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Autore: Marco1989    10/05/2021    1 recensioni
Non conta il tuo passato, non contano i tuoi errori, non conta la vita che hai perso o quella che desideri, perché quando arriverà la tempesta potrai solo sperare di essere pronto ad affrontarla.
Sequel di 'A strange, new world', occorre aver letto la prima storia.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Seamus Finnigan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A strange, new world'
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RITORNO AD HOGWARTS

Il tempo rimase terribile per tutto il viaggio sul treno: il cielo color piombo era solcato da fulmini, e la pioggia non smise mai di cadere a cascata mentre l’Hogwarts Express si dirigeva verso nord. Io, Dean, Seamus, Neville, Ginny e Mary ci eravamo riuniti in uno scompartimento, e Sheila non aveva voluto staccarsi da me. Per quanto la ragazzina cercasse di mostrare un volto spavaldo, era chiaramente intimorita da ciò che l’attendeva alla fine del viaggio, e non smise per un secondo di fare domande sull’attraversamento in barca del lago e sulla cerimonia di smistamento. Per quanto noioso potesse essere rispondere per ore alle curiosità di un’undicenne, le fui grata: concentrando su di se l’attenzione di tutto il gruppo, riuscì a defletterla da me, evitandomi di dover raccontare a tutti quello che era accaduto al campeggio. Dal volto di Mary traspariva una notevole preoccupazione, così come su quelli di Dean e Neville si poteva leggere una curiosità al limite del morboso. Prima o poi avrei dovuto rispondere a parecchie domande, ma ero più che felice di poter rimandare quel momento.

In realtà l’intero viaggio mi vide assai poco presente nelle conversazioni, anche se cercai di dimostrarmi allegro e di rispondere nella giusta maniera quando i miei amici mi coinvolgevano con qualche domanda. La verità era che più Hogwarts si avvicinava, più sentivo un peso depositarmisi sul cuore: non sarei stato capace di dire perché, ma la prospettiva di tornare al castello sembrava essere diventata molto meno allettante rispetto a pochi giorni prima. Era una sensazione strana, indistinta, melmosa. Inizialmente avevo creduto che fossero soltanto le conseguenze della brutta avventura vissuta dopo la Coppa del Mondo di Quidditch, ma mentre il castello iniziava a delinearsi all’orizzonte (quando le torri comparvero, stagliandosi contro il cielo d’acciaio, mia sorella, dimentica delle sue paure, iniziò a saltare per l’entusiasmo) compresi che l’origine del mio malessere non era da ricercare nel passato, bensì nel futuro. Se la Signora Voce non si era più fatta sentire dopo il duello, il mio “Senso di Ragno” mi stava lanciando un allarme, straordinariamente generico ma continuo. Era come se qualcosa di orribile, di mostruoso, stesse volteggiando sopra il luogo che avevo imparato ad amare quanto la mia casa, e questo non poteva che spaventarmi.

 

Mi ritrovai a varcare le porte della Sala Grande praticamente senza sapere dove fosse finita la discesa dal treno ed il viaggio nelle carrozze, tanto mi ero mosso automaticamente. Perfino il tentativo di Pix di colpirci con un gavettone d’acqua gelata non mi aveva scosso dai miei pensieri cupi. L’immenso ambiente, però, portò un po’ di calore nel mio cuore: era come ritrovare un vecchio amico. Lanciai un’occhiata al tavolo degli insegnanti, dove Silente, come al solito, occupava la sedia simile ad un trono posta al centro, circondato dagli altri professori. Feci scorrere gli occhi da una parte all’altra, nella puerile speranza di vedere il volto prematuramente invecchiato ma sereno di Lupin: sapevo che si era dimesso due mesi prima, ma avevo conservato il sogno che il mio insegnante preferito avesse cambiato idea ed avesse deciso, contro ogni logica, di restare un altro anno a scuola. Non soltanto, invece, non vidi il licantropo, ma il posto solitamente occupato dal professore di Difesa contro le Arti Oscure era vuoto.

Seamus probabilmente lo notò quasi nello stesso istante, perché esclamò: “Possibile che non abbiano trovato nessuno per sostituire Lupin?”.

“Può anche essere – rispose Dean – Si dice da anni che quel lavoro sia maledetto. Solo noi ne abbiamo visti passare tre in tre anni, e un ragazzo del settimo anno mi ha detto che in quelli precedenti è sempre andata nello stesso modo”.

Non avessi avuto il cervello stipato di pensieri mi sarei chiesto come avrebbero fatto a coprire le ore di Difesa: esistevano i supplenti nel mondo magico? Neanche Joshua aveva una risposta precisa su questo argomento. Mentre ci sedevamo al tavolo di Grifondoro feci scorrere gli occhi lungo le due file di panche, quasi per avere la certezza che i miei compagni fossero tutti lì dopo le travagliate avventure che molti avevano vissuto pochi giorni prima. Qualche posto più in giù vidi Harry, Hermione e Ron, che come al solito parlottavano tra loro. A quanto avevo sentito, Harry si era trovato a pochi metri dall’uomo che aveva lanciato in cielo il Marchio Nero e che, involontariamente, mi aveva salvato la vita. Mi ero chiesto molte volte chi fosse: avevo compreso che quello per lanciare il Marchio non era sicuramente un incantesimo di pubblico dominio, e che solo i Mangiamorte lo conoscevano. Chiunque fosse diventato negli anni l’uomo che aveva fatto comparire l’orribile figura sopra Dartmoor, un tempo doveva per forza essere stato uno dei più stretti seguaci di Voldemort, e questo lasciava aperti degli interrogativi enormi.

Ero ancora preso da questi pensieri quando le porte della Sala Grande si aprirono, e la McGrannitt entrò conducendo un gruppo di alcune decine di bambini, con i vestiti completamente inzuppati ed i volti mostravano sentimenti che andavano dal nervosismo al più puro terrore, ad eccezione di uno: il più piccolo, uno scricciolo dai capelli color topo avvolto nell’enorme pastrano di talpa di Hagrid, rivolse un sorriso estasiato verso il tavolo di Grifondoro alzando entrambi i pollici. Quando vidi Colin Canon rispondere al suo saluto, riconobbi una notevole somiglianza tra i due, e non potetti fare a meno di alzare gli occhi al cielo: anche in un luogo grande come Hogwarts credevo che un solo Canon fosse più che sufficiente.

Mentre la McGrannitt sistemava lo sgabello con sopra il Cappello Parlante, scorsi la fila di nuovi studenti fino a trovare Sheila: appariva estremamente nervosa, ma i suoi occhi non mostravano la medesima nota di panico di alcuni dei suoi compagni, forse perché grazie a me, al contrario di loro, conosceva effettivamente le modalità dello smistamento, e sapeva di non avere nulla da temere, almeno a livello fisico.

Ascoltando solo con la coda dell’orecchio la canzone del Cappello, diversa da quella che avevo sentito io solo un anno prima, sentendomi estremamente fuori posto da tredicenne in mezzo ad un branco di primini, pensai ai tanti discorsi che io e mia sorella avevamo fatto durante l’estate in relazione alla sua possibile futura Casa. Diverse volte, citando come ragione il suo caratterino mordace, le avevo preannunciato una probabile selezione in Serpeverde, con l’idea di farla arrabbiare, ma ottenendo pochi risultati: essendo cresciuta, come Joshua, negli Stati Uniti, la ragazzina aveva maggiore dimestichezza con le Case di Ilvernmorny piuttosto che con quelle di Hogwarts, perciò sapeva ben poco della pessima fama delle Serpi. In realtà, non ero affatto convinto di quale potesse essere la destinazione più adatta per Sheila. L’avevo realmente conosciuta solo per pochi mesi, anche se potevo attingere alle vecchie memorie di Joshua, quindi non potevo valutare bene ogni aspetto del suo carattere: certo, era molto intelligente, ma non esattamente una maniaca dello studio. Nelle nostre discussioni aveva mostrato una notevole vena di furbizia, oltre che la capacità di accattivarsi il consenso degli altri, che si trattasse di mia madre o di me. La questione della Coppa del Mondo era stata un’eccezione, dovuta a cause di forza maggiore, ma quasi sempre Sheila riusciva ad ottenere quello che voleva. Aveva una lingua molto tagliente, perfino per un’undicenne, e quando si arrabbiava sapeva colpire decisamente sotto la cintura, anche se spesso finiva per pentirsi rapidamente delle cose che diceva quando finiva per esagerare, pur arrivando di rado a chiedere scusa. Non avrei saputo cosa dire riguardo a cose come ‘coraggio’ e ‘audacia’, ma sicuramente aveva una notevole abilità nel ribaltare le situazioni a suo favore, e questo un po’ mi preoccupava: benché fossi arrivato da un solo anno e nonostante il mio particolare status, mi sentivo un Grifondoro fino nel midollo, e non potevo fare a meno di pensare che i colori verde e argento potessero trovarsi nell’immediato futuro di mia sorella. Benché i miei ricordi relativi all’altra parte fossero ancora limitati nel tempo, ricordavo di aver sempre trovato leggermente razzista l’ostilità di principio nei confronti di Serpeverde. Ciò che avevo vissuto l’anno precedente, però, non mi aveva certamente aiutato ad avere una mente più aperta nei confronti della Casa rivale. A questo si aggiungeva Nott: temevo seriamente per la felicità, e perfino per la salute di Sheila se il bastardo si fosse ritrovato una Carter a portata di mano e di bacchetta.

Mi accorsi che il cappello era pronto alle sue scelte soltanto quando la McGrannitt chiamò ad alta voce “Ackerley, Stewart”. Mentre il ragazzo veniva assegnato ai Corvonero, lanciai una minuscola e silenziosa preghiera verso l’oggetto magico affinché dimostrasse abbastanza senno da evitare ad una ragazzina entusiasta di trovarsi in un guaio per il quale non aveva alcuna colpa.

Prestai poca attenzione ai diversi ragazzini che raggiungevano lo sgabello e venivano smistati nelle Case, almeno finché non toccò a Dennis Canon. Mentre il minuscolo fratello di Colin barcollava verso il cappello trascinandosi dietro l’enorme pastrano di Hagrid notai improvvisamente uno strano dettaglio: non riuscivo a ricordare cosa mi avesse detto il Cappello prima di assegnarmi a Grifondoro. Sapevo bene che il potente oggetto magico giustificava, solitamente, le sue scelte, ed ero certo che avesse spiegato a Joshua perché avesse deciso di porlo nella Casa di Godric. Era insolito, considerando che ricordavo praticamente ogni minuto dell’anno precedente, anche prima del mio ‘viaggio’, anche se non credevo si trattasse di qualcosa di fondamentale: semplicemente, il Joshua Carter che aveva partecipato allo Smistamento era una persona molto diversa da quella che, un anno dopo, assisteva da spettatore alla stessa scena. Provai l’improvvisa, folle curiosità di indossare nuovamente il Cappello Parlante: non potevo fare a meno di chiedermi se avrebbe assegnato anche il nuovo ‘me’ a Grifondoro. Per quanto timido, Joshua poteva essere stato coraggioso e audace, magari senza neanche saperlo, ma il nuovo mix tra lui e Matteo Simoncini era assai più complesso e sfaccettato. Per quanto mi desse una certa sensazione di malessere pensarlo, un’uniforme bordata di verde e argento non avrebbe stonato neanche addosso a me.

“Grifondoro!” urlò il Cappello riscuotendomi dai miei pensieri e scatenando l’applauso del mio tavolo, anche se mentre un sorridente Dennis correva a cercare un posto vicino al fratello notai diverse facce esasperate, prima tra tutte quella di Harry.

“Carter, Sheila”.

Il tempo sembrò rallentare mentre tutta la mia attenzione si concentrava sulla ragazzina nervosa e leggermente tremante che si avvicinava allo sgabello e indossava l’artefatto magico subito dopo essersi seduta. Incrociai le dita senza farmi vedere, sperando che tutto andasse bene.

Occorse decisamente più tempo rispetto ai ragazzi che avevano preceduto Sheila: vedendo il volto concentrato di mia sorella, sembrava che nella sua mente si stesse svolgendo una discussione molto accesa. Ci vollero quasi due minuti prima che lo strappo vicino all’orlo del Cappello si spalancasse: “Serpeverde!” urlò alla fine.

Sentii il mio stomaco sprofondare, come se si fosse improvvisamente riempito di piombo. Dal tavolo dei Serpeverde si levò un applauso, che però mi parve poco convinto, cosa che incrementò le mie preoccupazioni: le Serpi sapevano fin troppo bene con chi era imparentata la loro nuova leva, e stavano valutando le implicazioni di quella scelta.

Dal tavolo di Grifondoro arrivarono alcune imprecazioni soffocate, soprattutto da parte dei miei amici: molto spesso i fratelli finivano nella stessa Casa, anche se non si trattava di una regola inderogabile, e tutti avevano da subito dato per scontato che Sheila sarebbe stata una Grifondoro. Dean mi guardò con delusione, quasi come se l’accaduto fosse stato colpa mia: “Credevo che tua sorella fosse a posto” borbottò.

“Lo è” dissi con notevole durezza e fulminandolo con lo sguardo, tanto che il ragazzo abbassò gli occhi imbarazzato. Sentii qualcosa afferrare la mia mano, e quando mi voltai vidi che Mary l’aveva afferrata con la sua. La mia amica mi sorrise: “Tranquillo, se la caverà”.

Quasi involontariamente avvertii i lati della mia bocca incurvarsi verso l’alto. Cara, dolce Mary! Ancora una volta aveva dimostrato di sapermi capire ad una velocità incredibile, e di avere la capacità di calmarmi solo con poche parole. Speravo che avesse ragione, ma non potetti fare a meno di lanciare uno sguardo verso il tavolo di Serpeverde: se la maggior parte dei ragazzi sembrava abbastanza interdetta, il disgusto negli occhi di Nott era inconfondibile, e aumentò ancora quando si voltò leggermente per fissarmi. Sentii immediatamente un fortissimo odore di guai. Cercai di guardare il mio rivale con tutta la durezza della quale ero capace, provando a trasmettergli un’immagine mentale del destino che gli avrei riservato se avesse osato fare del male a Sheila, ma in qualche modo dubitavo che sarebbe stato sufficiente.

A mala pena sentii il resto dello Smistamento, e compresi che era terminato solo quando udii la voce profonda di Silente echeggiare nella sala: “Ho una sola parola da dirvi: abbuffatevi!”.

“Ma sicuro!” risposero Harry e Ron a qualche posto da me, per poi lanciarsi sui piatti che si erano magicamente riempiti di cibo.

Il banchetto era spettacolare come sempre, ma non ero nelle condizioni di godermelo al meglio. Mary provò diverse volte a coinvolgermi in una discussione, per poi rinunciare dopo poche battute, fissandomi con sguardo preoccupato.

Benché, volendo andare ad analizzare le cose nel dettaglio, conoscessi effettivamente Sheila solo da pochi mesi, ero arrivato a volerle bene come se fosse sempre stata mia sorella, e sapere di averla messa, per quanto involontariamente, in pericolo mi faceva veramente male: la ragazzina era incredibilmente entusiasta di iniziare la scuola, e adesso rischiava di vivere un’esperienza molto meno gradevole di quanto avrebbe potuto aspettarsi. Sorprendentemente, il problema non mi sembrava il fatto che fosse finita a Serpeverde, ma solo ciò che questo avrebbe significato per lei. La mia rivalità con Nott poteva produrre effetti devastanti.

Una volta che i piatti furono ben ripuliti ed i resti di cibo scomparsi, il preside si alzò di nuovo, e come sempre accadeva il chiacchiericcio tra gli studenti si interruppe di colpo, rendendo ancora più evidente l’ululato del vento e il rombo della tempesta che infuriava fuori.

“Dunque – esordì il preside con un sorriso – Ora che siamo tutti sazi e soddisfatti, devo richiamare ancora una volta la vostra attenzione su alcuni avvisi. Mastro Gazza, il custode, mi ha chiesto di dirvi che la lista di oggetti proibiti all’interno delle mura del castello è estesa agli Yo-yo Ululanti…”.

La mia attenzione scemò rapidamente: se avevo per qualche ragione rimosso lo smistamento di Joshua, la sua memoria combinata a quella di Matteo ricordava almeno due edizioni della famigerata lista di avvisi di inizio anno di Silente. A meno che non vi fosse nuovamente un corridoio proibito con un cane gigante a tre teste, non c’era nulla di eccessivamente interessante: nessuno dava veramente retta ai divieti di Gazza, e per quanto riguardava la Foresta Proibita…

“E’ altresì mio doloroso compito informarvi che quest’anno non ci sarà la Coppa del Quidditch”.

“CHE COSA?”.

La voce di Harry rimbombò nel silenzio più totale. Fu il solo a riuscire ad emettere un suono: tutti gli altri, me compreso, sembravano troppo stupefatti per profferire una singola parola. Fred e George sembravano aver ricevuto una violenta botta in testa. Dal canto mio, ero incredibilmente rattristato: Grifondoro deteneva la Coppa, quindi avremmo dovuto difenderla, un compito che aspettavamo fin dal termine dell’anno precedente. Sei elementi su sette della squadra vincitrice erano pronti a cercare il bis: soltanto Baston, il nostro Portiere e Capitano, aveva terminato gli studi. Per me, si trattava sostanzialmente di una nuova condanna alla panchina: ammesso che il nuovo Capitano non decidesse di limitare i provini al solo ruolo vacante, era praticamente impossibile che riuscissi a scalzare una delle tre Cacciatrici titolari. Oltre ad essere molto abili se prese singolarmente, infatti, Angelina, Katie e Alicia avevano sviluppato, negli anni, una coordinazione che sfiorava la preveggenza, quindi nessun leader sano di mente le avrebbe separate. Anche rimanendo una riserva, però, vivere di nuovo le emozioni della Coppa, e magari infliggere un’altra sonora sconfitta a Serpeverde, era una delle ragioni per le quali aspettavo il ritorno a scuola con maggiore trepidazione. Le parole di Silente, quindi, mi avevano colpito duramente, al punto che non riuscivo neanche a chiedermi cosa mai potesse essere accaduto di tanto straordinario da provocare la cancellazione dell’intrattenimento preferito dall’intera scolaresca.

“Ciò è dovuto – riprese Silente – a un evento che prenderà il via in ottobre e continuerà per tutto l’anno scolastico, impegnando molto del tempo e delle energie degli insegnanti: sono sicuro che però vi divertirete tutti enormemente! Ho l’immenso piacere di annunciare che quest’anno a Hogwarts…”.

Un tuono più violento degli altri interruppe la spiegazione del preside, e nello stesso istante le porte della Sala Grande si spalancarono.

Gli sguardi di tutti corsero all’uomo vestito con un mantello nero da viaggio che apparve sulla soglia e, abbassato il cappuccio, iniziò ad avanzare verso il tavolo degli insegnanti. Non si udì neanche un singolo mormorio da parte dei quattro tavoli: in maniera simile a quanto era avvenuto con l’annuncio-shock di Silente, tutti i ragazzi sembravano troppo sorpresi per spiccicare parola.

Un sentimento che non potevo che condividere: l’aspetto dello sconosciuto era abbastanza strano ed inquietante da togliere il fiato. Alla luce dei lampi potetti vederlo abbastanza bene: aveva un’età indefinibile, ma apparentemente abbastanza avanzata a giudicare dalla chioma di capelli color ferro che avvolgeva la sua testa, eppure non mostrava alcuna debolezza, nonostante le condizioni tutt’altro che perfette che mostrava. Il suo volto duro era letteralmente coperto di cicatrici, mancava di un grosso pezzo di naso, ma la parte più inquietante erano senza dubbio gli occhi spaiati: uno era piccolo, scuro e lucente, l’altro grande, rotondo e di coloro blu elettrico. Per un istante pensai che si trattasse di un occhio elettronico, come quelli che dall’altra parte avevo visto in parecchi film di fantascienza, poi compresi che, naturalmente, doveva essere magico. La sola cosa certa era che l’uomo aveva perduto uno dei suoi, e questo, unito agli altri danni fisici che mostrava, non faceva che renderlo ancora più impressionante. Camminava appoggiandosi ad un bastone e zoppicando vistosamente. Uno dei due piedi emetteva un rumore sordo quando toccava il pavimento, e questo mi portò immediatamente a credere che avesse anche una gamba artificiale. Nel complesso, sembrava un uomo distrutto e ricostruito alla meglio, ma trasmetteva ugualmente una notevole sensazione di potere.

Questo agli altri, perché a me trasmise anche qualcosa in più: nell’istante nel quale l’occhio blu elettrico, che girovagava nell’orbita osservando l’intera stanza, si posò su di me, avvertii qualcosa nella mente: avevo imparato a riconoscere gli avvisi del mio “Senso di Ragno”, ma questa volta si trattava di un avviso perfino più generico di quelli dell’anno precedente. Sentivo che c’era qualcosa di strano dietro all’uomo che stava attraversando la stanza, qualcosa che andava oltre il solo aspetto bizzarro. Non ero affatto sicuro, però, che fosse qualcosa di negativo: era un impulso abbastanza remoto ed elusivo da essere incomprensibile. L’uomo, d’altronde, era abbastanza fuori posto all’interno della Sala Grande da poter destare apprensione anche in chi non aveva percezioni extrasensoriali.

L’uomo non sembrò accorgersi della mia analisi approfondita: l’occhio passò oltre, girandosi infine verso il retro della testa. Lo straniero raggiunse il tavolo degli insegnanti, strinse la mano a Silente e scambiò brevemente alcune parole con lui, poi, ad un cenno del preside, si sedette nel posto vuoto alla sua destra. Il posto dell’insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure.

Mentre il nuovo arrivato iniziava a mangiare, Silente tornò a rivolgersi alla sala: “Vorrei presentarvi il vostro nuovo insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure: il professor Moody!”.

Di solito un nuovo insegnante veniva accolto da un applauso degli studenti e dei suoi colleghi. Era successo l’anno prima, quando il preside aveva presentato Lupin e Hagrid. In quel momento, però, solo il guardacaccia e Silente applaudirono, ed il suono delle loro mani riverberò nel silenzio assoluto della Sala Grande: tutti sembravano essere decisamente troppo sconvolti per il bizzarro aspetto di Moody per riuscire a festeggiarne l’arrivo. Un sentimento nel quale mi riconoscevo pienamente: non sapevo cosa pensare della strana sensazione che avevo provato incrociando lo sguardo dell’uomo, ma anche senza contare le mie misteriose percezioni, sicuramente mi metteva addosso una notevole dose di inquietudine. Non sapevo chi fosse, anche se dai brusii che udivo intorno a me sembrava che non si trattasse di uno sconosciuto per chi era cresciuto nel mondo magico inglese, ma la sola idea che un simile personaggio dovesse insegnare a dei bambini mi risultava difficile da accettare.

Qualsiasi ulteriore domanda, però, dovette essere rinviata, perché Silente riprese a parlare da dove era stato interrotto: “Come stavo dicendo, nei prossimi mesi avremo l’onore di ospitare un evento molto emozionante, che non ha luogo da oltre un secolo. E’ con grande piacere che vi annuncio che il Torneo Tremaghi quest’anno si terrà ad Hogwarts!”.

“STA SCHERZANDO!”.

L’urlò di Fred Weasley risuonò come un colpo di pistola, e improvvisamente la sala fu piena di rumore. Ero interdetto: per me il nome che il preside aveva appena pronunciato non significava assolutamente nulla, e lo stesso, a giudicare delle facce, sembrava valere per parecchi degli altri studenti. Non per tutti però: diversi ragazzi osservavano Silente con sguardi che andavano dallo stupore all’entusiasmo, fino alla bramosia.

La successiva spiegazione del preside mi chiarì perfettamente le ragioni di simili atteggiamenti: il Torneo Tremaghi era una competizione vecchia di sette secoli, nuovamente organizzata, nonostante le molte difficoltà, dopo una sospensione centenaria, nella quale si affrontavano i campioni delle principali scuole magiche d’Europa. Tre rappresentanti di Hogwarts, Beuxbatons e Durmstrang si sarebbero sfidati in tre complicate prove di magia. Le delegazioni delle altre due scuole sarebbero arrivate in ottobre, ad Halloween un giudice imparziale avrebbe selezionato i migliori, che avrebbero gareggiato nel corso dell’anno. Il vincitore, oltre alla gloria eterna per se e per la sua scuola, avrebbe portato a casa un premio personale di mille galeoni.

La cifra era abbastanza elevata da far girare la testa anche a me: le preoccupazioni che avevano accompagnato il mio viaggio verso la scuola furono in un istante obliterate dall’idea di compiere un’impresa tanto grande. In un istante mi vidi nel ruolo di Campione Tremaghi, acclamato dall’intera scuola. Joshua Carter era stato un ragazzo relativamente timido, poco desideroso di trovarsi al centro dell’attenzione, ma Matteo Simoncini aveva sempre posseduto un carattere decisamente diverso. A lui non sarebbe dispiaciuto affatto poter competere per dimostrare le sue capacità.

Le successive parole di Silente, però spensero l’entusiasmo di molti: “Pur sapendo quanto ognuno di voi sia desideroso di portare ad Hogwarts la Coppa Tremaghi, abbiamo deciso di imporre un limite d’età: solo gli studenti di almeno diciassette anni potranno proporsi per la selezione – il preside spense le proteste alzando di pochissimo la voce – Questo perché le prove saranno molto difficili, nonostante il nostro impegno per garantire la sicurezza, ed è improbabile che uno studente sotto il sesto anno possa essere in grado di affrontarle. Mi assicurerò personalmente che nessuno sotto i diciassette anni possa ingannare il giudice imparziale, quindi evitate di provarci”.

Silente prese per un secondo fiato, dando modo a tutti di fare i conti con la bomba che aveva appena sganciato. Per quanto mi riguardava, dovevo ammettere di essere un po’ dispiaciuto, ma non quanto la maggior parte degli altri: la vera età della mia mente, benché per molti versi fossi tornato a pensare come un adolescente, mi concedeva un grado di riflessione leggermente superiore rispetto ai miei compagni, quindi potevo in qualche modo capire la scelta fatta dagli adulti. Già di per se, l’idea di una pericolosa competizione affrontata da un trio di ragazzi mi lasciava più di qualche dubbio, ma far competere dei quattordicenni sarebbe stato delirante.

“Il resto della scuola non avrà comunque di che annoiarsi nel corso dell’anno, e non dovranno limitarsi a fornire il massimo sostegno al campione che sarà designato per difendere i colori di Hogwarts. Dall’edizione di quest’anno, infatti, proprio per garantire una maggiore partecipazione degli studenti dei tre istituti alla competizione, sono stati inseriti alcuni eventi collaterali, dei quali vi parlerò maggiormente nel dettaglio in seguito, ai quali potranno prendere parte anche altri studenti oltre al campione, e che anche senza avere lo stesso prestigio della Coppa Tremaghi garantiranno ugualmente gloria e onori ai vincitori”.

Fu un istante, non di più. Una frazione di secondo. Se non fossi stato abituato, dopo un anno di vita molto particolare, a notare fin nei minimi dettagli le mie sensazioni, probabilmente non me ne sarei neanche reso conto. Anche se la avvertii, però, non sarei mai stato in grado di descrivere a pieno la strana impressione che le ultime parole di Silente mi avevano suscitato: per un singolo momento, avvertii come un senso di… dissociazione. Il miglior paragone che sarei stato in grado di trovare fu un bug all’interno di un videogioco. Scossi la testa, guadagnandomi un’occhiata preoccupata da parte di Mary. Le rivolsi un sorriso per farle capire che stavo bene mentre Silente concludeva il banchetto e gli studenti iniziavano ad alzarsi, ma nella mia testa si era improvvisamente scatenata una baraonda: che diavolo era accaduto? Era come se la realtà avesse subito un improvviso scossone, e nonostante la sensazione fosse rapidamente scomparsa, era evidente che fosse accaduto qualcosa di molto, molto strano.

Ci stavamo riunendo in fila per uscire dalla Sala Grande, quando udii alle mie spalle una voce strascicata: “Non avere fretta, Carter. Devo parlarti”.

Mi bloccai, resistendo alla tentazione di gettare gli occhi al cielo. Mary, al mio fianco, si fermò a sua volta, guardandomi con un mix di sorpresa e timore, ma io, con un piccolo gesto, le segnalai di andare avanti, per poi voltarmi a fronteggiare il professor Piton. La faccia dell’uomo era abbastanza inespressiva: non sembrava arrabbiato, ma mostrava una fin troppo tipica vena di disprezzo, come se stesse facendo un grosso sforzo per parlare con me in maniera civile. Non riuscivo neanche ad immaginare cosa volesse da me l’insegnante che probabilmente apprezzavo di meno in tutta la scuola: ero certo di non avere, per il momento, fatto nulla di sbagliato, non avevo avuto il tempo materiale per mettermi nei guai, ed avevo strappato la sufficienza in Pozioni l’anno precedente, quindi non trovavo una ragione per la quale Piton avesse bisogno di parlarmi prima ancora che la scuola iniziasse ufficialmente.

Cercando di essere quanto più educato possibile e di non far trasparire la minima traccia di fastidio, dissi: “Certamente, Professore. Mi dica”.

La bocca di Piton si contorse, come se avesse dato un morso ad un limone: “Avrai sentito, immagino, l’annuncio del Preside”.

Mi limitai ad annuire, non riuscendo a capire dove volesse andare a parare.

“Gli eventi secondari del Torneo Tremaghi saranno ufficialmente annunciati dopo l’arrivo delle delegazioni delle altre due scuole – continuò – Una di esse, però, sarà una competizione di duello tra una selezione di rappresentati di Hogwarts, di Beuxbatons e di Durmstrang”.

Eccola di nuovo. Ancora una volta, ebbi la strana sensazione che la realtà si fosse per un istante dissociata, come se due immagini si fossero sovrapposte per una frazione di secondo prima che ciò che avevo davanti tornasse a fuoco. Sbattei un paio di volte le palpebre nel tentativo di comprendere cosa fosse accaduto, ma tutto era tornato normale troppo in fretta perché potessi trovare una spiegazione.

Piton si rese conto del mio smarrimento, perché inarcò un sopracciglio: “Ti sembra una notizia così assurda, Carter”.

“M…mi scusi, Professore – risposi prontamente, cercando di riportare i miei pensieri sulla conversazione in corso – Ho solo avuto un piccolo giramento di testa. Un torneo di duello, ha detto?”.

L’insegnante di Pozioni mi fissò per qualche secondo, come nel tentativo di capire se stessi dicendo la verità, poi, decidendo apparentemente di non essere interessato al mio stato di salute, riprese: “Si. Come ha detto il Professor Silente, per questa edizione del Torneo Tremaghi sono stati organizzati degli eventi esterni alla competizione tra i tre Campioni, in modo da coinvolgere maggiormente il resto degli studenti. Uno, sarà, appunto, un confronto diretto per mettere alla prova le capacità nel duello magico delle tre scuole. In questo caso, poiché si tratterà di scontri relativamente amichevoli, senza l’impiego di incantesimi potenzialmente letali e attentamente sorvegliati dagli arbitri, è stato deciso di permettere la partecipazione a studenti dal quarto anno in su, purché abbiano le necessarie capacità”.

Cercando di rimuovere la strana sensazione che avevo provato, focalizzai l’attenzione su ciò che Piton stava dicendo, ed un fremito mi attraversò: possibile che…?

“Ogni scuola schiererà quattro combattenti, che si affronteranno in una serie di scontri singoli – proseguì Piton - Il Preside ha scelto uno degli insegnanti per organizzare e condurre la squadra di Hogwarts. In teoria, il professor Vitious, che in gioventù è stato campione di duelli, sarebbe stato una scelta ovvia, ma proprio per la sua esperienza è stato selezionato come arbitro degli incontri insieme a due insegnanti di Durmstrang e Beuxbatons. Sarò io, quindi, a selezionare i partecipanti”.

Possibile? Veramente? Piton intendeva sul serio quello che stavo immaginando?

“Voglio una risposta adesso, Carter. Sei disposto a prendere parte alla competizione?”.

Lo avevo intuito, è vero, ma non riuscii a fare a meno di sgranare gli occhi quando il professore confermò la mia sensazione: voleva realmente che io entrassi a far parte della squadra di Hogwarts?

“Vuole che io… che sia uno dei membri della squadra?” chiesi, mettendo una notevole dose di incredulità nelle mie parole. Lasciando perdere il fatto che andare immediatamente a scegliere un ragazzo del quarto anno senza neanche passare in rassegna i ragazzi più grandi mi sembrava insolito, l’idea che Severus Piton, che non mi aveva mai dimostrato alcuna simpatia, viste anche le mie limitate abilità nella sua materia, venisse a chiedere proprio a me di partecipare era quasi incredibile. La mia vena competitiva stava vibrando come la corda di una chitarra, ma anche se il ‘Senso di Ragno’ taceva, non potevo fare a meno di avvertire qualcosa di molto strano.

Il disprezzo sul volto di Piton aumentò di parecchi livelli: “Se non sei interessato…” iniziò a dire.

“No, no! – mi affrettai a precisare – Non è che non sono interessato! Solo che… ecco… perché io, Signore?” chiesi, con tutto il rispetto e la curiosità possibili.

Piton sospirò, come a farmi capire che riteneva superflua qualsiasi spiegazione, poi iniziò: “Ognuna delle tre scuole ha proposto un differente tipo di competizione accessoria, basandosi, ovviamente, sulle caratteristiche migliori dei suoi studenti. Hogwarts, vista l’importanza che ha il campionato da noi ed il livello dei nostri giocatori, ha proposto un torneo di Quidditch. Beuxbatons ha ideato una gara di pura conoscenza magica. L’idea di una competizione di duelli è stata lanciata da Durmstrang, che ha la magia da combattimento come materia a parte nel suo curriculum di studi. Hogwarts, purtroppo, in questo campo mostra delle grosse lacune: i duelli sono trattati in maniera molto blanda e considerati parte di Incantesimi e Difesa Contro Le Arti Oscure. Inoltre, salvo un pietoso tentativo di rilancio un paio di anni fa, da quasi due decenni non esiste più un Club dei Duellanti – il suo disprezzo salì a livelli inquietanti per un secondo quando, lo capii subito, nella sua mente ricomparve l’immagine del suo imbarazzante scontro con Allock – Da quando il Professor Silente mi ha comunicato, alcune settimane fa, che la competizione era stata approvata, ho iniziato a pensare ai potenziali membri della squadra di Hogwarts, e ho concluso di essere pietosamente a corto di candidati: non c’è un singolo elemento di questa scuola del quale mi fiderei nel caso dovessi combattere in duello – mi fissò direttamente negli occhi – Per quanto mi secchi dirlo, nella generale mediocrità tu non sei uno dei peggiori”.

Detto da uno come Piton, una frase simile equivaleva a dirmi che ero un elemento di spicco! Non riuscii a nascondere la sorpresa: “Dice sul serio, Professore?”.

Piton gettò gli occhi al cielo, come chiedendosi se fosse il caso di rimangiarsi le sue ultime parole, poi rispose: “Sfortunatamente, si – tornò ad abbassare lo sguardo e lo puntò direttamente contro di me – Credevi veramente che non sarei venuto a sapere del tuo piccolo alterco con Nott sulla riva del lago?”.

Sentii il mio sangue trasformarsi in ghiaccio: se Piton sapeva realmente che avevo malmenato Nott, era un miracolo che io fossi ancora ad Hogwarts!

Il professore dovette notare la mia paura, perché un sorriso maligno si dipinse sul suo volto: “Esattamente. Appena rientrato a scuola, Nott è venuto da me a piagnucolare perché tu lo avevi aggredito. Ti avrei volentieri fatto espellere seduta stante, non fosse stato perché la storia che mi aveva raccontato aveva più lacune di una tua pozione. Ho torchiato un po’ Nott, e a quel punto mi ha raccontato ciò che aveva fatto a Mary Sutton prima che tu lo massacrassi – Piton sospirò, quasi fosse dispiaciuto per non aver avuto modo di cacciarmi dalla scuola – In simili condizioni, come minimo sareste stati espulsi entrambi, quindi ho deciso di soprassedere. Non ho però dimenticato quanto facilmente avessi battuto Nott, che pur essendo un idiota non è di sicuro il peggiore studente di Hogwarts. C’è poi da considerare quello che è successo questa estate alla Coppa del Mondo di Quidditch”.

Non riuscii a trattenermi: “Sono stato sconfitto nello scontro al campeggio, e anche malamente!”.

Piton sbuffò, quasi a sottolineare la mia ottusità: “Sei sopravvissuto, che è più di quanto mi sarei aspettato da uno studente messo di fronte ad un Mangiamorte. Considerando la manica di teste di legno che compongono la maggior parte del corpo studentesco quando si parla di duelli, sei qualificato per fare parte della squadra di Hogwarts, sperando che siate in grado di farci fare una figura non completamente pessima”.

Ero in totale confusione: Piton mi stava offrendo di fare parte di un gruppo da lui guidato. Non mi sarei mai aspettato un simile sviluppo. La sola cosa che riuscii a fare fu annuire con la testa.

A Piton sembrò bastare: “Ti comunicherò nei prossimi giorni la data ed il luogo del primo allenamento della squadra. Ti conviene non deludermi, o ti assicuro che renderò la tua vita a scuola straordinariamente miserabile” poi si voltò e si diresse nuovamente verso il tavolo dei professori.

Mi mossi a mia volta per raggiungere l’Ingresso. Mentre salivo le scale verso la Torre di Grifondoro, cercai di mettere ordine nei miei pensieri. La totalmente imprevista decisione di Piton mi aveva lasciato a bocca aperta: la possibilità di prendere parte alla competizione non soltanto solleticava la vena competitiva di Matteo Simoncini, ma mi forniva anche la possibilità di allenarmi nel combattimento, cosa della quale sentivo di avere bisogno, in maniera palese.

Non era però quello il punto centrale delle mie riflessioni: la mia mente continuava a tornare ai due istanti di smarrimento che avevo provato mentre Silente prima e Piton poi parlavano delle competizioni secondarie del Torneo Tremaghi. Continuavo ad avere la sensazione che qualcosa non quadrasse per niente. Cercai disperatamente di scavare nella mia memoria, nel tentativo di capire di cosa si trattasse, ma si rivelò completamente inutile: i miei ricordi relativi alla saga ‘originale’ continuavano, inevitabilmente, a fermarsi al novembre dell’anno precedente, quindi non avevo modo di paragonare ad essa ciò che stava succedendo. Non potevo comunque fare a meno di pensare che quella sera fosse accaduto qualcosa di molto, molto strano, e vista la situazione complicata che già stavo vivendo, non potevo non sentirmi estremamente preoccupato.

 

  
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