RITORNO AD HOGWARTS
Il tempo rimase terribile per tutto
il viaggio sul treno: il
cielo color piombo era solcato da fulmini, e la pioggia non smise mai
di cadere
a cascata mentre l’Hogwarts Express si dirigeva verso nord.
Io, Dean, Seamus,
Neville, Ginny e Mary ci eravamo riuniti in uno scompartimento, e
Sheila non
aveva voluto staccarsi da me. Per quanto la ragazzina cercasse di
mostrare un
volto spavaldo, era chiaramente intimorita da ciò che
l’attendeva alla fine del
viaggio, e non smise per un secondo di fare domande
sull’attraversamento in
barca del lago e sulla cerimonia di smistamento. Per quanto noioso
potesse
essere rispondere per ore alle curiosità di
un’undicenne, le fui grata: concentrando
su di se l’attenzione di tutto il gruppo, riuscì a
defletterla da me,
evitandomi di dover raccontare a tutti quello che era accaduto al
campeggio.
Dal volto di Mary traspariva una notevole preoccupazione,
così come su quelli
di Dean e Neville si poteva leggere una curiosità al limite
del morboso. Prima
o poi avrei dovuto rispondere a parecchie domande, ma ero
più che felice di
poter rimandare quel momento.
In realtà
l’intero viaggio mi vide assai poco presente nelle
conversazioni, anche se cercai di dimostrarmi allegro e di rispondere
nella
giusta maniera quando i miei amici mi coinvolgevano con qualche
domanda. La
verità era che più Hogwarts si avvicinava,
più sentivo un peso depositarmisi
sul cuore: non sarei stato capace di dire perché, ma la
prospettiva di tornare
al castello sembrava essere diventata molto meno allettante rispetto a
pochi
giorni prima. Era una sensazione strana, indistinta, melmosa.
Inizialmente
avevo creduto che fossero soltanto le conseguenze della brutta
avventura
vissuta dopo la Coppa del Mondo di Quidditch, ma mentre il castello
iniziava a
delinearsi all’orizzonte (quando le torri comparvero,
stagliandosi contro il
cielo d’acciaio, mia sorella, dimentica delle sue paure,
iniziò a saltare per
l’entusiasmo) compresi che l’origine del mio
malessere non era da ricercare nel
passato, bensì nel futuro. Se la Signora Voce non si era
più fatta sentire dopo
il duello, il mio “Senso di Ragno” mi stava
lanciando un allarme,
straordinariamente generico ma continuo. Era come se qualcosa di
orribile, di
mostruoso, stesse volteggiando sopra il luogo che avevo imparato ad
amare
quanto la mia casa, e questo non poteva che spaventarmi.
Mi ritrovai a varcare le porte della
Sala Grande
praticamente senza sapere dove fosse finita la discesa dal treno ed il
viaggio
nelle carrozze, tanto mi ero mosso automaticamente. Perfino il
tentativo di Pix
di colpirci con un gavettone d’acqua gelata non mi aveva
scosso dai miei
pensieri cupi. L’immenso ambiente, però,
portò un po’ di calore nel mio cuore:
era come ritrovare un vecchio amico. Lanciai un’occhiata al
tavolo degli
insegnanti, dove Silente, come al solito, occupava la sedia simile ad
un trono
posta al centro, circondato dagli altri professori. Feci scorrere gli
occhi da
una parte all’altra, nella puerile speranza di vedere il
volto prematuramente
invecchiato ma sereno di Lupin: sapevo che si era dimesso due mesi
prima, ma
avevo conservato il sogno che il mio insegnante preferito avesse
cambiato idea
ed avesse deciso, contro ogni logica, di restare un altro anno a
scuola. Non
soltanto, invece, non vidi il licantropo, ma il posto solitamente
occupato dal
professore di Difesa contro le Arti Oscure era vuoto.
Seamus probabilmente lo
notò quasi nello stesso istante,
perché esclamò: “Possibile che non
abbiano trovato nessuno per sostituire
Lupin?”.
“Può anche
essere – rispose Dean – Si dice da anni che quel
lavoro sia maledetto. Solo noi ne abbiamo visti passare tre in tre
anni, e un
ragazzo del settimo anno mi ha detto che in quelli precedenti
è sempre andata
nello stesso modo”.
Non avessi avuto il cervello stipato
di pensieri mi sarei
chiesto come avrebbero fatto a coprire le ore di Difesa: esistevano i
supplenti
nel mondo magico? Neanche Joshua aveva una risposta precisa su questo
argomento. Mentre ci sedevamo al tavolo di Grifondoro feci scorrere gli
occhi
lungo le due file di panche, quasi per avere la certezza che i miei
compagni
fossero tutti lì dopo le travagliate avventure che molti
avevano vissuto pochi
giorni prima. Qualche posto più in giù vidi
Harry, Hermione e Ron, che come al
solito parlottavano tra loro. A quanto avevo sentito, Harry si era
trovato a
pochi metri dall’uomo che aveva lanciato in cielo il Marchio
Nero e che,
involontariamente, mi aveva salvato la vita. Mi ero chiesto molte volte
chi
fosse: avevo compreso che quello per lanciare il Marchio non era
sicuramente un
incantesimo di pubblico dominio, e che solo i Mangiamorte lo
conoscevano.
Chiunque fosse diventato negli anni l’uomo che aveva fatto
comparire l’orribile
figura sopra Dartmoor, un tempo doveva per forza essere stato uno dei
più
stretti seguaci di Voldemort, e questo lasciava aperti degli
interrogativi
enormi.
Ero ancora preso da questi pensieri
quando le porte della
Sala Grande si aprirono, e la McGrannitt entrò conducendo un
gruppo di alcune
decine di bambini, con i vestiti completamente inzuppati ed i volti
mostravano
sentimenti che andavano dal nervosismo al più puro terrore,
ad eccezione di
uno: il più piccolo, uno scricciolo dai capelli color topo
avvolto nell’enorme
pastrano di talpa di Hagrid, rivolse un sorriso estasiato verso il
tavolo di
Grifondoro alzando entrambi i pollici. Quando vidi Colin Canon
rispondere al
suo saluto, riconobbi una notevole somiglianza tra i due, e non potetti
fare a
meno di alzare gli occhi al cielo: anche in un luogo grande come
Hogwarts
credevo che un solo Canon fosse più che sufficiente.
Mentre la McGrannitt sistemava lo
sgabello con sopra il
Cappello Parlante, scorsi la fila di nuovi studenti fino a trovare
Sheila:
appariva estremamente nervosa, ma i suoi occhi non mostravano la
medesima nota
di panico di alcuni dei suoi compagni, forse perché grazie a
me, al contrario
di loro, conosceva effettivamente le modalità dello
smistamento, e sapeva di
non avere nulla da temere, almeno a livello fisico.
Ascoltando solo con la coda
dell’orecchio la canzone del
Cappello, diversa da quella che avevo sentito io solo un anno prima,
sentendomi
estremamente fuori posto da tredicenne in mezzo ad un branco di
primini, pensai
ai tanti discorsi che io e mia sorella avevamo fatto durante
l’estate in
relazione alla sua possibile futura Casa. Diverse volte, citando come
ragione
il suo caratterino mordace, le avevo preannunciato una probabile
selezione in
Serpeverde, con l’idea di farla arrabbiare, ma ottenendo
pochi risultati:
essendo cresciuta, come Joshua, negli Stati Uniti, la ragazzina aveva
maggiore
dimestichezza con le Case di Ilvernmorny piuttosto che con quelle di
Hogwarts, perciò
sapeva ben poco della pessima fama delle Serpi. In realtà,
non ero affatto
convinto di quale potesse essere la destinazione più adatta
per Sheila. L’avevo
realmente conosciuta solo per pochi mesi, anche se potevo attingere
alle
vecchie memorie di Joshua, quindi non potevo valutare bene ogni aspetto
del suo
carattere: certo, era molto intelligente, ma non esattamente una
maniaca dello
studio. Nelle nostre discussioni aveva mostrato una notevole vena di
furbizia,
oltre che la capacità di accattivarsi il consenso degli
altri, che si trattasse
di mia madre o di me. La questione della Coppa del Mondo era stata
un’eccezione,
dovuta a cause di forza maggiore, ma quasi sempre Sheila riusciva ad
ottenere
quello che voleva. Aveva una lingua molto tagliente, perfino per
un’undicenne,
e quando si arrabbiava sapeva colpire decisamente sotto la cintura,
anche se
spesso finiva per pentirsi rapidamente delle cose che diceva quando
finiva per
esagerare, pur arrivando di rado a chiedere scusa. Non avrei saputo
cosa dire
riguardo a cose come ‘coraggio’ e
‘audacia’, ma sicuramente aveva una notevole
abilità
nel ribaltare le situazioni a suo favore, e questo un po’ mi
preoccupava:
benché fossi arrivato da un solo anno e nonostante il mio
particolare status,
mi sentivo un Grifondoro fino nel midollo, e non potevo fare a meno di
pensare
che i colori verde e argento potessero trovarsi
nell’immediato futuro di mia
sorella. Benché i miei ricordi relativi all’altra
parte fossero ancora limitati
nel tempo, ricordavo di aver sempre trovato leggermente razzista
l’ostilità di
principio nei confronti di Serpeverde. Ciò che avevo vissuto
l’anno precedente,
però, non mi aveva certamente aiutato ad avere una mente
più aperta nei
confronti della Casa rivale. A questo si aggiungeva Nott: temevo
seriamente per
la felicità, e perfino per la salute di Sheila se il
bastardo si fosse
ritrovato una Carter a portata di mano e di bacchetta.
Mi accorsi che il cappello era pronto
alle sue scelte
soltanto quando la McGrannitt chiamò ad alta voce
“Ackerley, Stewart”. Mentre
il ragazzo veniva assegnato ai Corvonero, lanciai una minuscola e
silenziosa
preghiera verso l’oggetto magico affinché
dimostrasse abbastanza senno da
evitare ad una ragazzina entusiasta di trovarsi in un guaio per il
quale non
aveva alcuna colpa.
Prestai poca attenzione ai diversi
ragazzini che raggiungevano
lo sgabello e venivano smistati nelle Case, almeno finché
non toccò a Dennis
Canon. Mentre il minuscolo fratello di Colin barcollava verso il
cappello
trascinandosi dietro l’enorme pastrano di Hagrid notai
improvvisamente uno
strano dettaglio: non riuscivo a ricordare cosa mi avesse detto il
Cappello
prima di assegnarmi a Grifondoro. Sapevo bene che il potente oggetto
magico
giustificava, solitamente, le sue scelte, ed ero certo che avesse
spiegato a
Joshua perché avesse deciso di porlo nella Casa di Godric.
Era insolito,
considerando che ricordavo praticamente ogni minuto dell’anno
precedente, anche
prima del mio ‘viaggio’, anche se non credevo si
trattasse di qualcosa di
fondamentale: semplicemente, il Joshua Carter che aveva partecipato
allo
Smistamento era una persona molto diversa da quella che, un anno dopo,
assisteva da spettatore alla stessa scena. Provai
l’improvvisa, folle curiosità
di indossare nuovamente il Cappello Parlante: non potevo fare a meno di
chiedermi se avrebbe assegnato anche il nuovo ‘me’
a Grifondoro. Per quanto timido,
Joshua poteva essere stato coraggioso e audace, magari senza neanche
saperlo,
ma il nuovo mix tra lui e Matteo Simoncini era assai più
complesso e
sfaccettato. Per quanto mi desse una certa sensazione di malessere
pensarlo, un’uniforme
bordata di verde e argento non avrebbe stonato neanche addosso a me.
“Grifondoro!”
urlò il Cappello riscuotendomi dai miei
pensieri e scatenando l’applauso del mio tavolo, anche se
mentre un sorridente
Dennis correva a cercare un posto vicino al fratello notai diverse
facce
esasperate, prima tra tutte quella di Harry.
“Carter, Sheila”.
Il tempo sembrò rallentare
mentre tutta la mia attenzione si
concentrava sulla ragazzina nervosa e leggermente tremante che si
avvicinava
allo sgabello e indossava l’artefatto magico subito dopo
essersi seduta. Incrociai
le dita senza farmi vedere, sperando che tutto andasse bene.
Occorse decisamente più
tempo rispetto ai ragazzi che
avevano preceduto Sheila: vedendo il volto concentrato di mia sorella,
sembrava
che nella sua mente si stesse svolgendo una discussione molto accesa.
Ci
vollero quasi due minuti prima che lo strappo vicino all’orlo
del Cappello si
spalancasse: “Serpeverde!” urlò alla
fine.
Sentii il mio stomaco sprofondare,
come se si fosse
improvvisamente riempito di piombo. Dal tavolo dei Serpeverde si
levò un
applauso, che però mi parve poco convinto, cosa che
incrementò le mie
preoccupazioni: le Serpi sapevano fin troppo bene con chi era
imparentata la
loro nuova leva, e stavano valutando le implicazioni di quella scelta.
Dal tavolo di Grifondoro arrivarono
alcune imprecazioni
soffocate, soprattutto da parte dei miei amici: molto spesso i fratelli
finivano nella stessa Casa, anche se non si trattava di una regola
inderogabile,
e tutti avevano da subito dato per scontato che Sheila sarebbe stata
una
Grifondoro. Dean mi guardò con delusione, quasi come se
l’accaduto fosse stato
colpa mia: “Credevo che tua sorella fosse a posto”
borbottò.
“Lo è”
dissi con notevole durezza e fulminandolo con lo
sguardo, tanto che il ragazzo abbassò gli occhi imbarazzato.
Sentii qualcosa
afferrare la mia mano, e quando mi voltai vidi che Mary
l’aveva afferrata con
la sua. La mia amica mi sorrise: “Tranquillo, se la
caverà”.
Quasi involontariamente avvertii i
lati della mia bocca
incurvarsi verso l’alto. Cara, dolce Mary! Ancora una volta
aveva dimostrato di
sapermi capire ad una velocità incredibile, e di avere la
capacità di calmarmi
solo con poche parole. Speravo che avesse ragione, ma non potetti fare
a meno
di lanciare uno sguardo verso il tavolo di Serpeverde: se la maggior
parte dei
ragazzi sembrava abbastanza interdetta, il disgusto negli occhi di Nott
era
inconfondibile, e aumentò ancora quando si voltò
leggermente per fissarmi.
Sentii immediatamente un fortissimo odore di guai. Cercai di guardare
il mio
rivale con tutta la durezza della quale ero capace, provando a
trasmettergli
un’immagine mentale del destino che gli avrei riservato se
avesse osato fare
del male a Sheila, ma in qualche modo dubitavo che sarebbe stato
sufficiente.
A mala pena sentii il resto dello
Smistamento, e compresi
che era terminato solo quando udii la voce profonda di Silente
echeggiare nella
sala: “Ho una sola parola da dirvi: abbuffatevi!”.
“Ma sicuro!”
risposero Harry e Ron a qualche posto da me,
per poi lanciarsi sui piatti che si erano magicamente riempiti di cibo.
Il banchetto era spettacolare come
sempre, ma non ero nelle
condizioni di godermelo al meglio. Mary provò diverse volte
a coinvolgermi in
una discussione, per poi rinunciare dopo poche battute, fissandomi con
sguardo
preoccupato.
Benché, volendo andare ad
analizzare le cose nel dettaglio,
conoscessi effettivamente Sheila solo da pochi mesi, ero arrivato a
volerle
bene come se fosse sempre stata mia sorella, e sapere di averla messa,
per
quanto involontariamente, in pericolo mi faceva veramente male: la
ragazzina
era incredibilmente entusiasta di iniziare la scuola, e adesso
rischiava di
vivere un’esperienza molto meno gradevole di quanto avrebbe
potuto aspettarsi.
Sorprendentemente, il problema non mi sembrava il fatto che fosse
finita a
Serpeverde, ma solo ciò che questo avrebbe significato per
lei. La mia rivalità
con Nott poteva produrre effetti devastanti.
Una volta che i piatti furono ben
ripuliti ed i resti di
cibo scomparsi, il preside si alzò di nuovo, e come sempre
accadeva il
chiacchiericcio tra gli studenti si interruppe di colpo, rendendo
ancora più
evidente l’ululato del vento e il rombo della tempesta che
infuriava fuori.
“Dunque –
esordì il preside con un sorriso – Ora che siamo
tutti sazi e soddisfatti, devo richiamare ancora una volta la vostra
attenzione
su alcuni avvisi. Mastro Gazza, il custode, mi ha chiesto di dirvi che
la lista
di oggetti proibiti all’interno delle mura del castello
è estesa agli Yo-yo
Ululanti…”.
La mia attenzione scemò
rapidamente: se avevo per qualche
ragione rimosso lo smistamento di Joshua, la sua memoria combinata a
quella di
Matteo ricordava almeno due edizioni della famigerata lista di avvisi
di inizio
anno di Silente. A meno che non vi fosse nuovamente un corridoio
proibito con
un cane gigante a tre teste, non c’era nulla di
eccessivamente interessante:
nessuno dava veramente retta ai divieti di Gazza, e per quanto
riguardava la
Foresta Proibita…
“E’
altresì mio doloroso compito informarvi che
quest’anno
non ci sarà la Coppa del Quidditch”.
“CHE COSA?”.
La voce di Harry rimbombò
nel silenzio più totale. Fu il
solo a riuscire ad emettere un suono: tutti gli altri, me compreso,
sembravano
troppo stupefatti per profferire una singola parola. Fred e George
sembravano
aver ricevuto una violenta botta in testa. Dal canto mio, ero
incredibilmente
rattristato: Grifondoro deteneva la Coppa, quindi avremmo dovuto
difenderla, un
compito che aspettavamo fin dal termine dell’anno precedente.
Sei elementi su
sette della squadra vincitrice erano pronti a cercare il bis: soltanto
Baston,
il nostro Portiere e Capitano, aveva terminato gli studi. Per me, si
trattava
sostanzialmente di una nuova condanna alla panchina: ammesso che il
nuovo Capitano
non decidesse di limitare i provini al solo ruolo vacante, era
praticamente
impossibile che riuscissi a scalzare una delle tre Cacciatrici
titolari. Oltre
ad essere molto abili se prese singolarmente, infatti, Angelina, Katie
e Alicia
avevano sviluppato, negli anni, una coordinazione che sfiorava la
preveggenza,
quindi nessun leader sano di mente le avrebbe separate. Anche rimanendo
una
riserva, però, vivere di nuovo le emozioni della Coppa, e
magari infliggere
un’altra sonora sconfitta a Serpeverde, era una delle ragioni
per le quali
aspettavo il ritorno a scuola con maggiore trepidazione. Le parole di
Silente,
quindi, mi avevano colpito duramente, al punto che non riuscivo neanche
a
chiedermi cosa mai potesse essere accaduto di tanto straordinario da
provocare
la cancellazione dell’intrattenimento preferito
dall’intera scolaresca.
“Ciò
è dovuto – riprese Silente – a un evento
che prenderà
il via in ottobre e continuerà per tutto l’anno
scolastico, impegnando molto
del tempo e delle energie degli insegnanti: sono sicuro che
però vi divertirete
tutti enormemente! Ho l’immenso piacere di annunciare che
quest’anno a
Hogwarts…”.
Un tuono più violento
degli altri interruppe la spiegazione
del preside, e nello stesso istante le porte della Sala Grande si
spalancarono.
Gli sguardi di tutti corsero
all’uomo vestito con un mantello
nero da viaggio che apparve sulla soglia e, abbassato il cappuccio,
iniziò ad
avanzare verso il tavolo degli insegnanti. Non si udì
neanche un singolo
mormorio da parte dei quattro tavoli: in maniera simile a quanto era
avvenuto
con l’annuncio-shock di Silente, tutti i ragazzi sembravano
troppo sorpresi per
spiccicare parola.
Un sentimento che non potevo che
condividere: l’aspetto
dello sconosciuto era abbastanza strano ed inquietante da togliere il
fiato. Alla
luce dei lampi potetti vederlo abbastanza bene: aveva
un’età indefinibile, ma
apparentemente abbastanza avanzata a giudicare dalla chioma di capelli
color
ferro che avvolgeva la sua testa, eppure non mostrava alcuna debolezza,
nonostante le condizioni tutt’altro che perfette che
mostrava. Il suo volto
duro era letteralmente coperto di cicatrici, mancava di un grosso pezzo
di
naso, ma la parte più inquietante erano senza dubbio gli
occhi spaiati: uno era
piccolo, scuro e lucente, l’altro grande, rotondo e di coloro
blu elettrico.
Per un istante pensai che si trattasse di un occhio elettronico, come
quelli
che dall’altra parte avevo visto in parecchi film di
fantascienza, poi compresi
che, naturalmente, doveva essere magico. La sola cosa certa era che
l’uomo
aveva perduto uno dei suoi, e questo, unito agli altri danni fisici che
mostrava, non faceva che renderlo ancora più impressionante.
Camminava
appoggiandosi ad un bastone e zoppicando vistosamente. Uno dei due
piedi
emetteva un rumore sordo quando toccava il pavimento, e questo mi
portò immediatamente
a credere che avesse anche una gamba artificiale. Nel complesso,
sembrava un
uomo distrutto e ricostruito alla meglio, ma trasmetteva ugualmente una
notevole sensazione di potere.
Questo agli altri, perché
a me trasmise anche qualcosa in
più: nell’istante nel quale l’occhio blu
elettrico, che girovagava nell’orbita
osservando l’intera stanza, si posò su di me,
avvertii qualcosa nella mente:
avevo imparato a riconoscere gli avvisi del mio “Senso di
Ragno”, ma questa
volta si trattava di un avviso perfino più generico di
quelli dell’anno
precedente. Sentivo che c’era qualcosa di strano dietro
all’uomo che stava
attraversando la stanza, qualcosa che andava oltre il solo aspetto
bizzarro.
Non ero affatto sicuro, però, che fosse qualcosa di
negativo: era un impulso
abbastanza remoto ed elusivo da essere incomprensibile.
L’uomo, d’altronde, era
abbastanza fuori posto all’interno della Sala Grande da poter
destare
apprensione anche in chi non aveva percezioni extrasensoriali.
L’uomo non
sembrò accorgersi della mia analisi approfondita:
l’occhio passò oltre, girandosi infine verso il
retro della testa. Lo straniero
raggiunse il tavolo degli insegnanti, strinse la mano a Silente e
scambiò
brevemente alcune parole con lui, poi, ad un cenno del preside, si
sedette nel
posto vuoto alla sua destra. Il posto dell’insegnante di
Difesa Contro le Arti
Oscure.
Mentre il nuovo arrivato iniziava a
mangiare, Silente tornò
a rivolgersi alla sala: “Vorrei presentarvi il vostro nuovo
insegnante di
Difesa Contro le Arti Oscure: il professor Moody!”.
Di solito un nuovo insegnante veniva
accolto da un applauso
degli studenti e dei suoi colleghi. Era successo l’anno
prima, quando il
preside aveva presentato Lupin e Hagrid. In quel momento,
però, solo il
guardacaccia e Silente applaudirono, ed il suono delle loro mani
riverberò nel
silenzio assoluto della Sala Grande: tutti sembravano essere
decisamente troppo
sconvolti per il bizzarro aspetto di Moody per riuscire a festeggiarne
l’arrivo. Un sentimento nel quale mi riconoscevo pienamente:
non sapevo cosa
pensare della strana sensazione che avevo provato incrociando lo
sguardo
dell’uomo, ma anche senza contare le mie misteriose
percezioni, sicuramente mi
metteva addosso una notevole dose di inquietudine. Non sapevo chi
fosse, anche
se dai brusii che udivo intorno a me sembrava che non si trattasse di
uno
sconosciuto per chi era cresciuto nel mondo magico inglese, ma la sola
idea che
un simile personaggio dovesse insegnare a dei bambini mi risultava
difficile da
accettare.
Qualsiasi ulteriore domanda,
però, dovette essere rinviata,
perché Silente riprese a parlare da dove era stato
interrotto: “Come stavo
dicendo, nei prossimi mesi avremo l’onore di ospitare un
evento molto
emozionante, che non ha luogo da oltre un secolo. E’ con
grande piacere che vi
annuncio che il Torneo Tremaghi quest’anno si
terrà ad Hogwarts!”.
“STA SCHERZANDO!”.
L’urlò di Fred
Weasley risuonò come un colpo di pistola, e
improvvisamente la sala fu piena di rumore. Ero interdetto: per me il
nome che
il preside aveva appena pronunciato non significava assolutamente
nulla, e lo
stesso, a giudicare delle facce, sembrava valere per parecchi degli
altri
studenti. Non per tutti però: diversi ragazzi osservavano
Silente con sguardi
che andavano dallo stupore all’entusiasmo, fino alla
bramosia.
La successiva spiegazione del preside
mi chiarì
perfettamente le ragioni di simili atteggiamenti: il Torneo Tremaghi
era una
competizione vecchia di sette secoli, nuovamente organizzata,
nonostante le
molte difficoltà, dopo una sospensione centenaria, nella
quale si affrontavano
i campioni delle principali scuole magiche d’Europa. Tre
rappresentanti di
Hogwarts, Beuxbatons e Durmstrang si sarebbero sfidati in tre
complicate prove
di magia. Le delegazioni delle altre due scuole sarebbero arrivate in
ottobre,
ad Halloween un giudice imparziale avrebbe selezionato i migliori, che
avrebbero gareggiato nel corso dell’anno. Il vincitore, oltre
alla gloria
eterna per se e per la sua scuola, avrebbe portato a casa un premio
personale
di mille galeoni.
La cifra era abbastanza elevata da
far girare la testa anche
a me: le preoccupazioni che avevano accompagnato il mio viaggio verso
la scuola
furono in un istante obliterate dall’idea di compiere
un’impresa tanto grande. In
un istante mi vidi nel ruolo di Campione Tremaghi, acclamato
dall’intera
scuola. Joshua Carter era stato un ragazzo relativamente timido, poco
desideroso di trovarsi al centro dell’attenzione, ma Matteo
Simoncini aveva
sempre posseduto un carattere decisamente diverso. A lui non sarebbe
dispiaciuto affatto poter competere per dimostrare le sue
capacità.
Le successive parole di Silente,
però spensero l’entusiasmo
di molti: “Pur sapendo quanto ognuno di voi sia desideroso di
portare ad
Hogwarts la Coppa Tremaghi, abbiamo deciso di imporre un limite
d’età: solo gli
studenti di almeno diciassette anni potranno proporsi per la selezione
– il
preside spense le proteste alzando di pochissimo la voce –
Questo perché le
prove saranno molto difficili, nonostante il nostro impegno per
garantire la
sicurezza, ed è improbabile che uno studente sotto il sesto
anno possa essere
in grado di affrontarle. Mi assicurerò personalmente che
nessuno sotto i
diciassette anni possa ingannare il giudice imparziale, quindi evitate
di
provarci”.
Silente prese per un secondo fiato,
dando modo a tutti di
fare i conti con la bomba che aveva appena sganciato. Per quanto mi
riguardava,
dovevo ammettere di essere un po’ dispiaciuto, ma non quanto
la maggior parte
degli altri: la vera età della mia mente, benché
per molti versi fossi tornato
a pensare come un adolescente, mi concedeva un grado di riflessione
leggermente
superiore rispetto ai miei compagni, quindi potevo in qualche modo
capire la
scelta fatta dagli adulti. Già di per se, l’idea
di una pericolosa competizione
affrontata da un trio di ragazzi mi lasciava più di qualche
dubbio, ma far
competere dei quattordicenni sarebbe stato delirante.
“Il resto della scuola non
avrà comunque di che annoiarsi
nel corso dell’anno, e non dovranno limitarsi a fornire il
massimo sostegno al
campione che sarà designato per difendere i colori di
Hogwarts. Dall’edizione
di quest’anno, infatti, proprio per garantire una maggiore
partecipazione degli
studenti dei tre istituti alla competizione, sono stati inseriti alcuni
eventi
collaterali, dei quali vi parlerò maggiormente nel dettaglio
in seguito, ai
quali potranno prendere parte anche altri studenti oltre al campione, e
che
anche senza avere lo stesso prestigio della Coppa Tremaghi garantiranno
ugualmente gloria e onori ai vincitori”.
Fu un istante, non di più.
Una frazione di secondo. Se non
fossi stato abituato, dopo un anno di vita molto particolare, a notare
fin nei
minimi dettagli le mie sensazioni, probabilmente non me ne sarei
neanche reso
conto. Anche se la avvertii, però, non sarei mai stato in
grado di descrivere a
pieno la strana impressione che le ultime parole di Silente mi avevano
suscitato: per un singolo momento, avvertii come un senso
di… dissociazione. Il
miglior paragone che sarei stato in grado di trovare fu un bug
all’interno di
un videogioco. Scossi la testa, guadagnandomi un’occhiata
preoccupata da parte
di Mary. Le rivolsi un sorriso per farle capire che stavo bene mentre
Silente
concludeva il banchetto e gli studenti iniziavano ad alzarsi, ma nella
mia
testa si era improvvisamente scatenata una baraonda: che diavolo era
accaduto?
Era come se la realtà avesse subito un improvviso scossone,
e nonostante la
sensazione fosse rapidamente scomparsa, era evidente che fosse accaduto
qualcosa di molto, molto strano.
Ci stavamo riunendo in fila per
uscire dalla Sala Grande,
quando udii alle mie spalle una voce strascicata: “Non avere
fretta, Carter.
Devo parlarti”.
Mi bloccai, resistendo alla
tentazione di gettare gli occhi
al cielo. Mary, al mio fianco, si fermò a sua volta,
guardandomi con un mix di
sorpresa e timore, ma io, con un piccolo gesto, le segnalai di andare
avanti,
per poi voltarmi a fronteggiare il professor Piton. La faccia
dell’uomo era
abbastanza inespressiva: non sembrava arrabbiato, ma mostrava una fin
troppo
tipica vena di disprezzo, come se stesse facendo un grosso sforzo per
parlare
con me in maniera civile. Non riuscivo neanche ad immaginare cosa
volesse da me
l’insegnante che probabilmente apprezzavo di meno in tutta la
scuola: ero certo
di non avere, per il momento, fatto nulla di sbagliato, non avevo avuto
il
tempo materiale per mettermi nei guai, ed avevo strappato la
sufficienza in Pozioni
l’anno precedente, quindi non trovavo una ragione per la
quale Piton avesse
bisogno di parlarmi prima ancora che la scuola iniziasse ufficialmente.
Cercando di essere quanto
più educato possibile e di non far
trasparire la minima traccia di fastidio, dissi: “Certamente,
Professore. Mi
dica”.
La bocca di Piton si contorse, come
se avesse dato un morso
ad un limone: “Avrai sentito, immagino, l’annuncio
del Preside”.
Mi limitai ad annuire, non riuscendo
a capire dove volesse
andare a parare.
“Gli eventi secondari del
Torneo Tremaghi saranno
ufficialmente annunciati dopo l’arrivo delle delegazioni
delle altre due scuole
– continuò – Una di esse,
però, sarà una competizione di duello tra una
selezione di rappresentati di Hogwarts, di Beuxbatons e di
Durmstrang”.
Eccola di nuovo. Ancora una volta,
ebbi la strana sensazione
che la realtà si fosse per un istante dissociata, come se
due immagini si
fossero sovrapposte per una frazione di secondo prima che
ciò che avevo davanti
tornasse a fuoco. Sbattei un paio di volte le palpebre nel tentativo di
comprendere cosa fosse accaduto, ma tutto era tornato normale troppo in
fretta perché
potessi trovare una spiegazione.
Piton si rese conto del mio
smarrimento, perché inarcò un
sopracciglio: “Ti sembra una notizia così assurda,
Carter”.
“M…mi scusi,
Professore – risposi prontamente, cercando di
riportare i miei pensieri sulla conversazione in corso – Ho
solo avuto un
piccolo giramento di testa. Un torneo di duello, ha detto?”.
L’insegnante di Pozioni mi
fissò per qualche secondo, come
nel tentativo di capire se stessi dicendo la verità, poi,
decidendo
apparentemente di non essere interessato al mio stato di salute,
riprese: “Si.
Come ha detto il Professor Silente, per questa edizione del Torneo
Tremaghi
sono stati organizzati degli eventi esterni alla competizione tra i tre
Campioni, in modo da coinvolgere maggiormente il resto degli studenti.
Uno,
sarà, appunto, un confronto diretto per mettere alla prova
le capacità nel
duello magico delle tre scuole. In questo caso, poiché si
tratterà di scontri
relativamente amichevoli, senza l’impiego di incantesimi
potenzialmente letali
e attentamente sorvegliati dagli arbitri, è stato deciso di
permettere la
partecipazione a studenti dal quarto anno in su, purché
abbiano le necessarie
capacità”.
Cercando di rimuovere la strana
sensazione che avevo
provato, focalizzai l’attenzione su ciò che Piton
stava dicendo, ed un fremito
mi attraversò: possibile che…?
“Ogni scuola
schiererà quattro combattenti, che si
affronteranno in una serie di scontri singoli –
proseguì Piton - Il Preside ha
scelto uno degli insegnanti per organizzare e condurre la squadra di
Hogwarts.
In teoria, il professor Vitious, che in gioventù
è stato campione di duelli,
sarebbe stato una scelta ovvia, ma proprio per la sua esperienza
è stato
selezionato come arbitro degli incontri insieme a due insegnanti di
Durmstrang
e Beuxbatons. Sarò io, quindi, a selezionare i
partecipanti”.
Possibile? Veramente? Piton intendeva
sul serio quello che
stavo immaginando?
“Voglio una risposta
adesso, Carter. Sei disposto a prendere
parte alla competizione?”.
Lo avevo intuito, è vero,
ma non riuscii a fare a meno di
sgranare gli occhi quando il professore confermò la mia
sensazione: voleva
realmente che io entrassi a far parte della squadra di Hogwarts?
“Vuole che io…
che sia uno dei membri della squadra?”
chiesi, mettendo una notevole dose di incredulità nelle mie
parole. Lasciando
perdere il fatto che andare immediatamente a scegliere un ragazzo del
quarto
anno senza neanche passare in rassegna i ragazzi più grandi
mi sembrava
insolito, l’idea che Severus Piton, che non mi aveva mai
dimostrato alcuna
simpatia, viste anche le mie limitate abilità nella sua
materia, venisse a
chiedere proprio a me di partecipare era quasi incredibile. La mia vena
competitiva stava vibrando come la corda di una chitarra, ma anche se
il ‘Senso
di Ragno’ taceva, non potevo fare a meno di avvertire
qualcosa di molto strano.
Il disprezzo sul volto di Piton
aumentò di parecchi livelli:
“Se non sei interessato…”
iniziò a dire.
“No, no! – mi
affrettai a precisare – Non è che non sono
interessato! Solo che… ecco… perché
io, Signore?” chiesi, con tutto il rispetto
e la curiosità possibili.
Piton sospirò, come a
farmi capire che riteneva superflua
qualsiasi spiegazione, poi iniziò: “Ognuna delle
tre scuole ha proposto un
differente tipo di competizione accessoria, basandosi, ovviamente,
sulle
caratteristiche migliori dei suoi studenti. Hogwarts, vista
l’importanza che ha
il campionato da noi ed il livello dei nostri giocatori, ha proposto un
torneo
di Quidditch. Beuxbatons ha ideato una gara di pura conoscenza magica.
L’idea
di una competizione di duelli è stata lanciata da
Durmstrang, che ha la magia
da combattimento come materia a parte nel suo curriculum di studi.
Hogwarts,
purtroppo, in questo campo mostra delle grosse lacune: i duelli sono
trattati
in maniera molto blanda e considerati parte di Incantesimi e Difesa
Contro Le
Arti Oscure. Inoltre, salvo un pietoso tentativo di rilancio un paio di
anni fa,
da quasi due decenni non esiste più un Club dei Duellanti
– il suo disprezzo
salì a livelli inquietanti per un secondo quando, lo capii
subito, nella sua
mente ricomparve l’immagine del suo imbarazzante scontro con
Allock – Da quando
il Professor Silente mi ha comunicato, alcune settimane fa, che la
competizione
era stata approvata, ho iniziato a pensare ai potenziali membri della
squadra
di Hogwarts, e ho concluso di essere pietosamente a corto di candidati:
non c’è
un singolo elemento di questa scuola del quale mi fiderei nel caso
dovessi
combattere in duello – mi fissò direttamente negli
occhi – Per quanto mi secchi
dirlo, nella generale mediocrità tu non sei uno dei
peggiori”.
Detto da uno come Piton, una frase
simile equivaleva a dirmi
che ero un elemento di spicco! Non riuscii a nascondere la sorpresa:
“Dice sul
serio, Professore?”.
Piton gettò gli occhi al
cielo, come chiedendosi se fosse il
caso di rimangiarsi le sue ultime parole, poi rispose:
“Sfortunatamente, si –
tornò ad abbassare lo sguardo e lo puntò
direttamente contro di me – Credevi
veramente che non sarei venuto a sapere del tuo piccolo alterco con
Nott sulla
riva del lago?”.
Sentii il mio sangue trasformarsi in
ghiaccio: se Piton
sapeva realmente che avevo malmenato Nott, era un miracolo che io fossi
ancora
ad Hogwarts!
Il professore dovette notare la mia
paura, perché un sorriso
maligno si dipinse sul suo volto: “Esattamente. Appena
rientrato a scuola, Nott
è venuto da me a piagnucolare perché tu lo avevi
aggredito. Ti avrei volentieri
fatto espellere seduta stante, non fosse stato perché la
storia che mi aveva
raccontato aveva più lacune di una tua pozione. Ho torchiato
un po’ Nott, e a
quel punto mi ha raccontato ciò che aveva fatto a Mary
Sutton prima che tu lo
massacrassi – Piton sospirò, quasi fosse
dispiaciuto per non aver avuto modo di
cacciarmi dalla scuola – In simili condizioni, come minimo
sareste stati
espulsi entrambi, quindi ho deciso di soprassedere. Non ho
però dimenticato
quanto facilmente avessi battuto Nott, che pur essendo un idiota non
è di
sicuro il peggiore studente di Hogwarts. C’è poi
da considerare quello che è
successo questa estate alla Coppa del Mondo di Quidditch”.
Non riuscii a trattenermi:
“Sono stato sconfitto nello
scontro al campeggio, e anche malamente!”.
Piton sbuffò, quasi a
sottolineare la mia ottusità: “Sei
sopravvissuto, che è più di quanto mi sarei
aspettato da uno studente messo di
fronte ad un Mangiamorte. Considerando la manica di teste di legno che
compongono la maggior parte del corpo studentesco quando si parla di
duelli,
sei qualificato per fare parte della squadra di Hogwarts, sperando che
siate in
grado di farci fare una figura non completamente pessima”.
Ero in totale confusione: Piton mi
stava offrendo di fare
parte di un gruppo da lui guidato. Non mi sarei mai aspettato un simile
sviluppo. La sola cosa che riuscii a fare fu annuire con la testa.
A Piton sembrò bastare:
“Ti comunicherò nei prossimi giorni
la data ed il luogo del primo allenamento della squadra. Ti conviene
non
deludermi, o ti assicuro che renderò la tua vita a scuola
straordinariamente
miserabile” poi si voltò e si diresse nuovamente
verso il tavolo dei
professori.
Mi mossi a mia volta per raggiungere
l’Ingresso. Mentre salivo
le scale verso la Torre di Grifondoro, cercai di mettere ordine nei
miei
pensieri. La totalmente imprevista decisione di Piton mi aveva lasciato
a bocca
aperta: la possibilità di prendere parte alla competizione
non soltanto
solleticava la vena competitiva di Matteo Simoncini, ma mi forniva
anche la
possibilità di allenarmi nel combattimento, cosa della quale
sentivo di avere
bisogno, in maniera palese.
Non era però quello il
punto centrale delle mie riflessioni:
la mia mente continuava a tornare ai due istanti di smarrimento che
avevo provato
mentre Silente prima e Piton poi parlavano delle competizioni
secondarie del
Torneo Tremaghi. Continuavo ad avere la sensazione che qualcosa non
quadrasse
per niente. Cercai disperatamente di scavare nella mia memoria, nel
tentativo
di capire di cosa si trattasse, ma si rivelò completamente
inutile: i miei
ricordi relativi alla saga ‘originale’
continuavano, inevitabilmente, a
fermarsi al novembre dell’anno precedente, quindi non avevo
modo di paragonare
ad essa ciò che stava succedendo. Non potevo comunque fare a
meno di pensare
che quella sera fosse accaduto qualcosa di molto, molto strano, e vista
la
situazione complicata che già stavo vivendo, non potevo non
sentirmi
estremamente preoccupato.