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Autore: xzaynsmouthx    28/03/2017    0 recensioni
Una donna di mezza età rievoca alla memoria gli avvenimenti più importanti che accaddero nei suoi trent'anni. Una donna qualsiasi, innamorata dell'amore, che vive difficoltà qualsiasi tra lavoro, uomini e amiche. Una donna che ha tanta voglia di crescere e sembra non riuscirci mai. La storia di un'esasperante e divertente ricerca dell'amore, piena di contraddizioni, che la porterà a maturare e fare pace col passato, con l'adolescenza di cui è tanto nostalgica.
Dal testo:
Immaginate una donna di quasi trent'anni con un bicchiere di spumante in una mano, la pochette nell'altra, strizzata in un abito beige, che si guarda spasmodicamente intorno alla ricerca di qualche uomo della sua età di cui innamorarsi con un uccello viola in testa.
A chi, come la protagonista, è così importante da non rendersene conto.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO VIII



Alla fine optammo per un pub a Soho, all’interno c’era un lezzo non indifferente proveniente dalla cucina. Questo non sembrò sconfortare per nulla Sophie, che, per qualche strano motivo, sembrava sentirsi perfettamente a suo agio. Sembrava che quel posto fosse fermo agli anni 70’: la carta da parati, i tavoli, il menù, le panche, tutto, persino il proprietario: Oliver, un cinquantenne baffuto e panciuto, accogliente e affabile, che, nonostante le forme generose, non aveva rinunciato ai pantaloni a zampa. E mentre Soph parlava con la moglie di Oliver, la cuoca, nonché autrice di chissà quali porcherie dietro quel bancone, di quanto fosse triste e ubriaca decisi che era in buone mani e raggiunsi il piano inferiore per andare alla toilette. Il piano inferiore era sostanzialmente una stanza illuminata da una flebile luce bluastra, da una parte c’era una logora porticina con soscritto “WC” e dall’altra un ammasso di vinili e Cd. Non appena fui più vicina al mucchio notai che erano molti di più di quanti immaginassi, c’era di tutto e mi accovacciai per vedere meglio. Quel gesto mi ricordò quando da bambina facevo più o meno la stessa cosa con i dischi di mio padre: lui mi diceva di scegliere quello con la copertina più bella e colorata e poi le note del prescelto si disperdevano per casa arrivando al piano superiore dove mamma correggeva i compiti dei propri alunni o copriva il rumore della televisione, della lavatrice o della lavastoviglie, la musica avvolgeva la casa in una dolce nuvola che sapeva di felicità e allora papà mi stringeva fra le sue braccia dicendo di amarmi. Ma questo era tanto tempo fa, quando dovevo nascondere a mio padre di star frequentando qualcuno e ora, invece, facevo fatica a dirgli di non essermi ancora fatta ingravidare o aver accettato la proposta del primo coglione di turno. – Ah, ti facevo proprio tipa da Oasis ... – Che? – risposi ancora sovrappensiero, fra le mani reggevo Definitely Maybe, la cui copertina dai toni giallastri doveva aver attirato la mia attenzione. Mi girai per scoprire chi fosse il mio interlocutore e che intenzioni avesse soprattutto, la luce bluastra non mi aiutò né a rendere più facile il riconoscimento né a smorzare l’ansia crescente in me all’idea che ero in un sottoscala, al buio, con un tipo che avrebbe potuto essere chiunque, ma non appena si abbassò alla mia altezza inginocchiandosi le nostre labbra quasi si sfiorarono e riconobbi quegli occhi color della pece. E in un solo colpo fu come ritornare ad avere diciassette anni e vedere che il compagno di classe sul quale ti eri ricreduta atteggiandoti a donna ormai matura e che avevi giudicato un semplice stronzo, ma che in realtà speravi tornasse da te, era finalmente tornato. O il primo bacio, la prima volta, tutte cose che mi avevano tolto il fiato, che mi avevano fatto tremare le gambe e arrossire esattamente come in quel momento. Ma sorrisi, nonostante potessi sembrare alquanto ridicola, come una bimba che ha appena ricevuto un regalo e lui mi sorrise di rimando. – Che ci fai qui? – chiese – Io ... sono venuta con Soph e poi mi sono distratta ... insomma, guarda qua, è impossibile non farlo! – Marlon ridacchiò guardando la mia espressione estasiata mentre indicavo il mucchio di dischi che ci circondava. – Pff, questo non è niente. – Non sarà niente per il figlio di Keith Richards, per me è tanto. Perché li tengono qui? – Non interessano più a nessuno, la gente li da a Oliver quando non sa più cosa farne. – E tu che ne sai? – Ho vissuto qui vicino e questo è un posto tranquillo per gustarsi una semplice birra, non trovi? – Si, comunque ... perché sei a Londra? – Mi ero stancato di stare lì. – E Melissa? – L’ultima volta che io e te ci siamo visti è stato quasi due mesi fa e pensavamo di non vederci mai più, ora ci incontriamo per caso e tu chiedi di Melissa? – annuii. – L’ho cacciata via, mi aveva stancato anche lei. – rispose Marlon sbuffando. – E il matrimonio? – Ehm ... Alla fine la sposa lo ha rimandato e poi ancora e ancora. E’ tra due giorni fino a prova contraria. – mi portai una mano alla bocca in modo da coprire il ghigno soddisfatto che si era creato sul mio volto. – Sei con qualcuno? – chiese lui portandosi una sigaretta alla bocca. – Ne hai una per me? – Tipa da sigarette e Oasis. – risi con lui e continuammo a punzecchiarci per un po’ finché l’immagine di una Soph ubriaca e sola al piano superiore mi venne in mente improvvisamente. – Soph! – esclamai d’un tratto, lui sobbalzò quasi, data l’enfasi con la quale pronunciai il nome della mia migliore amica. – Che c’è? – chiese stranito, ma io ero già diretta al piano superiore, dove trovai fortunatamente Soph che dormiva su una panca e il locale semivuoto. Marlon mi raggiunse e quando fu alle mie spalle disse: – Posso aiutarti con lei? – Te ne sarei grata. – Non potrei mai lasciarti andare via così, è notte fonda e se ti succedesse qualcosa non potrei più godermi incontri simili. – gongolò. Marlon si caricò Sophie in spalla e si incamminò verso l’uscita voltandosi talvolta per controllare se lo stessi ancora seguendo. Sistemammo non con poca fatica Soph sui sedili posteriori di quella scatoletta di latta; partimmo poco dopo, Londra sembrava un minestrone di colori: rosso, giallo, arancione. Colori felici che si stagliavano nella buia notte, e allora perché avevo improvvisamente avvertito una sensazione di nausea e continuavo a torturarmi le mani? Marlon era lì, perché non ero felice? Ma poi notai che inconsciamente sapevo che tutto ciò sarebbe durato ben poco, come un bel sogno, una notte, una manciata di ore e poi addio. – Dovresti dirmi dove abita. – indicò Sophie con un leggero cenno del capo. – Camden, non molto lontano da me. – Come mai questo silenzio? – Che t’importa? – il mio tono stavolta non era sarcastico, era acido, tagliente. Quel silenzio che seguì era assordante e non appena giungemmo al capolinea mi gettai letteralmente al di fuori di quel trabiccolo infernale, svegliai Sophie la quale salutò Marlon che intanto era ancora in macchina e l’accompagnai fin sotto casa, poiché dubito avrebbe potuto reggersi in piedi da sola e addirittura essere nelle condizioni di varcare la soglia del portone senza alcun appiglio. Quando fu dentro ed ebbe chiuso la porta alle sue spalle salutandomi con voce flebile ma riconoscente rimasi immobile, non volevo tornare indietro, non volevo tornare alla macchina. Di malavoglia vi feci ritorno lo stesso. – Cos’hai posso saperlo? – Che diritto avresti di saperlo? – Nessuno, a non mi sembrava che per noi questo fosse un problema. – Io ... è finito il periodo della mia vita in cui posso permettermi di comportarmi così. – Così come? – Come se non avessi responsabilità, anche solo nei confronti di me stessa. – sospirò profondamente rimettendo in moto. – Sei felice di avermi incontrato? – Che domanda è? – La smetti di rispondere alle domande con altre domande? – Allora fallo anche tu. – Dove abiti? – Tranquillo va' pure a casa tua, poi torno da sola. – Sola? Nella buia notte londinese? – Sarò in macchina. – Hai il coraggio di chiamarla macchina questa? – rido, sembra un’eternità dall’ultima volta che ho riso e invece sarà passata un’ora o giù di lì. – Io volevo stare con te. – Non voglio farti salire a casa mia. – Perché mai? – Non voglio venire a letto con te. – sputo senza pensare, l’ho detto davvero? Ecco, brava l’imbecille. Arrossisco e mi porto istintivamente una mano alla bocca come e volessi ricacciare dentro quelle parole, inghiottirle di nuovo. – Non devi necessariamente. Angie, voglio passare del tempo con te, non mi importa come lo impieghiamo. – Inarco un sopracciglio, non si è scomposto minimamente sentendo la mia affermazione, sembra sincero. – D’accordo, gira a destra fra poco. – 

Eccomi, questi sono capitoli orribili a mio avviso, ma i miei preferiti stanno per arrivare. 
Oggi ne posterò vari non sapendo quando ne potrò pubblicare altri.
 

 
  
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