Eric, e così un bravo papà'!" Fece il verso.
Non era molto alto George come ragazzo, anzi, era proprio un nano rispetto a Eric, e suo fratello era come lui, ma quello che mancava in altezza, suo fratello lo rimpiazzava con l'intelligenza e L astuzia. Due qualità che mancavano completamente in George. 
"Fai un figlio anche te George, ma devi trovare una ragazza che te la dia!" Lo riprese suo fratello.
Tutti gli uomini sulla rampa scoppiarono a ridere. 
"Ah ah! Che ridere, fratello... Mi sto sbellicando" si lamentò il ragazzo. 
La luce della sera li zittì tutti da quelle risate, arrivarono nello spiazzo dell'entrata della città e si riunirono subito con gli altri. Eric doveva raggiungere John, che era più avanti degli altri, tra le vie di quelle capanne decadenti fatte di resti di macchine e metallo. Molta gente abitava ancora in superficie, tra la sporcizia e il pericolo di attacchi, ma quasi tutti si sapevano difendere o avevano le armi per farlo. Infatti non era sicuro girare per quei vicoli. Ma una regola della città sottoterra è di non stare armati. Quindi Eric si doveva affidare solo sulla sua capacità di stare fuori dai guai, per non creare troppo chiasso durante il momento di contrattazione tra i mercanti.
Vide John tra la polvere della sabbia che stava contrattando con il mercante dall'altra parte della strada. Si avviò per attraversare .
Una mano lo afferrò per lo stivale. Eric si girò di colpo per osservare la figura dell'uomo sudicio ai suoi piedi che lo aveva fermato. 
"Un po d'acqua, per pietà..." Sussurrò. 
L'altra mano gli afferrò il braccio destro, portandoselo più vicino agli occhi. Quando i tatuaggi di Eric furono in vista, sentì la figura sussultare e mollare la presa sulla gamba e il braccio. Ma era troppo tardi, Eric lo aveva afferrato per lo straccio nero di maglia che aveva addosso, e lo stava tirando su di peso dalla pozza di fango e polvere e sporcizia che lo ricopriva. 
Quando il viso dell'uomo fu alla luce del sole calante, quando Eric riconobbe quei lineamenti, e quando vide i suoi tatuaggi sulle braccia, non ci furono dubbi. 
E perse io controllo delle sue azioni. Automaticamente il corpo fece quello che Eric aveva sognato di fare da quando aveva lasciato la città. Fece quello che era automatico per lui.
Prese slancio con il braccio che non era intorno al collo del ragazzo, e gli diede un pugno in pieno viso.
Il corpo rotolò per terra, nella polvere. Eric si gettò su di lui, gli afferrò i capelli neri e schiantò con tutta la forza che aveva il cranio del ragazzo contro il pavimento della strada battuta. Un pugno lo raggiunse allo zigomo destro, non molto forte, ma abbastanza da farlo infuriare ancora di più. Lo prese per le spalle e lo gettò di nuovo in mezzo alla strada. Si alzò velocemente, lo raggiunse dove lo aveva lanciato e gli diede un calcio in faccia, uno nello stomaco.
Si chinò di nuovo su di lui e lo intrappolò con il proprio peso. Lo tempestò di pugni in faccia.
"Eric, basta. Pietà!" Urlò il ragazzo, tra un respiro e l'altro, tra uno sputo di sangue e sabbia.
"Pietà" fischiò Eric tra i denti, quasi come un ringhio. 
"Pietà?!" Urlò. 
Mise le sue mani intorno al collo dell'uomo e strinse con tutta la forza che aveva.
"Eric, allontanati!" Ordinò John. 
Eric alzò lo sguardo, allentando la stretta. Un gruppo di persone si era riunito a cerchio intorno a loro.
"È un ordine, allontanati." 
Ci pensò due volte. Se l'avesse ucciso, nessuno si sarebbe fatto domande perché nessuno lo conosceva. Ma avrebbe messo in cattiva luce John davanti a tutti. 
"Eric." Lo richiamò.
Si alzò di scatto, e il ragazzo tornò a respirare, tossendo sangue e sabbia. 
John fece cenno a due uomini di avvicinarsi e prendere il ragazzo per le spalle.
"Chi sei?" Gli chiese John. 
Stava ancora tossendo, e non riusciva ad articolare le parole. Tra lo sporco e le ferite al viso che Eric gli aveva procurato era irriconoscibile. 
"Si chiama Jack. E viene dallo stesso posto da cui vengo io." Rispose Eric al suo posto.
"È uno di quelli che ha cercato di ucciderti?" Chiese. 
"No!" Urlò jack. 
"Assolutamente no! Eravamo dalla stessa parte io ed Eric!" Disse buttandosi ai piedi di John. 
Eric non ci vide più.
"Non osare nemmeno dire una cosa del genere! Io ti ammazzo! Con le mie mani!" Urlò gettandosi di nuovo addosso a lui. Due braccia lo fermarono, costringendolo a fermarsi. Le strattonò e si liberò dalla presa di un suo compagno. 
"Ha cercato di uccidere Elise!" Menti a John. Al pensiero della verità, Eric si infiammò ancora di più. 
Quelle mani... glie le avrebbe strappate! 
Doveva fare ragionare John. Era suo! Doveva ucciderlo lui! 
"La tua compagna?" Chiese spiegazioni, con quel verme ancora attaccato al suo stivale.
"Non è vero! Ci amavamo! Lei mi amava!" 
"Stai zitto!" E gli si avventò contro, sfuggendo alle mani dei compagni. Gli tirò un calcio nello stomaco, prima di essere spinto di nuovo indietro da un uomo accanto a John che immaginava essere il mercante di armi, era grosso, scuro di pelle, molto alto. Ma Eric non si sarebbe tirato indietro se necessario. Quell'uomo si mise dietro, alle sue spalle, come pronto a fermarlo di nuovo.
Perché la gente non si faceva gli affari propri?! 
"Perché sei qui Jack?" Continuò a interrogare John.
"Lei mi ha dato la possibilità di riniziare, e io ho scelto l'esilio, mi volevano costringere a prendere un siero per dimenticarla. Ho preferito andarmene." 
John continuava a guardare Eric mentre stava interpellando Jack, come se stesse cercando di comprendere il suo stato d'animo. Oppure come se stesse macchinando qualcosa...
"Eric lei l'ha fatto, io l'ho fatto con te..." Disse rivolgendosi al diretto interessato.
Eric iniziò a camminare avanti e indietro. La gente era ancora intorno a loro, e i suoi compagni stavano fissando la scena. E lui si stava tormentando, sfregando le mani contro i pantaloni della tuta per non metterle addosso a Jack.
"Non puoi chiedermi questo!" 
"Io ti ho concesso di riniziare, non conoscendo i tuoi errori. Devo dare a lui la stessa opportunità" 
Jack si aggrappò alla tunica nera che John indossava ringraziandolo, piangendo. 
"Non puoi farmi questo!" Gli urlò contro, fermando la sua camminata impulsiva. 
"Elise ha mostrato pietà, lo farai anche tu. Ci vorrà più tempo, ma devi imparare anche tu." 
"Non fare il fottuto maestro con me!" 
John si abbassò per porgere la mano a Jack, in attesa che la afferrasse. 
Eric non riuscì a guardare la scena, si girò verso il lato opposto, dove si trovava il mercante, e cercò di andarsene il più velocemente possibile. 
Non voleva Jack li! Non lo voleva vicino alla nuova vita che aveva costruito. Non lo voleva in mezzo alle persone, era pericoloso. Non lo voleva vicino a Elise! 
"Potrai essere perdonato per il tuo passato ... " Disse John a Jack, aiutandolo ad alzarsi.
Eric agì distinto. 
Afferrò la pistola dalla fondina del mercante d'armi, si girò di scatto e prese la mira.
"... Ma all'inferno!" 
E fece fuoco. 
L'uomo a cui aveva sottratto l'arma gli fu addosso, buttandolo per terra, ma il colpo aveva ormai già lasciato la canna della pistola e aveva colpito Jack in fronte, portandolo a cadere di schiena tra le braccia di John, che non rafforzò la presa e fece cadere il corpo a peso morto tra la polvere e il fango della strada. 
Eric rimase disteso a fissare il viso di Jack morto per qualche minuto, mentre la folla intorno si diradava e il mercante se ne andava con le sue armi. La vendita era sfumata. 
John gli si avvicinò, Eric poteva vedere solo i suoi anfibi.  
"Fai in modo che i tuoi tatuaggi scompaiano. Non voglio altri problemi di questo tipo." Disse. 
Era arrabbiato, poteva sentirlo dal suono duro della sua voce. Quella era la punizione: il suo ultimo legame con il passato doveva essere cancellato, e nel modo più doloroso. 
Avrebbe fatto bene provare un po di dolore, dopo la sensazione di soddisfazione che aveva sentito riempirgli il corpo quando aveva premuto il grilletto e l'euforia che aveva iniziato a scorrergli nelle vene alla vista del capo di Jack che scattava all'indietro. 
Si sentiva meglio?
 
 
 
 
Assolutamente si
 
 
 
 
 
 
Lo spinse via. 
Le fischiavano le orecchie. Se era uno scherzo, era di cattivo gusto, perché non era assolutamente divertente.
"Cosa stai dicendo?" Chiese schifata.
Zeke non provò ad avvicinarsi, ma si tenne a distanza di sicurezza.
"Che sono vivi. Tutte e due." Ripeté.
Prese un respiro, un singhiozzo strozzato. Ma niente lacrime, le aveva esaurite.
"Da quanto lo sai?" Sussurrò frettolosamente. 
Zeke la fissò. E non rispose. Aveva paura della reazione.
Elise gli si avventò contro e lo spinse di nuovo, facendolo scendere dagli scalini.
"Da quanto lo sai!" Urlò, irrigidendo le braccia e stringendo i pugni lungo i fianchi.
Zeke non rispose di nuovo, gli si era mozzata la voce.
Elise lo fissò con ancora più rabbia, e poi il suo viso si incrinò.
"Otto mesi... Otto mesi passati a essere convinta che lui non ci fosse più!" Si prese il viso tra le mani.
"Lo stavo superando... Ce la stavo facendo!" Si coprì gli occhi. 
"Da quanto lo sai Zeke?" Sussurrò, non riuscendo quasi a far uscire la voce dalla gola.
Zeke inghiottì a vuoto.
"Da quando io e il dottore eravamo andati dai pacifici." 
Elise trattenne un lamento, e si accasciò a terra, sulla pedana del monumento, e si prese di nuovo la testa tra le mani.
"Lo avevano curato, avevano trovato un modo per far continuare la crescita del neonato al di fuori del grembo materno. Ma quando gli esclusi sono arrivati a catturare i fuggiaschi dalla città, Eric ha preso la bambina e se ne è andato. Oltre i campi dei pacifici. Nessuno sapeva dove fosse diretto e nessuno li ha mai più visti." Raccontò in un solo sospiro.
Liz appoggiò  una mano sul pavimento, fece leva e si alzò. Zeke si avvicinò per aiutarlo ma il braccio di Elise si alzò per fermarlo. 
"Stammi lontano." Ordinò. E corse via.
 
 
Il pozzo non poteva sembrare più sporco.
Gli intrepidi erano conosciuti per il loro disordine, ma quella era sporcizia delle strade.
Tutta la sede era stata abbandonata da mesi perché il consiglio non si era ancora concentrato sul trovarle una nuova funzione. Quella zona della città non era stata ancora risanata. 
Diede un calcio alla spazzatura che le ostacolava la strada per entrare nel tunnel che portava agli alloggi dei capifazione. Corse su per le scale, arrivò alla porta e la aprì tutta ad un fiato. 
Era tutto come lo aveva lasciato quella notte. Chiuse la porta e le si appoggiò contro con la schiena, chinò il capo, e non si accorse nemmeno di aver iniziato a tremare, che il respiro le si era fatto irregolare e che il petto le andava su e giù ad una velocità pericolosa. 
Urlò tutta la frustrazione di quelle ore, la rabbia che non aveva usato contro Zeke, si avvicinò al tavolo dall'altra parte della stanza, ne prese l'estremità dal bordo, e lo rovesciò. Tutto quello che c'era sopra volò per terra, frantumandosi in mille pezzi. 
Afferrò lo schienale di una sedia e lo lanciò contro il lato della finestra ancora integro, rompendolo, mentre dall' altro, che aveva frantumato lei stessa quella notte, entrava acqua a non finire. 
Scivolò sulla pozzanghera d'acqua che si era formata sul pavimento, perdendo l'equilibrio a causa del troppo impeto dei suoi movimenti, come una bambina. Non vedeva chiaramente, aveva gli occhi annebbiati da lacrime che non voleva uscissero, e cadde tra i vetri rotti, sentendo in qualche punto del corpo aprirsi piccole ferite per il contatto con il materiale tagliente. 
Urlò dal disagio dei tagli, appoggiò i palmi sulla superficie cosparsa di cristalli. Un urlo silenzioso le sfigurò il volto, e si lasciò andare a un impianto inconsolabile.
"Liz..." Una voce la fece saltare, si girò verso la persona che l'aveva chiamata.
Quattro era nell'appartamento, davanti alla porta, e dietro di lui c'era Zeke.
"Lo sapevi anche tu!" 
"Lo sapevate tutti! E ve lo siete tenuti per voi!" Si alzò dal pavimento e si scaraventò contro Quattro. 
Era alto e forte, che le facesse da sacco da box per una volta. Doveva sfogarsi! 
Lo spinse dalle spalle, facendole indietreggiare quanto bastava per caricare il colpo e cercare colpirlo in faccia con il pugno destro. La sua mossa venne prontamente fermata dal braccio sinistro di Quattro, in posizione di difesa.
"Vuoi sfogarti Elise? Allora vai avanti, ma non ti aspettare che io stia fermo a prendermi i tuoi colpi da femminuccia." La istigò. Aveva bisogno che si stancasse, che tornasse in se. Quattro sapeva che elise doveva sbollire tutta la rabbia.
Elise urlò per l'insulto e cercò di colpirlo con più serie di di calci alti, diretti al viso e al petto, intervallati da pugni alla cieca. Era troppo violenta, aveva perso il controllo dell'attacco. Prima regola che le avevano insegnato, mai perdere il controllo. 
Troppo tardi.
Quattro le intrappolo il braccio che stava cercando per l'ennesima volta di colpirlo alla gola, fece leva e glie lo torse, procurandole un urlo di dolore, la sbattè contro il muro, con la guancia premuta alla parete. Il ragazzo con tutto il suo peso la schiaccio contro esso, intrappolandole le braccia contro il muro.
"Hai pensato che se tu non potevi riavere Tris, nemmeno io potevo essere felice?! Solo Perché tu non potrai mai più abbracciare tuo fratello, io devo condividere il vostro stesso dolore?! Perché me lo avete nascosto?!" Urlò contro tutte e due.
"Urlaci cosa vuoi Liz, insultaci!" Tenendola ancora premuta contro la parete.
Voleva essere ferito. Va bene! 
"Non mi siete stati vicini mai! Quando avevo bisogno di voi, dove eravate!"
"Siete degli egoisti bastardi!" 
Nessuno rispondeva, e quattro non lasciava la presa
"Dove eravate quando Jack mi ha violentata!" 
Quattro sussultò, e Zeke si portò le mani al viso, girandosi verso la porta.
"Cosa stavate facendo? Zeke tu eri con Eric, sbaglio? Con mia madre, ad organizzare tutta la frottola. E tu quattro?" Nessuno rispose.
"Immagino! Eri occupato con Tris a fare amicizia con il dipartimento!" Una risata amara le uscì dalle labbra.
"Sai Quattro..." 
"Jack mi aveva bloccato nella stessa posizione. Contro il muro." Disse, con la voglia di colpirlo nel profondo.
Ma si accorse di essersi ferita da sola, quando sentì altre lacrime lasciarle gli occhi, i singhiozzi scuoterla. Quattro la mollò subito, liberandola dal peso del suo corpo. La spinse in mezzo alla stanza.
Era disgustato. Lei si raddrizzò, riacquistando l'equilibrio.
Ma lo perse subito, cadendo a terra, quando uno  schiaffo deciso di Quattro raggiunse la sua guancia.
"Torna in te!" Le disse.
Si avviò verso la porta, lasciandola sul pavimento.
"Domani mattina ci sarà una riunione del consiglio. Prova ad esserci, e a non comportarti da pazza. Aggiusteremo questo casino." 
E uscì dalla stanza.
Zeke le si avvicinò offrendole la mano, ma lei si alzò da sola, rifiutandola.
Lo sorpassò. 
"Lui non lo sapeva, Liz. Solo io e Johanna." 
"Non mi parlare per un po, Zeke." 
"Ma lizzie... Lasciami spiegare." Cercò di afferrarla per un braccio.
Lei si scansò e corse giù per le scale, verso il nulla.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Aggiungiamo due commenti alla fine.... 
Come vi sembra? Vi soddisfa la fine di Jack? Eric ha fatto bene, oppure si è di nuovo macchiato le mani di sangue, non seguendo il desiderio di Elise, e non imparando di nuovo nulla? 
Cosa ne pensate della reazione di liz alla notizia che Eric e la piccola fossero ancora vivi? E Quattro? È stato troppo violento? 
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