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Autore: Dk86    02/06/2006    7 recensioni
"Ci sono dei giorni in cui alzarsi dal letto sembra la cosa più dura, ma si è costretti a farlo. Vuoi per una noiosa riunione di lavoro, vuoi per un ancor più noioso compito in classe, o semplicemente per una noiosissima giornata in cui non si deve fare nulla, ma ci si sentirebbe colpevoli a rimanere a poltrire sotto le coperte.
Essere svegliati e scaraventati a terra dal proprio letto è invece un’esperienza che non è dato provare a molti. Qualcuno potrebbe pensare che sia praticamente impossibile, e invece no. E’ solo molto, molto improbabile.".
Che succederebbe se Hogwarts diventasse una bella mattina un luogo più assurdo del solito?
E se Harry fosse l'unico in grado di risolvere la situazione?
E se non ne avesse per niente voglia?
Genere: Comico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Il trio protagonista, Luna Lovegood, Neville Paciock
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO SECONDO – ELEFANTI E SCALE


Harry scoprì che Dean aveva ragione solo in parte: non era affatto vero che le scale non portavano più da nessuna parte (anche perché, dato che la caratteristica principale delle scale è quella di permettere alla gente di andare da un punto A ad un punto B, se smettessero di farlo non sarebbero più scale ma qualcos’altro); semplicemente, non sembravano avere una particolare fretta di arrivare al punto B.
Dopo dieci minuti buoni di discesa a rotta di collo Harry, con la sgradevole sensazione che i suoi polmoni avessero eseguito un doppio salto mortale all’indietro annodandosi insieme, e con l’ancor più sgradevole sensazione che una cosa del genere quel giorno poteva effettivamente succedere, si lasciò cadere sconsolato su uno degli innumerevoli gradini.
Il fenicottero lo raggiunse poco dopo. Solo che non era più un fenicottero.
“Se non altro sto risalendo la scala evolutiva…” commentò un orango (Pongo Pygmaeus), andando ad accovacciarsi accanto ad Harry. Il ragazzo gli lanciò un’occhiataccia. Decisamente non era un buon momento per parlare di scale.
Per tutta risposta Dean gli allungò un’amichevole pacca sulla spalla e sollevò il labbro superiore, mettendo in mostra i denti scimmieschi in un sorriso piuttosto grottesco. “Se avessi una banana te la offrirei, sono sicuro che ti farebbe sentire meglio!” esclamò gioviale. Harry non era dello stesso parere, ma non volendo offendere i sentimenti dell’orango si guardò bene dal tradurre il pensiero in parole.
Proprio mentre Harry stava meditando se la finestra del dormitorio potesse essere abbastanza grande da potervisi lanciare a cavalcioni della sua Firebolt, salvo poi ricordare che la scopa in questione era stata sostituita da un cucciolo di alligatore, come da una distanza infinita, ridotta a poco più di un sussurro, ma nondimeno perfettamente riconoscibile, giunse la voce di Ron. “Che faccio, Hermione? Vado a vedere perché non scende?”.
“RON!” Harry balzò in piedi gridando, e facendo sobbalzare l’orango che stava nel frattempo scoprendo i misteri delle sue dita dei piedi “SONO QUASSU’, RON! RIESCI A SENTIRMI?”.
La risposta giunse subito, debole e fioca: “Certo che ti sento! Adesso arrivo!”. Harry, con un sospiro di sollievo, si risedette sulla scala, aspettando pazientemente l’arrivo di Ron, che sicuramente avrebbe impiegato qualche minuto a salire tutte quelle scale.
Proprio in quell’attimo Ron girò l’angolo.
“Come diavolo hai fatto a salire così velocemente?” esclamò Harry, stupefatto.
L’amico lo fissò con espressione piuttosto confusa: “Ho dovuto fare sì e no sei gradini, anche Goyle ci sarebbe riuscito senza sbagliare strada… Piuttosto, tu che fai lì seduto? Le tue gambe sono diventate di pietra? No, perché a Neville prima è successo…”.
Harry scosse la testa: “No, non riuscivo più a scendere, era come se i gradini si fossero moltiplicati a dismisura!”.
“Beh, adesso dovrebbe essere tutto a posto!” esclamò Ron in tono leggero “Voglio dire, io sono riuscito a salire! Quindi non vedo perché non dovremmo scendere! Ehi, ma quello è Dean?” chiese poi, indicando l’orango e ridendo sotto i baffi “L’ultima volta che l’ho visto era rosa e ricoperto di piume!”. La scimmia rispose alzando un braccio in un gesto non proprio cortese.
“Tu invece sembri perfettamente normale, Harry…” constatò Ron.
“Beh, anche tu, no?” chiese l’altro.
Ron sbuffò: “Perché non lo dici a lei?” e si voltò, mettendo in mostra una lunga coda da dalmata (Canis Familiaris) che spuntava da un buco nei pantaloni e che iniziò a dimenarsi, frustando l’aria con foga. “Ho dovuto rovinare i miei jeans meno vecchi a causa sua…” si lamentò Ron. La coda smise di scodinzolare e si abbassò con aria contrita.
“Ron, sei riuscito a trovarlo?” la voce di Hermione, ansiosa ed indispettita nel contempo, distolse l’attenzione di Harry dalla coda di Ron.
“Sì, stiamo arrivando!” gridò il rosso di rimando, iniziando a scendere le scale seguito a ruota da Harry e Dean.
“Che strano, eppure mi sembrava di aver salito meno gradini, prima…” mormorò Ron trentadue scalini più in basso.
“Questo vuol dire che siamo intrappolati tutti e tre…” osservò lugubremente l’orango.
“Non riuscite a scendere, vero?” chiese Hermione dalle infinite profondità della Sala Comune, con il tono di chi conosce tutte le risposte di un compito in classe ma aspetta la fine dell’ora per dirtele “Temo che dovrete aspettare che la scala si trasformi di nuovo, allora!”.
“Già, ma quando lo farà?” si lamentò Ron fissando con astio il soffitto.
A questo punto, se ci fossimo trovati in un film o in un libro, sicuramente qualcosa sarebbe intervenuto a sbloccare la situazione di modo che lo spettatore o il lettore di turno non si annoiasse e decidesse di spegnere la tv o di usare il libro per pareggiare l’altezza delle gambe del tavolo. Quella invece era la vita vera. Era molto improbabile che le scale si trasformassero proprio in quel momento.
Infatti fu proprio quello che fecero.
Tutto ebbe inizio con un lieve borbottio che aumentò progressivamente d’intensità fino a raggiungere lo stesso suono prodotto da un centinaio di elefanti africani (Loxodonta Africana) lanciati al galoppo in preda ad un’acuta gastrite. I muri e il soffitto sembrarono sciogliersi e dilatarsi, finchè il corridoio non divenne largo come un campo da tennis e tanto alto che due giganti avrebbero potuto tranquillamente passarci stando uno sull’altro. Nel frattempo il frastuono si faceva sempre più forte e più vicino; intuendo il pericolo, Harry afferrò Ron per una mano e Dean per un arto peloso e li trascinò contro la parete con una notevole prontezza di riflessi. Meno di due secondi dopo, infatti, un branco composto da un centinaio di elefanti in corsa passò a tre centimetri dal naso di Ron. A giudicare dall’espressione sofferente dipinta sui loro musi rugosi, sembravano soffrire di un intenso attacco di gastrite.
Dopo che gli enormi pachidermi furono lontani, i due ragazzi e la scimmia notarono che i gradini color antracite avevano lasciato il posto ad una larga striscia di sabbia bruna e sottile, e che il corridoio era ritornato alle dimensioni usuali. Ron, Harry e Dean ripresero la discesa con circospezione, stando attenti a non scivolare (le suole delle scarpe di Harry, sporche di colloso sciroppo alla ciliegia, attraevano come calamite la polvere circostante) e in pochi secondi misero piede nella bolgia tumultuosa che aveva sostituito la solitamente tranquilla Sala Comune.
Per prima cosa, arredamento e pareti erano cambiati. O sarebbe meglio dire che continuavano a mutare. Durante i pochi secondi nei quali Harry riuscì a concentrarsi sulla carta dalla parati prima di essere costretto a distogliere lo sguardo a causa della nausea, il suo colore virò dal nero assoluto all’azzurro pallido, che lasciò poi il posto a diverse sfumature di verde fino a diventare giallo paglierino; su di essa, in uno sfacciato carminio, pulsava, ripetuta centinaia di volte, la parola “attizzatoio”.
Lo spettacolo più sconvolgente era però offerto dal vasto campionario di studenti di Grifondoro, ognuno dei quali sembrava essersi alzato con ben più che un piede sbagliato: si andava da Seamus, che aveva due ferri da stiro al posto delle mani, a Calì e Lavanda, che sembravano essersi fuse insieme in un petulante e grottesco ibrido a due teste, fino a Ginny, la quale aveva perso (inavvertitamente, si spera) la terza dimensione e si aggirava sconsolata per la Sala Comune come una grottesca fotografia su due gambe.
“Credevo che non sareste scesi più…” osservò Hermione emergendo dalla calca. Sembrava quasi del tutto normale tranne per i capelli, che si erano ulteriormente increspati e si erano tinti di blu; crepitavano in maniera poco rassicurante emettendo delle minuscole scintille nervose quando la ragazza muoveva la testa di scatto. “Direi che adesso possiamo anche uscire di qui” aggiunse poi a bassa voce, mentre Dean caracollava verso Seamus.
”Ma la McGranitt ha detto che…” incominciò Ron, ma Hermione lo interruppe con un brusco gesto della mano e con un intenso sfrigolio.
“So cos’ha detto, ma mi sento inutile a rimanere qui con le mani in mano. I miei libri si sono trasformati in una colonia di champignon durante la notte, e dato che la magia non funziona correttamente non voglio tentare di Trasfigurarli, prima di perderli del tutto. Spero che i volumi della Biblioteca siano protetti meglio contro simili inconvenienti magici, mi servono dei dati per confermare la mia teoria…”.
“Teoria?” esclamò Harry “Intendi dire che pensi di sapere che cosa sta succedendo?”.
Hermione annuì: “Ve lo spiegherò per strada. Ho già detto tutto a Ginny, e lei preferisce rimanere qui, almeno finchè non sarà riuscita a recuperare la profondità… Comunque noi quattro siamo più che sufficienti per una ricerca”.
“Quattro?” esclamarono Harry e Ron, guardandosi attorno.
In una delle tasche della divisa di Hermione qualcosa iniziò ad agitarsi, e dall’apertura si affacciò una microscopica familiare faccetta tonda. “Neville!” esclamò Harry.
“Non mi fido a lasciarlo qui, qualcuno potrebbe calpestarlo…” disse la ragazza, abbassando la mano in modo che Neville potesse accucciarsi nel palmo.
“Preferivo tenermi le gambe di granito…” borbottò il lillipuziano con aria cupa. Ron ridacchiò, ma smise quando i capelli di Hermione iniziarono a crepitare minacciosi.
  
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