Uno, due, tre squilli.
“Jude?”
“Hey, Robert...”
“Cos’è questo tono? Qualcosa non va?”
“Non vanno troppe cose qui Robert...”
Robert sospirò. “Quanto devi stare in più lì in Cina?”
“Quattro mesi.”
“Oh, Dio. Ma qualche weekend puoi venire qui da me, no?”
Fui io a sospirare.
“Mi hanno detto che se voglio la promozione devo dimenticarmi dell’amore per un po’.”
“Ma non possono! E’ un diritto. Cioè. Non ce la posso fare senza te in casa. Davvero.”
Ci fu un lungo silenzio nella chiamata.
“Robert...”
“Zitto!” sentivo i suoi singhiozzi mal repressi, tenuti dentro. “Innamorarsi è la stronzata più grande che una persona possa fare nella propria vita!”
“Ti pre-” tu tu tu tu tu. “Ti prego.” Sussurrai, riponendo la cornetta del telefono al suo posto.

questa one-shot partecipa al contest "Onironauta" indetto dal gruppo facebook "Le ragazze e i ragazzi della porta accanto. (Efp website)"
Me ne stavo seduta sul letto.
La schiena perfettamente dritta, nuda e accarezzata dal lieve vento autunnale.
I piedi ben saldi a terra, poggiati sul parquet scuro della nostra camera da letto.
“C’è qualcuno qui.” continuavo a ripetere a mio marito.
“Tesoro, non c’è nessuno in casa tranne noi. Torna a dormire.” mi ha rassicurata.
Così mi sono rimessa sotto il lenzuolo e il suo braccio sotto il mio seno mi ha stretta a sé.
“Ci sono io qui...” e così mi sono riaddormentata.
Non so dopo quanto tempo precisamente mi sono svegliata di nuovo. Madida di sudore e con il cuore che batteva all’impazzata.
Il braccio di John non era più stretto a me ed io non ero vicina a lui.

ATTENZIONE ATTENZIONE ATTENZIONE: SPOILER SULLA 2x06. SPOILER SULLA 2x06.

“Perché non mi avete chiamata Eleonora? E’ un nome da principessa, io voglio essere una principessa. Adesso andate dal sindaco e gli dite che voglio cambiare nome: da Elena ad Eleonora.”
Ho una macchina da scrivere, presa nel vecchio ufficio di papà. Tempo fa ci passavo giornate intere, a ricopiare le mie storie. Ora ci passo meno tempo ma non sapete che emozione provo quando pigio i tasti pesanti e le lettere si scontrano sul foglio per imprimere l’inchiostro.
Come per starmi a dire che le parole sono indelebili, che schiacciano come sassi ma che alla fine sanno farsi perdonare, lì tutte assieme sul foglio della vita completamente bianco.
- OS assolutamente nonsense con parole buttate lì sulla mia persona, sul mio essere.

«Caro Judsie,
sono in viaggio con Suzie.
Abbiamo deciso di fermarci qui a Londra, ma solo per due giorni.
La tua Londra. La nostra, Londra.
Quante ne ha viste questa città, quanto ha visto di noi due.
Ogni tanto ringrazio che le città non abbiano una bocca o le mani per parlare o scrivere, ma ogni tanto vorrei che qualcosa lo dicesse, per aiutarmi a ricordare meglio.»

Non mi lascio impressionare dalla ragazza a fianco che mi guarda meravigliata e comincio a cantare la celebre canzone di Bowie.
Non so nemmeno il suo nome,
Penso rimarrà la ragazza. Almeno fin quando non scoprirò il suo nome.
Al ritornello lei si avvicina. Riesco a sentire molto meglio la sua voce.
È angelica. Sicuramente è un soprano.
Conclusa la canzone, ringrazia in primis il sottoscritto, dopo avermi lasciato due baci sulle guance, poi i musicisti e infine il pubblico. Le rimango a fianco, riprendo solamente la mia birra a bordo palco e scendo assieme a lei dal lato.
“Hai qualcosa che ti cade dalla tasca Tom.” mi dice indicando i miei jeans stretti e neri. In effetto dalla tasca faceva capolino un foglietto.
Mentre apro il pezzettino di carta lei si mischia tra i clienti del pub, facendo perdere le sue tracce.
“Take my hand come undercover, they can't hurt you now.
Jamestown Road n.53, Camden Town.”

«Con i tuoi occhi grandi e scuri stavi sempre lì a guardarmi, a proteggermi.
Questo era ciò che mi portava ad amarti più di ogni altro uomo.
Più di Paolo, più di Alfonso.
Fratelli. Dovevamo per forza essere questo, io e te?
Cesare e Lucrezia Borgia.
I figli bastardi di Papa Alessandro VI, Rodrigo Borgia.»
flashfic dedicata a quegli amori di Cesare e Lucrezia Borgia della serie tv canadese con Jeremy Irons, giusto per rimarcare la distinzione con l'altra serie. :)
p.s. partorita nell'ora di economia durante un pesante abbiocco.

“Sono così da spavento al mattino?” le chiedo spostandomi da dietro al divano e mettendomi al suo fianco.
Sorride, rimettendosi gli occhiali e incrociando le gambe all’indiana.
“Sono io che tengo bassa la guardia e mi spavento facilmente. E’ diverso.”
La vedo cercare qualcosa tra i fogli. Sicuramente starà cercando le sigarette, e i fiammiferi per accendersene una.
“Permetti?” le dico cercando con lei tra i fogli e trovandole dietro la sua schiena, mentre assaporo le sue labbra.
“Però al mattino non mi lasciare più solo nel letto. Per favore.”
Lei per risposta posa lo sguardo sui tendoni in velluto. Si chiude nelle sue spalle e accende la sigaretta con il fiammifero.

Mio padre odia il fatto che io spedisca lettere e cartoline a persone che non conosco di persona ma solo tramite un computer.
Più che altro odia che io spenda così inutilmente i miei soldi.
“Perché non puoi semplicemente inviare una foto su facebook o via mail invece di spendere i soldi così?”
No. E’ diverso.
E’ tutta una questione di principio che nessuno oltre a me potrebbe capire.
Insomma, io adoro scendere a prendere la posta e vedere che c’è qualcosa per me. Che sia una cartolina, una lettera, una bolletta, un giornale o un depliant stupido di qualche supermercato. Perché mi sembra che io sia importante per qualcuno. Almeno per un giorno.
fanfic ispirata ad un sogno avuto realmente la mattina del quattordici agosto duemilatredici.

"Per i sette Dei, viaggiare con Jaime Lannister è stata la peggior scelta e promessa che avrei potuto fare a Catelyn Stark.
Ci hanno ospitati ad Harrenhal, al cospetto di Lord Roose Bolton. Abbiamo pure il permesso di farci un bagno. Jaime durante il viaggio, con gli uomini di Bolton ha perso una mano. Anzi, la mano. Quella che usava per combattere.
Sono sola, nella stanza con le vasche, piene di acqua bollente. Mi sfrego la pelle per mandare via il fango, la puzza di questi giorni passati a cavallo. Cerco anche di scacciare via la paura. Anche se è difficile."
one-shot ispirata alla 3X05, dialogo tra Jaime Lannister e Brienne di Tarth nelle vasche da bagno di Harrenhal.

Mi sono permesso di chiedere un passaggio a Thor per Asgard.
Mi ha chiesto perché volevo andare ad Asgard, gli ho risposto che volevo parlare con suo fratello.
E’ inutile mentire al Dio del Tuono, meglio evitare che scateni qualche tempesta su Midgard, come la chiama lui. La Terra per me e per i comuni mortali.
“Che vuoi dire a mio fratello?”mi chiede guardandomi con fare interrogatorio.
“Voglio chiedergli alcune cose su New York. Ancora adesso mi ritrovo a fare incubi la notte su quell’avventura. E la scena è sempre la stessa, io che entro nel buco generato dal Tesseract per richiuderlo con il missile, la telefonata a Pepper senza la sua risposta, lo sconforto, il senso di vuoto nell’armatura, la paura. E’ tutto così vivido. Mi sembra di riviverlo ogni notte. E’ orrendo.”
Annuisce col capo, mentre io addento una barretta di cereali con le gocce al cioccolato fondente.
“Allora? Me lo dai questo passaggio per casa tua?”
“Dai, andiamo.”
my first IronFrost. *o*

“Non so rammendarmi se questo è uno tipico scenario alla Fitzgerald o un comune cabaret alla Chicago.”
Mi volto di scatto per capire chi mi stia parlando.
Iperventilazione.
Ipersudorazione.
Tremolio della mano.
Champagne presto in caduta libera sulla testa di qualche altro ospite sotto di me.
“Penso più uno scenario alla Fitzgerald, signor-”
“Francis.”
“Francis Scott Fitzgerald.” ripeto terribilmente ammaliata da quella bellezza.
- one-shot partorita dopo aver visto per la prima volta il film/musical Chicago. -

“Sei sempre così perfetto. Svelami il tuo segreto Jude.”
“Segreti, segreti. Non ci sono segreti. E’ semplicemente il mio fascino inglese.” mi rispondeva sempre lui.
Già, il fascino inglese. Come non conoscere il tipico fascino inglese.
- one shot scritta prima di cominciare i test per l'ammissione all'esame di qualifica del terzo anno della mia scuola ma pubblicata solo ora che li ho finiti. non del tutto ma quasi. (?)

«Sono molto rare le volte in cui mi trovo a passare una serata in completa solitudine. Ed è ancora più raro se la mia solitudine è accompagnata da una birra bionda e buona musica, il tutto in un caffè letterario in una cittadina veramente piccola in Italia.
Il caffè, nonostante siano le 23 è assurdamente gremito di persone di tutte le età, ci sono ragazzi giovani, venuti qui per andare nella cantina al piano di sotto a sentire le prime tre band partecipanti ad un concorso musicale, ci sono i gruppi di amici di vecchia data che si ritrovano per un drink al bancone, le famiglie che mangiano e poi ci sono io, in mezzo a quella gente a leggere Shakespeare e a bere birra. Cosa inusuale, avrei dovuto sicuramente prendermi un tea. Da bravo inglese.
“Vuole che le porto altro?”
Questa voce è talmente fuori campo che noncurante continuo a leggere. Una mano sulla mia ad abbassarmi il libro e poi di nuovo, quella voce.
“Ha bisogno di altro Mr. Hiddleston?”»

Robert è un uomo dannatamente bello. Sì, penso questo sia ovvio e che lo abbiano notato sia gli uomini che le donne, che per loro questo complimento su Rob è quasi certamente scontato.
Ma ha quella bellezza da bad boy, da tipico americano. Mentre io ho quella bellezza nascosta tipica degli inglesi. E siamo maledettamente diversi nel carattere, nelle abitudini, nei modi di fare. Abbiamo i nostri difetti. Solo che i difetti di Robert sono tutti in superficie, sono tutti disposti in una stanza a cui hanno tutti libero accesso per poterli sapere mentre i miei, sebbene un poco anche pubblici, per la maggior parte sono sotto terra, nascosti, per paura che qualcuno li possa usare contro di me.
Come dice la canzone Flaws dei Bastille “You have always worn your flaws upon your sleeve, and I have always buried them deep beneath the ground.” - “Hai sempre portato i tuoi difetti sul tuo polso, io li ho sempre sepolti sottoterra.”