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Autore: ChiarainWonderland    08/01/2022    0 recensioni
Rose Weasley potrebbe passare come una semplice adolescente con i tipici problemi di un adolescente nella media. La scoperta di particolari oggetti di antiquariato, però, potrebbe stravolgere le carte in tavola e rivelare antichi segreti celati per lungo tempo. Se ci aggiungiamo una leale migliore amica, una famiglia non proprio tra le righe, un nemico che non è poi un vero e proprio nemico, un cugino impiccione e una famosa scuola di magia e stregoneria, le cose non possono fare altro che peggiorare.
* * *
"Rose sapeva di non potersi ritenere la figlia migliore del mondo. Per quanto somigliasse a sua madre, alcune cose erano proprietà esclusiva del suo carattere, procrastinamento cronico incluso."
"Ad un certo punto una bancarella di un venditore ambulante attirò l'attenzione di Rose, che si avvicinò per osservare le cianfrusaglie esposte. C'erano vecchi orologi incantati, vari oggetti di antiquariato, fotografie magiche di persone vissute secoli prima e molto altro ancora."
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Severus Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO
 
IL REPARTO PROIBITO
 

East Hampshire, 29 aprile 1970

Si erano dati appuntamento sotto alla collina, dove per la prima volta il destino – o una caduta – li aveva fatti incontrare. Si davano sempre appuntamento lì, sotto insistenza di Georgiana. Era abbastanza lontano dalla villa di famiglia dei Rowle, e di conseguenza abbastanza sicuro dalla presenza incombente di suo padre. Georgiana percorse il breve tratto in discesa che la separava dal terreno pianeggiante. Si fermò a osservare i dintorni, appiattendo le pieghe del vestito bianco che aveva deciso di indossare. L’aria di primavera accarezzava gli steli dei cardi selvatici, increspava le acque del ruscello lì vicino e muoveva le nuvole che punteggiavano il cielo terso. Fu quando rivolse un’occhiata sull’ormai familiare cascina, che lo intravide. Non era mai diventato molto alto. I capelli scuri si nascondevano come al solito sotto un berretto. La camicia rattoppata troppe volte lasciava scoperti gli avambracci abbronzati dal lavoro all’aperto. Quando alzò lo sguardo, i suoi occhi brillarono.

«Ehi, ‘Gia».

«Ti ho già detto mille volte di non chiamarmi così, Steven».

«Non dirai sul serio…» si portò una mano al cuore, ma le sue labbra erano aperte in un sorriso furbo. Come se avesse appena trovato un pacchetto di sigarette ancora intatto. «Il tuo nome è così antico. È un vizio di famiglia o sbaglio?»

Neanche a farlo apposta, tirò fuori dalla tasca una sigaretta e se la mise in bocca. La mano di Georgiana lo fermò prima che potesse prendere l’accendino.

«Sai che odio quando lo fai» sussurrò lei. Steven la guardò un istante, rimise la sigaretta in tasca e le concesse un sorriso. Uno di quelli gentili, che l’avevano inesorabilmente trascinata nel lento passaggio dall’amicizia all’amore.

«Dov’è che le trovi, comunque? Insomma» continuò Georgiana, «vivi in aperta campagna».

«Anche tuo padre, eppure non penso abbia problemi a procurarsi i sigari».

Al nome di suo padre Georgiana si rabbuiò. Steven se ne accorse subito, come si accorgeva di ogni cosa che la riguardava. Si fermò e le alzò il mento con un dito. «Ehi, che hai?»

«Niente, io…» disse lei, «ti devo dire una cosa. Vieni, andiamo al vecchio faggio».

Arrivarono all’albero che aveva fatto da sfondo a molti dei loro momenti nel corso degli anni. Georgiana si sedette sulla radice più sporgente, non curandosi del candore del suo vestito, e trascinò Steven accanto a sé.

«Ieri mio padre mi ha convocata nel suo ufficio».

«Non è mai un buon segno».

«No» concordò Georgiana con un sorriso fievole, «non lo è». Si fermò, permettendo ai suoi occhi di incontrare quelli del ragazzo. «Vuole che mi sposi».

«Cosa? Con chi?»

«Non lo so ancora. Steven, ti prego…», ma il giovane si era già alzato e la stava confrontando a pieno petto.

«Ti sta obbligando, è così?»

«L’ho sempre saputo!» ribatté Georgiana alzandosi a sua volta. Poi, più piano: «Ho… sempre saputo che sarebbe arrivato questo momento. Un giorno o un altro. I matrimoni combinati sono la regola, per noi».

Steven emise un verso indignato. «E quindi? Che hai intenzione di fare, accettare?»

«No! Certo che no… non che io abbia molta scelta» aggiunse lei con una risolino ironico, nel vano tentativo di alleggerire la tensione.

Steven si risedette sulla radice, sconfortato. «Credevo… che noi… ah, lascia stare».

«No, finisci la frase».

«Credevo che avessimo potuto sperare in un futuro insieme».

Georgiana lo raggiunse sulla radice, gli occhi lucidi e speranzosi. «Ci hai pensato».

«Certo che l’ho fatto. Diamine, ‘Gia, abbiamo vent’anni, programmavo di sposarti prima che ne passassero, che ne so, altri due?»

Il cuore di Georgiana mancò un battito. Anche lei lo aveva pensato, ovviamente. Non passava giorno senza che sognasse di scappare con Steven lasciandosi le insidie della sua famiglia alle spalle. Non passava notte senza che rimuginasse sulla sensazione di protezione che le avrebbe dato essere accolta nelle braccia del ragazzo – dell’uomo – che le aveva rubato il cuore, in una casa lontana da lì. Tutta per loro. Ma le cose fuori dalla loro piccola bolla stavano cambiando rapidamente: un’ombra oscura incombeva sul mondo magico. Sempre più Babbani scomparivano senza una traccia, per poi ricomparire settimane dopo senza vita. Rendendo ufficiale il legame con Steven, lo avrebbe sottoposto a un grosso rischio.

«Se fosse per me ti avrei già sposato» esclamò comunque, gettandogli le braccia al collo. Lo slancio fu talmente forte che Steven balzò all’indietro. La manica destra della camicia si impigliò a uno dei rami più bassi del faggio e si strappò.

«Oh… io, s-scusami. Sono così goffa a volte…»

«Ehi» la interruppe Steven, bloccandole le braccia che erano già dirette verso lo strappo, «ehi, guardami. ‘Gia, guardami. Non è nulla, okay? È solo una vecchia camicia che avrei dovuto buttare tanto tempo fa».

Georgiana sorrise, un lieve accenno delle labbra. Si liberò dalla stretta con delicatezza e sollevò con una mano l’avambraccio di Steven coperto dalla manica incriminata. L’altra mano andò alla tasca del vestito bianco e impugnò sicura la bacchetta.

«Reparo».

I fili strappati delle cuciture sembrarono prendere vita. In un attimo la manica era tornata come nuova. Steven guardò la ragazza dai riccioli biondi come se la vedesse per la prima volta. Era sempre così, quando usava la magia davanti a lui.

«Sai, a volte mi domando se tu sia in realtà un angelo» mormorò Steven.

Georgiana rise per nascondere l’amarezza. Avrebbe voluto esserlo. Se fosse stata un angelo avrebbe potuto vegliare su di lui, proteggerlo dall’alto. Avrebbe potuto fare in modo che nessuno, dal Signore Oscuro a suo padre, gli arrecasse alcun male. «Sono solo una comune mortale, te l’assicuro» disse infine.

Si risedettero sopra la loro radice. Georgiana appoggiò la testa sulla spalla di lui. Steven le accarezzò i capelli. Erano più corti di quando era ragazzina, ma non tanto corti da non poter avvertire la sensazione dei riccioli tra le dita. «Accetteresti davvero di sposare l’uomo scelto da tuo padre?»

«No» rispose subito Georgiana, stringendosi ancor più a lui, «non sposerei nessuno che non sia tu. Troveremo un modo». Il fato l’aveva resa sì una comune mortale, ma l’aveva anche dotata di poteri magici. Li avrebbe usati fino all’ultima goccia per tenere Steven al sicuro dalla magia oscura. Ma la magia oscura spesso arrivava indesiderata, si insinuava nei dubbi, divideva famiglie. Le tornarono alla mente immagini che pensava di aver sepolto nella memoria. Capelli biondi. Una brutta caduta da un’altalena.

«Forse so chi ci potrebbe aiutare».
 
*   *   *
 
Hogwarts, 19 dicembre 2022

Quel giovedì mattina Rose si svegliò con una leggera sensazione di nausea. Si portò una mano alla testa indolenzita: doveva aver riposato malissimo. Non appena si rese conto di che giorno fosse, l’ansia le attanagliò le viscere. Calata la notte e approfittando del fatto che Malfoy e suo cugino non avessero ronde, lei e Alice si sarebbero intrufolate nel Reparto Proibito per cercare informazioni sui Rowle. Non solo, quel pomeriggio avrebbero avuto luogo i primi e a lungo posticipati allenamenti dopo la partita contro i Serpeverde. Si sarebbe trovata faccia a faccia con James.
Lei e Alice non parlarono molto né durante le lezioni né a pranzo, limitandosi a lanciarsi a vicenda sguardi complici. Scoccate le cinque si diressero al campo di Quidditch insieme a Debbie, che incontrarono sul Ponte di Pietra.

«Evan si allena con noi oggi?»

«No» rispose Debbie, mentre si legava i capelli alla bell’e meglio, «Madama Chips gli ha consigliato di stare a riposo per un’altra settimana».

«Quindi riprenderà a giocare dopo le vacanze, no? Questi sono gli ultimi allenamenti prima di Natale».

«Esatto Weasley. Tanto la prossima partita è a marzo, avrà di sicuro il tempo necessario per tornare in forma».

Arrivarono davanti al campo di Quidditch. Il cielo era limpido e pallido. La neve era ormai più simile a ghiaccio a causa delle fredde temperature, tanto che si faticava a camminarci sopra. Senza stendardi a decorarla, l’immensa impalcatura di legno dello stadio ricordava uno spettrale bosco di alberi spogli. Le tre ragazze arrivarono davanti agli spogliatoi ed entrarono.

«Alice» salutò David con un breve cenno del capo, «Linton, Weasley».

Rose si stupì. Di solito il Battitore non si risparmiava in saluti e chiacchiere, soprattutto con la sua compagna in campo per eccellenza. Se ci fece caso, Alice non lo diede a vedere.

«Ehi Dave» trillò infatti. Stava cercando di riportare un briciolo di normalità nello spogliatoio, abituale teatro di risate infinite, ma in quel momento gelido come la neve ghiacciata all’esterno.
Ben fu più difficile da individuare. Sedeva sulla panchina in fondo, seminascosto dagli armadietti. Lucidava il manico della scopa con foga. Rose aveva già visto quell’espressione determinata e allo stesso tempo spaventata a morte qualche giorno prima, mentre il ragazzo si allenava da solo contro il vento. Decise di non andare a parlarci: Ben sarebbe venuto da lei quando ne avrebbe sentito il bisogno.

E infine, ultimo ma non per importanza, a qualche metro da Ben si stagliava James. Teneva in mano una dozzina di fogli stropicciati – probabilmente schemi di gioco – e se li rigirava tra le mani con movimenti secchi. Quando alzò lo sguardo e lo puntò su di lei, Rose ci intravide tutto e niente. Quelle iridi nocciola parevano impassibili, ma al loro interno si stava scatenando una tempesta. James era vulnerabile.

«Bene… visto che ci siamo tutti, direi di spostarci in campo» si limitò a dire.

Alice si rivolse a Debbie: «Quindi, come sta Evan?»

«Ma l’hai già chiest-AHI» esclamò la Cacciatrice. Alice le aveva tirato una gomitata, non prima di averne tirata una anche a David per buona misura.

«Diamine Alice… ah sì, Debbie, Mitchell come sta?»

Ben alzò speranzoso la testa. James continuava a fissare i giocatori a turno, le labbra ridotte a una fessura.

«Oh, Evan sta bene! Riprenderà ad allenarsi dopo le vacanze di Natale» rispose Debbie, attenta a qualunque reazione da parte di James. Quest’ultimo si limitò ad aprire la porta degli spogliatoi, in un silenzioso invito a raggiungere il campo. Uscirono tutti: Alice prese per il gomito David e s’incamminò dietro a Ben, non prima di aver indirizzato uno sguardo eloquente a Rose.

«Weasley» la esortò James.

Nonostante l’atmosfera congelata che stringeva gli spogliatoi in una morsa, a Rose sfuggì una risata. Dalle labbra socchiuse le uscì uno sbuffo sfacciato che parve tirare uno schiaffo sulle guance di James.

«Da quand’è che mi chiami Weasley?»

«In che senso da… sono il tuo Capitano. Come ti dovrei chiamare?»

«James».

«Davvero? Be’, sono onorato che il mio nome ti piaccia fino a questo punto…»

«Sai che intendo. Non provare a sviare il discorso».

Il moro sbuffò e si avvicinò alla porta, bloccandosi non appena toccò lo stipite con la mano. Rose si ritrovò a osservare le spalle contratte del cugino per una manciata di secondi. Poi si alzò, lentamente, quasi avesse timore di spaventare un animale ferito. Raggiunse James e gli toccò la spalla. Ci appoggiò sopra un dito alla volta, finché l’intero palmo della sua mano aderì con la divisa scarlatta. James sembrò irrigidirsi ancora di più. Esitò, e per un attimo la speranza fiorì nel petto di Rose. Ma poi il ragazzo si scrollò la mano di dosso e imboccò il corridoio senza voltarsi indietro. Rose rimase immobile con il braccio sollevato a mezz’aria, il volto incastrato in un’espressione rassegnata. Dopo essersi concessa qualche secondo per riprendersi dalla delusione strinse i lacci dei parastinchi, afferrò la scopa e seguì il cugino nel corridoio che l’avrebbe condotta in campo.

Gli allenamenti si svolsero senza particolari intoppi. Nonostante tutto, James si dimostrò cordiale: elargì consigli e correzioni come al solito, con l’unica mancanza delle sue tipiche battute che servivano a rallegrare l’atmosfera quando diveniva eccessivamente seria. In effetti, a Rose parve quasi di partecipare a un allenamento di una squadra di alti livelli piuttosto che di una semplice organizzazione scolastica. Normalmente non le sarebbe nemmeno dispiaciuto ma, con l’incursione nel Reparto Proibito che incombeva come la lama di una ghigliottina, avrebbe preferito un po’ di spensieratezza. E infatti, senza neanche farlo apposta, si avvicinò ad Alice e notò che l’amica era nervosa almeno quanto lei – un modo educato di affermare che tirava i Bolidi completamente a caso – e cercava di dissimulare il tutto fingendo di aver inventato un nuovo schema di gioco.

«Te lo giuro James, sto solo mettendo in pratica una strategia innovativa che mi è venuta in mente!»

«Quando… a lezione? Mentre schiacciavi il sonnellino pomeridiano? A me sembra che tu stia solo improvvisando».

Alice aprì e chiuse la bocca un paio di volte, prima che David arrivasse in suo soccorso. «Dai James, lascia perdere… facciamo che ora ci alleniamo con i passaggi veloci, eh Alice?»

Quest’ultima annuì, ma invece di seguire David volò verso le panchine con la scusa di bere un sorso d’acqua. Rose la seguì e atterrò sul prato coperto di neve.

«Chiunque potrebbe capire che stai per combinare qualcosa, da quanto sei nervosa».

Alice bevve un sorso dalla sua borraccia e si passò il dorso della mano guantata sulle labbra. «Non posso farne a meno» disse, gli occhi puntati verso i compagni, «l’attesa mi sta uccidendo».

«Lo so. Agiremo non appena saremo sicure che Sam e Isabel siano addormentate. Hai preparato tutto?»

«Mh-mh».

«Perfetto. Ora torniamo dagli altri» disse Rose, ed era già a cavallo della sua scopa quando Alice la interruppe. «Sei riuscita a parlare con James, prima?»

Rose le rivolse uno sguardo eloquente. «Secondo te?» si limitò a rispondere, e con quella domanda enigmatica chiuse la conversazione.

Gli allenamenti finirono così com’erano cominciati, con James che fu il primo a scaraventarsi fuori dagli spogliatoi e Ben che lo imitò qualche minuto dopo. “Uomini” pensò Rose, mentre risaliva con Alice al castello. Dopo cena, le due ragazze si ritrovarono in Dormitorio a chiacchierare del più e del meno con le compagne, nel tentativo di sembrare il più disinvolte possibile. Ogni tanto Rose controllava che lo zaino preparato quella stessa mattina fosse ben nascosto sotto il letto di Alice, quasi si aspettasse che fosse in grado di muoversi da solo. Aveva infilato dentro le bacchette, dei vestiti e, ultimo ma non per importanza, lo Spioscopio Pro Deluxe che avevano comprato ai Tiri Visti Weasley di Hogsmeade. Grazie a quell’aggeggio si sarebbero accorte di qualsiasi imprevisto. I Detonatori Abbindolanti, invece, li aveva lasciati nel suo baule: nonostante la grande utilità, il loro strombettio avrebbe svegliato l’intero castello.

«Penso proprio di andare a dormire» disse a un certo punto Isabel, «domani ho Artimanzia alla prima ora».

«Mi dispiace per te. Dopo tutti questi anni non ho ancora capito come fai a seguire quel corso» ribatté Samantha, mentre si infilava sotto le coperte e chiudeva le tende. Isabel scrollò le spalle, sbadigliò sonoramente e la imitò. «Buonanotte ragazze».

Rose e Alice rimasero sedute nei loro letti a guardarsi. Alice sembrò aprire bocca per dire qualcosa, ma Rose la zittì con un gesto della mano. Non appena arrivato il momento opportuno, l’avrebbe avvisata. Sparì dietro le pesanti tende rosse del suo letto e si sdraiò. Restare immobile per tutto quel tempo, mentre ogni singola parte del suo corpo formicolava, fu una tortura. Iniziò a contare i respiri per calmare il battito impazzito del suo cuore. Nel caso in cui quella notte venissero scoperte – da qualche professore, dai Prefetti, persino da Gazza – lei e Alice sarebbero finite in guai seri. Serissimi. Farsi beccare nel Reparto Proibito era tutto un altro paio di maniche rispetto all’essere scovate nelle Cucine. Sia chiaro, non era innocente. Aveva vagato di notte per il castello decine di volte. Certo, non c’era mai stato il rischio di essere spiate da Albus e Malfoy, Prefetti solamente da settembre, ma Rose poteva ormai vantare una certa esperienza. Nonostante ciò si sentiva come una ragazzina del primo anno che sfidava le regole per la prima volta.

Quando fu certa che fosse passata almeno mezz’ora e il russare di Samantha divenne una cantilena ininterrotta, Rose agì. Scostò delicatamente i drappeggi di velluto e mise a terra un piede dopo l’altro. Lo scricchiolio del materasso la costrinse a immobilizzarsi. Quell’affare duro come la pietra doveva avere la stessa età della McGranitt. “Un passo alla volta” si ripetè, “un passo alla volta”. Riuscì a ergersi completamente senza causare rumori eccessivi, poi percorse il breve tratto che la separava da Alice. Recuperò lo zaino nascosto e infilò il braccio tra le tende cremisi. Cercò a tentoni finché non afferrò quella che doveva essere la caviglia dell’amica. Un respiro teatralmente trattenuto rimbombò per la stanza.

«Sono sveglia, sono sveglia…» bisbigliò Alice, sfregandosi la caviglia, «Merlino, hai le mani gelide».

«Scusami» sillabò Rose con le labbra, indicando con la testa le due paia di scarpe ai piedi del baule. Alice le afferrò senza farselo ripetere due volte.

Uscirono dal dormitorio, chiusero la porta e si appostarono sulla soglia. Rose aprì lo zaino e tirò fuori felpe e pantaloni. Era stata Alice a insistere su quel punto. “Non sia mai che io mi aggiri di nuovo tra quei gelidi corridoi in camicia da notte” aveva detto. Si cambiarono velocemente, esortate dal freddo, e cacciarono a forza le due camicie da notte nello zaino. Scarpe allacciate e bacchette alla mano, si inoltrarono nelle buie viscere del castello. Ogni volta che svoltavano un angolo, le deboli fiamme delle torce appese ai muri tremavano. Rose teneva ben stretto lo Spioscopio, attenta a qualsiasi sua reazione. Normalmente l’aggeggio girava, si illuminava e suonava non appena captava qualcosa. Quella stessa mattina, tuttavia, Rose aveva disattivato l’ultima opzione seguendo le istruzioni che le erano arrivate per lettera dal proprietario dei Tiri Vispi in persona, George Weasley. Abbastanza certa che suo zio non le avrebbe posto domande inopportune, gli aveva scritto qualche giorno prima. Un’ulteriore precauzione per evitare guai.

«Ci siamo» sussurrò Alice.

L’enorme portone della Biblioteca ricordava delle fauci in procinto di inghiottirla, e Rose era pronta ad attraversarle. Lo scricchiolio che produssero i due battenti risultò di gran lunga più assordante di quello del materasso. Il suono rimbalzò per i muri del lungo corridoio, inducendo Rose e Alice a fermarsi. Oltre al tremolio delle torce, null’altro scalfiva la penombra. Nessun Prefetto, professore o chicchessia. Rose si calmò; la penombra era un’amica. Permetteva di passare inosservati, ma non lasciava sfuggire ombre vaganti a chi prestava attenzione.

«È sicuro?»

Rose diede un’ultima occhiata intorno. «Sì» disse infine, «via libera».

 L’interno della Biblioteca era leggermente più buio: c’erano meno torce, ma più finestre. Le grandi vetrate gotiche permettevano alla sottile fetta di luna di stiracchiare i suoi raggi. Se già gli scaffali erano quasi indistinguibili in quel punto, il Reparto Proibito doveva essere invaso dall’oscurità. E infatti, più Rose e Alice si addentravano tra i libri, più la penombra calava. Arrivate alla meta, furono costrette a usare le bacchette.

«Lumos».

Alice aprì il chiavistello e la porta si mosse con un cigolio. Prima di entrare, Rose lanciò un’occhiata alla scritta “Proibito” stampata a caratteri cubitali nel legno. Come previsto, quel reparto era ancora più buio del resto della Biblioteca. Dopo aver deposto lo Spioscopio su una mensola vuota, lei e Alice presero a leggere le etichette degli scaffali e a scorrere i dorsi dei tomi, molti dei quali legati a catene arrugginite. Le bacchette erano la loro unica fonte di luce. Passarono parecchi minuti prima che una delle due aprisse bocca.

«Trovati».

Rose sobbalzò, fulminando Alice con lo sguardo. Non aveva certo urlato, ma la sua voce le arrivò forte e chiara. Nonostante non fosse in grado di vederla, Alice colse la sua espressione. «Scusami», bisbigliò infatti, «sono stata incauta».

Rose lasciò perdere, concentrandosi sull’etichetta che Alice stava illuminando. Quello che lesse le causò un brivido lungo la schiena: avevano trovato lo scaffale dedicato ai libri del quindicesimo secolo. Era posizionato lontano dall’entrata, in un angolo a cui nessuno avrebbe prestato particolare attenzione. D’altronde, chi si sarebbe mai interessato a dei libri così antichi?

«E ora?»

«…Maledizioni e artefici infrangibiliCaccia alle streghe… Merlino, è tutto in inglese antico… va bene, proviamo questo».

Prese un tomo dall’aspetto fragile e dal titolo accattivante. “Cronaca magica nera”. Sfogliò rapidamente l’indice, ma niente attirò il suo interesse. Si trattava per la maggior parte di uccisioni di massa di Babbani e di processi a vari membri illustri del mondo magico. Il nome dei Rowle non compariva nemmeno una volta. O erano sempre sfuggiti alle persecuzioni babbane, o non erano così importanti come il libro “Dinastie magiche dal Medioevo a oggi” affermava.

«Niente» disse infine Rose. Ripose il libro con delicatezza, nonostante l’istinto fosse quello di chiuderlo con quanta più forza possibile. Erano già in equilibrio su una corda tesa, e non sarebbero cadute per un passo falso tanto evitabile.

«Tentiamo con quest’altro… Ignes et Inquisitionem questo è in latino».

«Ha le catene attaccate, sei sicura che…»

Ma Rose lo aveva già aperto. Un germoglio di rovi iniziò a crescere dalle pagine, allungando i suoi rami verso Rose. Era molto diverso dalla quercia nodosa che era spuntata in “Alberi genealogici del mondo magico”. Quella era fatta di carta, mentre le spine appuntite che si trovava davanti avevano tutta l’aria di essere vere. Alice cacciò un urlo. Rose chiuse il libro con un colpo secco, ma la forza dei rovi continuò a premerle contro i palmi delle mani mentre si affrettava a rimettere quel dannato volume al suo posto.

Alice aveva ancora le dita premute sulla bocca quando parlò. «Stai bene?»

«Sì, io… sì».

«Rose, forse dovremmo andare. Non c’è niente qui…»

«Un’ultima cosa. Alice, ti prego, solo un’ultima cosa».

Si concentrò su un altro libro che aveva attirato la sua attenzione. Questo non aveva catene, ma lo spavento di poco prima la portò ad aprirlo con una lentezza snervante. Si soffermò un attimo sul titolo: “Misteri irrisolti del quattordicesimo secolo”. Non dovette nemmeno sfogliarlo per capire che qualcosa non andava.

«Alice… Alice guarda, a questo libro mancano delle pagine».

«Dai Weasley andiamo, siamo qui da un po’».

Rose passò le dita sui bordi irregolari delle pagine. O almeno di quello che ne rimaneva. Dovevano esserne state strappate almeno una decina.

«Non siamo venute qui per controllare i difetti di ogni libro» continuò Alice, ma Rose non la stava ascoltando.

«Com’è possibile? Madama Wells aveva detto…»

«Weasley, muoviamoci».

«…le pagine si possono strappare, ma non possono essere distrutte o portate fuori dal castello…»

«Non abbiamo trovato niente, e mi avevi detto che ti saresti lasciata tutta questa storia alle spalle. È ora di mantenere la tua promessa».

«…quindi vuol dire che…»

«Rose!»

Entrambe si girarono di scatto verso la porta. Non era stato un suono a spaventarle, ma una luce improvvisa e colorata. Si muoveva circolarmente, creando baluginii inquietanti che si riflettevano sulle catene. Con sommo orrore, le due ragazze si accorsero che proveniva dallo Spioscopio.

«Miseriaccia… miseriaccia!»

Rose non ci pensò due volte: rimise il libro al suo posto, corse verso l’aggeggio roteante e lo infilò sotto la felpa, cercando di nascondere del tutto la sua luce.

«Merlino, chi può essere? Gazza? Rose, ch-che facciamo adesso?»

«Shh» cercò di calmarla Rose, portandosi un dito alle labbra. Raggiunse la porta del Reparto Proibito e sbirciò fuori.

«Non sembra esserci nessuno» sussurrò, anche se lei stessa iniziava ad avvertire una nota di panico. «Forza, dobbiamo tornare in Dormitorio». Tirò fuori lo Spioscopio e se lo rigirò tra le mani, cercando invano di spegnerlo. «Ma come diavolo funziona questo coso?»

«Non sai come spegnerlo?!»

«Certo che lo so!» sibilò Rose, tastando la superficie dello Spioscopio alla ricerca del minuscolo tasto. Era buio, e le mani le tremavano. Ormai era in panico anche lei. Proprio quando stava per perdere le speranze una lieve sporgenza, quasi impercettibile, le sfiorò un polpastrello. In un attimo la luce si spense, lo Spioscopio smise di roteare e tutto ricadde nel buio più totale.

Alice esalò un respiro trattenuto. Fece per alzare la bacchetta, ma Rose la fermò prontamente. «No, meglio di no». Avanzarono a tentoni fino a quando il bagliore dei raggi lunari non arrivò in loro aiuto. Si chiusero la porta del Reparto Proibito alle spalle, sigillarono il chiavistello e presero a correre a ritroso verso l’entrata della Biblioteca. Il rumore dei loro passi concitati non importava più: qualcuno era nei paraggi, qualcuno che di certo non aveva intenzione di fare un’amichevole chiacchierata notturna. La priorità era sparire dalla Biblioteca e disperdersi negli innumerevoli corridoi del castello. Una volta lì, sarebbero state al sicuro.

«Di qua!»

Alice scomparve dietro agli scaffali e iniziò a sbucare a tratti nel passaggio laterale che costeggiava le ampie vetrate. Rose comprese l’idea dell’amica e la seguì: meglio evitare il corridoio centrale. Erano quasi arrivate in fondo. Un’ultima svolta a sinistra e avrebbero attraversato la porta. Proprio quando stavano per girare l’angolo, Rose lanciò un’occhiata verso il corridoio centrale e intravide un’ombra andare nella loro direzione. Stava per informare Alice, ma era troppo tardi. Alice si fermò di colpo e Rose le finì addosso. Una luce che proveniva chiaramente da una bacchetta le illuminò in pieno. Rose socchiuse gli occhi. La luce era talmente accecante da rendere impossibile vedere chi ci fosse dall’altra parte, ma la voce che si levò alta e compiaciuta non lasciava adito a dubbi.

«Weasley».
 
 
 
 
 









Angolo autrice
Ehilàà… sì, sono ancora viva. Ammetto che è da un po’ che non pubblico (10 mesi, ma tralasciamo). È stato un anno molto particolare, in cui ho vissuto un sacco di cambiamenti. Ho anche dovuto affrontare un blocco dello scrittore parecchio potente, ma alla fine sono riuscita a mettere un punto a questo capitolo (che spero ripaghi dell’attesa, anche se ne dubito). Parecchie cose sono riprese dai capitoli precedenti, quindi una rilettura veloce è di sicuro consigliata (soprattutto considerato il tempo che è passato, mannaggia a me). Non so se riuscirò a essere regolare come una volta a pubblicare i capitoli, quando ne sfornavo uno circa ogni mese, ma cercherò di sicuro di non far passare così tanto tempo tra un capitolo e l’altro… ah, e se qualcuno ha esperienza su come evitare/superare i famigerati blocchi che colpiscono noi amanti delle parole, accetto volentieri consigli ;)
Non mi resta che dirvi alla prossima!
ChiarainWonderland
 
   
 
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