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Autore: RobynODriscoll    03/03/2010    9 recensioni
"Sono stata molte cose nella mia vita. Figlia e assassina, sposa e puttana, sorella e traditrice, amante e spergiura; a volte saggia, a volte folle, a volte sciocca e inerme. Ho creduto e ho dubitato, ho osato e ho fallito. Tante, troppe volte, ho avuto paura, tranne quando avrei dovuto averne per davvero.
Mi chiamo Bianca Auditore, sono figlia di un assassino e di una ladra. Cesare Borgia è stato il mio primo amante: diceva che era la mia purezza a istigarlo al peccato, come una macchia nera sulla mia pelle. Ma sbagliava; perché il peccato non è una macchia. Il peccato è di un bianco accecante. Come la neve e il vuoto, la morte e l’assenza. Come il lutto, la gioia, e la veste degli Assassini."
Genere: Azione, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Claudia Auditore , Ezio Auditore, Leonardo da Vinci , Maria Auditore , Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Filo Rosso del Destino - la storia di Bianca Auditore da Monteriggioni' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Eccomi qui, con il primo capitolo! Per un po’ dovrò occuparmi dell’infanzia di Bianca, per gettare le basi di ciò che verrà dopo – però giuro che intorno al capitolo cinque arriverà anche un po’ d’azione, e soprattutto più Storia! :)

 

Quella volta, Ezio ripartì presto, dopo appena due giorni: ma di lì a quattro mesi, tornò. Non potevo capire, allora, che genere di affari lo trattenesse a Venezia. Sapevo solo che, quando lui stava con noi a Palazzo della Seta, mia madre si comportava in modo strano.

Era un tipo impetuoso, mia madre. L’avevo vista gridare addosso a omoni come zio Bartolomeo, correre sui tetti per sfuggire alle guardie e parlare liberamente in un’assemblea di uomini. Eppure, quando Ezio era presente sembrava di colpo più fragile. A volte si fermava a guardarlo per momenti interminabili, mentre mangiavamo alla mensa di zio Antonio; indugiava qualche momento con le mani sulle sue spalle, mentre lo aiutava a indossare la cappa. Eppure, non faceva che rispondergli a male parole. Ero abituata al suo turpiloquio, eppure io stessa rimasi un po’ perplessa. Verso mio padre la sentii usare le parole peggiori del suo repertorio, quelle che nemmeno i nostri compagni ladri usavano mai.

Una sera, mentre giocavo fuori dallo studio affrescato che zio Antonio aveva preso per sé – quella, mi avevano detto, un tempo era stata la casa di un uomo ricchissimo! -, assistei ad una scena che mi è rimasta impressa.

Mia madre era rientrata stanca da uno degli incarichi affidati al suo gruppo. La vidi avvicinarsi a me e tendermi le braccia, per prendermi in collo e portarmi nelle nostre stanze. Quando la porta dello studio di zio Antonio si aprì.

Ne uscirono lo zio, mio padre e suor Teodora.

Lei era una donna bellissima. Non bella come mia madre, ma tanto aggraziata da abbagliare. Vestiva in maniera un po’ strana per una suora, ma proprio per questo mi piaceva. Mia madre, però, non era contenta quando dicevo che da grande volevo somigliare a lei.

La simpatia che nutrivo per quella stramba suora era reciproca. Non perdeva occasione di prendermi in braccio e vezzeggiarmi. Lo fece anche quella sera; ma io non le prestai molta attenzione. Avevo notato lo sguardo gelido che mia madre aveva rivolto ad Ezio.

 “Andiamo, Bianca. E’ ora che tu vada a dormire.”

“Rosa…vorrei parlarti. Solo un momento, te ne prego.”

Mio padre guardava mia madre come non l’avevo ancora mai visto fare. Con un’intensità che allora non potevo capire, e che scambiai per una sorta di rivalità. Forse desiderava litigare con lei lontano dalle mie orecchie. Così pensai allora.

Antonio scambiò uno sguardo imbarazzato con suor Teodora. Ma l’espressione di mia madre restò ferrea.

“Qualcuno deve mettere a letto la bambina.”

“Posso farlo io.”

Quando la suora pronunciò quelle parole, pregai che mia madre acconsentisse. Teodora aveva splendidi capelli castani, e profumava di buono. Sarebbe stato bello addormentarsi con lei vicino.

Mi portò nella mia stanza, si fece mostrare le mie bambole di pezza. Dissi, orgogliosa, che le aveva cucite mia madre per me.

“Tua madre è una donna straordinaria.”

Fui molto fiera di quell’osservazione.

“Sorella…a voi piace mio padre?”

Suor Teodora accennò ad un sorriso. “E’ un mio vecchio amico, e gli voglio molto bene. E a te, piace?”

Scossi il capo, sistemando i capelli di lana della mia bambola. “Non lo so. Mi fissa sempre, ma non gioca mai con me.”

Allora, suor Teodora rise.

“Devi avere pazienza con gli uomini, Bianca. A volte sono così goffi! Non sempre sanno dimostrarci quanto tengono a noi.”

Mentre suor Teodora mi vestiva per la notte pensai che, se quello che diceva era vero, forse mia madre era come un uomo. Guardava Ezio proprio come lui guardava me. Come se fosse sempre sul punto di dirgli qualcosa, ma poi rinunciasse prima di aprire bocca.

“Mio padre mi vuole bene?”

L’idea mi lasciava perplessa. Se era così, perché non mi sorrideva? Zio Antonio e zio Ugo mi tenevano sulle loro ginocchia e mi raccontavano storie. Lui, invece, sembrava sempre turbato dalla mia presenza.

Gli occhi di Teodora si misero nei miei. Erano calmi e rassicuranti.

“Così tanto che non sa come mostrartelo. Ma tu non devi dubitarne mai...l’amore, quello vero, è come lo Spirito Santo di Nostro Signore.” La suora scostò le coperte, mi fece cenno di sdraiarmi. Le ubbidii, e lei proseguì: “Come Lui non ha corpo, ma lo puoi vedere sui corpi degli altri. Nei loro volti, nei loro occhi e sulla loro pelle. Quando lo incontri, non ti puoi confondere con nient’altro.”

Pensai che le sue prediche mi piacevano più di quelle dei religiosi che ogni tanto sbraitavano in piazza, e mi addormentai accoccolata contro il suo seno morbido.

 

***

 

Molte ore dopo, quando Teodora mi aveva lasciato sola da un pezzo spegnendo la candela, aprii gli occhi e vidi di nuovo le falene bianche danzare sul muro della mia stanza. Poi, mi accorsi che non si trattava affatto di farfalle. Era un gioco di luce che il lampadario di vetro nell’anticamera proiettava sul muro, riverberando le fiammelle delle candele. Quel fascio luminoso penetrava nella mia stanza attraverso lo spiraglio della porta, che Teodora aveva lasciato aperto.

Sentii dei sussurri nella camera a fianco. Mi alzai dal letto, tenendo per mano la mia bambola.

“La tua gelosia non ha senso.”

Mio padre. Aveva il cappuccio calato, potevo vedere i suoi capelli bruni. Toccai d’istinto i miei, così simili.

“Se dovessi essere gelosa di tutte le puttane che passano di qui, perderei il mio tempo in continuazione.”

“Rosa…”

“Parlami della signora di Forlì, invece. Ho sentito che è bella. Dicono che hai passato molto tempo alla Rocca di Rivaldino, insieme a lei.”

“Sono passati anni dall’ultima volta che ho visto Caterina!”

“E vuoi farmi credere che non sei mai tornato da lei?”

“No. In compenso, sono tornato da te.”

Mia madre esitò. Si morse il labbro, e guardò altrove. “Per Bianca.”

Lui mosse un passo. “Sì, per Bianca. Ma non soltanto.”

La prese per le spalle, costringendola a guardarlo. “Mentirei se ti dicessi che non partirò più. Se ti basta, ti prometto che tornerò. Per lei, e per te.”

Lei lo guardò come se cercasse di capire se poteva credergli. Poi, gli gettò le braccia al collo, e lo baciò.

Si divisero dopo un tempo che a me, che guardavo senza capire, parve un’eternità. Sentii lei che diceva:

“Non qui. Di là c’è la bambina.”

Allora lo prese per mano, e si allontanarono nei corridoi. Lo spiraglio di luce tornò ad invadere la mia camera. Io feci un passo indietro, camminando lentamente verso il letto.

Dunque, le cose stavano così. Non avevo capito bene cosa si fossero detti, ma per una volta mia madre non l’aveva insultato.

Strinsi la bambola al petto e pensai che non sapevo se mio padre mi piaceva. Però, evidentemente, piaceva a mia madre. Quindi, per amore suo avrei fatto amicizia con lui.

 

Quella notte fu concepito mio fratello, Giovanni Antonio Auditore.

Vanni vide la luce una mattina di luglio, nel 1493. Nei nove mesi trascorsi, il mondo era cambiato rapidamente. Negli anni seguenti avrei appreso che Lorenzo il Magnifico era morto, lasciando un vuoto di potere che aveva dato la possibilità ai nemici dei Medici di spodestare i suoi legittimi eredi. Un navigatore genovese, al soldo di Isabella di Castiglia, aveva trovato una nuova rotta per dirigersi verso le Indie, per poi accorgersi che non si trattava affatto delle Indie ma di un nuovo continente. Nello stesso periodo, il nemico mortale di mio padre era divenuto Papa: semplicemente, l’uomo più potente del mondo. Lo Spagnolo tramava per espandere il proprio dominio attraverso le conquiste del figlio Cesare, e le alleanze strette con i molti matrimoni imposti alla figlia Lucrezia.

Allora, naturalmente, non sapevo nulla di tutto questo. Era il mio mondo ad essere cambiato per sempre, a causa della nascita di Vanni. Ed io, ancora oggi, non so se ringraziare il Cielo o maledirlo per questo.

Quando me lo presentarono, rossiccio di pelle e con una rada peluria di capelli scuri in testa, lo trovai molto brutto. Non mi somigliava per niente. Il suo viso non era duro come quello di mio padre, ma nemmeno aggraziato come quello di mia madre. Sembrava un incrocio tra un rospo e un maialino.

Mio padre era tornato apposta per vederlo nascere. Prima di venire da noi era stato a Mantova, ospite di Francesco Gonzaga. Il duca lo aveva convocato per parlargli di affari importanti.

“I Francesi si stanno preparando per attraversare le Alpi.”

Parlavano spesso come se io non fossi presente. Feci finta di interessarmi tantissimo al modo in cui il mio neonato fratellino mi stringeva il dito nel pugno, e, senza che se ne accorgessero, li ascoltai.

“Vorrei che veniste a vivere a Monteriggioni. Tu e i bambini sareste al sicuro.”

Mia madre rifletté un momento. “Ci sono più Assassini qui, di quanti non ce ne siano nella tua Monteriggioni. Siamo ben protetti, non ci manca niente.”

“Carlo di Francia vuole Napoli, e non esiterà a marciare su Venezia per raggiungerla.”

“Dovrà prima prenderla.” L’espressione bellicosa di mia madre vacillò, quando guardò mio padre negli occhi. Rivolse una lunga occhiata anche a me, e a Vanni. Infine, sospirò.

“Ci penserò, Ezio.”

Nel settembre dell’Anno Domini 1493, la mia famiglia si trasferì in Toscana, nel borgo di Monteriggioni.

Ed io iniziai a capire che cosa comportasse essere una Auditore.

 

 

NdRuna: E' strano vedere Ezio e Rosa in atteggiamenti deliberatamente romantici...spero di non essere stata OOC...

Ma ora passo ai ringraziamenti!

Elika95: grazie davvero, di cuore, mi sono commossa a leggere la tua recensione! Sono state proprio le tue parole riguardo a Niente è Reale a darmi la spinta per lavorare alla storia di Bianca&co, quindi se mi sono messa su questa serie è un po' colpa tua :P
L’aspetto fisico di Bianca verrà svelato tra alcuni capitoli, è un miscuglio interessante di Ezio e Rosa (beh, questo era prevedibile probabilmente ^_^;). Spero che questa storia continui ad interessarti!

lullacullen: grazie mille per il tuo incoraggiamento, mi sto documentando parecchio sul Rinascimento italiano e spero di non cadere in grosse contraddizioni o errori…conto comunque su di te per correggerli, se ti va di continuare a leggere :)

Grazie anche a chi è passato per sbaglio e si è preso la briga di leggere ^___^

Infine, doverosissimo ringraziamento alla mia BetaReader, Yukiko-sensei (inchino ossequiosissimo), che si presta a sopportare anche questo parto della mia schizofrenia   :*

Al prossimo capitolo! :)

Runa.

   
 
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