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Autore: Mikirise    26/07/2017    3 recensioni
La storia del soldatino di piombo non va mai a finire bene, non importa quante volte Kate la legga.
[Clintasha] [Modern!au]
Genere: Angst, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Maria Hill, Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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C'erano una volta venticinque soldatini di piombo, con le uniformi rosse fiammeggianti, i loro fucili tirati all'insù e gli stivaletti alti, con i cappelli sulle testoline e le mani ferme. Ventiquattro soldatini di piombo, perfetti, impeccabili. Ventiquattro più uno, il quale, essendo stato costruito con lo stagno che avanzava da quello dei suoi fratelli, mancava di una gamba. Questo non lo rendeva meno soldatino di piombo di quanto non fossero i suoi altri ventiquattro fratelli. Lo rendeva soltanto speciale. Diverso. I venticinque soldatini di piombo vennero regalati per Natale ad un bambino, che li scartò nello stesso momento in cui la sorella scartò il suo regalo, un castello di carta, con all'interno una ballerina. Entrambi i bambini amarono profondamente i loro regali e ci giocarono tutti i giorni per tutto il giorno, per poi, la notte riporre i loro rispettivi giochi, lui sul tavolo, lei sul comodino accanto alla finestra. La notte era anche il momento della giornata in cui i giocattoli potevano muoversi liberamente, e parlare tra loro, ed avere quella che tutti definiscono vita propria. Il soldatino di piombo senza gamba, però, rimaneva tutta la notte sull'attenti, in attesa che il sole sorgesse, solo, leale al suo dovere. O forse con troppa paura per poter muoversi ed interagire con gli altri giocattoli nella stanza. Si era sempre sentito diverso, solo, e il punto in cui il bambino li riponeva tutte le notti, dava una visuale perfetta sulla finestra della stanza, sulla luna che cresceva e decresceva, sul mondo che brillava e non si zittiva. Ed è così che un giorno il suo sguardo cadde accanto alla finestra, è così che vide la ballerina di carta. Una ballerina che danzava tutta la notte, sulla punta di un piede e con una gamba talmente in alto da sembrare che potesse scomparire dietro la sua testa dai capelli raccolti in un ordinato e preciso chignon. Il soldatino di piombo non seppe quando successe, ma smise di guardare oltre la finestra. Il suo sguardo si spostava sempre più frequentemente sulla ballerina, che danzava, danzava, continuava a danzare, immersa nel suo mondo, una giravolta alla volta. Non seppe quando successe, ma iniziò a pensare che forse lei era diversa, come lui. Non seppe quando successe, ma s'innamorò.




Clint si era morso il labbro, pentendosene immediatamente. Sta qua, me ne occupo io. Allora si era passato il pollice sul naso ed aveva arricciato le labbra e chiuso gli occhi, cercando di non farsi scappare un'imprecazione, perché, davvero, faceva male tutto e non era possibile toccarsi un centimetro della faccia senza sentire un dolore lancinante che lo colpiva per tutto il corpo e che gli faceva voler arricciarsi per terra e morire seduta stante. Il che vuol dire che stava più che bene. Ovviamente. Tutto bene. Lo aveva ripetuto a Phil. Lo aveva ripetuto a se stesso e in quel momento si ritrovava davanti a quello stupido ufficio del preside, aspettando che Phil uscisse, mentre sentiva parole fuori contesto e l'unica soluzione che trovava per sfuggire a quella situazione era prendere i soldi e scappare. Per mettere in chiaro quanto la forza delle parole e dell'autoconvinzione funzionino bene. Sto bene, Phil. No, non stai bene. Sto alla grande. No. . Cos'è successo? Guardami, riesco a fare anche la capriola. No, Clint non puoi fare la -smettila di fare capriole! Sto bene, faccio capriole. No. . E dove ha portato questa fottuta roba delle parole? Lo psicologo dello Stato ha mentito e lui si era ritrovato davanti all'ufficio del preside perché Phil coi suoi superpoteri da spia-tutore-o-quello-che-è ha scoperto che ha fatto una rissa a scuola. Beh. Fatto. Ha subito una rissa. Erano in tanti. E lui aveva rubato loro i soldi del pranzo, quindi sa che tecnicamente era colpa sua e che non voleva che Phil lo sapesse.

Soluzione? Rubare i soldi e scappare. Sembrava veramente una buona idea. Barney avrebbe fatto così. E comunque, lo sapeva che non poteva seguire i consigli dello psicologo dello Stato. È uno psicologo dello Stato. Non è neanche pagato. Nel senso, come fai a fidarti di qualcuno che nemmeno viene pagato? Le parole non avevano funzionato. Non avevano funzionato con Phil, non avevano funzionato con Barney. Aveva stretto le labbra, fatto anche una smorfia per il dolore e si era guardato intorno, prima di allungarsi verso il cappotto poggiato sulla sedia vicino alla sua, ed iniziare a frugarci dentro. Chiavi. Caramelle. Portafogli. Bingo. Avrebbe dovuto chiedere scusa. Lasciare un biglietto, magari. Aveva sentito parole fuori contesto da dietro la porta. Problematico. Okay, forse. Solitario. Solo perché preferiva dormire tra un'ora e l'altra. Voti bassi. Odiava tutte le materie che gli costringevano a frequentare. Soldi. Eh. Non poteva rimanere, per questo si era alzato in piedi, infilato il portafogli nella tasca, ed era andato via.




Qualcuno gli stava guardando il culo, per questo si era spostato. Clint aveva portato tutto il peso del corpo su una gamba, mentre stava appoggiato ad un tavolo troppo alto, con poche di quelle sedie alte, e la sua pizza appoggiata davanti a lui. Si era piegato leggermente in avanti, nel farlo. Sì, decisamente. Sentiva quella cosa che si sente quando qualcuno ti fissa. Clint lo riconosceva senza ombra di dubbio. Odia quella sensazione. Una ragazzina con i capelli rossi si era avvicinata a lui, e poi se n'era andata. Aveva chiuso la scatola della pizza e si era accarezzato il ponte del naso, decidendo di spostarsi ed andarsene via. Non poteva neanche tornare a casa. Come se avesse mai avuto una casa. Forse sedersi sulla panchina del parco era una buona idea. Si era seduto lì, a gambe incrociate, mentre un vecchietto lo guardava male e borbottava cose. Almeno nessuno gli guardava il sedere.

“Posso…?” Clint aveva portato un pezzo di pizza alla bocca ed indicato un cane che passeggiava con un uomo pelato, alto forse il doppio di lui. “Posso accarezzarlo?” aveva chiesto.

“Non è un cane tranquillo” aveva risposto il padrone, inclinando la testa di lato e cercando di inquadrare quel ragazzino, seduto su una panchina di pietra, davanti ad una pizzeria, con dei cerotti in faccia e il labbro rotto. Aveva un accento russo. Clint riusciva a riconoscere gli accenti dell'Europa dell'Est. Più o meno. Quasi tutti. Si era passato una mano dietro l'orecchio e si era sforzato di non rispondere nella stessa lingua. “Potrebbe mordere.”

“Non ti preoccupare” aveva risposto, allungando una mano verso il cane, e passandogli un pezzo di pizza. “Ci so fare coi cani.” E poi lo aveva accarezzato ed era stata l'unica cosa buona della giornata. Ed anche la più brutta, perché il cane aveva scodinzolato, aperto la bocca e poi se n'era andato. E gli aveva spezzato il cuore, perché se n'era andato via, lasciandolo con un pezzo di pizza in meno e un po' di peli sulla manica della maglietta. Quindi era triste. Molto triste.

Aveva di nuovo portato il pollice e l'indice sul ponte del naso, aveva anche sospirato e alzato il ginocchio sulla panchina. Fottuto vecchiaccio che continuava a borbottare guardandolo. Fottuta pizza. Fottuto tutto. Aveva dimenticato il cellulare a casa ed era abbastanza sicuro che Maria lo aveva già preso e dato a Phil, per controllare che non avesse nessun posto in cui scappare, nessun contatto con Barney. Come se lo avesse mai chiamato, come se ci fosse stato mai un messaggio. Ci aveva pensato a Barney, però. Ci pensava più di quanto dicesse di fare. E poi le persone gli dicevano che doveva essere grato, che poteva finire come suo fratello, che non era una cosa che le persone vorrebbero essere, come Barney. Clint ha sempre saputo dividere il bene dal male, più di quanto le persone pensassero lui facesse. A lui non importava cosa la gente continuasse a ripetergli. Ti hanno dato una casa. Ti hanno dato una famiglia. Dovresti ringraziare. Dovresti essere felice. Phil, a Clint non stava proprio antipatico, e poteva capitargli una compagna di stanza peggiore di Maria, sicuramente ma -c'era una cosa da mettere in chiaro. Barney gli mancava. Barney è suo fratello. Il circo era la loro casa. Forse. O forse no, perché lui non si è mai -lui non ha mai… E quella bella pizza ai funghi era riuscita ad affogare parole inutili e pensieri superflui. E poi dicono che il cibo non porta la felicità. Bugiardi.

Stava giusto arrotolando un altro pezzo di pizza, rimanendo con la bocca semi-aperta e gli occhi puntati sulla mozzarella ancora calda e filante tra le dita, quando gli era atterrato accanto ai piedi un portafoglio marrone, decisamente noioso e vecchio. Clint aveva alzato gli occhi verso la direzione dalla quale proveniva ed aveva preso a mangiare di nuovo. Non che comunque fossero fatti suoi, si era detto, se una ragazza decide di prenderlo come bersaglio per il lancio del portafoglio. Ognuno ha i suoi hobby.

“Lo hai rubato” aveva detto la ragazza, posando su di lui uno sguardo annoiato e nascondendo le mani nelle tasche. Accento russo, non marcato come quello dell'uomo di prima, ma ancora riconoscibile. Forse confondibile con un qualsiasi accento slavo. Russo, si era ripetuto nella testa, annuendo e cercando di spostare la sua attenzione sulla panchina, o qualsiasi altra cosa nel parco. Perché sempre russi?

“Disse la ladra e molestatrice sessuale” aveva commentato lui, continuando a masticare. Era il portafoglio di Phil. Certo. Marrone e noioso. Quell'uomo doveva iniziare a comportarsi come un uomo della sua età, invece di andare in giro a comportarsi come un vecchietto con una specie di casa-famiglia. Si era anche chiesto se quello che voleva quel vecchio dentro fossero i soldi dello Stato. No. Phil è più scemo degli psicologi statali. Lo fa perché crede in un mondo migliore. In tutti questi anni, Clint non ha mai avuto il coraggio di andargli contro a parole.

La ragazza aveva i capelli legati in una cipolla rossa e una frangetta che andava a impigliarsi tra le ciglia. A questo punto, quando lo diceva ad alta voce al circo, qualcuno gli dava un colpo in testa e diceva chignon, che è la stessa cosa, solo che in francese tutto suona meglio e sembra più elegante. Clint stava imparando il francese. A scuola dicevano che aveva orecchio per le lingue e Clint faceva battute perché, beh, vedi questo? Eh, sì, questo è un apparecchio acustico. Sono praticamente sordo. Non aveva raccolto il portafoglio di Phil.

“Lo hai rubato” aveva ripetuto la ragazza. C'era un'altra cosa che aveva imparato al circo. Guardare due volte una persona. Non voleva farlo, ovviamente, perché quello che voleva era starsene cinque secondi da solo, con la sua pizza, a pensare ai fatti suoi e autocommiserarsi, che alla fine è una cosa che nessuno gli può togliere, nella sua testa. E poi pensare a cosa fare dopo. Dopo la scuola, dopo i diciotto anni. Maria doveva aver già dato il suo cellulare a Phil, il che è stupido, perché Clint non ha mai saputo come usare veramente un cellulare. Ma Barney avrebbe potuto chiamarlo, o mandargli un messaggio. Dannata Maria. Clint aveva provato a focalizzarsi sulla ragazza con lo chignon. Dannata Maria. “E non sono una molestatrice.”

“Mi stavi guardando il culo.”

“Per rubarti il portafoglio.”

“Al trentacinque per cento era per guardarmi il culo.” Anche Clint rubava. Riconosce ancora lo sguardo di chi ruba per divertimento, o per dovere, o per disperazione. Sono le cose che impari se vivi per un po' per la strada. Impari a leggere gli sguardi. La ragazza aveva un borsone alto quasi quanto lei e una tuta. Rubava per dovere. Il problema di imparare a leggere gli sguardi è che sai il cosa, ma non sai mai il perché. Non che comunque lui se lo chiedesse tanto, perché. Nemmeno per le cose che faceva lui. Nemmeno per le cose che importano. Si era portato un pezzo di pizza in bocca e poi aveva indicato alla ragazza la scatola, l'aveva invitata a prenderne un pezzo.

La ragazza aveva abbassato lo sguardo verso il portafoglio per poi puntarlo su di lui. Lei gli chiedeva di riprendersi il portafoglio, ovviamente. Clint aveva indicato con la testa la pizza e puntato lo sguardo su di lei. Lei aveva puntato ancora una volta lo sguardo sul portafoglio. La cosa divertente della vita è che s'impara a perdere. Non partite di calcio o da basket. Nemmeno scommesse o perdere cose materiali. Perdere. Dire okay, hai ragione tu. Va bene, faccio quello che dici tu. Mettere da parte l'orgoglio, fare qualcosa che non pensavi fosse giusta, s'impara col tempo. Clint lo ha iniziato ad imparare al circo, o forse prima, quando erano lui e Barney contro il mondo e lui alzava le mani e diceva hai ragione tu, anche quando non lo pensava. E forse perché era stato preparato a fare qualcosa del genere, forse per questo ha alzato le spalle e si è piegato a prendere quello stupido portafoglio ai piedi della panchina e se lo è messo in tasca con un sospiro stanco e il dolore all'addome a causa di un pugno che aveva dimenticato. E la ragazza aveva rilassato le spalle.

Si era seduta al di là della scatola di pizza. Non ne ha toccato neanche un pezzo, per carità, ma si era seduta lì.

La frangetta. La frangetta le nascondeva il viso. Clint continuava a mangiare, ovviamente, quando mai no, e aveva finito la pizza da solo, mentre lei sistemava il suo borsone e controllava l'ora su tutti gli orologi. Non sembrava il tipo che parlava molto. Lui, comunque, non avrebbe sopportato in quel momento un tipo che parlava tanto. Ed era un diversivo. Avere una ragazza che si nascondeva dietro una frangetta, con un borsone e lo chignon è un diversivo. Una ballerina, era arrivato a pensare. Doveva essere una ballerina, o una ginnasta. Rubava per dovere, ma non riusciva a capire di cosa. Doveva andare da qualche parte, ma, per qualche oscura ragione che non gli era permesso sapere, stava lì, seduta accanto alla sua scatola di pizza, in silenzio e lo stava salvando da qualsiasi cosa vuota lui stesse pensando. In più c'era quel ronzio in testa che continuava a ripetergli è come te, è più o meno come te. In modo diverso. E forse era la frangetta. Non riusciva a non pensare alla frangetta. È come te.

Clint stava rompendo la scatola della pizza, quando lei si era alzata. Aveva preso il borsone e se lo era caricato in spalla, alzando lo sguardo verso un orologio. Aveva gli occhi annoiati, o forse sembrava così per la pettinatura. Aveva aperto la bocca e poi i suoi passi avevano iniziato a risuonare contro i sassolini bianchi per terra. Passi più leggeri di tante altre persone, quasi non si sentivano. Clint si era passato una mano dietro l'orecchio, a toccarsi l'apparecchio acustico. “Sai” aveva detto, buttando la spazzatura e lei si era girata verso di lui, lentamente. “Sai, dovremmo rifarlo. Qualche volta. Stare qui. In silenzio.” Aveva stretto le labbra in un tentativo di fermare ogni altra parola che sarebbe potuta uscire dalla sua bocca. In silenzio è meglio. Sembrava più intelligente in silenzio. E quel momento di distrazione forse era stata il miglior momento di tutto il suo mese. Perché aveva pensato al circo e a Barney, ma non aveva sentito il bisogno di riempire nessun vuoto. Era una sensazione importante. E la ragazza lo studiava, muovendo soltanto le iridi, tenendo stretta la manica del borsone.

Aveva alzato un lato del labbro. Aveva anche annuito, per poi girarsi ed andarsene via e lasciare Clint da solo col suo portafoglio rubato.

Il primo pensiero che gli era venuto in mente è che era impazzito, ovviamente. Ehi, scusa signorina ladra, vuoi incontrarmi un'altra volta per non dire una parola e starcene qui, zitti, non saprei spiegarti il perché? Comportamento più che razionale. Il secondo pensiero era stato che anche lui sarebbe dovuto andare. Guardava il portafoglio e si chiedeva dove. Forse doveva andare via, scappare come già una volta lui e Barney avevano fatto e rifarsi una vita coi soldi di Phil, che continuava ad essere un idiota troppo ingenuo per questo mondo. Clint aveva abbandonato la testa all'indietro, per poi sentire il bruciore in faccia di ogni suo più piccolo taglio e decidere di poggiare i gomiti sulle ginocchia ed aspettare un qualche segno da qualche divinità, o alieno che lo guardava da qualche altra parte dell'Universo, o un miracolo. Ed era trovato un cane, che più o meno è sia un segno che un miracolo.

“Posso accarezzare il suo cane?”

Magari sarebbe dovuto soltanto tornare.




Clint era solo stanco, si era strizzato le palpebre e aveva aperto la porta della camera con addosso tutto il peso del mondo, che certe persone ti mettono sopra con soltanto uno sguardo. Phil lo fa. Phil ha troppe speranze nel suo futuro ed una cosa che non capiva, che non capisce, è che Clint non sa che farsene delle aspettative, se non deluderle. È il suo superpotere. Gli aveva restituito il portafoglio e l'unica cosa che aveva fatto era stato guardarlo con quello sguardo. Clint non aveva più avuto la forza di alzare lo sguardo per tutta la notte. E sapeva che Phil non avrebbe detto una parola, che non avrebbe alzato una mano, che non avrebbe fatto come suo padre, o il suo tutore prima del circo, non lo avrebbe colpito, non lo avrebbe fatto cadere a terra e non avrebbe rotto il suo apparecchio acustico. Si era sorpreso a pensare che avrebbe preferito. Sa come reagire a quello. Violenza gratuita? Okay. Pura delusione senza rabbia distruttiva? Esiste? Esiste e fa male. Quindi era solo stanco. Voleva soltanto buttarsi a letto e non svegliarsi più… per un paio di giorni. Giura. Solo per un paio di giorni non aveva mai pensato a… era solo veramente tanto stanco.

Aveva lasciato scivolare lo zaino a terra dalla spalla, e si era sfilato le scarpe con le punta delle dita dei piedi, per sdraiarsi e guardare verso il soffitto. Non si era conto che gli facesse così tanto male la schiena. Non aveva neanche acceso la luce.

“Tu rovini sempre tutto, vero?” La voce di Maria era ancora acuta e infantile, nonostante l'arrivo della pre-adolescenza e dei conseguenti primi brufoli. Era ancora una bambina, almeno lo era agli occhi di Clint, forse per questo non aveva spento gli apparecchi alle orecchie e non aveva chiuso gli occhi, alienandosi dalla stanza. Maria era coperta fino al mento da un piumone viola, metà della bocca era intralciata dal cuscino bianco e la sua testa piena di capelli neri, ai tempi lunghi, si perdeva nel buio di una stanza troppo grande per ragazzi come loro, terrorizzati dai mostri sotto il letto. “Stai provando a rovinare anche questo? Eravamo tutti preoccupati. Hanno trovato il tuo stupido taglierino.”

Clint aveva serrato le labbra ed ancora una volta aveva fatto male solo a se stesso. Stupide ferite da rissa. Sembravano non voler guarire mai. Il taglierino. Stupide ferite emotive. Non sono mai guarite.

“Volevano aprire un -volevano portarci via da qui.” C'era stata una breve pausa, una scelta di parole, un sospiro. “Questa è casa mia. Non posso perderla per colpa tua, Clint.”

“Non succederà” aveva risposto lui e sospirato. Forse è stata l'unica promessa che lui abbia mai mantenuto.




Aveva respirato profondamente, lasciando che il naso si poggiasse sulla corda dell'arco. Un respiro profondo. Un altro respiro profondo. Odiava quando la voce di Jaques gli entrava in testa in quegli stupidi e vividi flashback colorati ad acquarello. Occhio di Falco. Appunto. La schiena dritta gli faceva ancora male, le dita erano fasciate da cerotti marroncini, era troppo consapevole del suo respiro. Sei un talento naturale, Occhio di Falco. Aveva chiuso gli occhi e lasciato che l'aria dai polmoni uscisse tutta insieme. Un vero talento naturale. Aveva lasciato scoccare la freccia, che era volata sul tronco di un albero del loro guardino, perfettamente al centro. Maria aveva alzato gli occhi per niente impressionata, per poi riprendere ad evidenziare libri di testo. Alle medie Clint non ha mai toccato un libro, Maria studiava in continuazione. Aveva raddrizzato di nuovo la schiena.

“Potresti pensarci, sai?” Phil stava seduto accanto alla ragazzina, bevendo del caffè nella cucina. “Ad entrare nel club degli arcieri, o come si chiama. Potresti trovare amici. Inserirti.” Aveva bevuto il suo caffè, lanciando occhiate attente al ragazzo attraverso la finestra. Maria continuava ad evidenziare mentre borbottava qualcosa che le aveva fatto guadagnare uno sguardo di rimprovero da Phil. Clint non aveva sentito ed aveva frenato l'istinto di passassi le dita sull'apparecchio acustico. Aveva tirato la corda dell'arcobaleno piuttosto e scoccato un'altra freccia. Non voleva entrare in nessun circolo degli arcieri. Lo sanno tutti che i fissati col tiro con l'arco sono strani, bastava lui di strano nelle relazioni.

“Ci penso” aveva detto, e forse c'era stata una risposta, ma non l'aveva sentita. Stava guardando il tronco, lefrecce conficcate sulla corteccia. Sei un talento naturale, Occhio di Falco. Si era avvicinato all'albero per riprendere le frecce. Tu, Barney, hai altri talenti, vero? Le dita bruciavano ancora. Tu sai come funziona la strada. “Ci penserò.” Vieni con me.




La ragazza era arrivata con delle scarpe da ginnastica, il borsone in spalla ed era rimasta a studiare Clint, seduto sulla panchina, con una mano intorno alla caviglia e l'altra a coppa, sotto il mento. Forse nemmeno si aspettava di rivederlo più. Aveva alzato un sopracciglio e si era seduta dall'altra parte della panchina.

C'era un ronzio. Clint lo ricorda bene, perché aveva un mal di testa che gli faceva venire voglia di buttare via tutto e tornarmene a letto, e lo scroscio delle foglie marroni a terra, calpestate dai passanti, dai bambini che giocavano a baseball e da passeggini spinti da madri distratte gli entrava in testa quasi quanto il cielo azzurro e pallido, la preparazione di un autunno che sarebbe stato gelido. Si era grattato la testa. Lui era andato al parco per poter accarezzare tutti i cani che Phil non gli fa portare a casa. Ha sempre voluto un cucciolo. La ragazza con la frangetta sembrava più una tipa da gatti, che da cani. Aveva tirato su le ginocchia, contro il petto e continuava a studiarlo con un silenzio studiato.

Aveva indicato il suo viso, con un gesto del dito. “Hai meno cerotti” aveva commentato e Clint si era portato una mano sulla guancia e ridacchiato come un idiota.

“Non avevo bisogno di così tanti, ma a mia -ho avuto un'infermiera zelante.” Maria aveva preso in mano il libro di Anatomia, o di Educazione Fisica, e Clint può giurare su quello che volete che lui non aveva mai visto un libro di Educazione Fisica in vita sua, leggendo ad alta voce le possibili conseguenze di ferite non medicate. Voleva fasciargli la faccia e Phil non era stato esattamente d'aiuto. “Questa mattina ha paragonato i tagli con foto su un libro di Non So Che Cosa e ha deciso che alcuni erano guariti. Se c'è una cosa che ho imparato è di non mettersi mai contro di lei, quindi l'ho lasciata fare.”

La ragazza aveva sbattuto le palpebre e due dita era scivolate casualmente sulla punta delle scarpe da ginnastica. Aveva anche alzato un lato della bocca e continuato a guardare davanti a lei. Lo chignon sulla testa si lasciava scappare dei ciuffi di capelli rossi sulla nuca. “Io non ho una persona così” aveva sussurrato e Clint aveva pensato di aver sentito male e, di nuovo, aveva fatto quella cosa che odiava, quel gesto che detestava tanto, portarsi la mano dietro l'orecchio, controllare che fosse ancora lì, integro, quello stupido apparecchio. La ragazza non aveva aggiunto altro e le dita sulle punta delle scarpe erano andate ad aggrapparsi alla manica del cappotto.

Clint aveva indicato con la testa un pezzo di pizza e lei aveva fatto cenno di no. Non aveva mangiato nemmeno quella volta.

Ed erano stati in silenzio a guardare le persone passeggiare.




quello di cui le aziende avversarie accusano il famoso scienziato Hank Pym è di aver loro rubato diverse formule matematiche e invenzioni, tra le quali la bramata formula per localizzare precisamente l'elettrone, teorizzata dal dottor Storm ed ancora sperimentale, che ha però gettato le fondamenta per la teoria del buco nero al centro dell'atomo, ed una misteriosa materia ancora non resa nota rubata all'inventore e fondatore delle Stark Industries, Howard Stark. Oltre a queste personalità, il nuovo volto nascente della Fisica, colui che ha formulato la Teoria delle Stringhe…

Clint si era grattato il naso, lanciando un'occhiata veloce al televisore e alla donna con un blazer di un colore noioso leggere un gobbo vicino alla telecamera in modo monotono. E non per cattiveria, non stava capendo niente di quello che stava dicendo. Lui odia la scienza. La odia nell'ora di Scienze Teoriche e la odia anche in generale. Non si fida delle cose che non capisce. Aveva abbassato la testa sul banco, sperando che in quel modo il tempo sarebbe passato più in fretta. “… la risposta di Hank Pym, però, ha sorpreso il mondo della Fisica…” Spolier: se fai finta di dormire non stai dormendo, e il tempo non passa più velocemente. Si era passato una mano sul viso, ed aveva sentito qualcosa punzecchiargli il braccio. Una matita non troppo appuntita, il che è una cortesia. Se avessero voluto dargli fastidio nonnavrebbero mai usato una matita stemperata ed è solo per questo motivo che si era girato per affrontare un sorriso gentile e dei capelli biondi perfettamente pettinati di lato.

“…L'accusa mossa dalle SI è stata forse dettata da un'antica rivalità dei fondatori nei confronti delle Pym Technologies, risalente ad un brevetto ambiguo che…”

“Mi dispiace per l'altro giorno” aveva detto il ragazzo, con la schiena rivolta verso Clint e la voce bassa. Controllava che la professoressa Smith non guardasse verso di lui per parlare. Ro-qualcosa. Avevano diverse lezioni insieme. Era quel ragazzetto che sembrava più piccolo di tutti, quello che scarabocchiava sui libri e stringeva i pugni come se avesse tanta rabbia dentro, nascosta da un sorriso cortese. Non gli aveva mai parlato. Non aveva parlato con nessuno, in realtà, perché non sapeva cosa doveva dire. Le battute in classe sono facili. Parlare ad uno ad uno non così tanto. (E comunque non aveva intenzione di restare.) (Perché fare amicizia se te ne vuoi andare?) Clint aveva assottigliato lo sguardo, facendo capire all'altro ragazzo che non riusciva a capire di cosa stesse parlando. “Il -beh, sai…” Aveva indicato il suo naso e Clint si era portato la mano sulla faccia, localizzando l'ultimo cerotto che Maria gli imponeva sul ponte del naso. Aveva aggrottato ancora una volta le sopracciglia.

“Ma tu non hai fatto niente” aveva ribattuto, con una voce non tanto bassa, perché non ne ha il controllo, mai lo ha avuto.

Il ragazzo aveva lanciato un'occhiata verso la cattedra, per poi fare quel sorriso di scuse che Clint ha visto fare a così tante persone che si stupisce ogni volta di quanto sia simile sul volto di persone così diverse. “Non ho fatto niente.” Si era morso il labbro. “Che più o meno è la stessa cosa.” Aveva abbassato lo sguardo.

Clint lasciato che il suo sguardo si perdesse nel vuoto nella classe buia, illuminata da una televisione grigia, gigante, che prendeva lo spazio della cattedra. “Ma quale sarebbe la preziosa scoperta del dottor Pym? Per quale motivo le altre industrie sembrano così riluttanti a lasciare in mano ad un ragazzo nei tardi venti? La spiegazione ha basi nella scienza più elementare e per comprenderla si deve andare a riscoprire la più piccola porzione dell'Universo: l'atomo. Dal greco antico, a-tomos, il nome…” Non poteva dirgli che non gli importava che non avesse fatto nulla perché lo meritava. Meritava di aver subito una rissa, meritava che le ferite gli bruciassero e i lividi gli ricordassero che erano lì. Come fai a dire a qualcuno che è gentile con te che tu sei un pezzo di merda? “…La teoria del dottor Pym include la possibilità che ci siano altre particelle a formare l'atomo, in quanto, secondo questa, le tre particelle che lo formano possono a loro volta essere divise in particelle più piccole che…” Glielo dimostri? Fingi di non esserlo? Fingi di essere migliore? Come si fa? So quello che stai provando a fare. Guardava la donna nel documentario, la professoressa Smith a cui brillavano gli occhi al guardare qualcosa di così scientifico. Pensi che sia l'unica cosa che ti meriti. Barney e il circo gli tornano in mente troppo spesso. Si era accarezzato il ponte del naso. Stava per venirgli un mal di testa che non avrebbe mai dimenticato. Aveva iniziato a chiedersi se avrebbe mai detto alla ragazza con lo chignon e la frangetta sugli occhi che lui è un pezzo di merda. Lei non sembrava gentile. Forse a lei avrebbe potuto dirlo.

“Sono Steve, comunque” aveva sussurrato il ragazzo. “Steve Rogers.”

“Clint Barton.”

Steve aveva sorriso. Doveva essere quel tipo di persona che crede nella giustizia e della bontà nel profondo delle persone. Magari festeggiava il 4 Luglio per pura vena patriottica e non perché il 4 Luglio si rimorchia forte. Che gente che s'incontra a Brooklyn. “Senti.” Le persone più strane in questo mondo. “Stavo pensando che -cioè se non vuoi non ti preoccupare ma… beh, magari, possiamo sederci insieme a pranzo.” Non ne è mai stato sicuro, ma Clint aveva creduto di vedere, nella classe buia, le orecchie di Steve diventare rosse. Era più imbarazzato di quanto volesse mai ammettere e si era chiesto il perché. Ma aveva annuito e Steve aveva di nuovo sorriso e aveva detto: “Okay.” E si era girato verso il televisore, senza rivolgergli la parola fino lla fine della lezione. Io non sono tuo padre, non sono neanche il tuo tutore. Clint aveva abbassato ancora una volta la testa, facendo toccare alla fronte il banco freddo di legno. Non ti colpirò. Steve prendeva appunti.

Che tipi che s'incontrano a Brooklyn.




C'era di nuovo la pizza tra loro. Lei non ne aveva toccato neanche un pezzo, di nuovo, e stava seduta con la schiena dritta e le mani una sopra l'altra sulle cosce, come se stesse assistendo ad un colloquio. Ovviamente lui non aveva capito e si era grattato la testa. I capelli le stavano cominciando a crescere e si era tagliata la frangetta. Non le arrivava più alle ciglia degli occhi, si fermava poco prima delle sopracciglia e Clint era rimasto a fissarla per trenta secondi buoni prima di ricordarsi che non è buona educazione fissare. Aveva degli occhi che ti penetravano nel petto e non lasciavano che nessuno guardasse in lei. Fissare o abbassare lo sguardo. Clint immagina ci siano due tipi di persone davanti a lei. Chissà quanti ne incontrava come lui, o non come lui. Potevano passare anche settimane da un incontro all'altro, forse per questo era riuscito a notare i capelli così in fretta, quando Maria aveva sacrificato la sua chioma nera per un bene maggiore non lo aveva notato se non settimane dopo. Tra un incontro e l'altro, chissà quanti non-come-Clint incontrava quella ragazza.

Aveva indicato la pizza con l'indice e lei aveva ancora una volta scosso la testa. Aveva anche il viso meno tondo di quello che ricordava. Era una piccola linea curva su se stessa. Le persone dovrebbero iniziare ad accettare sempre il cibo che viene loro offerto. Lo sanno tutti che il cibo è vita. (Chi ti offre cibo ti offre vita.) (Chi offre vita, offre amore.) (Clint non aveva mai portato alla luce questo passaggio, neanche con se stesso.) Aveva preso a mangiare, mentre gli occhi di lei puntavano verso ogni più piccolo movimento. Era all'erta. Forse era spaventata.

“Mi chiamo Clint” aveva detto lui, con la bocca piena e lei si era girata verso di lui, con le sopracciglia aggrottate e la bocca semiaperta. Ma aveva rilassato le spalle, per qualche strano motivo. “Mi sembra strano che tu non sappia il mio nome. Anche un po' stupido. Non ne sono sicuro, ma penso che sia la prima cosa che si dice alle persone. Ho…” Aveva sorriso imbarazzato, pensando a Steve e a Bucky sul prato della scuola, che ridevano delle sue domande sul come scrivere una parola, o come presentarsi alle persone. “Ho chiesto in giro.” Di nuovo, si era grattato la guancia con un dito. Che sfigato.

Lei aveva sbattuto le palpebre e aveva curvato un pochino la schiena, abbandonando la sua posa la bambola, un braccio a coprirle il cappotto sopra la pancia e l'altro teso per appoggiarsi sulla panchina. Aveva sorriso. “Natalia” aveva detto. Poi aveva abbassato lo sguardo, il sorriso era sfocato lentamente via ed erano tornati al confortevole e familiare silenzio tra loro, riempito dalle persone che schiacciavano i sassolini bianchi e dalle grida Portami la palla, bello! dietro le loro spalle.




Dobbiamo andarcene di qui. Clint aveva appoggiato il piatto sul tavolo, lanciando occhiate a Phil che diceva a Maria qualcosa su una ricetta segreta della signora Coulson. Prendi la bicicletta. Uno due e tre piatti. Uno due e tre forchette. Uno due e tre bicchieri. Andiamo fino a dove possiamo pedalare. “Dite che mi conviene mettere anche i coltelli?” Aveva aggrottato le sopracciglia, mordendosi il labbro inferiore. Maria si era girata verso di lui, fulminandolo con lo sguardo e girandosi di nuovo verso Phil. “Poi i piatti li devo lavare io. Non mi va di lavare i coltelli.” Aspettami qua fuori, non entrare. “Neanche i bicchieri. Posso togliere i bicchieri? Ci attacchiamo direttamente alla bottiglia, come veri uomini.”

“E invece di mangiare sui piatti, ci battiamo sulla pentola, senza forchette, con le mani dietro la schiena.” Phil si stava asciugando le mani, scuotendo la testa, mentre Maria si avvicinava al tavolo. Posso coprire la parte di mio fratello, lui potrebbe entrare nello spettacolo, no? Clint aveva sorriso.

“È un'idea.”

“Prendi i coltelli, Clint.” Non sei ancora pronto, Clint.

“Aww” si era lamentato, strisciando i piedi per andare in cucina. Ce la posso fare anche da solo. “Odio i coltelli.” Non riusciva a togliersi dalla testa Barney. Di nuovo. Ancora e ancora. Dove vado io va Clint. Si era dovuto frenare dal rubare qualcosa al ragazzo che sedeva vicino a lui in Letteratura Europea. Si era dovuto frenare dal ricordare a tutti, compreso se stesso, che cosa fosse realmente. Non un bravo studente, nemmeno riusciva a far finta di essere uno mediocre, non un arciere, non un calciatore. Ma un ladro. Non possiamo tornare indietro. Deve solo fingere finché le persone intorno a lui non ci crederanno. Finché lui non ci crederà. Lo fa ancora.

“Odia anche la scienza” aveva preso a contare Maria. “Le scimmie, le gomme da cancellare, i nuovi cellulari, le stampanti, le Stark Industries e il golf.” Clint aveva roteato gli occhi e lei gli aveva dedicato un sorriso vittorioso.

“Perché le gomme da cancellare?” aveva chiesto Phil, sedendosi vicino ai due.

“Perché non è normale che qualcuno scriva qualcosa e poi, così, la scritta scompaia. Che razza di magia è questa?” Aveva sbuffato, passando i coltelli. “Non è una cosa naturale!” Si era seduto.

Phil aveva scosso la testa, ridendo. “Le stampanti?”

“Scherzi?”

Maria aveva di nuovo alzato gli occhi al soffitto, Phil aveva scosso la testa di nuovo e Clint aveva preso a blaterare roba su come fosse da pazzi pensare che un qualcosa sparasse inchiostro su un foglio e creasse un'immagine nella memoria di una macchina. Almeno per un po' non aveva pensato a Barney.




Natalia aveva nascosto le labbra dietro la mano, ma stava ridendo. Era la prima volta che l'aveva vista ridere. Clint sarebbe rimasi a guardarla, se soltanto quell'enorme sanbernardo non gli fosse saltato addosso, facendolo cadere dalla panchina di marmo.

“Giù. Mimo. Giù.” La ragazza con il guinzaglio in mano cercava di tirare via il cane, che continuava a leccare il viso di Clint. “Mi spiace lei non -gli stai dando pizza?”

“Dai a Cesare quel che è di Cesare.”

“Sono abbastanza sicura che quella frase non si usi così” aveva commentato Natalia, con un ginocchio al petto e l'altra gamba a penzoloni. La frangetta cadeva obliqua di lato, lo chignon rimaneva perfetto sulla sua testa inclinata.

“Se la montagna non va da Maometto” aveva risposto, mentre la ragazza dai capelli biondi rideva e tirava via il cane. “Maometto andrà dalla montagna.”

“Nemmeno questa va usata così.”

“Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino.” Clint guardava in alto, verso il cielo grigio. Doveva aver perso l'apparecchio nella caduta. Doveva guardare Natalia per poter capire quello che stava dicendo. Non era nemmeno sicuro che la ragazza bionda de ne fosse andata. Forse era ancora lì e rideva. Non poteva sentire la risata di nessuno, comunque, quindi.

Natalia aveva allungato una mano verso di lui e no, non c'era più il bellissimo cane e la pizza era caduta sul prato. Non poteva sentire Natalia ridacchiare. Si era reso conto di essere abbastanza deluso dal non poterla ascoltare. Non parlava tanto. Ogni parola era importante. E aveva perso, insieme alla capacità di ascoltare, la capacità di distinguere nitidamente i colori, come se le due cose fossero collegate. Natalia era pallida, era una piccola linea curva. Il suo polso si circondava con meno di metà palmo.

Clint aveva preso la sua mano tesa, ovviamente, e si era rialzato, cercando tra le fette di pizza e i fili d'erba il suo apparecchio acustico. Odia perderlo. Odia doverlo usare. Anche se adora usare la scusa dell'udito per guardare le labbra muoversi, dire che è per poter leggere le parole, amare le labbra, sottili o carnose, apertamente, senza che nessuno gli dica niente. Un mondo in bianco e nero vale la pena per due labbra. E nonostante questo, ai tempi, l'unica cosa a cui pensava Clint era alla risata che non conosceva, non aveva ancora memorizzato, ma che voleva conoscere.

Lo aveva trovato in mano a Natalia, più vicina del solito, seduta quasi a portata di spalla, teneva sul palmo aperto quel macchinario bianco, senza dire una parola. “Ognuno ha le sue ferite” aveva detto, e il braccio era corso a coprire la pancia subito dopo che Clint aveva afferrato l'apparecchio dalle sue mani. Lo aveva detto quando il mondo era in bianco e nero, lui aveva visto, non sentito, le parole. La risata di lei era andata via, ma c'era l'ombra di un sorriso sul suo viso.

Ed erano tornati in silenzio, coi cappotti che si sfioravano, un sorriso e una pizza alle spalle. Natalia non ne aveva toccato nemmeno un pezzo, nonostante l'invito di lui.




“Clint non farlo!” aveva gridato Steve, poggiando entrambe le mani ai lati delle labbra e prendendo poi un respiro profondo. “Ti farai male!”

Clint aveva alzato un lato delle labbra, in un sorriso che sapeva di sfida e divertimento. Da là sopra, Steve sembrava più piccolo di quello che già era. Aveva alzato le braccia e fatto un cenno di saluto. “Non ti preoccupare” aveva detto. Non era sicuro che Steve avesse sentito ovviamente, ma aveva ispirato e guardato dall'altra parte del grande vuoto tra gli edifici di Brooklyn. Lo fanno nei film. Lo fanno gli eroi nei fumetti. Lui ha fatto di peggio. “Io ho fatto di peggio.” Peggio di morire. Aveva preso un respiro profondo. Un altro ancora e poi aveva piegato le ginocchia e aveva iniziato a correre.

Aveva saltato. Steve era entrato nel condominio, stava probabilmente correndo sulle scale. Clint aveva saltato ed era arrivato sulla cima dell'altro edificio, e questa era la vittoria. Ma era caduto poi. Le ginocchia non avevano retro il colpo, i piedi gli avevano fatto male, era inciampato su degli stupidi sassolini, ed era caduto di faccia sul cemento. Ma aveva saltato. Perché aveva saltato? Doveva essere impazzito.

Steve era arrivato minuti dopo dall'altra parte del vuoto delle strade, e lo aveva guardato, con quei suoi occhi azzurri, spalancati, come la bocca. “Clint” aveva detto, o “Idiota” che più o meno è la stessa cosa.

“Parkour!” aveva risposto lui, alzando un pugno chiuso in aria e ributtandosi a terra, per rendersi conto che dal suo naso, calava un po' di sangue.




Le dita di Natalia erano più delicate di quelle di Maria, mentre poggiava del cerotti sul naso e sulle guance di Clint, che l'osservava in silenzio, facendo tacere ogni più piccolo lamento. Forse fare parkour a discapito della sua faccia era stata la miglior decisione che lui avesse mai preso. Doveva applaudirsi da solo. Gli occhi di Natalia studiavano il suo viso, mentre con l'indice schiacciava il cerotto bianco sul ponte del naso di lui. “Posso farti una domanda?” aveva chiesto. Il che era una novità. Loro non si facevano domande. Clint aveva aggrottato le sopracciglia, lei aveva assottigliato le labbra. “Devo farti una domanda.”

“Va bene.”

Natalia aveva aperto un altro cerotto, posandolo sotto la mascella di lui, e controllando con la testa inclinata di aver fatto un buon lavoro. Diceva di non aver mai messo dei cerotti su qualcun altro. Clint aveva fatto quel suo sorriso obliquo e alzato le spalle, perché la verità è che tornare a casa con uno o due graffi era un modo per far sì che Maria lo potesse sgridare e far vedere al mondo quanto lei fosse preparata per un'eventuale apocalisse. Maria ama fare la sbruffona per una buona ragione. Natalia aveva detto che non le sembrava di buon gusto lasciarlo sanguinare fino a casa sua. Clint lo aveva trovato divertente. “Perché avevi rubato quel portafoglio?”

Le dita di lei si erano piegate verso il palmo della mano, i gomiti stavano per stringersi ai fianchi, quasi stesse preparandosi per una stupidissima battaglia. Clint si era grattato uno zigomo e aveva pensato a Barney. Perché io sono un ladro. Non pensava mai a Barney, quando stava con Natalia e, se ci pensava, non era quella presenza pesante sulle spalle, quella malata nostalgia di una casa che non aveva mai avuto. Ho visto quello che hai fatto. Aveva abbassato lo sguardo e sorriso amaramente. Stavi rubando, Barney. “Potrei farti la stessa domanda.”

“E io risponderei, se tu rispondessi a me.” Era ancora sulle sue, come se avesse fatto qualcosa che non doveva fare per niente e si guardava intorno. Era schiva. Era pronta a scappare ad ogni suo movimento, cosa che gli ricordava se stesso. Lui era -è così.

Clint si era passato un pollice sotto il naso. “Beh” aveva iniziato. Perché aveva rubato il portafoglio di Phil. Perché aveva rubato i soldi della merenda di quei ragazzi. Perché ha preso i guanti di Bucky e li ha nascosti in un altro armadietto. Tutto per la stessa ragione, immagina. Sempre. Tanto vale dirlo ad alta voce. Lo psicologo di Stato, quello da due soldi che aveva deciso di non ascoltare mai, dice che con qualcuno ne dovrebbe parlare. Con Phil no. Con Maria neanche pazzo. Steve? Forse un giorno. Natalia però… lei sembra quel tipo di persona che ci muore coi segreti. E il passato di lui è un segreto. Quindi perché. “Perché è quello che facevo con Barney. E tu ovviamente non sai chi è Barney, beh, è mio fratello. Mio fratello maggiore.” Aveva passato la mano dietro l'orecchio. “I miei genitori sono morti in un incidente stradale e anche quando erano vivi non erano un granché come genitori. Papà mi ha colpito così forte che mi ha fatto perdere l'udito. Cose che capitano.” Aveva alzato le spalle e Natalia aveva rilassato le spalle, concentrando lo sguardo su di lui. “Quando sono morti ci hanno mandato dagli assistenti sociali, ovviamente, e siamo finiti in una casa di campagna che sarebbe stata anche carina, se soltanto il nostro patrigno non ci avesse picchiato. E, in tutto ciò, l'unica cosa che avevo era mio fratello, Barney.” Natalia aveva abbassato lo sguardo. Tutto stava diventando più reale. Se le persone sanno, quello che sanno diventa parte della loro verità. È questo il trucco. Non dire quello che non vuoi che le altre persone pensino sia vero. Per questo a quel tipo coi capelli a spazzola faceva soltanto battute. Aveva di nuovo alzato le spalle. “Un giorno siamo scappati. Abbiamo preso la bicicletta e abbiamo pedalato fino dove potevamo.” Aveva fatto il gesto di volare via con la mano. “E abbiamo trovato un circo. E lì, più o meno, ci hanno adottato. Jaques ha deciso che si sarebbe preso cura di noi. Io ho imparato a tirare con l'arco, Barney ha imparato a -no. Barney ha affinato le sue tecniche per rubare. Rubavamo durante gli spettacoli. Mangiavamo popcorn e prendevamo in giro le vecchie e ricche signore che vedevamo. Ed è stata casa nostra, penso, finché Barney non ha deciso di derubare un poliziotto. Non è andata a finire molto bene, certo, e siamo finiti in mano agli assistenti sociali, di nuovo. Hanno fatto una valutazione psicologica e hanno deciso che dividerci sarebbe stata la cosa migliore da fare. Quindi. Quando non so che fare e mi manca la mia famiglia, rubo e cerco di scappare. Perché è quello che sono. Un ladro.” Aveva preso un respiro profondo e mostrato i palmi delle mani, facendo spallucce. “Ecco qua.”

“Sono decisamente tante informazioni.”

“Che dire? Sei brava.”

Natalia aveva sbuffato una risata, scuotendo la testa, e gli aveva passato la scatola di cerotti che Maria lo costringe a mettere nello zaino per andare a scuola. “Non volevi rubare.” Clint aveva aperto lo zaino viola, per fare spallucce ancora una volta, come se stesse cercando di sminuire una verità.

“Tocca a te” aveva cambiato soggetto. “Perché hai rubato il portafoglio del mio tutore legale? Sappi che puoi dire apertamente che era solo un modo per tastarmi il sedere.” Aveva alzato le sopracciglia, rilanciandole metaforicamente la palla.

Natalia aveva ruotato gli occhi. “Per…” Aveva indicato la faccia di Clint per poi disegnare cerchi immaginari, delineando il suo viso sull'aria. “Per i cerotti. Ho pensato questo tipo è come me.” Aveva posato il mento sul ginocchio. Nascondeva il busto. Una mano intorno alla caviglia, il gomito posato sulla pancia. “Poi te l'ho ridato perché non sei come me.”

Clint aveva sorriso. Come se essere diverso da Natalia potesse essere un pregio. “Vuoi un po' di pizza?” Doveva essere un difetto. Doveva essere qualcosa di orrendo. Per tutta la vita aveva cercato qualcuno come lei, senza nemmeno rendersene conto. Era la sua isola felice. La sua scappatoia, via di fuga, senza la fuga. E questo doveva essere un regalo. Natalia era bella, una piccola linea curva, con uno chignon in testa e una frangetta che le ricadeva sulle sopracciglia scure. Non vedeva l'ora di vederla, sempre.

Lei aveva ruotato gli occhi e scosso la testa. Non aveva mangiato nemmeno quella volta.




“Maria.” Clint si era girato di lato, cercando di focalizzare la forma della ragazzina nel buio della notte. Avevano le finestre aperte e la porta chiusa, i due letti nei lati opposti della stanza ed una trattativa in corso per decidere chi trai due avrebbe dovuto mantenere la stanza. Maria diceva che quella era la camera più grande e, in quanto la minorenne che ha sempre seguito le regole e portato buoni voti a scuola, meritava una stanza abbastanza grande per qualcosa sugli spazi e sui limiti che Clint non aveva voluto ascoltare. Clint non voleva la stanza, voleva solo darle fastidio. E Phil aveva dubbi sulla storia delle stanze singole. Pensava che passare insieme le notti fosse un buon modo per far legare i due ragazzi. Tipo il tempo di qualità. Tipo due prigionieri nella stessa cella. Phil è un brav'uomo ma in quanto ad idee brillanti si dovrebbe calare un velo di tristezza e disapprovazione. “Quanti anni hai?” aveva chiesto. A lui andava bene anche una stanza piccola. Andava bene anche una stanza da condividere, prima pensava fosse perché se ne sarebbe dovuto andare il prima possibile. In quel momento non sapeva perché. Stava per nevicare. Clint odiava la neve.

Maria aveva sbuffato.

“Dai. Sono serio.” Al buio non poteva vederla. È anche vero che è difficile vedere Maria anche quando c'è luce. Difficile metterla a fuoco, ricordarla. Clint aveva alzato un angolo di bocca, in un sorriso assonnato. “E Maria si scrive con la H alla fine, o senza H?”

“Sai cosa c'è di divertente?” La ragazzina aveva appoggiato la testa sul palmo della mano. Stava sorridendo. Lei sorride sempre quando risolve un caso. Poi sbuffa perché le scartoffie toccano a lei e nessuno si vuole mai prendere la responsabilità di riempire moduli, di fare rapporti, di avere delle regole. Maria diventa pazza con Clint. Clint si diverte a renderla pazza. “Sei qui da sei mesi” aveva evidenziato sei mesi con un movimento del capo. “E non sai quanti anni ho e come si scrive il mio nome. Sono abbastanza sicura che non ricordi nemmeno il nome della mamma di Phil, o il nome del capo di Phil, anche se sta sempre qui a dare ordini. E poi, così all'improvviso, mi chiedi quanti anni ho?”

Clint aveva sbadigliato e aveva sistemato la testa sul cuscino. “Non so se me lo hai detto. Probabilmente l'ho dimenticato. Sembri una Maria con l'H, però. Mariah, che dici?”

Lei aveva di nuovo sorriso. Clint non poteva vederlo, ovviamente e lei non glielo ha mai detto, ma aveva sorriso. “Ho tredici anni, genio” aveva detto, arricciandosi sul letto e tirandosi la coperta sulle spalle. “E Mariah suona diverso da Maria. Quale idiota non sa che Maria è Maria e Mariah è Maraia?” E visto che non sapeva che lei stava sorridendo, non ha mai dovuto spiegare il perché di quel sorriso. Dicono alle persone che non appartengono ad un posto di non attaccarsi ai dettagli. Sono quelli che ti fregano. Sono i dettagli che mancano, quando vai via. Per Maria i dettagli erano il riso bruciato della mamma e il fischiettio del papà, quando era felice. Il profumo di benzina quando viaggiavano. Le battute da papà che faceva la mamma. Erano quelli che gli mancavano di più, insieme a tanti altri piccoli dettagli di cui non parlava.

“Forse è perché è tardi, ma mi hai soltanto confuso” aveva borbottato Clint. Sono i dettagli che fanno casa. “È con o senza H?”

“Buonanotte, Clint.”

“Con?”

“Ho detto buona notte.”




 
  
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