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Autore: Le_sorelle_Laclos    24/03/2017    5 recensioni
Forse, se Josephine non avesse sostenuto sua sorella Oscar, insegnandole ad ascoltare il proprio cuore e spingendola di fatto ad accettare l'amore di André, non sarebbe successo nulla di irreparabile alla famiglia Jarjayes. Ma Josephine non è pentita di ciò che ha fatto, tutt'altro: il destino della sorella minore non poteva che essere fuori da ogni schema, come sempre da quando è nata. Ma per quanto riguarda il destino della stessa Josephine? Esiste davvero anche per lei quella felicità completa che Oscar le scrive di aver trovato? E come si può sperare in un futuro felice, quando, già all'inizio del 1787, la Francia sembra destinata a scivolare inesorabilmente verso il baratro?
Dopo le Le amicizie pericolose, continua lo scambio epistolare tra Oscar "Françoise" Grandier e Josephine de Jarjayes de Liancourt.
Genere: Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Oscar François de Jarjayes, Sorelle Jarjeyes, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cara Sorella...'
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11. Oscar


Lione, 15 marzo 1787
 
 
Sorella mia amata,
 
hai sentito le nubi di tempesta all’orizzonte? Hanno imperversato per qualche giorno, impetuose, davanti ai miei occhi.
Io e André abbiamo ricevuto la tua lettera quando eravamo ancora a Hyères; ma pochi giorni dopo ne sono arrivate altre due.
Due lettere che ci hanno riempito gli occhi. È stato così strano riceverle nello stesso giro di posta, una da casa, una da Versailles. Entrambe dalle donne che sono state nostre madri.
Sembravano, in certi passi, essere state scritte dalla stessa persona, perché erano colme dello stesso dolore, della stessa gioia, degli stessi rimpianti. Ma perfino i rimproveri sembravano carezze.
 
André ha avuto per la Nonna solo parole d’amore, di scuse, di preoccupazione. E dolcemente la Nonna ha risposto, rivelando quanto, negli anni, paventasse il sentimento che cresceva con noi, segreto, inconfessato, inconfessabile; ancor più inesorabile.
Nostra Madre ha risposto a me. Ho nascosto spine nelle parole che le ho rivolto, sai; una parte di me voleva ferirla, forse punirla per tutto ciò che è accaduto in tutti questi anni sotto i suoi occhi, senza che lei lo impedisse. Se è stato un male, è stato comunque un male necessario, ormai lo sappiamo bene, ce lo siamo dette così spesso; ma è stato come sentirmi ringhiare dentro una bestia ferita, mai accolta o ascoltata. Priva di costrizioni, ormai libera, quella belva dice che sono arrivata a questo punto con le mie forze, senza fidarmi di nessuno.
Che assurdità, non è vero. Io che mi sciolgo per una carezza di André, io che ho bisogno di lui come l’aria, l’acqua, il cibo, che non so lasciarlo un istante; io che ho avuto bisogno di te per capirlo, della tua pazienza, della tua forza agghindata a leggerezza; io che mi facevo vezzeggiare da Nonna Marie anche quando sapevo che non l’avrei meritato, e mi nutrivo non solo del suo latte, ma della sua adorazione; io che ho ricevuto dai nostri genitori ben più che un abito maschile, ma l’esempio di onestà, onore, generosità con chi ci è accanto, liberalità perfino, devozione a cause più grandi di noi.
Ho diritto di nutrire rancore, o la presunzione di essere libera da ogni debito per gli errori che i miei genitori umanamente hanno compiuto?
Ho pianto leggendo le parole di nostra madre che accettava le spine dei miei rimproveri e mi donava le rose della sua felicità per me. Immaginava di vedermi sposa, volentieri avrebbe presenziato alla cerimonia; e c’era tanto dolore nella sua semplice constatazione, tanta remissività alla mia durezza di figlia, che ho provato rimorso.
 
Tu mi scrivevi, l’ultima volta, di non temere l’ira di nostro padre, perché in realtà avrebbe desiderato riaverci a casa, entrambi me e André.
Come gli somiglio, dunque. Vorrei accogliere, e respingo; vorrei dire che amo, e serro le labbra in una smorfia di durezza. André mi mostra come schiudersi ed essere trasparenti, guida la mia voce e i miei gesti, e io mi sono abbandonata del tutto ai suoi insegnamenti. Ma forse sono una pessima allieva, o forse il tempo non è ancora sufficiente per rendermi morbida e delicata com’è lui – ammesso che io lo possa diventare.
 
In ogni caso, mi sono aggrappata alle parole e all’appoggio ricevuto da tutte e tre voi, nostre care donne, e ho parlato con André dell’eventualità di incontrare il Padre. Mi aspettavo che lui non volesse lasciarmi andare; invece mi ha preso le mani nelle sue, mi ha detto: “Andiamo, dev’essere ancora a Lione, come ha scritto Josephine”.
Io non sapevo se essere più felice di quella totale fiducia che mi mostrava e di quel sorriso limpido come un’alba, o temere per lui. “Lascia che sia io a incontrarlo e a parlargli, ti prego”, gli ho detto.
“È giusto così. Ma appena tu avrai finito di parlargli, sarò io a chiedergli udienza. Vedi, anch’io ho molto da dirgli”.
Il pensiero di loro due l’uno davanti all’altro mi ha spaventata davvero. Così poca fiducia, dunque, nutro nell’autocontrollo di nostro Padre? Sarebbe davvero in grado di agire oltre le minacce, di ferire oltre le parole? Il mio volto ha bruciato spesso dei suoi schiaffi; ma non siamo più bambini, e io non so davvero se i miei timori nascano dal retaggio della mia giovinezza e delle sue punizioni, o se vi sia motivo reale per preoccuparsi tanto. In un sogno confuso, lontano, mi apparve una volta un’immagine angosciante: la spada di mio Padre pendente sul mio capo, la parola “tradimento” sulle sue labbra e il dolore nelle lacrime nei suoi occhi. E il sogno continuò ancora peggio, perché a fermarlo era André, e parandosi di fronte a me, accettava il colpo che era destinato a uccidermi.
Prendimi in giro, ti prego, per questa mia fervida, romanzesca immaginazione; non ho la tua dimestichezza con simili letture, ma ricordo bene quando le citasti.
Ad ogni modo, non potevo tacere ad André la mia preoccupazione.
“Non posso lasciarti solo con lui”, gli ho detto.
“Allora nemmeno io ti lascerò sola con lui”, ha dichiarato, con semplicità.
“Devo farlo. E poi… sono pur sempre sua figlia. Non mi accadrà niente”.
“Ne sono convinto. Ma l’amore è strano, sai; quando si è feriti può diventare facilmente odio, e far sembrare un male bene. E arrivi a ferire per non essere ferito”.
Parlava con lo sguardo di chi sa. Ho ripensato proprio al sogno che ti ho raccontato. E poi alla mia durezza con nostra madre, ai miei rimorsi e a ciò che lo stesso André mi ha confidato: che a volte, quando sentiva di impazzire di dolore, poteva perfino arrivare a immaginare la mia morte. Aveva terrore di quei sentimenti, fomentati dal vizio di bere: vi mise fine per scoraggiarli.
 
Una cosa così aggressiva, per un uomo così forte e buono. Ma nemmeno un attimo l’ho biasimato. Quando me lo ha confidato eravamo uniti in un abbraccio, senza veli e senza difese. L’anima nuda si specchiava in un’altra anima nuda, e così ho accolto quel ricordo, ormai purificato e innocuo, come la cenere di un vecchio malefico fuoco, benefica per la terra e i suoi frutti.
Così sai qualcosa che non racconterei a nessun altro, e sebbene tu finga frivolezza, so che avrai cura di questo ricordo.
 
Siamo a Lione, Josephine. So dov’è nostro Padre. Non l’ho ancora incontrato, ma siamo pronti entrambi a varcare la soglia degli acquartieramenti del suo reggimento, domani, se egli non acconsentirà a incontrarci qui, nella locanda dove siamo alloggiati. Appena manderò questa lettera a te, scriveremo un biglietto per lui, per invitarlo.
 
Nel frattempo ascoltiamo le notizie dei disordini di queste zone, e mi sono venuti in mente proprio i miei soldati, che tu hai incontrato.
Un anno fa tuonavi contro di loro, temevi la loro rozzezza e biasimavi la mia morbidezza; ed eccoti, complice di roturiers che tendono allegramente ad alzare il gomito e davanti a una dama sanno essere impacciati come ragazzini. Con l’eccezione di Alain, forse, quando non esagera e non compensa in atteggiamenti rudi il proprio disagio. Ma lo sai, il nostro… Sergente, come lo chiami tu, ha una deliziosa sorella minore. Ti assicuro che vederlo parlare con lei è come scoprire un’altra persona. La gentilezza gli è innata; ben nascosta, come si addice a un uomo su cui pendano molte responsabilità, ma viva.
E così per tutti loro. Madri, padri, sorelle, fratelli, famiglie numerose, gli affetti dei miei soldati sono la vera misura della loro umanità. Essi soffrono fame e privazioni con un sorriso inconfondibile, quello del sacrificio. Per questo, forse, André si trovava così bene tra loro, e li ripensa con affetto. Per questo hanno saputo conquistare il mio cuore aristocratico.
D’altronde, tu ami i divertimenti da borghesia, non è così? Mi ricordo un certo ballo di sellai che mi descrivesti minutamente in quel di Bruxelles, durante il viaggio che facesti l’anno scorso con nostra nipote Loulou e nostra sorella Hortense, presso Mme Fleury. Quanto mi arrabbiai, allora. Ti rimproveravo in cuor mio l’avermi abbandonata nel turbine dei miei dolori; e non capivo quanto potesse essere importante, per te, trovare ristoro nei divertimenti. Anche tu soffrivi per amore. Il mio egoismo non mi permetteva di comprenderlo, e la tua gentilezza non me lo faceva intendere. Non ti sei mai appoggiata a me, anzi, quando ti ho chiesto di lasciare quello stolto di un Hulin, hai fatto in modo che tutto apparisse come tua idea, alla fine, a seguito di indagini, controlli, conferme. Immagino che come consigliera in materia amorosa ti sembrassi opportuna come una nevicata in agosto; ma mi prendo un piccolo merito, l’aver saputo, almeno in quell’occasione, offrirti un buon consiglio. Con la spada, lo ricorderai, me la sono cavata discretamente meglio per aiutarti contro il pericolo che era diventato tuo marito.
Dunque, e ti sembrerà forse la cosa più inaudita delle mie lettere, ti invito a seguire il divertimento. Ovviamente hai ragione, non credo sia salutare far sorgere voci malevole sulla tua pudicizia (certe cose, nel nostro mondo, è meglio che accadano dietro i paraventi e mai alla luce), o incoraggiare qualcuno di quei ragazzi a sentirsi blandito; ma ti ricordi, invitai i miei soldati alla mia festa di fidanzamento mancato; perché non trovare posto anche per loro, dunque, nei tuoi ricevimenti, se non ti sembrerà una sfida troppo grande per la nostra famiglia?
O è un consiglio bislacco, con cui ti chiedo ti aprire un chiavistello con una fucilata?
Oppure potresti aprire il tuo salotto, come molte illustri dame di Parigi; i miei soldati non sono dei letterati, ma amano interessarsi di politica, e forse potresti invitare anche Bernard e Rosalie Chatelet, così avrai occasione di conoscere il primo e il piacere di rivedere la seconda.
E in tutto ciò, avrai misura concreta di ciò che si muove nelle menti di tutti, e che sfocia nelle presenti rivolte.
 
Adesso basta, mi ritiro dai miei consigli. Ho tergiversato, ma è il momento di scrivere quel biglietto. Sappi che mi sento come se ti avessi appena parlato, alleggerita e confortata; pronta a rendere all’uomo che mi ha cresciuta ciò che ha creato.
Tua
 
Oscar Françoise Grandier
 
 
 
   
 
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