Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: edoardo811    25/06/2023    1 recensioni
L'estate è finita e il Campo Mezzosangue è diventato un mortorio. Rimasto da solo dopo che tutti i suoi amici se ne sono andati, EDWARD passa le giornate cercando di trovare un valido motivo per non andarsene. Il suo lato greco si affievolisce giorno dopo giorno, per via del suo legame con gli dei giapponesi, un legame di cui, però, farebbe volentieri a meno.
LISA si trova in una situazione difficile, a fronteggiare una relazione complicata, che la spaventa, e le cose non faranno che peggiorare quando una vecchia conoscenza ritornerà nella sua vita e in quella del suo ragazzo.
Bloccata nel bel mezzo del nulla, ROSA è in cerca di sé stessa, una ricerca che per ora si è rivelata infruttuosa. Quello che non sa, è che anche lei è il frutto di una ricerca, da parte di alcune delle creature più pericolose del mondo. Un fortuito incontro con mezzosangue, però, potrebbe aiutarla a risolvere entrambi questi problemi.
Infine c'è KONNOR, a cui è toccato il facile compito di difendere New York City completamente da solo da un invasione di mostri, prima che un evento chiamato "La Notte Eterna" non si verifichi portando con sé la distruzione del mondo. Che cosa potrebbe andare storto?
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, Dei Minori, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

2

Una vera sfida



L’aria puzzava di chiuso e di zolfo, così tanto da far vomitare. Se avesse potuto muoversi, si sarebbe premuto il braccio davanti alla bocca. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva fatto un sogno come quello? Aveva dimenticato quanto odiasse non potersi muovere a proprio piacimento. 

La stanza si reggeva su delle spesse travi di legno, poste l’una di fronte all’altra a intervalli di diversi metri. Su ognuna di esse era appesa una lampada squadrata. Gettavano una luce cupa sui muri scrostati, che lasciavano intravedere i mattoni screpolati, e il soffitto sbiadito. Il pavimento di legno era coperto da uno spesso strato di polvere, nei punti dove i tappeti logori non lo coprivano. Anzi, non erano tappeti, ma tatami. Delle stuoie appoggiate sul suolo completamente rovinate, strappate in più punti e da cui fuoriusciva la paglia secca. 

Quindi era di nuovo in Giappone. O quello, oppure nella casa di qualche fanatico di architettura giapponese.

Una voce graffiante provenne dalle sue spalle: «Mio Re. È qui.»

Le finestre sulla parete di destra si spalancarono all’improvviso, lasciando entrare la luce del giorno, che per quanto flebile, sembrò abbagliante dopo l’oscurità a cui Edward si era abituato. La vista fuori dalle finestre era incredibile: poteva scrutare intere catene montuose, intervallate da colline e valli gigantesche. Non fosse stato per quel tristissimo cielo grigio, il panorama sarebbe stato stupefacente. 

Edward si rese conto di potersi di nuovo muovere. Si voltò in direzione della voce e rimase esterrefatto. Al fondo della sala, di fronte ad un ampio pannello scorrevole, si trovava uno dei mostri più assurdi che avesse mai visto. A stento faticò a capire che si trattava di una donna. Aveva i capelli lunghi e ingialliti, il viso era un ammasso di rughe dalla mascella pronunciata, gli occhi erano di due colori diversi, che sembravano mutare di continuo, e due corna le spuntavano dalla fronte, una delle quali assumeva la forma di una Y. Era anche truccata, constatò il ragazzo, un dettaglio di cui avrebbe preferito non accorgersi. 

A confermare il fatto che fossero in Giappone, c’erano per finire i vestiti di quella donna: un lunghissimo kimono blu, decorato da motivi floreali. 

«Tu chi sei?» riuscì a domandare, al che quella gli rivolse un sorriso così grottesco da rivaleggiare con quello di Campe, e quella sì che aveva un sorriso orrendo.

«Il mio nome è Ibaraki, Araldo di Amaterasu. Ma non è con me che devi parlare oggi.»

Un’altra voce si sollevò, dal timbro molto più pacato: «Edward Model.»

Edward si girò nuovamente. Qualcuno era apparso accanto al trono all’improvviso, girato di spalle. Da quella posizione, Edward poté soltanto vedere i suoi capelli neri, corti, e la pelle rossa del suo collo e delle sue mani intrecciate dietro la schiena. Indossava anche lui un kimono, nero e bianco, coperto di ghirigori dorati. Con uno sguardo, capì che era lui a comandare. Evidentemente il potere veniva misurato in base alla quantità di scarabocchi sui vestiti. 

«Lieto di fare la tua conoscenza.» Lo sconosciuto si voltò, rivelando un volto giovane, di un ragazzo che non poteva essere più grande di lui. Erano gli occhi gialli e le vene sporgenti sulle guance a tradire la sua natura di mostro. Quello, oltre che la pelle rossa come il sangue. 

«Lascia che mi presenti. Io sono il Re dei demoni. Il mio nome è…»

«No.»

Lo sconosciuto si fermò, stupito. Edward, sorpreso di essere riuscito a dire quello che pensava, scosse la testa. «No» ripeté. «Senti amico, conosco questa trafila. Adesso tu mi minaccerai, in maniera più o meno velata. Probabilmente vorrai la mia spada, o qualcosa del genere. E no, non sono proprio in vena. Fammi risvegliare e dimentichiamoci di questa discussione. Non ho proprio voglia di ucciderti.»

Faccia di Pomodoro lo guardò per qualche secondo, prima di rovesciare la testa all’indietro e ridacchiare. «Non riesco a crederci. Ibaraki, hai sentito anche tu?»

«Ho sentito, sire» annuì la donna mostruosa. «È proprio come lei».

Edward le rivolse un’occhiataccia. All’improvviso, aveva una terribile sensazione. «Come chi?»

«Come tua madre.»

Un forte brivido percorse la schiena del figlio di Apollo. Gli sembrò di aver appena ricevuto un’alitata di vento gelido in faccia. Si voltò, per poi trovarsi il volto dello sconosciuto a un palmo dal proprio. Se avesse potuto, avrebbe fatto un salto indietro. Si era spostato così velocemente che non se n’era nemmeno accorto.

«La stessa arroganza» gli disse, con un ghigno che gli deformò il viso. Gli occhi gli si iniettarono di sangue e le vene si gonfiarono. «La stessa presunzione. La stessa illusione.»

«Tu… cosa sai di mia madre?»

«So molte più cose di quante tu ne possa immaginare. Ma sei stato molto chiaro, Araldo di Amaterasu. Non hai intenzione di ascoltarmi. Perciò ti lascerò andare.»

«Ehi, n-no, un momento…»

«Ibaraki. Congeda il nostro ospite.»

«Sì, sire.»

Edward tentò di protestare, ma la bocca non rispondeva più ai comandi. Il Re gli diede le spalle e se ne tornò verso il suo trono, mentre Ibaraki si parava di fronte a lui. L’ultima cosa che il figlio di Apollo vide prima di svegliarsi, fu il taglio di una katana affilatissima.

 

***

 

Kevin si sedette di fronte a lui e gli allungò una lattina. «Hai un aspetto orribile.»

«Ma sta’ zitto» sbottò Edward, afferrandola. «Non sono in vena dei tuoi commenti sarcastici.»

«Non era sarcasmo. Hai davvero un aspetto orrendo.»

Edward decise di ignorarlo. Se avesse saputo che razza di sogno aveva fatto, si sarebbe risparmiato certe battute. Era tutto il giorno che ci pensava. Non aveva chiuso più occhio dopo essersi svegliato. Non riusciva a toglierselo dalla testa. Quel tizio aveva parlato di sua madre. Aveva detto di conoscerla. Ed era in Giappone, chiaramente. Quell’estate, Naito gli aveva detto che Kate era ancora viva, tenuta prigioniera da qualche parte in Giappone. Le possibilità che lei fosse incappata nel Re dei demoni, chiunque egli fosse, gli sembravano spaventosamente alte. Non aveva mai sentito parlare di lui. Aveva sempre creduto che Orochi fosse il “re” dei demoni in maniera non ufficiale, un mostro a cui tutti gli altri sottostavano.

Quindi chi diamine era quel tizio rosso? Un impostore? O qualcuno di perfino più pericoloso di Orochi? Gli sembrava assurdo, ma non poteva escludere nessuna opzione.

Forse avrebbe voluto domandarlo a Chirone, ma dubitava che il centauro ne sapesse qualcosa. E comunque, non gli andava proprio parlare con lui, né di quello, né di nient’altro. Quel tipo viveva greco, mangiava greco e andava al cesso greco. Più lo evitava e meglio era.

Di una cosa era sicuro, questo “Re” sarebbe tornato. Non avrebbe menzionato Kate, altrimenti. Gli aveva dondolato in faccia delle informazioni e poi l’aveva lasciato andare, sapendo che lui, invece, avrebbe voluto saperne di più. Stava tramando qualcosa e ad Edward non piaceva per niente quando tramavano cose alle sue spalle. Tutta quella situazione gli ricordava in maniera sgradevole la faccenda dell’estate prima.

Si dondolò sulla sedia, e si rilassò versandosi in bocca un sorso di birra. Ancora non si capacitava di come facesse il figlio di Efesto a procurarsela. Dall’ultima volta in cui era stato lì, solo un paio di giorni prima, il Bunker Nove sembrava essersi riempito di ancora più cianfrusaglie. C’erano progetti ovunque, pezzi metallici, attrezzi, viti, bulloni, sembrava l’officina di un accumulatore seriale con una condizione grave. Non aveva idea di come fosse il Bunker prima di Kevin, ma non credeva che potesse essere peggio di così.

Kevin appoggiò le gambe al tavolo e tirò la linguetta della sua birra. «Ehi, è vero che quei due stronzi del Campo Giove sono venuti a cercarti?»

Il figlio di Apollo sollevò un sopracciglio. Le voci correvano in fretta, specie quando non c’era niente da fare, o di cui parlare. Anche se non poté fare a meno di sorridere di fronte al classico tocco da elefante di Kevin. «Sì, è vero.»

«E cosa volevano?»

«La biondina ha blaterato qualcosa sul volerci aiutare in caso di guerra. Francamente, non pensavo che andasse messo agli atti in questo modo.»

«Che?»

«Non pensavo che fosse necessario venire a dirmelo di persona» spiegò Edward spazientito. «Apri un dizionario, ogni tanto.»

«E tu parla come mangi» borbottò Kevin. «Comunque, quei due non mi piacciono per niente.»

«A te non piace nessuno.»

«Beh, quei due in particolare non mi piacciono.»  

«Ah sì? E cosa li rende così diversi dagli altri?»

«Troppo potere rende brutte le persone.» Kevin accennò con la mano al prototipo che aveva costruito per la partita di Cattura la Bandiera, un sistema di tubi collegati a una tanica da nascondere sotto ai vestiti, con il quale poteva fingere di sapere sparare fuoco dalle mani. Edward pensava fosse una gran ficata, quelli che invece avevano rischiato di essere carbonizzati da Kevin invece no. «Io ho sparato fiamme per cinque minuti e mi sono sentito intoccabile. Come pensi che si senta una bambolina che può volare e sparare fulmini?» proseguì il figlio di Efesto.

Edward smise di dondolarsi. «Aspetta. Ashley può volare e sparare fulmini?»

Kevin posò la lattina sul tavolo, con un grugnito infastidito. «Assurdo, vero? Alcuni di noi nascono con poteri strafichi, altri invece sono soltanto umani che puzzano di barbecue per mostri.»

Edward si accasciò contro lo schienale della sedia. Si domandò a quale delle due categorie facesse parte. La Spada del Paradiso lo rendeva molto più forte di tanti semidei, ma senza perfino lui sarebbe stato solo uno spuntino per mostri. L’idea che, senza la spada, Ashley avrebbe potuto carbonizzarlo era piuttosto sgradevole.

«Beh, speriamo che se le cose si mettano male, faccia tutto lei» concluse. Il Re e la sua amichetta gli balenarono nella mente. Sarebbe stato bello rimanere in disparte a sorseggiare una lattina di birra mentre Ashley e il gigante muto si occupavano di loro. Volevano fare gli eroi? Potevano cominciare con l’occuparsi dei suoi problemi. Era molto felice di cederglieli.

«In ogni caso, so cosa può tirarti su di morale.» Kevin andò a rovistare in uno degli scatoli sparsi per il bunker, finché non tornò con tra le mani un lungo fagotto bianco. Lo posò sul tavolo e lo srotolò di fronte ad Edward fino a rivelare una figura lunga e sottile.

«Yellowboy» mormorò Edward, osservando il Winchester col caricatore a leva che Kevin gli aveva mostrato una volta.

Kevin annuì. «Avevamo deciso di custodirlo qui finché non sarebbe arrivato il momento di usarlo. Beh amico, credo che quel momento sia arrivato. Forza, prendilo e vieni con me.»

«Che diavolo hai in mente?» domandò il figlio di Apollo, mentre Kevin estraeva da un altro scatolone alcuni vecchi revolver Cattleman e il Mitra Tommy.

Una volta armato di tutto punto, il figlio di Efesto si voltò verso di lui con un sorrisetto compiaciuto. «Seguimi e lo scoprirai.»

 

***

 

Sembravano pronti per l’Apocalisse. Edward portava Yellowboy a tracolla, Kevin invece aveva i Cattleman in due fondine, Mitra Tommy tra le mani e uno zaino pieno di munizioni.

«Eccoci arrivati.» Kevin smise di camminare, proprio di fronte a una zona dove decine, centinaia di rottami erano stati buttati a casaccio, sparsi tra i cespugli e gli alberi. Sicuramente invenzioni difettose del figlio di Efesto. Lamiere, elettrodomestici convertiti in armi – ventilatori, frigoriferi, aspirapolveri, forni a microonde – da cui spuntavano una miriade di cavi, bulloni e lame affilatissime. C’era perfino un vecchio furgone arrugginito, con uno stampo sbiadito sulla fiancata.

«Ma dove siamo? In una discarica?» domandò Edward, sbalordito.

«Ma quale discarica! Questo è il “Deposito della roba di recupero di Kev… cioè, della Casa Nove”. Qui al campo non si butta via niente.»

«E Chirone sa di tutta questa robaccia?»

«Certo che lo sa. Tutta la roba usata e che non serve più viene portata qui, così che io possa riutilizzarla. Almeno così la smettevo di fregare il forno a microonde nella Casa Grande. Ecco, guarda.»

Kevin estrasse un Cattleman. «Mezzogiorno di fuoco!» Premette il dito sul grilletto e al boato dello sparo seguì quello di un forno a microonde che esplodeva in mille pezzi. «Boom! Centrato in pieno! Avanti, prova anche tu. È maledettamente rilassante.»

«Vieni spesso qui?» gridò Edward, per farsi sentire sopra le strilla di dolore dei poveri elettrodomestici che Kevin stava facendo saltare in aria. Non che gli servisse davvero una conferma, visti i fori di proiettile già presenti su buona parte di quei rottami.

«Più di quanto non vorrei ammettere!»

Osservando l’espressione folle di Kevin mentre crivellava un frigorifero con Mitra Tommy, Edward decise che, se non poteva batterli, doveva unirsi a loro. Sfilò Yellowboy da tracolla e lo impugnò. Non aveva mai tenuto in mano un’arma prima, benché meno sparato. E non era un qualcosa su cui i riflessi da semidio potessero aiutarlo. Quando prendeva in mano una spada, in un modo o nell’altro sapeva cosa fare. Con un fucile risalente a due secoli prima invece le cose erano molto diverse. Avrebbe potuto chiedere a Kevin qualche dritta, ma quello sembrava saperne tanto quanto lui. Tenendosi ad almeno cinque metri di distanza da quel pazzo, prese la mira, aiutandosi con quelle poche immagini che aveva visto in vecchi film. Appoggiò il calcio alla spalla e chiuse un occhio. Trattenne il respiro come faceva con l’arco, poi schiacciò il grilletto: una latta vuota compì dieci rotazioni in aria, con un foro proprio all’altezza del suo cuore di metallo. Il rinculo gli fece male alla spalla e l’odore di polvere da sparo gli arrivò al naso, dandogli un lieve senso di vertigine. Tuttavia, aveva centrato il bersaglio al primo colpo.

Una sensazione di appagamento gli percorse l’organismo. Infilò la mano nella leva e caricò il colpo successivo.

Bang. Bang. Bang. L’oblò di una lavatrice, un vecchio forno a microonde e un lampadario si frantumarono in un inferno di cristallo e vetro.

«Bella mira!» si complimentò Kevin.

Edward fece un sorrisetto. «Eh. Grazie.»

Non seppe per quanto tempo andarono avanti. Se c’erano delle driadi nei paraggi, decisero saggiamente di non farsi vedere. Gli spari, le piogge di vetro, lo stridio del metallo e le risate isteriche si moltiplicarono. Sembravano due amici che si conoscevano da tutta la vita. Dopotutto, soltanto con qualcuno di cui si ha un legame profondo si va a sparare nel bosco. O quello, oppure si è entrambi completamente fuori di testa. Una delle due.

Il casino che facevano era così tanto che ci misero diverso tempo per accorgersi dei tentativi di una terza persona di farsi sentire. Edward smise di sparare quando la udì. E diede anche un colpo al braccio di Kevin, per farlo smettere di impressionare un gangster degli anni 30. Una ragazza con lunghissimi capelli biondo platino e occhi cristallini si stava sbracciando. Il viso sembrava fatto di porcellana, candido come il latte, con delle sottili labbra rosse che spiccavano su di esso. Perfino i jeans stretti e la maglietta arancione del Campo Mezzosangue la facevano sembrare uno schianto.

Non che fosse importante, ma profumava anche come una rosa appena colta.

«Jane!» esclamò sorpreso. «Che ci fai qui?»

La figlia di Afrodite era sconvolta. «Ero qua vicino e ho sentito gli spari! Pensavo che fossimo sott’attacco!»

Edward aggrottò la fronte. «E quindi sei corsa fin qui anziché chiamare aiuto?»

«Perché? Avresti voluto che fossi arrivata qui con Chirone?» Jane pronunciò quella frase come se stesse parlando a due bambini che avevano appena combinato una marachella. Buffo, considerando che avevano in mano delle armi. Doveva essere la marachella più letale di sempre.

«Beh, no. Ma sei stata irresponsabile a correre verso gli spari.»

«Amico, tu parli di irresponsabilità?» s’intromise Kevin.

«Nessuno ti ha interpellato!» Edward si rivolse di nuovo a Jane. «Avresti potuto farti del male. O peggio, avremmo potuto essere davvero sotto attacco, e a quel punto che avresti fatto?»

Jane incrociò le braccia sotto al petto. Sembrava infastidita. «Pensi che in quel caso non avrei saputo difendermi? Guarda che anch’io ho cominciato ad allenarmi.»

«Certo, dopo anni e anni» borbottò ancora Kevin, questa volta venendo zittito da entrambi i ragazzi.

«Tu neanche ti alleni! Sei sempre chiuso in quel capannone a fumare e a progettare solo gli dei sanno cosa!» sibilò Jane irritata.

«Io non fumo proprio un bel niente! E comunque, sempre meglio che starmene seduto al sole a rimirarmi davanti allo specchio o…»

«Ehi, voi due!» Edward sollevò le mani, frapponendosi in mezzo ai due ragazzi. «Finitela di litigare! Pensavo che l’odio tra le vostre case fosse acqua sotto il ponte.»

«Ma quale acqua e quale ponte!» Kevin cominciò a frugare nel suo zainetto, gesticolando con una mano in direzione della figlia di Afrodite. «Finché quella non mi chiederà scusa non voglio averci niente a che fare.»

Jane fece una faccia allibita. «Scusa? E per cosa?»

«Per tutto quello che hai detto e fatto in questi anni!»

«Fai sul serio, Bolt?! Non mi pare che tu invece sia mai stato un angelo con me!»

Kevin saltò in piedi con un pugno di proiettili tra le dita. Una scena che aveva un che di bizzarro e di inquietante. «Si raccoglie ciò che si semina, bimba.»

«Bimba?!» La faccia di Jane si tinse di rosso. «Chi ti credi di essere, razza di ignorante cavernicolo e…»

«BASTA!» Edward avrebbe voluto rimettersi a sparare solo per non sentire più i piagnistei di quei due. «Dateci un taglio! Vi state comportando entrambi da poppanti. Forza, stringetevi la mano e fate pace.»

Entrambi lo fissarono come se fosse sceso da un altro pianeta.

«Non ci penso nemmeno!» sbottò Kevin.

«Io non lo tocco quello!» puntualizzò Jane.

«Oh, porca… fatelo e basta! Siamo rimasti in pochi al campo e non ho alcuna intenzione di sorbirmi altre ridicole faide tra case!»

Kevin e Jane si scambiarono uno sguardo. La figlia di Afrodite si strinse ancora più forte tra le spalle, ma alla fine sospirò e fece un passo in avanti. «Va bene Bolt. Mi dispiace per tutto quello che ho fatto.»

Gli tese una mano. Il ragazzo si grattò sotto al berretto a visiera, per poi grugnire a sua volta. «Ma sì. Chissenefrega. È acqua passata.»

«Ecco, visto» commentò Edward soddisfatto, mentre quei due stringevano meccanicamente le mani, uno più a disagio dell’altra. «Non è mica successo nulla di…»

La terra tremolò proprio in quel momento, interrompendolo. Uno stormo di uccelli si levò in cielo, accompagnato dal loro gracchiare spaventato e dal battito affannato delle ali.

«Cosa… cos’è stato?» domandò Jane, gli occhi spalancati per lo stupore.

Edward ne sapeva tanto quanto lei. «Io non…»

«Oh, no!» esclamò Kevin, cominciando a correre all’improvviso, lasciandosi dietro lo zaino e Mitra Tommy.

«Ehi, Kevin! Aspetta!»

Edward gli corse dietro. Non fu semplice, dato che era stato costretto a portarsi dietro anche la roba che il figlio di Efesto aveva scordato. Si accorse che anche Jane si stava affannando alle sue spalle. «Che… gli è preso?» annaspò, con le trecce dorate che sventolavano dietro di lei.

«Non ne ho idea… ma forse tu non dovresti venire. Potrebbe essere…»

«Oh, smettila di preoccuparti per me. Me la caverò.»

«Non mi sto preoccu…» I piedi di Edward sbatterono contro qualcosa, e l’aria svanì da sotto di lui all’improvviso. Il mondo si capovolse e sbatté il naso a terra. Una scia di puntini colorati gli apparve di fronte agli occhi.

«Edward!» Jane si inginocchiò accanto a lui e gli posò una mano sulla spalla, guardandolo angosciata. Aveva un tocco incredibilmente leggero, come quello di una piuma. «Stai bene?»

«Ah…» Il figlio di Apollo si sollevò col labbro che sanguinava. Non fosse stato in presenza di una donna, avrebbe fatto uso di una delle sue imprecazioni più colorite. Si ripulì alla bell’e meglio e distolse lo sguardo dalla ragazza, più per coprire la vergogna che per altro. «Sì, sì…»

Si voltò e vide la radice che spuntava dal terreno, colpevole di quella sua caduta imbarazzante. Di tutti i modi per farsi del male, considerando quello che aveva attraversato l’estate prima, quello gli sembrava il più stupido e assurdo di tutti. Jane tuttavia non sembrava trovare la cosa divertente. O forse non voleva ferire il suo orgoglio. Sollevò invece l’indice di fronte a sé. «Guarda! Si è fermato là!»

Kevin si trovava una decina di metri più avanti. Stava dando loro le spalle, lo sguardo chino verso il basso. Non appena lo raggiunsero, Edward spalancò gli occhi: un gigantesco cratere si apriva nel terreno di fronte a loro, profondo almeno due metri e largo tre o quattro. Sembrava che un meteorite fosse precipitato lì. C’erano ancora tracce di fumo e polvere che si sollevavano dal suolo.

Jane era atterrita. «Che è successo qui?»

«Una delle mie trappole è scattata» mugugnò Kevin.

«Una delle… trappole?» Edward osservò di nuovo quel cratere, convinto che la caduta di prima gli stesse dando le allucinazioni. «Una delle tue trappole ha fatto questo?!»

«E non è esplosa da sola» proseguì il figlio di Efesto. «Qualcuno l’ha fatta scattare.»

Edward non capì cosa intendesse dire finché non si accorse della polvere cosparsa lungo tutto il cratere, di colore dorato, simile a sabbia.

«Non… non è che è stata una ninfa? O un satiro?» domandò Edward, anche se i suoi stessi sensi gli stavano dicendo che non poteva essere possibile. Era passato qualcosa di pericoloso, lì. E forse non era ancora finita.

Kevin scosse la testa. «Queste erano tarate per azionarsi a una pressione di almeno 400 libbre. Soltanto un mostro o un ciccione può pesare così tanto. E i ciccioni non si lasciano dietro la polvere d’oro.»

«Ma… capita che i mostri superino i confini a volte, no? Voglio dire, il bosco è grande» mormorò Jane. «Forse questo era da solo e…»

Un fruscio tra la vegetazione catturò l’attenzione di Edward. Provò un lunghissimo brivido lungo la schiena. E poi, un’ombra piombò verso di loro. Ama no Murakumo si materializzò tra le sue mani, più veloce di un lampo. Riuscì a spostarsi di fronte ai suoi amici e a deviare con la spada una freccia gigantesca un istante prima che si abbattesse su di loro.

Kevin osservò sconvolto quella freccia enorme che rotolava lungo il cratere. Sembrava il dardo di una balista. «Ma… ma che ca…»

«Guardate!» esclamò Jane, zittendo Kevin.

Da dietro gli alberi cominciarono a spuntare diverse figure, e non solo da quelli di fronte a loro. Un ciclope, un lestrigone, una dracena, un’arpia appollaiata sopra un ramo, dei segugi infernali con la schiuma alla bocca, dei cinocefali. Nel giro di pochi istanti, li avevano circondati. Ma non erano i pesci piccoli a preoccupare Edward. A lui interessava chiunque avesse scagliato quel dardo enorme.

«Interessante. Un figlio di Efesto e uno di Apollo. Quando si dice l’ironia della sorte.» Una figura si fece largo tra la vegetazione, fino a stagliarsi dall’altra parte del cratere. Per un istante, a Edward sembrò un umano qualsiasi. Gli umani non erano così alti, però. E non avevano gli occhi fatti di bronzo, con delle pupille rosse che scintillavano al loro centro. «Sapete, conosco bene i vostri padri. E se non fosse stato per uno di loro, oggi non mi troverei qui.»

Pronunciò quell’ultima frase puntando il suo sguardo morto proprio su Edward.

Grazie tante papà” pensò il ragazzo con fastidio.

Il gigante fece un fischio, e un altro segugio infernale apparve accanto a lui con un salto. Era un pastore tedesco grosso almeno il doppio degli altri cani, col pelo nero e lucido come il cielo notturno, e occhi d’argento scintillanti. Cominciò a ringhiare come un pazzo non appena vide i semidei, piegato sulle zampe, pronto ad attaccare al segnale del padrone.

«Porca di quella gran bagascia di Gea» bisbigliò Kevin, pietrificato.

«Mia madre non c’entra nulla, figlio di Efesto.» Lo sconosciuto sollevò quell’arco largo tanto quanto Edward era alto. Sembrava la versione ancora più tecnologica di Veloce come il Vento dopo che Kevin ci aveva messo le mani sopra. Era coperto di metallo, la corda era un filo di bronzo, collegato a due carrucole, e un mirino telescopico spiccava al di sopra della fessura dove dovevano passare quelle specie di siluri che si portava nella faretra. «È stata mia zia a mandarmi qui.»

Jane deglutì. «Quello… quello è…»

«Lo so.» Edward passò Mitra Tommy a Kevin. Era arrivato il momento di fare pratica su bersagli mobili. Il suo sguardo si concentrò su quello diabolico del gigante. Strinse con forza il manico di Ama no Murakumo. «Quello è Orione.»

«Sono sorpreso, figlio di Apollo. Sei preparato» sogghignò il gigante.

Edward sollevò la spada. Non aveva idea di come quei tizi fossero arrivati fin lì, ma li avrebbe rispediti nel buco da cui erano usciti. «Io penso a lui. Voi sistemate quei mostri e avvisate Chirone» disse a Kevin e Jane.

Orione caricò l’arco. «Uccideteli!»

I mostri esplosero in un boato e partirono alla carica.

«Dite ciao al mio amico!» esclamò Kevin, sollevando Mitra Tommy e crivellando una prima fila di assalitori. Jane si tappò le orecchie e gridò, anche se Edward non seppe se fosse spaventata o se fosse solo adirata con il loro compagno.

Il figlio di Apollo deviò un’altra freccia di Orione e, aiutato da una corrente d’aria, arrivò dall’altra parte del cratere con un solo salto. Il cane del gigante gli fu subito addosso, ma Edward se ne sbarazzò con un solo fendente. Al guaito del gigantesco pastore tedesco seguì una pioggia di polvere dorata.

«Sirio! No!» gridò Orione, apparendo genuinamente scioccato. «Ma come… come hai fatto?!»

Edward sollevò un sopracciglio, anche se non riuscì a trattenere un ghigno. Sollevò Ama no Murakumo. «Fammi capire bene, questa zia ti ha spedito qui a combattere con me senza parlarti di questa?»

«Io… dovevo solo…» Orione strinse i denti e sollevò di nuovo l’arco. «Non importa. Ti ucciderò e…»

Un’altra sferzata, e l’arco si tagliò a metà fra le mani del gigante. Se gli occhi di bronzo avessero potuto spalancarsi, l’avrebbero fatto.

«Sai, per un attimo mi avevi impensierito» gracchiò Edward, avanzando verso il gigante. «Avevano detto che eri tanto spietato. Ma non sembri così pericoloso.»

Orione indietreggiò, come una preda messa all’angolo. Tuttavia, un sorriso divertito apparve sul suo volto. «Non hai considerato una cosa.»

«Ah sì? E quale?»

Fu un’altra esplosione a rispondere alla domanda di Edward. Il ragazzo sussultò e alzò gli occhi al cielo, dove alcune nubi nere si stavano sollevando in più direzioni. I mostri avevano trovato altri passaggi.

«Se non distruggerò io questo posto, lo faranno gli altri» proseguì Orione, con una risata. «In ogni caso, siete spacciati.»

Edward fletté le gambe. Era ora di chiudere quella faccenda. Fece per fiondarsi sul gigante e tagliargli la testa, ma i suoi sensi lo avvisarono di un movimento improvviso alle sue spalle. Si abbassò un istante prima che un proiettile scuro sfrecciasse sopra di lui, schiantandosi in pieno contro Orione. Il suo ululato di dolore si perse nel boato degli alberi contro cui precipitò.

Il figlio di Apollo osservò atterrito l’oggetto che si estendeva proprio sopra la sua testa e realizzò che non era stato un proiettile a colpire Orione, ma un bastone lunghissimo.

Il bastone cominciò ad accorciarsi, sempre sotto gli occhi increduli di Edward. Si voltò, per poi accorgersi che un altro individuo era apparso nel bosco. Lo sconosciuto roteò il bastone, ormai lungo come uno normale, e poi gli rivolse un sorriso. «Finalmente ti ho trovato, Araldo.»

Edward sbatté le palpebre, convinto di vederci male. Gli sembrava di aver appena visto una scimmia parlante. Che però stava dritta come un uomo. E indossava vestiti. Ed era in grado di sorridere.

Non sto sognando!” pensò Edward, senza parole.

Di fronte a lui c’era una scimmia alta almeno due metri, vestita con un kimono arancione e giallo, pantaloni lunghi e sandali. Aveva una obi stretta attorno alla vita, a cui era appesa una fiaschetta di ceramica. Si era rimessa il bastone a tracolla e lo scrutava divertita con le braccia conserte. Sulla testa portava una specie di corona dorata, sull’abito, invece, all’altezza del cuore era ricamato un pittogramma che Edward non riuscì a decifrare. Non era un kanji, altrimenti l’avrebbe riconosciuto subito, grazie alla spada.

«Ti ho cercato a lungo, sai?» proseguì la scimmia, ed Edward si rese conto che parlava in un giapponese risicato. «Ho sentito delle tue gesta. Hai affrontato Yamata no Orochi e il suo esercito tutto da solo, e sei sopravvissuto. Devi essere davvero forte!»

«Ma… ma cosa…» sussurrò Edward, prima che un grido furibondo provenisse da dietro di lui.

Orione si rialzò in piedi, con il volto che sanguinava. «Tu! Come hai osato…»

La scimmia fece uno strano verso e compì un balzo. Una nube bianca si formò sotto i suoi piedi a mezz’aria. Nel giro di un istante, passò sopra la testa di Edward e si fiondò sul gigante mulinando il bastone. Orione non vide nemmeno cosa lo colpì. Si ritrovò di nuovo steso per terra, con il volto viola, e questa volta non si sarebbe rialzato così presto.

«Molto bene! Adesso che questa seccatura è sistemata…» La scimmia indicò Edward. «… io ti sfido, Araldo di Amaterasu! Coraggio, battiti con me!»

Edward fece un passo indietro. Quel tizio aveva steso Orione come niente. Irradiava forza pura da ogni centimetro di quel corpo peloso. E conosceva Orochi.

«Chi sei?» riuscì a domandargli. «Ti ha mandato il re dei demoni?»

«Non sono stato mandato qui da nessuno. È stata una mia scelta. E quanto a chi sono…» Lo sconosciuto si puntò il pollice al petto, con un ghigno che mostrò i canini affilati. «… il mio nome è Sun Wukong. Sono il re delle scimmie. Dammi una vera sfida!»





Ehilà, salve. Penso che questa sia una delle cose più brutte che abbia mai scritto. Ho assassinato il personaggio di Orione, me ne rendo conto, e penso di aver reso una barzelletta l'incontro tra Edward e il Re dei demoni. A mia difesa, rischiava di diventare la copia sputata dei sogni con Edward e Orochi, quindi ho preferito scegliere un approccio diverso. E poi, finalmente qualcuno ha dato a Edward pan per focaccia. Ma so che non siete qui per questo, quindi parliamo del finale. Sì, gente, è proprio lui, Sun Wukong, ma forse voi lo conoscerete come Son Goku. Una volta mi chiesero perché non chiamai un personaggio scimmia "Son Goku" durante l'Elisir di Lunga Vita, beh, il motivo è questo. Son Goku non è un nome qualsiasi, è il nome giapponese di Sun Wukong, un mito cinese che però si è diffuso in tutto il mondo, ragion per cui ho deciso di inserirlo anche in questa storia (e motivo per cui parla giapponese risicato). La mia idea è che Wukong abbia viaggiato il mondo in cerca di una sfida degna di lui (sì, proprio come farebbe Goku) e finalmente l'ha trovata. Ma mi sono dilungato abbastanza. Il prossimo capitolo sarà su... Lisa! Lo so ora mi odierete. Mi dispiace! Ma ho tante belle idee per lei e per il caro Tommy. Grazie per aver letto e alla prossima!
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: edoardo811