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Autore: Francine    06/07/2016    3 recensioni
«È uno scherzo?», vi domandate. Fissandovi negli occhi e specchiandovi nella stessa espressione sconcertata che vi allarga lo sguardo.
«No», dite. In stereofonia. E scoppiate a ridere, senza un motivo né un perché. Stringendovi la mano e cercando l’uno nello sguardo dell’altro quella luce, quella paura, quella speranza. Quel riconoscersi simili, eppur diversi. Annusandovi l’anima nella brezza serale per indorare una pillola che fa schifo, nonostante tutte le belle parole ed i buoni sentimenti. A darsi un po’ di coraggio – o di speranza – ché sì, tu hai i tuoi compagni come lui avrà i suoi. Ma a volte chi ti capisce davvero è lo sconosciuto che il destino ti fa incontrare per caso, passeggiando una sera, sul bagnasciuga deserto. Qualcuno che, in un’altra vita, in un altro momento, avresti potuto chiamare fratello. Qualcuno come te. Ad una vocale di distanza.

[Cross-over Saint Seiya/ Yoroiden Samurai Troopers]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Andromeda Shun, Cygnus Hyoga, Dragon Shiryu, Pegasus Seiya, Phoenix Ikki
Note: Cross-over, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Caleidoscopio'
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Viaggiatori nella notte




 
Ma la notte sperde le lontananze.
Oceanici silenzi,
Astrali nidi d'illusione,
O notte.
(Giuseppe Ungaretti,
O Notte, in Sentimento del tempo, 1933)
 
 




«Un’acqua tonica, per favore.»
Mostri il tuo biglietto alla barista, domandandoti se ti allungherebbe un bicchiere di quella vodka che occhieggia dalla mensola di vetro alle sue spalle.  
«Limone e ghiaccio?»
Sorridi. Meglio restare sobri.
«Solo limone, grazie», e ti volti ad osservare le luci di posizione sulle piste di decollo, mentre fuori dai finestroni panoramici la notte senza stelle abbraccia l’aeroporto come una coperta rassicurante.
I passeggeri dei voli notturni si assomigliano tutti. Come se l’aeroporto, quando cala il buio, smistasse non solo persone, ma anche sogni, desideri e necessità da inviare ai quattro angoli della terra.
«Prego», dice, posando il bicchiere e facendosi indietro, a sistemare nella lavastoviglie una serie di tazzine e piattini tintinnanti.
Quanti ne potrai aver visti?, ti chiedi. Accantonando quel pensiero come si fa con quegli spiccioli che restano nelle tasche, alla fine del giorno. La risposta la sai da te. Innumerevoli, ché gli esseri umani sono tutti simili, tra loro, e tutti diversi. Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo, diceva Tolstoj. E lo stesso vale per gli esseri umani, presi nella sua singolarità, come i minuti che compongono le ore ed i giorni, e che gli orologi sbucciano con una lentezza esasperante.
Il tuo volo parte alle quattro del mattino. E vuoi restare sveglio mentre il mondo sonnecchia su giacigli di fortuna, le borse come guanciali, perché è nel cuore della notte che i pensieri si affilano. E si fanno più pericolosi.
Il tizio all’altro capo del bancone attira gli sguardi su di sé come fa il sole, ché lo vedi anche quando non lo guardi. Foulard al collo, la testa bassa sul bicchiere, sembra immerso nei propri pensieri, ma non abbastanza da celare la sua vera essenza. Puzza di guerra, di quella bellezza fatta di ombra e luce allo stesso tempo. Come un raggio di sole nel cuore del buio più assoluto. E sei convinto che lui abbia percepito te, così come tu hai percepito lui.
Solleva il suo bicchiere – acqua tonica, ghiaccio e limone – e lo osserva. E poi fissa lo sguardo nel tuo, i capelli biondi che ricadono davanti agli occhi con poca convinzione.
«A che ora parti?», domanda. Più per educazione che per curiosità.
«Alle quattro del mattino», ribatti.
«Io alle tre. Delta. New York.»
«Aurora.» Pausa. «Krasnoyarsk.»
«Krasn… Dov’è?»
«In Siberia. Al centro della Russia.»
Annuisce, il sopracciglio aggrottato e l’aria pensosa. In realtà, tu vai un bel po’ più a nord di così, ma figuriamoci se questo ragazzo può conoscere Kohobotek - due gatti, tre baracche e quattro galline che resistono con stoica testardaggine al gelo. Quello vero.
«Capisco», dice. E poi, come continuando un discorso con se stesso, aggiunge: «È tutto vero, allora. La Guerra Galattica, dico…».
Ok, eccone un altro, pensi. Di gente che ti ha fermato per strada, dopo quella buffonata, ce n’è stata parecchia. Forse ti sei solo sbagliato. Forse hai solo voluto vedere in lui qualcosa che, in realtà, non esiste. Forse vuole solo un autografo per la sua collezione, e credi che tirerà fuori il blocchetto da un momento all’altro, quando qualcosa, nel suo sguardo – una saetta che gli attraversa le pupille – ti dice che no, non ti sei sbagliato. Ché lui è come te.
«Potrei dire la stessa cosa.»
«Ovvio», ribatte. «Ma sai come si dice, no?»
Silenzio.
«Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio…»
«… di quante ne sogni la tua filosofia.»
«A Shakespeare. Mia madre l’adorava.»
«La mia adorava Tolstoj.»
Solleva il bicchiere, in un brindisi muto.
«Grazie», dici. «Per esserci stato quando io non c’ero.»
Scuote la testa, e vinci l’istinto di ravviargli quel ciuffo che gli pende davanti agli occhi. Camus l’avrebbe fatto?, ti chiedi. E ti rispondi di no.
«Figurati. Eravate… in altre faccende affaccendati.»
Non ti chiede quali, e lo ringrazi di questo. Un conto è riconoscere un tuo simile, anche se inguainato dentro vestiti da rampollo di buona famiglia; un altro è raccontare, ad alta voce, di divinità che si alzano col piede sbagliato e non hanno niente di meglio da fare che rivoltare la terra da cima a fondo, come fossero calzini da infilare in lavatrice. Ché a raccontarle, certe cose, acquistano contorni nitidi che fan tremare i polsi. Mentre le vivi, non hai il tempo di fermarti a pensare all’enormità su cui la vita ti sta facendo affacciare; ma dopo, quando la polvere si posa e il silenzio avvolge tutto, il cervello analizza, processa, ricompone. E tu non ce la fai a stargli dietro. È troppo straniante. È troppo pericoloso, ché certi pensieri attecchiscono fin troppo bene, e la prossima volta i tuoi piedi potrebbero bloccarsi sul più bello, mentre il nemico affonda i denti e strazia la tua anima. Così metti via quel pensiero come si fa coi maglioni pesanti, quando l’estate entra a passo sicuro col suo mazzo di spighe e papaveri. E tu ti dici che, in un certo qual modo, questo discorso vale anche per lui.
Erii ti ha raccontato, per sommi capi, come Tokyo fosse impazzita. Come Shinjuku fosse sparita dietro una cupola oscura. Come la città – ed il paese con lei – si fosse fermata per una settimana. E davanti ai suoi occhi smarginati – occhi che ti chiedevano dove foste voi in quel momenti – ti sei sentito piccolo piccolo. Ché, per quanto sappiate spezzare gli atomi a vostro piacimento e parlare colle stelle dando loro del tu, nessuno di voi è onnipotente. E non potrete trovarvi sempre sulla breccia, risolvendo i problemi che questa vita vomita ogni giorno come fossero stelle cadenti che solcano il cielo di agosto.
Per questo sei contento di sapere che esista gente come lui. Perché avere le spalle coperte è un lusso irrinunciabile, nella vita di un guerriero, più delle giacche di lino ben stirate, dei foulard al collo e delle scarpe che costano, da sole, un occhio della testa. Fattura italiana. Senza dubbio alcuno, pensi, e a quell’idea lo sguardo ti si rabbuia.
«A buon rendere», risponde lui, riportandoti al presente. «Un altro giro? Offro io.»
«Perché no?», rispondi. «Allora, a me tocca il prossimo», dici. Svuotando il bicchiere in un sol colpo.
«A che brindiamo?»
«Agli operatori di pace», proponi. Sollevando in aria il bicchiere con un sorriso ironico. «Questo siamo, no? Operatori di pace.»
«Beati gli operatori di pace…»
«…perché saranno chiamati figli di Dio.»
E brindate. Una volta, due, tre. Sollevando bicchieri e cuori, annusandovi l’anima quando i pensieri si fanno più affilati, più pericolosi. E c’è bisogno di una spalla amica per attraversare la notte e tornare a vedere il sole.
 

 



Saint Seiya © Masami Kurumada, Shueisha, Toei Animation, 1986
Yoroiden Samurai Troopers © Sunrise, Nagoya TV,Tokyu Agency, 1988.
Grafica ® Francine.





Note:
Ultimo capitolo di questa mia digressione, che si situa tra la fine di Quando piangono le Stelle e il primo OAV dei Troopers, Gaiden (1989).
Protagonisti assoluti i due biondoni del gruppo: Hyoga del Cigno e Seiji Date.

Il titolo del capitolo è preso da un racconto di Banana Yoshimoto, mentre le citazioni letterarie rimandano ad Anna Karenina, di Tolstoj, Amleto di Shakespeare e il Discorso sulla Montagna tratto dal Vangelo secondo Matteo, 5-9.

Spero che questa mia digressione vi sia piaciuta. Grazie per esservi affacciati, per aver commentato ed aver inserito questa storia tra le seguite/preferite/ricordate. Alla prossima. Ci conto!
   
 
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