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Autore: Red_Coat    21/03/2017    2 recensioni
Questa è la storia di un soldato, un rinnegato da due mondi. È la storia del viaggio ultimo del pianeta verso la sua terra promessa.
Questa è la storia di quando Cloud Strife fu sconfitto, e vennero le tenebre. E il silenzio.
Genere: Angst, Guerra, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cloud Strife, Kadaj, Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'allievo di Sephiroth'
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Sono giorni che ci penso: I miei quadri non mi piacciono più.
Non sono i soggetti ad essere sbagliati, ma il mio solito modo di dipingerli. È antiquato, fin troppo scontato, e poco adatto ad esprimere ciò che ho in testa in questo periodo,
Paradossalmente, mi piacciono di più gli schizzi di colore astratti con cui ho dipinto di getto le mie emozioni in battaglia, che i ritratti ed i paesaggi su cui ho messo più cura e trascorso interminabili ore per renderli realistici, quanto più vivi possibile.
E questo, adesso come adesso, è un problema anche bello grosso, perché tra una settimana io e Hikari apriremo la nostra bottega, e non ho ancora nulla da esporre al pubblico, mentre lei ne ha tanti ed uno più bello dell'altro, oltre a quelli che dovremmo esporre e vendere al primo mercatino a cui parteciperemo, tra quattro giorni.
Penso, penso e ripenso, ma non riesco a venirne a capo. Hikari mi ha detto di non preoccuparmi, che i miei dipinti sono già di per sé meravigliosi e venderanno forse anche più dei suoi, ma visto il suo evidente coinvolgimento emotivo in questo non so neanche più se crederle sulla parola.
Sono frustrato, molto frustrato. Voglio che i miei quadri riescano a catturare l'attenzione di chi le guarda, ma anche trasmettere attraverso di essi non ciò che vogliono vedere, ma ciò che io penso del soggetto a cui mi sto ispirando. In altre parole, non mi accontento di un semplice disegno, voglio abbandonare tutte le mie emozioni sulla tela, e non sentire più il bisogno di tornare indietro a riprenderle.
Ho già qualcosa in mente, ma fino ad oggi non ho riscosso molto successo, solo qualche ridicolo schizzo e un'accozzaglia di pennellate e macchie di colore, incoerente e per niente bella da vedere. L'altro giorno però, durante il mio ultimo misero tentativo finito male, mia madre ha tentato di aiutarmi, con una frase che mi è rimasta dentro, continuando a frullarmi in testa ininterrottamente.
È entrata nel nostro studio, mi ha osservato e poi, sorridendo ad una mia manifestazione d'impazienza seguita da un frustrato

<< Non ce la faccio! >>

Ha risposto, calma

<< Forse perché ... tu cerchi di dipingere con gli occhi, e non col cuore, come hai sempre fatto. >>

Quindi si è guardata intorno, ha preso la sciarpa di seta nera che indossavo avvolta attorno al collo, sulla camicia del medesimo colore, ed esattamente come aveva fatto Keiichi il giorno del mio compleanno me l'ha legata attorno agli occhi, mentre la osservavo all'improvviso riflessivo e spiazzato.
Non ho reagito, ho solo risposto di no quando mi ha chiesto se ci vedevo. E allora lei è passata al dunque concludendo soddisfatta

<< Bene. Ora, immagina il soggetto del tuo dipinto, esattamente come vorresti disegnarlo. E cerca di farlo seguendo solo il tuo istinto. >>

L'ho fatto. Servendomi solo delle mani come pennelli e aiutato da lei che mi passava i colori.
E il risultato è stato ... mediocre, ma non pessimo. Ovviamente, un quadro fatto in quel modo, senza pennelli e un minimo di accortezza non era preciso e anche un po' brutto da vedersi, eppure ... quel qualcosa che non andava in quelli che lo avevano preceduto, ora era finalmente affiorata.
C'era, un'emozione. Ancora imprecisa e flebile, ma c'era.
E c'era anche la bozza del mio nuovo stile, quello con cui vorrei dare un tocco nuovo ai miei lavori e ai miei pensieri.
Sono rimasto sconvolto a guardarlo, mentre lei sorrideva soddisfatta stringendo la mia sciarpa di seta in mano

<< Allora ... come ti sembra? >> mi ha chiesto

L'ho guardata, e ho sorriso anche io

<< Una vera schifezza ...>> ho risposto, strappandole un po' di allegria << Ma ... sì ci può lavorare. >> ho concluso poi, le mani sporche di colore e la fronte sudata per lo sforzo di guardarmi dentro ignorando il buio in cui ero immerso.

E da quel momento non ho mai smesso di pensarci.
Lo sto facendo anche adesso, mentre sdraiato nel letto con indosso sempre il solito pantalone e nulla più guardo Hikari dormirmi accanto assorta in un sonno profondo, l'espressione serena rivolta verso di me e le mani giunte sul cuscino vicino al viso.
Lascio scorrere i miei occhi sul suo viso dolce, la sua pelle bianca e le palpebre chiuse, pensando ai meravigliosi smeraldi dei suoi occhi come fossero gemme preziose protette da esse come in un cofanetto di velluto, magari come quello che conteneva i nostri anelli di fidanzamento.
È bello, vederla così.
E sarà altrettanto bello, quando saprà in che modo ho usato il suo regalo di compleanno, una vernice speciale composta esclusivamente da madreperla, proveniente direttamente da coltivazioni private nei pressi di Costa del Sol.
Di solito, roba di questo genere costa parecchio. Ma lei è riuscita a convincere un vecchio cliente molto affezionato dell'ostello a regalargliela, in pratica, e l'ha conservata per me quasi un anno in attesa di potermene fare dono.
La madreperla ... appena ho aperto la scatola, ho capito subito che si trattava di un materiale non da poco, ed ora ... so anche come usarlo per renderla veramente felice.
Sorrido, emozionato. Quindi attento a non svegliarla mi alzo, e scalzo raggiungo lo studio chiudendomi la porta alle spalle e accendendo la luce.
La prima cosa che vedo, è uno dei miei disegni ad acquerello di Sephiroth, che ho incorniciato in cima alla parete, circondato da altre foto e dipinti vari. Troneggia, ponendo in secondo piano perfino la finestra che gli sta sotto, alla sua destra, e il conseguente scenario di una Midgar notturna illuminata dalle luci diafane dei fari posti in cima e alla base dei reattori.
Guardo solo gli occhi del mio Generale, ricordo quando i miei cangiavano al semplice gesto d'incrociarli, e d'improvviso stringo i pugni, senza riuscire più a trattenermi.
È la sensazione che mi dava quell'immagine, non l'immagine e basta, che voglio ritrarre. E voglio che anche gli altri ne siano stregati, che capiscano comunque chi ne sia il soggetto.
Voglio ... imprimere l'essenza di Sephiroth sulla tela e fare in modo che chi la guarda non riesca a togliersela più dall'animo, che non riesca a pensare più ad altro.
I suoi occhi ... mi rapiscono ancora. E il mio quadro rapirà in egual modo chi lo fissa, ora so come fare.
Perciò chiudo gli occhi, faccio appello alla mia anima, e avvicinandomi alla tela bianca sul cavalletto prendo in mano la ciotola del grigio e v'immergo il pennello più spesso e grande che ho, iniziando a seguire il mio istinto.
Non aprirò nemmeno per una volta gli occhi, fino a che non avrò finito. Seguirò solo l'immagine che ho nella mia mente, che pennellata dopo pennellata si fa sempre più chiara e nitida.
E, alla fine, dovrò riuscire a guardare negli occhi la nostra anima.

\\\

Quattro colpi delicati e decisi contro il legno della porta. È mia madre, la riconosco. Anzi, posso perfino vederla, esitante dietro l'uscio con un vassoio stretto tra le mani.
Sono sudato, non mi sento più le spalle e le gambe, annaspo e le mani mi fanno male per il troppo stringere coppe e pennelli.
Ma mi sento come dopo aver vinto una battaglia, anche se solo quando avrò aperto gli occhi saprò finalmente chi fra noi è il vincitore, se io o ancora una volta la mia inettitudine.
Non ho idea di quanto tempo ho trascorso a dipingere, probabilmente però tutta la notte ed anche le prime luci dell'alba, visto che ad un certo punto ho sentito chiaramente il primo vociare di Keiichi e il lento rianimarsi della casa, mentre la luce piano piano aumentava d'intensità.
Questo esercizio comunque ha acutizzato il mio sesto senso, e mi ha aiutato a capire che ciò che ho imparato esercitando i miei poteri da Cetra per vedere con la mente ... non è stato invano.
Posso davvero riuscire a sentire oltre il mio respiro, oltre ciò che riuscirei a vedere normalmente con gli occhi. È come ... volare.
Tuttavia, ora tutto questo potenziale è mirato a guardarmi dentro.

<< Tesoro? >>

La voce di mia madre torna a scuotere i miei sensi. Continuo ad osservarla con la mente, invitandola nel frattempo ad entrare mentre compio un paio di passi in avanti, e mi preparo lentamente a tornare sulla terra.

<< Ti ho portato la colazione. >> mi dice, appoggiando il vassoio sul bancone appena vicino alla porta, e poi voltandosi verso di me << Hikari mi ha detto che sei stato tutta la notte a dipingere, e ... >> aggiunge, ma non fa neanche in tempo a finire la frase, perché non appena vede il quadro il suo respiro si blocca, e un'espressione rapita e meravigliata appare nel suo sguardo e sul suo viso.

Apro gli occhi, e la osservo, senza neanche guardare il mio lavoro.

<< A cosa stai pensando ...? >> chiedo, dopo averlo concesso il tempo necessario

Lei si volta lentamente verso di me, ammirata e affascinata.

<< E' ... >> inizia, ma ci mette ancora qualche altro secondo, prima di trovare il fiato e le parole per esprimersi << Incredibile ... sembra vivo, come se da un momento all'altro dalla luce e da tutto questo turbinio di colori, dovesse uscirne qualcuno. Mozzafiato, davvero. >> poi mi guarda, ed io finalmente mi concedo il lusso di sorridere << E' Sephiroth, giusto? >>

Il sorriso si allarga. Annuisco.
Si! Ci sono riuscito.
Ho vinto io, stavolta.

<< Da cosa lo hai capito? >> chiedo quindi, vittorioso e curioso.

Lei sorride, si guarda intorno e poi osserva l'acquerello di Sephiroth, per poi guardarmi negli occhi.

<< Mi è difficile ormai, non riconoscere quegli occhi. >> risponde, scoccandomi un occhiolino.

Poi torna ad ammirare il dipinto, ed ora lo faccio anch'io. Mamma ha ragione.
È stupendo.
Ho mischiato ai colori che volevo spiccassero la vernice di madreperla, questo li ha resi più lucidi e vivi, e ha dato loro spessore facendo in modo che, in quel trionfo che rassomiglia quasi ad un vortice inarrestabile, sembrassero quasi fulmini iridescenti che anticipano una stupefacente tempesta, di proporzioni quasi mai viste.
Una tempesta ...
È questo, l'effetto che mi fa Sephiroth?
Si ... si, può darsi. Sconvolge e ricostruisce, come un uragano, una tempesta benefica per me, ma venefica per chiunque gli sia contro.
Lo è, e lo sarà sempre. E, se proprio devo essere sincero ... mi manca anche un po', quel suo modo di scombussolarmi la vita senza chiedere il permesso, anche se così sto bene.
Forse è per questo, che sentivo di dovermene liberare: Quella tempesta dentro di me è troppo forte ancora, per sperare di riuscire a vincerla da solo.

***

Era una bella serata, quella del loro "debutto in società".
Certo, forse un po' fredda, com'era giusto che fosse ad ormai solo ventisei giorni dall'inizio ufficiale dell'inverno, ma tutto sommato ancora sopportabile. Il cielo non si vedeva, sotto il piatto del settore due, ma Hikari prima di salire sul treno che li aveva condotti nei bassifondi aveva visto qualche stella fare capolino sopra la sua testa, squarciando per un attimo la pesante coltre di fumo e smog che opprimeva l'aria della città, nel pieno del suo fermento.
Il mercatino dell'artigianato a cui stavano partecipando si svolgeva proprio lungo la via principale del settore in cui si trovavano, e in quel momento, alle 21.46 della sera, era meravigliosamente attivo.
Organizzato da un'associazione di artigiani di cui Erriet Inoue faceva parte, era ben sortito e -oltre ai soliti banchi di artigianato vario- ospitava anche qualche attrazione da luna park come il tiro a segno e la pesca, e gli stand di un paio di bar e qualche rosticceria, tanto per garantire ai visitatori e agli ospitati anche la possibilità di rifocillarsi e svagarsi.
Le strade erano illuminate dalle luci multicolore poste sopra di esse lungo tutto il viale, e il vociare vivace della folla completava quel quadretto allegro che Hikari stava già pensando ad imprimere su tela, per mezzo di un carboncino nero e il cavalletto che reggeva la tela dietro al banco che ospitava le loro opere.
Victor nel frattempo, controllava che tutto andasse per il meglio, si occupava di qualche curioso cliente che si affacciava ogni tanto a chiedere informazioni e donava loro un paio di biglietti da visita con l'indirizzo della galleria, invitandoli a fare un salto lì.
Stava andando bene, la serata. Molto meglio di quanto entrambi avessero potuto immaginare.
Erano già volati via quasi sessanta biglietti da visita, trentasei volantini, e due piccoli quadri erano stati venduti ad un modico prezzo, ed erano solo all'inizio.
Dopo aver congedato con un sorriso gli ultimi due interessati, una coppia di signori sulla settantina molto interessati ai loro lavori che avevano promesso di farsi vivi nuovamente alla loro galleria, Victor Osaka decise infine di concedersi un attimo di relax.
Si voltò verso sua moglie, che continuava affascinata e concentrata ad accarezzare la tela con i pastelli.
Era bellissima, quella sera. Portava i capelli sciolti lungo la schiena, le cui ciocche laterali erano state unite insieme con un nastro grigio, in una piccola coda dietro la nuca.
La luce accesa e viva delle luminarie s'infrangeva sulla stoffa azzurra del suo kimono azzurro cielo, lungo fino a coprirle interamente le ballerine della medesima stoffa che calzava ai piedi, e sulla pelle pallida e delicata del suo viso, accendendoli di una luce quasi dorata, e facendo risaltare ancora di più il verde chiaro intenso dei suoi occhi.
Senza accorgersene, restò a lungo a guardarla dipingere, a bocca aperta e col fiato sospeso per l'emozione. Quelle labbra ... così piccole, morbide e delicate ... avrebbe tanto voluto baciarle.
E quei fianchi, attendevano soltanto di essere stretti. Fu ciò che fece infatti, cogliendola di sorpresa.
Sorrise, riavendosi. Quindi si avvicinò a lei e da dietro glieli avvolse con le braccia, appoggiando il viso sulla sua spalla.
Lei sobbalzò un poco, colta alla sprovvista, e fermò all'istante il suo lavoro per guardarlo.
Sorrise a sua volta. "Stavo rischiando di sbagliare." Lo rimproverò, neanche troppo convinta. Lui ghignò, e abbassando un poco la testa posò dolcemente le labbra a baciarle l'incavo del collo, coperto appena dalla stoffa bianca della sottoveste, sentendola immediatamente rabbrividire.

<< Scusa ... >> concluse infine, tornando a guardarla per poi trascinarla in un bacio passionale sulle labbra, che tuttavia lei stavolta dovette fermare, un poco imbarazzata.

"Non qui." Lo rimproverò, dopo aver appoggiato il carboncino sul cavalletto, ponendogli un dito sulla bocca e rivolgendogli uno sguardo materno scuotendo il capo "Ci guardano tutti, e poi dobbiamo pensare ai quadri adesso."
Victor sorrise, e si arrese al rimprovero anche se un poco mal volentieri.

<< Okkey. >> rispose, scoccandole un occhiolino e lasciandola andare, dopo averle dato un bacio sulla fronte << Ma sei fredda. >> soggiunse poi, facendosi serio e premuroso << Vuoi che ti porti qualcosa di caldo? >>

Hikari ci pensò un secondo su, poi tornò a sorridere ed annuì. "Del the, grazie." Rispose.
Lui annuì, poi si tolse il soprabito e glielo mise sulle spalle, coprendola per bene e rimanendo solo con indosso il suo jeans scuro, la camicia e la sciarpa nera di seta.

<< Riposati un attimo allora. >> le disse, facendola accomodare sulla sedia apribile che avevano portato da casa, lo schienale, i braccioli e la seduta di stoffa bianca << Io vado lì e torno subito. >> la informò, indicando con il dito indice un piccolo chiosco ad appena qualche metro da loro, al momento poco affollato.

La giovane tornò a sorridere, e dopo averlo ringraziato annuì, lasciandolo andare.
Rimase lì a guardia della loro piccola bancarella, osservando rilassata e divertita la folla di persona che colmava la via e soffermandosi su qualche dettaglio o scena che la colpiva, come una particolare creazione di un artigiano vicino, un bambino particolarmente bello che beveva una bibita da una cannuccia tenendo la mano di sua madre, e individui vestiti in modo un po' particolare che sfoggiavano soddisfatti il loro look in mezzo ai propri simili, attirandosi anche qualche sorriso stranito da parte di qualcuno, inclusa lei.
C'erano anche alcuni giocolieri, che si fermarono ad esibirsi proprio a pochi passi da lei.
Mentre la folla si radunava a fissarli, lei fu talmente rapita dalla loro abilità da non accorgersi neppure che, nel frattempo, un giovane uomo poco ben intenzionato e col naso e gli occhi rossi dall'alcool la stava fissando con bramosia.
Se lo ritrovò davanti che la fissava leccandosi i baffi, e lì per lì anche se la cosa la inquietò da subito si sforzò di sorridere. "Le serve qualcosa?" disse, nel suo linguaggio dei segni, sforzandosi d'ignorare la vicinanza sempre più pericolosa e l'aberrante puzza di alcool che emanava la sua bocca.
Fu un attimo. Senza risponderle quello le afferrò per un braccio traendola a sé, e affondò la sua bocca umida contro le sue labbra, improvvisamente serrate, mentre tremante e impacciato prese a toccarla con mani febbricitanti mirate a trovare una faglia nelle sue vesti che gli permettesse di giungere direttamente al sodo.
Il cuore prese a martellarle forte in petto, assieme al disgusto e alla paura, e tentò di divincolarsi e respingerlo, ma quello tirò fuori dalla cinta un coltello e glielo puntò alla gola, minacciandola.

<< Buona o ti ammazzo! >> sibilò.

Paralizzandola dalla paura. Avrebbe voluto urlare, gridare aiuto, ma purtroppo quel suo maledetto difetto genetico non glielo permetteva. E così dovette limitarsi ad obbedire, cercando almeno di liberarsi dalla stretta che gli serrava ora entrambi i polsi. C'era quasi riuscito, quel mascalzone a raggiungere la sua intimità con le mani. Aveva trovato il modo di slacciarle la veste e stava procedendo a farlo, mentre tentava ancora una volta di affondare la lingua nelle sue labbra, quando all'improvviso fu letteralmente strappato via da lei e scaraventato a terra da potenti mani che, subito dopo, lo immobilizzarono con la schiena contro l'asfalto e lo afferrarono per il colletto, assestandogli un paio di precisi e potenti pugni sul viso che gli ruppero il setto nasale, facendolo urlare di dolore. Urla che tuttavia la gente non udì, troppo impegnata a vedere l'esibizione degli artisti di strada.
Hikari aprì gli occhi, tremante, e vide Victor sul suo aggressore, la rabbia a deformargli il viso e un piede premuto contro la mano che fino a poco prima reggeva il pugnale, ancora nel suo fodero. Trattenne il fiato, fissandoli.
Nel frattempo, anche il ragazzo aveva riaperto gli occhi ed ora si proteggeva il naso con le mani, lamentandosi per il dolore. Osaka lo strattonò con violenza costringendolo ad alzarsi, quindi rizzò in piedi agguantandolo per il collo e iniziando a stringere. L'ubriaco non riuscì a parlare, ma non appena vide i suoi occhi colmi di mako capì subito con chi aveva a che fare, e la paura s'impossesso di lui.

<< Si, sono un SOLDIER. >> sibilò allora l'ex first, minaccioso << E lei è mia moglie. Se ci riprovi di nuovo te lo stacco a morsi, chiaro? >> lo minacciò quindi, stringendo ancor di più la presa fino a farlo quasi morire per asfissia per poi lasciarlo andare, ad un suo terrorizzato cenno del capo, scaraventandolo di nuovo a terra e attendendo che si rialzasse barcollante e corresse lontano, prima di voltarsi verso di lei e raggiungerla, stringendola forte a sé come a proteggerla << Stai bene? È successo qualcosa? >> le chiese, guardandola infine negli occhi e stringendole le spalle.

E finalmente, lei fu in grado di sciogliersi e scuotere il capo, per comunicargli che per fortuna era arrivato in tempo, per poi abbandonare il viso sul suo petto forte e abbracciandolo scoppiare a piangere, in un modo che a lui spezzò il cuore.
L'avvolse con le sue braccia, coprendole il viso quasi a volerla difendere ancora una volta da altri sguardi indiscreti.

<< Shhh. >> mormorò, accarezzandole dolcemente la nuca con carezze e teneri baci << Shh, basta. È finito. Tutto finito. >>

Quindi aspettò che i singhiozzi più grossi fossero passati, e infine la fece nuovamente sedere, inginocchiandosi di fronte a lei e prendendole le mani nella sua sinistra, mentre con la destra le accarezzava piano le gote e le guance, asciugandole quelle lacrime orrende e strazianti.
"Maledetta citta!" pensò, con rabbia "Maledetto pezzo di stronzo che non sei altro! Devi solo ricapitarmi tra le mani, te lo stacco davvero a morsi! E poi ti lascio lì fino a che non muori dissanguato!"
Ma si sforzò di continuare a sorridere, mentre la vedeva sforzarsi di smettere di tremare e ritrovare la serenità. La paura era stata parecchia, e anche il disgusto. Ma non c'era stato altro, fortunatamente.
E lui sapeva come far scomparire quelle brutte sensazioni.
Si voltò a prendere il bicchiere di plastica in cui gli avevano consegnato il the, e continuando tenerle le mani glielo diede, cacciando la copertura di plastica che gl'impediva di rovesciarsi

<< Bevi. È al gelsomino. >> chiedendole poi, scoccandole un occhiolino rassicurante << Il tuo preferito, no? >>

Finalmente, un barlume di tranquillità affiorò sulle sue labbra. Annuì, ed iniziò a bere. A piccolo sorsi, mentre Victor le rimetteva il soprabito sulle spalle e continuava a farsi vedere, stringendole le mani.

<< Quando ci siamo sposati ... >> le disse << Hai detto che sarei stato il vostro guerriero, tuo e di Keiichi. Come vedi ho intenzione di diventarlo, perciò basta piangere adesso, okkey? Sei al sicuro con me. >>

"Solo con me."
Hikari lo ascoltò parlare, e chiudendo gli occhi mentre continuava a bere, cercò di sostituire il ricordo ancora fresco della brutta esperienza avuta con quello altrettanto recente di lui che interveniva a salvarla, che la stringeva e si prendeva cura di lei rassicurandola e abbracciandola, servendole il suo the preferito e tenendole le mani.
Funzionò.
E, piano piano, sentì di riuscire almeno a smettere di tremare, anche se le lacrime continuavano ad uscire dai suoi occhi dando sfogo alla paura repressa.
"Avrei voluto chiamarti." Stava per dirgli, non appena ebbe finito di bere "Ma non avevo voce."
Non fu necessario. Perché Victor, levandogli il bicchiere dalle mani e poggiandolo ad un angolo del banco, estrasse poi dalla tasca del suo jeans un fischietto di metallo dorato, legato ad una catenina dello stesso colore, e glielo mise nelle mani, sorprendendola ancora una volta.
La guardò negli occhi ancora lucidi, e con un sorriso sicuro le spiegò, calmo

<< Così, da adesso in poi potrai chiamarmi. Usalo, ogni volta che ne avrai bisogno. Ed io arriverò a salvarti, promesso. >>

Lei fissò l'oggetto tra le sue dita, incredula.
Poi, felicissima e sollevata, si alzò e cadendo in ginocchio di fronte a lui lo abbracciò forte, avvolgendogli il collo con le braccia e baciandolo intensamente sulle labbra, grata.
Colmando il cuore di entrambi.
Trascorsero ancora qualche minuto così, stretti l'una nelle braccia dell'altro. Quindi, ritrovando il suo solito sorriso Hikari si rialzò, e anche Victor la segui, tenendole le mani per poi, una volta in piedi, prendere il fischietto dalle sue e metterglielo al collo scoccandole un occhiolino.
" Grazie ... " disse lei, commossa e rincuorata.
Per risposta, Victor sorrise e le accarezzò le guance stringendole il viso tra le mani.
Occhi negli occhi, si staccarono definitivamente solo quando una voce li richiamò con un timido

<< Scusate? >>

Inducendoli a voltarsi mano nella mano.
Di fronte alla bancarella si era fermata una figura un po' strana, dall'aspetto ben curato ma leggermente androgino.
Sembrava una donna di mezza età, capelli bianchi tagliati corti e giovanili sulle orecchie e in quel momento coperti da un cappello a borsalino, bianco come l'elegante completo di giacca e pantaloni a zampa di elefante che indossava, e circondato da un nastro azzurro come la sua camicia.
Non aveva molto seno, era bassa ma elegante nella postura e nel modo di porsi. Camminava portandosi dietro un bastone da passeggio in mogano nero, col manico in argento, e ai piedi calzava un paio di mocassini beige.

<< Oh, buonasera. >> rispose Victor per primo

Ad Hikari bastò inchinarsi rispettosamente, continuando a stringersi a lui appoggiando la testa sul suo petto quando la donna riprese, con un sorriso sincero.

<< È da un po' che stavo osservando i vostri lavori e ... ho visto ciò che è successo. Mi spiace molto, davvero. A nome di tutti i cittadini onesti di Midgar. >> concludendo con un inchino e attirandosi gli sguardi dapprima sorpresi e poi riconoscenti di Victor e Hikari.

"Molte grazie davvero per la vostra solidarietà. " mimò la giovane, e Osaka tradusse aggiungendo poi, soddisfatto per aver udito quelle parole ma ancora contrariato per ciò che era successo.

<< Questa città sarebbe di sicuro un posto migliore se ci fossero più persone come lei in giro. >>
<< Già. >> sorrise la donna, pienamente concorde << Forse però non sarebbe più lei. >>

Lasciando a Osaka solo l'opportunità di rispondere semplicemente con un rassegnato e cupo.

<< Già. >> per poi infine incoraggiarla educatamente a venire al sodo, chiedendo << Allora ... c'è qualcosa che le interessa, in particolare? >>
<< Oh, sì! >> si sciolse la donna, illuminandosi << In realtà ... tutte! >> concluse entusiasta, gettando un lungo sguardo sui quadri e poi su di loro, tirando fuori dal taschino della giacca un bigliettino da visita e consegnandolo a lui.
<< Mi chiamo Claire Harper, arredatrice d'interni e critica d'arte. Trovo le vostre opere ... magnifiche. Soprattutto queste. >> disse, indicando con un dito uno dei quadri astratti di Victor, che sorrise fiero guardando Hikari.
<< Chi è l'autore? >> fu quindi la prossima domanda.
<< Quelli sono miei. >> rispose lui << E anche alcuni paesaggi. Il resto è di Hikari. >>
<< Splendidi! >> esclamò nuovamente allora la interior designer << Sembrano quasi avere vita propria. E i dettagli poi, sono cosi accurati! I miei clienti sarebbe molto felici di averli a casa propria. >>
<< Possiamo sapere ... >> soggiunse allora Victor, sempre più curioso << Chi sono i vostri clienti? >>
<< Oh. >> rispose lei << Imprenditori, uomini d'affari, o ricchi che non sanno come spendere i loro soldi. >> e d'istinto Osaka guardò verso su, dove immaginò, oltre il piatto, di vedere la cupola dell'HQ.
<< Non avrei problemi a convincerli. >> continuò nel frattempo la manager << Qualsiasi sia il prezzo che stabilite. E naturalmente vorrei acquistare anche qualcosa per me. >>

I due coniugi si guardarono, scambiandosi un rapido sguardo felice e complice.

<< Naturalmente. >> rispose infine lui, con un mezzo ghigno divertito per poi apparire più determinato e risolvere << Ma accettiamo solo pagamenti in contanti, e al momento dell'acquisto. >> consegnandole un volantino e un biglietto da visita << Se vuole vedere altre opere abbiamo appena aperto una piccola galleria. >> la informò << La aspettiamo quando vuole, siamo aperti dal lunedì al giovedì tutto il giorno, e il venerdì solo la mattina. >>
<< Oh, ma certamente. >> ribatté lei, con un sorriso infilandosi il biglietto da visita nel taschino e il volantino ripiegato più volte nella tasca destra del pantalone << Passerò domani pomeriggio, così potremo metterci d'accordo più chiaramente. >>
<< Bene. >> rispose Victor Osaka, per poi però avvisarla << Ovviamente niente foto. Dovrà accontentarsi di quelle sul dépliant. >> scuotendo le spalle con aria falsamente dispiaciuta.

La manager gli rivolse un lungo sguardo complice annuendo, lasciandogli intendere che avesse capito il senso sottointeso di quelle parole.

<< Mi accontenterò. >> risolse, per poi inchinarsi di nuovo e concludere, salutandoli con un << A domani, allora. E ... >> guardando per ultima Hikari e rivolgendole un sorriso materno e comprensivo << Chiedo scusa ancora. >>
<< Non si preoccupi. >> ribatté Victor, stringendola di più << Ci sono io a proteggerla, non ci sarà più bisogno di chiedere scusa. >>

La donna annuì, contenta e soddisfatta.

<< Non ho dubbi. >> per poi, prima di andarsene, rivolgersi ad Hikari scoccandogli un occhiolino << È molto fortunata. >> le disse

E lei, in risposta, arrossì annuendo, stampando un morbido bacio sulle labbra sorridenti del consorte.
"Lo so."

***

Il giorno dopo ...

Sephiroth.
Semplicemente così Victor aveva deciso d'intitolare il quadro nato dalla sua nuova ispirazione, e lo aveva posto in bella vista nella loro bottega, a troneggiare su tutti gli altri proprio sul retro del bancone in vecchio legno laccato della cassa.
Il giorno dopo la fiera, quando la donna che aveva incontrato mantenne la parola e venne a trovarli, fu la prima cosa che notò, dal fondo della stanza rettangolare al piano terra di un piccolo edificio che ne contava altri quattro, ad uso abitativo con ingresso sul retro.
Rimase li a fissarlo, a bocca spalancata mentre Victor scutava attento la sua espressione, con un misto di sensazioni che andavano dalla gioia alla soddisfazione più pura fino anche perfino alla paura di doverlo vendere. Perché si, lo riteneva molto personale, nonostante avesse quasi subito deciso di volersene liberare come aveva fatto con tutti gli altri.
Eppure gli sembrava di dover dare via un pezzo di sé, e sappiamo tutti molto bene quanto questo gli costasse, ogni volta.
Perciò, quando dopo un'esclamazione di meraviglia la donna iniziò a parlarne interessata, da una parte si sentì lusingato, e dall'altra credette di morire.

<< Molto evocativa, anche la scelta del nome. >> esordì, tornando a guardarlo e scoccandogli un occhiolino, aggiungendo poi, mentre rivolgeva uno sguardo anche agli altri ritratti dello stesso soggetto << Immagino non sia stata casuale. >>

Victor ghignò appena, puntando i suoi occhi uno di quelli in cui la potenza dello sguardo del suo Generale era più intensa. Quindi, scuotendo le spalle e stringendo con la mano destra quella di Hikari che gliel'aveva sfiorata, risolse quasi rassegnato

<< Diciamo pure ... ch'è uno dei soggetti che mi sta più a cuore. >>

La signora annuì, sorridendo comprensiva.

<< Capisco ... >> disse soltanto, per poi voltarsi verso la parete sinistra ad ammirare le tele macchiate di colore << E queste? >> chiese invece, mentre le osservava con occhio attento << Sembrano ... molto diverse. Hanno la stessa potenza, ma ... più devastante, quasi come quella della disperazione. Li guardi, e sembrano quasi ... macchiati di sangue. >>

Victor la ascoltò in silenzio, e si ritrovò a rabbrividire, abbassando il volto. Il suo sorriso si spense un poco, trasformandosi in una smorfia amara.

<< Riuscite a leggere davvero tutte queste cose in quelle tele? >> chiese, lanciandole uno sguardo di sottecchi << O state solo tirando a indovinare? >>

La donna gli rivolse un altro sorriso sincero, inclinando di lato la testa e aprendo appena le braccia scuotendo le spalle.

<< Bhe, ho molta esperienza con i quadri, e a volte questo mi aiuta a leggere anche nell'anima dell'artista. >> risolse, con un occhiolino

L'ex first class si sciolse di nuovo, ritrovando il suo sorriso e annuendo

<< Capisco ... >> disse soltanto, guardandola negli occhi

"Sono così facile da leggere, come libro?" si chiese, senza voler trovare una risposta.

<< Quindi ... >> riprese la donna << Cosa rappresentano? Se posso sapere. >>

Ora fu lui a scuotere le spalle, allargando le braccia.

<< Non siete andata tanto lontano dalla realtà. >> ammise << Sono un ex SOLDIER. Quelle le ho dipinte ... per sopportare gli incubi. >> concluse, abbassando di nuovo gli occhi per poi rialzarli subito dopo.

La interior designer sorrise, ed annuì più volte.

<< Capisco ... >> soggiunse << Sono molto intime, quindi. >>

Osaka sorrise e scosse il capo, scacciando l'aria con una mano.

<< Sarei disposto anche a regalarveli, pur di sbarazzarmene. >> disse
<< Oh, ma fareste male. Molto male. Non c'è una tela qui che non meriterebbe un posto in una vera esposizione. Avete davvero tanto talento, in due.
Chi vi ha insegnato? >>

A quella domanda, Victor e Hikari si rivolsero un rapido sguardo complice e un sorriso soddisfatto, stringendosi ancora di più la mano e anche arrossendo un pò.

<< In realtà ... >> rispose quindi lui, facendo cenno alla sua sposa col capo << È stata lei a mettermi il pennello in mano, non avrei mai creduto di poter arrivare a tanto.
Lei invece ha imparato tutto da sola. >> concluse, cercando conferma nel suo sorriso, che si allargò imbarazzato.

Ancora una volta la loro interlocutrice sorrise

<< Ooooh. >> concluse, rifacendosi al suo commento della sera prima << Allora siete fortunati entrambi. >>

Loro risero.

<< Molto. >> risposero in coro, quasi senza accorgersene, Victor a voce e Hikari segnando, per poi sorridere ancora di più quando se ne resero conto.

Anche Claire Harper sogghignò.

<< Allora, a questo punto direi che possiamo stabilire il prezzo? >>concluse dunque, venendo al sodo << Mi piacerebbe portare qui i miei clienti a vedere di persona, ma intanto devo avere una base per poterli 'convincere'. >>

Victor annuì, e guardò Hikari che con le mani e un cenno del capo gli lasciò carta bianca. "Fai tu. Mi fido."
Quindi sorrise, le lasciò un bacio sulla fronte, e a quel punto fu pronto per dare inizio alle trattative.

\\\

Quasi 20.000 gil, per il dipinto intitolato a Sephiroth.

Quello era il prezzo non trattabile se non in rialzo che l'artista gli dava, e quello che la critica d'arte fu disposta ad accettare, aggiungendo anzi altri cinquemila.

<< Li vale tutti, concordo. >> disse << Cercherò di convincere i miei clienti a pagare quanto più possono. >>

Per quanto riguarda gli altri invece, i prezzi dei più oscillavano dai 1.000 ai 16.000 gil, prezzi che fecero quasi venire un mancamento ad un incredula Hikari, che mai avrebbe pensato di guadagnare così tanto, con i suoi modesti lavori.
Le trattative durarono circa un'ora, Victor e Claire Harper sembravano essere d'accordo quasi su tutto, e alla fine la donna comprò anche un campione dei loro lavori, che comprendeva alcuni dei ritratti di Victor, a 450/500 gil, alcuni dei suoi paesaggi, quotati 179 gil, e sei quadri fatti da lei, pagandoli 200 gil ciascuno.
Quando alla fine la donna lasciò il negozio portandoseli via in un piccolo furgoncino bianco col marchio della sua agenzia, entrambi rimasero quasi sconcertati a guardarla, con le tasche piene e il cuore sopraffatto dalle emozioni.
Era come se avessero lasciato andare via un pezzo del loro cuore, ma alla fine entrambi non poterono che sentirsi sollevati. Non ci credevano ancora.
"Dimmi che non sto sognando." Lo supplicò speranzosa infatti Hikari, guardandolo negli occhi.
Victor sospirò pesantemente, e si sciolse in un sorriso.

<< Credo proprio di no, piccola. >> le rispose, per poi, inevitabilmente, avvicinare le labbra alle sue e lentamente trascinarla in un passionale bacio pieno di contentezza ed euforia, a cui lei risposo lasciandosi andare, e prendendogli come aveva fatto lui il viso tra le mani << E sai una cosa ... >> mormorò alla fine Victor, staccandosi a fatica e guardandola negli occhi << E' tutto merito tuo. Ci hai salvati ancora una volta. >>

Hikari sorrise, e sfiorò di nuovo le labbra del consorte con le sue, per poi staccarsi e scuotere il capo, prendendogli la mano destra nella sua. "Senza di te ..." risolse "Questa città per me sarebbe stata impossibile da vivere."
Del resto, come darle torto. La loro forza, era stare insieme.

 La loro forza, era stare insieme

\\\

Due ore dopo, Keiichi ed Erriet vennero a trovarli, e a condividere con loro la gioia di ritrovarsi le tasche piene e il negozio nuovamente semi vuoto.

<< Venerdì sera ti porto al circo, Keiichi. >> promise contento Victor, strappando al bimbo gridolini eccitati di felicità per poi prenderlo in braccio e iniziare a riempirlo di baci, facendolo volteggiare in aria.

Del resto, glielo aveva promesso.
Subito dopo Victor lasciò sua madre con loro, memore dell'incidente della sera prima e temendo che potesse ripetersi, e raggiunse il bar di fronte per ordinare caffè e qualche fetta di torta con cui avrebbero festeggiato la vendita.
Avevano appena finito, e stavano ultimando di sistemare dal retrobottega all'interno del negozio i nuovi quadri da vendere al posto di quelli appena andati via, quando il campanello posto sullo stipite della porta suonò.
E non appena alzarono gli occhi per vedere chi fosse il nuovo arrivato, l'atmosfera si fece improvvisamente più tesa.

\\\

Dal momento in cui li aveva visti insieme come famiglia per la prima volta, Tseng non aveva mai smesso di pensarci.
Odiava Victor, per lo stesso motivo per cui lo odiava anche Reno, e lo temeva esattamente per la stessa ragione per cui lo facevano anche gli altri. Ma non poteva ignorare la promessa che aveva fatto a Cissnei, e soprattutto non poteva non rimanere ... senza parole, di fronte all'incredibile cambiamento che l'ex 1st class aveva fatto, da quando la donna che amava e suo figlio erano ritornati nella sua vita.
È vero, quasi sicuramente dopo aver lasciato SOLDIER si era dato alla malavita e aveva finito per commettere anche due omicidi, e forse anche di più. Ma tutto questo svaniva, se lo guardava adesso, mentre s'impegnava a fare il padre di famiglia e il marito premuroso, mentre cercava di guadagnarsi da vivere con un lavoro onesto che non comprendesse uccidere qualcuno o armarsi fino ai denti e andare in battaglia.
Erano mesi ormai che, a parte qualche sporadica visita al mercato per commissioni tutto sommato pulite, non usciva mai la sera tardi e non si comportava più così loscamente come aveva fatto un tempo.
Il locale che usava per allenarsi era chiuso con lucchetto e abbandonato da tempo, tanto che lui e Reno avevano potuto tranquillamente farci un salto e raccogliere quanti più informazioni possibili su di lui, molte dei quali sarebbero sicuramente potute servire ad incastrarlo se solo gliene avesse dato l'opportunità.
Ma, oramai, sembrava davvero essersi redento, e non volerne più sapere di quella vita. Oppure era così bravo a nasconderla, da riuscire ad evitare perfino il controllo dei turks.
Del resto, non poteva esserne certo, ma quasi sicuramente Victor Osaka sapeva di averli alle calcagna, e forse era proprio questo il motivo che lo aveva spinto a darci un taglio.
Forse. Forse, forse.
C'erano troppi punti incerti, su quella faccenda. Proprio per questo motivo, dopo averci riflettuto a lungo, aveva deciso finalmente di uscire allo scoperto, incontrandolo faccia a faccia alla luce del sole. Da solo.
Quasi sicuramente si sarebbe dimostrato ostile, ma non era sua intenzione sottoporlo ad un interrogatorio. Voleva soltanto vederlo. Solo così, avrebbe potuto saggiare la sua sincerità, e capire quali fossero i suoi piani.

\\\

C'erano entrambi, con lui, appena entrò nel negozio.
Sia la ragazza che era diventata sua moglie, sia suo figlio. E c'era anche sua madre.
I primi due erano seduti una dietro il bancone, l'altro sulle gambe del padre, seduto anch'egli su uno sgabello alto mezzo metro appena fuori dalla copertura del banco in legno, vicino alla porta del retro bottega.
La madre di Victor invece, era in piedi vicino alla giovane nuora, e sorseggiava qualcosa di caldo in una piccola tazza di plastica.
Tutti e tre, appena lo videro varcare la soglia e capirono di chi si trattava, spensero il loro sorriso e guardarono immediatamente Victor, che aveva preso a fissarlo con un infuocato sguardo cupo, e alzandosi aveva lasciato andare suo figlio dalla madre e aveva preso ad avanzare verso di lui, fermandosi a una decina di passi da loro, al centro della stanza.
Tseng gli arrivò di fronte, quindi concentrandosi sui suoi occhi si sforzò di ignorare lo sguardo di Sephiroth in ogni dipinto lì presente e i ricordi orrendi che gli riportava alla mente, anche se non era affatto facile considerato l'impressionante fatto ch'erano praticamente identici.
Attese qualche attimo ancora, in silenzio. Poi, rompendo ogni esitazione, aprì la bocca per parlare, ma Victor lo prevenne tagliando corto e ordinandogli, minacciosamente

<< Seguimi. >> facendogli cenno col capo in direzione della porta, per poi avviarsi senza aspettare repliche.

Il wutaiano si voltò a guardare per qualche istante il resto della comitiva, rimanendo particolarmente colpito dallo sguardo coraggioso e determinato sia di Hikari che soprattutto del piccolo, che non ebbe paura di dimostrargli la preoccupazione che il vederlo gli aveva provocato, mista ad un all'apparenza immotivato istinto di sfida.

\\\

<< Cosa sei venuto a fare, qui? >>

La domanda di Victor arrivò immediata e quasi ringhiata, quando riuscirono a raggiungere il marciapiede dall'altro lato della strada, proprio di fronte al bar dove Victor aveva preso il caffè d'asporto.
Tseng, mantenendo la sua solita aria impettita, lo fissò dritto negli occhi, e finalmente poté parlare.

<< Lo sapevi da molto, che ti stavamo seguendo. >> rispose, torvo

Osaka ghignò, poi rise. Una risata perfidamente divertita, quasi sadica, per poi tornare serio a fissarlo, smorzandola all'improvviso e stringendo i pugni

<< Sono un ex SOLDIER. >> rispose << Noi siamo 'proprietà della Shinra', no? >> mantenendosi volutamente sul vago e poi provocandolo, concludendo quasi schernitore << E poi ero sicuro che il professore non si sarebbe arreso all'idea di lasciarmi in pace. >>

Il turk incassò il colpo senza dir nulla, per nulla sorpreso.

<< E sai anche che non è questo il solo motivo per cui ti stiamo dietro. >> ribatté, ardito, sostenendo lo sguardo cupo e acceso d'ira che l'altro gli rivolse in risposta, che tuttavia si trasformò quasi subito nell'ennesima smorfia minacciosamente sadica e schernitrice

<< No. >> rispose infatti Osaka, inclinando di lato la testa e mal fingendo innocenza << Perché, quale sarebbe il vero motivo? >>

Tseng lo fissò incupendosi, e sforzandosi di non dare a vedere la rabbia e il fastidio che quell'insolenza spudorata gli procurava. Di solito, provocazione del genere non lo colpivano più di tanto. Ma tutto si complicava quando Victor Osaka entrava in gioco.

<< Lo sai bene, invece. >> rispose quindi, severo << L'assassinio di uno ragazzo dei bassifondi di nome Kail, e forse anche quello di un suo conoscente che avevo scoperto tutto. Dai tabulati telefonici risulta che eravate in contatto. >> mettendolo di fronte all'evidenza dei fatti.

Nemmeno adesso tuttavia, Victor sembrò essere scalfito da quelle che erano rapidamente diventate palesi minacce. Rizzò ancora una volta la schiena, alzò altero la testa e ghignando lo fissò dall'alto in basso per poi rispondere, sicuro di sé.

<< Forse. >> rispose << Ho avuto parecchio da fare ultimamente, soprattutto nei bassifondi. >> in quella che poteva benissimo essere una parziale ammissione di colpa che Tseng fu pronto a cogliere, ma che perse tutto il suo valore quando alla fine l'ex Soldier aggiunse, con la solita strafottenza e quasi sibilando << Ma anche se fosse? Avete in mano prove concrete, per sostenere questo? O sono solo semplici supposizioni? >>

Colpito. Ma non ancora affondato.

<< Nessuno ha saputo dirci il nome dell'assassino. >> ammise il wutaiano, ripartendo però subito dopo all'attacco guardandolo negli occhi << Dicono solo che sospettano si tratti di un uomo che per un periodo ha combattuto in arene clandestine servendosi di lui come 'manager'. Era un SOLDIER, stando ai racconti. Anche molto abile. >>

Il ghigno di Victor non si spense, ansi. Incrociò le braccia sul petto, e annuendo lo schernì, quasi disinteressato.

<< Ma davvero? Che coincidenza! >> aggiungendo poi, sempre più divertito << Ma io ti ho chiesto prove, non indizi. >> per poi aggiungere, sicuro di sé << Lo avrete cercato, immagino, se siete riusciti a capire che si trattava di me ... >>

Il turk sospirò, incupendosi sempre di più e incrociando le braccia sul petto.

<< Lo abbiamo cercato, si ... ma ci hanno detto ch'è morto d'infarto, e anche da tanto. >>

Osaka annuì più volte, lanciandogli occhiate falsamente partecipi. E Tseng sentì d'iniziare ad essere stanco di subire.

<< Ad ogni modo, sappiamo dove ti nascondevi quando visitavi i bassifondi. Avevi una palestra ben fornita. >> controbatté, ma ancora una volta Victor fu un muro d'acciaio, falso e impenetrabile

<< Ti ringrazio. >> ribatté << Amo tenermi in forma come si deve. >> per poi tornare serio e, finalmente, porre fine a quella conversazione che ormai non aveva più nulla da offrire né all'uno né all'altro chiedendo, seccato e sarcastico << Hai finito di cercare di studiarmi, adesso? >> lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi.

Tseng tacque, accettando la momentanea sconfitta. La verità prima o poi sarebbe venuta a galla comunque, anche se lui era stato molto abile a nasconderla.
Adesso, era il momento dei discorsi seri. Annuì, facendosi immediatamente in allerta quando, all'improvviso, Osaka riassunse il suo aspetto minaccioso e afferrandolo per un lembo della giacca da Turk lo strattonò, riducendo la distanza fra di loro a poco più di qualche centimetro.

<< Ora lascia che sia io a darti un piccolo avviso. >> sibilò, a denti stretti guardandolo negli occhi con i suoi, felini e ora anche abbastanza intimidatori << Provate anche solo un'altra volta ad avvicinarvi a mia moglie e mio figlio, e io giuro che stavolta commetterò davvero una lunga serie di omicidi, anche abbastanza crudeli. >> per poi concludere, duro << E se per caso dovesse succedere loro qualcosa ... sarà la vostra fine. Lenta ... dolorosa ... infinita. Sono stato chiaro? >>

Il wutaiano si sforzò di rimanere impassibile, nonostante tutto. Attese, prima di rispondere, continuando coraggiosamente a sostenere lo sguardo. Fino a che Victor non lo strattonò di nuovo, chiedendogli con più veemenza.

<< Rispondimi, cagnaccio schifoso! Hai capito, sì o no? >>

Allora, fu per forza di cose costretto a concludere, col solito sangue freddo.

<< Mi limito solo ad eseguire gli ordini. >>

E a quel punto, un ghigno a metà tra disprezzo e sarcasmo si dipinse sulle labbra di Osaka, che quasi con disgusto lo lasciò violentemente andare, voltandogli le spalle e ricominciando a camminare.

<< Tsh, ma certo. Naturalmente. >> concluse, senza neanche più guardarlo << Come ogni buon segugio. >> concludendo poi, fermandosi all'improvviso e rivolgendogli uno sguardo di traverso senza più voltarsi vero di lui << Sta attento a non incappare nell'accalappia cani, allora. >>

***

Tre giorni dopo ...

Era un normale venerdì sera, normale nella sua monotonia come tutti gli altri.
Senza neanche sapere come, Cloud Strife si era ritrovato a camminare da solo per le strade dei bassifondi col vuoto nella testa e una gran voglia di guardarsi in giro, di non addormentarsi e quindi star solo, nel silenzio e nel buio.
Era annoiato. Dal freddo che pungeva, dal chiacchiericcio confuso della gente, dalle loro risate e dall'atmosfera forse anche troppo asfissiante che Tifa e i suoi compagni a volte riuscivano a creare a volte al 7th heaven.
Era uscito per svagarsi, ma forse neanche quella era stata una bella idea. Non c'era assolutamente nulla da fare, la luce quasi abbagliante dei lampioni e dei fari posti sulla cupola del quartier generale dava il mal di testa, e nemmeno una delle cose che vide riuscì ad accendergli anche un minimo d'interesse, neppure l'atmosfera del suo locale preferito o il sapore del suo drink, che comunque quella sera alla fine non era poi così buono come aveva sempre creduto.
Continuò a camminare svogliatamente, entrando e uscendo dai negozi, fermando ad esaminare qualche arma e qualche vetrina e, alla fine, pagando qualche gil per entrare all'interno del piccolo tendone di quello che doveva essere un circo di artisti di strada.
Entrò scostando un lembo di tessuto rosso anche abbastanza sgualcito con la mano destra, venendo da subito accolto dal calore quasi asfissiante in contrasto col freddo gelido della notte all'esterno e dalla luce arancio delle torce da pavimento che non ce la faceva a illuminare tutto con precisione; si fece largo tra la folla neanche tanto folta, e alla fine si ritrovò a fissare il ridicolo spettacolo di due pagliacci pasticcioni che se le davano in maniera goffa senza neanche accorgersene combinando casini assurdi e rovesciando cose. Li osservò per qualche minuto, quasi fino alla fine della loro esibizione, cercando di capire quale fosse il problema di tutta la gente che gli stava intorno e che rideva anche sguaiatamente guardandolo, e infine scuotendo il capo con sufficienza fece per andarsene, voltandosi, quando all'improvviso sempre la solita, sconcertante sensazione lo colse, facendolo rabbrividire e inducendolo ad alzare lo sguardo alla sua destra.
Lì, trovò gli occhi di Sephiroth ad attenderlo.
O meglio, quelli di Victor Osaka, così pieni di rancore e odio e così simili a quelli dell'eroe di SOLDIER, da gettarlo ancora una volta nel panico.
Trattenne il fiato, fissandoli, mentre la folla esplodeva in un applauso che lui sentì rimbombare ovattato nelle orecchie e nella testa, stordente.
E solo quando l'altro fu distratto dalle manine di un bambino che si allungarono verso di lui si rese conto di quanto, stavolta, fosse stato davvero un incontro fortuito il loro, perché l'ex first class preso alla sprovvista prese in braccio il ragazzino, lo guardò annuendo con un sorriso e poi, rivolgendo a lui un ultimo sguardo di truce sfida senza farsi vedere dal bambino gli voltò le spalle, stringendolo e coprendogli il viso con una carezza come a volerlo proteggere dai suoi occhi.
Cloud Strife osservò quasi sconcertato quella scena, improvvisamente senza più fiato.
Possibile che stavolta ... non lo stesse cercando?
E poi ... chi era quel bambino?
Spinto dalla curiosità, decise di seguirlo e si precipitò di corsa fuori dalla tenda nella direzione in cui erano scomparsi i due. Solo per ritrovarsi nel solito buio e nel silenzio.
"Un'altra trappola?" pensò, sempre più in allerta e confuso.
Con una mano sulla spada fece il giro della tenda, poi si addentrò nel vicolo che aveva visto affacciarsi in quella direzione. Ma stavolta, non trovò assolutamente nulla.
E allora, anche abbastanza contrariato, si fermò sospirando nervoso e scuotendo il capo, per poi tornarsene deluso da dove era tornato, senza riuscire a smettere di pensare a ciò che aveva visto.
"Possibile che fosse davvero lui?" si chiese "Avrò visto male.
...
Aaah, in fondo cosa importa? Tsk, meglio così. Non m'interessa saperlo.
Neanche un po'. Anzi, farò meglio a tornare indietro."

***

Davvero poco.
Stavolta, c'è mancato davvero poco così, perchè il mio io nascosto uscisse fuori davanti a Keiichi.
Maledetto Strife, ti fai vivo sempre nei momenti meno opportuni!
Ah ... ah, ma domani ...
Domani vedrai, non mi sfuggirai!
Ho in mente una sorpresina niente male, per ripagarti di questo, e non ci sarà copertura che tenga.
I pagliacci saremo noi. Anzi, eheh ... solo tu.

   
 
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