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Autore: Sophja99    01/05/2017    4 recensioni
Sono ormai passati milioni di anni dal Ragnarok, la terribile sciagura che ha provocato la morte di quasi tutti gli dei e le specie viventi e la distruzione del mondo, seguita dalla sua rinascita. Grazie all'unica coppia di superstiti, Lìf e Lìfprasil, la razza umana ha ripreso a popolare la nuova terra. L'umanità ha proseguito nella sua evoluzione e nelle sue scoperte senza l'intercessione dei pochi dei scampati alla catastrofe, da quando questi decisero di tagliare ogni contatto con gli umani e vivere pacificamente ad Asgard. Con il trascorrerere del tempo gli dei, il Ragnarok e tutto ciò ad essi collegato divennero leggenda e furono quasi dimenticati. Villaggi vennero costruiti, regni fondati e gli uomini continuarono il loro cammino nell'abbandono totale.
È in questo mondo ostile e feroce che cresce e lotta per la sopravvivenza Silye Dahl, abile e indipendente ladra. A diciassette anni ha già perso entrambi i genitori e la speranza di avere una vita meno dura e solitaria della sua. Eppure, basta un giorno e un brusco incontro per mettere in discussione ogni sua certezza e farle credere che forse il suo ruolo nel mondo non è solo quello di una semplice ladruncola.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo trenta

Sangue


Silye si svegliò non appena le prime luci dell'alba si infiltrarono nella casupola attraverso l'unica piccola finestra che vi era. Si stropicciò gli occhi e fece per stiracchiarsi, quando qualcosa si mosse accanto a lei, alzandosi ed allontanandosi. Úlfur doveva essere rimasto accocolato accanto a lei durante la notte ed ora lei l'aveva svegliato di soprassalto con i suoi movimenti improvvisi, per quanto lenti. Sollevò la testa dal giaciglio per guardarsi intorno: nessun segno di Vidar. Voleva davvero sapere cosa faceva tutto quel tempo fuori, lontano da lei. Pensò che forse era proprio quello il motivo per cui dalla mattina precedente non faceva altro che evitarla: non la voleva tra i piedi.

Vidar almeno poteva essere certo che lei ricambiasse quel suo desiderio. Nonostante lui si fosse scusato ben due volte con lei, Silye non riusciva proprio a perdonarlo. Le offese che le aveva rivolto, sebbene dettate dall'ira del momento, le bruciavano ancora sulla pelle e lei non sopportava l'idea che qualcuno potesse trattarla così e passarla liscia come se non fosse accaduto nulla.

Si tirò dietro le spalle l'ingombrante massa di ricci rossi e si alzò in piedi. Con sua sorpresa vide che il fuoco, che si era spento la sera precedente, ora scoppiettava nel camino e che di fronte vi era poggiato a terra il catino che solitamente usava per lavarsi. A fare tutto ciò non poteva essere stato nessun'altro oltre Vidar. Si chiese perché tutto a un tratto la stesse ricoprendo di quelle piccole premure. Allungò un dito per toccare l'acqua: era calda.

Da una parte era indecisa se cogliere l'opportunità e farsi un bagno, di cui aveva un grande bisogno, ma dall'altra temeva anche che Vidar, non avvertito del fatto che lei si stesse lavando, rientrasse e la vedesse nuda. Il pensiero di una scena simile la faceva rabbrividire dall'imbarazzo, ma l'acqua bollente era troppo invitante per non entrare, tanto che le fece superare il pudore. Si era abituata a lavarsi ad una temperatura a metà tra il ghiacciato e il tiepido e non si era mai curata di scaldare l'acqua fino a quel punto. Dopo l'esperienza da Hel, tuttavia, sentiva l'impellente bisogno di togliersi di dosso il freddo che la dea le aveva lasciato, oltre che lo sporco e quel poco di sangue uscito dalle ferite che ancora non era riuscita a lavare via.

Iniziò a spogliarsi, continuando a guardare guardinga la porta; quindi si infilò svelta nella bacinella, beandosi della sensazione di calore che l'acqua le stava offrendo. Piegò le gambe in modo da immergere anche la testa e l'enorme quantità di capelli che si portava dietro, che presero a galleggiare intorno al suo viso. Cercò di godersi al massimo quel momento di pace e piacevole calore, che le ristorava le membra e la rilassava, distendendole i nervi.

Si trattenne nell'acqua per diversi minuti, lasciando che questa le lavasse via lo sporco e, almeno per quel breve tempo, ogni pensiero che le dava preoccupazione, confusione e rabbia. Si sentì come se tutto ciò che di negativo le passava per la testa fosse stato espulso da lei.

Quando riemerse dall'acqua e riaprì gli occhi, tuttavia, vide l'acqua di un colore diverso da quello naturale: era rossa, come il sangue. Iniziò a boccheggiare, quasi fosse alla ricerca dell'aria che le mancava per la sorpresa, tirandosi subito su a sedere. Quando alzò le mani dall'acqua si accorse che anch'esse erano rosse, come ogni parte del corpo che fino a quel momento era stata sommersa, ed emanavano un forte sentore di sangue, lo stesso che permeava l'Helheimr. Quello, tuttavia, non era l'unico dettaglio inquietante: le braccia, così come le gambe, erano ricoperte di graffi da cui fuoriuscivano grandi fiotti di sangue.

Sangue... sentì una voce debole, poco più di un mormorio che le sibillava nella mente.

Avrebbe voluto urlare, ma riuscì a reprimere a fatica l'istinto.

Sangue sarà versato... continuò la voce, mentre più sussurri si ammassavano uno sopra l'altro, intontendola e costringendola a portarsi le mani alle orecchie pur di farli smettere, anche se sapeva che era una mossa inutile. Nonostante la confusione prodotta dall'insieme di voci, si rese conto che tutte dicevano la stessa parola: sangue.

Strizzò gli occhi, fin quando le voci non si quietarono all'improvviso. Abbassò le mani e, quando si strofinò con forza gli occhi, si accorse che il sangue era scomparso. L'acqua era tornata al suo colore originale e trasparente, così come la pelle al suo rosa naturale e tutti i tagli si erano dissolti. Iniziò a chiedersi se non si fosse sognata tutto e se non stesse diventando pazza. O forse era una visione pensò, rabbrividendo il momento dopo. Se così era, allora significava che le allucinazioni stavano diventando sempre più reali e tangenti, invadendo con maggiore irruenza la sua vita quotidiana. Doveva a tutti i costi imparare a controllarle o sarebbero arrivate a disturbarla in qualsiasi momento della giornata.

Ancora scossa da quello strano presagio, Silye uscì dal catino e afferrò un panno che Vidar le aveva lasciato sulla sedia, usandolo per asciugarsi. Quindi si rivestì in fretta, con il costante timore che il dio potesse rientrare quando meno se lo aspettava, cogliendola nuda e di sopresa. Quando ebbe finito, si intrecciò i capelli bagnati in una lunga treccia, cercando di controllare il fremito alle mani tenendole occupate in quei movimenti lenti e meccanici. Per quanto tentasse di convicersi che quella era stata solo una visione come un'altra, non poteva nascondere quanto questa l'avesse profondamente agitata.

Si passò una mano sulla fronte, come a scacciare quei cupi pensieri, e si affrettò a scaldare sul fuoco gli avanzi della sera prima. In realtà si era svegliata senza molta fame, e la poca che le era venuta nel corso della mattina era stata scacciata dalla visione ripugnante e inquietante del sangue.

Sentì la porta aprirsi dietro di sé e si voltò subito a guardare, nonostante avesse già chiaro in mente chi fosse entrato. «Vidar» lo chiamò, poiché l'altro teneva la testa bassa e i ricci che gli ricadevano sul viso lasciavano intravedere ben poco. «Buongiorno.»

Lui si scostò i capelli biondi dal volto e, quando alzò la testa per guardarla, Silye notò due lunghe ed evidenti occhiaie che facevano da contorno agli occhi evidentemente stanchi.

«Dormito poco?»

«Mi sono esercitato tutta la notte» disse lui, con voce innaturalmente bassa. «Non mi sono neanche avvicinato al letto. Se così si può chiamare l'angolo di pavimento che mi hai lasciato.»

«Oltre che esausto, mi sembri anche piuttosto nervoso» commentò Silye, mettendo su un piatto una delle cosce dell'uccello, le uniche parti rimaste dalla sera prima. Lo appoggiò sul tavolo e Vidar vi si sedette subito davanti, afferrando la carne e facendo per mangiarla. «Quella era mia!»

«Che differenza c'è tra una e l'altra coscia?» domandò il dio, già con i denti affondati nella carne dell'uccello.

La ladra sbuffò, tanto rumorosamente da far girare Vidar verso di lei.

«Che ti prende?» chiese lui a bocca piena. «Oggi non mi sembra di essere l'unico irritato qui dentro.»

«Nulla» rispose la ragazza. Ovviamente stava mentendo: la visione di quella mattina le aveva lasciato un gelo dentro che nemmeno l'acqua calda era riuscito a lavare via. Fino ad allora si era sempre sentita al sicuro dentro la sua casa; per lei rappresentava il rifugio in cui rintanarsi quando non si sentiva accettata dal resto del mondo e cercava protezione. Un tempo tutto ciò per lei era stato suo padre Arild; la sua morte, però, l'aveva lasciata del tutto spaesata, oltre che addolorata. Da quando lui non c'era più, nella sua vita si era creato un vuoto che solo con estrema fatica e tempo era riuscita a risanare, e ancora non completamente.

Ma ora, con quella fulminea e tangente visione, aveva capito che i pericoli in cui era stata trascinata da Vidar e dal suo destino si annidavano anche nella sua stessa casa: non era più al sicuro da nessuna parte.

«Mi sembri più pensierosa del solito.»

Silye liquidò la faccenda e agitò la mano come a spazzare via quei pensieri e l'argomento. Mise l'altra coscia su un piatto, stavolta destinato davvero a lei, e si andò a sedere davanti a Vidar. «In cosa ti sei esercitato stanotte?»

«A combattere, dato che ora sarà più difficile proteggere te e me stesso senza la mia lancia. Ancora non riesco a credere che Gungnir sia tra le mani di quella schifosa tík¹.»

Silye si soffermò a guardarlo mentre era impegnato a spolpare l'osso. Capì che quel suo atteggiamento era un modo per mostrarsi quasi disinteressato all'argomento e per nascondere ciò che davvero provava. Lei lo sapeva bene, perché anche lei ricorreva spesso a quella tattica. «Capisco come ti senti. La rabbia e il dolore per la morte di un genitore sono emozioni che faticano ad estinguersi e placarsi, ma non devi lasciare che prendano possesso della tua mente. Non puoi permettere loro di prevalere sulla razionalità. Ricorda che anch'io ho affrontato la perdita di mia madre e mio padre e conosco fin troppo bene ciò che si prova.»

«Tu non sai un bel niente» sussurrò Vidar, lasciando ricadere l'osso sul piatto. Non c'era disprezzo o crudeltà nella sua voce: solo rassegnazione e una malcelata sofferenza.

«Potrei dire lo stesso di te» ribatté Silye, non avendo alcuna intenzione di lasciar cadere quel discorso nel vuoto. «Durante il nostro primo incontro non mi conoscevi affatto e ti sei messo a sputare sentenze su di me e su ciò che faccio per vivere.»

«Tu mi hai minacciato con un pugnale» ribatté Vidar. «Tra l'altro non è un grande metodo per uccidere un dio, dato che probabilmente la lama non mi avrebbe nemmeno scalfito.»

«Beh, prova a metterti nei miei panni. Tu cosa avresti fatto in una simile situazione?»

«Probabilmente ti avrei trattata con gentilezza e ti avrei accolta nella topaia in cui vivo.»

«Naturalmente. Sai, non credo proprio che ti saresti comportato in quel modo, soprattutto dopo aver visto come tratti gli sconosciuti, come, per fare un esempio, le viverne dell'Helheimr.»

«Se mi fossi comportato diversamente allora, tu ora con ogni probabilità saresti morta e in questo momento il tuo cadavere starebbe marcendo nella reggia della tík.»

«Grazie mille, mi è passata la fame» disse Silye, appoggiando la carne, di cui aveva preso solo pochi bocconi. In realtà il riferimento alla morte le aveva fatto tornare in mente l'acqua del catino trasformatasi in sangue.

Vidar fece una smorfia. «Se proprio non ti va più, lo prendo io. Altrimenti andrebbe sprecato.»

«Fai pure.» Silye diede una spinta al piatto, che venne prontamente afferrato dal dio prima che cadesse dal tavolo e si frantumasse.

Per risparmiarsi la vista nauseante del cibo nella bocca di Vidar, la ladra si alzò dal tavolo e, preso l'arco e le freccie, uscì dalla casa per concedersi un'ultima battuta di caccia prima della partenza, giusto per assicurarsi qualcosa da mettere sotto i denti quella sera. L'arto ferito non le avrebbe certo facilitato i movimenti, ma necessitava al più presto qualcosa con cui svagare la mente e solo la calma della foresta e l'eccitazione della caccia avrebbero allontanato la visione dalla sua testa.


Quella sera cenarono in silenzio. Sarebbe stato saggio parlare del viaggio che avrebbero dovuto affrontare, decidere la strada da percorrere e stimare il tempo che avrebbero impiegato, ma in quel momento non aveva alcuna voglia di parlare e prevedibilmente discutere con lui. Tanto alla fine lui avrebbe fatto come gli pareva; semmai in seguito si fosse accorta che qualcosa non andava o non era fattibile, glielo avrebbe reso noto. Quelle poche ore che aveva a disposizione, però, voleva passarle tutte con Úlfur. In seguito avrebbe avuto fin troppo tempo da trascorrere insieme a Vidar, suo malgrado.

Non provava più per lui vero e proprio disprezzo, come era stato quando lo aveva conosciuto e durante la loro ultima lite, poiché aveva capito che gran parte delle parole che le aveva rivolto e il comportamento che teneva con lei era dovuto a dei suoi particolari e tristi ricordi. Eppure, non riusciva ancora a fidarsi del dio, forse a causa dei suoi continui cambiamenti d'umore, che rendevano difficile e instabile il loro rapporto. Per questo preferiva semplicemente evitarlo e limitare le possibilità di litigi infruttuosi e inutili.

Conclusa la cena, Vidar uscì, forse per andare a preparare Sleipnir, mentre Silye rimase in casa per riporre nella sacca gli oggetti che le sarebbero potuti servire durante il viaggio e per salutare il cane. Prese qualche vestito, giusto per essere sicura di avere dietro dei ricambi per ogni evenienza, e il suo pugnale, di cui tanto aveva sentito la mancanza durante la terribile esperienza nell'Helheimr. A malincuore dovette lasciare abbandonati nella casupola il suo arco e le frecce, poiché sarebbero stati solo un impiccio nel cammino.

Strinse forte a sé il cane, accarezzando il suo morbido pelo grigio.

«Stai pur certo che ci rivedremo molto presto» gli assicurò, lasciandolo e rialzandosi.

Afferrò la sacca e se la mise in spalla, mentre usciva fuori. Quando accostò dietro di sé la porta, in modo che Úlfur nei giorni di sua assenza potesse uscire e rientrare come preferiva dalla casa, vide Vidar intento a legarsi sulla spalla a mo' di sacca la bisaccia che prima era attaccata alla sella di Sleipnir.

«Non andiamo a cavallo?» domandò Silye, stupita perché non vedeva Sleipnir da nessuna parte.

Vidar interruppe per qualche secondo il lavoro di legare le cinghie della borsa, la guardò e scoppiò a ridere. «Ovviamente no. Non credi che un cavallo a otto gambe desterebbe non poca incredulità tra la gente?»

«Non può magicamente portarci fino al palazzo del Konungr, come abbiamo fatto per arrivare da Hel?»

«Funziona solo per passare da un regno all'altro. All'interno dei singoli mondi, Sleipnir è come un cavallo normale.»

«E se evitassimo i villaggi?»

«Per prima cosa non abbiamo abbastanza viveri per coprire l'intero viaggio. E poi non dobbiamo dare nell'occhio, né possiamo rischiare di incontrare casualmente qualcuno, pur passando per i boschi. Se la tua visione è veritiera...»

«Lo è» ribatté Silye, interrompendolo.

«Dati i precedenti, sarebbe meglio usare se. Perciò, ripeto, se la visione è veritiera, Hel e il Konungr devono aver stretto una sorta di patto, il che significa che non esiteranno a contattarsi tra loro e aiutarsi a vicenda. È altamente probabile che Hel abbia già avvertito il re della nostra fuga e useranno tutti i loro mezzi per trovarci, ovunque ci troviamo. Dobbiamo evitare di farci notare. Un punto a nostro favore potrebbe essere il fatto che, con l'intervento di Baldr, Hel potrebbe aver pensato che fossimo andati ad Asgard dagli altri dei.»

«Speriamo di avere almeno questo vantaggio» rifletté Silye, convinta dalle parole di Vidar.

Quando Vidar ebbe terminato di armeggiare con la bisaccia, sollevò lo sguardo su di lei, osservandolo con sguardo severo e attento. «Non dobbiamo destare sospetti.»

«L'hai già detto. Ho capito» ribadì Silye, incrociando le braccia sul petto.

«Voglio che la cosa sia chiara» si avvicinò di qualche passo a lei. «Non fare cose indicibilmente stupide, come hai fatto l'ultima volta al villaggio di Vél. Niente furti, niente liti con gli abitanti o altro che possa attirare attenzione indiscreta su di noi.»

«Guarda che quello che ha litigato con l'usuraio del villaggio sei stato tu, non io» disse Silye, accennando un sorriso, più derisorio che puramente divertito.

«Silye, sto parlando sul serio» affermò il dio, ma con un tono di voce leggermente più dolce. «Il viaggio potrebbe rivelarsi molto pericoloso se Hel si mette in mezzo e non voglio rischiare o avere nulla di cui preoccuparmi.»

«Va bene» ripeté la ragazza, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi. «E Sleipnir dove rimarrà?»

«Qui. Gli ho lasciato un po' della mia scorta di cibo, ma non dovrebbe avere problemi. Grazie alle rune, ha una resistenza alla fame e alla sete superiore al normale.»

«Bene, allora direi di metterci in cammino» disse Silye, guardando in direzione del sole in procinto di svanire tra gli alberi e le montagne.



¹ Termine norreno dal significato di “cagna”.

   
 
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