Narnia's Spirits. di Dhialya (/viewuser.php?uid=70910)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. Narra la Leggenda. ***
Capitolo 2: *** L'alba del giorno dopo. ***
Capitolo 3: *** Il sentimento che supera il tempo. ***
Capitolo 4: *** I ricordi che aleggiano tra le rovine. ***
Capitolo 5: *** Piume bruciate da purezza letale. ***
Capitolo 6: *** Incontri dettati da sogni. ***
Capitolo 7: *** Anime in subbuglio. ***
Capitolo 8: *** Principessa figlia del nulla. ***
Capitolo 9: *** Sempre insieme. Eternamente divisi. ***
Capitolo 10: *** Quello che nel detto - non - viene celato. ***
Capitolo 11: *** Bolle di parole pronte a scoppiare. ***
Capitolo 12: *** Ricordi fatti di margherite. ***
Capitolo 13: *** Sospetti nelle ombre d'un prato. ***
Capitolo 14: *** Increspature dietro occhi piatti. ***
Capitolo 15: *** Voci fuori dal coro di una pecora nera. ***
Capitolo 16: *** Rottura della notte. ***
Capitolo 17: *** Speranza di pietra. ***
Capitolo 18: *** Scie di decisioni. ***
Capitolo 19: *** Mortale silenzio di tomba. ***
Capitolo 20: *** Mondo di calma in pensieri di tempesta. ***
Capitolo 21: *** Errori al sapore di sangue. ***
Capitolo 22: *** Ricordo di una voce dispersa nel vento. ***
Capitolo 23: *** La musica incantatrice dei ricordi. ***
Capitolo 24: *** Il pericolo nascente da un segreto. ***
Capitolo 25: *** I sentimenti oltre le parole. ***
Capitolo 26: *** La voce dietro il silenzio delle note. ***
Capitolo 27: *** Il peso delle memorie. ***
Capitolo 28: *** Incontri con l'anima. ***
Capitolo 29: *** Figlia del Cielo. ***
Capitolo 30: *** Sguardi perduti in parole di gratitudine. ***
Capitolo 31: *** Ombre dal passato. ***
Capitolo 32: *** Il silenzio del dolore. ***
Capitolo 33: *** I cuori sotto la superficie. ***
Capitolo 34: *** Biscotti al sapore di bacio. ***
Capitolo 35: *** Collana di sentimenti. ***
Capitolo 36: *** La distruzione di un mondo. ***
Capitolo 37: *** Lacrime dal cielo. ***
Capitolo 38: *** Legami scritti dal destino. ***
Capitolo 39: *** Verso il cielo da una folata di vento. ***
Capitolo 40: *** Sotto lo scintillio delle stelle. ***
Capitolo 41: *** Cuori a confronto. ***
Capitolo 42: *** Occhi che parlano. ***
Capitolo 1 *** Prologo. Narra la Leggenda. ***
The
Just and the Sly:
Narnia's
Spirits
[Chapter
First]
[Prologo
–
Narra la Leggenda]
Ci
fu un tempo, tra la creazione di Narnia e prima dei lunghi cento anni
d'Inverno,
In
cui dallo spirito di ogni due elementi fusi insieme ne
nacque un terzo.
Guidato
dagli elementi da
cui aveva avuto origine,
Il
nuovo elemento stipulava un patto di
purezza,
In
cui univa la sua anima con quella della Grande Magia.
Ci
fu un tempo, poco prima del lungo Inverno,
In
cui il patto di purezza venne infranto.
Il
colpevole e i suoi elementi guida scomparvero.
Ma
altre cose accaddero, prima di ciò.
Altri
vissero a Narnia, per poi scomparire.
Ma
non tutto
ciò che scompare è destinato a finire per sempre.
-
Avviso
importante:
Come scritto negli avvertimenti in questa storia è presente
l'incesto
(fratello-sorella). Ho cercato di trattarlo nel modo più
delicato e
profondo possibile, analizzando tutti gli aspetti che potrebbero
essere
toccati in modo da dargli la "serietà" che merita, mentre
altre cose verranno spiegate con il proseguire della trama. Se non vi
piace come
tema e/o siete particolarmente "sensibili" vi invito a non continuare
la lettura.
Ciao gente delle Cronache! sono tornata con la nuova versione, come
avevo
promesso ^^
Allora, per chi non stia
capendo nulla, spiego brevemente le cose:
ho deciso di rivisionare la vecchia versione della long The Just and
The Sly - The Narnia's Spirits (pubblicata in data 25/08/2010 ed
eliminata da efp il 03/04/2011), ripostandola in una maniera migliore
e cancellando da efp la versione precedente. Le motivazioni che mi hanno
spinto a fare ciò sono principalmente due:
1)
me l'avevano plagiata - e di conseguenza non la sentivo più
"mia" perchè era come se mi fosse stata rubata.
2) la trama stava
prenedendo una piega che non sarei riuscita
a portare avanti in quanto la storia non era stata scritta per
svilupparsi in quel modo. Quindi ho preferito rifarla da capo, complice
anche il cambio di stile che si notava mano a mano e l'evoluzione
evidente - essendo stata la mia primissima storia -, in modo da
renderla
coerente e avere l'occasione di trattarla con "la serietà e
l'importanza" che merita da parte mia, in quanto ci tengo davvero tanto
a questa fic e voglio riuscire a darle il mio massimo impegno.
Allora, eccoci con il
nuovo primo capitolo,
anche se è solo
il prologo. Spero comunque di continuare a sapere che ne pensate, e nel
frattempo
vi ringrazio anche solo per aver letto ^.^ Se volete leggere anche
qualcos'altro ho pubblicato
una one-shot "Necklace
of Feeling"
e
la cara "vecchia"
"Fragola
e Limone",
che ho lasciato online.
Se invece siete nuovi
con
immenso piacere vi accolgo a (The) Narnia's
Spirits, la prima storia di una (tecnicamente, poi si vedrà
se il tempo e gli impegni mi aiuteranno nell'impresa) serie che parte
dal Principe Caspian. Spero che la
storia vi piaccia e che i nuovi personaggi vi stiano
simpatici - o antipatici, è possibile anche questo ^^ -
Al prossimo capitolo.
Love,
D.
|
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Capitolo 2 *** L'alba del giorno dopo. ***
Narnia's
Spirits
L'alba
del giorno
dopo.
Osservò
il
paesaggio fuori dalla finestra della cucina,
facendo arrivare lo sguardo impregnato di una nota di lontananza, come
se non stesse realmente osservando ciò che si trovava di
fronte e fosse immersa in tutt'altri pensieri, al giardino.
Posò gli occhi chiari, improvvisamente più
presenti, sull'erba brillante, lucida delle prime gocce di rugiada che
le notti di fine estate iniziavano a portare. Qualche fiore pareva
avere ancora la forza di resistere ai cambi di temperatura che
settembre aveva annunciato, stagliandosi con i propri colori sgargianti
in quel mare smeraldino.
Fece scorrere lo sguardo di lato, con
estrema lentezza, scontrandolo con l'imponente e nodosa
corteccia del grande albero che silenzioso si ergeva in un angolo del
giardino. I grandi rami e la folta chioma oltrepassavano in altezza il
tetto della casa, donando ombra e riservatezza. Le foglie si mossero,
tremando in una danza leggera a tempo di aria quando un delicato soffio
di vento s'insinuò tra esse, creando degli strani sibili
tutt'attorno.
La ragazza sorrise, ascoltando quei suoni che le
arrivarono come una carezza alle orecchie e vedendo quei movimenti
della natura, non potendo fermare i ricordi che le si palesarono come
flash davanti agli occhi, sentì una profonda fitta di
nostalgia al cuore.
Alzò maggiormente lo sguardo,
specchiandosi nel cielo mattutino che sembrava riflettersi nel colore
dei suoi occhi.
In lontananza era ancora scuro, di un delicato blu
notturno, con qualche puntino luminoso che si scorgeva ancora brillare
sereno, incapace di arrendersi allo spuntare del sole. Dal punto sopra
la finestra attraverso cui stava osservando fuori, invece, era di un
tenue azzurro rosato, segno che la giornata era appena all'inizio.
Sospirò affranta, distogliendo lo sguardo e voltandolo nella
direzione opposta, studiando le nuvole scure che stavano facendo
capolino e restando nel suo stato di riflessione.
Non era una
novità che il tempo a Londra fosse più brutto che
bello. Eppure si domandò perché, anche con la
bella alba che aveva visto nascere quel giorno, il grigiore dovesse
sempre cercare di avere la meglio anche su quella che sembrava avrebbe
dovuto essere come la più solare delle giornate.
Percepì dietro di sé i movimenti dei fratelli, le
correnti d'aria provocate dai loro spostamenti mentre sistemavano
ciò che avevano usato per fare colazione.
I suoi pensieri
cambiarono rotta, tornando a posarsi sul paesaggio.
C'era qualcosa di
diverso, in quella mattina.
Era una sensazione strana, ma era come se
sapesse che qualcosa, qualcosa
d'importante, stava per succedere. Ad
essere sincera con se stessa lo aveva sperato ogni giorno, quindi
probabilmente si stava solo soggiogando da sola come tutte le volte
già passate.
Forse voleva talmente tanto che arrivasse
un'altra chiamata che non poteva fare a meno di sperarci ogni volta,
creandosi aspettative solo perché il vento aveva soffiato in
modo diverso o il treno era in ritardo.
Scosse impercettibilmente il
capo, strizzando gli occhi e studiando qualche nuvola grigiastra,
percependo un nodo allo stomaco che le fece quasi venire la nausea.
Era
sicura, invece, che quel giorno non era come tutti quelli precedenti.
Non avrebbe saputo spiegare come, ma lo sentiva, come un formicolio
sottopelle.
-Eve, vieni o faremo tardi. Stiamo aspettando solo te.-
La
voce di Peter arrivò chiara e limpida in mezzo a tutto il
torpore che si era creata attorno con quel tono accomodante ma sicuro
che aveva nei loro confronti.
Si voltò di scatto,
apparentemente allarmata e sgranando gli occhi, scontrandosi con il
volto sereno del maggiore. Era già pronto per uscire, e
scorse allo stesso modo Lucy, Edmund e Susan, vicini alla soglia di
casa a parlare tra di loro per ingannare l'attesa.
Si sforzò
di sorridere a Peter, il quale le stava porgendo la borsa di scuola che
prese dopo essersi specchiata nel forno per assicurarsi di essere
presentabile.
Lanciò un'occhiata veloce al vetro, senza dare
segni di volersi allontanare, come se si aspettasse qualcosa.
All'ennesimo richiamo sul fatto che rischiavano di perdere seriamente
il treno sussultò, affrettandosi ad uscire dalla cucina.
-Si, si,
arrivo!-
***
Il
cavallo dal manto
nero correva, veloce e ritmico, sulla prateria che
precedeva la foresta e le montagne. Il suo respiro formava delle
nuvolette di condensa nell'aria fredda del mattino, e il terreno sul
quale passava inevitabilmente veniva invaso dalla polvere alzata dagli
zoccoli, che scattanti si muovevano in quella folle corsa.
Era ancora
buio, ma il ragazzo che lo cavalcava sapeva benissimo che entro poco
tempo l'alba avrebbe iniziato a farsi vedere, con le sue tinture tenui
e delicate, e il sole sarebbe sorto in cielo, annunciando il nuovo
giorno nel modo regale con cui quel cerchio dorato splendeva su
quelle terre.
Ma in quel momento a lui della visione del nuovo giorno
poco importava.
Si voltò indietro, scorgendo il gruppo di
Telmarini che lo stava ancora seguendo. Incitò Destriero ad
accelerare l'andatura, in modo da poter seminare il prima possibile gli
uomini che lo stavano braccando.
Per ucciderlo.
Ancora non ci credeva,
Caspian, anzi. Sperava fosse tutto frutto di un incubo da cui in
realtà non si era ancora svegliato.
Si rese conto che il
primo confine con la foresta era vicino, e non poté
reprimere un fremito di titubanza, mentre Destriero continuava a
galoppare e le urla dei soldati che stavano recuperando terreno gli
arrivavano alle orecchie in modo sempre più pungente.
Correvano voci, sulle creature che abitavano la foresta. Il
suo popolo li aveva combattuti, cacciati, a quanto sapeva, ma le
leggende ancora si spargevano tra la popolazione in ricordo dei
tempi di quando Telmar aveva invaso Narnia.
Leggende di creature
mistiche, spiriti dei boschi e della natura, mezzi uomini e mezzi
animali.
Ma, a
quanto dicevano i Sovrani da anni, dovevano essere estinti.
-Dovete
fuggire nella foresta.-
-Nella foresta?-
-Li non vi seguiranno.-
Le
parole che il suo mentore gli aveva sussurrato poco prima che scappasse
in groppa al cavallo gli tornarono in mente.
Si fece forza, confidando
in tutta la fiducia e l'ammirazione che riponeva nell'uomo che gli
aveva insegnato
tutto ciò che sapeva, e che aveva sostituito suo padre nel
compito di formare l'animo nobile del giovane uomo che era cresciuto
sotto i suoi insegnamenti.
Si fidava di lui – dopotutto, gli
aveva salvato la vita facendolo scappare.
Incitò nuovamente
Destriero ad imboccare un sentiero, immergendosi tra il fitto degli
alberi, non facendo caso ai rami bassi che gli graffiarono il viso.
Per
vari minuti non sentì più nessuno dietro di
sé, segno che i soldati si erano fermati, soggiogati dalle
storie popolari su coloro che abitavano la foresta, ma nonostante il
vantaggio l'istinto gli impose di continuare a scappare
finché era in tempo per farlo.
Sbucò in riva ad
un fiume, la spiaggetta e gli argini attorno ad esso fatti di sassolini
e ghiaia così bianchi che in un'altra situazione si sarebbe
fermato ad ammirarli.
Indicò al cavallo di attraversare il corso
d'acqua, e si voltò rapidamente indietro, scorgendo che i
soldati gli stavano nuovamente addosso.
S'inoltrò nuovamente
nella foresta non appena Destriero ebbe superato il guardo e la
restante spiaggetta, accorgendosi di come la vegetazione si fosse fatta
più fitta – rendendosi conto, con stupore, che
aveva raggiunto i confini con la vera foresta Narniana.
Non
percepì più lo scapitare di zoccoli e le grida
d'incitamento dei soldati alle sue spalle così, mentre
Destriero continuava a correre seguendo il sentiero, Caspian
iniziò a voltarsi indietro, la visuale spesso contaminata
dai capelli mossi dall'aria che gli arrivava contro.
Il
cavallo saltò un tronco caduto, e il ragazzo si
girò nuovamente, per assicurarsi di aver seminato
definitivamente i suoi inseguitori. Tirò un sospiro di
sollievo, pensando che magari la paura li aveva fatti desistere dal
continuare l'inseguimento e, dopo aver constato per l'ennesima volta
che
ciò che lo seguiva erano solo alberi e sterpaglie, si
voltò per vedere in che direzione si stesse dirigendo il
suo cavallo.
Ma, prima che potesse mettere a fuoco l'ambiente
circostante, sentì una terribile fitta alla fronte. Caspian
si ritrovò a terra con un dolore sordo alle tempie e alla
schiena, la vista annebbiata, rendendosi vagamente conto di venire
trascinato dal suo cavallo per via del
piede che gli si era incastrato nella staffa.
Riuscì
a liberarsi dopo vari minuti, sentendo il corpo tutto dolorante. Lo
scapitare di Destriero divenne sempre più lontano e debole,
fino a che non scomparì del tutto, inghiottito dal buio
della foresta.
Caspian impiegò qualche minuto per
riprendersi, mentre il respiro affannoso per la corsa e la miriade di
sensazioni provate per tutto quel tempo iniziavano a scemare,
lasciandogli solo un sordo buco vuoto e una forte confusione in testa.
La consapevolezza di essere scampato ad un attacco notturno e di
essersi rifugiato nella foresta che tutta la sua gente temeva,
rimanendo solo, lo assalì come uno schiaffo.
Solo, in un luogo a lui sconosciuto e tenebroso.
Si
issò sui gomiti, guardandosi guardingo attorno e senza il
coraggio di muoversi, attento al
minimo rumore, facendo dardeggiare spasmodicamente gli occhi per quella
vegetazione scura.
Sembrava tutto tranquillo.
Non percepiva che il
frusciare del vento che muoveva le foglie ed il suo respiro. Il gruppo
di Telmarini che lo inseguivano sembrava essersi arreso non appena lui
era entrato nel folto della foresta, visto che non li aveva
più visti alle sue spalle.
Caspian rilassò i
muscoli, lasciandosi ricadere a peso morto sul terreno, non appena
appurò che l'unica compagnia che aveva era il buio mattutino
e la foresta.
Sospirò pesantemente, cercando di chiudere gli
occhi per fare ordine nella sua mente, portandosi una mano alle tempie.
Un cigolio.
Caspian scattò sull'attenti come una molla,
notando in tutte quelle ombre una luce. Si irrigidì. Da uno
degli alberi poco lontani, le cui radici nodose spiccavano
fuori dal terreno, notò un paio di figure in controluce.
Caspian arretrò, portando istintivamente la mano alla spada
per potersi difendere.
-Ci ha visti.- Sussurrò una delle due
sagome. Questi gli si avvicinò di corsa prima che potesse
reagire, mettendo ben in vista la spada che impugnava e la sua altezza
sotto la media. Il Principe sbattè le palpebre, incapace di
reagire per la sorpresa.
Era un... nano?
Caspian vide lo sguardo dell'uomo
– un nano! – posarsi sul corno riverso a terra e
fuori dalla sua custodia di velluto, che Cornelius gli aveva
consegnato, per poi rivolgerlo a lui non nascondendo un luccichio di
stupore.
-Questo l'ho cercato per
lunghi anni.-
Uno scalpitare di
zoccoli distrasse i tre, e il nano davanti al Principe si rivolse alla
figura che ancora non aveva abbandonato la soglia di casa.
-Occupati di
lui, io li tengo occupati!-
Caspian si voltò nuovamente ad
osservare il corno, poi la sua attenzione fu attirata dall'altro nano
che velocemente gli si era avvicinato.
-Usatelo solo in caso di
estrema
necessità.-
Non ci pensò due volte ad ascoltare il
consiglio del suo Maestro e afferrò l'oggetto.
-No!-
Caspian
ci soffiò dentro senza remore, racimolando tutto il fiato
che aveva in corpo. Il suono basso del corno che gli penetrava le
orecchie, espandendosi per tutta Narnia e più, fu l'ultimo
rumore che sentì.
***
Evelyn
aveva fatto
solo pochi passi dietro Peter, ma si
fermò improvvisamente, senza nemmeno volerlo del tutto,
quando un sibilo profondo le arrivò alle orecchie.
Si
voltò di scatto verso la finestra, bloccandosi a guardare
nuovamente un punto indefinito all'orizzonte, lo sguardo attento che
cercava di mascherare lo stupore e la confusione. Si portò
le mani alle orecchie, infastidita.
Puntò gli occhi
nuovamente sul paesaggio circostante, concentrandolo soprattutto sul
pezzo di cielo più lontano che riuscisse a scorgere,
sentendo la morsa alla bocca dello stomaco darle improvvisamente
più fastidio.
-Cosa c'è?-
A Peter, sempre attendo
ad ogni suo fratello, non era sfuggito quel suo irrigidimento
repentino. Quella si girò verso di lui, cercando di
mascherare l'ansia che inspiegabilmente sentiva.
Non poteva dire
niente, non poteva rischiare di toccare quell'argomento senza essere
sicura di ciò che pensava. Già troppe volte ci
erano rimasti male, tutti loro, pensando di aver colto dei segnali che
invece si erano rivelati fasulli.
-Niente, mi sembrava di aver
scorto… un'ombra strana.- mentì, iniziando ad
avvicinarsi al fratello. Quello parve crederle, e le lanciò
uno sguardo divertito, senza bisogno che le rispondesse a parole per
farsi capire.
Evelyn si
girò per l'ultima volta verso la finestra, le sensazioni di
poco prima scomparse.
-Eve, dai, siamo in ritardo! Stai bene?- Si
preoccupò allora Susan, trovando quel suo temporeggiare
più strano del solito. Quella si sforzò di
sorriderle, cacciando dalla mente l'idea di fingersi malata per stare a
casa e raggiungendoli sul pianerottolo.
-Sto bene, grazie. Andiamo?-
Ehilà :)
Questa volta aggiorno in
fretta. Ed è principalmente per due ragioni: una, il fatto
che il primo capitolo fosse "solo" un prologo. L'altra che anche
questo, come avrete intuito, è una spece di secondo prologo,
inedito anche per i precedenti lettori, nato per far percepire qualcosa
e far nascere forse ancora
più dubbi. Quindi, tutto questo alone di calma e mistero, a
volte descrizioni fin troppo dettagliate e lente - quasi irreali per il
tempo che passa - sono volute. Soprattutto perché, come si
sarà intuito, a me piace molto l'introspezione.
Evelyn
è la nostra - mia - nuova co-protagonista di questa vecchia
- nuova - storia. C'è chi la conosce già, chi
invece avrà il piacere - ma anche no, mica deve stare
simpatica a tutti - di capirla più avanti, man mano.
Volutamente non è descritta per il momento.
Ringrazio
tutti voi che avete letto e apprezzato, chi si è fermato a
lasciarmi un parere, chi preferisce, segue e ricorda.
Spero che a
tutti/e voi anche questo secondo capitolo sia piaciuto.
Un
abbraccio
D.
|
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Capitolo 3 *** Il sentimento che supera il tempo. ***
Narnia's
Spirits
Il
sentimento che supera il tempo.
L'aria
che tirava quel giorno era fredda e pungente, in perfetta sincronia
con l'uggiosità che aveva accolto Londra fin dal mattino.
Susan stava leggendo un quotidiano ad un'edicola per vedere se potesse
esserci qualche notizia interessante di cui discutere con i fratelli,
mentre aspettava l’orario in cui si sarebbero incontrati alla
stazione per tornare a casa. Lanciò
un'occhiata stralunata al cielo, constatando che era nuvoloso peggio
della
mattina, e che minacciava pesantemente pioggia. E pensare che sembrava
avrebbe
dovuto essere una giornata soleggiata...
Sospirò, tornando
al giornale, ignorando palesemente il signore che la guardava
attendendo se si decidesse o meno a comprarlo. Ormai erano mesi che si
fermava a
quel baracchino per passare il tempo e raramente si era portata a casa
i notiziari che vendeva, eppure, forse complice il fascino della carne
giovanile, non le aveva mai detto nulla per rimproverarla.
Da
quando erano ritornati da Narnia tutto stava continuando a svolgersi
nell'ormai quotidiana abitudine che aveva avvolto la vita della
Pevensie da quasi due anni: il cielo
grigiastro, il parlottare delle persone, l'aria fredda, i rumori della
auto di città. Non era stato facile, tornare a quella
vita che stava a tutti irrimediabilmente stretta, ma Sue era stata la
prima che era riuscita a concentrarsi su se stessa per non pensare al
dispiacere che le aveva trafitto il cuore nell'accorgersi di aver perso
tutto ciò a cui aveva imparato ad affezionarsi.
Susan lanciò una
veloce occhiata al ragazzo che le si era fatto vicino e la guardava,
scorgendo la nota di indecisione nei suoi occhi senza capirne il motivo
– e, in realtà, nemmeno le interessava. Si
rifugiò nuovamente nei propri pensieri.
-Tu vai alla
Sempting Bas?-
Il tono di voce esitante irruppe nelle sue orecchie come un elefante in
un negozio di cristalli,
strappandola dall'apparente lettura e dai suoi pensieri per
l'ennesima volta e costringendola a voltarsi a guardarlo, per
educazione. La voce apparteneva al ragazzo di poco prima.
Era poco
più alto di lei, tanto che lo trovò quasi basso,
se messo a confronto con i suoi fratelli o i vari corteggiatori che
avevano provato a rubarle qualche attenzione. Portava gli
occhiali, i
capelli perfettamente pettinati, ed indossava la divisa della sua
scuola. I lineamenti del viso conservavano ancora i lineamenti paffuti
da adolescente ancora in crescita, e il tono con cui le si era rivolto
aveva lasciato trapelare ansia e agitazione,
probabilmente perché aveva attaccato bottone con la ragazza
che gli piaceva da tempo.
A parte quella nota di coraggio e
intraprendenza di cui la Pevensie gli fece internamente i complimenti,
per il resto ai suoi occhi era un ragazzo normale. Perfino anonimo.
-Esatto.- lo guardò di traverso, leggermente scocciata,
mascherando il disappunto per quella presenza sgradita con un breve
sorriso di
circostanza. Sperò che il suo sguardo ed il suo tono di voce
indifferente l’avessero fatto desistere dall’andare
avanti con il provare a parlarle, ma probabilmente il ragazzo non aveva
inteso il messaggio sottinteso.
-Io vado all'Hendon House... è proprio di
fronte.- Susan gli rivolse un’occhiata tra il
sorpreso e l’imbarazzato, annuendo come per far capire che lo
stesse ascoltando, interessata.
L'aveva spiata a tal
punto?
Continuò quindi a rivolgere l’attenzione al
mucchio
di carte che aveva in mano, senza dargli corda e pregando che qualcuno
andasse a salvarla, evitando di dirgli che era la stessa scuola che
frequentavano i suoi fratelli e quindi sapeva benissimo dove si
trovasse per non dargli motivo di attaccare nuovamente bottone.
-Ti ho visto, stai sempre da sola.-
La Pevensie sembrò
vacillare qualche istante, come se quell'affermazione l'avesse colpita
nel profondo, ma a quel punto parlò, scocciata e senza
nascondere un lieve tono sgarbato per quella frase dolente.
-Si beh, mi
piace stare da sola.- spiegò, brusca, girandosi verso la
strada facendo intendere che per lei il discorso era chiuso.
-Anche a me.-
Susan alzò gli occhi al cielo, esasperata per quella
presenza che stava iniziando seriamente a scocciarla, senza
preoccuparsi di nascondere quel gesto ed intuendo che probabilmente non
sarebbe nemmeno stato recepito.
-Come ti chiami?- Susan ci pensò un
attimo, ponderando i pro e contro sul svelargli la sua vera
identità, poi rispose dicendo il primo nome che le passava
per la testa, optando per la menzogna come poche volte in vita sua le
era capitato - ma aveva davvero, davvero voglia di restarsene per i
fatti suoi e non era sua intenzione fare amicizia con sconosciuti.
-Phillis.-
-Susan!-
Lucy stava correndo verso la stazione
della metropolitana come se da ciò dipendesse la sua vita,
cercando di evitare le varie persone che la guardavano male o
incuriosite per tutta quella fretta. La borsa scolastica le pesava sul
fianco e la tracolla le tagliava la gola, ma non aveva tempo da
perdere.
Attraversò la strada,
quando il suono di un clacson la fece voltare, bloccandola sul posto e
irrigidendole i muscoli istintivamente.
-Attenta! Guarda dove cammini, ragazzina!-
Lucy non
poté fare a meno di scusarsi, esibendo uno sguardo
dispiaciuto a quel rimprovero, riprendendo poi la sua corsa. Aveva
sentito da un gruppetto di ragazzi che le era passato accanto, senza
volerlo, che un ragazzo stava facendo a botte con tre
coetanei nella stazione, per l'ennesima volta. Lucy non era eternamente
innocente, ed era riuscita subito a capire dal modo in cui parlavano
che si trattava di Peter.
Scorse Susan all'edicola davanti
alla stazione, dove spesso si fermava.
-Susan!- la chiamò, non
appena evitò una signora, ritrovandosi a pochi passi dalla
sorella. Questa voltò il viso verso di lei, lasciando
perdere – Lucy se ne accorse solo in quel momento che sua
sorella non era sola – il suo interlocutore.
-Devi venire
subito.- continuò poi la piccola Pevensie, non curandosi
della gente e cercando di riprendere fiato, guardando la sorella senza
preoccuparsi di celare l'ansia nei propri occhi.
Susan
osservò prima il viso di sua sorella, poi lanciò
un'occhiata al ragazzo, confuso per quella brusca interruzione. Non se
ne curò poi molto, alleggerita di potersene allontanare con
quella scusa. Prese la sua cartella e seguì Lucy verso la
stazione. Le due ragazze
arrivarono alle metropolitane, notando subito la calca di ragazzi fermi
sulle scale a gridare urla di incitamento.
Susan non si
stupì affatto, quando al centro del cerchio vide Peter fare
a
botte con tre coetanei, la divisa trasandata ed il volto sudato, mentre
Lucy si faceva largo tra gli studenti.
Raggiunsero Evelyn, che le aveva precedute già da svariati
minuti ed osservava la scena, facendosi spazio tra la calca con non
poche difficoltà. Quando
questa se le ritrovò vicino circondò la vita
della sorellina con un braccio, in modo da evitarle gli spintoni degli
altri
ragazzi troppo presi dall'impeto dello scontro. Le tre sorelle si
scambiarono uno sguardo che esprimeva tutti i loro pensieri.
Susan guardò esasperata l'ennesima lite
in cui era coinvolto, domandandosi da quando avesse perso la ragione e
la serietà che per molti anni li avevano guidati negli anni
d'oro di Narnia. Evelyn si ritrovò a stringere un pugno,
cercando di incitare Peter a farsi valere evitando di farsi notare da
Sue che, era sicura, altrimenti le avrebbe fatto una qualche ramanzina.
Lucy, invece, era quella più preoccupata e in ansia.
Erano tre contro uno, e Peter le stava prendendo alla grande.
Il
ragazzo si voltò verso di loro come se queste lo avessero
chiamato, prima di essere colpito di nuovo, e vide distintamente tra la
miriade di volti attorno a lui le sorelle che lo osservavano.
Percepì una fitta di sconfitta piantarsi nella schiena.
Ormai il danno era fatto. Essere consapevole che avessero
visto lo stato pietoso in cui si trovava fu un duro colpo per lui.
Aveva benissimo scorto la delusione di Susan, la preoccupazione di Lucy
e il rimprovero di Evelyn.
Lui che per anni era stato acclamato dagli
abitanti di Narnia, dal suo popolo insieme ai suoi fratelli. Lui che
era stato chiamato il Magnifico ed era Sovrano di tutti i Re e le
Regine. Lui che aveva governato e guidato eserciti, riportando la pace
a Narnia, stretto alleanze, vinto battaglie... battuto da tre
adolescenti londinesi come il primo fesso che passa per strada a cui
viene fatto uno sgambetto.
Si ricordava ancora il giorno in cui erano stati
incoronati Reali. Era stata una tale emozione, una tale gioia che il
ricordo di quei momenti non lo aveva mai abbandonato. Era stato felice,
aveva sentito di avere trovato il suo posto.
-In
nome del Limpido
Cielo del Nord ecco Re Peter, il Magnifico.-
Perso
in quei ricordi
si ridestò sentendo la voce agitata di
Evelyn che chiamava Edmund. Non si era nemmeno reso conto di essere
stato inchiodato al muro e che due lo tenevano fermo mentre il terzo
continuava a dargli calci e pugni, il corpo ormai diventato insensibile
alle botte.
Suo fratello venne in suo soccorso,
liberandolo da uno dei ragazzi, ma nonostante il suo intervento era
comunque quello che continuava ad avere la peggio tra tutti. Si sentiva
stanco, così stanco di quella vita che non gli
apparteneva...
Il fischio acuto dei fischietti delle guardie che
accorrevano per interrompere la lite fece scattare Eve sull'attenti
come un soldatino, ancora in pensiero per Edmund che non le aveva dato
ascolto e si era buttato nella rissa, e fu costretta a seguire Susan e
Lucy lontano dalle scale per evitare problemi, mentre il gruppo dei
ragazzi che incitavano la lite si diradava.
La guardia
staccò a forza un ragazzo che nonostante tutto continuava ad
accanirsi su Peter preso dalla foga, e lo rimproverò per il
suo
comportamento infantile alla sua età. Gli lanciò
un'occhiataccia e se ne andò dopo che si fu appurato di aver
fatto finire il litigio.
Dopo essersi sistemato velocemente la divisa, Peter, l'aria altezzosa
e superba che lo caratterizzava da sempre e un'espressione sicura di
chi non ha fatto nulla di sbagliato, si decise a raggiungere i suoi
fratelli, prendendo posto su una panchina poco lontana. Essendo i posti
in quattro e loro in
cinque, Evelyn rimase in piedi vicino a Edmund, un piede appoggiato al
muro e le mani dietro la schiena. Il moro le lanciò
un'occhiata che lei non colse, presa a pensare a chissà
cosa, poi rivolse la parola al più grande.
-Grazie mille,
eh.- lo canzonò, scocciato. Scocciato perché non
era la prima volta che Peter si cacciava nei guai con dei ragazzi
più grandi, e ogni volta lui doveva andare ad aiutalo,
finendo col prenderle pure lui.
-Era tutto sotto controllo.- rispose quello, per nulla toccato,
alzandosi per
scaricare la
tensione che gli era rimasta addosso.
-Cosa è successo questa
volta?- domandò Susan, esasperata per quell'ennesimo casino
in cui si era ficcato il fratello. Prima o poi temeva la
possibilità che venisse segnalato a qualche
autorità e finisse per essere prelevato e portato
chissà dove. Possibile che non pensasse alle conseguenze
delle proprie azioni?
-Uno spintone.- rispose il Pevensie,
osservandola incrociare la braccia e lanciargli uno sguardo di
rimprovero.
-Per questo l’hai colpito?- domandò Lucy
innocentemente, non trovando dei motivi validi in quella motivazione
che potessero scatenare una rissa.
-No. Dopo avermi spinto, pretendeva
da me delle scuse. Così l'ho colpito.- spiegò,
gli
occhi che lanciavano lampi di rabbia. Susan roteò gli occhi
e lo stesso fece Evelyn che osservava la scena in silenzio,
ritrovandosi però a comprendere le motivazioni del Pevensie.
Per loro cresciuti abituandosi alle buone maniere dei nobili,
avere a che fare con l'arroganza di certi ragazzini era un vero test
per i nervi.
-Hai fatto bene.- borbottò, rivolta a se stessa e stando
attenta a non farsi sentire da Susan. Edmund, al suo fianco, trattenne
una risata.
-È così difficile per te lasciar
correre?- rincarò la dose Sue, pur conoscendo
già la risposta. Possibile che dovesse mettersi nei
guai solo per delle sciocchezze? Non erano più a Narnia,
dove se qualcuno lo trovava sulla sua strada gli cedeva il passo e
faceva un inchino.
A quel punto gli occhi di Peter lampeggiarono ancor
di più, se possibile, rabbiosi e frustrati. Lucy vide la
tempesta che animava l'animo di suo fratello agitarsi in quei baratri
azzurri solitamente calmi e rassicuranti.
-Perché avrei
dovuto? Non sei stanca di essere trattata da ragazzina?- Susan non si
sentì toccata dal tono sgarbato con cui le rispose,
consapevole che il motivo della frustrazione di Peter non fosse lei.
Evelyn pensò che in effetti non avesse tutti i torti. Loro
che erano stati grandi Re e Regine, che avevano sconfitto
Jadis la Strega Bianca e riportato la pace a Narnia trattati come
semplici ragazzini. Ancora non riusciva a capacitarsene. Voleva tornare
a Narnia. Doveva tornare a Narnia. Alla sua casa, al suo castello.
Nel
suo mondo.
-In
nome del Brioso
Vento di Narnia la Regina Evelyn, la Scaltra.-
Sorrise
tra
sé e sé al ricordo delle parole di
Aslan e guardò automaticamente alla sua sinistra. Il suo
sguardo si
posò su Edmund, impegnato ancora a parlare con Peter per
cercare sicuramente di calmarlo. Anche se lei non stava realmente
ascoltando la conversazione.
I suoi occhi chiari cercavano di cogliere
ogni più piccolo particolare della persona che ormai da
tempo, tanto – troppo
– occupava la sua mente ed i
suoi pensieri. Osservò la pelle liscia, le labbra in carne e
rosee, il mento, il collo, i capelli scuri in cui si divertiva sempre a
mettere le mani con la scusa che erano in disordine.
Si
vergognò di se stessa e voltò lo sguardo chiaro
posandolo in basso, mettendosi ad osservare i suoi piedi, certamente
molto meno interessanti. Come poteva fare certi pensieri su Edmund?
Su
suo fratello?
Che poi, i pensieri di quel momento non erano
paragonabili a quelli che a volte aveva provato a fare durante le
giornate passate insieme, quando lo vedeva con una maglietta o un
pantalone che gli stesse particolarmente bene. Oppure quando lui, da
bravo fratello premuroso quale era le rivolgeva sorrisi dolci, occhiate
lampanti, a volte preoccupate quando la vedeva distratta o triste. Nel
modo in cui l'abbracciava e la consolava quando lei doveva piangere e
sfogarsi per un
motivo che lui non capiva ma che, nonostante i suoi silenzi, era sempre
pronto a starle accanto.
Sospirò, rilassando le spalle e
appoggiandosi maggiormente al muro dietro di lei, non curandosi che
avrebbe potuto sporcare la divisa scolastica e chiudendo gli occhi.
Se
solo Edmund avesse saputo o anche solo immaginato che il motivo di
tante lacrime versate, davanti a lui o da sola,
del dolore e del fardello che si portava dentro da quando aveva vissuto
insieme ai suoi fratelli la prima adolescenza a Cair Paravel, fosse
stato proprio lui… né lui né gli altri
le avrebbero più rivolto la parola.
Era certa che se
avessero saputo, lei, gli avrebbe fatto schifo.
Schifo.
Probabilmente non le avrebbero più rivolto la parola
diseredandola e non riconoscendola più come una loro
sorella.
Ricordava quando quel sentimento le era nato gradualmente. Lo
aveva sentito nascere e crescere nel profondo delle viscere, del cuore,
dell’anima, nella più profonda parte di lei che
neanche conosceva. Era un sentimento piacevole, la faceva stare bene.
Si emozionava per un niente, era felice se lui era felice, a volte
sentiva un calore strano irradiarsi per tutto il corpo senza partire da
qualche punto specifico.
Ma allo stesso tempo faceva anche male, molto.
Sapeva che non avrebbe mai potuto averlo, che sarebbe sempre restata a
guardarlo da lontano.
Quante volte le si era stretto il cuore o le era
mancato il respiro quando qualche Re di terre confinanti con Narnia
veniva a cercare di fare accordi dando in sposa la figlia per unire i
regni? Quante volte si era ritrovata a cercare conforto nella notte che
la osservava da lontano, mentre sentiva i sospiri provenire dalle dame
invitate a qualche festa? Quante volte si era ritrovata a guardare la
luna, per non vedere,
per cercare di ignorare lui che ballava con le
altre per fare buona presenza?
Quante volte?
Strinse gli occhi,
scuotendo impercettibilmente la testa e allontanando bruscamente quei
ricordi
ancora vividi di emozioni.
Inoltre, era qualcosa di sbagliato, dei
pensieri ignobili che nemmeno avrebbero dovuto sfiorarle il cervello.
Sbagliato.
La cosa ancor più brutta era che non era riuscita
a dimenticarlo negli anni. Aveva provato in vari modi, tutti quelli che
conosceva e che, nella sua posizione, le erano possibili.
Inutile,
visto che lui soffriva quando lei si allontanava perché non
capiva il suo comportamento. Lo vedeva dagli occhi e dalle occhiate
furtive che le lanciava in quei periodi, i sorrisi fintamente
rassicuranti che rivolgeva agli altri fratelli o domandandole se avesse
fatto qualcosa di male. Allora anche a lei si
spezzava ulteriormente il cuore e finiva per ricadere nella trappola
dei suoi occhi magnetici, del suo sorriso dolce, del suo corpo perfetto
ai suoi occhi di ragazza e donna innamorata.
Inoltre, faceva
preoccupare anche Peter, Susan e Lucy per colpa sua, solo sua. Loro non
meritavano quello, e neanche Edmund, che di colpe non ne aveva se il
destino aveva deciso di essere così crudele nei suoi
confronti.
Così decideva di ritornare quella di sempre, scusandosi per
il suo comportamento, campando in aria la scusa che era nervosa e
confusa, pressata dalla responsabilità che le era stata
affidata da Aslan. I fratelli le sorridevano, rassicurandola, dicendole
che doveva dirlo e non tenersi tutto dentro, perché la
famiglia serve a sostenersi a vicenda e loro ci sarebbero stati sempre
l'uno per l'altro.
E in quei momenti, con quelle parole così
semplici, si sentiva sempre una sciocca, una stupida dilaniata dai
sensi di colpa.
E tutto tornava come prima, ricominciando
quel circolo vizioso di pensieri ed emozioni.
Aveva sempre cercato di
schiacciare quel suo sentimento immorale, di confinarlo in un angolo
remoto del cervello, ignorando le sensazioni che la presenza di suo
fratello le suscitava – ma era sempre più convinta
che più reprimeva più rischiava di scoppiare.
Più volte era stata sul punto di dirgli tutto, ma alla fine
si era tirata indietro, troppo codarda per parlare, terrorizzata dalle
conseguenze che sicuramente sarebbero state catastrofiche.
Non ce la
faceva più, però, i nervi si stavano divorando
tra
di loro per tenere il controllo. Spesso doveva controllarsi per non
imbarazzare al minimo tocco fraterno di lui o non restare imbambolata a
fissarlo. Ma, per amore della sua famiglia, doveva resistere.
L'importanza che i suoi fratelli avevano per lei e la paura di perderli
le avevano in qualche modo fatto sempre trovare la forza di non cedere
a passi falsi. Per loro, ognuno di loro, avrebbe dato la vita senza
pensarci due volte. Ma come tra Peter e Susan c’era un legame
speciale, fatto di taciti sguardi e affetto mostrato sotto forma di
ordini, questo si era creato anche tra lei ed Edmund –
tralasciando il suo sentimento. Erano sempre stati uniti, loro due. E
poi c'era Lucy.
Lucy.
Eve sorrise intenerita senza rendersene conto,
ripensando al nome della sorellina. Era il suo raggio di sole anche
nelle giornate più buie. Lucy racchiudeva in se stessa tutta
l'innocenza e la positività che molto spesso invece lei ed i
fratelli perdevano.
Evelyn ricadde nei suoi pensieri e nei suoi incubi,
tornando al filo principale dei propri ragionamenti.
-Eve?-
Una domanda
la tormentava: se le fosse sfuggita la verità, o
l’avrebbero intuita, poi che avrebbe fatto?
Non ebbe tempo di
darsi una risposta, perché improvvisamente il silenzio che
si era creato intorno a lei mentre pensava sparì, e la voce
di colui che aveva occupato i suoi pensieri, ancora una volta, si fece
largo nella sua testa e nelle sue orecchie.
-Eve? Eve? Evelyn ci sei?-
La voce era dolce, ma poteva sentire una nota di preoccupazione e ne
ebbe la conferma quando, alzando lo sguardo improvvisamente presente e
attento, la Pevensie vide il suo volto e quello dei suoi fratelli
leggermente preoccupato.
Edmund e Peter si erano alzati dalla panchina
su cui erano seduti e ora stavano in piedi davanti a lei, studiandola.
Ebbe un tuffo al cuore nel vedere la presenza e il volto del minore
così vicini senza che si fosse preparata mentalmente.
Credette di svenire poi, sentendo distintamente le gambe tremare e
farsi improvvisamente deboli, quando si rese conto che Ed la teneva
saldamente per le spalle, probabilmente perché l'aveva
scossa per attirare la sua attenzione su di loro.
I due si fissarono
per qualche istante negli occhi, ed Eve restò con il fiato
sospeso, non sapendo cosa dire.
Le parve di scorgere una scintilla negli occhi castani del fratello,
che la guardava con uno
sguardo… strano. Era un qualcosa di lontano, che
probabilmente tentava di celare, ma che Evelyn, così vicina,
non poté fare a meno di notare.
Peter fu il primo che
parlò, distraendola e facendole interrompere il contatto, ed
Edmund ne approfittò per allontanarsi di qualche
passo. I pensieri su quello sguardo scemarono in un angolo lontano e
dimenticato della sua mente, pensando che fosse stata solo una sua
impressione.
-Si può sapere a che stavi pensando di tanto
importante da non sentire noi che ti chiamavamo?- la sorpresa iniziale
andò via ed Evelyn cercò di esibire il migliore
sorriso che poteva.
-Perché, mi stavate chiamando?-
domandò, celando l'imbarazzo. Era talmente persa nei suoi
pensieri che non si era accorta di nulla. Vuoto assoluto.
-Da almeno cinque minuti, Eve.- le spiegò Lucy,
dolce, gli occhi un po' meno in ansia.
-Però il nostro
discorso su Narnia era durato ben dieci senza che tu aprissi bocca.-
-Non sentendoti intervenire ci siamo zittiti ma tu non davi
segni di vita, così ci siamo preoccupati.- Susan
arricciò il naso, facendo intendere che
si aspettavano si sarebbe intromessa in un discorso così
importante per loro.
-E poi eccoci qui.- Edmund fece un gesto con le
braccia indicando i fratelli, concludendo quel discorso con una nota di
ovvietà.
-Mi dispiace di avervi fatto preoccupare
inutilmente.- la Pevensie fece vagare lo sguardo sui fratelli,
percependo una fitta di senso di colpa stringerle il cuore. L'ultima
cosa che voleva era farli preoccupare più di quanto
già non facesse normalmente. Poi si ricordò che
loro stavano parlando di Narnia e sfruttò
l’occasione in suo favore, celando così
i suoi veri pensieri e nascondendoli per l'ennesima volta, dimostrando
che la Scaltra non era un aggettivo che le era stato dato a casaccio.
-E’ solo che stavo ripensando a Narnia e a quanto tempo sia
trascorso lì, come stanno tutte le persone che conoscevamo.-
lo sguardo
di Evelyn divenne triste, lontano e pensieroso, e con il suo quello dei
fratelli e delle sorelle. Tra di loro si creò un silenzio
che, per quanto fosse pesante, sembrava assordarli.
-Ragazzi, fate finta
di parlare con me.- ruppe quel momento Susan, allarmata. Peter
alzò un sopracciglio, non capendo quella foga, mentre Lucy
si sporse per osservare cosa potesse aver visto la sorella.
-Noi stiamo
parlando con te.- le fece notare Edmund pungente, il quale subito dopo
si girò a scrutare la sorella minore in viso, non curandosi
della smorfia che Sue gli rivolse a quelle parole. Durò poco
però, ed Eve ringraziò mentalmente
perché rischiava seriamente di crollare sotto quello sguardo
indagatore.
L’attenzione di tutti venne rivolta a Lucy, la
quale era saltata in piedi dalla panchina, come se questa
l’avesse punta, lanciando un grido acuto e guardando
sconvolta l'oggetto in lamiera.
-Non urlare, Lucy!- sibilò
Susan, lanciando un'occhiata alle proprie spalle.
-Qualcosa mi ha
pizzicato!- cercò di spiegare, indicando con fare
accusatorio il suo posto
libero.
-Ehi, smettila di tirare!- Peter si scostò dalla
panchina come scottato, voltandosi verso Edmund con sguardo di
rimprovero.
-Ma non ti ho toccato!- si difese quello, mostrando le mani
fino a quel momento tenute in grembo.
Eve si staccò dal
muro, trattenendo un urlo di paura e sussultando leggermente quando
sentì una scossa percorrerle la schiena.
Dopo pochi secondi
tutti e cinque erano in piedi, l'uno vicino all'altro, sconvolti per
come stavano mutando in fretta gli eventi. Nella metropolitana l'aria
si era alzata in modo innaturale, i pezzi di stazione si staccavano
dalle pareti, volando via. I Pevensie si osservavano attorno, sentendo
i loro cuori gonfiarsi di aspettativa.
-Teniamoci per mano, svelti!-
Evelyn sperò di aver sentito male, ma vedendo Susan dare la
mano a Lucy e Peter prendere di forza quella di un riluttante Edmund,
sussultò, sentendo quelle parole incidersi nella sua testa
come marchiate a fuoco.
Sarebbe stato normale un fratello che ti tiene
per mano in caso di pericolo o di eventi particolari, il problema era
che lei era vicino a Edmund. Il suo problema.
Sebbene la tentazione di
stringere fra la sua mano quella del fratello fosse forte e la voglia
di approfittare della situazione la spingesse a fingere di essere
più spaventata di quanto fosse in realtà, decise
di accostarsi a lui, sperando con tutto il cuore che la mente di Ed
fosse occupata da ben altri pensieri su ciò che stava
succedendo.
Rifletté sul fatto che stesse andando tutto
bene, impegnata ad osservarsi intorno, ma le prese un colpo quando
avvertì la presa salda
della mano di suo fratello sulla sua.
Istintivamente si girò
verso di lui, trovandolo preso a guardare davanti a sé.
Sospirò, riflettendo sul fatto che si sarebbe dovuta
arrendere all'idea che era solo la sorella da proteggere. Tra la
confusione dell'aria che tirava sempre più forte e i pezzi
di mattone scardinati, pensò che erano quasi due vite che
sopportava quel sentimento che aveva avuto il coraggio di superare le
barriere temporali.
Nonostante poi fosse tornata ad essere una
ragazzina di quattordici anni le cose non erano cambiate, anzi. Vederlo
nuovamente crescere era stato uno strazio, e la sua speranza di trovare
qualcun altro a cui rivolgere i pensieri non aveva sortito gli effetti
sperati.
Si ridestò da quei pensieri volgendo poi lo sguardo
oltre il treno che stava passando davanti a loro, come se una forza
invisibile le avesse intimato di girarsi, strappandola da quei pensieri
di sofferenza. Fu sorpresa e le mancò un battito nel vedere
il panorama cambiare.
I pezzi di ferrovia che volavano via lasciavano
spazio ad uno sfondo azzurro, ma c’era troppa confusione
intorno per capire realmente ciò che stava succedendo.
Nessuno di loro ebbe il reale coraggio di nominare ad alta voce il nome
di quel luogo che da troppo tempo aspettavano di rivedere.
Narnia.
Evelyn non poté evitare di farsi spuntare un
sorrisino, osservando l'azzurro terso che conosceva bene sovrapporsi ai
buchi nel muro, percependo un calore familiare che le partiva dal
centro petto.
Tutti i Pevensie sapevano che quella era la magia che li
stava riportando finalmente al luogo a cui sentivano di appartenere
dopo mesi e mesi di attesa. Finalmente era giunta la tanto attesa
chiamata.
Stavano tornando a
Narnia. Stavano tornando a casa.
Il
personaggio
di Evelyn e gli altri originali che compariranno nel corso di questa
storia sono di mia inventiva e proprietà, gli altri che
invece conosciamo bene appartengono a Lewis, non scrivo a scopo di
lucro.
Precisazioni su questo capitolo:
- Nel film è passato
un anno, io per un discorso di età ho fatto passare
più di
un anno e mezzo (diciamo quasi due per arrotondare), in modo da avere
una Evelyn "piccola" nel leone,
strega e armadio (quasi quattordici) e una Eve abbastanza "grande" qui.
Supponendo faccia gli anni a gennaio, colloco la storia ad almeno pieno
agosto, quindi ha praticamente quasi sedici anni
ed Edmund diciassette.
Ricordo inoltre che in realtà tutti i pevensie sono
già diventati adulti, quindi quando scrivo cerco di farli
ragionare da "persone adulte" quali secondo me sono. Forse nell'opera
originale sono tutti un pochino più piccoli.
- La frase
d'incoronazione di Eve ha un suo significato che verrà
trattato più avanti.
Ringrazio tutti coloro
che leggono,
preferiscono, seguono, ricordano e commentano.
Alla prossima
D.
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Capitolo 4 *** I ricordi che aleggiano tra le rovine. ***
Narnia's
Spirits
I
ricordi che
aleggiano tra le rovine.
Il
treno che stava arrivando a gran velocità era sparito in un
varco di luce, da cui si intravedevano una sabbia bianca ed un mare dai
riflessi blu e smeraldini.
I Pevensie accennarono qualche passo, ancora
confusi per quel cambio repentino dell'ambiente, trovandosi all'interno
di una piccola caverna che si era sostituita alla metro. Non appena
furono fuori ci misero qualche secondo a far abituare gli occhi a
quella luce improvvisamente più forte.
Si osservarono
intorno, estasiati dalla bellezza del posto che magnifico si estendeva
davanti a loro, incapaci ancora di formulare dei pensieri o immergersi
completamente in quella natura immacolata. Come se avessero paura che
il loro sogno, quello più desiderato e agognato, potesse
sparirgli da un momento all'altro da davanti agli occhi. Sbriciolarsi
prima che potessero afferrarlo, venire trasportato via come quegli
stessi granelli di sabbia in cui affondavano i loro piedi che finivano
trascinati via dal mare.
Studiarono quell'ambiente ai loro occhi
tremendamente famigliare, assaporando i dettagli di quei paesaggi
così surreali che gli erano mancati terribilmente, mentre i
richiami dei gabbiani che si confondevano con le onde del mare che
s'infrangevano contro gli scogli facevano da sottofondo.
Il cielo era
terso, pulito, limpido come solo quello di Narnia poteva esserlo. E il
sole splendeva, gaio e sorridente in quella splendida giornata senza
nuvole, come a salutarli e dar loro il benvenuto per essere,
finalmente, ritornati dopo tanto tempo. I loro occhi brillarono, felici
di essere tornati finalmente a casa.
Perché, non avevano
dubbi, si trovavano sicuramente a Narnia.
Lucy si scambiò
uno sguardo carico di significato con Susan, consapevoli di condividere
la stessa emozione, la stessa felicità sbocciata nel cuore
come i fiori in primavera, e si misero a correre sulla spiaggia,
attirate, insieme a Peter ed Edmund, verso l'acqua cristallina che
placida lambiva la sabbia bianca e che sembrava chiamarli
inesorabilmente verso di sé.
I quattro Pevensie persero ogni
remora, abbandonandola alle loro spalle come gran parte dei vestiti e
delle scarpe, abbracciando in modo totale quella spensieratezza che per
troppo tempo gli era mancata. Narnia era mancata, terribilmente, a
tutti loro.
Evelyn, alle loro spalle, aveva fatto solo pochi passi in
più rispetto a dove si erano ritrovati qualche minuto prima.
Per quanto sentisse il cuore sfarfallare, per quanto il desiderio di
unirsi ai giochi dei fratelli fosse forte, non se la sentiva.
Qualcosa
la bloccava, una strana sensazione all'altezza della bocca dello
stomaco. Come il groviglio di agitazione che l'aveva accompagnata tutta
mattina.
Si guardò intorno, attenta, cercando di capire se vi fosse
una qualche fregatura in tutto ciò che stava vivendo, se
fosse realmente tutto vero. Le sembrava surreale che dopo tutto il loro
penare quel luogo li avesse richiamati indietro così, una
mattina a caso di un settembre qualunque, rendendosi conto che stava
facendo lavorare la mente in modo forse fin troppo elaborato.
Era
successo qualcosa.
Eve fissò lo sguardo all'orizzonte,
pensierosa, non riuscendo a godersi quel momento di pace per colpa del
turbine di emozioni contrastanti che sentiva vorticarle tra la testa e
il cuore.
Sospirò, camminando per il bagnasciuga quasi con
noia, percependo la sabbia sotto i piedi e l'acqua rinfrescarle le
caviglie.
La Pevensie fece scorrere lo sguardo passandolo dai fratelli
che si stavano divertendo poco più avanti, al luogo in cui
si trovavano, scorgendo i riflessi dell'acqua e il promontorio che si
ergeva sopra di loro. Respirò l'aria, impregnata di
salsedine, percependo il sole sulla pelle, non potendo fare a meno di
sentirsi, contagiata anche dalle risate dei fratelli, finalmente
felice.
Narnia. Erano di nuovo a Narnia.
Eve abbassò lo
sguardo, sorridendo verso il mare, mettendosi una mano sugli occhi per
ripararli dalla luce.
Quel posto le era familiare. Senza dubbio era una
delle spiagge su cui solitamente lei e i fratelli si riunivano per
divertirsi, passando il tempo libero facendo picnic sulla spiaggia e
osservando le sirene nuotare con i delfini o esibirsi in qualche canto.
Ma mancava di qualcosa.
Stranamente, nonostante tutta la
felicità di essere nuovamente a Narnia, percepiva nell'aria
qualcosa di diverso, come se il senso di completezza che quel posto
aveva la caratteristica di offrirle non fosse più come una
volta. Come se, per l'appunto, avesse perso qualcosa d'importante.
Qualcosa di importante che lo caratterizzava, e che se mancava la magia
di quel posto diminuiva.
I suoi occhi chiari e attenti, estraniati
dall'allegria e la calma che la circondava si focalizzarono su un
mucchio di rocce, sparse in alto al promontorio che dava sul mare.
Sbatté le palpebre, sorpresa, corrugando la fronte.
Rovine?
Venne riscossa dalla voce di Lucy che ripetutamente le diceva di andare
a giocare con loro. Evelyn la occhieggiò divertita, immersa
nell'acqua
con i vestiti ormai inzuppati e gli occhi che luccicavano come la prima
volta che avevano attraversato l'armadio tutti insieme.
-C'è qualcosa che non va?-
La domanda di Peter la colse
leggermente di sorpresa. Non sapeva perché, ma le
sembrò strano che gli altri non si fossero resi conto che
c'era qualcosa di diverso, o non si fossero soffermati a controllare su
tutto fosse in ordine.
-Secondo te dove siamo?- domandò di
rimando, dopo aver riordinato i pensieri e sperando in cuor suo che
Peter le potesse dare una risposta che la calmasse.
Che le calmasse
quel senso di agitazione e ansia – forse perfino paranoia
– che la stava prendendo internamente, mentre continuava ad
osservare insistentemente le rovine. Che la tranquillizzasse, mentre
cercava in tutti i modi di farsi venire in mente qualcosa, qualche
spiegazione sul perché qualcosa le stonava terribilmente
nella bellezza mozzafiato che emanava quell'angolo di pace, come solo
lui sapeva fare.
Peter la osservò un attimo, poi si
guardò intorno, non capendo il motivo della domanda.
-Secondo te?- le sorrise, immergendo una mano nel mare azzurro come a
dare enfasi a quello che per tutti era ovvio. I suoi capelli biondi
brillarono sotto il sole dorato donandogli quel fascino regale che
tanto lo faceva assomigliare ad un Principe.
Evelyn sbuffò,
continuando a far passare lo sguardo da Peter alle rovine, cercando di
spiegargli quei dubbi che la stavano tormentando ormai da svariati
minuti.
Edmund, incuriosito dal suo strano comportamento, l'aveva
affiancata, cercando di studiare cosa potesse esserci che non le desse
pace. Si era aspettato che più di tutti Eve avrebbe fatto i
salti di gioia, sapendo quanto era affezionata a quel posto, quanto
avesse atteso quel momento tanto da arrivare a sognarlo di notte...
invece aveva visto gli occhi agitati della sorella dardeggiare
continuamente alla montagna sopra di loro, fissandosi insistentemente
su quelle che sembravano a tutti gli effetti delle rovine.
E a Narnia,
lo sapevano bene, non c'erano mai state.
L'unico luogo che presentava
una serie di colonne e pietre tagliate era la zona dove Aslan si era
sacrificato per lui.
Edmund sospirò, intuendo i pensieri
della Pevensie e ciò che stava cercando di far capire a
Peter, voltandosi a guardarla, perdendo il filo dei propri ragionamenti
nel momento stesso in cui i suoi occhi si fissarono sul suo viso.
Gli
occhi azzurri, che erano soliti avere riflessi grigi o verdi
– quei giochi di colore dati dalla luce erano la cosa che
più lo riuscivano a rapire. Avrebbe passato giorni a
guardarli, se avesse potuto, perdendovisi dentro. La carnagione era
molto chiara, i capelli castani dai caldi riflessi ramati, tendenti al
riccio sulle punte, le erano cresciuti abbastanza da arrivarle a
metà schiena. E poi c'erano le labbra, poco
carnose, a cui avrebbe voluto aver l'onore di... bloccò i
propri pensieri, distogliendo bruscamente lo sguardo come se si fosse
scottato, rendendosi conto di ciò a cui stava pensando, in
che modo, e soprattutto di chi.
Certo non era la prima volta che faceva
pensieri simili, ma… ma lei. Come poteva, su di lei? Da
qualche anno la guardava e vedeva con occhi diversi, ormai se n'era
fatto una ragione tra il rifiuto e la confusione, però
dannazione, avrebbe dovuto sapersi controllare.
Poi Eve. Sua sorella.
Quella che quando c'era il temporale andava di nascosto in camera sua
nel pieno della notte in cerca di protezione e se la ritrovava nel
letto senza che potesse aprire bocca. Quella che era solita issarsi a
paladina della giustizia per poi andare in cerca d'aiuto
inesorabilmente, correndo piangente da Peter per un litigio tra bambini
di sei anni.
Sospirò. Evidentemente ci sono cose che non si
possono comandare nemmeno volendo e, quello, era qualcosa che stava
andando fuori dalla sua portata.
Scacciò quei pensieri di
prepotenza, tornando a seguire il dialogo tra i suoi fratelli,
ringraziando che nessuno avesse fatto caso a lui.
-Mi pare logico che
siamo a Narnia, Peter.- Eve si mise le mani sui fianchi, inclinando il
viso con fare esasperato. La gioia del biondo era così
palese che le si strinse il cuore al pensiero di dover rovinare
l'atmosfera.
-Non ricordavo ci fossero rovine.- Evelyn
voltò lo sguardo verso Edmund, in una muta domanda sul
perché non fosse intervenuto prima in suo aiuto, certa che
la conoscesse abbastanza bene da sapere a cosa stesse pensando. Videro
i
fratelli osservare le rovine sopra di loro, trattenendo il fiato. Lucy
sbatté gli occhi sorpresa, guardando preoccupata Susan,
Peter si mise
le mani sui fianchi, pensieroso, mentre un silenzio carico di tensione
si insinuò vigliaccamente tra loro.
Si voltò
nuovamente verso i fratelli, passandosi una mano tra i capelli umidi ed
osservandoli con cipiglio serio uno ad uno.
-Andiamo a controllare.-
***
Raggiungere
quel luogo
non era stato facile: era presente un sentiero
che partiva dalla spiaggia, s'inoltrava nel bosco circondato da alberi
e saliva fino in cima, ma sembrava che nessuno ci passasse da vario
tempo ed era abbastanza tortuoso, tanto che varie volte erano stati
costretti a fermarsi per aprirsi dei varchi tra le sterpaglie che
avevano bloccato la strada.
Arrivati in cima si ritrovarono in uno
spiazzo piano, ricoperto da quelli che una volta dovevano essere dei
pavimenti in cemento, e molta erba, cresciuta incolta tra i resti di
colonne. Quel luogo doveva essere in quello stato da anni, visto gli
alberi imponenti che erano cresciuti tra le rocce e l'edera che
ricopriva gran parte dei massi sparsi in giro.
I Pevensie si aggirarono
tra quei resti a cui non riuscivano a dare un nome, pensierosi e pieni
di domande.
Lucy raggiunse ciò che rimaneva di una
balconata, affacciandosi, immergendo lo sguardo nel mare che sconfinava
all'orizzonte. Si perse a guardare quella pozza d'acqua infinita
percependo una nota di nostalgia.
Evelyn, in quel momento la
più vicina a lei, si fermò a sentire la brezza
marina tra i capelli, percependo un nodo alla gola rendendosi conto di
non aver visto ancora nessun petalo di fiore trasportato dal vento.
-Chissà chi viveva qui.- Lucy si voltò, attirando
l'attenzione sua e di Susan. Una smorfia di lieve fastidio comparve sul
volto della Dolce quando pestò qualcosa di duro e spigoloso
con il piede. Si chinò e raccolse l'oggetto, rigirandoselo
tra la mano e accorgendosi che era uno scacco d’oro. Quello
le ricordava qualcosa di terribilmente famigliare. A lei, come a Eve e
Lucy che la osservavano.
-Io penso... noi.- affermò,
dubbiosa, osservando Lucy come in cerca di risposte. Le tre restarono
in silenzio, senza il coraggio di dire altro dopo quell'affermazione,
ma l’arrivo di Edmund che reclamava che lo scacco
d’oro era sicuramente suo fece scendere un silenzio ancor
più pesante tra i cinque.
-Non può essere...- Eve
puntò lo sguardo su Lucy, la quale fissava un punto oltre la
sorella.
-Lu?- provò a chiamarla, vedendo lo sguardo della
minore con una nota di sofferenza. Quella la evitò,
incamminandosi verso il centro di quello spiazzo.
-Lucy, dove vai?- le
gridò dietro Peter, vedendola allontanarsi da loro a passo
svelto. Quella tornò indietro, prendendo il Pevensie per
mano e fissando i suoi occhi in quelli pieni di confusione del
fratello.
-Ma non capite?- domandò, trascinandoselo dietro e
facendosi seguire da Edmund e Susan. Un albero distrasse Eve, che si
perse a guardare le foglie in controluce danzare al vento, gli occhi
che non si volevano staccare da quella visione tanto semplice e
apparentemente normale, i muscoli del corpo che si rifiutavano di
seguire i fratelli.
Nonostante tutto, quel posto era silenzioso. Un
silenzio di tomba, perfino i gabbiani se n'erano andati dopo il loro
arrivo. Ed era strano, familiare. Accogliente, caldo, dispersivo e
serio allo stesso tempo. Era una strana aura quella che circondava quel
luogo.
-Immaginate delle mura.- Lucy posizionò Peter tra
Edmund e Susan, tirando poi la sorella leggermente di lato.
-E delle
colonne.- indicò un punto ai due lati
più esterni, da cui erano visibili delle macerie in fila a
poca distanza l'una dall'altra.
-E un tetto di vetro.- la descrizione di
Lucy fu ben chiara a tutti, ma nessuno osò parlare, mentre
mille e più domande affollavano le loro menti e gli
agitavano gli animi.
Evelyn fece capolino da dietro degli alberi,
dopo essersi accorta che era rimasta sola a guardare delle foglie, ed
automaticamente il suo sguardo corse ai suoi fratelli.
Sgranò gli occhi, allibita, mentre l'immagine di loro,
vestiti con abiti sfarzosi, si sovrapponeva a quella degli adolescenti
vestiti con le divise scolastiche.
Mancava solo lei, poi sarebbe stato
tutto come a…
-Cair Paravel.-
Peter parlò per
tutti, spezzando il silenzio, gli occhi azzurri velati da scura
malinconia. Il suo fu poco più di un sussurro nostalgico e
spezzato, ma nel silenzio che li avvolgeva con solo il rumore delle
onde del mare di sottofondo fu udibile come l'esplosione di una bomba.
Quanto udibile era stato il respiro mozzato dei Pevensie nel
riconoscere in quel luogo la loro casa dove, da quando Aslan li aveva
incoronati - chissà quanto tempo fa - avevano governato come
Re e Regine. Fino al giorno in cui si erano ritrovati nella stanza
vuota del professor Kirkle, l’uno sopra l’altro
fuori dall’armadio che li aveva condotti a Narnia, con il
padrone di casa che li guardava con aria comprensiva da dietro gli
occhiali.
-Catapulte.-
-Come?- domandò Peter, voltandosi ad osservare
Edmund piegato su dei resti, a studiarli.
-Non è
l’usura del tempo. Cair Paravel è stata
attaccata.-
disse, girandosi ad osservare il fratello maggiore e poi passare in
rassegna tutti gli altri, non nascondendo la sorpresa per quella
scoperta.
Chi poteva aver attaccato Cair Paravel?
Eve
sospirò, gli occhi vacui rivolti verso il terreno.
Cair Paravel...
La loro casa, ridotta in rovina.
Ecco perché le era familiare, ecco perché
riconosceva quel posto. Ci era cresciuta, lì.
Una ventata di aria le
passò accanto. Invece che darle conforto però,
aprì maggiormente la cicatrice dei ricordi. E gli
altri? Dov'erano gli altri? E Lui?
Era morto, forse?
Era l'unico, che sapeva. Era l'unico,
che la capiva...
-Chi
sei?-
C'è scetticismo nella voce di donna poco
più che ventenne, la lama della spada puntata contro la
giugulare dello
sconosciuto.
-Un
vagabondo in cerca
di fortuna, un cantastorie, un servitore.-
-E
come ti dovrei
chiamare?-
Presa incerta e mano che trema
impercettibilmente, di fronte a tanta sicurezza e sfrontatezza.
-Ho molti nomi, mia
Regina. Decidete voi, quale dei tanti.-
Sguardo
ammaliante e voce suadente, ma che con lei non funziona.
Il suo
cuore
è già occupato.
Sospirò, affranta, poi alzò
di scatto lo sguardo, allarmata e tesa, quando un mano si
posò sul suo braccio. Incontrò gli occhi limpidi
di Lucy che la scrutavano e si sforzò di tirare le labbra in
un sorriso, cercando di apparire serena e tranquilla.
Entrambe si
concentrarono sui fratelli, poco più avanti, che si erano
avvicinati ad una parete di pietra che tutti i fratelli Pevensie
ricordarono come quella che conduceva nella stanza dei tesori, dove
venivano raccolte le loro cose. Ora che avevano capito dov'erano
riuscivano ad orientarsi meglio, e riconoscere quel passaggio segreto
quando se lo trovarono davanti non fu difficile.
Dopo essere riusciti a
scendere grazie alla luce fatta dalla torcia di Edmund, ognuno
raggiunse il proprio baule, mentre Peter raccoglieva da terra uno scudo
ritraente un leone, ormai pieno di polvere. Ci soffiò sopra,
mentre parte del muso dell'animale tornava a splendere, come ai vecchi
tempi in cui luccicava d'oro.
-Ero così alta?- fu la domanda
di Lucy nel tirare fuori dal baule un vestito dorato e argentato ben
più grande rispetto alla sua costituzione, che
spezzò il silenzio generale.
-Eri più grande,
allora.- le fece notare Susan, mentre anche lei osservava dentro il
baule per cercare qualcosa di familiare.
-Invece ora dopo varie
centinaia d'anni sei più giovane.- provò a
spezzare la tensione Edmund, mettendosi un elmo che gli stava
decisamente largo. La scena strappò un sorriso alle sorelle
Pevensie, mentre anche Evelyn controllava nel suo baule. C'erano dei
vestiti, specialmente color rosso scuro o blu notte, dei gioielli
e… sussultò, nel riconoscere uno scrigno.
Piccolo, in ottone, in cui dentro Eve sapeva esserci del velluto rosso
come fondo.
Senza pensarci lo prese, aprendolo, rivelando due collane,
i cui pendoli erano ancora abbastanza lucenti perché
protetti dalla polvere, a differenza del tessuto rosso, che ora tendeva
al grigio scuro. Entrambe le collane avevano due ciondoli che
raffiguravano una E, la sua iniziale.
Sorrise, sfiorando con le dita i
due gioielli, poi si mise sotto braccio il cofanetto, riprendendo
l'ispezione del recipiente dorato.
Peter decise di andare verso il suo
baule, nel frattempo che Susan faceva notare che le mancava il suo
corno con cui spesso era uscita dai guai. Nonostante tutto
sembrava esserci tutto il resto, in quanto in mano teneva
già arco, faretra e le frecce. Anche Lucy aveva
già ritrovato la sua boccetta con dentro
l’estratto del fiore di fuoco per curare le ferite e il suo
pugnale.
Evelyn automaticamente sperò che non ne avrebbe mai
fatto uso, a parte tagliare qualche corda, in quanto era sempre stata
poco incline nel vedere la sorella combattere. Lucy non era fatta per
stare in mezzo alle guerre, era qualcosa su cui tutti i fratelli
maggiori avevano sempre concordato.
Forse era apprensiva anche
più di Peter, Eve, nei confronti di Lu. Il fatto era che era
così piccola e tenera, che ad Evelyn sembrava stonare
terribilmente con la crudeltà della guerra.
Edmund estrasse
dal baule un semplice scudo ritraente un leone rosso e una spada.
La penultima
di casa Pevensie aveva ritrovato il suo fidato bastone lungo almeno un
metro e mezzo, da portare sempre affianco a sé. Era in
argento, un po' opaco e un po' lucido con rifiniture d’oro a
spirale, e terminava da entrambi i lati con una punta
simile a quella di un pugnale dalle fatture elfiche. Era leggero e
maneggevole, sembrava quasi una lancia a due punte.
Mentre lo guardava,
persa nei ricordi, nell’altra mano teneva una spada.
Sull'elsa aveva incastonata una pietra azzurra, che
variava i riflessi a seconda della luce. I contrasti più
visibili era che da azzurro chiaro passasse al verde erba, oppure al
violetto se prendeva la luce del tramonto. Le era stata regalata da
Babbo Natale.
Le era capitato quando c’erano troppi nemici di
combattere sia con il suo Artemis, che si era fatta fare lei stessa,
che con Asterius, il nome che aveva dato alla spada.
Rimise il primo
nel baule, coprendolo con un telo per evitare di farlo impolverare. Per
il momento non le serviva, sarebbe sopravvissuta solo con la spada,
sicuramente più facile da gestire.
Mentre tirava fuori un
vestito rosso scuro con gli interni e i lacci del corsetto neri, la
mano di Evelyn finì inevitabilmente per toccare qualcosa di
rigido, circolare, conservato in un angolo del baule e immerso in uno
strato di tessuti per proteggerlo dalla polvere. Lasciò
stare l'abito e prese il fagotto.
Era circolare, vuoto e apparentemente
fragile se lo si stringeva troppo. Sentiva dei ricami di motivi che si
sovrapponevano l'uno all'altro, e dei punti spigolosi al di sotto del
tessuto. Quando tolse definitivamente i panni, lasciandoli cadere tra
il baule e il terreno, Evelyn si ritrovò a fissare la sua
corona. Era un miscuglio tra quella di Lucy e quella di Susan, il
motivo sempre floreale, i filamenti e qualche petalo in argento, gli
altri in oro giallo o bianco.
L'oggetto aveva perso la sua
lucidità, l'oro era su un colore tendente al bronzo rame e
l'argento sul grigiastro scuro, opaco e spento.
Quell'oggetto, una
volta brillante e lucente, sembrava un insieme di pezzi senza valore di
rame e ferro andati a male con l'usura del tempo. Quanti anni erano
passati per far andare un gioiello che aveva resistito per quindici
anni in rovina così?
Evelyn osservò la sua
corona, dispiaciuta, notando come fosse solo arrugginita. Per il resto
sembrava quella di sempre. Immaginò che anche quelle degli
altri non dovevano essere in condizioni migliori, e a giudicare dagli
sguardo di Edmund e Lucy aveva fatto centro.
Le armi avevano le loro
custodie in cui riporle, le corone no, a parte il loro capo o un
cuscino in camera su cui metterle quando giungeva la sera e la fine
degli impegni. Magari quando sarebbero riusciti a capirci qualcosa di
tutta quella situazione avrebbero trovato qualcuno disposto a farle
tornare allo splendore di un tempo.
Evelyn sospirò, voltando
lo sguardo nel sentire i passi di Peter avvicinarsi. Il maggiore
aprì il suo baule sotto gli sguardi attenti dei fratelli. La
prima cosa che prese senza remore fu la spada, Rhindon, dove
all’estremità dell’impugnatura
c’era la testa di leone che raffigurava Aslan. Dopo averla
tirata fuori dal fodero la fissò, lo sguardo improvvisamente
serio e sicuro, fiero, come il Re che era sempre stato.
-Quando Aslan fa il suo ruggito, l’inverno è
già finito.-
Ricordandosi bene quelle parole Evelyn ebbe un
tuffo al cuore, sentendo la gola improvvisamente secca.
-Quando scuote
la sua criniera, ritorna la primavera.-
Peter la fissò
intensamente, e lei, per non far vedere gli occhi leggermente lucidi,
chinò lo sguardo verso il basso per poi farlo arrivare
all’interno del suo baule, come se le cose raggruppate dentro
fossero diventate improvvisamente interessanti.
-Quelli che
conoscevamo, il signor Tumnus non c'è più.- Lucy
si morse un labbro, cercando di contrastare il dolore che quella
consapevolezza le provocava.
-Né i castori.-
soffiò, come se a dirlo a voce alza fosse troppo. Troppo
difficoltoso, troppo doloroso. Scoprire d'un tratto che gli amici di
una vita non c'erano più. Che i confidenti più
fedeli erano scomparsi, e non sarebbero più tornati. Che
tutto ciò che conoscevano era scomparso, e che loro non
c'erano stati per evitarlo.
Susan la guardò dispiaciuta non
sapendo cosa dire, così spostò lo sguardo su
Peter che, dopo aver osservato attentamente i fratelli ed essersi
scambiato un'occhiata con Edmund, riportò lo sguardo su
Evelyn e Lucy. Vedere i loro occhi lucidi gli spezzò il
cuore.
-Questo è il momento di scoprire che succede.-
***
Dopo
aver indossato
dei vestiti della loro taglia e raccattato delle
cose che potevano ritornargli utili per il viaggio o la loro
permanenza, Peter, Edmund, Lucy, Evelyn e Susan uscirono dalla stanza
dei tesori, armati e pronti per andare a trovare qualche creatura di
Narnia e farsi spiegare cosa fosse successo mentre loro non
c’erano.
I due Pevensie erano indietro, decidendo il da
farsi, Lucy era in in mezzo che ascoltava, in silenzio, limitandosi a
stringere la mano del biondo per cercare conforto.
L’attenzione di Eve e Susan, più avanti, venne
rivolta al fiume, dove vi avevano scorto distrattamente un puntino in
mezzo alla superficie piatta tanto che, se non avessero visto del
movimento, non ci avrebbero fatto caso. Le due strizzarono gli occhi,
puntando lo sguardo sulla barca dove si stava svolgendo la scena
inconfondibile di un nano, legato e imbavagliato, che stava per essere
gettato in acqua da due uomini vestiti con armature similari.
Soldati?
Eve si sorprese, non riconducendo quelle uniformi a nessuno dei regni
di sua conoscenza, ma capendo da come erano vestiti che non potevano
essere due uomini a caso. Quelli erano sicuramente soldati...
-Mollatelo!-
Evelyn si riprese, osservando la freccia che Susan aveva
scoccato come avvertimento conficcarsi sul fianco della barca e
rendendosi conto che erano state raggiunte da Peter ed Edmund. I due
soldati li osservarono, decidendo di lanciare lo stesso il loro
prigioniero in acqua contro ogni aspettativa.
Susan scoccò la seconda freccia, che
andò dritta nel petto del primo uomo, mentre l'altro vide
nel lago la sua unica via di salvezza e ci si tuffò. Nel
frattempo Edmund e Peter erano corsi in acqua, il primo per salvare il
nano e il secondo per recuperare l’imbarcazione. Quando il
biondo tornò con il prigioniero Lucy utilizzò il
pugnale per tagliare le corde che lo tenevano legato.
Il nano ci mise
qualche attimo a riprendersi, sputando acqua e tossendo.
-Mollatelo?!- i ragazzi sussultarono, sorpresi, osservando il nano
buttare a terra il
bavaglio che poco prima non gli permetteva di parlare e guardarli,
rabbioso. Non avrebbe dovuto come minimo ringraziarli per avergli
salvato la vita?
-Non ti è venuto in mente niente di
meglio?- la maggiore tra le sorelle Pevensie si scambiò uno
sguardo confuso con gli altri.
-Un semplice grazie
basterebbe…- iniziò incerta. Chi si aspettava che
i due sarebbero stati tanto temerari da lanciarlo in acqua anche mentre
puntava loro una freccia?
-Quei due ci riuscivano anche da soli ad
affogarmi!- continuò imperterrito il suo interlocutore,
indicando il punto del lago in cui era poco prima.
-Avremmo dovuto
lasciarli fare?- intervenne Peter, in difesa della sorella. Il nano lo
guardò dal basso, non rispondendo.
-Ma perché
volevano ucciderti?- domandò Lucy, con il tono
più comprensivo di tutti. Il Narniano le lanciò
un'occhiata, calmandosi un poco davanti alla ragazzina.
-Gli abitanti
di Telmar... quello fanno.-
-Abitanti di Telmar? A Narnia?- Edmund si
rivolse a Peter, non capendo, scambiandosi un'occhiata. Da quando altri
regni si permettevano di far girare i propri soldati per le loro terre?
-Ma negli ultimi secoli voi dove siete stati?- il nano lo
guardò male, prima lui e poi tutti gli altri. Se avesse
potuto Susan era certa che li avrebbe inceneriti con il solo sguardo.
-E’ una lunga storia.- Evelyn passò la spada a
Peter, non ancora certa di aver assimilato bene il senso delle parole
del Narniano. Il nano li guardò dapprima spiazzato, facendo
passare lo sguardo su Eve – che alzò un
sopracciglio non capendo perché la fissasse, indispettita
– poi guardò l'elsa di Rhindon e Peter, finendo in
uno sguardo generale.
-Voi vi state prendendo gioco di me.- l'uomo
scosse il capo, rifiutando in un primo momento la conclusione a cui era
arrivato.
-Voi siete… i Re e le Regine di un tempo!-
-Sono
Re Peter, il Magnifico.- si presentò Peter, dopo un attimo
di
silenzio, tendendo la mano verso il nano. Quello lo guardò,
prima lui e poi la mano gli tendeva, sospettoso. Si trovava davanti
cinque sconosciuti che dicevano di essere i Re di un tempo. Potevano
davvero essere loro? Dopo tanti anni passati nell'ombra, braccati come
animali, era possibile che i Re delle leggende fossero tornati per
loro?
Vedendo la
faccia del nano sconvolta e riluttante, Evelyn rimbeccò il
fratello.
-Forse potevi evitare l’ultimo appellativo.- gli
fece notare, accennando ai vestiti grondanti d'acqua e stropicciati.
Non certo il modo migliore di presentarsi a qualcuno.
La sua frase
scatenò una lieve ilarità generale dove, nel
mentre di soffocare una risata, Edmund si girò dalla parte
della sorella, per non farsi vedere da Peter che altrimenti era sicuro
gliela avrebbe rinfacciata per vari giorni. Quando sia lui che Eve
alzarono lo sguardo ritrovandosi faccia a faccia restarono immobili, a
fissarsi, l'ilarità improvvisamente svanita. Evelyn fu la
prima a riprendersi, rivolgendogli un’occhiata e scuotendo la
testa, lanciando un'occhiata palese verso Peter per cercare di
dissimulare la sorpresa che la vicinanza del fratello le aveva dato.
Edmund si limitò ad un cenno del capo come risposta,
percependo i muscoli improvvisamente tesi per quegli attimi di silenzio
che li avevano avvolti.
-Forse poteva.- la roca risata del nano li
riportò alla realtà, strappandoli da quella
situazione.
-Rimarrai sorpreso.- Peter estrasse Rhindon, volgendo l'elsa
in direzione del Narniano che lo guardò, sospettoso.
-Non
vorrai sfidarmi, ragazzo.-
-Non io... lui.- negò il Pevensie,
indicando con un cenno della testa Edmund. Evelyn e Susan osservarono
il fratello maggiore senza capire le sue intenzioni, mentre il moro
estrasse la spada, fremendo per quell'incontro. Combattere gli era
mancato così tanto, sentire le dita avvolgersi attorno
all'elsa della spada in modo così naturale, che aveva
intenzione di sfruttare bene quella prima occasione che di potersi
risentire il guerriero di un tempo.
Peter stava porgendo la spada al
nano, il quale la lasciò cadere a terra con un tonfo,
facendo pensare ai presenti che fosse troppo pesante per lui. Vedendo
nella distrazione di Edmund per quella recita il momento buono per
attaccare sferrò un colpo, e Peter si mise davanti a Susan e
Lucy spingendole indietro per evitare che venissero colpite, mentre
Edmund indietreggiava, colto di sorpresa, cercando di evitare gli
affondi del suo avversario.
Dopo i primi attimi di stupore iniziale il
ragazzo evitò un fendente che lo obbligò ad
abbassarsi, e il nano ne approfittò per tirargli un pugno
sulla fronte. Sentì Lucy che lo chiamava, apprensiva, e il
suo orgoglio gli ruggì nel petto. Si riprese,
per nulla
intenzionato a farsi battere. Si allontanò di qualche passo
dal nano, riuscendo a riprendere la concentrazione e la posizione di
difesa.
I due si studiarono qualche attimo, dopodiché Edmund
iniziò ad attaccare, riuscendo con un paio di affondi a
mettere in difficoltà il Narniano fino a che quello non
perse la presa su Rhindon.
L'uomo cadde a terra, in ginocchio,
guardando Edmund con ancora la spada puntata verso di lui e gli altri
con una faccia incredula
-Fulmini e saette, potrebbe aver funzionato
quel corno!-
-Quale corno?-
Oilà,
gente di Cronache ^^
Allora... che dire? Nel flashback che ha
Evelyn si fa spazio una nuova conoscenza, anche per i precedenti
lettori. Chi sarà mai, sto qui di cui non si sà
nemmeno il nome? Mah, vedremo. Allora, rimane un pò
meccanica la parte in cui ogni Pevensie estrae le proprie cose dal
baule d'oro, perchè è molto simile alla versione
precedente, quindi lo stile è un pò ballerino,
così come il pezzo del combattimento tra Trumpkin ed Edmund.
Era così, e non l'ho cambiato molto, credo che si noti - ma
giuro che ho cercato di fare del mio meglio!
Inoltre, finalmente si sà com'è Evelyn! (Edit: a
distanza di anni e correggendo il capitolo la descrizione
è un po' cambiata. Ai tempi ero in fissa con i capelli rossi
^^'''ora ho cercato di renderla una sorta di "via di mezzo" tra Susan e
Lucy.)
Spero che questo capitolo - per me ancora fin troppo corticino - vi sia
piaciuto, nel prossimo ritornerà un certo Principe ^^
Ringrazio
tutti voi che leggete in silenzio. Le persone che
preferiscono, che seguono e coloro che hanno commentato i
capitoli precedenti.
*Inchino* Grazie mille, davvero :)
Un bacione
Vostra, D.
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Capitolo 5 *** Piume bruciate da purezza letale. ***
Narnia's
Spirits
Piume
bruciate da
purezza letale.
Caspian si
svegliò e strizzò gli occhi, percependo il corpo
indolenzito e un fastidioso ronzio nelle orecchie. Ci mise qualche
secondo a mettere a fuoco l'ambiente circostante, notando, senza
preoccuparsi di nascondere la confusione che gli aveva indurito i
tratti del volto, di trovarsi in un letto che non era il suo, - in una
stanza che non era la sua, in una casa che non era il suo castello.
Gli
eventi della notte appena passata gli furono ricordati da una fitta
alle tempie e si portò una mano alla nuca, sentendo il
sangue pulsare dolorosamente sotto il suo tocco.
Nel giro di un paio di
secondi si ritrovò seduto, immobile, percependo la tensione
irrigidirgli i muscoli tanto da fargli quasi male e trovando il proprio
respiro troppo pesante nel silenzio della camera in cui si trovava.
Distingueva dei rumori provenire oltre la porta – decisamente
troppo piccola perché ci passasse senza problemi un essere
umano – e si alzò dal letto per avvicinarvisi.
Provava un misto di sospetto e curiosità per la situazione
in cui si era cacciato. La testa gli pulsava ancora, ma nonostante
tutto sembrava che il solo stare in piedi avesse attutito il dolore. Si
tolse la fasciatura, confuso, cercando di capire cosa dovesse fare.
Non
era morto.
Aggrottò la fronte, stringendo tra le dita la
stoffa che fino a poco prima gli fasciava le tempie ed osservandola
stralunato. Era stato soccorso e... curato?
Perché?
Perché era ancora vivo?
-Questo pane è raffermo.-
La voce
che interruppe quei suoi pensieri lo fece irrigidire nuovamente. Anche
se attutita dalla porta fu chiara la nota d'insoddisfazione e
scocciatura che aveva permeato quelle poche parole. Caspian si
ritrovò a deglutire, mettendosi ad ascoltare.
-Vorrà dire che gli darò solo un po' di zuppa.
Dovrebbe svegliarsi tra poco.- fece una seconda, decisamente
più pacata e per nulla toccata dai toni bruschi della prima.
Caspian ebbe l'inconfondibile sensazione che stesse parlando di lui.
Zuppa? E se dentro ci fosse stato veleno?
-Si, credo di non averlo
colpito abbastanza forte.- interruppe di nuovo la prima, piccata, dando
conferma ai suoi sospetti.
-Nicabrick! È solo un ragazzo.- riprese la seconda, con un
tono di rimprovero.
-E' un abitante di
Telmar, non un cucciolo smarrito.- a Caspian fu chiaro, anche senza
vederlo in faccia, che quel tale... - Nicabrick? - era sicuramente
contrariato del fatto che fosse ancora vivo. Probabilmente il compagno
con cui sembrava condividere quell'abitazione doveva averlo fermato
prima che potesse fargli altro.
Il ragazzo si appiattì
contro la parete, cercando di capire cosa fosse meglio fare. La seconda
voce aveva una nota pacata e calma, tanto da ispirargli quasi fiducia,
ed il suo possessore sembrava più che propenso a lasciarlo
vivere.
Ma questo Nicabrick...
-Hai detto che ti saresti sbarazzato di
lui.-
-No. Ho detto che mi sarei occupato
di lui.-
…lo voleva
sicuramente morto.
Caspian si ritrovò
a tremare e fremere allo stesso tempo, appiccicato alla parete,
indeciso su cosa fare e notando l'assenza di finestre: andare o
restare? E se fosse stata tutta una
messa in scena? Anche rimanendo, poi, c'era sempre questo Nicabrick che
non lo vedeva di buon occhio, ed erano persone che non conosceva, non
sapeva quanto potesse fidarsi di loro...
E poi, insomma, Narniani!
A
corte avevano sempre detto che erano estinti. A meno che suo zio e i
lord non mentissero – ma erano troppo convinti di averli
sterminati tutti, per essere una bugia.
-Secondo te i suoi amici come
li trattano gli ospiti?-
Caspian si rese conto, tornando ad origliare,
di aver perso il filo del discorso.
-Trumpkin sapeva quello che
faceva.- proferì la seconda voce, con tono amareggiato.
Il
Principe si sporse quel tanto che bastava per vedere che le proprie
cose erano qualche metro davanti a lui, dopo il camino che,
scoppiettante, emanava un calore che in un'altra circostanza avrebbe
trovato piacevole.
Si mosse senza pensarci troppo, uscendo dal suo
nascondiglio con uno scatto, inciampando in qualcosa. Si diresse senza
nemmeno voltarsi a vedere cosa potesse aver urtato verso la sua spada,
in bella vista su un mobiletto. Ma prima che potesse afferrarla
qualcuno gli si parò davanti. Caspian riconobbe in quella
minuta figura che gli puntava contro un pugnale la sagoma di colui che
la notte prima lo aveva tramortito senza troppe cerimonie.
Prese
velocemente un attizzatoio dal camino, parando tutti i colpi che il
Narniano tentava di infliggergli e stando sull'attenti, i sensi
all'erta e lo sguardo che correva anche all'altro abitante della casa
che però non sembrava voler entrare in quel duello.
-Dovevamo ucciderlo prima, te lo avevo detto!- quello che dalla voce
riconobbe dovesse essere
Nicabrick provò a sferrargli un altro colpo, che
parò per pura fortuna.
-Non si può e tu lo sai!-
lo riprese l'amico – a Caspian sembrava tanto un tasso. Un
tasso parlante.
-Chi si mette ai voti? Io sto con lui.-
ironizzò, indicando il tasso con un cenno del capo, per
nulla intenzionato a spargere sangue - nè a volere che fosse
il proprio, quello che avrebbe sporcato il piccolo abitacolo che a
malapena gli permetteva di stare in posizione eretta.
Stava
parlando con due Narniani. Si trovava nella dimora di due Narniani. Le
creature di cui tanto aveva sentito parlare e verso cui nutriva un
certo timore, in quanto i racconti degli uomini di Telmar, Cornelius
escluso, non facevano loro molto gloria e onore. Le leggende non erano
mai state
a favore di quei bizzarri esseri che si nascondevano nella foresta.
-Non si può lasciarlo andare. Ci ha visti!- Nicabrick, quasi
con un tono di supplica, si rivolse a Trufflehunter, non senza prima
provare a fare un altro affondo verso il ragazzo. Caspian
arretrò, ritrovandosi con le spalle al muro.
-Ora basta,
Nicabrick. O devo
sedermi di nuovo sulla tua testa?- lo minacciò il compagno,
stanco di
quella situazione. Il nano fece
una smorfia di disappunto, decidendo di lasciar perdere.
Tornò a sedersi al suo posto, non senza lasciare il suo
pugnare in bella vista sul tavolino come monito.
-E tu... guarda cosa mi hai fatto fare.- Caspian
trasalì quando il tono minaccioso della creatura lo
raggiunse indicandogli il pavimento. Il Narniano
borbottò qualcosa sulla zuppa, la fatica e il tempo perso, e
Caspian si
perse ad osservare attorno a sé, mille e più
pensieri che gli vorticavano in testa e un senso di dispiacere per il
lavoro del tasso buttato al vento. Dispiacere poi, per cosa? Nemmeno lo
conosceva!
-Tu che cosa sei?- chiese, incerto, tenendo d'occhio la
reazione del nano, sicuramente meno propenso alle parole. Trufflehunter
smise di armeggiare con una pentola e borbottare, voltandosi per
osservare Caspian.
-E' buffo. Solitamente si riconosce un tasso quando lo si vede.- il
Principe si ritrovò a scuotere la testa, corrugando la
fronte.
-No, i Narniani... dovrebbero essere estinti.- la sua gente era
convinta che i Narniani non ci fossero più. Che gli unici
abitanti e sovrani di Narnia fossero loro uomini di Telmar, che erano
riusciti a sterminarli nei secoli passati.
-Deluso? Spiacente!-
Nicabrick proferì quella frase condendola il più
possibile con la soddisfazione di potersi prendere
una rivincita su quel ragazzo che tanto gli stava antipatico.
-Ecco
qua, è ancora calda.- disse il tasso, comparendo al fianco
di Caspian e posandogli davanti una ciotola con del liquido fumante.
Quello tentennò, il pensiero di poco prima che tornava: e se
fosse stata avvelenata? Magari era tutto uno stratagemma per far
credere che lui, il tasso, fosse il più buono, quello di cui
ci si poteva fidare, ma che poi era pronto a colpirti quando meno te lo
aspettavi.
-Da quando abbiamo aperto un ostello per soldati di Telmar?-
Nicabrick, rabbioso e quasi oltraggiato, si scagliò contro
l'amico. L'idea di dividere il cibo di per sé difficile da
procurarsi in quei tempi in cui non potevano andare dove volevano, con
uno di Telmar, uno di quelli che avevano causato la loro rovina, non
gli piaceva per niente. Secondo lui, avrebbero fatto meglio a disfarsi
di quel ragazzo già dalla notte prima.
Il modo in cui
Nicabrick si stava comportando fece venire il dubbio a Caspian che non
stessero fingendo. A giudicare dalle sue reazioni,
sembravano molto naturali e veritieri il rancore e la rabbia che
provava nei suoi confronti. Che confusione. Non ci stava capendo
più niente.
-Non sono un soldato.- proferì poi,
correggendolo, qualcosa che si dibatteva alla bocca dello stomaco.
-Sono il Principe Caspian, decimo.- precisò, gonfiando
leggermente il petto, orgoglioso del suo titolo. I
due Narniani lo guardarono, una vena di stupore nei loro occhi.
-E cosa
ci fai qui?- domandò poi il nano, senza nascondere una nota
di curiosità.
-Sono scappato.- spiegò il Caspian,
rilassando le spalle e mettendo l'accessorio che aveva usato per
difendersi al suo posto vicino al camino.
-Mio zio ha sempre voluto il
mio trono. Immagino di essere vissuto fino ad ora solo
perché non aveva un suo erede.- disse, osservando il fuoco
senza vederlo davvero e assimilando per l'ennesima volta la
realtà dei fatti.
Miraz.
Una scintilla d'odio
attraversò i suoi occhi. Avrebbe dovuto riconquistarsi il
trono che gli spettava di diritto. Come minimo gli doveva una
spiegazione sul perché avesse mandato dei soldati ad
ucciderlo. Scosse la testa: in fondo sapeva il perché, ma
non se lo capacitava appieno. Non poteva credere che il loro legame
fosse stato tutta una sceneggiata per tenerlo buono e disfarsene appena
possibile.
Un pensiero nella sua testa, il corpo che si mosse da solo
guidato dall'istinto in direzione delle sue cose.
Doveva andare. Doveva
sistemare le cose.
***
Pulsante è
la Terra e sorridente il Cielo. Scalpitante il
Fuoco e splendente il Sole. L'Acqua sfuggente e il Bosco danzante.
Lucente il Mare e purificante L'Aria. Unicamente simili e opposti.
Eternamente legati e divisi.
Era
una vecchia leggenda che l'aveva accompagnata per tutta la vita. Non
ricordava come l'avesse imparata, semplicemente, nello stesso momento
in cui aveva aperto gli occhi sul magico mondo di Narnia, quelle frasi
avevano iniziato a far parte di lei, come una promessa impressa nella
sua anima e che mai doveva dimenticare.
Alzò
gli
occhi blu al cielo, osservando le nuvole fluttuare
leggere e il sole splendente. L'aria le raccontava, allegra e
spensierata come da tempo non la sentiva, che erano tornati. Le portava
le loro voci, il rumore delle armi che si scontravano, i calzari che
calpestavano il terreno.
La brezza proveniente dal mare le muoveva i
capelli scuri e le accarezzava la pelle, come se insieme a lei
danzassero ancora petali di fiore invisibili.
La terra pulsava
debolmente sotto i suoi piedi, le fibre di ogni alone di Grande Magia
che ancora aleggiava in giro, seppur meno intensa, le arrivava dritta
nell'anima. La catturavano e l'attiravano, circondandola come la dolce
carezza di una madre per poi disperdersi nuovamente e nascondersi
nell'antro più buio della sua terra come da secoli non
succedeva.
Quei pochi attimi
bastavano per renderla partecipe di ciò che l'essenza di
quella terra a lei profondamente cara stava vedendo, percependo e
sentendo, in maniera intima
e quasi innaturale. Narnia stava
facendo uno sforzo immenso, in quel momento, per avvertirla, e quel
pensiero le riempì il cuore di una malinconia agrodolce.
Un filo sottile,
sottilissimo, che ancora la collegava
all'essenza più pura del suo mondo le ricordava che non era
ancora arrivata la fine.
Troppi eventi brutti erano successi in quei secoli in cui la foresta si
era sempre più chiusa in se stessa, troppo sangue era stato
versato perché l'ottimismo non ne venisse intaccato. Le
ribellioni erano cessate, la vita così come l'avevano
conosciuta era finita. Narnia e tutto ciò che faceva parte
di essa era stata costretta a scomparire, nascondendosi dietro un
silente muro
di apparenza.
Ma le cose sembrava che stessero per cambiare. Il
sottosuolo batteva a ritmo emozionato, annunciando come
ai vecchi tempi – milletrecento anni, una vita in cui non
aveva fatto altro che girovagare come una vagabonda in attesa del tempo
opportuno – le notizie importanti. E quella che le stava
raccontando, in quel momento, era sicuramente una delle notizie
più importanti che aveva sentito negli ultimi decenni.
Loro
erano tornati.
Si rivolse nuovamente al cielo, permettendo alla speranza di
germogliarle nell'animo facendole nascere un sorriso genuino, di
quelli che per troppo tempo erano mancati a rallegrarle il viso e che,
mentre iniziava a saltare di ramo in ramo per raggiungerli, non ebbe la
forza di reprimere.
Avrebbe vegliato su di loro.
Al
momento opportuno, poi, si sarebbe poi mostrata.
***
I
Pevensie si
presentarono del tutto quando Trumpkin diede segno di
voler credere nella loro storia, di credere davvero che quelli che si
era
trovato davanti erano gli antichi Sovrani dell'età d'oro.
Gli spiegò, non senza una nota di stizza nella voce, gli
ultimi avvenimenti e quanto tempo fosse passato dalla loro scomparsa.
Milletrecento anni.
I Pevensie si erano guardati, in preda alla confusione più
pura, l'angoscia sembrava come un pugno che gli era stato dato
direttamente nello stomaco. Sapevano che
a Narnia il tempo scorreva diversamente, era stato chiaro quando
quindici anni erano stati racchiusi in una manciata di minuti nel loro
mondo, ma non avrebbero mai immaginato un risvolto simile. Avevano
intuito che la situazione fosse grave, vedendo Cair Paravel distrutta,
ma... non pensavano così tanto.
Mano a mano che
passavano il tempo li, in quella terra che era stata la loro casa e che
faticavano a riconoscere, si rendevano sempre più
conto che da quando erano tornati in Inghilterra, molte, moltissime
cose erano cambiate da quel momento.
Narnia era stata invasa dai
Telmarini, e nonostante i tentativi dei Narniani di opporsi e difendere
le loro terre, alla fine si erano arresi, rifugiandosi nella foresta.
L'esercito era troppo forte e privo di minimi segni di
umanità. I Telmarini uccidevano, torturavano, giustiziavano
i Narniani, visti come parassiti da eliminare e creature di cui non
riuscivano a capirne la natura bizzarra, troppo diversi per provare a
comprenderli.
Si erano presi il regno con la forza, risparmiando una
parte di foresta per la paura delle leggende che circolavano riguardo
essa e i suoi interni più nascosti – molte truppe
si erano addentrate senza farne più ritorno. Gli
raccontò anche della fuga del Principe Caspian, dicendo che
era stato lui a suonare il corno appartenente alla Regina Susan e che,
secondo le leggende, aveva il potere di riportare gli antichi sovrani a
Narnia.
I Pevensie avevano ascoltato senza interrompere, mentre le cose
si facevano più chiare mano a mano che venivano a conoscenza
degli ultimi eventi.
Decisero di prendere l’imbarcazione per
arrivare dagli abitanti di Narnia sotto la guida di Trumpkin,
aiutandosi con il fiume per evitare di dover perdere tempo camminando.
Non passò inosservato a nessuno dei Pevensie quanto il nano
fosse diffidente nei loro confronti, e quanto probabilmente ce la
dovesse avere con loro.
Avevano abbandonato il regno, i loro ruoli di
Sovrani, facendo cadere Narnia in rovina e non aiutando il loro popolo
contro le invasioni di Telmar. Non c'erano stati per provare a fare dei
trattati, per organizzare l'esercito, per tenerli uniti. I Narniani si
erano ritrovati senza Regnanti, senza qualcuno da seguire, spodestati
dalle loro case e dovendo rinunciare a tutto ciò che di
più caro avevano.
La cosa che Trumpkin non poteva sapere, di cui nessuno probabilmente
era a conoscenza,
però, era che stato un errore.
Uno sbaglio terribile.
Si
erano ritrovati davanti al lampione e presi da una curiosità
assurda e vaghi ricordi che incespicavano per tornare a galla si erano
spinti fin dentro l'armadio guardaroba, ritornando a Londra prima che
potessero capire ciò che stavano facendo. E prima che se ne
rendessero conto quella magnifica avventura che comprendeva la loro
vita era finita, spazzata via come foglie dal vento o distrutta come un
castello di sabbia.
Forse, però, un lato positivo c'era: se
avessero continuato a regnare alla fine sarebbero morti, e
probabilmente Telmar avrebbe preso lo stesso il sopravvento su Narnia.
Con la differenza che questa volta loro non sarebbero potuti andare ad
aiutare la loro casa e il loro Regno.
I fratelli presero posto sulla
barca, ognuno immerso nei propri pensieri, cercando di assimilare le
varie notizie appena ricevute.
-Sono immobili.-
L’attenzione
dei Pevensie e di Trumpkin venne attirata dal tono affranto di Lucy. La
ragazzina continuava a fissare gli alberi, negli occhi un luccichio di
nostalgia. Perché non l'accoglievano come avevano fatto un
tempo? Dov'erano i petali di fiori che danzavano nell'aria?
-Sono
alberi, che ti aspetti?- puntualizzò il nano, burbero, dopo
aver dato un'occhiata veloce alla foresta intorno a loro e capendo a
ciò che alludeva. Come poteva quella ragazzina sperare
ancora di vedere Narnia come un tempo dopo tutto quello che era
successo negli anni? Da dove trovava quella speranza?
-Una volta
danzavano.- s'intromise Eve, guardandolo seria e convinta di
ciò che diceva, intimandogli con sguardo tagliente di
portare rispetto. Non le era piaciuto il tono con cui aveva risposto a
sua sorella ed era scattata subito come una molla.
Si sporse poi in
modo da poter toccare l’acqua cristallina del fiume,
percependone il freddo farle venire la pelle d'oca al braccio, creando
una leggera scia nello specchio apparentemente fermo. Non appena la
punta dell'indice si immerse quasi totalmente sospirò,
intimando a se stessa di calmarsi.
Trumpkin la osservò,
pensieroso, lanciando un'occhiata dispiaciuta a lei e a Lucy, cercando
di ignorare lo sguardo di rimprovero che gli stava rivolgendo Edmund.
-Quando voi ve ne siete andati gli abitanti di Telmar ci hanno invaso.
I sopravvissuti si sono rifugiati nella foresta, e gli alberi si sono
così in chiusi in loro stessi da non dare più
segni di vita.- spiegò, sforzandosi di usare un tono meno
brusco.
-Non capisco... Aslan come ha potuto permettere tutto questo?-
domandò Lucy, confusa. Il leone teneva a loro, teneva a
Narnia. Perché non mostrarsi e far fuggire gli intrusi?
Al
nano fu chiaro, dove riponesse le sue speranze la Regina. Si
sentì colto sul vivo.
-Aslan? Ci ha abbandonati. Come avete
fatto voi.- accusò. Evelyn rialzò lo sguardo e si
scambiò un occhiata con Peter che le stava davanti, poi lo
spostò sul nano stupida dalle sue parole, non capendo:
davvero Aslan non aveva fatto niente?
-Non volevamo andarcene, sai?-
intervenne Peter, continuando a remare ma voltando leggermente la testa
verso il Narniano, per tentare di scorgere la sua reazione.
-Ormai non
ha importanza.- disse Trumpkin, alzando leggermente le spalle in un
gesto di indifferenza. Peter strinse le mani intorno ai remi,
sentendosi impotente di fronte al tono piatto con cui parlava il nano.
Senza speranza.
Ma Peter non era conosciuto per il poco orgoglio e il
lasciare le cose a metà. Era forse il più
testardo tra i cinque sovrani. E aveva tutta l'intenzione di riprendere
in mano le redini di quel regno a lui tanto caro.
-Portaci dagli abitanti di Narnia, e l'avrà.-
***
Eccoli.
Sorrise inconsciamente, ma fu abbastanza perché la chioma
dell'albero su cui si era appollaiata si scuotesse leggermente.
Si
trovava sulla spiaggia opposta a quella su cui loro avevano attraccato,
ma attraversare il fiume non sarebbe stato assolutamente un problema
per lei. Una cosa, però, attirò prima che potesse
fare qualcosa la sua attenzione, facendole tendere i sensi.
***
Avevano
proseguito il
resto della navigazione in silenzio –
un silenzio pesante e carico di tensione, di cose non dette e ricordi
troppo lontani da poter essere ripresi.
Gli unici ad aver conversato
maggiormente erano stati Peter e Trumpkin, che discutevano sul tragitto
da fare, palesando quanto già le loro idee fossero
differenti. Fu subito chiaro quanto trovare dei punti d'incontro non
sarebbe stata un'impresa facile.
Trumpkin scese per primo
quando arrivarono alla spiaggia a cui avrebbero attraccato, fissando
l'ancora al terreno, seguito da Peter che lo aiutò a tirare
maggiormente la barca a riva per far scendere le sorelle. Lucy e Susan
sbarcarono per prime, seguite da Evelyn che Edmund fece
passare per poter
sistemare meglio i remi nella barca.
Eve si guardò intorno,
notando come la spiaggia su cui si trovavano fosse silenziosa e
deserta. Nonostante ciò, la ragazza si
immobilizzò pochi attimi dopo, come colta sul vivo,
percependo un senso di angoscia e sospetto invaderla –
qualcosa che le fece tendere tutti i sensi. Era una sensazione che
conosceva troppo bene... l'inconfondibile sensazione di essere spiata.
Qualcuno li
stava osservando.
Iniziò a guardarsi freneticamente intorno,
cercando di scorgere quelli che potevano essere dei pericoli che li
attendevano nell'ombra della foresta che, silente, si estendeva intorno
a loro, non notando però niente di particolare.
Osservò i fratelli, ancora intorno alla barca, sentendosi
immediatamente rassicurata dalla loro tranquillità.
Forse se
l'era sognato. Magari si stava soggiogando da sola per colpa di tutto
ciò che era accaduto e che era venuta a sapere.
Nello stesso
momento in cui Evelyn tornò dai fratelli Lucy
iniziò a girare per la spiaggia, guardandosi intorno,
notando senza problemi i cambiamenti che Narnia aveva subito. Nessuna
presenza, se non la loro, sembrava trovarsi in quel luogo.
Notò, poco lontano e nascosto da dei tronchi caduti, un
orso: le dava le spalle ed era intento ad annusare per terra.
-Ciao.- sorrise, iniziando ad avvicinarsi. I fratelli osservarono la
scena con
occhio vigile, ma senza mostrare segni di preoccupazione.
A Narnia gli
animali parlavano.
L'orso si alzò sulle zampe posteriori,
annusando l'aria e studiando la Pevensie che continuava ad avvicinarsi
a lui, amichevole e ignara di ciò a cui stava andando
incontro.
-Stai tranquillo, siamo amici.- disse, rassicurante. Forse
l'orso fingeva di comportarsi da animale per paura che fossero
Telmarini.
***
Orso.
La sua mente
processò la situazione che si stava creando
prima di lei. Prese senza pensarci l'arco dalle intarsiature lattee,
seguito da una freccia dalle piume color bianco, sperando che il suo
intervento non fosse necessario ma sentendosi irrimediabilmente
coinvolta in quella scena.
Il bianco di quelle
piume si era già troppe volte macchiato di sangue.
***
Trumpkin
aveva appena
finito di sistemare burberamente e con i suoi
soliti movimenti schivi l'ancora al terreno, cercando di evitare la
vicinanza dei Pevensie appena gli era possibile. Alzò lo
sguardo, inchiodandolo sulla figura di Lucy che camminava verso l'orso
e sentendo il fiato mancargli nei polmoni. Chiunque avrebbe capito che
l'animale non aveva un comportamento amichevole e stava prendendo la
carica.
A cosa stava pensando
quella ragazzina?
-Non ti muovere,
Maestà.- disse, tornando verso la barca per prendere il
proprio arco.
Lucy dapprima non capì cosa volesse dirle il
nano, e scorse la stessa confusione nelle occhiate che i fratelli
scoccarono al Narniano. Tutto fu più chiaro quando l'orso
iniziò a correre, prendendo la carica nella sua direzione,
ringhiando e sbavando.
***
Incoccò
la
freccia e tese la corda dell'arco, fino a portare
le piume bianche del dardo vicino alla sua guancia, sentendole darle un
leggero prurito. Prese la mira, strizzando leggermente un occhio e
attese, silenziosa come una predatrice accoccolata sul ramo e semi
nascosta grazie alla chioma dell'albero.
Svuotò la mente di
tutti i suoi pensieri e le emozioni, gli occhi che non si staccavano
dal suo obbiettivo e la scena a cui stava assistendo. Abbassare la
guardia era qualcosa che poteva costarti la vita ed i Pevensie
sembravano star capendo quella lezione in quel momento.
***
-Stai lontano da lei!- impose Susan, già con l'animale sotto
tiro. C'era qualcosa, però, che la fermava dallo scoccare e
uccidere.
Ricordi.
Gli animali parlanti, che rivelavano la loro natura
anche dopo vario tempo. Ma questo, invece, non dava segno di aver
capito che a parlare era stata l’antica Regina. Continuava a
correre verso Lucy, caduta a terra, i ringhi animaleschi che uscivano
dalla sua bocca e una ferocia che di antico e magico non aveva nulla.
L'istinto lo guidava verso quella preda tanto facile, nessun
tentennamento rivolto a coloro che gli puntavano le armi contro.
Peter
ed Edmund sollecitarono Susan a tirare, mentre correvano verso Lucy con
le spade sguainate, la paura che montava e un senso di perdita
immediato che si stava irradiando in tutti loro.
***
Era
una distanza
lunga, molto lunga, e il suo dardo rischiava di non
arrivare, risucchiato dallo specchio d'acqua che la separava dall'altra
riva su cui sarebbe dovuta andare per seguirli.
Ma l'aria, un minimo
accenno di vento, era a sua disposizione. Era uno sfrozo immane, ma
poteva farcela. Avrebbe accompagnato la sua
freccia, facendola arrivare proprio dove voleva lei.
Susan avrebbe
potuto salvare Lucy in pochi attimi, ma non si decideva a lanciare la
freccia e, per quanto le bruciasse lo stomaco al pensiero di dover
uccidere, non poteva permettere che le cose iniziassero ad andare male
già dopo poche ore dall'arrivo dei Pevensie. C'era in gioco
molto di più.
-Mi dispiace.-
Un sibilo.
Un sibilo
che passò accanto a tutti loro,
evitandoli e procedendo verso un altro obbiettivo. Un dardo bianco che
tagliò l'aria e insieme ad essa colpì l'animale,
ferendolo a morte.
L'orso perse la vita, accasciandosi a terra disteso
su un fianco, una posizione da cui non si sarebbe alzato
più.
Sorrise. Un
sorriso diverso rispetto a quello che l'aveva
accompagnata per tutto il suo precedente tragitto. Un sorriso di
circostanza, una triste mezzaluna nata per la felicità della
loro salvezza e scemato per la vita che aveva dovuto strappare via,
togliendo a Narnia l'ennesimo abitante delle sue terre.
Come se non
fossero stati già in pochi.
Si nascose maggiormente nel
fitto degli alberi, saltando su qualche ramo indietro incurante di aver
rivelato in parte la sua presenza con quella mossa azzardata. La
freccia che aveva appena tirato era inconsciamente impregnata
dell'alone di Grande Magia che la circondava dalla nascita.
L'odore del
sangue non fece a meno di raggiungerla, esprimendo tramite l'aria e i
rumori della foresta tutta la rabbia sul suo gesto avventato. Le
macchiò una parte di coscienza e quel bianco latteo che la
distingueva, ma fece tacere tutto inglobandosi nel silenzio che spesso
l'aveva accompagnata e che da anni era diventato suo compagno
più fidato.
Lucente Dhemetrya. Lo era ancora?
***
La prima a ridestati
fu Evelyn, che corse verso Lucy per vedere se
stava bene. Rinfoderò Asterius mentre procedeva velocemente
verso di lei, sentendo il cuore rimbombarle fin nel cervello per la
paura di quello che sarebbe potuto succederle.
-Perché non
si è fermato?- Susan abbassò l'arco, negli occhi
una scintilla confusa, consapevole che il suo tentennamento poteva
costare la vita ad una parte della sua famiglia. Cercò aiuto
in Peter, che le mise una mano sulla spalla e le rivolse uno sguardo di
conforto. Chiunque di loro avrebbe avuto i suoi stessi tentennamenti.
-Ho il sospetto che avesse fame.- Trumpkin la superò,
incamminandosi verso la carcassa dell’orso con passo svelto.
Evelyn arrivò da Lucy con il fiatone, negli occhi un misto
sollievo che stava prendendo il sopravvento sul panico che era dilagato
dentro di lei pochi attimi prima. L'aiutò a tirarsi in
piedi, appoggiandole le mani sulle spalle e guardandola dritta negli
occhi, come per assicurarsi che non le fosse stata strappata via. Le
sorrise, non nascondendo tutto il tumulto di emozioni che l'avevano
assalita e che solitamente non lasciava trapelare.
I fratelli e
Trumpkin le raggiunsero pochi attimi dopo, e il maggiore
circondò con il suo braccio le spalle di Lucy, la quale si
aggrappò al suo petto in cerca di protezione.
-Grazie.-
sussurrò da contro la casacca di Peter. Trumpkin si
limitò a corrugare la fronte.
-Era selvatico.- Edmund fece
quella constatazione, non nascondendo un senso di stupore per la
notizia nuova appena appresa. Aveva ancora in mano la spada rivolta
verso l'orso.
-Penso non sapesse parlare.- spiegò Peter,
serio, il braccio che cingeva ancore le spalle della sorella minore.
-Se ti trattano a lungo come una bestia finisci per diventarlo.-
Trumpkin s'intromise nel discorso dei due Re, sottolineando loro per
l'ennesima volta che erano passati centinaia d'anni e non qualche
settimana dalla loro scomparsa.
-Scoprirete che Narnia è
più selvaggia di come ricordavate.- affermò,
alzando una zampa dell'animale e rivelando la freccia. Una freccia
dalle piume bianco purezza.
-Io pensavo… che lo avessi
colpito tu.- disse Eve in un sussurro, rivolta al nano ma senza
guardarlo in faccia. Era ammaliata da quel bianco. Quel colore
così candido da cui non riusciva a togliere gli occhi.
Così diverso dal rosso sangue caratteristico delle frecce di
Susan, eppure ugualmente mortale.
-No. Probabilmente è
intervenuto qualcun altro prima che fosse troppo tardi.- quella
spiegazione di Trumpkin lasciò vari dubbi ai Pevensie, che
però si limitarono a restare nel silenzio senza esporre le
loro domande, ancora scombussolati per ciò che era accaduto.
Perché non rivelarsi, allora?
Evelyn non continuò
a seguire il discorso, focalizzando la sua attenzione sul dardo
conficcato nel cuore dell'orso. Aveva una strana sensazione di
famigliarità.
-Voglio quella freccia.- la voce le
uscì prima che potesse fermarla, più fredda di
quello che avrebbe voluto. Un sibilo basso che s'immerse nel discorso
delle persone intorno a lei senza il minimo tatto.
La freccia. Il suo
unico obbiettivo era la freccia.
La freccia. Le suscitava emozioni
lontane, ma che sentiva essere sue con tutta se stessa, delle
sensazioni inspiegabili che sembravano stare ribollendo per tornare a
galla.
-Ma certo, Milady.- Trumpkin le rispose semi ironico per il tono
con cui Eve si era rivolta loro, estraendo l'arma e pulendola con un
panno già di per se sporco. La porse poi ad Evelyn, che la
prese mettendosi ad osservare il dardo in una maniera quasi malata.
Era
qualcosa che le nasceva alla bocca dello stomaco, irradiandosi in tutta
se stessa e annebbiandole la mente. Si dibatteva per uscire, ma c'era
qualcosa che la fermava.
Sentì la
forza magica nascere e provenire da quella
direzione. Richiamò a se la Magia che impregnava il dardo
che aveva tirato. Scosse che la raggiungevano, impercettibili fili di
luce visibili solo a lei che s'irradiavano nel terreno fino a
raggiungerla ed inglobarsi in lei, ridandole un po' della forza a cui
aveva rinunciato per poter salvare Lucy.
***
Quando
sentì una scossa interna invaderla sembrò
rinsavire, e tutta la sua attenzione per quell'arma scemò
via. La guardò, quasi stralunata, non riuscendo a dare una
spiegazione a ciò che l'aveva colta in quei minuti.
Peter
intimò a tutti loro di muoversi e seguirlo, desideroso di
lasciare quel posto che gli stava riservando troppe sorprese
inaspettate. Evelyn prese a camminare dietro gli altri, stringendo la
freccia fino a rischiare di spezzarla, un unico pensiero che le girava
per la mente.
Chiunque avesse salvato
sua sorella avrebbe ricevuto i
suoi ringraziamenti.
***
Peter
si era messo in
testa al gruppo, conducendo i suoi fratelli e
Trumpkin attraverso un sentiero nella foresta che era sicuro li avrebbe
portati verso il fitto della foresta. Non avevano immaginato che il
tempo passato avesse cambiato l'ambiente ed i sentieri in quel modo
quasi drastico. I Pevensie si resero conto di non riuscire a trovare
dei punti di riferimento per orientarsi.
-Non mi ricordo questo
sentiero.- mormorò Susan, affiancata da Lucy. Dietro di loro
Evelyn le seguiva in silenzio, reggendo ancora la freccia, e a chiudere
il gruppo c'erano Edmund e Trumpkin.
-L’orientamento
è il vostro problema, ragazze.- le prese in giro il
maggiore, voltandosi a guardarle.
-Ma noi almeno abbiamo un cervello.-
lo rimbeccò Lucy, spontanea. Un sorriso si
disegnò sui volti di Susan ed Eve, fiere di loro sorella,
mentre Peter fece finta di non aver sentito quella frecciatina.
-Vorrei
tanto che ascoltasse il nostro CPA per cominciare.- disse la Dolce,
rivolgendosi alle sorelle. Peter era sempre il solito orgoglioso
testardo.
-CPA?- domandò Edmund, intromettendosi. Dopo aver
scambiato un'occhiata con le sorelle che si erano girate a guardarla
Evelyn prese parola per tutte e tre.
-Caro Piccolo Amico.-
spiegò, mentre girava leggermente il capo verso il fratello
e fermandosi un attimo. Rivolse un'occhiata eloquente al nano,
riprendendo poi a camminare dietro le sorelle che nel frattempo avevano
continuato a seguire il maggiore.
-E' bello essere... trattati alla
pari.- Edmund si fermò e guardò Trumpkin,
leggendogli nello sguardo una scintilla di sorpresa.
Peter era rimasto
immerso nei suoi pensieri, estraneo ai discorsi dei suoi fratelli e di
Trumpkin, la mente concentrata che cercava di ricordare qualcosa di
famigliare che potesse aiutarlo. Non aveva tempo da perdere.
Saltò su un sasso, mettendosi le mani sui fianchi e
riprendendo fiato, osservando con occhio critico i massi sporgenti e la
vallata in cui si trovavano. La disposizione degli alberi sembrava
sempre così uguale, sarebbe bastato il minimo segno
familiare per... oh.
-Non mi sono perso.- esalò, gonfiando
il petto e fissando un punto poco più avanti. Avrebbe
riconosciuto quelle rocce anche se fossero passati altri mille anni.
Avevano una forma troppo particolare.
-No. Stai solo andando nella
direzione sbagliata.- lo riprese Trumpkin, interferendo nei suoi
pensieri.
-Hai lasciato Caspian nella foresta tremante e la via
più veloce per arrivarci è attraversare il fiume
rapido.- decretò, girandosi e fulminando il CPA, per nulla
contento.
-Però se non sbaglio non c'è nessun
guado da queste parti.- gli fece notare Trumpkin, senza
abbassare lo sguardo. Sicuramente non sarebbe stato un ragazzino che
per secoli era mancato a fargli cambiare idea sul fatto che non c'era
nessun fiume.
Peter strinse la mascella, non distogliendo gli occhi dal
Narniano e senza preoccuparsi di non mostrarsi ostile.
-Mi pare chiaro:
ti stai sbagliando.-
***
Sbuffò, scocciato ed irritato, quando
il fiume che avrebbero dovuto attraversare faceva la sua bella figura a
centinaia di metri sotto rispetto al promontorio su cui tutti loro si
trovavano.
-Non mi ero sbagliato.- cercò di discolparsi, non
facendo caso agli sguardi eloquenti che gli venivano lanciati. Odiava
dover ammettere di essere in errore.
-C'è un modo per
scendere?- domandò Edmund, senza perdere la calma.
-Si.
Cadere.- fu la risposta piena di ironia che gli riservò il
Narniano. Trumpkin sospirò, cercando di mandare
giù l'irritazione per il tempo perso.
-Un guado è
vicino a Beruna, che ne pensate di nuotare?- domandò,
lanciando uno sguardo ai ragazzi. Peter osservava ancora il fiume con
mal celato disappunto, Susan ed Edmund lo stavano ascoltando con
attenzione.
-Meglio che camminare.- fece la maggiore delle sorelle, pronta a
seguire il
nano verso il fiume appena citato.
Evelyn sussultò,
scorgendo un bagliore dorato nella foresta di fronte a loro e che
avrebbe associato solo ad un nome.
-Aslan?- si fece sfuggire in un
sussurro, bloccando tutti gli altri. Il tempo di un battito di ciglia e
in quello stesso punto non riusciva a vedere più niente.
Distolse lo sguardo, non capendo e corrugando la fronte: quella che
aveva scorto sembrava tanto un'ombra dorata, più che una
figura in carne ed ossa.
-E’ Aslan! Guardate c'è
Aslan laggiù non lo vedete è proprio…-
Lucy non poté fare a meno di trattenere l'entusiasmo,
iniziando ad urlare per la foresta il nome del leone. Evelyn sorrise,
inconsciamente rassicurata dalla sorella. Ma mentre Lu si girava
pronta a salutarlo la voce le si mozzò in gola e il sorriso
di entrambe sparì nel vedere che la parte opposta della rupe
era vuota.
-…lì?- finì per lei Eve,
sentendo la gola secca. Si scambiarono uno sguardo confuso, tornando
poi a fissare la vegetazione oltre il burrone. Perché Aslan
s'è ne era andato via?
-Lo
vedete anche
adesso?- mentre continuavano a fissare il bosco nella
speranza di scorgere il protagonista dei loro dubbi tra la vegetazione,
la voce di Trumpkin le riportò alla realtà con
l'indelicatezza di uno schiaffo. Evelyn si accostò alla
sorella, indispettita.
-Noi due non siamo pazze.- fece, fulminandolo
con lo sguardo, sentendosi colta sul vivo.
-Era lì, voleva
che noi lo seguissimo.- disse Lucy, rivolta a Peter, inchiodandolo con
i suoi occhi speranzosi sul posto.
-Ci saranno di certo molti leoni in
questa foresta, come quell’orso- iniziò Peter,
esitante, rivolgendole uno sguardo di scuse.
-Penso che io ed Eve siamo
capaci di distinguere Aslan se lo vediamo.- ribatté Lucy,
arretrando un poco. Era sicura che Peter l'avrebbe
ascoltata, invece sembrava concordare con Trumpkin.
-Non ho intenzione
di buttarmi giù da una rupe per seguire uno che non esiste.-
s'intromise il Narniano, che in Aslan e nella sua esistenza aveva
smesso di credere da tempo.
-L'ultima volta che non ho creduto a Lucy
ho fatto la figura dello stupido.- provò Edmund, sperando in
qualche modo di aiutare le due sorelle minori. Le aveva osservate,
aveva visto la scintilla di sicurezza che animava i loro sguardi, la
posa di superiorità che aveva assunto Eve – quel
modo di porsi che sempre le aveva visto assumere quando sapeva di
averla vinta contro qualcuno.
-Perché io non l’ho visto?- domandò
Peter, dopo qualche attimo di riflessione.
-Forse non stavi guardando.-
ipotizzò Eve. Forse stava dando la schiena ad Aslan quando
si era mostrato a lei e Lucy. Peter guardò un ultima volta
la parte opposta, sospirando pesantemente e scambiandosi uno sguardo
con Susan che ancora non aveva parlato. Non aveva voglia di fare ancora
la figura dello stupido.
-Mi dispiace.- mormorò, facendo poi
un cenno del capo verso Trumpkin. Eve fece per ribattere e
allungò la mano verso la schiena del Magnifico, lasciando
poi perdere capendo che non ne valeva la pena. Fissò le
schiene dei due fratelli maggiori allontanarsi, iniziando a venire
inghiottiti dalla foresta, portandosi le mani alle tempie per
massaggiarle.
Nemmeno era passato un giorno e già le cose si
stavano facendo strane.
Lucy si perse ancora qualche secondo per
contemplare la parte opposta, dopodiché si girò
verso Edmund, che le stava aspettando. Il moro le mise una mano sulla
spalla, cercando di sorriderle, sentendosi in difetto per non aver
provare ad essere più convincente e percependo lo sguardo
afflitto di Lucy che gli si inchiodava nella mente. Sembrava tanto lo
stesso di quando non le avevano creduto la prima volta che era stata a
Narnia.
Evelyn si voltò un'ultima volta, cercando di
osservare oltre il primo strato di foresta, ignorando gli altri
più avanti.
-Eve, vieni?- sussultò, cercando di
mascherare l’imbarazzo che la voce inaspettata di Edmund le
aveva messo addosso, superandolo con uno scatto.
-Si, scusa.-
Edmund le
si affiancò nel giro di qualche secondo, ignorando la voglia
di prenderla per mano che l'aveva preso per cercare di confortarla. Per
vari minuti nessuno dei due provò a rompere il silenzio che
si era creato.
-Perché l'abbiamo visto solo noi?-
domandò Eve, decidendo di dare voce ai propri pensieri.
-Non
lo so, mi dispiace.- mormorò il fratello, non sapendo dare
una spiegazione logica all'accaduto e facendo spallucce. Evelyn si
bloccò di colpo, fraintendendo il tono apparentemente
indifferente che aveva usato il Pevensie accanto a lei e sentendosi
tradita da quel fratello che invece era sempre pronto a sostenerla.
-Anche tu non credi a me e Lucy? Credi che siamo diventate pazze?-
insinuò, sgranando gli occhi, sentendosi più
ferita di quanto si aspettasse. Vedendo lo sguardo di lei,
Edmund sentì l'ansia fargli mancare il respiro.
-Non
è questo il punto. Ti credo, vi credo. Solo dopo
ciò che è successo prima e mentre eravamo qui a
Narnia la prima volta ho capito che devo imparare ancora molto da
Peter.- provò a spiegarle.
Evelyn si ritrovò a
provare a ribattere, per nulla concorde con il discorso di Edmund.
Molte volte avevano parlato di quanto Ed si sentisse ancora
responsabile – fin troppo – di ciò che
era successo tempo addietro.
Il loro discorso non andò
avanti solo perché Peter, poco più avanti, li
richiamò dandogli delle lumache.
Ciao
a tutti! Sono
tornata, per
vostra sfortuna xD
Allora, passo subito al capitolo, in cui ho lanciato molte esche nuove.
Chissà chi
è, questa nuova personaggia che sorveglia i Pevensie...
chissà perchè la sua freccia ha ammaliato
così tanto Eve, cosa c'è realmente dietro... Per
la nuova personaggia
dovrete aspettare, arriverà anche lei a far parte dei nostri
tra non molti capitoli :) Altro? Ah si, la scena di
Caspian: ho cercato di dare il meglio, ma non sono tanto sicura del
risultato finale .____.
Non ho altro da dire, credo, se non che spero
che anche questo capitolo vi sia piaciuto. Ringrazio le persone che
preferiscono e che seguono. Ed inoltre coloro che commentano i
capitoli e leggono in silenzio <3 Sono
molto, tanto, veramente felice che questa nuova versione stia avendo un
maggiore successo, e di aver fatto bene a rivederla.
Vi lascio, ci si
vede con il prossimo capitolo.
Love,
D
|
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Capitolo 6 *** Incontri dettati da sogni. ***
Narnia's
Spirits
Incontri
dettati da sogni.
Camminava
per la
foresta di Narnia da mattina inoltrata, quando, dopo essersi svegliato
con un senso di confusione, aveva lasciato la dimora dei due
Narniani che lo avevano accolto e curato.
Curato.
Modellò un
sorriso sghembo, un angolo della bocca che si alzava senza che lo
volesse del tutto, al pensiero di sapere d'essere sopravvissuto
all'attacco notturno da parte delle guardie Telmarine e, sopratutto,
vivo.
La luce del sole di mezzodì passato filtrava
prepotentemente dalle fronte degli alberi, illuminando il sentiero di
felci e arbusti che stava attraversando, abbagliandogli a tratti gli
occhi e donandogli una sensazione di calore avvolgente tutt'attorno a
sé, riscaldandogli la pelle sotto gli abiti; distendeva i
muscoli e
rilassava la mente, come quando si fa un bagno caldo con massaggi e oli
profumati. Era come se lo stesse ricaricando, motivandolo ad andare
avanti nella sua impresa di volersi riprendere il trono ed il proprio
regno.
Si era messo in viaggio senza nemmeno mangiare la
zuppa che Trufflehunter – aveva poi scoperto il nome del
tasso parlante – gli aveva gentilmente offerto mentre con
cura lucidava l'oggetto magico della Regina Susan, prima di riporlo con
delicatezza in una sacca di velluto.
Fermò la mente al pensiero
errato che stava facendo, correggendosi: un assaggio del cibo che il
tasso e il nano avevano condiviso, non senza qualche lamentela da parte
di Nicabrick, con lui, lo aveva fatto. Il liquido era abbastanza caldo
e
saporito, ma per Caspian era un sapore tutto nuovo. Probabilmente era
fatto con legumi, arbusti, radici, e qualche ingrediente a lui
sconosciuto. Una zuppa buona e gradevole, doveva ammettere, anche se
non sapeva
se fosse meglio rimanere all'oscuore di cosa avesse ingerito o meno.
Quando poi aveva
appurato di star perdendo nuovamente del tempo prezioso si era alzato
di scatto dal pavimento su cui si era seduto, poiché gli
sgabelli erano veramente troppo piccoli e a misura di bambino
perché ci stesse, rischiando di
pestare la testa per il soffitto troppo basso – con grossa
delusione di Nicabrick per l'evento mancato – ed aveva finito
di prepararsi, questa seconda volta non interrotto da Trufflehunter.
Le
uniche cose che si era premurato di prendere una volta pronto, poi,
erano state le sue cose, tra cui la spada e il
corno.
Il corno.
La sua mano corse alla borsa a tracolla che portava
all'altezza del fianco e che conteneva l'oggetto tanto importante per
il suo maestro. Tastò attraverso la barriera
scamosciata il
profilo ricurvo, percorrendone a grandi linee la forma, fino ad
arrivare a toccarne l'estremità, a forma di testa di leone.
Aslan.
Il grande felino protettore e sovrano di Narnia.
L'impronunciabile,
colui che secondo Cornelius non si faceva sentire da
secoli, dai tempi dell'Età D'oro, e che non era arrivato in
aiuto della sua terra nemmeno durante le guerre tra Telmarini e
Narniani.
Esisteva ancora?
Caspian sospirò: le domande che
gli premevano erano altre in quel momento.
Come faceva il suo
maestro
ad avere quell'oggetto?
Non se lo capacitava appieno, nonostante
sapesse la soluzione. Aveva intuito che il suo precettore tenesse
moltissimo a quel corno antico, sopravvissuto durante secoli di guerre,
ed era stato tanto impavido da andare cercarlo per la foresta di
Narnia, indifferente al rischio che correva se a corte, o gli altri
Narniani, lo avessero scoperto.
Il tutto basato sulla leggenda che il
corno, se suonato, riportava indietro i Sovrani dell'Età
D'oro.
Cornelius aveva trovato,
ed affidato poi a lui, l'ultima
salvezza che rimaneva per Narnia.
Con i vecchi Re molto probabilmente i
Narniani rimanenti si sarebbero fatti vedere, e avrebbero potuto
ingaggiare una guerra per riprendersi ciò che era loro di
diritto e che Telmar gli aveva sottratto.
Caspian scosse la testa,
intuendo che stava pensando troppo positivo: non c'era la certezza che
il corno fosse magico. Non c'era la certezza che i Sovrani fossero
ancora vivi e pronti ad aiutarli. Non c'era la certezza nemmeno che lui
sarebbe riuscito a passare la notte senza che qualche creatura
particolarmente vendicativa lo attaccasse. E non c'era la certezza che
il suo precettore fosse al sicuro e al di sopra dei sospetti
riguardanti la sua fuga.
Caspian serrò una mano a pugno,
espirando pesantemente e pregando che Cornelius stesse bene e decidendo
di non domandarsi come mai quel corno Narniano gli fosse tanto caro.
Gli doveva
la vita... e ciò gli era più che sufficiente.
Si guardò intorno, leggermente impacciato e con
una vaga nota di curiosità, mentre camminava evitando
d'inciampare a causa degli arbusti insidiosi.
La foresta che si trovava
intorno a lui non sembrava tanto maligna con la luce estiva. Era
silenziosa, come svuotata di ogni fibra di vita, ma con il sole
sembrava semplicemente ciò che appariva di essere. La notte
prima aveva un alone misterioso, tetro e quasi innaturale, immersa in
un silenzio perenne dove ogni piccolo rumore veniva percepito come se
fosse a pochi passi di distanza.
Studiò nuovamente
l'ambiente che stava attraversando, cercando di capire quale direzione
fosse meglio scegliere ed ignorando i rumori che provenivano alle sue
spalle.
Solo perchè
proveniva da Telmar non significava che
fosse tanto stupido da non sentire che lo stessero seguendo.
I Narniani.
Doveva trovarli, per poterli convincere a combattere al suo fianco: lui
avrebbe spodestato Miraz e riottenuto il suo trono, e loro, in cambio,
avrebbero riavuto ciò che gli apparteneva da secoli.
La libertà.
Il
Principe pensò che fosse un compromesso accettabile, e
sperò che anche gli abitanti di Narnia fossero d'accordo con
lui quando gli avrebbe esposto il suo piano. Sempre se non lo
uccidevano come voleva fare Nicabrik, e sempre se riusciva a
trovarli...
Un ennesimo fruscio alle sue spalle lo ridestò,
riportandolo al suo presente. Caspian sospirò esasperato,
arrestando il passo e voltandosi.
-Vi ho sentiti.- fece notare,
inclinando la testa leggermente di lato e guardando i tronchi di due
alberi in particolare, con espressione seria. Un colpo di tosse
imbarazzato provenne dalla sua sinistra, e Trufflehunter
rivelò la sua presenza, uscendo dal suo momentaneo
nascondiglio. Si scambiò uno sguardo con Nicabrick,
indeciso se farsi vedere o meno.
-Io credo che
sarebbe meglio aspettare i Re e le Regine.- consigliò,
riponendo ancora fiducia in coloro che mancavano da milletrecento anni,
mentre
il nano lo affiancava, scocciato per essere stato scoperto. Caspian non
rispose, limitandosi a fissarlo con espressione scettica e facendo
trapelare ciò che pensava. Diede le spalle ai due Narniani,
riprendendo a camminare.
-E
va bene, allora vai! Vedremo se gli altri saranno comprensivi!-
Trufflehunter si era alterato a quel gesto d'indifferenza, e la sua
voce accigliata raggiunse Caspian, che serrò la mascella per
non rispondergli a tono.
-Magari vengo con te.- Nicabrick, invece,
sembrava divertito dalla situazione, come se sapesse già che
era spacciato.
-Voglio proprio vedere come te la cavi con i
minotauri.- insinuò con una vena ironica, il solito ghigno
strafottente sul viso mentre cercava di star dietro al ragazzo.
Cosa?
-Minotauri?- Caspian si ritrovò a parlare senza volerlo,
incerto ed indeciso se credere o meno a ciò che stava
sentendo.
-Sono veri?- chiese in soffio, per conferma, avendone sentito
parlare solo tramite leggende e libri come tutto il resto. Entrambi i
Narniani annuirono, rincarando la dose.
-Hanno un pessimo carattere.-
spiegò il tasso, serio, iniziando ad incamminarsi.
-E non sai
come sono enormi.- proferì Nicabrick, subito seguito dal
compagno, che lo corresse con il tono di chi la sa lunga.
-Immensi.-
fece, cercando di dare enfasi a ciò che aveva detto mimando
la grandezza con le zampe anteriori. I due lo superarono, come se
ciò appena detto fosse un nonnulla. Caspian
invece aveva la vaga impressione che lo avessero fatto apposta, per
cercare di spaventarlo. Ma la sua voglia di sapere era aumentata, e la
sua curiosità si stava facendo sentire.
-E i centauri?
Esistono ancora?- sperò di saperne di più, e che
i due abitanti di Narnia fossero in vena di spiegargli ancora
ciò che per lui era una sconosciuta novità,
continuando il discorso che loro stessi avevano iniziato poco prima.
-I
centauri è probabile che si battano al tuo
fianco, ma non si
può prevedere che faranno gli altri.- ipotizzò
Trufflehunter, mettendogli in chiaro che far mettere il resto dei
Narniani
dalla sua parte non sarebbe stato per niente semplice. Se gli abitanti
di Narnia non erano estinti come fino al giorno prima credeva,
probabilmente anche…
-E Aslan?-
Caspian si rese conto di
aver messo un piede in fallo pronunciando quel nome dal modo in cui il
nano e il tasso arrestarono il passo, di colpo. L'aria si era fatta
improvvisamente tesa e fredda, l'atmosfera attorno a loro tre
pesante. I due Narniani si scambiarono uno sguardo, poi Nicabrick prese
parola, esponendo i dubbi suoi e del suo amico.
-Come fai a sapere tante
cose di noi?- il suo tono si era fatto nuovamente sospettoso e duro,
burbero per aver sentito il nome di colui che gli aveva abbandonati, e
stava scrutando il Principe con cipiglio severo, gli occhi ridotti
quasi a due fessure con un luccichio investigativo.
-Racconti.-
proferì con un'alzata di spalle, apparentemente tranquillo.
In realtà spostava il peso del corpo da un piede all'altro,
nervoso, e stringeva l'elsa della spada, per scaricare la tensione.
Aveva come la vaga impressione di sapere quale sarebbe stata la
prossima domanda, a vedere gli sguardi dei due Narniani.
-Tuo padre ti
ha raccontato la storia di Narnia?-
Trufflehunter e Nicabrik non si
capacitavano come un Telmarino facesse a sapere tante cose di loro. Gli
occhi di Caspian si rabbuiarono all'istante, mentre il vuoto della
perdita si faceva sentire come ogni volta che si toccava
quell'argomento.
-No, il mio Precettore.- concedette, voltando il capo e
non guardando i due Narniani negli occhi.
-Mi scuserete, non
è il genere di domande che gradisco.- tagliò
corto, iniziando a camminare per evitare di ricevere altre domande
riguardo suo padre e sfuggire da quel discorso spinoso. Il tasso e il
nano si scambiarono uno sguardo, intuendo qualcosa dal repentino
cambiamento di umore del Principe, e decisero di lasciar perdere per
quel momento le domande che venivano loro spontanee da fare.
Un odore
ben conosciuto raggiunse l'olfatto di Trufflehunter, che
s'irrigidì, annusando continuamente l'aria per conferma,
negli occhi un luccichio allarmato che non sfuggì al suo
amico.
Non può
essere...
-Che c'è?- gli
domandò, la mano che correva inevitabilmente all'elsa della
sua spada. Caspian arrestò il passo e si voltò,
confuso, la stessa domanda di Nicabrick ferma nella sua mente.
-Umani.-
fu la risposta secca che ricevettero, il tono grave e preoccupato.
Erano in tanti.
-Lui?- il nano accennò con la testa in
direzione di Caspian, sperando che per una volta il naso di
Trufflehunter si fosse sbagliato.
-No... loro!- lo contraddì,
voltandosi dalla parte da cui erano venuti, allarmato e sgranando gli
occhi alla vista del gruppo Telmarino
che li aveva trovati e subito seguito da Caspian e Nicabrick.
-Correte!- ordinò il Principe, sapendo già che
provare ad affrontarli sarebbe stata una battaglia persa in partenza.
Erano almeno una decina,
e loro solo in tre.
Il trio iniziò
a scappare, mentre i Telmarini caricavano le balestre di continuo e i
dardi sferzavano l'aria diretti nella direzione dei fuggitivi. I rumori
della foresta erano pieni dei sibili che facevano le frecce tirate, per
poi conficcarsi con un rumore secco nei tronchi degli alberi, mancando
i bersagli.
Caricare. Tirare. Avanzare. Caricare. Tirare. Avanzare.
Il
gruppo dei soldati di Miraz continuava a seguire quel protocollo, nella
speranza di riuscire a prendere il Principe.
Caspian continuava a correre cambiando continuamente
direzione e proteggendosi con le cortecce degli alberi, abbassando
spesso la testa e cercando di andare il più velocemente
possibile, nella speranza che il suo andamento instabile fosse di
difficile prevedibilità e di riuscire a schivare le frecce,
come fino a quel momento aveva fatto.
Era il più veloce e il
più avanti, e sperò che anche Nicabrick e
Trufflehunter gli fossero subito dietro, salvi e senza dardi conficcati
nella carne.
Sentì un peso rotolare tra le felci, seguito da
dei gemiti di dolore mal trattenuti. Arrestò la sua corsa e
si mise a scrutare tra la vegetazione, facendo vagare lo sguardo in
più direzioni, e si accorse che ad essere stato colpito era
stato il tasso.
-Oh no...-
Nicabrik fece per andare in soccorso
dell'amico, ma Caspian lo fermò.
-Vado io.- si
offrì, cercando di essere il più celere possibile
e percorrendo a ritroso la strada già battuta. Quando
arrivò dal Narniano gli si avvicinò
delicatamente, studiandolo e accorgendosi che era stato colpito,
fortunatamente, solo ad una zampa. Estrasse con un gesto secco la
freccia, e con ansia crescente osservò il gruppo di
Telmarini che si stava avvicinando.
Non aveva tempo da perdere.
Fece
per prenderlo in braccio, ma Trufflehunter lo bloccò dopo
aver osservato i soldati.
-Vattene. Questo è più importante
di me.- gli indicò la sacca contenente il corno,
già rassegnato all'idea di essere lasciato
lì, ma con il tono di voce deciso e per nulla in rimorso. Il
gesto che
repentinamente fece il Principe senza pensarci troppo lo sorprese, ma
fu in qualche modo contento e sollevato quando si rese conto che questi
lo aveva preso in braccio, per poterlo portare in salvo.
Caspian corse
nuovamente in direzione del nano, poco più avanti rispetto a
dove lo aveva lasciato, e gli posò tra le braccia
Trufflehunter.
-Portalo via.- intimò, con il fiatone,
per poi girarsi verso i soldati con la spada in mano. Non gli
passò inosservato il fatto che i Telmarini fossero diminuiti
di numero, e che ne era rimasti solo…
Due?!
Com'è possibile?
Uno dei due arcieri che si era preparato
per scoccare cadde a terra quando qualcosa di veloce e mortale che si
muoveva nell'erba, provocando solo un fruscio di foglie, lo raggiunse.
L'uomo Telmarino fu preso dal panico, mentre Caspian osservava la
scena basito e preoccupato, non capendo e non sapendo se
quella… cosa,
sarebbe stata clemente con lui e i due Narniani.
L'ultimo dei soldati cadde a terra tra la vegetazione, e il Principe
vide le foglie iniziare a muoversi nella sua direzione. Si mise
sull'attenti, mentre sapeva di essere il prossimo bersaglio di
quell'aiuto inaspettato. Una macchia grigia saltò fuori
dalle felci con un grido di battaglia, e Caspian si ritrovò
nuovamente a terra, la spada a poca distanza da lui e un peso che
premeva sopra la cassa toracica.
-Scegli con cura le tue ultime parole
abitante di Telmar.-
Di
chi era quella voce?
Aprì lentamente
gli occhi, mentre una fitta alla schiena si faceva nuovamente sentire
per la botta e la testa tornava a dolere per il contraccolpo subito.
Mise a fuoco la presenza sopra di lui, e sgranò lo sguardo
quando riconobbe un topo. Un topo, Narniano probabilmente e con il dono
della parola, che gli puntava alla gola la sua spada, di almeno una
quindicina di centimetri.
Era lui che li aveva
salvati, dunque?
-Ma sei
un topo.- non si poté trattenere da fare quell'affermazione
palese, Caspian, mentre studiava il suo avversario. Il Narniano non ne
parve stupito, poiché abbassò le spalle e
sospirò, scontento e affranto.
-Speravo in qualcosa
di più originale.- ammise, abbassando per un attimo il suo
stiletto dalla gola del Principe. Però si riprese subito,
tornando al suo obbiettivo.
-Prendi la tua spada.- intimò,
indicando al ragazzo la sua arma. Quello tentennò, lanciando
uno sguardo alla spada dietro di lui, per poi negare gentilmente
-No,
grazie.-
-Prendila ho detto! Non mi batterò con un uomo disarmato.- s'acciglio
l'altro, drizzando la coda e
affilando lo sguardo, togliendo
il suo spadino dalla traiettoria della
giugulare del ragazzo sotto di lui. Caspian prese la situazione a suo
vantaggio, pensando di darla vinta al topo.
-Ecco perchè
potrei vivere più a lungo se decidessi di non incrociare la
mia spada con te, nobile topo.- tentò di rabbonirlo, con
scarsi risultati.
-Ho detto che non mi sarei battuto con te, non che ti
avrei lasciato vivere!- ribatté difatti l'altro, tornando
deciso e con il cipiglio pericoloso di poco prima, puntando nuovamente
la spada alla gola di Caspian. Il Principe s'irrigidì,
deglutendo pesantemente e cercando un modo per togliersi da quella
situazione.
-Ripicì! Ferma la tua lama.- entrambi si girarono
in direzione della voce che si era intromessa nel loro discorso, e il
topo parve stupito.
Un Narniano che salva la vita ad un Telmarino?
-Trufflehunter! Mi auguro tu abbia
una buona scusa per questa interruzione inopportuna!-
sibilò, non
contento di essere stato nuovamente interrotto.
-Non ce l'ha, procedi
pure.- Nicabrick prese l'occasione a suo vantaggio rubando la parola al
tasso, che aveva aperto bocca per parlare, ed esprimendo un'ennesima
volta il suo disappunto verso Caspian. Il Narniano abbassò
le orecchie e scosse la testa, lievemente indispettito per
quell'intromissione, riprendendo poi parola.
-E' stato lui a
suonare il corno.- confessò con enfasi, indicando il ragazzo
ancora a terra.
-Cosa...?- Ripicì tentennò, non
capendo.
Questo cambiava
decisamente le cose.
-Ce lo faccia vedere,
allora.- una voce profonda, nuova alle orecchie di Caspian s'intromise
nel discorso, richiamando l'attenzione dei quattro su di sé.
Il
Principe si voltò come gli altri, accorgendosi di trovarsi
davanti a dei veri centauri. Il ragazzo si rese conto che
ciò che solitamente stava sui libri di storia e leggende si
stava rivelando più vero e reale di quanto credesse e
deglutì, osservando affascinato le creature appena uscite
dal fitto della vegetazione. Minotauri, centauri, fauni...
Quante
novità nel giro di una giornata.
-Questa è la
ragione per cui siamo qui.-
***
Il
giorno successivo
arrivarono al guado indicato da Trumpkin poche ore dopo essersi
svegliati e aver ripreso il cammino, seguendo il sentiero del giorno
prima sotto la guida del nano. La sera prima si erano accampati in uno
sprazzo d'erba con lo scoppiettare di un fuoco allegro che faceva loro
da compagno, ma non avevano parlato molto se non riguardo i tempi e le
distanze, o l'improbabile cambiamento di tempo, ognuno perso nei propri
pensieri o stanco per il tanto viaggiare.
Eve si era tenuta stretta la
freccia per tutta la giornata, fino quando Susan si era offerta di
conservargliela nella faretra insieme ai suoi dardi. All'inizio era
stata titubante, poi gliela aveva affidata quando la sorella maggiore
le aveva promesso che non l'avrebbe usata in caso di bisogno,
ricorrendo solo alle sue.
Però le rive del fiume,
soprattutto quella che stava dalla parte della città di
Telmar, erano piene di soldati impegnati a costruire un ponte
per passare ed entrare nel bosco di Narnia, per conquistarla
definitivamente. Lavoravano sotto il sole di continuo, da mattina
presto a sera inoltrata sotto ordine di Miraz, da quando Caspian era
scappato, e più il tempo passava più il ponte
prendeva forma.
-Forse questa non era la via migliore per passare,
dopotutto.- fece notare Susan a Peter, in un sussurro, osservando il
fratello maggiore con una punta di rimprovero e un vago senso di colpa.
Non avevano creduto a Lucy ed Eve, e ora dovevano tornare indietro,
perdendo nuovamente tempo.
I due si rannicchiarono di più
dietro i tronchi che avevano trovato quando un gruppo di soldati gli
passò pericolosamente vicino, osservando gli uomini di
Miraz: era impossibile attraversare il fiume sperando di non essere
visti.
Si scambiarono delle occhiate significative, poi Peter
iniziò a tornare verso la direzione da cui erano venuti.
***
-Allora? Dove vi è sembrato di aver visto Aslan?-
Peter
aveva i lineamenti contratti, il tono di voce scocciato e una punta di
nervosismo per l'errore che lui non aveva commesso. Cercò di
essere comunque il più dolce possibile quando si rivolse
alle due sorelle, con scarsi risultati e dando l'impressione di essere
strafottente.
Lucy ed Evelyn si voltarono verso il fratello maggiore:
la seconda si limitò a sbuffare vistosamente e alzare gli
occhi al cielo, esasperata, conscia che Peter non sarebbe mai cambiato,
mentre la prima s'indispettì, stanca per il modo con
cui la stavano trattando, come se fosse ancora una bambina.
-Vorrei
proprio che la smetteste di giocare a fare i grandi.-
iniziò,
ricordandogli tacitamente che non solo loro erano degli adulti in un
corpo di ragazzi e fulminandoli con lo sguardo.
-Non ci era parso, noi
l’abbiamo visto.- proferì, seria, osservando il
promontorio su cui si trovava.
-Io sono grande però.- fece
notare Trumpkin, sottolineando la sua età e il suo punto di
vista. Aslan li aveva abbandonati, punto.
L'ultima Pevensie si
avvicinò pericolosamente verso il bordo della rupe,
studiandolo e cercando di ricordare, continuando a guardare a terra
nella speranza di vedere un indizio per far vedere che aveva ragione.
Un indizio qualsiasi.
-Era proprio questo il…ahh!- il
terreno sul quale Lucy stava camminando cedette, gli arbusti e la terra
si sgretolarono sotto i piedi della ragazzina, e la Pevensie scomparve
alla vista del gruppo.
-No!-
-Lucy!-
Gli urli di Evelyn e Susan
squarciarono l'aria in contemporanea, mentre Edmund e Peter trattennero
il fiato per lo spavento. Il senso di perdita si fece sentire
nuovamente in tutti loro nel giro di poco tempo, e si precipitarono in
pochi secondi nel punto in cui Lucy era caduta, i muscoli delle gambe
che erano scattati per istinto.
La trovarono seduta
all’inizio di un sentiero che percorreva il profilo della
montagna, mentre si guardava attorno per cercare di capire la
situazione. Alzò lo sguardo verso gli altri, conscia di aver
avuto ragione fin dall'inizio.
-Qui.- disse, guardando trionfante verso
Peter e Trumpkin che in risposta sospirarono sollevati per il pericolo
scampato. Cercò poi lo sguardo di Eve, che dovette ammettere
a se stessa che quella che aveva visto non poteva essere una semplice
ombra.
Scesero lungo un sentiero che gli fece attraversare la gola, e
si ritrovarono nel letto del fiume. Lo percorsero a ritroso, con
l'acqua fresca che arrivava al massimo alle caviglie, dando un misto di
frescura e tranquillità per il suo zampillare giù
dalle pareti, e per sera si accamparono attorno al falò in
un piccolo sprazzo d'erba, molto simile a quello della sera prima.
Mentre Peter ed Edmund dormivano già e Trumpkin tentava di
prendere sonno dando le spalle agli altri, Susan cercò
l'attenzione delle sorelle.
-Lucy, Eve, siete sveglie?-
Le due mossero la
testa in segno di assenso, ognuna persa nei propri pensieri sulla
giornata appena trascorsa e ciò che avevano saputo dal loro
ritorno.
-Perché secondo voi io non ho visto Aslan?-
domandò la Dolce, mettendosi su un fianco per poter guardare
le sorelle in viso e torturandosi nervosa le unghie delle mani.
-Allora
ci credi?- Evelyn era stupita e pose quella domanda, continuando
però a guardare il cielo sopra di lei e le fronde degli
alberi che a volte si muovevano per l'aria notturna. Lanciò
una fugace occhiata verso la sorella alla sua sinistra, mentre Lucy si
mise anch’ella su un fianco, rivolta verso le altre due.
-Ci
ha fatto attraversare la gola.- continuò incerta Susan, e
constatando l'ovvietà della cosa, sempre in attesa di una
risposta.
-Forse non lo volevi
davvero.- ipotizzò Lucy dopo degli attimi di silenzio, come
aveva fatto Eve con Peter.
-Avete sempre
saputo che saremmo tornate, vero?- lo sapeva Susan, che le due come
Peter non avevano mai accettato la vita a Londra. Lo capiva dai loro
sguardi, da come Eve era diventata scostante e chiusa o Lucy che non
poteva fare a meno di menzionare Narnia in ogni discorso con loro.
-L’abbiamo sempre sperato.- parlò per entrambe
Evelyn, gli occhi fissi sul cielo stellato e l’aria assorta,
dando fondo ai pensieri della maggiore.
-Ero riuscita ad accettare
l’idea di vivere in Inghilterra.- confidò la Dolce
in un sussurro, rimettendosi nella posizione iniziale. Era riuscita
seppur con fatica a ritrovare una sorta di equilibrio interiore in quei
due anni di attesa.
-Ma sei felice
di
essere qui, no?- cercò di rassicurarsi, Lucy, gli occhi
sgranati e nel tono di voce una nota ansiosa, nel sentire che la
sorella si stava abituando a vivere in quello che non era
più il loro mondo.
-Finché dura.-
mormorò l'altra, atona, come consapevole che prima o poi
sarebbe tutto finito.
Di nuovo.
Che non bisognava illudersi,
poiché quella che sarebbero vissuti nuovamente li, come ai
tempi dell'Età D'oro, era solo un'effimera illusione.
Si
stava abituando a vivere in Inghilterra...
pensò Eve,
leggermente dispiaciuta, continuando a ripetersi quella frase come se
non ne capisse il reale significato.
I fruscii delle stoffe dei vestiti
delle altre due, che si erano date le spalle a vicenda per poter
trovare una posizione comoda per dormire le arrivarono ovattati, mentre
la sua mente continuava a lavorare sul discorso appena finito.
Ciò significava che se non fossero tornati a Narnia
probabilmente Susan l'avrebbe catalogata nei ricordi, come un'avventura
che però aveva avuto un termine, un mondo bellissimo ma non
più raggiungibile.
-No! Lasciatemi, devo tornare di la!-
Serrò gli occhi, Evelyn, a quei ricordi che si portava
dentro, raggomitolandosi su se stessa come
per proteggersi.
-Ti
prego Aslan, fammi tornare a casa!-
Aveva pianto.
Aveva pianto per un motivo
che non fosse Edmund, l'unica ragione per cui aveva versato tante
lacrime in poco tempo, gli occhi arrossati che bruciavano e una
sensazione di vuoto e nero intorno a lei e dentro di lei che la stava
lentamente divorando.
Casa.
L'aveva persa, la casa, un anno prima. Ed
ora che era di nuovo li non la riconosceva più.
-Finché dura.-
Eve ebbe un tuffo al
cuore.
Sarebbero dovuti
ritornare in Inghilterra?
Un senso di panico
l'avvolse, mentre le si formava un nodo in gola e gli occhi le si
inumidivano.
"Per sempre. Ti prego, fa che sia per sempre."
***
Lucy
si
svegliò sentendo un lieve ruggito, che la strappò
definitivamente dal dormiveglia. Guardò i componenti del
gruppo sdraiati attorno a ciò che rimaneva del
falò, i quali dormivano ancora. Li osservò,
indecisa sul da farsi, e contemplando la possibilità di aver
sentito male. Quando un secondo di questi le arrivò alle
orecchie come ad invitarla si voltò repentinamente verso il
sentiero che spariva dietro una roccia.
Si fece coraggio e si
alzò, incamminandosi e cercando di fare meno rumore
possibile, sicura che non fosse tutto frutto della sua mente e sperando
che ciò che aveva sentito era chi sperava.
Percorse il
sentiero circondato dagli alberi, dalle cui fronde faceva capolino il
sole mattutino.Quel luogo aveva un'atmosfera magica, totalmente
diversa dalla Narnia che aveva visto fino al giorno prima.
Sembrava
quasi un sogno.
Continuò a camminare per il sentiero ben
chiaro tra la vegetazione, mentre sotto ai suoi piedi scricchiolavano
le foglie secche, che attutivano il rumore dei suoi passi con dei
fruscii delicati e conosciuti. Attorno a lei avevano preso a danzare
dei petali di fiore, che le segnavano la strada da percorrere e
l'accompagnavano come sempre facevano nell'Età D'oro.
Lucy
si fermò ad osservare un gruppo di questi prendere la forma
di una driade, che rise e la salutò, finendo poi con il
disperdersi ancora nell'aria li attorno, piena delle risate delicate di
entrambi i due gruppi di petali di fiore. Lu sorrise, felice,
osservandosi in giro, mentre dietro di sé dei rumori
attirarono la sua
attenzione. Voltandosi poté vedere gli alberi spostarsi ai
due lati del sentiero per aprirle un varco tra la vegetazione.
Muovevano impercettibilmente le chiome, come ad invitarla ad avanzare,
cosa che già aveva preso a fare, titubante. Non sapeva dove
la stesse conducendo quella strada…
-Lucy.-
La Pevensie si
bloccò per un attimo, stupita. Era davvero chi credeva che
fosse?
-Lucy.-
Non poté trattenere un sorriso, mentre
affrettava il passo per raggiungere colui che la chiamava.
Superò una roccia e lo cercò con lo sguardo,
sperando che non si stesse immaginando tutto, e non poté
trattenersi dal chiamarlo quando lo vide in mezzo agli alberi, vicino
ad un raggio di sole che penetrava dalle fronde degli alti alberi.
-Aslan!-
Affrettò il passo per raggiungerlo il prima
possibile, e arrivata gli accarezzò il muso, sollevata di
vederlo.
-Mi sei mancato tanto.- gli confidò, continuando ad
accarezzarlo con gli occhi chiusi, beandosi della sua presenza.
Aprì lentamente gli occhi e s'allontanò
leggermente, per poterlo osservare meglio.
-Sei più grande.-
gli fece notare, sorridendo.
-Ogni anno tu diventi più
grande, e anche io.- Aslan le rispose con la solita pacatezza che lo
distingueva, la solita nota di saggezza che velava la sua voce e i suoi
occhi. La piccola di casa Pevensie sorrise, per poi rabbuiarsi ed
estraniare i suoi dubbi.
-Dove eri finito? E perché non sei
venuto ad aiutarci?- gli domandò, aggrottando la fonte e non
capendo. Il leone la guardò intensamente con i suoi occhi
dorati, prima di risponderle enigmatico.
-Le cose non avvengono mai due
volte allo stesso modo.- decretò, come se ciò che
avesse appena detto fosse una regola sacra da non dimenticare mai. Il
rumore di un rametto spezzato attirò l'attenzione di
entrambi. Tutto scomparve e si fece improvvisamente buio, l'aura calda
e magica che c'era scomparve e Lucy aprì gli occhi di
scatto.
Era solo un sogno...
Affranta, constatando si essere sdraiata nel punto della sera prima,
che la foresta conservata sempre una nota cupa e misteriosa e che gli
alberi non danzavano Lucy si guardò intorno, dubbiosa.
Però il pensiero che quello che le era
apparso in sogno era Aslan la rincuorò, distogliendola dalla
tristezza che si stava facendo sentire, facendole tornare la speranza
di prima.
-Susan, svegliati.- sussurrò alla sorella maggiore,
sperando di svegliarla. Doveva raccontare a qualcuno del sogno.
-Si
Lucy, tutto quello che vuoi.- fece quella accondiscendente, girandosi e
continuando a dormire.
Il rumore di rametti spezzati in lontananza
attirò l'attenzione della ragazzina, facendola voltare nella
stessa direzione del sogno. Lucy scattò in piedi,
consapevole che si stava svolgendo tutto come aveva sognato, ed
iniziò ad incamminarsi, cercando di non svegliare gli altri.
-Lucy, dove stai andando?-
Aveva fatto appena pochi passi, ma la voce
di Eve la costrinse a fermarsi. Lu si voltò verso Evelyn,
che si stava stropicciando un occhio, ancora assonnata, il capo rivolto
nella sua direzione in attesa di risposta.
-Ho sognato Aslan.- le disse
senza preamboli, certa che le avrebbe dato ascolto.
-Davvero?- fu
infatti la domanda sorpresa che sfuggì dalle labbra di Eve,
sveglia del tutto e in pochi secondi in piedi.
-E quindi?- le
domandò, curiosa e vogliosa di saperne di più,
avvicinandosi alla sorella minore.
-Lo incontravo alla fine di questo
sentiero. Credo che voglia dire qualcosa,- le spiegò Lucy,
mordendosi il labbro inferiore e facendo saettare lo sguardo in vari
punti della radura. Posò poi gli occhi su Evelyn, che era
rimasta ferma e la stava osservando, attenta. La sorella poi le sorrise
impercettibilmente, mentre le voltava le spalle avvicinandosi al suo
posto accanto al falò. Lucy la guardò allarmata,
pensando che quel sorriso fosse solo una presa in giro, ma si
ricredette quando la vide prendere la sua spada e raggiungerla
nuovamente. Eve le indicò il sentiero che stava prendendo
con un gesto del capo, e Lucy capì che potevano andare.
Esibì un sorriso, mentre prendeva la sorella per mano e la
conduceva sugli stessi passi che aveva fatto nel sogno.
La minore delle
Pevensie si rabbuiò quando, trovandosi nello stesso punto
del sogno in cui le driadi danzavano e la salutavano, non
trovò nessuno ad accogliere lei e sua sorella. Gli alberi
erano immobili, e la foresta Narniana terribilmente silenziosa, come se
fosse stata priva di vita.
Eve sentì distintamente un'aria
fredda insinuarsi sotto il vestito, e la sensazione d'inquietudine che
le diede non le piacque per niente, mentre si fregava le braccia per
cercare di far passare il senso di gelo. Osservò Lucy
avvicinarsi ad un albero, posargli una mano sulla corteccia e
sussurrargli uno -svegliati- prima di girarsi e spiegarle che nel suo
sogno gli alberi danzavano come quando erano Regine.
Evelyn la
guardò con tenerezza, mentre una profonda tristezza si
faceva largo dentro di lei.
Erano. In un passato
lontano decenni.
Quando si è Re o Regina di Narnia, si è sempre,
Re o Regina.
Sospirò, affranta, ricordando bene quella
frase.
Poteva dire di essere ancora Regina di un regno che aveva
abbandonato, anche se involontariamente?
-Vedrai che tutto si
sistemerà.- si costrinse a dirle con finto sorriso, cercando
di rincuorarla e riuscendo a celare la sua incertezza, dando a Lucy un
vago senso di speranza. Ebbe però l'impressione che sua
sorella avesse capito la sua finzione.
-Su forza, fammi strada.- le disse cercando di
sorridere veramente, curiosa di sapere dove Lucy aveva visto Aslan e
strappandola dalle sue riflessioni. Girarono dietro una roccia e quando
sentirono un lieve ruggito si guardarono, intuendo l'una i pensieri
dell'altra.
-Asl…- iniziò Lucy, sporgendosi
oltre la collinetta che le bloccava la vista, per vedere. Non
poté finire di dire il nome del leone, perchè sia
lei che Eve vennero afferrate da dietro, la bocca tappata per non farle
gridare e un corpo caldo che si scontrava con le loro schiene. Evelyn
andò in panico e cercò di prendere Asterius, ma
quando il braccio che la teneva ferma la obbligò a voltarsi
si rilassò istintivamente, poiché
incontrò i famigliari occhi azzurri di Peter. Doveva averlo
svegliato quando era inciampata nel sasso che contornava il
falò ormai spento…
Entrambe lo guardarono senza
capire il motivo per cui le aveva fermate, e lui le
rimproverò con lo sguardo per essersi allontanate senza
avvertire.
Dei passi pesanti passarono vicino a loro, ed i tre si
girarono verso la direzione da cui provenivano, guardando oltre la
collinetta e protetti alla vista dello sconosciuto dalla vegetazione e
dall'erba abbastanza alta. Colui che doveva essere Aslan era invece un
minotauro armato con un’ascia, notarono con rammarico le due
Pevensie. Camminava circospetto, guardandosi intorno.
Peter fece segno
alle sorelle di non fare rumore e tacere, ed estratta la spada come
arma di difesa uscì allo scoperto per arrivare alle spalle
del Narniano.
I minotauri si erano arresi dopo la sconfitta di Jadis e
durante il loro regno non avevano mai mostrato segni di ribellione, ma
Peter ricordava troppo bene che erano stati loro, insieme
principalmente ai nani, ad allearsi con la Strega Bianca. Aveva il vago
sentore che dopo tutti quegli anni potessero essere tornati quelli di
un tempo, pericolosi e letali.
Gli si avvicinò piano,
silenzioso, concentrato e con i passi controllati per non farsi
scoprire. Mancavano pochi metri, poi lo avrebbe raggiunto.
Qualcuno,
però, s'intromise, bloccando il suo avanzare e distogliendo
la sua attenzione dal minotauro. Con un grido battagliero e di sfida
una massa di capelli scuri attaccò il Pevensie, che non ci
mise molto a rispondere ai colpi. Il corpo di Peter si mosse da solo,
tese i sensi e automaticamente si mise sulla difensiva, mentre una
scarica di adrenalina lo percorse dalla testa ai piedi per il
combattimento appena ingaggiato. Era come se non avesse mai smesso di
allenarsi e la consapevolezza di avere vicino le due sorelle gli diede
solo una motivazione in più per non voler perdere.
Doveva proteggerle da quella persona, e per farlo doveva vincere.
Il Pevensie
riuscì a disarmare il suo avversario, facendogli perdere la
presa sull'elsa della sua arma. Rhindon però si
conficcò a fondo nella corteccia di un albero, e Peter perse
la presa sulla spada. Per la distrazione ricevette un calcio in pieno
stomaco, e si ritrovò a terra, mentre il suo avversario
cercava di riprendersi la spada dalla corteccia. Afferrò un
sasso, la prima cosa che vide come possibile arma, e
s'avventò sul ragazzo, che a sua volta era riuscito a
prendere Rhindon.
-No fermi!-
La voce di Lucy li fermò poco
prima che si colpissero, ed i due si bloccarono, rendendosi conto della
piega che stava prendendo il loro duello.
Assurda. Si sarebbero uccisi
a vicenda.
Il gruppo fu circondato da dei Narniani, e Peter si
guardò intorno, stralunato e sorpreso nel vedere coloro che
un tempo erano il suo popolo. Lucy ed Eve si scambiarono uno sguardo
carico di significato, mentre i loro cuori si riempivano a quella
vista. Evelyn però non ci mise molto a capire che qualcosa
non andava: gli abitanti di Narnia erano armati, sull'attenti, e
guardavano lei, Lucy e Peter come se fossero state delle prede da
agguantare.
Un fruscio alle sue spalle la fece scattare, ed Asterius si
ritrovava già nella sua mano, puntato verso la presenza.
-Stai indietro.- sibilò tra i denti, avvicinandosi a Lucy e
puntando la spada contro il fauno che era arrivato alle loro spalle.
Quello indietreggiò leggermente di fronte allo sguardo che
gli veniva rivolto, abbassando la sua
arma. Peter si guardò intorno, focalizzando poi nuovamente
la sua attenzione sul ragazzo che si trovava davanti.
-Principe
Caspian?- domandò, come colto da un'illuminazione. Questo lo
guardò studiandolo un attimo, per nulla contento dello
sguardo sprezzante e superiore che gli stava rivolgendo il biondo
davanti a lui e il tono di voce confidente e diretto con cui gli si era
rivolto. Qualcosa vibrò dentro di lui al pensiero che quel
ragazzo non gli aveva portato rispetto.
Era ovvio, che fosse il
Principe Caspian.
-Si.- soffiò quella risposta tra i denti,
infastidito dalla presenza davanti a lui che ancora non si era
presentata e che aveva tentato di ucciderlo, mentre si chiedeva come
facesse a conoscerlo.
-E tu chi sei?- chiese, sprezzante e sospettoso,
curioso della risposta. Lanciò un fugace sguardo alle due
ragazze che li stavano osservando, per poi tornare a sostenere lo
sguardo del ragazzo davanti a lui. Chissà che ci faceva con
due ragazzine nel bel mezzo della foresta...
-Peter!-
Una voce di donna
più matura risuonò nel silenzio che si era creato
tra loro, rispondendo prima del ragazzo che si trovava davanti a lui e
che aveva aperto bocca per poter ribattere.
Caspian sussultò
per la sorpresa, mentre Peter girava il volto verso il sentiero da cui
erano arrivati, osservando i fratelli fare la loro comparsa seguiti da
Trumpkin. Dei tasselli nella mente del Principe vennero messi al loro
posto e sul suo volto si delineò una nota di stupore.
Il
corno. I Sovrani di un tempo.
Aveva suonato il corno, ed i Sovrani di
un tempo erano tornati.
-Sei Re Peter?- la domanda gli uscì
spontanea dopo aver lanciato un veloce sguardo alla spada che teneva in
mano, sulla cui lama era incisa la famosa iscrizione, e
sull'estremità dell'elsa si ergeva la testa di un leone.
Aslan.
-Credo tu ci abbia chiamati.- tagliò corto il Re,
orgoglioso di essere stato riconosciuto come chi doveva essere e con
una nota di autorità, come se non dovesse dare spiegazioni
in merito perchè la cosa era ovvia.
-Si ma... credevo foste più vecchi.- ammise, diretto. Il
Pevensie aggrottò la fronte a quella frase.
-Se preferisci
possiamo tornare tra qualche anno.- proferì indispettito,
facendo il gesto di voltargli le spalle.
-No, io non volevo.- si
scusò Caspian, imbarazzato. Peter si voltò
nuovamente verso di lui, per ascoltarlo, osservando il suo sguardo
saettare tra loro.
-Solo che... ecco, non siete
come mi aspettavo.- mugugnò, spiegandosi meglio. Fece vagare
lo sguardo dall'uno all'altra e li osservò, attento,
cercando di riconoscerli tramite ciò che Cornelius gli aveva
raccontato e ciò che aveva appreso grazie ai libri. La sua
attenzione dopo che ebbe visto le due ragazze più piccole,
venne totalmente catturata dalla maggiore. Caspian si
ritrovò a guardarla dritta negli occhi, mentre vedeva lei
sorridere di rimando imbarazzata da quelle attenzioni inattese, un velo
di incertezza negli occhi chiari.
Lucy
tirò una manica del vestito ad Eve, per richiamare la sua
attenzione. Questa rinfoderò la sua spada, mentre seguiva
con lo sguardo ciò la sorella le stava indicando con gesti e
cenni della testa. Sorrise, notando gli sguardi d'interesse del
Principe verso Susan e viceversa.
Oh si, si sarebbe divertita.
Voltò lo sguardo, quando un particolare le arrivò
davanti agli occhi.
-Neanche tu.- Edmund prese finalmente parola, e
guardò Peter cercando di capire cosa avrebbero fatto da quel
momento. Cercò poi con lo sguardo Eve, e gli prese un vuoto
alla bocca dello stomaco quando la vide avvicinarsi ad un lupo, non
sapendo che reazioni avrebbe avuto quest'ultimo.
Per quanto ne
sapevano, poteva essere selvatico come l'orso del giorno prima.
L'animale era alto una quindicina di centimetri in meno di Aslan, la
figura leggermente più snella. Aveva dei penetranti occhi
azzurro ghiaccio e il manto grigio chiaro, molto vicino al bianco,
fatta eccezione per una striscia lunga tutta la spina dorsale, che si
scuriva fino diventare nero.
Uno degli animali più belli che
la penultima Pevensie avesse mai visto.
Si ritrovò ammaliata
da quegli occhi chiari color dell'acqua, che esprimevano calma e
pacatezza, un luccichio però deciso che s'intravedeva in
fondo ad essi. Aveva come l'impressione di averli già visti,
di conoscere quello sguardo riflessivo, ma era consapevole che non
poteva essere.
Quando Evelyn gli fu arrivata davanti il lupo
s'inchinò leggermente, distogliendo lo sguardo.
-Qual
è il tuo nome?- gli domandò, curiosa. Voleva
sapere tutto, capire se poteva essere un possibile discendente di
qualche sentinella fidata che avevano nell'Età D'oro. O,
perché no, essere perfino imparentato con Maugrim, il lupo
capo della polizia a servizio di Jadis.
-Lia, Maestà.- fu una
risposta decisa quella che ricevette Eve, limpida e pulita come
l'acqua, senza tentennamenti o indecisioni.
-E' un bel nome, mi piace.-
le confessò, sorridendo appena.
-Ne sono felice.- altra
risposta semplice, chiara e cristallina. Non sembrava ci fosse nessun
sentimento negativo nei suoi confronti. Evelyn si sorprese delle
reazioni differenti che avevano avuto la lupa che si trovava davanti e
Trumpkin.
-Posso accarezzarti, Lia?- domandò Eve di fretta,
buttando fuori il peso che l'aveva presa da quando l'aveva notata. Non
sapeva perchè, ma se ne vergognava moltissimo di aver fatto
quella domanda.
-Certamente, mia Signora.- acconsentì la
Narniana, dopo averla studiata per qualche attimo. Eve sorrise
contenta, come se le fosse stato concessa una delizia per aver fatto
qualcosa di buono e allungò la mano per accarezzare la lupa.
E le sembrò
quasi di ricevere una lieve scossa quando
sfiorò il suo pelo.
-Eve, non è un giocattolo.- la richiamò a quel
punto Peter. La ragazza si svegliò dallo stato di trans in
cui era caduta e girandosi verso il fratello lo guardò
confusa, la
mano ancora sul morbido pelo della lupa che parlò per prima.
-Scusate l’intromissione, Maestà, per me non
è un disturbo.- fece notare, calma. Peter
guardò la lupa, ma prima che potesse ribattere un tasso prese
parola, riportando
gli interessati alla situazione presente e attuale.
-Un nemico comune
unisce anche i più antichi nemici.- decretò,
saggiamente, sollevato come Nicabrick di vedere Trumpkin stare bene.
-Abbiamo atteso con ansia il vostro ritorno, Sire.- s'intromise
Ripicì, uscendo dalla vegetazione e inchinandosi in
direzione di Peter.
-I nostri cuori e le nostre spade sono al
vostro servizio.- finì sicuro, portandosi la spada al cuore
come se quello che avesse appena finito di dire fosse un giuramento.
-Guarda, è così carino.- fece Lucy
all’orecchio di Susan, indicando il topo.
-Chi ha parlato?-
s'inalberò questo a sentirsi dare semplicemente del carino,
estraendo la spada e guardandosi intorno, sull'attenti. Lucy si
scusò, in colpa. Ripicì abbassò subito
la spada.
-Vostra Maestà
con il massimo rispetto... credo che coraggioso, cortese o
cavalleresco si addicano di
più a un cavaliere di Narnia- spiegò,
rinfoderando
il suo stiletto.
-Bene. Almeno voi sapete usare la spada.- disse Peter
divertito, una chiara allusione a Caspian che era riuscito a disarmare
con pochi colpi.
-Si, certo. E di recente ne ho fatto buon uso per
procurare armi al vostro esercito.- ribatté
Ripicì, orgoglioso del suo operato a favore di Narnia.
-Perfetto perché... tutte le spade disponibile
ci saranno d’aiuto- decretò, mentre la sua testa
lavorava già per dei piani di battaglia e tornando a
guardare Caspian.
-Allora penso che
tu rivoglia indietro la tua.- ribatté il Principe,
porgendogli Rhindon che il Pevensie afferrò e
rinfoderò. Peter guardò i fratelli facendo cenno
loro di seguirlo per poi voltarsi e, affiancato da Caspian, dirigersi
in testa al gruppo per arrivare al luogo in cui erano radunate il resto
delle truppe. Susan e Lucy si mossero per prime, seguite da Edmund.
Trumpkin fu affiancato dai suoi amici Nicabrik e Trufflehunter, che
aveva iniziato a fargli una serie di domande su come si fosse salvato e
sui Sovrani. Ed infine c'era Eve, affiancata da quella nuova presenza
appena conosciuta.
Forse non proprio
nuova...
***
-Dhemetrya.-
Cosa…?
Qualcuno la chiamava.
-Dhemetrya, svegliati.-
Si,
qualcuno la stava chiamando. Una voce ovattata e lontana, ma
contemporaneamente conosciuta e vicina, che le distese le membra,
cullandola ed inglobandola in una bolla di luce e protezione.
-Svegliati.-
Dhem si costrinse ad aprire gli occhi a quell'ordine che
sentì provenire con tutta se stessa da dentro di lei.
Ciò a cui si trovò davanti fu una forte luce, che
per un attimo le accecò la vista costringendola a sbattere
più volte le palpebre per poter mettere a fuoco qualsiasi
cosa in quell'ambiente neutro.
E magico.
Focalizzò la sua
attenzione su una figura che stava davanti a lei, e che come Dhem era
sospesa nel vuoto di luce.
Una donna dai
lineamenti fini ed affilati,
che non dimostrava gli anni che portava, dalla pelle nivea e
all'apparenza fragile, che sembrava pronta a rompersi al minimo tocco.
Dagli occhi grigio acciaio con pagliuzze azzurre e lunghi capelli
biondi dai riflessi lunari e argentati, che trasudava aloni di magia
con tutta se stessa, da tutta se stessa.
Luccichii brillantinati provenivano dalla sua pelle, disperdendosi
attorno a lei e ritornandoci pochi attimi dopo, attirati come una
calamita.
-Siete voi.-
sussurrò, sorridendo appena.
-Si, Dhemetrya.- fu la semplice
risposta che ricevette, e che ridondò per qualche attimo
nell'ambiente in cui si trovava sospesa.
Si sentiva
così
leggera...
-Cosa… cosa volete?- tentennò di
fronte all'evidenza, sapendo che era inutile. Sapeva il
perchè Lei
era li.
-Si sono mossi, ma tu stai ancora
dormendo.- le rispose pacata la donna.
-Come?- fu la domanda strozzata
e dal tono acuto che le uscì, senza che potesse trattenerla.
Loro si erano mossi e lei stava ancora dormendo?
-Non puoi permetterti
di perderli.- le fece notare la presenza magica davanti a lei, annuendo
alla sua domanda precedente.
-Non li perdo. La magia che impregna Narnia stessa mi lega
a…-
iniziò, pronta con la sua spiegazione, ma fu
bloccata.
-No.- risposta secca, eppure dolce.
Che significava, no?
-La magia che impregna Narnia è debole da ormai
più di milletrecente anni. Io sono debole. Tu,
sei debole.-
la indicò con
un cenno del capo, mettendole di fronte l'evidenza. Dhemetrya
abbassò il capo a quell'affermazione, in colpa, non notando
l'ombra che scurì il volto della presenza che l'aveva
svegliata.
-Ma… è qui.- non capiva: non era
giunto ormai il
tempo dei grandi cambiamenti?
-Devi andare e raggiungerli, starle
vicina. Lo sai il perché,- le spiegò
semplicemente, e fu in quel momento che notò l'alone di
tristezza che le oscurò per
qualche secondo lo sguardo limpido e puro. Un guizzo che
adombrò gli occhi chiari della donna, difficilmente
percepibile, ma che Dhemetrya sentì chiaramente come se
fosse proprio.
-Sarà fatto.- promise, con un cenno del capo.
La donna
scomparì nella luce, che diventò sempre
più forte. S'inglobò in una sfera immaginaria,
finendo poi dritta intorno alla ragazza. Una sensazione di pace
assoluta l'avvolse, il desiderio di chiudere gli occhi per non aprirli
mai più che la invitava ad addormentarsi ancora.
Ma le cose non
dovevano andare così.
Sbatté le palpebre
più volte, fino a quando il buio che si era ritrovata
davanti quando la luce era scomparsa del tutto si trasformò
in vegetazione, schiarita dal sole mattutino. Si portò una
mano alla fronte, i sensi più acuti e attenti, gli occhi blu
di un colore più intenso.
Sua madre.
Non la vedeva da quando
loro se ne erano andati via. Quella che l'aveva appena aiutata, era sua
madre. Una forza a cui apparteneva dalla nascita, a cui era legata con
tutta se stessa. Una di quelle a cui Narnia non credeva più
da tempo, ma che lei aveva il potere di percepire, vedere e in alcuni
casi usufruire.
Una magia che cospargeva ciò che di puro
c'era ancora nel suo mondo.
Sua madre… era la Grande Magia.
*So
che il
corno lo tiene Trufflehunter, ma ho voluto
sottolineare un po' di più il rapporto tra Caspian e
Cornelius calcandoci sopra: il fatto che il Principe vede nel corno
tutta la fiducia che il Precettore ha in lui tanto da spingerlo a
sacrificarsi per farlo scappare, è una motivazione in
più che va a completare il quadro del rapporto che
già abbiamo tra i due. Tuttavia il fatto che Miraz abbia
Cornelius (nella mia storia) non è da fraintendere come
principale
motivo del Principe di voler spodestare lo zio. E'
una motivazione
“in più” tra le tante già
presenti che spinge Caspian a prendere in mano la situazione.
*Si
inginocchia con
faccia a terra*
Mi
dispiace
ç____ç Non volevo far passare così
tanto tempo dall'ultimo aggiornamento, ma ho avuto altre cose che mi
hanno tenuta lontana da questa fic e, inoltre, alcune parti del
capitolo non volevano venire fuori come dicevo io. Spero che l'attesa
sia valsa la pena, e che il capitolo sia stato di vostro grandimento.
Ho
lanciato due nuove
esche qui, ma per il momento le cose sono
destinate ad appianarsi per qualche capitolo.
La
donna che impersona
la
grande magia per il momento
non ha nome, poichè ho pensato che la Grande Magia non
può essere catalogata (credo anche che la grande magia abbia
più "volti" con cui palesarsi e non solo uno), quindi
vedrò se dargliene
uno più avanti o continuare così, anche se la
cosa non mi attira molto.
Ringrazio coloro che leggono in silenzio, le persone che preferiscono,
ricordano e seguono.
Inoltre un sentito ringraziamento per coloro che hanno commentato i
capitoli precedenti. Grazie di cuore <3
Spero
di
tornare abbastanza presto con qualsiasi cosa
>.<
D***
|
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Capitolo 7 *** Anime in subbuglio. ***
Narnia's
Spirits
Anime
in subbuglio.
Posò
una
mano sulla corteccia di un albero, apparentemente senza motivo,
arrestando il passo già di per se lento, senza alcuna fretta
di raggiungere il gruppo che aveva perso di vista.
Questi in risposta
rimase immobile, non dando segno di vita, come i suoi fratelli che
tappezzavano la foresta Narniana e che erano inglobati in un lungo
sonno ormai perenne, quasi peggio di quello durante il regno della
Strega Bianca. Jadis aveva congelato tutto non risparmiando nessuno, ma
il cuore di Narnia, tutto ciò che la formava, sotto lo
strato di ghiaccio formato anch'esso dalla Magia batteva ancora,
aspettando i Re annunciati dalla leggenda e il ritorno di Aslan.
Alla
situazione attuale, invece…
Gli alberi, quelli che
più visibilmente testimoniavano il cambiamento di Narnia, si
erano tutti inglobati in loro stessi, schivi e orripilati da tutto
ciò che avevano visto e sentito, da ciò che le
chiome narravano e le radici avevano assorbito come spugne.
Sangue.
Le foglie si
scuotevano a tempo di vento, facendo vibrare sotto quell'apparente
gesto naturale le grida dei compagni caduti in battaglia e che ancora
riecheggiavano tra le foreste.
Avevano perso la speranza,
facendo scorrere via da loro la magia che pulsava insieme alla linfa.
Era scivolata via lenta ed inesorabile, invisibile agli occhi di coloro
che ne erano la causa, come l'acqua su una superficie liscia,
rifugiandosi nel centro di Narnia, un luogo chiuso a tutti e ormai
dimenticato, in cui quasi nessuno credeva più.
Sospirò
Dhem, un sospiro affranto e sconsolato, un velo di
malinconia che oscurava i suoi espressivi occhi blu, posando
lo sguardo
sulle foglie verde brillante cresciute in primavera e cercando d'ignorare
le voci dei Telmarini che lavoravano al fiume portatele
dall'aria.
Il suo mondo.
Il suo mondo… era in bilico fra la
vita e la morte.
-Tu, sei debole-.
Non poteva continuare a mentire a se
stessa, nonostante avesse sempre cercato di rimanere sbarazzina come
l'acqua che zampilla tra le rocce; Sua Madre aveva ragione.
Era stanca.
Stanca come vita stessa di Narnia, che percepiva
sempre più debole. Stava affrontando l'ultima battaglia,
quella definitiva e che ne avrebbe deciso definitamente la sorte.
Vita o morte.
Il suo mondo, lo spirito che costituiva ogni cosa in quella
terra, era prossimo a spegnersi definitivamente, se avesse perso
l'ultima battaglia.
E Lei con lui.
***
Le foglie e
le
sterpaglie che tappezzavano il sentiero scricchiolavano sotto i passi
ogni volta che venivano calpestate, producendo un dolce rumore
conosciuto in sottofondo al brusio dei discorsi che animavano il gruppo
dei Narniani in marcia verso la casa di Aslan. Il tepore del sole si
era fatto più forte ed intenso quando il tempo e le ore
passate a camminare avevano iniziato ad annunciare che era arrivato
giorno inoltrato, momento del ciclo giornaliero in cui la sfera di
fuoco picchiava più forte.
Il gruppo si accingeva ad
arrivare al luogo in cui erano radunate il resto delle creature di
Narnia che si erano unite nella lotta contro Miraz, dopo aver marciato
per tutta la mattina senza sosta, sotto la guida del Principe e del Re,
che avevano discusso per tutto il viaggio sul modo migliore in cui
formare l'esercito per la battaglia che ci sarebbe sicuramente stata.
Durante il viaggio Caspian aveva anche spiegato con maggiori dettagli
il motivo per cui si trovavano li e la situazione di Narnia, rendendo
chiari dei punti oscuri che erano sorti nel discorso di Trumpkin, che
non era a conoscenza di tutti i fatti completi.
Parlò loro
di suo zio Miraz, che gli era sempre stato vicino dopo la morte del
padre solo perchè voleva il suo trono, allora governato da
suo fratello. Parlò loro di Cornelius, di come il Precettore
lo aveva sempre cresciuto come un figlio, raccontandogli le leggende di
Narnia nonostante Miraz avesse vietato di toccare quel discorso. Di
quanta fiducia l'uomo riponeva in lui e nei Sovrani, tanto da spingerlo
a sacrificarsi qualche notte prima.
Quando i Pevensie si erano
allontanati dal discorso spinoso sul Padre defunto e ciò che
ne era conseguito alla sua morte per sapere qualcosa di più
sul Principe, Caspian si era soffermato spesso ad osservare Susan di
sottecchi, lanciandole degli sguardi per cercare d'imprimersi dentro la
mente ogni particolare di quel volto che aveva suscitato il suo
interesse.
Questo con grande irritazione di Peter e per il suo lato
protettivo che ruggiva nel petto non appena il Principe si rivolgeva
sua sorella. Per tenerli lontani si metteva continuamente in mezzo ai
discorsi dei due con qualche frecciatina, o insinuandosi tra il ragazzo
e sua sorella dirottando il discorso sulla situazione in cui erano
coinvolti.
Susan alla fine aveva lasciato il posto affianco al castano
a Peter quando il fratello maggiore l'aveva eclissata implicitamente
con un "Susan, vai insieme ad Edmund a fargli compagnia, visto che sta
camminando da solo", dopo avergli
lanciato un'occhiataccia intimandogli di farsi i fatti propri ed essere
cordiale.
Dietro di loro c'era il centauro Glenstorm, che procedeva con
il passo cadenzato e leggermente dondolante tipico delle creature
Narniane della sua razza. I Pevensie si erano ritrovati a studiare lui
ed i suoi compagni, constatando che senza le armature complete con
incisi gli stemmi di Narnia, i centauri apparivano più
selvatici e schivi, meno propensi alla lealtà e
fedeltà che erano solite caratterizzarli.
Ma, per inciso,
apparivano soltanto, poiché dentro conservavano sempre un
animo nobile e coraggioso, tipico dei loro predecessori.
Il gruppo di
Trumpkin era subito dietro, ed i suoi due compagni di vita non facevano
altro che domandar lui notizie suoi Re. Il più emozionato
era Trufflehunter, che ricambiava raccontandogli a sua volta del
Principe, di come aveva promesso di aiutarli, mentre invece Nicabrik
continuava a mantenere la sua aria sospettosa ed ironica, scoccando di
tanto in tanto delle occhiate lampanti in direzioni di Caspian e
studiando i Sovrani.
I suoi pensieri erano molto simili a quelli
iniziali di Trumpkin – che grazie alla presenza di Lucy e del
tempo trascorso con i Pevensie si erano fatti meno tetri –
con una nota di negatività maggiore e speranza ormai
sbriciolata da tempo.
Non si fidava del tutto sulle capacità
dei cinque nuovi arrivati poco più che adolescenti, contando
anche che i due maggiori che avrebbero dovuto guidarli non andavano
d'amore e d'accordo, ed Aslan ormai non c'era più. Li aveva
traditi.
Non rimaneva più nulla da fare se non continuare a
nascondersi nella foresta; andare contro i Telmarini sarebbe stato un
suicidio, una totale carneficina. Il popolo venuto dal mare era troppo
numeroso per loro, una manciata di mosche sopravvissute per grazia.
Cosa potevano fare cinque ragazzi che si divertivano a fare i Re che
loro non avevano fatto in milletrecento anni?
-Allora, come sono?-
La voce curiosa ed emozionata di Trufflehunter che
si rivolgeva per l'ennesima volta a Trumpkin lo fece voltare,
rendendolo partecipe del discorso che i due avevano intrapreso e
facendogli dimenticare i pensieri lugubri di pochi istanti prima.
Se
quei cinque erano li per un motivo preciso, tanto valeva provarci a
combattere, no? Al
massimo rimaneva
sempre Lei, che poteva aiutarli.
Il diretto interessato sembrò pensarci un
attimo prima di rispondere.
-Soddisfatti, lamentosi, testardi come muli
la mattina.- affermò sicuro e con un sorrisino, tra
l'ironico
e il finto scocciato. Aveva descritto quelle che non si sarebbero
definite migliori qualità, però per lui erano
già dei complimenti.
-Ah. Ti sono simpatici.- s'intromise
Nicabrik, guardando il CPA con il solito ghigno, il tono che la sapeva
lunga su ciò che celavano quegli apparenti difetti appena
proferiti con sarcasmo. Questi gli rivolse un'occhiata molto
significativa che esprimeva i suoi pensieri, sapendo che il nano
conosceva lui ed i suoi modi di fare troppo bene per nascondergli
qualcosa di così ovvio.
-Abbastanza.- concesse, dando adito
ai pensieri di entrambi e facendo sorridere Lucy, dietro di loro, per
la notizia appresa. Sapeva che quella del CPA era tutta apparenza, e
che anche se voleva mostrarsi duro e distante fuori, dentro aveva un
cuore d'oro e un animo gentile che poteva ancora dare molto agli altri.
Lo aveva capito fin da subito, ma sentirlo con le proprie orecchie era
una stata una soddisfazione enorme, che l'aveva fatta sorridere di
vittoria.
E poi c'erano loro.
Due anime che si erano appena trovate, ma
che sarebbero destinate a stare insieme per molto tempo, come deciso
dal destino e dalla Grande Magia fin da prima della loro nascita.
Camminavano fianco a fianco, ognuna persa
nei propri pensieri, cercando di evitare le sterpaglie e di stare al
passo.
Non si guardavano, non parlavano, non comunicavano a gesti:
semplicemente entrambe si accontentavano di una presenza vicina mentre
guardavano altrove. Una su cui sapevano che avrebbero potuto contare
sempre, da quel momento, una di quelle che quando vedi non ci pensi due
volte ad avvicinarla, perchè nell'inconscio sai che
è quella giusta.
Lia poi sapeva.
Tutto.
Aveva già
capito: le era bastato uno sguardo, anche la semplice vicinanza, per
poter capire, sentire, percepire. I ricordi, le emozioni, i
pensieri. La paura, quell'insana ansia di dover nuovamente
dire addio a quel mondo, e che la faceva chiudere a guscio da un anno,
rendendola schiva e diffidente.
Un briciolo di speranza che brillava
ancora in fondo agli occhi, dovuto alla voglia di combattere per la sua
terra, una scia di sicurezza che non poteva fare a meno di scorrerle
nelle vene insieme al sangue e alla magia.
E l'angoscia, per quel
segreto che stava diventando opprimente.
-Siamo arrivati.-
annunciò Caspian, indicando il rifugio che si trovava alla
fine della radura che avevano davanti, la cui entrata era gremita di
puntini distinguibili come Narniani e richiamando l'attenzione
generale.
Lucy trattenne il respiro per lo stupore e la leggerezza che le fece
sfarfallare il cuore, mentre si
avvicinava a Peter per vedere meglio, superando il gruppo di Trumpkin.
Davanti all’entrata della montagna, nel frattempo, si stavano
disponendo due file di centauri per dare il saluto ufficiale ai
Sovrani, come succedeva a Cair Paravel, quando i precedenti Narniani
alzavano le spade nella sala dei troni al passaggio dei Re.
Quando i
suoi fratelli e il Principe si fermarono prima dell'inizio delle file
Eve tentò maggiormente di confondersi con il resto del
gruppo, avvicinandosi inconsciamente a Lia per non essere vista.
Avrebbe voluto raggiungere Edmund, percorrere insieme ai fratelli la
stretta via, ma c'era qualcosa che la bloccava, che non le permetteva
di mostrarsi come Regina davanti a così tanti Narniani.
Paura.
Aveva paura, un terrore cieco fatto di pensieri e dubbi, una
sensazione d'angoscia riguardante il motivo che se si fosse nuovamente
mostrata come Sovrana e legittimo abitante di quel mondo questi le
sarebbe stato strappato via nuovamente, come un anno prima.
E senso di
colpa.
L'aveva ammesso non senza difficoltà, si sentiva
altamente in colpa verso se stessa e verso Narnia. Aveva i tormenti da
quando erano tornati ed avevano scoperto tutto ciò che quel
mondo aveva subito senza di loro, come era cambiato.
Si sentiva in colpa,
ed inoltre aveva un vago senso di vergogna per sé,
per aver lasciato quel ruolo che invece amava con tutta se stessa.
Temeva la reazione che avrebbero avuto gli altri Narniani alla loro
vista, non aveva il coraggio di farsi vedere.
Codarda.
Edmund si
girò verso di lei dopo averla cercata con lo sguardo per
constatare che non fosse già da parte a qualcun altro, e le
fece cenno di raggiungerli, sorridendole rassicurante come se sapesse i
suoi pensieri e ciò che stava provando.
Evelyn
boccheggiò a vuoto, negando velocemente con la testa e
abbassando poi lo sguardo verso il terreno, una morsa ferrea allo
stomaco e gli occhi che imploravano di voler scappare lontano da li. In
qualunque altro posto di Narnia, ma lontano da tutta quell'attenzione a
cui, inconsciamente, non era nemmeno più abituata.
Così non
faceva altro che peggiorare le cose.
Una scintilla
di consapevolezza si accese negli occhi azzurri dopo che la sua mente
ebbe lavorato per trovare un modo per uscire da quella situazione senza
dare nell'occhio.
Stava peggiorando la situazione.
Se anche gli altri
non l'avrebbero vista al fianco di qualcuno si sarebbero voltati verso
di lei, tartassandola di domande sul motivo per cui era ancora li, se
stava bene e cosa aspettava a raggiungerli. L'attenzione si sarebbe
focalizzata solo ed esclusivamente su di lei, magari additata anche
come una bambina capricciosa, ed era ciò che stava cercando
d'evitare il più possibile.
Evelyn scoccò uno
sguardo a Lia, facendo dardeggiare lo sguardo dagli occhi impassibili
della lupa alla schiena di Edmund, per poi passare in rassegna quelle
degli altri.
Sospirò pesantemente, infondendosi
calma, e raggiunse gli altri, titubante, i passi malfermi come se le
gambe non riuscissero a reggerla e il fastidioso battere incessante del
suo cuore ancora agitato che rimbombava dentro la testa.
Quando
arrivò al fianco di Edmund questi le rivolse un sorriso
sghembo, studiando le emozioni che scorgeva negli occhi della sorella e
bloccando la voglia di abbracciarla che l'aveva assalito. Si
limitò a guardarla comprensivo, per infonderle la sua
presenza attraverso il suo sguardo; uno di quelli che per Eve aveva il
potere
di farla sentire più sicura, cullata e protetta come tra le
braccia di madre.
Represse la voglia di morsicarsi un labbro per il
nervosismo e impedì alla malinconia di assalire ancora i
suoi occhi, focalizzando l'attenzione davanti a lei e lasciando la
mente libera di svagarsi.
Vedere quella montagna fatta da pezzi di
roccia messi insieme, circondata dalla radura di erba fresca, con lo
sfondo dell'azzurro del cielo e degli alberi verdeggianti le
donò un repentino cambio di umore, infondendole calma e
serenità. Era come se vedesse la natura stessa
danzare un ballo ammaliante, che le fece scordare tutto, liberando il
peso allo stomaco e sciogliendo la mente da tutti i pensieri di pochi
attimi prima.
Portò il suo cuore indietro nei ricordi, che
giacevano protetti in un angolo di mente e anima, nella parte
più nascosta di sé.
Si ridestò quando
Peter si mosse per primo, iniziando ad avanzare e mostrandosi ai
Narniani in tutta la sua regalità, formando una corrente
d'aria e portandosi dietro i fratelli, lei compresa.
Una moltitudine di
sensazioni stava avvolgendo ognuno di loro nel camminare nuovamente
come regnanti dopo tanto tempo sul suolo del mondo a cui appartenevano;
nel luogo in cui avevano imparato a crescere e maturare. E amare.
Si
ritrovavano tra la loro gente, il loro popolo, anche se con
milletrecento anni di differenza.
Caspian rimase indietro, lasciando ai
re tutta l'attenzione che meritavano. Abbassò lo sguardo, in
soggezione, per poi alzarlo e studiare le figure dei cinque ragazzi che
procedevano sotto le spade, guardandosi intorno.
Loro erano i Re e
Regine di Narnia, quelli annunciati dalla profezia, quelli delle
leggende che Cornelius gli raccontava di nascosto, quelli che avevano
portato Narnia al massimo splendore.
Tentennò.
Sarebbe stato
in grado di essere al loro livello?
Ciò
che i
Pevensie percepirono subito sulla pelle non appena varcarono la soglia
d'entrata fu il cambio di temperatura, una vampata di calore
proveniente dalle torce accese che gli bloccò per un attimo
il respiro.
Peter e Edmund si guardarono intorno, osservando i Narniani
lavorare le armi e scambiare i turni di vedetta, mentre le sorelle
esploravano quella che era diventata la loro dimora temporanea.
Era
scavato nella montagna e dentro si diramava in più
direzioni, arrivando a formare delle rientranze che erano state adibite
a stanze, camere in cui portare i feriti o radunare le armi forgiate. I
fuochi accesi e il parlottare degli abitanti di Narnia lo rendevano
vagamente accogliente e c'era una buona temperatura interna, forse un
po' troppo calda per via dell'aria statica a causa della mancanza
d'aria corrente.
-Non sarà quello a cui siete abituati...-
iniziò Caspian, attirando l'attenzione dei due ragazzi dopo
aver osservato i Narniani, sottintendendo la mancanza dei privilegi a
cui loro come nobili potevano accedere a Cair Paravel o Telmar.
-...ma
è difendibile- finì, lanciando un'occhiata alla
struttura sfruttata al meglio.
-Peter, meglio se vieni a vedere.-
s'intromise Susan, dopo essere tornata da una via particolarmente buia
e vuota, nello sguardo una mal celata ansia e il tono di voce che
nascondeva una nota dubbiosa sotto l'ordine appena dato.
Quando furono
nel luogo in cui erano riunite le ragazze, i due Pevensie studiarono
l'ambiente, mentre Caspian li guardava di sott'occhio cercando di
capire i loro loro possibili pensieri.
-Siamo noi...- proferì
Susan in un sussurro, non capendo a cosa serviva quel luogo, osservando
i graffiti sui muri che li rappresentavano nei momenti più
importanti vissuti li a Narnia, come l'incoronazione o l'incontro con
Tumnus. Si scambiò uno sguardo con i fratelli, meravigliati
e confusi quanto lei.
-Cos’è questo posto?-
domandò Lucy, dando voce ai pensieri suoi e degli altri
spezzando la barriera di silenzio imbarazzante che si era creata ed
osservando il Principe per cercare di capire qualcosa.
-Non lo sapete?-
Caspian li guardò, stupito per quella rivelazione e con un
tono di voce lievemente incredulo. Non si aspettava che proprio loro
non riconoscessero quel luogo tanto importante da sfiorare il sacro.
Lo
sguardo confuso che i cinque ragazzi che si trovava davanti fecero
dardeggiare da lui a Lia, e dal muro tra di loro, per poi posarlo
nuovamente sulla sua figura o quella della lupa gli fece capire che non
stavano scherzando.
Caspian prese una torcia per illuminare la strada
buia che si trovava dietro l'angolo dopo quei disegni sul muro, deciso
a far luce nella mente dei Pevensie, e si mise in testa al gruppo,
conducendolo per tutto il cunicolo di pietra che si schiariva nei punti
in cui procedevano con le torce, per poi tornare ad inglobarsi nel buco
nero di poco prima.
Li condusse lungo tutta la strada di pietra, fino a
raggiungere una stanza più grande, tutta buia e vuota
rispetto al resto della casa di Aslan, in continuo movimento e
sfruttata in ogni piccolo angolo. La cosa insospettì i
Pevensie, che iniziarono a guardarsi intorno strizzando gli occhi per
cercare di vedere qualcosa: se quello spiazzo non era usato,
evidentemente il motivo era perchè si trovavano in qualcosa
d'importante.
Man mano che il fuoco che aveva acceso Caspian
grazie alla torcia pochi istanti prima circondava il perimetro della
stanza illuminando i muri, i ragazzi iniziarono a distinguere qualcosa
dell'ambiente in cui si trovavano: sulle pareti c’erano varie
figure scolpite nella pietra che rappresentavano gli abitanti di
Narnia, uno per specie come per racchiuderci dentro l'essenza di tutta
la razza che rappresentavano.
Ma la loro attenzione venne catturata in
assoluto da un leone, che gli fece togliere lo sguardo dalle altre
creature per concentrarlo li.
L’immagine che raffigurava
Aslan svettava nel centro della sala, ed ebbero tutti l'impressione che
fosse più grande delle altre figure che circondavano quella
del leone, come un omaggio al Sovrano indiscusso delle terre
Narniane.
Eve poté scorgere chiaramente che in un angolo
poco più in basso dello stesso riquadro era scolpito anche
Cair Paravel, con un accenno di spiaggia e dell'oceano orientale
spumeggiante.
E poi, il loro sguardo si sgranò di stupore,
quando si trovarono davanti la Tavola di Pietra. Edmund e Susan si
scambiarono uno sguardo tra lo stupito e il preoccupato, mentre Lucy si
avvicinò al masso spezzato, le immagini del sacrificio di
Aslan che le scorrevano davanti agli occhi.
Anche gli altri mossero
qualche passo verso la tavola, ma restarono più indietro,
titubanti, certi di sapere che la sorelle minore avrebbe ancora
ribadito la sua fiducia nel leone.
-Un piano di sicuro c'è
l’ha.- espose infatti, dopo aver posato la mano sopra la
pietra, una scintilla di fiducia negli occhi e la voce sicura. Si
voltò per guardare i fratelli in volto, facendo valere
ancora le sue teorie come gli altri si aspettavano.
Quello nel bosco
era Aslan, non poteva sbagliarsi.
Evelyn le sorrise di un misto tra il
triste e il rassicurante, ma il volto degli altri tre era
più serio, molto più concentrato sulle cose
concrete.
Peter prese in mano la situazione, occhieggiando l'immagine
di Aslan che torreggiava su di loro e che gli ricordava costantemente
che fin dall'inizio di quella battaglia il leone non c'era stato, se
non per l'apparizione alle due sorelle pochi giorni prima.
Bisognava
agire. Da soli.
-Ora tocca a noi.-
***
Peter
e
Caspian durante le ore successive erano stranamente riusciti ad
arrivare all'accordo che entro pochi giorni si sarebbero mossi, e che
l'esercito doveva quindi essere pronto ed armato per ogni evenienza.
I
Narniani, già intenti a produrre fin da prima dell'arrivo
dei vecchi sovrani si era messi a lavorare più intensamente,
animati da una nuova speranza che la presenza degli antichi Re
infondeva e dai pensieri positivi che, ora che si stavano
riorganizzando, magari non erano così
tanto spacciati come all'apparenza.
Il Principe e Peter si allenarono
per varie ore nella radura davanti al rifugio, senza esclusione di
colpi, a poca distanza da Edmund ed Evelyn. La scintilla di orgoglio e
voglia di vincere che animava gli sguardi dei due maggiori,
le mosse precise, per nulla amichevoli o leggere, però,
avevano costretto Susan a tenerli sotto controllo mentre a qualche
metro di distanza dai due si allenava con il tiro con l'arco.
Su di lei
quello che era diventato la sua arte aveva un effetto rilassante;
tendere la corda, sentire le piume sfiorarle la guancia ed i sibili
delle frecce che tagliavano l'aria era qualcosa di estremamente
famigliare, che faceva parte di lei.
E che le era mancato.
Per quanto
cercasse di non farlo notare sia a Londra che li, mostrandosi
impassibile e concreta, aveva sentito il vuoto provocato dalla mancanza
di ogni più piccola particella di quel mondo, perfino gli
odiosi vestiti in cui all'inizio inciampava sempre.
Tutto, le era
mancato.
Narnia, le era mancata.
Il clangore delle spade le
arrivò leggermente ovattato, persa com'era nei propri
pensieri, e non si rese conto che anche Edmund ed Evelyn avevano
iniziato a incrociare le lame in modo più serio,
spinti dall'ebbrezza del combattimento, come già gli altri
due stavano facendo da parecchi minuti.
Era adrenalina pura quella che
scorreva nelle vene, insieme al sangue fremente che ribolliva sotto la
pelle, quando quei ragazzi adolescenti si trasformavano in guerrieri,
impugnando le proprie armi e pronti a dar battaglia a chiunque avessero
incrociato sulla loro strada.
Era un cambiamento visibile quello che
affrontavano, svuotando la mente di ogni pensiero superfluo, cercando
di mantenere un respiro regolare ed i sensi all'erta, e concentrando
l'attenzione sull'avversario, studiandolo come si fa con una preda, con
l'unico scopo di batterlo e vincere. E per i Pevensie, nonostante fosse
un anno in cui non maneggiavano le armi seriamente, era come se nulla
fosse cambiato.
Tutto così infinitamente familiare. Tutto
così pericolosamente bello. Tutto come ai fintamente vecchi
tempi.
Quando avevano provato a scambiarsi gli abbinamenti Eve si era
irritata quasi subito, capendo che con lei Caspian e Peter non stavano
facendo sul serio. Lo vedeva dal loro sguardo fintamente serio, le loro
mosse prevedibili, il loro fermarsi ed indietreggiare quando la punta
delle loro spade era troppo vicina al suo corpo.
Evelyn non sapeva
esattamente perché facessero così, con lei,
però la sua mente aveva lavorato per cercare delle risposte
abbastanza esaudenti: il primo forse per soggezione, poiché
non la conosceva, non sapeva come comportarsi e approcciarsi nei suoi
riguardi; e il secondo per le sue maniere estremamente protettive, ma
che a lei la facevano sentire solo un peso, una
responsabilità che il fratello si prendeva senza che lei lo
chiedesse.
Inoltre forse la sottovalutavano, e si rivelavano distratti
mentre concentravano l'attenzione su altro.
Come una certa Susan la
Dolce, o la rivalità con un Principino.
La fine della
giornata, passata tra scontri e conoscenze, frecciatine e risate, era
arrivata senza che la chiedessero, con un regalo di cattivo gusto. Un
raggio di sole era spiccato più degli altri, finendo dritto
negli occhi di Eve, che si era ritrovata la luce della sfera di fuoco
contro.
L'aveva fatta indietreggiare di qualche passo per la luce
improvvisa, mentre si portava le mani agli occhi per coprirli, un
mugolio di protesta che le sfuggiva dalle labbra e la spada che cadeva
tra l'erba senza un suono, rendendola indifesa di fronte alla lama che
stava affrontando.
Se Caspian non avesse avuto i riflessi pronti che
l'avevano fatto fermare prima che fosse troppo tardi l'avrebbe colpita
al fianco.
Quando si era ritrovata gli occhi di tutti addosso aveva
liquidato la questione, rinfoderando con mano tremante Asterius a causa
dell'agitazione che l'aveva presa per la figura fatta, ed
incamminandosi per prima verso l'interno della casa di Aslan.
-Com'è andata?- la voce curiosa di Lucy raggiunse Eve non
appena mise piede nella stanza della tavola di pietra.
-Bene.- si
limitò a rispondere, prendendo posto in un angolo della sala
mentre entravano anche gli altri. La Pevensie non fu soddisfatta di
quella semplice risposta, ma dal tono quasi offeso che aveva usato la
sorella e l'indignazione che velava i suoi occhi convenne che era
meglio non fare domande, lasciandola sola con i suoi pensieri.
Aveva
imparato a conoscere e rispettare i silenzi in cui la sorella si
chiudeva, tenendo a freno l'entusiasmo che la caratterizzava per
esporlo in un altro momento.
***
-Evelyn,
stai bene?- la voce di Caspian la
raggiunse, ed Eve la sentì particolarmente vicina.
Alzò lo sguardo da terra, spostando le mani che stavano
sfregando gli occhi per il bruciore improvviso dovuto alla luce del
sole che l'aveva presa in pieno.
Ci mise qualche secondo a far
scomparire del tutto le ombre nere che vedeva scorrere nella propria
visuale, sbattendo più volte le palpebre. Quando fu pronta
vide Caspian che le tendeva la sua spada, caduta pochi istanti prima, e
gli occhi vigili dei fratelli che li guardavano da lontano. Riprese
Asterius, un gesto veloce e quasi seccato che non passò
inosservato al Principe, il quale alzò un sopracciglio in
una muta domanda.
-Non avresti dovuto fermarti.- bofonchiò,
tornando a guardare in basso, le guance rosse per la vergogna dovuta
alla figura appena fatta.
Stupido raggio di sole.
-Avrei dovuto
colpirti?- la domanda diretta del ragazzo davanti a lei la fece
trasalire, mentre oltre alla vergogna arrivavano anche i sensi di
colpa. Caspian si era fermato per non farle male, e lei in risposta lo
trattava gelidamente e faceva l'offesa per un favore che le aveva
fatto.
-N-no.- balbettò, senza
convinzione, posando lo sguardo sulla casacca del Principe.
-Scusami.-
ammise, guardandolo finalmente negli occhi.
-Colpa dell'orgoglio?-
smorzò la tensione lui, sorridendole e capendo che sotto
quel lato somigliava terribilmente a Peter.
-Colpa dell'orgoglio.-
***
-Caspian...- attirò l'attenzione Susan, dubbiosa, strappando
Eve dai suoi pensieri. Il Principe posò lo sguardo sulla
ragazza, invitandola ad andare avanti.
-Dove dormiremo?- chiese,
indicando lei ed i fratelli. Nella sala ci fu un silenzio a
metà tra l'imbarazzante ed il pesante, mentre i presenti si
scrutarono in faccia, increduli, e prendendo coscienza della
realtà.
Erano stati talmente impegnati sul fronte della
guerra e del combattimento, dell'organizzazione del lavoro e la
disposizione delle truppe, che non avevano pensato a dove avrebbero
passato le notti i nuovi ospiti.
Caspian si grattò la nuca,
mentre la sua mente lavorava per elaborare una soluzione concreta;
davanti agli occhi gli scorrevano le immagini delle varie stanze che
c'erano sotto la montagna e scavate nella pietra, cercando
d'individuarne una abbastanza intima adatta ai Pevensie.
-Abbiamo adibito due stanze, molto simili a questa, al
luogo in cui
raccogliere i possibili feriti. Per il momento fortunatamente non ce ne
sono, quindi potete dormire li.- spiegò, guardandoli negli
occhi e posando in ultimo lo sguardo su Susan, sicuro. La ragazza
sorrise leggermente, sviando poi l'attenzione su Peter, che aveva
ascoltato il discorso in silenzio, attento.
-E dove sono?-
domandò, per cercare anche d'imparare al meglio la piantina
di quei sotterranei.
-Dopo l'entrata principale, a sinistra.
C'è un cunicolo che è un vicolo cieco.-
spiegò, cercando di essere il più chiaro
possibile. Ottenne dai Pevensie qualche cenno e dei ringraziamenti.
-Dopo vi accompagno personalmente.- si offrì,
comunicando a Glenstorm di far preparare delle coperte nelle stanze
scelte per i Re. Questi s'inchinò, uscendo, ed il discorso
del gruppo si spostò su altri punti, come commentare le
gesta che raccontava di aver fatto Ripicì, che
smorzò un po' la tensione della guerra.
***
La luce delle torce illuminava
quel cunicolo che stavano percorrendo, in cui i passi, seppur leggeri,
rimbombavano per qualche secondo in quel corridoio scuro e chiuso.
-La
più piccola è diventata la mia.-
spiegò
Caspian, dopo essersi fermato davanti ad una stanza ed indicando
l'entrata, chiusa da una porta di legno in cui però
passavano lo stesso degli spifferi d'aria, a causa di alcuni buchi e
delle assi un po' marce.
-Quella è diventata un deposito d'armi.-
continuò, indicando
quella sul lato opposto, sprovvista di porta e da cui s'intravedeva lo
scintillio delle lame.
-La più grande delle due è
questa.- spiegò, deciso, come se fosse davanti ad un
consiglio e stesse facendo un discorso importante.
-Potrebbe diventare
quella delle ragazze, visto che sono in tre.- ipotizzò
Edmund, osservando dall'uscio, ottenendo
l'assenso di Peter ed un sorriso cordiale da Lucy.
-La vostra sarebbe
quella la.- terminò, indicando ai ragazzi l'ultima stanza
che
si trovava alla fine del cunicolo, più isolata rispetto alle
altre.
-Ti ringraziamo della gentilezza.- si fece avanti Susan,
sorridendo cordiale. Quando fu ricambiata dal Principe sentì
uno strano calore alla guance, che le fece abbassare il capo verso
terra, imbarazzata.
Che diavolo le stava succedendo?
Lucy sorrise
contenta, dando delle leggere gomitate ad Eve, che in risposta
ghignò, osservando la situazione statica in cui si erano
cacciati quei due.
-Grazie, Caspian.- intervenne Peter, attirando
l'attenzione del Principe e togliendo lo sguardo del castano da Susan.
La sorella lo fulminò per il tono lievemente sgarbato e di
sufficienza che aveva usato, uno sguardo a cui il Pevensie non fece
caso, troppo preso a voler tenere il Telmarino al proprio posto.
-Ti
ringrazio, Caspian.-
fece Eve, calcando particolarmente sul nome e
parlando lentamente. Edmund la fissò, scorgendo uno strano
luccichio negli occhi della sorella che il Principe non colse del
tutto. Presagiva guai. Eve difatti non aspettava altro che mettere in
situazioni discutibili Caspian e Susan, con l'aiuto di Lucy.
Eppure
Edmund scambiò quel brillio pericoloso e sadico,
percependolo come ammirazione, o qualcosa di più, verso il
nuovo arrivato. Una gelosia interna lo prese e sentì le mani
fremere, mentre cercava d'imporsi la calma, pensando che,
semplicemente, non
poteva essere. Inoltre Caspian era interessato
palesemente a Susan, ricambiato, tra le altre cose, quindi non aveva
motivo di...
Scosse la testa, fermando quei pensieri. Eve, se voleva,
era libera di amare chiunque volesse, non avrebbe potuto trattenerla
vicino a sé per sempre.
Nessuno si
accorse del repentino cambio di umore che aveva preso il moro. Nessuno
vide il velo di malinconia che oscurò per un istante i suoi
occhi castani. Nessuno, perchè tutti concentrati a parlare
d'altro, come augurarsi un buon sonno.
Nessuno. Tranne una lupa dagli
occhi di ghiaccio.
***
Il
fruscio insistente
delle coperte che rompe il silenzio statico che si è creato
nella stanza.
Una, due, tre, dieci
volte.
Evelyn sbuffò
sommessamente, aprendo gli occhi e mettendosi a pancia in su, lasciando
cadere a peso morto le braccia lungo il corpo, producendo un suono
ovattato attutito dalle coperte.
Non riusciva a prendere sonno.
Non si
sforzò nemmeno di cercare di distinguere qualche sagoma nel
buio della stanza; c'era una piccola torcia che avevano lasciato accesa
qualche ora prima che lavorava per lei, mostrandole i volti rilassati
delle sorelle.
Loro erano riuscite ad addormentarsi. Per lei, invece,
sembrava una cosa impossibile da fare quella notte.
Si
sollevò sui gomiti, riuscendo poi a prendere una posizione
seduta provando un moto d'invidia nel sentire il respiro rilassato
delle sorelle. Si stropicciò gli occhi per togliergli via un
po' di stanchezza che nonostante tutto aveva, e cacciando la treccia in
cui aveva raccolto i capelli dietro la schiena.
Il suo sguardo
diventò vacuo e lontano, mentre ripensava a qualche ora
prima; intuiva il motivo per cui non riusciva a dormire.
Edmund.
Le sembrò quasi di vedere davanti agli
occhi le lettere del suo nome comparire su uno sfondo nero, con un
lieve alone intorno.
Scosse la testa, sconsolata, e sospirò:
in un modo o nell'altro, lui centrava sempre. Il dubbio che l'assillava
era quando lo aveva visto con la coda dell'occhio indurire lo sguardo e
chiudere a pugno una mano, dopo che lei ebbe rivolto quello
ringraziamento velato di una maliziosa minaccia a Caspian, e nel suo
rapporto con Susan.
Gelosia?
Non poté
fare a meno che pensare, sapendo già la risposta. Scosse la
testa, cercando di convincere del contrario anche quella
vocina che insistentemente aveva preso a gridare che era qualcosa di
più che gelosia tra fratelli.
Protezione.
Solo e semplice protezione.
Era meglio che non si
illudeva, altrimenti avrebbe solo finito con il rimanere ancora
più delusa.
S'ammonì, avendo
fin troppo
chiaro il tipo di situazione che poi ne sarebbe derivato da tutto quel
blocco di dubbi e pensieri. Però l'espressione di Edmund...
Era li, fissa davanti ai suoi occhi, una visione troppo chiara per
essere cancellata o catalogata come semplice fantasia.
Cercando di non
fare rumore la Pevensie s'alzò da quello che doveva essere
il suo letto, – dato che ormai era solo un ammasso di coperte
– e si diresse verso l'uscita con passo felpato, cercando di
non inciampare e di muoversi leggera, per non svegliare le sorelle o,
quando fu fuori dalla stanza, gli altri Narniani che riposavano.
Quando uscì respirò l’aria fresca
notturna, e alle
sue orecchie arrivò il suono del vento tra le fronde degli
alberi. Mentre era presa a guardare la luna e il cielo tappezzato di
stelle non si accorse che le guardie di vedetta l'avevano vista e si
erano inchinate.
-Cosa fate qui?-
Trasalì quando la voce di
un compagno di Glenstorm le arrivò vicina – troppo
vicina – senza che si fosse accorta del rumore
di zoccoli
sulla pietra. Prese un respiro profondo, imponendosi calma e scacciando
quel senso di agitazione e colpa che la prendeva sempre quando si
ritrovava faccia faccia con una Narnia cambiata insieme ai suoi
abitanti.
Anche per colpa sua.
-Non riuscivo a dormire.-
spiegò semplicemente, facendo vagare lo sguardo sulle ombre
degli alberi alla fine della radura, troppo lontane per essere distinte
singolarmente. Il centauro fece per parlare, ma Eve lo
anticipò, intuendo ciò che le avrebbe detto.
Conosceva troppo bene ormai ciò che il ruolo di Regina
comportava.
-Non preoccuparti. Starò dietro quelle rocce.-
spiegò, calma, indicando dei massi spostati verso gli bosco
alla sua destra. Il Narniano seguì con lo ssguardo il punto
indicato dal dito.
-Quindi fate finta che non ci sia e continuate a fare
di vedetta senza pensare a me.- ordinò, leggermente
perentoria, ricordando fin troppo bene le faune che seguivano lei ed i
suoi fratelli a Cair Paravel per non fargli mancare nulla, o il corpo
di guardia del castello.
Il centauro s'inchinò, sorridendo
sincero; un sorriso che spiazzò Evelyn, facendo sciogliere
un poco il senso di colpa che sentiva in presenza di quella gente.
-Come desiderate.-
***
Eve
si sedette
sull’erba fresca, le braccia che circondavano le gambe
portate al petto e la schiena appoggiata a una delle rocce dietro di
lei. Continuava a fissare il cielo che in Inghilterra per colpa
dell’inquinamento e delle luci non era così
limpido e brillante, vivo,
come lì.
Lì, a Narnia.
Lì, a casa
sua.
Il posto in cui tornare.
Lì, al
mondo a cui sentiva di appartenere da sempre, in quel
mondo di cui non poteva più fare a meno.
Lì, in
quei luoghi che l'ammaliavano e la calmavano, che la chiamavano con una
dolce melodia, come un incantatore fa con i serpenti.
Nel luogo in cui tutto
aveva avuto inizio.
Non poté fare
a meno di pensare, riferendosi al fatto che molto tempo prima era stato
lì a Narnia il luogo in cui aveva scoperto il suo amore per
Edmund.
Amore si. Sbagliato
però.
Tagliò corto, lapidaria perfino con se stessa.
Sentì gli occhi farsi lucidi, e un nodo in fondo alla gola.
Non andò in panico, come faceva di solito per non farsi
vedere debole. Semplicemente attese.
Attese, facendo vagare lo sguardo
tra il cielo, gli alberi che la circondavano e il terreno. Attese di
sentire le solite scie di acqua salata riempire gli occhi e appannare
la vista, per poi scivolare lungo le guance, rigando il viso di
sofferenza.
Una.
Una aveva avuto il coraggio di uscire dal guscio, di rompere una
barriera invisibile, scivolare lungo il viso e perdersi nel terreno.
Due. Tre. Sei...
Le
lacrime dispettose avevano iniziato a scendere lungo le sue guance,
nonostante lei si fosse sempre imposta di non piangere e mantenere una
parvenza di controllo su se stessa e le sue emozioni.
Ma non ci
riusciva più.
Erano
gocce d'acqua salata che macchiavano il
suo abito nero e rosso, quelle sorelle del mare che racchiudeva
dentro
il suo cuore, testimoni di qualcosa di troppo grande da esporre.
Ma non
le tratteneva più.
Erano gocce salate che racchiudevano
amore e dolore, felicità e tristezza, risate e litigi. Di
parole non dette, momenti sprecati, segreti nascosti.
Ma non sopportava
più.
Erano gocce trasparenti che testimoniavano
per pochi secondi un amore impossibile da vivere, per poi perdersi dopo
essere cadute nel vuoto, quasi indifferenti perfino a ciò
che portavano via per pochi attimi, ma che poi ritornava inesorabile.
Sempre.
Non ce la faceva più.
-Piangi?-
Buondì
:)
Riesco a tornare in tempi decisamente
decenti, olè! Non so cosa dire... uhm: qui vediamo un
aspetto di Eve che nella
precedente versione non avevo trattato in modo approfondito: il senso
di colpa. Evelyn si sente in colpa per aver lasciato Narnia a se
stessa, e nonostante sappia bene che era così che doveva
andare non lo accetterà mai. Avrà sempre dentro
le domande "se ci fossi stata, sarebbe potuta andare
diversamente?" che la tormenteranno.
E anche su Dhemetrya. Dhem che è sempre stata positiva, che
ha atteso, che ha lottato, che ha sofferto si ritrova davanti
alla
realtà: se la magia che alimenta Narnia scompare del tutto
(ciò si presume possa accadere quando anche gli ultimi
Narniani perderanno le speranze e periranno per colpa di Telmar nella
battaglia finale che, chissà come andrà
*muahaa*), anche lei scomparirà, in quanto legata
profondamente con la Grande Magia e Narnia stessa (ma questo
è un legame che si capirà più avanti).
Ringrazio le persone che preferiscono, che seguono, coloro che
hanno commentato i precedenti capitoli o anche solo leggono in
silenzio. Grazie mille <3
Un grazie speciale poi va a FreddyBarnes,
alla
quale grazie alla sua segnalazione Burn
to be Return
è entrata nelle scelte del sito e del fandom. Grazie mia
Sister <3
Se a qualcuno interessa ho pubblicato una nuova raccolta,
sempre qui sulle Cronache. S'intitola Essence.
Inoltre se volete v'invito a fare un giro nella serie "Just and Sly -
Special Moments", incentrata principalmente - per il momento - su
Edmund ed Eve. L'ultima shot che ho pubblicato si chiama Water
Heart, ed introduce un personaggio che poi
avrà
a che fare con quello del flashback di Eve nel capitolo quattro.
Giuro che ho finito.
Grazie a tutti
Love,
D
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Capitolo 8 *** Principessa figlia del nulla. ***
Narnia's
Spirits
Principessa
figlia del nulla.
-Piangi?-
-Lia...-
Lia?
Il primo pensiero che le venne in mente quando Eve sussurrò
senza la minima convinzione il nome della lupa, un mormorio strozzato e
biascicato che si perse nel silenzio della notte, fu che la presenza
della Narniana la rassicurava. Si sentiva protetta, e una strana vocina
– alquanto irritante, alle volte – nella sua mente
le diceva che di lei poteva fidarsi, che non l'avrebbe mai tradita.
Era
una sensazione sottile, che le partiva per istinto ogni volta che la
vedeva e che non poteva fare a meno d'ignorare, come se si trovasse
accanto a qualcuno particolarmente vicino a lei, tanto vicino che le
sembrava che potessero leggersi le emozioni a vicenda.
-Lia.- si
ritrovò a ripetere, più convinta, distogliendo lo
sguardo dagli occhi della Narniana che la fissavano e asciugandosi
frettolosamente le scie di acqua che le lacrime si erano lasciate
dietro.
Ripeté quel gesto varie volte, sfregando in maniera
continua e quasi arrabbiata gli occhi che continuavano ad appannarsi
per via del pianto che non voleva cessare, le mani che tremavano
visibilmente e una morsa ferrea alla bocca dello stomaco che iniziava a
darle la nausea.
Aveva quasi voglia di
vomitare.
Lia.
Lia era li. Lia
la stava guardando. Lia l'aveva vista. Lia stava cercando di farle
arrivare un messaggio tramite gli occhi, lo intuiva. Forse aveva
capito?
Perché?
Perché quando voleva essere
lasciata sola arrivava sempre qualcuno ad aiutarla? Perché
non riusciva mai a cavarsela da sola?
O era Peter, o era Edmund, o era
Susan, o era lui.
E adesso, a quanto pareva, era Lia.
Perché?
Perché si ritrovava sempre in quelle
situazioni del cavolo?
Perché?
Perché?
Perché?
Tante domande confuse, pensieri, emozioni e ricordi
che si sovrapponevano nella sua testa, dandole un senso di agitazione
nel non trovare un punto fermo su cui ragionare in tutta quella matassa
di fili che si stavano cucendo tra loro, formando una grande ragnatela
che le stava soffocando cuore e ragione. E più ci pensava,
meno senso iniziavano ad avere le parole a
cui stava pensando.
-Da quanto tempo sei qui?-
Spezzò quel silenzio carico di tensione decidendo di
parlare, la voce
lievemente stizzita per essere stata interrotta nella sua agonia
silenziosa e solitaria.
Voltò il capo nervosa, posando lo
sguardo sul terreno, non avendo il coraggio di sostenere l'occhiata che
la lupa le stava rivolgendo, come per paura che potesse leggerle i
pensieri.
Mentre si torturava le mani nervosamente ed
iniziava sentire il sapore del sangue sul labbro che si stava
ripetutamente morsicando, constatò che era talmente tanto
distratta a piangere e rimuginare su se stessa che non si era accorta
che qualcuno si stesse avvicinando a lei. Aveva sentito uno spostamento
d'aria passarle tra i capelli con un fastidioso sibilo pochi istanti
prima, ma non ci aveva fatto caso, pensando che fosse stato creato da
una corrente poco più forte delle altre proveniente da est.
In questo modo non si era accorta della presenza della lupa che si era
accostata a lei poco prima che la chiamasse e che in quell'arco di
tempo non aveva finito di fissarla, come per studiarla.
Nonostante
stesse guardando l'ombra delle sue dita rischiarate dalla luna
insistentemente, Eve percepiva su di sé gli occhi
imperscrutabili di Lia che ancora non la mollavano.
-Abbastanza per capire.-
Quelle semplici parole
dette senza il minimo dubbio destarono Evelyn, convinta che ormai la
Narniana avrebbe continuato a guardarla senza rispondere al suo
quesito. La colpirono con la forza di una pugnalata ed una carezza
insieme, a causa del tono all'apparenza freddo e distaccato ma che
conteneva una variazione cullatrice e comprensiva, oltre che saputa,
che aveva usato la lupa nell'esprimere quel mormorio.
Ed intanto i suoi
occhi continuavano a fissarla.
Eve ebbe una scossa d'irritazione che si
fece prepotentemente sentire mandandole in panne la testa per qualche
secondo, quando si accorse con una fugace occhiata che Lia continuava a
guardarla impudentemente e rendendosi conto di ciò che le
aveva risposto.
Sbiancò di colpo e un formicolio le immobilizzò
le gambe, il cuore che iniziava a battere furiosamente dopo essere
stato come risucchiato da una morsa ghiacciata,
e il panico s'imposseò della sua mente quando
assimilò
il senso e la piega che stava prendendo il discorso.
-Come?- fece finta
di niente, come se non avesse inteso le parole della lupa, deglutendo
il nulla per via della gola secca e che biascicava parole strozzate,
che s'incastravano come schegge appuntite tra le corde vocali fino a
corroderle. Un sorriso forzato per dare enfasi alla sua discolpa, e la
voce che era uscita tremula ed incrinata, fin troppo acuta per una che
all'apparenza dovrebbe essere calma e pulita.
Cosa che lei non era.
-T-tu...- si bloccò, incerta, evitando di guardare la
Narniana
negli occhi e posando la sua attenzione sul pelo.
-Tu sai…- prese a morsicarsi nuovamente il labbro fino a
farsi male, non
spostando lo sguardo, l'indecisione che brillava chiaramente in fondo
agli occhi. Cosa poteva dirle? Se lo sapeva che era innamorata di
Edmund? E se la lupa avesse frainteso e non intendeva quello? Si
sarebbe legata le mani da sola, esponendosi per un disguido.
-Del tuo
amore per tuo fratello Edmund?-
Quasi sospirò Evelyn nel constatare che era ciò a
cui stava pensando che si riferiva Lia, come se si fosse tolta un
peso, sgranando poi gli occhi e guardando più volte la lupa
negli occhi, lanciandole delle occhiate stralunate senza sapere cosa
dire. Per l'ennesima volta nel giro di pochi minuti, fu la Narniana a
rompere il silenzio e dare risposta ai dubbi della Pevensie.
-Sì, lo
so.-
Non
poteva essere… così, in meno di
un giorno… Come diavolo aveva fatto?
-L’ho capito
dal primo momento che ti ho vista.-
Non la stava aiutando a chiarire i
suoi dubbi, Lia, con quel discorso; anzi, le stava complicando
maggiormente i pensieri. Forse aveva una qualche sorta di magia?
-E'
talmente lampante dalle occhiate che gli rivolgi.- chiarì,
con un tono vago, e ad Eve sembrò quasi che avesse roteato
gli occhi divertita.
Tuo fratello.
Evelyn si fermò a rimuginare per la maggiore su quelle
parole, mentre il resto delle frasi le rimbombava in testa come un
fastidioso eco.
Tuo fratello.
Detta da una persona esterna, sentirlo
dire da qualcuno che non si conosceva – non ancora, almeno
– era una fucilata dritta al cuore, una coltellata
alle
spalle, uno stritolamento dell'anima e una corrosione per tutto
ciò che faceva parte di lei.
Era come se si sentisse
maggiormente in colpa, perchè ascoltarlo dire da nuove voci
era come risvegliarsi dallo stato di abitudinaria convivenza a cui
ormai aveva imparato a fare l'abitudine, una sorta di apnea protettiva
fatta da pianti e segreti, sogni irrealizzabili che la cullavano la
notte e le facevano compagnia.
Non si era nemmeno accorta che la lupa
le aveva dato del tu invece del voi, talmente era presa a rimuginare,
la gola secca e la voce che si rifiutava di uscire per produrre un
suono che significasse qualcosa di comprensibile che non fosse uno
stupido balbettio, il respiro agitato e la mente in panne.
Ed Eve si
sentì maggiormente in colpa, un peso al cuore che glielo
fece sprofondare in un baratro di dolore e vergogna, e la
possibilità di poter sembrare normale agli occhi
di Lia
andata in fumo.
Lo sguardo velato di colpevolezza volò in
basso, rivolgendosi ai piedi della sua proprietaria e
all'erba coperta dal bordo del vestito, saettando poi di tanto in tanto
verso la lupa con indecisione, osservandone i movimenti composti e
calcolati mentre questa si avvicinava a lei.
E il silenzio continuava a
gravare su entrambe, la mente della ragazza invasa da mille
ragionamenti, scuse e pensieri per riuscire ad arrivare a qualche
conclusione in modo da spiegare o discolparsi con Lia. Per qualche
strana ragione, Eve non sentiva nemmeno più di tanto la
voglia di discolparsi o cercare una giustificazione: tutto in lei
sembrava come stato congelato, immobilizzato nell'assurda piega che
aveva preso quello che era iniziato come uno sfogo solitario.
-Non ti giudico.-
la lupa spezzò quel momento di transito che durava da
troppo, la voce calma e tranquilla che si fermava ad un mormorio
udibile solo da entrambe, per attirare l'attenzione della Pevensie ed
intuendo il punto debole dei suoi pensieri su cui fare pressione per
poter instaurare un discorso.
Per poterla avvicinare, e far si che
tornasse a fidarsi delle persone – o creature – in
cui aveva sempre creduto.
Lo sapeva Lia, che Evelyn non era
più come milletrecento anni prima. Era diventata una
creatura estremamente fragile e scontrosa, su cui gravava un peso che
lei nemmeno s'immaginava di avere. Un nonnulla, una scintilla scattata
dalle ombre oscure dell'anima dentro di lei o una parola di troppo, e
il suo equilibrio psicologico già precario, se mandato in
frantumi avrebbe scatenato un inferno in Narnia originato da Narnia
stessa.
Per questo doveva
starle vicina.
-Ora ti farò
schifo.-
Lia si ritrovò a fissare Eve che guardava davanti a
sé, la voce rotta a quella constatazione quasi
già decisa e che lei vedeva come unica
possibilità dopo che era stata scoperta, un mezzo sorriso
ironico fine a se stesso che non aveva potuto trattenere nello
schernirsi da sola che le dava al volto un'epsressione distorta di
malcelato disprezzo.
Almeno non stava avendo una crisi isterica.
Dovette complimentarsi con se
stessa e la sua bravura per aver imparato a tenere i nervi sotto
controllo quel tanto che bastava per restare tranquilla. Anche se si
stavano bruciando e logorando dentro non importava,
fuori doveva sembrare sicura e con un minimo di autocontrollo.
Era una sciocca.
Non sempre era stata
così brava.
Eve si ritrovò ad annuire impercettibilmente tra
sé, ricordando il tramonto appena passato e l'ansia che era
trasparita – come in quel preciso istante in cui si stava
mordicchiando il labbro e le unghie – dai movimenti.
Era una stupida. Una stupida illusa. Credeva davvero di riuscire a
scappare in eterno?
Prima o poi lo sarebbero venuti a sapere. E in quel momento li avrebbe
persi. Tutti
quanti, Edmund per primo.
-Li perderò
tutti quanti.-
La lupa
scosse lentamente il muso a quel mormorio sommesso e privo di logica
che le arrivò alle orecchie, facendogliele drizzare
d'impulso quando una vaga sensazione di vuoto le arrivò al
cuore con una stilettata.
-Non hai deciso te di innamorarti di lui.- la
discolpò. Lo sguardo di Eve
saettò verso Lia, sgranandosi di sorpresa per quel peso che
la lupa stava cercando di farle sembrare più leggero e che
la invitava a condividere per sentirti meno sola.
Si aspettava che la
Narniana le dicesse in faccia che era un essere orribile, che avrebbe
dovuto vergognarsi, che la sua storia era impossibile da coronare. Era
cerca che l'avrebbe riempita di insulti nonostante il grado che
ricopriva – o che non ricopriva più…?
–, facendola sentire colpevole più di quanto
già non facesse da sola, perchè la maleducazione
ed i pensieri delle persone non si possono comandare anche se sei
l'essere più importante al mondo.
Invece si
ritrovò ad ammettere che l'aveva sorpresa, discolpandola
perfino da se stessa e la sua coscienza; dalle fitte che sussultavano
nelle parti del cuore facendoglielo contorcere e le morse ferree della
sua testa che le ghiacciavano i polmoni, rendendo il respiro ogni volta
una coltellata alle spalle.
-Poi, mia cara Regina...- fece una pausa la
lupa prima di continuare la frase enigmatica che voleva dire, mentre
scorgeva nel volto di Eve ciò a cui stava pensando, indecisa
se infonderle quella scossa birichina che era sicura non le sarebbe
sfuggita.
-L’amore è imprevedibile e a volte,
oltre il dolore, nasconde delle magnifiche sorprese.-
-Non sempre l'amore rende felici- Eve abbassò il
capo, rivolgendolo a terra nuovamente mentre la testa s'invadeva
d'immagini di momenti precisi. Ricordava di quante volte aveva dovuto
confortare alcune compagne che non potevano coronare il loro sogno
d'amore, perchè i promessi sposi andavano al fronte, o le
lasciavano per sposare una ragazza più benestante. Dei
pianti a cui lei avrebbe voluto poter partecipare attivamente per
ricevere un conforto, una parola di sostegno; o semplicemente poter
dire "Vi capisco", invece che negare quando le veniva chiesto se le
interessasse qualcuno.
Non che nell'ultimo anno e mezzo avesse avuto
chissà quali chiacchierate con le amiche,
però… Dannazione, era forse invidiosa?
-Non voglio più
soffrire così.- chiuse per un attimo gli occhi, per non
permettere che diventassero
lucidi ancora una volta, la voce soffocata da un'agonia – le
sembrava tanto di essere un animale in punto di morte a cui lei stessa
avrebbe voluto porre fine – che non aveva più
nemmeno la forza di reagire o di piangere.
La testa le diceva che era
stanca, sfibrata e gli occhi sembravano essere solo due pozze di cielo
ormai spento, ma quella parte di lei che ancora sussultava e bruciava
di una flebile fiamma di speranza – no, fedeltà.
Verso se stessa, il suo amore, Lui – le diceva che doveva
soffrire ancora.
Che doveva sfogarsi, ancora una volta.
L'ennesima. Quante altre
ancora?
Era
una ferita al cuore ogni volta che lo vedeva. Una ferita al cuore di
cui lui era l'artefice e il guaritore, che bruciava e si ricuciva, che
marciva e si purificava.
"Nasconde delle
magnifiche sorprese."
Sgranò gli occhi, il respiro che si bloccava per pochi
attimi nel ripensare a quella frase con scoppio ritardato. Sempre
così: la gente parlava, lei non l'ascoltava realmente, ma
poi finiva inevitabilmente per ripensarci.
Non era possibile. Non
poteva essere.
Scosse la testa, cancellando quei pensieri. Sicuramente
Lia si riferiva al fatto che prima o poi avrebbe trovato qualcun altro
che l'avrebbe resa felice. Che le avrebbe fatto dimenticare Edmund una
volta per tutte. Si, sicuramente si riferiva al fatto che dopo tutte le
lacrime versate avrebbe finalmente sorriso.
Poteva sorridere se non
aveva qualcuno per cui farlo realmente, però?
Lasciò correre quell’ultima frase, reprimendo la
voglia di fare un interrogatorio poco carino a Lia, e
focalizzò la sua attenzione sul continuare il discorso
principale, che gravava su un semplice problema, sempre lo stesso,
sempre quello che più di tutto l'aveva bloccata
dall'esporsi.
-E' mio fratello.-
Il problema principale.
Perchè era una Pevensie? Perchè Lui era un
Pevensie? Non potevano nascere come perfetti estranei? No, ovviamente.
E poi se non fossero stati fratelli non avrebbero mai visitato e
vissuto a Narnia. Avrebbero perso tantissime avventure bellissime,
giorni calmi o il fermento prima di una battaglia. Se non fossero stati
fratelli probabilmente non ci avrebbe nemmeno mai parlato,
perchè c'era la possibilità che Edmund non la
calcolasse nemmeno.
La cosa positiva era che poteva contare sempre su
suo fratello, sul loro rapporto di fratellanza e il loro legame di
sangue.
Sangue.
Quel sangue che stava odiando, in quel momento.
Una
scarica d'irritazione le aprì una voragine alla bocca dello
stomaco e le fece vedere tutto nero per qualche attimo, seguito da
delle ombre di rosso – Rosso, come quel loro maledetto Sangue
– e il senso di rigetto tornò, più
presente di prima.
Avrebbe voluto vomitare il suo stesso sangue, in
quel momento. Rigettare a terra quel liquido velenoso che le scorreva
nelle vene, vederlo scomparire negli antri di quella che era la sua
terra – Sua,
più di quanto lei stessa immaginasse.
–
-Ma oltre a questo, lui ai tuoi occhi è pur
sempre un ragazzo.- si ritrovò a palesare Lia, ovvia, una
cosa che per lei era visibile come il sole che brillava al mattino ma
che la Pevensie non comprese appieno.
Eve si girò verso la
lupa, fissandola senza preoccuparsi di non farsi notare per qualche
attimo dritta in quegli occhi per certi versi molto simili ai suoi e a
quelli di Peter, o Lucy – o, ancor meglio, quelli di Susan
–, ma anche molto diversi. Erano due lastre di ghiaccio
azzurro gli occhi di Lia, all'apparenza indifferenti e freddi ma in cui
Evelyn riusciva a scorgere lo scintillio della vita che scorre e pulsa.
Ci leggeva calma, sicurezza, decisione, e chissà quanti
altri aspetti che ancora non conosceva e doveva imparare a cercare.
E
per certi versi vi vedeva anche una sorta d'incertezza, come uno scudo
che la Narniana metteva per isolarsi dagli altri.
Cosa nascondeva
dietro quegli occhi Lia?
Perchè non era una lupa qualunque,
già solo nell'aspetto estetico, e questo lo sapeva bene sia
lei sia chi la conosceva o la incontrava. E qualcosa, sicuramente,
doveva averla segnata tanto da tenerla sempre sui suoi modi pacifici e
far vedere quegli sguardi glaciali dettati da due occhi freddi. Ognuno
ha i suoi scheletri nell'armadio… quali erano quelli che
Lia nascondeva così bene?
A Evelyn iniziò a
tremare il labbro inferiore quando tornò a concentrarsi su
di sé e la sua situazione, lasciando perdere le sue
congetture sulla lupa. Sentì il magone al cuore tornare, ed
un nodo alla gola iniziare a farsi sentire insieme al bagnato delle
lacrime che stavano salendo dal suo petto agli occhi.
Sempre di
più, sempre di più, sempre di più…
Ad ogni battito, ad ogni respiro, ad ogni pulsazione le
strette aumentavano, come a voler strizzare una spugna per far
fuoriuscire tutto il liquido trattenuto.
Un gesto fulmineo le venne
spontaneo da fare, dettato dall'istinto e della situazione per non
mostrare le lacrime che era sicura non avrebbe tenuto sotto controllo
ancora per molto.
Una ventata d'aria, e si ritrovò a
stringere le braccia intorno al collo di Lia in maniera quasi
spasmodica, nascondendo il viso, mentre la lupa percepiva le mani della
Pevensie stringere il pelo fino a tirarglielo, per sfogarsi. Non si
spostò e non diede segni di fastidio per il gesto azzardato
e la lasciò fare, mentre sentiva dell'umido bagnarle il pelo
e le dita della ragazza che torturavano nervose la sua pelliccia,
sostituendo i singhiozzi che non c'erano.
Annusò il sapore
di bosco selvatico che il pelo della lupa emanava, quell'aria di
libertà che le fece scappare un singulto dedicato a ricordi
che sarebbero rimasti tali.
Scoppiò a piangere
più forte, poi, quando non riuscì più
a trattenersi e un'ennesima stretta la costrinse a sciogliere quelle
schegge di dolore che le stavano graffiando la gola. Si
sfogò e si lasciò andare esprimendo tutto
ciò che in quel tempo aveva provato. Dolore, vergogna, senso
di colpa. Per lui, per se stessa, per l'aver ritrovato una Narnia
diversa.
Lia l'aveva aiutata a rompere in parte quel macigno che da
troppo tempo le aveva occupato mente e pensieri, un cancro che la stava
divorando sotto tutti i punti di vista. Caratteriale, fisico, sociale,
morale.
Era un misto di sensazioni ed emozioni difficile da descrivere,
e che Eve aveva sempre percepito come qualcosa di diverso, anche se non
sapeva esattamente in che cosa, rispetto a ciò che i suoi
fratelli avevano provato in quel tempo.
Sapeva solo che era diverso.
Lia decise di lasciar stare il voler condividere con la Pevensie una
parte della sua storia, decidendo che avrebbero avuto tanto tempo per
poter parlare. Inoltre doveva farle sentire la sua presenza, assolvendo
a ciò che il suo ruolo in parte le intimava, e non poteva
permettersi di perdersi in altri discorsi.
***
Si
staccò
dalla lupa e si sfregò gli occhi che percepiva secchi e
brucianti, mugugnando qualcosa per quel contatto a cui in quei minuti
si era abituata ed esprimendo un'espressione di disappunto per
l'essersi staccata così presto e senza preavviso da quella
stretta ormai per lei famigliare. I capelli le si erano sciolti e la
treccia era tutta annodata, le guance rosse e puntinate per il pianto e
gli occhi ancora lucidi ed irritati.
-G-grazie mille e... scusami, non volevo usarti come mezzo di sfogo.-
mormorò, cercando di trovare un modo per discolparsi,
staccandosi maggiormente dalla lupa e sciogliendo la non più
acconciatura notturna.
Lo sguardo di entrambe corse alla
luna, quella notte argentea e piena, circondata dalle stelle luminose e
il cielo scuro come un buco nero pronto a risucchiarti. Ci furono
alcuni secondi di silenzio assoluto, in cui una lieve ventata d'aria
estiva fece capolino dal bosco che circondava la radura.
Eve
chiuse gli occhi, mentre sul suo volto spuntava un sorriso e beandosi
totalmente dell'elemento di cui milletrecento anni prima era stata
nominata Regina di Narnia, lasciando stare i capelli che aveva preso
a lisciare con l'ausilio delle dita. Sembrava che quel vento fosse
arrivato nel momento giusto, per rinfrescarle il viso e cancellare le
ultime tracce di lacrime che poco prima le avevano solcato le guance,
facendogliele diventare incandescenti.
-Cosa intendevi con quella frase
prima?- domandò di punto in bianco, aprendo gli occhi ma
continuando a guardare il paesaggio, sapendo che la Narniana accanto a
lei aveva intuito a cosa si stesse riferendo. Il profilo scuro della
foresta era rischiarato dal bagliore lunare, creando un paesaggi di
ombre più o meno scure che ricordavano un dipinto.
-Non
preoccuparti, capirai da
sola.-
percepì Lia
muovere la coda, prima che la sua voce la raggiungesse con il tono di
sempre venato di misteriosità. Aveva modi di fare enigmatici
molto simili ad Aslan, si
ritrovò a constatare la Pevensie, atona al ricordo del
leone. Sembrò delusa: si aspettava una delle sue risposte
sagge, invece le aveva fatto venire ancora più dubbi.
-Non
lo dirai a nessuno, vero?- quasi gridò rischiando di
spezzare
il silenzio notturno, Eve, quando la paura e l'agitazione
s'impossessarono nuovamente di lei facendola agire per istinto.
-Ti
prego non dirlo a nessuno! Tu sei l’unica che lo sa!- Evelyn
congiunse le mani e guardò Lia supplichevole, arrivandole a
poca distanza dal muso, lo sguardo che saettava sulla sua figura in
modo febbrile.
-Certo che non lo
dico a nessuno.- Lia chinò il capo come in segno di
rispetto, leggermente divertita dai modi eccentrici di fare della
Pevensie. Era mutevole esattamente come l'aria, ma la cosa non la
sorprendeva.
-Mi hai aiutato molto, ti ringrazio.- Evelyn sospirò,
tornando serena e allontandosi per appoggiarsi nuovamente contro le
rocce dietro cui si era nascosta. Dopotutto non la
conosceva nemmeno da due giorni, ed era riuscita ad alleviarle per poco
le pene che soffriva da anni. Certo non era la prima che lo veniva a
sapere, però Lui ormai aveva intuito che non c'era
più, come il sig. Tumnus, Oreius o i Castori. Inoltre ad
Eve Lia piaceva veramente come carattere, riflessiva e calma,
diversamente da lei, a volte impulsiva e che solitamente s'abbatteva
facilmente.
-Sono felice di esserle stata d'aiuto, Regina Evelyn.- si
ritrovò a rispondere nuovamente la Narniana ritrovando la
compostezza di sempre.
-Ti prego dammi del tu e chiamami Eve.- la
pregò, ricordandosi il fattore temporale.
-Il voi mi fa
sentire vecchia, e non ho nemmeno sedici anni. Anche se in
realtà ne avrei più di milletrecento…-
iniziò decisa, portandosi poi l'indice al mento, dubbiosa
sull'ultima parte del discorso e come considerarlo. Rifletté
qualche secondo sulla questione, poi la liquidò con
un'alzata di spalle, come se fosse un numero qualsiasi e roba
da tutti i giorni.
Studiò la lupa, che in risposta
continuava a guardarla, e la colse una scossa d'illuminazione che le
fece brillare per un attimo lo sguardo e irrigidire la postura.
-Voglio
darti questa.- portò le mani dietro il collo e si
sfilò uno dei due ciondoli che portava da quando era
ritornata a Narnia: entrambi avevano la lettera E come pendente
centrale, l'iniziale del suo nome.
La
collana che aveva
deciso di dare a Lia era quella che le andava più larga. Era
perchè le era stata donata il giorno della sua incoronazione
insieme ai fratelli da alcuni Narniani, che avevano preferito non farle
la cordicella troppo stretta. Si era sempre
ripromessa che l'avrebbe fatta accorciare, ma poi erano state altre le
priorità, e, dopotutto, a lei la collana piaceva anche
così.
Alla cordicina in oro bianco era appesa la lettera E,
laccata in argento lucido e scritta in carattere minuscolo simile a
scrittura fatta a mano libera. Forse era la scrittura del Sig. Tumnus,
ma non aveva mai chiesto conferma di questo dubbio.
L'altra collana che aveva tenuto lei
invece, aveva la E scritta in carattere maiuscolo in uno stile che le
era sempre piaciuto dal primo momento che l'aveva vista. L'adorava,
perchè le righe della E avevano i bordi zigzagati, e le
ricordavano moltissimo la prima la lama di Artemis. Era in oro bianco
opaco, e
nella linea centrale erano incastonate piccole pietre nere di
quarzo fumé, a loro volta circondate da piccoli diamanti.
E il motivo per cui le
stava a cuore, senza togliere nulla all'altra, era perchè le
era stata regalata da Edmund per un suo compleanno a Narnia.
Difatti Evelyn l’aveva al collo insieme alla prima da quando
le aveva ritrovate, con sua enorme felicità, nel suo baule
nei sotterranei di ciò che rimaneva di Cair Paravel. Per lei
erano importantissime, le aveva sempre trattate come se fossero una
rarità – e, in effetti, lo erano –
sfoggiandole ad ogni occasione, dalla più importante e
sfarzosa a quella più semplice, e poche persone potevano
toccarle.
Semplicemente perchè racchiudevano dentro una vita
intera. Non averle più indosso a Londra era stata un'altra
cosa a cui si era dovuta abituare, perché molte volte per
istinto le stringeva tra le mani, come per cercarvi conforto.
-Ma io…- tentennò Lia, osservando la
ragazza che si toglieva la collana, indecisa mentre Eve compiva quel
gesto in maniera spontanea. Non si aspettava una cosa simile,
soprattutto in così poco tempo. Inoltre sapeva
quanto la
Pevensie fosse gelosa delle sue cose, lo aveva sempre saputo, e pensava
che anche con lei non ci sarebbero stati cambiamenti sostanziali,
nonostante tutto il resto.
-Non accetto un no come risposta.- la
interruppe Eve, senza darle la possibilità di andare avanti
e
liquidando ogni possibilità di ribattere della lupa.
-Te la
voglio donare per il segreto che ci unisce. Il legame che si
è creato tra di noi.- Evelyn si fermò un attimo,
guardando il ciondolo posato sul palmo di una mano e sfiorando la
lettera con l'indice dell'altra. Una miriade di ricordi l'assalirono e
prima che diventassero insopportabili da non riuscire più a
parlare continuò il suo discorso, che iniziava a
farsi strada nella sua testa sempre più deciso.
-Per essere
stata una delle poche a cui ho confessato di essermi
innamorata di Edmund.- in effetti Lia era più unica che
rara:
la seconda che lo veniva a sapere, tra l'altro non da lei stessa ma da
conclusioni tratte in solitario. Era ingiusto. Sapeva mentire
così male? Se continuava così c'era il rischio
palese di farsi scoprire anche dagli altri.
-Per il fatto che hai capito cosa avevo in meno di un giorno; e ultimo
ma non
ultimo...- si fermò un attimo per riprendere fiato, una
potente
stilettata d'indecisione che le si conficcava nei polmoni al pensiero
del soggetto che sarebbe arrivato andando avanti. Espirò
lentamente e alzò lo sguardo per fissarlo negli occhi della
lupa.
-Per il fatto che la E è sia l’iniziale del
mio nome che del suo e questo ci tiene unite. Ogni volta che una di noi
due guarderà la sua collana si ricorderà
dell’altra. Questo…-
Evelyn puntò lo
sguardo sul gioiello nella sua mano e iniziò ad armeggiarci:
allargò al massimo la lunghezza del ciondolo sciogliendo il
nodo con cui aveva accorciato la catenina, in modo che alla lupa non
andasse stretto. Poi gliela legò al collo, facendo in modo
che la E scendesse dolcemente sul petto di Lia senza darle fastidio,
accompagnando il percorso della corda d'oro bianco con una mano.
-… sarà il segno della nostra amicizia.-
Amicizia?
Poteva già definire Lia di tale importanza? Che cosa l'aveva
spinta ad aprirsi così tanto con lei?
Scorgeva anche una nota si
severità negli occhi e nel tono di voce della ragazza, Lia,
mentre osservava la Pevensie, segno che, in qualche modo, quello era un
ordine a cui non si sarebbe potuta sottrarre. Era un segreto che le
univa, che non andava rivelato per nulla al mondo. E che doveva
mantenere.
-Io, Reg__- Lia si decise a parlar per
smuovere la situazione, ma si bloccò vedendo lo sguardo
della ragazza e si corresse.
-…io, Evelyn,
non so che
dire.-
ammise in mormorio che si dissolse nell'aria, palesemente in imbarazzo.
A Eve venne un colpo al cuore rendendosi conto della situazione in cui
aveva cacciato la Narniana.
-Di solo ciò che ti senti di
dire.- sviò, facendo una smorfia ripensando al discorso per
lei fin troppo zuccherato di pochi istanti prima.
-Sono felice che mi
consideri di tale importanza.- la Narniana sembrò
sospirare a quella frase, come se si fosse tolta un peso sullo stomaco
e fosse più tranquilla. Evelyn sorrise, sdraiandosi poi
sull'erba fresca, lo sguardo rivolto nuovamente alle stelle e una
strana sensazione di calma che l'invadeva. Perchè, diavolo,
Lia la calmava e la rassicurava, come un dolce limbo di segretezza.
Sperò che non fosse sembrato un ricatto.
Il ciondolo si mosse con il movimento della lupa,
scintillando nel buio della notte e riflettendo la luce della luna,
quando questa si avvicinò alla Pevensie.
-Non vuoi rientrare
dentro?- spezzò il silenzio che si era creato in quei minuti
Lia, sapendo che, forse, era già tardi per avere una
risposta. Attese qualche momento mentre continuava ad osservarsi
intorno. Sapeva che la Pevensie era tutta una contraddizione unica, e
che rispondeva a delle domande anche dopo minuti di attesa estenuante.
I suoi occhi dardeggiarono per la radura qualche attimo, quando una
sensazione famigliare, che si faceva strada dentro di lei come
una biscia di veleno, le nacque dritta al centro del cuore,
facendoglielo sussultare di finta sorpresa.
Era li.
Lei era li.
E, ne
era più che certa, aveva seguito tutto il loro discorso.
Si
trattenne dal fare qualsiasi movimento eccessivo, girandosi per
osservare se Eve aveva sentito quel
cambiamento. La osservò cambiare posizione, mentre da pancia
in su la Pevensie si girava su un fianco, rivolgendosi verso di lei,
allungando una mano verso il suo pelo, stringendoglielo.
La lupa si
concentrò ancora sul volto della Pevensie, intuendo che un
minimo d'inquietudine doveva averla assalita nel sonno con quella
scossa di magia che si era propagata per la radura.
Si voltò
verso la luna, i ricordi di quegli anni subito dopo che i Pevensie se
ne erano andati che le tornavano alla mente con la forza di una
mazzata. Già lì Narnia era cambiata, erano
continuamente cacciati come degli intrusi dagli abitanti di Telmar.
Eppure il culmine lo si era raggiunto poco prima la nascita di Caspian.
Ci sarebbe stata la resa dei conti entro poco tempo, e oltre ad Aslan,
che Lia era sicura esserci ancora, avevano qualcun altro che avrebbe
potuto far tornare Narnia come una volta, durante l'età
D'oro.
Solo che non era ancora
giunto il momento.
***
Sorrise
di gusto nel
percepire il cambiamento nella terra, che s'indurì
impercettibilmente come a voler formare una barriera d'avvertimento per
tenerla lontana, subito dopo che aveva pizzicato la Narniana rivelando
maggiormente la sua presenza.
Dopo qualche minuto entrambe tornarono ai
loro pensieri, non curandosi più e facendo scendere una
scorza d'indifferenza sull'area che occupavano.
Dhemetrya si
accoccolò meglio tra le fronde dell'albero che aveva scelto
come casa per quella notte, nascondendo il viso tra le braccia e
appallottolandosi su se stessa come a volersi proteggere.
E tutta la
spavalderia che prima l'aveva invasa scemò via come l'acqua,
mentre le voci dei Telmarini che
lavoravano al fiume tornavano a rimbombarle nella testa insistenti,
fino a quasi farle scoppiare le tempie. Aleggiavano sempre intorno a
lei, e non poteva continuare ad ignorarle, poiché sarebbero
sempre tornate alle sue orecchie.
Trattenne un brivido, mentre espirava
pesantemente per calmarsi.
Aveva paura.
Tanta, tantissima paura che
qualcosa sarebbe potuto andare storto, che avrebbe perso la sua terra
per sempre. Una paura cieca, che le faceva le cose in maniera storta e
negativa. Ma allo stesso tempo sentiva vibrare dentro di sé
la forza e la speranza, una fiammella che divampava sempre di
più, incendiandole sangue e polmoni, facendo bruciare la
testa e pompando adrenalina nel sangue.
I Telmarini non erano
magici
come loro, si costrinse a pensare, per farsi forza e
tenere insieme i
pezzi di anima che si stava dilaniando nel mare della paura e del
vuoto.
Sarebbe andato tutto
bene.
Altrimenti sarebbero diventate delle
Figlie del Nulla, senza più un posto in cui tornare, una
terra a cui appartenere. Non potevano permettersi di perdere, in palio
quella volta c'era tutto un mondo, tutta una vita.
Doveva andare tutto
bene.
Eccomi
qui! :D Finalmente riesco ad aggiornare, cavolaccio >.<
Capitolo tutto al
femminile xD
Allora: cosa dire? Come avrete capito Lia e Dhemetrya si conoscono Nel
frattempo vedremo il svilupparsi il
rapporto Lia/Eve, e ci saranno
degli intrallazzi Suspian conditi dalla rivalità del
Principe con Peter e una spruzzata di flashback.
La canzone iniziale: Eternal Snow *-* Io adoro, amo,
tuttoquellochevoletevoi, questa canzone *-* Non potevo non metterla,
capite una povera pazza. Comunque, Eternal Snow *-*
Per le collane avevo le immagini, ma non le trovo più
perchè mi sa che quando è partito il pc si sono
cancellate >.< Mi dispiace ç___ç
Però beh, il lato positivo è che potete
immaginarvele come meglio credete ^^
Ringrazio coloro che
hanno commentato, che preferiscono e seguono o anche solo leggono in
silenzio. Grazie mille a tutti <3
Love,
D <3
|
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Capitolo 9 *** Sempre insieme. Eternamente divisi. ***
Narnia's
Spirits
Sempre
insieme. Eternamente divisi.
Il primo a
svegliarsi
dopo una notte passata abbastanza tranquillamente, quella mattina, fu
Peter, il quale ci mise qualche attimo per ricordare gli eventi del
giorno
prima.
La luce delle torce illuminava l'ambiente, e il rumore del ferro
battuto proveniva in maniera ovattata dal centro della casa di Aslan.
Gli occhi azzurri dardeggiarono per la stanza, in cerca della figura di
Edmund da, ne era più che certo, svegliare. Il ragazzo
dormiva ancora, sereno, e sembrava essere in un sonno talmente profondo
che probabilmente dava l'impressione d'essere una preda facile. Peter
sorrise di gusto, di fronte alle barriere d'attenzione e difesa che
solitamente lui ed Edmund mettevano la notte per evitare spiacevoli
eventi, totalmente cadute in quella prima dormita passata al sicuro.
Quando iniziò a scuoterlo per fargli aprire gli occhi questi
brontolò qualche epiteto poco carino per essere stato
strappato dal suo stato di dormiveglia, poi si arrese, svegliandosi del
tutto, ed iniziò a prepararsi in compagnia del fratello,
perso nei suoi pensieri.
-Caspian è già sveglio?-
Edmund ruppe il silenzio tra loro due, mentre si assicurava la spada
alla vita; un movimento che perfino a Londra non aveva mai perso di
fare anche se non era presente un'arma, e per cui spesso si dava dello
stupido quando il suo sguardo o la sua mano correvano al fianco,
dimentichi della ragione e seguendo l'istinto.
Peter fece spallucce,
continuando ad armeggiare con la sua casacca.
-Spero di si.-
esordì dopo poco, studiando la lama di Rihdon perfettamente
lucida e riponendola nel suo fodero, producendo un lieve stridio. Come
avrebbe fatto, altrimenti, a guidare degli uomini in battaglia se
lui per primo era in ritardo?
Uscirono entrambi, e il maggiore dei
Pevensie si avvicinò deciso alla porta della stanza di
Caspian, pronto per bussare. I due ragazzi registrarono dei passi
pesanti che s'avvicinavano, lo scatto del legno ed uno spostamento
d'aria che fece alzare per qualche secondo i loro capelli, prima di
trovarsi davanti la figura del Principe che li osservava, stupito.
-Oh,
ehm… buongiorno.- esordì quello, abbozzando un
sorriso ed assumendo una posizione più rigida.
-Giorno.-
Proferì Peter, alzando il mento e dando le spalle al
Telmarino, dirigendosi alla porta della camera delle sorelle. Edmund
alzò una mano in segno di saluto lanciadogli uno sguardo di
scuse per i modi del fratello, e Caspian
allargò il sorriso, mimando anche un inchino, prima di
raggiungere il maggiore dei Pevensie.
Aprì la porticina di
legno un'assonnata Lucy, ma che nonostante tutto sfoggiava un sorriso
sereno, atto a rallegrare gli animi degli altri e sollevare un po' di
famigliarità dalla situazione spinosa in cui si
trovavano. Alle sue spalle stava Susan, intenta a rassettare
le coperte che aveva usato per dormire, con fare pratico.
-Eve?- domandò Edmund, accorgendosi dell'assenza della
sorella
mediana ed osservando le sue coperte sfatte, sporgendosi oltre lo
spigolo per osservare meglio l'ambiente interno.
-Quando ci siamo svegliate
già non c'era.- spiegò Susan, lanciando
un'occhiata al giaciglio in disordine, indecisa se metterglielo a
posto. Non l'avevano sentita
uscire, ma era sicura che non
fosse nei guai – dovunque essa fosse, cosa che la metteva un
po' in ansia –; altrimenti l'avrebbe sentito, avrebbe avuto
un brutto presentimento.
Peter, invece, strabuzzò gli occhi sentendo il cuore
sfarfallare per l'agitazione, ed
entrò a passo spedito nella camera delle sorelle con una
cosa da fare ben in mente. Conosceva Evelyn, ed era sempre un pericolo
quando spariva senza avvertire nessuno, che fosse giorno o meno.
Pregò che non le fosse venuto in mente di fare un giro nei
boschi di Narnia, perché questa non era più
sicura come una volta e ne avevano avuto la certezza pochi giorni prima
in riva alla spiaggia.
Si scambiò uno sguardo con Edmund,
leggendogli negli occhi la sua stessa preoccupazione, poi
s'avvicinò e toccò con una mano le coperte.
Freddo.
Significava che era da un bel po' che aveva lasciato il suo
letto, forse prima che si svegliassero tutti loro.
Perchè? Cosa le aveva impedito di dormire tranquillamente in
un posto caldo e
sicuro?
-Noi iniziamo ad andare, voi finite pure di prepararvi.- ruppe il
silenzio, coinvolgendo nel
discorso anche il fratello e il Principe pur senza aver chiesto le loro
opinioni. Si avviò verso la porta, l'impazienza che
traspariva dai suoi occhi. I tre si diressero fuori dopo
una rapida occhiata d'intesa, un rapporto di
rispetto reciproco tra Peter e Caspian che forse sarebbe potuto nascere
con il tempo e situazioni d'accordo.
Il tempo era sereno, si stava bene
e, a grandi linee, la foresta non era più tanto silenziosa:
di tanto in tanto qualche anelito di vita si sentiva tramite un
richiamo di qualche animale o lo svolazzare di qualche insetto.
Ma
questo i ragazzi lo stavano trascurando, troppo presi a cercare il
pezzo mancante del gruppo. Era qualcosa a cui non riuscivano a
resistere, i Pevensie: se non avevano la certezza che stavano tutti
tutto il resto andava in secondo piano.
Chiesero se l'avessero vista alle guardie
che erano state di vedetta, ed il centauro indicò che la
Regina si trovava dietro un mucchio di rocce
in cui aveva passato la notte con la compagnia della Lupa, notizia che
fece tirare impercettibilmente un sospiro di sollievo a tutti. Si
congedò con un inchino quando Peter lo ringraziò,
tornando alle sue mansioni di vedetta e coordinazione dei lavori degli
altri Narniani, mentre i Sovrani iniziavano a dirigersi verso il luogo
che gli era stato indicato non nascondendo una punta di
curiosità.
-Dove state andando?- la voce di Susan li bloccò,
gelandoli in qualche modo sul posto, come se fossero stati colti nel
bel mezzo di uno scherzo che volevano fare ai danni di qualcuno. Si
girarono verso la Pevensie quasi in contemporanea con
l'espressione più neutra che fossero riusciti a fare.
Susan camminò verso di loro, seguita a ruota da Lucy,
ancora assonata, e alcuni Narniani che incuriositi stavano seguendo la
scena. Il maggiore dei Pevensie osservò le due sorelle
più piccole e non potè fare a meno di intenerirsi
vedendole nuovamente in mezzo ai Narniani, in quel mondo a cui erano
tutti inevitabilmente affezionati.
-Lì.- fece poi segno, indicando le rocce
leggermente alla sua destra. Nel frattempo Edmund, impaziente, si era
già avviato da solo, una mano sull'elsa della spada e lo
sguardo basso per evitare d'inciampare tra l'erba ed i sassi.
-E
perché lì?- domandò innocentemente
Lucy, il tono di voce stanco mentre si grattava un occhio e girava la
testa in cerca di qualcuno. Peter sorrise maggiormente, sapendo che
si stava osservando in giro per vedere se trovava Eve, e si
voltò a guardare il fratello mentre si avvicinava al luogo
indicato da lui poco prima.
Facendo meno rumore possibile Edmund
arrivò alle rocce, mentre sapeva di venir seguito da alcuni
sguardi curiosi. Quando arrivò al mucchio di massi si sporse
leggermente appoggiandosi ad un sasso, allungando il collo ed evitando
di farsi notare.
La scena che gli si presentava davanti lo
lasciò senza fiato per qualche secondo, riempiendogli il
cuore di uno strano calore: Evelyn dormiva profondamente con accanto la
lupa, i capelli dai bagliori rossastri baciati dal sole quasi
totalmente disfatti dalla
treccia sparsi
sull'erba in netto contrasto con il colore smeraldino di essa. Teneva
una delle mani ancora stretta a pugno tra il pelo
dell’animale al suo fianco, e
sul viso aveva un'espressione rilassata e serena, come non
ne aveva mai viste negli ultimi tempi.
Lia in realtà non
dormiva, era sveglia già da tempo ma non si era mossa per
evitare di svegliare Eve, che riposava al suo fianco da quando si era
sfogata con lei. La lupa aveva sentito le voci dei tre ragazzi e la
conversazione con le guardie e subito dopo dei passi leggeri che si
avvicinavano. Al suo naso era arrivato l’odore di Edmund
trasportato dal vento e, curiosa
di vedere che ancora una volta aveva ragione, aveva aperto leggermente
un occhio per sbirciare la situazione senza essere vista.
Aveva scorto
Edmund affacciarsi dall’alto delle rocce, cercando di non
grattare con la casacca sul bordo di pietra per non fare rumore o
muovere qualche granello di pietra. Aveva visto la sua espressione che
da stupita subito mutava, diventando la tipica espressione di
venerazione che si ha per qualcuno a cui si tiene particolarmente, lo
sguardo attento e
intenerito fisso sulla sorella addormentata. A Lia non servivano
discorsi per capire.
Dopo i primi attimi di
stupore Edmund si riprese dal suo stato di trance,
sfoderò un'espressione il più seria possibile e
si girò verso gli altri, invitandoli ad avvicinarsi ma
facendo il segno di non fare rumore. Avrebbe voluto scattare una foto,
era un momento da incorniciare. Lo avrebbe conservato nel cuore, e si
ritrovò a dirsi fortunato di averne potuto avere
un'anteprima tutta per lui.
Fu distolto dai suoi pensieri da Lia, che
si era alzata e si stava inchinando verso lui e gli altri Pevensie,
come aveva deciso di fare precedentemente quando tutti i reali
sarebbero stati presenti.
Dopodiché si girò a guardare, come tutti, la
Pevensie che ancora dormiva sull'erba senza sapere ciò che
accadeva intorno a lei.
I quattro ragazzi si accorsero della collana
attorno al collo di Lia che apparteneva a loro sorella, ma non dissero
niente a riguardo. Avevano capito che tra loro doveva esserci
qualcosa di speciale – se aveva spinto Eve a donarle uno
dei gioielli a cui teneva di più in assoluto.
Peter fu il
primo che reagì dopo interminabili attimi di silenzio,
mentre il resto del gruppetto si chiedeva se lasciarla lì a
dormire, svegliarla, oppure portarla dentro.
Il maggiore si
avvicinò piano a Eve, si abbassò, la prese in
braccio e cercando di muoversi il più delicatamente
possibile si rialzò con il corpo della sorella tra le
braccia. Non trovando più il calore dell’erba
sotto di lei o del pelo della lupa Eve si accoccolò meglio
sul il petto del fratello, fonte da cui proveniva la nuova sensazione
di protezione, di quelli in cui ti ci perderesti per sempre.
Poi
il maggiore dei Pevensie si rivolse al fratelli, il tono di voce non
troppo alto.
-Edmund, ci pensi tu a portarla dentro?- iniziò,
cogliendolo alla sprovvista e indicando con un cenno del capo Evelyn e
poi il rifugio di Aslan. Per Edmund fu uno sforzo immane verso se
stesso cercare di non mutare espressione a quella richiesta.
-Io devo discutere con Caspian riguardo il
piano e come organizzare le truppe.-
disse, serio e più sbrigativo di quanto in realtà
voleva essere. Guardò il fratello che, semplicemente,
annuì, il cuore che iniziava a battere e l'emozione di
più tipi che iniziava a farsi spazio sovrana, diventando
padrona del suo corpo e dei suoi movimenti.
S'avvicinò a
Peter e prese Evelyn tra le braccia, stando attendo che
il capo poggiasse sul suo braccio e non penzolasse all'indietro, e lei,
come poco prima aveva fatto con Peter quando l’aveva levata
da terra, fece lo stesso, raggomitolandosi sul petto del fratello per
abituarsi nuovamente al nuovo calore che trovava nel giro di pochi
minuti. Edmund trasalì sperando che nessuno
sentisse il battito accelerato del suo cuore, le mani che prendevano a
tremare per paura di sbagliare qualcosa.
Dopo qualche secondo
il ragazzo, con in braccio la sorella, si girò per andare
verso la stanza di Aslan seguito
da Lia, a cui Peter aveva dato l’ordine di seguirli con un
gesto del capo, e facendole intendere di stare con lei. Lia
sorrise con se stessa, al pensiero di come Eve avrebbe potuto reagire
una volta scoperto ciò che stava accadendo mentre dormiva.
Guardò con attenzione
con quanta scrupolosità Edmund appoggiò la
sorella sul suo posto - visto che il suo era ancora un ammasso di
coperte informi dalla notte scorsa, e Susan non lo aveva sistemato,
perché secondo suo giudizio Eve doveva imparare a tenere a
posto le sue
cose. Lo osservò coprirla fino
ai fianchi, per poi bloccarsi ad osservarla dimentico
dell’esistenza della lupa. Automaticamente il
ragazzo
allungò una mano per rimuovere una ciocca di capelli dal
viso della sorella.
Si ricordò del suo volto sereno quando
si era affacciato dall'alto delle rocce pochi minuti prima: era stato
contento di vederla così rilassata perché, dopo
un certo periodo che regnavano a Narnia, Evelyn aveva iniziato a
comportarsi in modo strano con lui e gli altri Pevensie.
Dei periodi
era fredda e distaccata, altri chiusa in se stessa, oppure faceva finta
di essere felice anche se gli occhi si vedeva lontano metri che erano
spenti. Senza contare tutte le notti in cui l'aveva scoperta a piangere
di nascosto sotto il frutteto che insieme ai fratelli avevano
coltivato. Non gli aveva mai detto il motivo per cui piangeva,
però era la sua sorellina – solo? –,
e a modo suo aveva sempre
cercato di aiutarla, anche se vederla così senza sapere il
motivo di tanta sofferenza lo faceva stare malissimo.
Si era sempre
mostrato pronto ad aiutarla, forte, eppure in quei tempi si era
seriamente preoccupato. Oppure il motivo lo aveva detto ma lui era
tanto stupido e in ansia che non se n'era accorto.
Ripensò
intensamente a tutte le discussioni, piacevoli e non, avute con la
sorella, e la sua mente si fermò ad un discorso avuto con
Evelyn circa tre mesi dopo che erano ritornati da Narnia. Era successo
dopo aver visto una scena che a lui aveva dato particolarmente
fastidio. Allora non ci aveva pensato, catalogandola ancora nella serie
di quelle che aveva ogni volta che qualcuno si avvicinava alle sue
sorelle, e pensando che fosse un moto di protezione nei confronti di
Eve.
Non era protezione, lo sapeva, ma non poteva accettare di essersi
innamorato di lei.
Non
di nuovo.
Era successo mentre loro due, Susan,
Lucy e Peter si accingevano ad andare ai rispettivi istituti, in treno.
***
Rinunciare
a qualcosa
o qualcuno dopo che hai potuto assaporarlo per quelli che per te sono
stati anni – anni in cui hai vissuto, anni in cui sei
maturato e cresciuto – non è facile. Rimane il
senso di vuoto, ci si sente sperduti e talvolta inutili. Se poi a
finire è una parte della tua stessa vita che se ne va per
errore, la cosa brucia ancora di più.
Era da tre mesi, che
ai Pevensie sembravano un tempo incredibilmente infinito, che erano
tornati per sbaglio
in Inghilterra, passando nuovamente per l'armadio a
casa del professore.
Ancora non accettavano la realtà e la
loro mente, così come i loro pensieri e i loro cuori,
correvano spesso a Narnia, il luogo per loro diventato vera casa.
Lontano dalle bombe, dai bombardamenti notturni, dagli aerei che
rumorosi e molesti disturbavano giorni e notti. Era il luogo in cui
potevano stare tutti e cinque riuniti, senza paura che qualcosa, o
qualcuno, li dividesse da un momento all'altro.
Quella mattina Peter,
Edmund, Susan e Lucy parlavano sottovoce per non farsi sentire da
orecchie indiscrete, raggruppati intorno ad un pilastro del
treno per sostenersi, evitando di cadere
quando il treno frenava bruscamente. Stavano ricordando – per
l'ennesima volta – i bei momenti di cui erano stati i
protagonisti: una battuta di caccia, una festa importante,
l'incoronazione, qualche battaglia vinta egregiamente…
Sarebbe stato un quadretto perfetto di quattro fratelli che avevano una
discussione normale senza litigare o scontrarsi su varie idee. Questo
accadeva perchè a Narnia avevano imparato ad apprezzarsi
l'un l'altro, diventando uniti oltre il legame di sangue e cognome che
li caratterizzava come parenti o familiari.
Tutto perfetto, se non
fosse stato che a quel quadretto mancava una persona.
Evelyn, infatti,
se ne stava per conto suo in piedi vicino al finestrino, l'aria assorta
in chissà quali pensieri mentre dalla parte opposta alla sua
i fratelli discutevano tranquillamente. In realtà era lei
che si era esclusa: non voleva ricordare Narnia. O meglio: voleva
ricordare Narnia, ma c'era quel suo problema per cui, in certi casi,
era meglio lasciar correre.
Già il solo non sapere quando
sarebbero ritornati e soprattutto sé
sarebbero mai ritornati le
provocava un dolore al petto difficile da descrivere. Una sensazione di
vuoto assoluta, una nostalgia incredibile, come un pezzo di puzzle
mancante. Perchè lei non
apparteneva
a quel mondo. Ne lei,
ne i suoi fratelli.
Lei era fatta per vivere serenamente a Cair
Paravel, danzando con gli alberi e le driadi e nuotando con le sirene
del mare dell'Est. Sentendo il suo
vento accarezzarle la pelle e scuoterle i capelli, mentre
dentro si rasserenava cullandosi grazie alle risate in sottofondo di
Lucy, la
tranquillità di Susan, la protezione di Peter e i modi
evasivi di Edmund. Circondata dal canclore delle spade dei suoi
fratelli, lo sibilare delle frecce e i gridi di battaglia del
loro esercito.
Ripensò automaticamente al suo regno in cui
era Regina: chissà come stavano i castori, il signor Tumnus,
Aslan. Se c'erano state guerre oppure tutto procedeva bene come spesso
pregava che fosse.
Ripensava alle uscite a cavallo, alle discussioni
con Peter e ai consigli che spesso Lucy chiedeva a lei o a Susan. A
quanto lì lei e i suoi fratelli erano cresciuti, maturati,
diventati adulti…
-Ciao.-
Una voce del tutto sconosciuta la
riscosse dai suoi pensieri, riportandola – con un po' di
malincuore – alla realtà Londinese. Si
voltò di scatto fissando il ragazzo che aveva di fronte:
alto, moro, occhi verdi, un sorriso sicuro e per i suoi gusti fin
troppo amichevole sul volto. Doveva avere
più o meno l'età di Susan, forse meno. Evelyn
notò che indossava la stessa divisa di Edmund, quindi
frequentava lo stesso istituto di suo fratello.
Guardò
velocemente il paesaggio fuori il finestrino poco nitido, e
realizzò, sconcertata, che alla loro fermata - e quindi
quella del ragazzo - mancavano ancora varie fermate. Sospirò
sconsolata.
Il
ragazzo in questione si presentò, il tono vagamente galante
ma che a lei diede il nervoso, perché le ricordava quello
usato a Narnia e che lui aveva usato in una maniera vagamente ironica.
Avrebbe voluto chiamare Peter o Edmund per mostrargli come si faceva
realmente una presentazione dai toni galanti. Avrebbe voluto difendere
quei modi a lei tanto cari e che la facevano
sentire apprezzata. Avrebbe voluto, ma si trattenne, ricordandosi che
li era a Londra e
reprimendo la vampata di calore che le era salita dalla punta dei piedi
infiammandole le guance.
-Mi chiamo Simon. Simon Senhal.- le disse, tendendo il braccio verso la
Pevensie e avanzando
contemporaneamente verso di lei che, in risposta, si
appiattì contro il finestrino del treno a
cui poco prima era appoggiata. Sconvolta e in cerca aria per la
decisione con cui si era mostrato il moro – ovvio, lei era
abituata ai pretendenti di Narnia, che ti facevano la corte per mesi e
mesi – si sforzò di sorridere in modo vagamente
naturale. Dentro, però, era in panico e continuava a
chiedersi cosa volesse da lei.
Continuò a guardare il
ragazzo, facendo passare lo sguardo dalla mano che le tendeva in attesa
di risposta, ai suoi occhi verdi che la fissavano e che per qualche
motivo la mettevano in soggezione.Si arrese all'idea che quel quarto
d'ora non sarebbe passato tanto presto, così
allungò la mano a sua volta verso il tale che…
come aveva detto che si chiamava? ... Simon?
Non che le importasse,
ovvio.
-Evelyn Pevensie... piacere.- esordì, con un
sorriso un po' timido non da lei. I due si strinsero la mani mentre il
sorriso sul volto del ragazzo si ampliava e i muscoli del volto di Eve
si rilassavano.
Iniziarono a parlare tranquillamente e con grande
stupore della Pevensie, questa si rese presto conto che Simon non era
affatto male. Se il suo cuore non fosse stato già occupato
magari... scosse la testa, mentre il treno arrestava la sua corsa:
erano arrivati alla loro fermata.
-E' stato un piacere parlare con te,
Pevensie.- le disse Simon, sorridendole, mentre uscivano fianco a
fianco
dalla stazione.
-Si, anche per me.- o almeno così pensava. Mentre osservava
il ragazzo dirigersi verso l'istituto si appuntò di evitare
di rimanere da sola in un luogo in cui poteva essere avvicinata da
sconosciuti.
Chissà perché
lui aveva deciso di avvicinarsi a lei. Non era speciale, e c'erano
sicuramente ragazze molto più carine e benestanti di lei. In
ogni caso, per lei era già una storia finita prima di
cominciare. Si maledì: magari la voleva solo come amica,
mica dovevano per forza avere una storia…
Improvvisamente
si ricordò dei suoi fratelli e delle sue sorelle, e
sgranò gli occhi, preoccupata.
Fece per girarsi e cercarli
con lo sguardo ma appena si ritrovò a fare il giro completo
su stessa tornando a guardare verso la direzione da cui era sparito
Simon, realizzò che questi erano davanti a lei. La stavano
fissando, osservando, cercando di estrapolare qualsiasi informazione
con un semplice sguardo.
Peter e Lucy avevano le braccia incrociate, il
primo con lo sguardo serio e la sua solita aria da padre di famiglia,
la seconda con un sorrisetto divertito sul volto. Susan si guardava le
unghie, tamburellando distrattamente un piede sull'asfalto e
lanciandole delle occhiate di sott'occhi.
Edmund, invece, aveva
le braccia lungo i fianchi, come se ogni forza vitale gli fosse stata
strappata via. Strano, visto che fino a poco prima era arzillo nel
parlare di come aveva battuto Lord Nobledon, un nobile che voleva
attaccare Narnia tramite la flotta marina quando Peter era in missione
verso i confini Ovest del Regno.
Eve li guardò bene uno per
uno per un tempo infinito, aspettando di sentirsi dire qualsiasi cosa,
poi, visto che nessuno dei quattro parlava, un terribile presentimento
le si affacciò nella mente.
Non era una cosa rassicurante.
In certe situazioni, il silenzio non è mai rassicurante,
perché potrebbe scoppiare da un momento all'altro.
Peter
continuava a guardarla con la sua aria seria, facendo intendere ad
Evelyn che, se Simon le si fosse avvicinato nuovamente non sarebbero
state rose e fiori. Specialmente perchè Simon e Peter non
erano mai stati in buoni rapporti, anche se questo Eve non lo sapeva.
Susan e Lucy, nonostante l'apparenza, con gli occhi le facevano
intendere che non era finita lì, mentre un sorrisetto
spuntava sui loro visi. Edmund… Ed
aveva un espressione talmente strana e buffa, che Eve dovette mordersi
la lingua per non scoppiare a ridergli in faccia. Era a metà
tra l'imbronciato, il preoccupato, il geloso e l'indifferente.
Eve si impose di riprendere il contegno iniziando a ragionare tra
sè su come dovesse evitare in ogni modo di catalizzare tutta
la propria attenzione sul fratello, muovendo qualche passo e
borbottando da sola.
-I ragazzi di qui le fanno un brutto
effetto.- disse Peter, ricordando che a Narnia non si era mai
comportata in modo così bizzarro. Edmund si
ritrovò
stranamente d'accordo con lui, mentre Susan e Lucy si limitarono a
sorridere e ghignare tra di loro, convinte che si fosse
innamorata a vista di quel ragazzo e stesse pensando a cosa potergli
dire.
Eve s'incamminò verso il
suo istituto superandoli e lasciandoli leggermente indietro, Simon come
ultimo dei suoi pensieri – e problemi – in quel
momento. Fu raggiunta in poco tempo anche dagli altri.
Peter, Susan, e
Lucy la superarono a loro volta, intenti a parlare di qualcosa che lei
non capì, troppo presa a riprendere il flusso dei suoi
pensieri interrotto prima dell'arrivo di Senhal. Percepì la
presenza di Edmund affiancarsi a lei, che si mise a fissarla, di
sottecchi. Eve continuò a lasciare che la sua mente
continuasse a straripare pensieri, senza dargli peso, fino a quando non
le venne in mente una domanda apparentemente senza logica. Eppure per
lei era importante avere il suo parere, come sempre.
-Cosa ne pensi
dell'amore?- se ne uscì, d'improvviso, pochi secondi dopo
essersi fatta coraggio e aver regolato il respiro.
Edmund era trasalito
nel momento stesso in cui la sorella gli aveva rivolto quella domanda.
Arrestò il passo di colpo ed Evelyn non
poté fare a meno di imitarlo. La fissò a lungo
con i suoi occhi castani color terra e autunno, dritto nei suoi color
acqua e aria. Il terzogenito Pevensie, poi, allungò un
braccio, andando a toccare con una mano la fronte della sorella che,
per la sorpresa di quel gesto, si era immobilizzata sul posto, lo
sguardo che saettava dalla figura del fratello alla mano che delicata
poggiava sulla sua fronte.
-Strano... non sembra tu abbia la febbre.- esordì poco dopo
il
Pevensie, facendola concentrare solo su di lui e la sua figura. Evelyn
in risposta lo
guardò, accigliata, affilando lo sguardo.
-Guarda che sto
bene.- iniziò, leggermente acida, andando a togliere in
maniera leggermente brusca la mano di Edmund dalla sua fronte ed
espirando pesantemente per la tensione.
-E la mia
domanda è seria.- continuò, spostando il peso
solo
su una gamba, una strana sensazione di delusione che si faceva sentire
per non essere stata presa sul serio. I due si persero a guardarsi
ancora qualche attimo, incuranti degli altri tre Pevensie che
continuavano a camminare persi per i fatti loro.
-Ti sei innamorata?- le domandò Edmund, in tono
indagatore. Fare quella domanda gli provocò un'inquietudine
interna che avrebbe preferito non avere. Da un po' - un bel po' - di
tempo non poteva
nemmeno immaginare l'idea di Eve insieme a qualcuno che non fosse lui,
o uno di famiglia come Peter o Eustachio.
La sorella
sospirò, spostando lo sguardo verso il basso, come
colpevole, per celare qualcosa che aveva paura potesse capire.
-Rispondi prima tu...- mormorò, mordendosi il labbro
inferiore
senza farsi vedere e riportando poi gli occhi verso di lui.
-Penso che sia roba da femmine.- esordì, senza
nemmeno pensarci. A lui non piacevano le smancerie, non erano mai
piaciute, e men che meno gli interessavano cose come l'amore.
Bugiardo.
Si rese
conto di aver detto qualcosa di sbagliato troppo tardi, quando oramai
gli occhi
di Eve si erano prima spalancati, e poi velati di un qualcosa di
strano. Sembrava una patina di tristezza e sofferenza, come se con una
semplice frase l'avesse ferita a morte.
-Ah… comunque no, stai tranquillo.- Evelyn diede le
spalle al fratello, la morte nel cuore che contava una crepa in
più e l'umore a pezzi, ed iniziò ad allontanarsi
tra la folla di studenti e pendolari, il capo chino e gli occhi che
esprimevano le sue emozioni nascosti al resto del mondo. Era ovvio che
a lui non interessasse roba come l'amore. Era un uomo, un soldato, e
anche se avesse avuto motivo di innamorarsi, non sarebbe sicuramente
stato nei suoi confronti.
Edmund
seguì la sua figura fino
a quando non la vide scomparire tra la gente. Si diede
mentalmente dell'idiota senza saperne bene il motivo, mentre irritato
calciava una lattina che si trovava a terra
vicino a lui, prima di riprendere a camminare verso la sua scuola a
passo svelto.
***
Improvvisamente
si
ridestò da quei momenti con un balzo al cuore, ricordandosi
di Lia, ma quando si girò pronto per trovare una
giustificazione sobbalzò, trovando la grande lupa a pochi
centimetri da lui rispetto a dove era prima. La guardò,
confuso e imbarazzato, mentre questa lo fissava dritto negli occhi
castani con i suoi, che invece erano azzurri come il ghiaccio.
Così diversi
e così magnetici…
Edmund si perse qualche attimo ad
osservarli, complice il silenzio intorno a loro, e non ci scorse nulla
se non un luccichio di comprensione.
Per cosa, poi?
-Cosa
c'è, Lia?- domandò, il tono che lasciava
intendere
l'esasperazione per il fatto che la Narniana non si decidesse a
parlare.
-Niente, Altezza.- fu la semplice risposta che gli diede la lupa,
come se non ci fosse nulla da dire.
In effetti, lei non aveva nulla da
dire. Doveva solo far si che lei
soffrisse di meno. Non poteva rischiare che la sua sofferenza,
le sue emozioni, coinvolgessero anche l'equilibrio stesso di Narnia.
-Quindi perché mi fissi?- le domandò la voce del
Giusto, decisa e perentoria. O scocciata.
Scocciata per una situazione
che a lui non piaceva, perchè aveva l'impressione che Lia
potesse leggergli dentro.
La lupa optò per varie risposte,
prendendosi tutto il tempo necessario, e alla fine scese la
più semplice.
-Così...- proferì, pronta
per gustarsi l'espressione del Re che sapeva, s'aspettava una risposta
più complicata e meno confidenziale. A quella semplice
parola che
lui non si sarebbe immaginato, difatti, Edmund rimase sbigottito, e Lia
lo vide strabuzzare gli occhi e deglutire a fatica. La
squadrò, senza preoccuparsi di non farsi notare dalla
Narniana.
-Ora sono io a chiedervi cosa c'è,
Maestà, mi fissate come se mi vedeste per la prima volta.-
esordì allora la lupa, il tono di voce quasi suadente e
indagatore, perfettamente consapevole dello sguardo attento che il Re
le stava rivolgendo. Il ragazzo pensò di aver fatto, e stare
facendo una figura ridicola. Scosse la testa. La
voce della lupa lo portò alla realtà, cogliendolo
totalmente impreparato sull'argomento che stava per aprire.
-Perché non le dici la verità?-
Il ragazzo
sbiancò, il panico che prendeva il sopravvento e il cuore
che iniziava a battere furiosamente, tanto che il Pevensie
pregò che Lia non lo sentisse con il suo udito.
Automaticamente, poi, il pensiero che era Impossibile gli
balenò in testa.
Cercò di smentire la cosa,
mostrandosi sicuro di se e spavaldo, facendo il finto tonto, ed alzando
il mento, irrigidendo però la muscolatura in una posa che,
si vedeva, era forzata.
-Quale verità, Lia?- le
domandò, guardandola di traverso, cercando di mascherare
l'imbarazzo con uno sguardo indagatore e ingenuo.
-Che l’ami, no? Mi sembra ovvio.-
Edmund sbiancò nuovamente in poco tempo,
il cuore che faceva più di una capriola. Sentì lo
stomaco attorcigliarsi su se stesso dandogli una potente sensazione di
nausea.
Invece di
preoccuparsi e smentire l'affermazione della Narniana, però,
si girò,
per assicurarsi che la sorella dormisse ancora e che nessuno avesse
sentito le parole della lupa, guardando il cunicolo attraverso la porta
della camera lasciata aperta e constatando che tutti gli altri erano
impegnati nei loro
lavori mattutini, tra il cercare provviste per i giorni avvenire, al
fare la vedetta, dal forgiare armi all'allenarsi.
Deglutì
lentamente e si guardò intorno circospetto qualche altro
secondo, prima d'inginocchiarsi davanti alla lupa, in modo da guardarla
direttamente negli occhi ed averla alla stessa altezza.
-Tu. Come fai a saperlo?- sibilò, scandendo bene le parole
in un tono
vagamente minaccioso, un misto di agitazione che qualcuno avesse
scoperto il suo segreto e una sorta di invito a non infrangere quella
barriera di silenzio, come Eve aveva fatto la notte prima. Ma la sua
attenzione si spostò inevitabilmente al fatto che qualcuno,
oltre a se stesso, sapesse. Non si preoccupò nemmeno di
negare, consapevole di aver avuto una reazione esagerata da poter
essere nascosta.
Il suo terribile e sbagliato
segreto.
-E’ lampante.- gli spiegò la lupa, usando
un tono di voce dolce, che lui non si aspettava affatto e voltando
leggermente il muso di lato, non rompendo il contatto di sguardi. La
testa di Edmund rimase in pausa per qualche minuto, minuti che a lui
sembrarono infiniti, tempo in cui elaborava i fatti senza sapere cosa
rispondere. Poi, come la sera prima aveva fatto Eve, la prima cosa che
gli venne in mente di fare fu di pregare Lia di mantenere il segreto.
-Non dovete preoccuparvi di questo.- iniziò, come se fosse
automatico pensare che lei fosse una
che mantenesse i segreti.
Una confidente. Un'amica. Una persona su cui
contare.
Edmund sospirò di sollievo, contento della
solidarietà della Narniana che, notò, non l'aveva
nemmeno giudicato o fatto espressioni strane.
-Però Edmund,
voglio permettermi di darti un consiglio...- Lia lo distolse dai suoi
pensieri, e concentrò la sua attenzione su essa, attento e
in attesa che lei continuasse ed indifferente che gli avesse dato del
tu.
-Cerca di non commettere l’errore di dirle la
verità solo quando sarà troppo tardi, magari
quando rischi di perderla.- Lia sospirò leggermente,
portando la mente ad alcuni ricordi lontani. Stare lontano dalla
persona amata è uno strazio, ancor di più quando
ce l'hai vicina e non puoi averla. Capiva la sofferenza a cui i due
ragazzi erano soggiogati da ormai svariati anni.
Edmund strabuzzò gli occhi,
mentre le parole della lupa gli furono subito chiare, illuminandolo sul
fatto che entro poco tempo avrebbero dovuto affrontare vari scontri. E
in battaglia c'è sempre il rischio che qualcuno possa
rimanere ferito, o peggio...
Morire.
E contro una morte certa non
c'è nessuna pozione del fiore di fuoco che tenga testa.
Edmund scacciò subito quel pensiero molesto dalla testa,
mentre si rendeva conto che tenersi tutto dentro non gli era d'aiuto, i
ricordi della sua vita che andava via quando fu colpito da Jadis che
ritornavano a galla, ancora vividi.
Un'improvvisa determinazione gli
illuminò gli occhi, un
luccichio di convinzione che lo rendeva più sicuro di se
stesso. Prima o poi Eve avrebbe avuto il diritto di sapere, e lui
avrebbe trovato il coraggio per togliersi quel peso. Annuì
tra sé, convinto, lanciando uno sguardo di ringraziamento
verso Lia.
Forse Evelyn non aveva la forza o
il coraggio necessari per rendere se stessa finalmente felice, quindi
quello che doveva fare la prima mossa era Edmund, più
temerario di lei, in modo che la spingesse ad aprirsi e accettare la
cosa.
Dalla parte opposta della stanza il Pevensie rivolse un ultimo
sguardo alle due, sorridendo impercettibilmente in direzione della
Narniana, dopodiché uscì dalla stanza per andare
ad allenarsi per la battaglia che ci sarebbe stata entro breve.
E i
dubbi che lo assillavano da tempo, che iniziavano a diradarsi dalla sua
mente.
***
Evelyn
si
svegliò a mattina inoltrata. Aprì lentamente gli
occhi, senza fretta e prendendosi tutto il tempo necessario per godersi
quegli ultimi attimi di dormiveglia.
Non ricordava di aver mai dormito
così bene negli ultimi tempi – anni – e
fu contenta di ciò, perchè si sentiva finalmente
più tranquilla e in parte leggera.
Si guardò
attorno e fu sorpresa di trovarsi, invece che in mezzo all'erba e
guardata dal cielo azzurro di quella tonalità speciale che
non aveva mai scordato, in una camera della casa di Aslan.
Perchè era sicura di essersi addormentata fuori, mentre
tentava di contare le stelle del limpido cielo del nord.
Fece giusto in
tempo a rimettere in ordine i pensieri, che la sua attenzione fu
attirata dalla sagoma della lupa che faceva il suo ingresso nella
stanza.
-Ben svegliata.- l'accolse quella, avvicinandosi a lei e mimando
un inchino con il muso.
-Quanto ho dormito?- domandò, mentre si stropicciava gli
occhi e lanciandole un breve sorriso.
-Un
po'. E' mattina inoltrata.- mormorò Lia, mettendola al
corrente. La schiena di Eve s'irrigidì in posizione
verticale, la mascella si strinse e il profilo s'indurì,
improvvisamente agitata, attenta e sveglia del tutto. E con un vago
senso di delusione per – ne era sicura, gli altri a quell'ora
erano già svegli, sicuramente – essere stata
lasciata indietro.
-Perché nessuno mi ha svegliato?-
domandò, offesa e corrugando la fronte, iniziando ad
alzarsi. La lupa la guardò, divertita dalla sua espressione
e affranta per quel senso di delusione che stava provando.
-Penso fosse perché dormivi come un angelo...- la
stuzzicò. La ragazza sospirò rassegnata,
poi, dopo essersi alzata, fece per avviarsi fuori con Lia, pronta a
dare battaglia verso coloro che non l'avevano coinvolta nelle
attività mattutine e facendola sentire in difetto.
Evelyn si
mosse decisa in direzione dell'uscita senza accorgersi che la gonna del
vestito era rimasta incastrata tra le coperte, così fece
appena in tempo a registrare di uno strattone che le bloccò
i movimenti, prima
di ritrovarsi a terra, con i palmi delle mani doloranti e un po'
arrossati per via del colpo ricevuto sul pavimento di pietra.
Lia ridacchiò, consapevole che la Regina non si era
fatta nulla, mentre Eve imprecava su chi fosse così stupido
da lasciare un ammasso di coperte per terra. Si sorprese nel capire che
gli oggetti che avevano attentato alla sua
vita non erano suoi;
realizzò, poi, che quella non era la stanza sua e delle sue
sorelle. Automaticamente le venne in mente la domanda su dove avesse
dormito.
-Se ti stai chiedendo dove ti trovi, posso dirti che sei nella
camera dei tuoi fratelli, precisamente sul giaciglio di Edmund.- Lia
rispose ai suoi dubbi in maniera pratica, come se le avesse letto nella
mente e le fece riportare lo sguardo su di lei. La Pevensie
avvampò a quel pensiero, al pensiero constante di aver
condiviso il letto di Ed che aveva iniziato a martellarle nella testa.
-Lia!- fece, imbarazzata, sapendo a cosa alludeva
la Narniana e alzandosi, cercando di togliere il pezzo di gonna che si
era incastrato tirandolo malamente verso di sé.
-Scusa, scusa…- le risposte questa, senza mascherare il
divertimento per la scena che si stava svolgendo davanti a lei.
-Che ne dici di andare fuori a salutare gli altri?-
spezzò il silenzio poco dopo, mentre continuava ad osservare
i suoi
tentativi di liberarsi falliti.
-Si, va bene.- asserì Eve, che, stanca di quel
pezzo di stoffa che non voleva seguirla, diede l'ennesima tirata
riuscendo ad averla vinta. Per il brusco modo con cui il vestito si era
slegato dal mucchio di coperte la Pevensie si ritrovò a fare
qualche passo indietro, rischiando di cadere per la perdita
d'equilibrio.
-Però prima voglio farti una domanda…-
continuò, mentre si sistemava una ciocca di
capelli, seguiti a ruota dalla gonna del vestito che stava lisciando
alla bene e meglio. La lupa, che si era incamminata verso l'uscita non
appena la Pevensie si era liberata dalle coperte, arrestò il
passo e si girò a guardarla, quasi consapevole di
ciò che Evelyn le stava per chiedere.
-Chi mi ha portato
qui?- domandò infatti quella, un tantino esitante.
A
quel punto Lia iniziò a raccontare i fatti, cercando di
essere il più breve possibile e osservando attentamente
l'espressione della ragazza che aveva di fronte.
-Ti sei addormentata
fuori dopo avermi dato il ciondolo, come ben sai. La mattina dopo tutti
si chiedevano che fine avevi fatto e tramite delle sentinelle i tuoi
fratelli e gli altri sono venuti a sapere che eri dietro le rocce.- si
fermò un attimo, Evelyn che la guardava curiosa e la
invitava a continuare con lo sguardo.
La lupa pensò alla
faccia che avrebbe fatto a sentire il resto del racconto, e sorrise
senza far notare il suo cambio d'umore tramite lo sguardo, che fece
rimanere della solita nota indifferente e seria.
-Edmund è
stato il primo ad avvicinarsi, seguito dagli altri e dopo qualche
attimo Peter ti ha presa in braccio per portarti dentro.- sentire che
era stato il maggiore a prenderla in braccio fece rilassare
visibilmente il viso della Regina, la quale tirò un sospiro
di
sollievo. Però, la Pevensie capì che Lia aveva
lasciato in
sospeso la frase e che il racconto non era ancora finito del tutto.
La
sua espressione divenne attenta e indagatrice, gli occhi che si fecero
poco più azzurri del normale, andando ad assomigliare a
quelli di Peter.
-Cosa c'è che devo ancora sapere?
Perché c'è qualcosa, lo capisco.-
indagò, avvicinandosi alla Narniana. La lupa
meditò qualche secondo sulle parole da usare, prima di
parlare.
-Si, Peter ti ha preso in braccio... però poi ti ha
dato ad Edmund, perché lui doveva discutere con Caspian
riguardo il piano da attuare entro breve.- le spiegò,
sincera
e diretta, senza omettere nulla.
Dopotutto
con lei
doveva essere sempre così. Sincera e leale fino alla morte.
Lo aveva promesso.
Il
viso di Eve
sbiancò quando la sua mente ebbe registrato quelle parole, e
le gambe iniziarono a tremare leggermente, come se si stessero
svuotando di tutto. Si mise una mano sulla fronte percependo le guance
accaldarsi velocemente, per assicurarsi che non le fosse salita la
febbre, e ridendo nervosamente.
Evelyn si arrabbiò con se stessa per non essersi accorta di
nulla. Poche e rare occasioni le si
presentavano per stare vicina – molto vicina – ad
Edmund e lei le sprecava in quel modo.
Scosse la testa, iniziando a
maledirsi da sola, gesticolando e battendosi più volte la
mano sulla fronte, emozioni contrastanti che la
stavano mettendo alla prova: voleva, ma non poteva; quindi sarebbe
dovuta essere contenta di non essersi accorta di nulla, in modo da
ignorare l'accaduto.
Ma come poteva ignorare
una cosa così?
Si voltò improvvisamente a guardare
Lia, che la stava fissando in silenzio, studiando il suo comportamento
alquanto bizzarro che a volte aveva ma senza sorprendersi di fronte ad
esso.
Tanto la conosceva.
Sospirò pesantemente abbassando il
capo, come sconfitta e vuota di tutto. Dopo aver scosso la testa ed
emesso un ennesimo sospiro, alzò lo sguardo, seguendo la
lupa per andare nella radura ad incontrare gli altri e allenarsi.
Era
un caso perso.
Io
non so davvero
come farmi perdonare. Mi dispiace, mi dispiace,
mi dispiace; vi ho fatto attendere due mesi e più per un
capitolo che inizialmente, a parer mio, non mi convinceva nemmeno un
po': rivedevo troppo il vecchio stile. Mi dispiace, tanto.
Avrei dovuto aggiornare prima, ma non ci sono riuscita: ho
avuto come una specie di blocco per la parte iniziale di questo
capitolo. Al pensiero di dovermi mettere giù e scriverla mi
passava la voglia.
Bene, ora,
detto questo, direi di passare al capitolo: come avete notato, per chi
si ricordasse la vecchia versione, non è cambiato molto,
tranne il primo pezzo iniziale che ho dovuto modificare
perchè qui ho diviso i Pevensie, mentre prima dormivano
tutti nella stanza della tavola di pietra.
Capitolo di
semi-transizione, in cui entra in gioco Lia, e su cui non ho molto da
dire. Il prossimo capitolo avrà un momento Suspian, per la
gioia di alcuni ;)
Spero sia stato di vostro gradimento e di sapere che
ne pensate.
Ringrazio coloro che leggono anche solo in silenzio, le
persone che preferiscono, che seguono e quelle che hanno
commentato i capitoli precedenti. Grazie a tutti di continuare a
seguirmi e di avere pazienza nonostante i tempi d'aggiornamento non
siano dei migliori, davvero <3
Spero
di rivedervi
presto :3
Love,
D***
|
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Capitolo 10 *** Quello che nel detto - non - viene celato. ***
Narnia's
Spirits
Quello
che nel detto - non - viene celato.
Evelyn
stava percorrendo il corridoio che portava fuori dalla casa di Aslan,
mentre la sua mente, ancora con una patina di sonno vagante, esplorava
i pensieri più vari.
Era sempre stata una pigrona, e dormire
era una cosa che adorava fare. Purtroppo, o per fortuna, il suo senso
del dovere si era sviluppato enormemente da quando era diventata
Regina, e certe volte dormire le sembrava la cosa più noiosa
del mondo se messa a confronto con tutto ciò che si poteva
svolgere fin dalle prime ore del giorno.
Andare alla spiaggia su cui svettava Cair Paravel per osservare le
prime luci dell'alba illuminare il mare era, ad esempio, una delle
attività che preferiva fare di prima mattina e che non le
pesava. In quel modo le sembrava di avere il mondo in mano, ferma in
una bolla di pacatezza in cui non esisteva nient'altro che lei che
osservava l'orizzonte.
Mentre camminava diretta verso l'uscita sentiva
in lontananza la voce di Peter, seguita dal canclore delle spade. Il
tono autoritario riusciva a sovrastare quei rumori acuti e graffianti
quel tanto che bastava per far sentire fin da dentro la casa di Aslan
quello che intimava.
-Coraggio Ed, mettici
più impegno e
svegliati, in battaglia mica aspettano te!-
Il Magnifico
riprese il fratello, quella mattina più lento del solito nel
parare i colpi, con una nota di disappunto. Sembrava quasi distratto.
Probabilmente era normale, stavano per affrontare una guerra. Una
guerra diversa dalle altre, si sentiva nell'aria. Si respirava
tensione, incertezza, paura del risultato.
Narnia era diversa da come
la ricordavano ed erano passati milletrecento anni da quando se n'erano
andati. Una cosa che avrebbe lasciato
spiazzato chiunque.
Evitò un fendente di Edmund,
abbassandosi, per poi roteare su se stesso e colpirlo a sua volta dal
basso. Il fratello saltò, evitando un colpo che avrebbe
potuto spezzargli i tendini.
-Non preoccuparti Peter, starò
attento.- fece qualche passo indietro per prendere le distanze,
i sensi tutti all'erta, lo sguardo vigile pronto a cogliere ogni
movimento e la fronte da cui colavano lievi gocce di sudore.
A Evelyn,
ora con sotto gli occhi la scena, spuntò un sorrisino: ormai
tutti i fratelli Pevensie avevano capito cosa si celava dietro la
maggior parte delle frasi del maggiore dei Pevensie. Come in questa, in
cui aveva sottinteso al fratello di fare attenzione.
Peter
ghignò, scambiandosi uno sguardo con il ragazzo che gli
stava di fronte, per poi
rimettersi in posizione d'accatto. Scattò in avanti, pronto
ad ingaggiare un nuovo scontro, quando sentì distintamente
l'adrenalina pulsare, il sangue ribollire e l'energia che aveva ogni
volta che combatteva premere, fremere, per uscire sotto forma di colpi
mortali.
***
-Hai
dormito bene sul
prato?-
La voce di Caspian le arrivò vicina, facendole
girare di scatto la testa verso il Principe, per rivolgergli tutta la
sua attenzione e distogliendo lo sguardo dai fratelli, il tono di
scherno e vagamente ironico condito, però, da un sorriso
rassicurante.
Da una parte la ragazza se lo aspettava: aveva passato la
notte in mezzo ad un prato. Corrugò la fronte: non era una
cosa poi che faceva così ridere, ripensandoci.
Però, probabilmente, faceva divertire per strane ragioni gli
interlocutori che la circondavano.
-Certo, era da molto che non dormivo
così bene.- rispose, calma e tranquilla, sorridendo e
alzando leggermente il mento, uno scintillio di furbizia nello sguardo.
Se l'avevano nominata la Scaltra – soprannome che all'inizio
l'aveva lasciata abbastanza confusa, se messo a confronto con quelli
dei fratelli – un motivo c'era.
In quel momento al quartetto
si avvicinarono anche gli altri Pevensie, dopo aver notato che la
sorella si era svegliata e li aveva degnati della sua presenza.
-Ben
svegliata Eve!- l'accolse Susan, l'arco con cui si stava allenando poco
prima insieme a qualche arciere tenuto in una mano e la faretra
solitamente piena di frecce dalle piume color rubino scarlatto quasi a
metà. Eve le sorrise di rimando, per poi voltarsi verso
Peter, che aveva sentito prendere aria prima di parlare.
-Era ora che
ti facessi vedere.- le disse, iniziando a stuzzicarla, il
tono tra lo scherno e il velato rimprovero per le ore perse. Lei lo
fulminò con un'occhiataccia, il viso che faceva una smorfia
seguito da una lieve alzata di spalle: se loro l'avessero svegliata non
avrebbe perso tutto quel tempo. E che diamine, non è che
potesse essere sempre colpa sua.
Per stare al gioco, anche Edmund diede
manforte al fratello.
Sapeva quanto Evelyn odiasse essere ripresa.
Sapeva che avrebbero dovuto svegliarla. Sapeva che stavano
leggermente esagerando, e che avrebbero potuto fare altro di
più importante che comportarsi come degli adolescenti
– cosa che erano, ma anche no. Sapeva che c'era
anche la possibilità che la sorella se la prendesse a morte
con loro.
Ma vedere Eve così stizzita non aveva prezzo.
-Mentre tu stavi dormendo beatamente noi stavamo sudando per
prepararci. Non ti pare ingiusto?- le fece notare, parlando per la
prima volta e attirando i suoi occhi chiari su di sé.
La
sorella minore distolse la sua attenzione dal fulminare Peter e
Caspian, che a loro volta si incenerivano a vicenda, e portò
lo sguardo su Edmund, il volto una maschera d'apparente indifferenza.
Non appena lo guardò le ritornarono in mente le parole di
Lia. Il pensiero di essere stata presa in braccio le mandò
in fumo il cervello. Evesentì il cuore iniziare la
sua corsa, e ne stava lentamente ed
inesorabilmente perdendo il controllo. Ebbe l'impressione che avrebbe
ceduto, da un momento all'altro, tanto pulsava. Una vampata di calore
l'avvolse, scoppiandole dentro e irradiandosi in ogni centimetro del
suo
corpo. Sospirò internamente, cercando di
mantere il controllo.
Alzò un sopracciglio, fissando lo
sguardo acqua e prato su Edmund e si preparò a rispondere
dopo un'accurata selezione delle parole. Pensò a come poteva
fare, nella sua solita maniera tagliente e apparentemente fredda.
Ghignò impercettibilmente, per poi iniziare a parlare senza
fretta, facendo trasparire una calma che in realtà non
aveva.
-Un po di riposo mi fa bene... visto che ieri vi ho quasi battuti.-
disse, facendo
ciondolare il capo da una parte, in un'apparente espressione angelica.
I visi dei tre ragazzi cambiarono, al suono delle parole di Eve. Si
fecero imbronciati e stupefatti, increduli per quella mancanza di
rispetto. Ovviamente non avevano perso. Semplicemente non avevano fatto
sul serio.
Perdere.
Era una parola che non andava d'accordo con loro. Mai,
mai sarebbero stati battuti. Perdere non rientrava
nel
loro vocabolario.
-Avete
in
mente qualche piano?- s'intromise Lucy, spezzando il
silenzio ancor prima che calasse sul gruppo, rivolta ad un Peter dal
volto serio e pensante. Questi si voltò verso
la sorellina, dopodiché si girò leggermente,
scambiandosi uno sguardo con Caspian, gli occhi seri e i lineamenti
improvvisamente duri.
Gli lanciò uno sguardo di
superiorità, quasi di disprezzo e stizza, facendo intendere
che per lui la presenza del Principe era più che altro un
intralcio che un aiuto.
Si voltò nuovamente verso Lucy,
raddolcendosi e tornando un poco rilassato, poi annuì,
convinto.
-Si. Ve lo illustrerò
verso
sera.- decretò, una vena superiore e orgogliosa per essere
riuscito in poco tempo a creare un piano di battaglia. A nessuno
sfuggì il tono sgarbato e la frase al singolare che aveva
usato,
benché Lucy avesse parlato al plurale.
Susan scosse la testa, osservando con gli occhi grigi Peter,
rimproverandolo
silenziosamente con lo sguardo. Sguardo che il fratello non ebbe
minimanente paura a sostenere, certo di avere ragione.
Lui era il Re Supremo, su tutti i
Re e le Regine, del passato, del presente e del futuro: Caspian era
solo il figlio e nipote di una razza di usurpatori che aveva rovinato
la sua terra non appena ne avevano avuto occasione. Peter cercava in
tutti i modi di discolpare lui e la sua
famiglia, sapendo benissimo che non era per niente, nessuna ragione al
mondo, loro intenzione lasciarla.
Edmund ed Eve si scambiarono uno sguardo, consapevoli dei pensieri
dell'altro. Peter era orgoglioso, il più orgoglioso tra
tutti loro, e probabilmente non conosceva ancora abbastanza bene
Caspian da fidarsi di ciò che diceva. Maa questa
volta, questa... non si trattava di un gioco, di una rissa tra
ragazzini. C'era una guerra in ballo, la vita di un esercito, un popolo
intero. Peter avrebbe dovuto tenere conto che stava decidendo per la
vita di altri soldati, e non solo la sua.
Sospirò: suo
fratello non era stupido, se era Re Supremo un motivo di base c'era.
-Quindi abbiamo qualche ora di tempo…- cominciò
Susan, vaga, guardandosi intorno, per poi posare lo
sguardo su Eve e distogliendo tutti dalle loro riflessioni.
-Che cosa vuoi fare?- le domandò infatti
quella, indagatrice, anticipando gli altri, un velo di impazienza e
curiosità nello sguardo.
-Beh, si potrebbe andare a fare un
giro di ricognizione, giusto per vedere se è tutto
più o meno come lo ricordiamo.- spiegò, rivolta
alla sorella per poi osservare gli altri. Si pentì delle sue
parole, però, al ricordo di come il fiume che dovevano
attraversare aveva scavato nella pietra. Se quello era cambiato, Cair
Paravel era stato distrutto e non avevano riconosciuto nemmeno la
spiaggia nella quale si divertivano a nuotare e scherzare,
chissà il resto di Narnia...
Chinò il capo quando
incontrò lo sguardo di Caspian.
-Anche se...-
iniziò, affranta, lo sguardo spento e un lieve timore nel
dire ad alta
voce i suoi pensieri. Come se i suoi fratelli non lo sapessero
già.
-Anche se...?- l'incalzò Lucy, gli occhi
con un velo di preoccupazione che la scrutavano e il tono di voce
flebile. Quella si ricordò della sensibilità di
sua sorella e si affrettò a cambiare tono, un finto sorriso
molto tirato sul viso.
-Niente Lucy, stavo per dire una cavolata.-
Eve le
guardò qualche attimo, gli occhi apparentemente indifferenti
e il volto serio. Aveva forse capito cosa sua sorella stava per dire.
Ma per non dare ancora una stilettata a loro Susan si era tenuta il
pensiero per sé, anche se lo condivideva con tutti e
quattro.
Narnia. La loro Narnia.
Era diversa.
Sgranò gli
occhi: potevano definire quel luogo ancora loro? Sovrani certo ma,
loro? Gli apparteneva? Dopotutto, loro non facevano parte di quel
mondo, anche se lo definivano casa.
In ogni caso, Narnia
probabilmente era loro, ma adesso... non la riconoscevano
più, non era più Lei. O forse lo era
ancora, ma
andava soltanto trovato il luogo adatto. Ma come milletrecento anni
prima, Narnia sarebbe mai ritornata come milletrecento anni prima?
Telmarini.
Affilò lo sguardo, improvvisamente seria, quando
quella parola le arrivò alla mente.
Loro.
Loro avevano
invaso Narnia, loro non si erano fatti problemi a distruggerla,
cambiarla e plasmarla a loro piacimento.
Un moto di rabbia le percorse
la schiena, mentre stringeva un pugno, e lanciò uno sguardo
di odio e disprezzo a Caspian, gli occhi dalla vena azzurra
più accentuata. Forse capiva un poco cosa provava certe
volte Peter quando lo vedeva: loro, la sua razza aveva cambiato Narnia.
La sua razza...
che era anche la sua, a quanto sapeva.
Incrociò lo sguardo
di Lia, smarrita, la testa che le girava improvvisamente: aveva...
aveva provato ad odiare
Caspian. Caspian che non centrava nulla.
Caspian che era innamorato di sua sorella. Caspian che per lei stava
diventando un vero amico. Come...
come aveva anche solo
potuto
pensarle, certe cose, benché sapesse la sua
storia?
Le parve
che la lupa le sorridesse rassicurante, quasi a leggere i suoi
pensieri. In effetti la capiva al volo, la Narniana, come... come
poteva? Sospirò, scoccando poi uno sguardo al Principe che
continuava a parlare con gli altri.
Era colpa loro.
Se loro non se ne
fossero andati, forse avrebbero avuto la forza di respingere Telmar. Se
fossero rimasti, i Narniani non si sarebbero ritrovati da soli durante
le invasioni.
No.
Era colpa sua.
Avrebbe dovuto fermali, quando si era resa conto di
dov'erano. Avrebbe dovuto memorizzare ciò che stava
accadendo in maniera più veloce. Se avessero continuato la
loro vita li, sarebbe stato tutto diverso. Avrebbe dovuto passare
ancora poco tempo con Edmund, anche se in realtà il solo
pensiero non le dispiaceva, ma di più. Non poteva nemmeno
immaginare la sua vita senza i suoi fratelli. Però almeno
avrebbe avuto solo poco più di metà vita da
vivere, il peso con cui convivere che, magari, si affievoliva sempre di
più con la vecchiaia.
Quella seconda vita era una maledizione e una
benedizione al tempo stesso.
Forse poteva essere una seconda
possibilità? Si, ma... non glielo avrebbe detto lo stesso,
alla fine anche se ci pensava non ne aveva il coraggio. Oppure uno
scherzo di cattivo gusto per tutto il tempo passato a soffrire? Tanto
aveva sopportato una volta, una seconda cosa vuoi che sia?
Avrebbe,
avrebbe, avrebbe, forse, forse, forse…
Tanti dubbi che
s'insinuavano nella sua testa come serpenti, strisciando languidi e
continuando a fischiarle nelle orecchie come una melodia letale.
La
penultima Pevensie si riscosse e riuscì a captare il senso
del discorso che gli altri avevano continuato a fare, tornando
apparentemente come sempre. Pensò, le rotelle del suo
cervello che lavoravano a manetta per focalizzare l'attenzione su
ciò che aveva capito.
-Per me va bene.- proferì, decisa.
Il secondo a prendere parola fu
Edmund, che aveva fino a quel momento ascoltato il discorso a grandi
linee, scrutando di tanto in tanto il volto di Eve. L'aveva visto
cambiare almeno quattro volte, ma non si era permesso di distoglierla
dai suoi pensieri.
-Non è una cattiva idea.-
iniziò, scoccandole uno sguardo di traverso per poi
spostarlo sugli altri.
-Almeno se qualcuno per disgrazia si perde sa
come orientarsi.-
-Solo tu riusciresti a perderti.- lo
rimbeccò la più piccola dei Pevensie, scherzosa e
un poco indispettita per la frase prima. Anche se in realtà,
sapeva a chi il fratello si stava riferendo, e di certo non era lei.
Edmund era padrone del bosco, lo conosceva benissimo. Lungi dal
perdersi, lui.
-Non è vero! E' Eve quella
che ha un pessimo senso dell'orientamento.-
continuò, indicandola come se fosse colpevole di aver fatto
qualche danno. La ragazza tirata in causa si voltò di botto
verso di lui, arrossendo d'imbarazzo e con lo sguardo che lanciava
saette, gonfiò le guance.
-Ehi!-
fece, indispettita, dandogli un pizzicotto sul braccio.
Con quel contatto a entrambi passò una scossa lungo la
schiena, che lasciò cadere il discorso nel silenzio, Eve che
si pentiva di aver agito così d'impulso e che incrociava le
braccia come per proteggersi.
Peter si limitò ad annuire nel ritrovarsi tutti gli occhi
puntati sulla sua figura.
***
Una decina di minuti dopo, giusto
il tempo per prepararsi e avvertire che si sarebbero allontanati per
qualche ora, Caspian, i cinque Pevensie, Lia e Trumpkin si accingevano
ad entrare nel bosco sotto la guida esperta della lupa e del nano.
Iniziarono a seguire un sentiero che non si allontanava troppo dalla
Casa di Aslan, in
quanto seguiva il perimetro della radura costeggiandola dall'interno
del bosco.
Il
gruppetto si guardava intorno sempre sull'attenti in caso di attacchi
nemici, ma la situazione sembrava tranquilla e Lia non avvertiva
presenze estranee, così, dopo i primi minuti, si
rilassarono.
No, non c'era niente della vecchia Narnia, lì.
Per quanto si sforzassero di ritrovare qualcosa di familiare che non
fosse cambiato con il tempo, i fratelli Pevensie non trovarono nulla
che li riconducesse alla pianura che molte volte avevano visitato in
occasione dell'anniversario della battaglia vinta contro Jadis e della
rinascita di Aslan.
Eppure quei dintorni avrebbero dovuto conoscerli bene, luogo sacro da
cui era possibile scorgere l'oceano, la spiaggia
ed il promontorio sul quale si stagliava, imponente, Cair Paravel
– una volta.
Ora era tutto circondato dalla foresta, cresciuta in quei millenni di
loro assenza. Gli alberi una volta danzanti erano
immobili, sembravano morti. Le varie tane, una volta occupate dalle
volpi, dai tassi o dai
castori, erano vuote e se vi si guadava all'interno si
vedeva solo buio… un profondo buco nero, da cui poteva
saltare fuori il tuo peggior incubo pronto a trascinarti con
sé.
Non c'era il cinguettio allegro degli uccelli o gli
scoiattoli che giocavano e saltavano tra le fronde degli alberi, le
driadi fluttuanti nell'aria o i fili d'erba che si muovevano a tempo
cullati dal vento. Niente, non c'era più niente.
Narnia era
come…
-Morta.-
sussurrò Evelyn, osservando i dintorni affianco a Peter.
Tutti si
bloccarono e si girarono a guardarla, consci del mormorio proveniente
da lei ma senza averlo capito, poiché dal tono troppo basso
e veloce.
-Hai detto qualcosa?- le chiese Susan, apprensiva. Come gli
altri aveva sentito il sussurro,
ma non era sicura se fosse reale o fosse solo la sua immaginazione.
La
penultima Pevensie in risposta scosse la testa morsicandosi la lingua
per non essersi accorta di aver detto il suo pensiero ad alta voce,
rischiando di far ricadere in depressione i suoi fratelli. Ma poi
pensò di essere fortunata visto che, a quanto pareva,
nessuno aveva capito cosa aveva detto – nessuno esclusa Lia,
visto il suo udito da lupa, immaginò.
-No, non ho
detto niente.- affermò, cercando di tradire calma e
fermezza.
La maggiore la scrutò un attimo, non credendole palesemente
e per niente decisa a lasciar perdere.
-Andiamo, ho sentito che hai detto qualcosa.-
la esortò, il
tono di voce un poco curioso. Evelyn la guardò, aprendosi in
un sorriso per cercare di dissimulare il più possibile.
Sentiva le guace tirare per lo sforzo.
-Davvero, non ho detto niente, e se anche lo avessi fatto era un
mio pensiero. Ma niente d' importante.- era consapevole che tanto i
suoi pensieri erano gli stessi dei fratelli, con un rapido ragionamento
ci sarebbero arrivati da soli senza bisogno di parole.
-Quindi
ammetti di aver detto qualcosa.- la riprese Lucy, che la guardava. Eve
si voltò verso di lei, evitando di sospirare esasperata per
quell'attenzione rivolta verso di lei e che, per i suoi gusti, stava
diventando troppa.
-Si, ma niente d'importante.- rincarò,
sicura, facendo intendere che non avrebbe scucito una parola a
riguardo. Peter la scrutò, di sottecchi: aveva sentito, e
bene, ma non gli sembrava il caso di obbligarla a parlare se non
voleva.
***
Arrivarono
in un piccolo spiazzo d'erba poco dopo, da cui dal folto della foresta
faceva
capolino un piccolo fiumiciattolo: l'acqua scorreva placida e in
maniera quasi impercettibile, trasportando, alle volte, foglie cadute o
petali di fiori trasportati dal vento, testimoni della corrente che
scorreva probabilmente diretta verso il mare o qualche lago nascosto
nel fitto
della foresta.
Susan si fermò, osservando il suo viso
riflesso in quel liquido cristallino e puro. S'inginocchiò
per poter essere più vicina allo specchio d'acqua, e ci
immerse dentro due dita, creando cerchi concentrici che andarono a
smuovere quella calma quasi straziante. Da quanto era ritornata a
Narnia faticava a trovare un punto fermo in tutto ciò che
stava succedendo.
Cair Paravel distrutta,
i Narniani decimati, i Telmarini... Caspian.
Susan sospirò, socchiudendo gli occhi e lasciandosi cullare
dal fresco che sentiva intorpidirle le dita, domandandosi quali prove
avessero in serbo per loro la Grande Magia e Aslan, quella
volta.
Caspian le si
avvicinò, piano, dopo essersi perso a contemplarla per vari
minuti, perso nei suoi pensieri. Poi parlò, ridestandola
dalle sue riflessioni, abbassandosi al suo stesso livello in modo da
poterla sentire più vicina e scorgendo oltre la sua spalla
il volto della Pevensie sulla superficie del fiume.
-Tranquilla.- iniziò,
un impercettibile sorriso sul viso. Vide il riflesso nell'acqua della
Regina trasalire impercettibilmente.
-Non sembri
avere milletrecento anni in più di me.- ironizzò,
sorridendo al volto della ragazza riflesso nell'acqua e spogendosi del
tutto. Susan si voltò di
scatto verso di lui, non peroccupandosi minimamente di
mascherare il proprio disappunto.
-Mi hai spaventato!- fu la prima cosa che riuscì a dire,
dopo essersi soffermata pochi attimi sulle labbra di lui. Il tono di
voce finto arrabbiato e un luccichio
di rimprovero negli occhi grigi avrebbero fatto scusare chiunque, ma
Caspian non si fece toccare.
-D'accordo, d'accordo. Scusami.- si alzò di scatto e
indietreggiò di pochi passi, sollevando le braccia in segno
di resa.
-Non
volevo spaventarti, ma è anche colpa tua. Eri
così assorta che non hai neanche sentito le tue sorelle che
se ne andavano.-
Cosa?
In quel momento
Susan si guardò in giro, uno strano batticuore e una
sensazione di panico che facevano capolino senza che lei li avesse
chiamati. Sondò il perimetro di quel piccolo paradiso di
tranquillità, il volto una maschera indecifrabile che
nascondeva il tumulto di emozioni che le stavano inondando il corpo.
I suoi
fratelli non
c'erano. Trumpkin non c'era. Lia non c'era. Non c'era
più nessuno, li, a parte loro due.
Inspirò a
fondo, per calmarsi.
-Hanno detto
che se trovano qualcosa di interessante ce lo riferiranno quando
torneremo alla casa di Aslan.- ci pensò Caspian a riportarla
alla realtà per l'ennesima volta, ricatalizzando
l'attenzione della Pevensie sulla sua figura e facendola smettere, in
quel modo, di sondare i dontorni in modo febbrile.
-Allora, a cosa stavi
pensando?- domandò, dopo essersi schiarito la voce, per
cercare di non far cadere il silenzio.
-Sempre
se me lo vuoi dire- s'affrettò poi ad aggiungere, per non
farle sembrare che volesse entrare nella sua testa ad ogni costo. Susan
lo fissò negli occhi neri e lui arrossì
leggermente, imbarazzato, ma mise da parte l'imbarazzo che sentiva
arrossargli le guance e non deviò lo sguardo.
-Stavo
pensando…- iniziò quella, dopo qualche secondo,
bloccandosi quando vide di come il Principe avesse alzato le
sopracciglia per farle capire di stare dicendo l'ovvio. La ragazza gli
scoccò un'occhiataccia. Riprovò a intavolare un
discorso, ma si bloccò nuovamente, sgranando gli occhi,
conscia su ciò che stava per
dire. E che non poteva far trapelare.
Non poteva dirgli quello a cui
stava pensando! Non poteva dirgli che stava pensando anche a lui!
No, non
poteva per niente.
Decise di non mentire, ma tenere i propri pensieri sul ragazzo per
sé, limitandosi a constatare l'ovvio.
-Stavo pensando a Narnia, al fatto che da dove vengo io in
Inghilterra sono passati quasi due anni, mentre qui ne sono
passati ben milletrecento...- Era la prima volta da quando era
ritornata a Narnia che sfogava i suoi dubbi e pensieri con qualcuno:
anche con i suoi fratelli era rimasta vaga. Si sedette sull'erba e
Caspian le si avvicinò, raggiungendola per continuare ad
ad ascoltarla.
-Quando Trumpkin ce lo ha detto io e i miei
fratelli siamo rimasti sconvolti, letteralmente, in quel momento mi
sono venute tante di quelle domande...-
-Tipo?-
-Beh, per
esempio se avremmo trovato ancora la Narnia di una volta, la cui
risposta è no;
se ci sarebbero stati il signor Tumnus e i Castori, che hanno quasi
rischiato la vita per noi. Lucy e
Evelyn sono rimaste distrutte nel sapere che non ci sono più
e anche io, Edmund e Peter anche se abbiamo cercato di mostrarlo di
meno per loro e poi…- si bloccò, lo sguardo
fisso sul torrente che scorreva tranquillo.
-Poi?- quella di Caspian sembrava tanto una preghiera, una supplica mal
celata: lui
voleva sapere quello a cui pensava e la tormentava, come se ora che lo
sapeva in parte non potesse più farne a meno. Voleva cercare
di sapere il più possibile, perché in qualche
strana maniera si sentiva in dovere di aiutarla. Avrebbe fatto
ciò che era in suo potere per darle quel conforto e
comprensione che cercava ma che, dall'alto della sua fierezza, cercava
di nascondere.
Lei guardò in viso Caspian, il quale le sorrideva
impercettibilmente, e ricambiò, riportando poi lo sguardo
sul torrente.
-E poi il dubbio più grande: Aslan.-
Il ragazzo
da parte a lei aggrottò leggermente la fronte: Aslan? Che
centrava il grande leone di cui, quando pronunciava il nome davanti
alle
creature di Narnia, queste si bloccavano e lo guardavano con in volto
le espressioni più disparate?
Susan lo riportò alla
realtà rispondendo, in parte, ai suoi quesiti.
-Lucy ed
Evelyn dicono di averlo visto quando siamo arrivati alla gola del fiume
Rapido, ma quando ci siamo voltati tutti lui non c'era
più… se mai c'era stato. Perché non si
è
fatto veder anche da noi? Perché solo a loro due? Sono
domande che mi tormentano a cui non so dare una risposta; magari, come
ha detto Peter, era solo un leone selvatico…-
sospirò, affranta, posando il capo sulle ginocchia
raggruppate al petto e chiudendo per qualche attimo gli occhi,
espirando pesantemente per rilassarsi. Perché a loro non si
era mostrato? Forse non li riteneva degni della sua presenza? Cosa
avevano Eve e Lucy che a lei ed i suoi fratelli mancava?
-Non so a che pensare.- in quel momento si riprese, rendendosi conto di
aver parlato da sola, e
si voltò verso Caspian, che non le aveva ancora risposto ed
era rimasto in silenzio.
-Scusami, ho parlato solo io e ti ho annoiato e…-
iniziò, certa che le non risposte del ragazzo fossero dovute
al fatto che si stesse concentrando su altro, perché si era
stancato di ascoltarla e aveva perso il senso del suo discorso.
-Figurati. Mi ha fatto piacere che tu ti sia aperta con me.- la
bloccò lui, sorridendo e lasciandola spiazzata.
Che sorriso
perfetto, aveva... ed era rivolto a lei, solo per lei, tutto per lei.
Susan avvampò, ammutolendo di fronte a quei pensieri: che
cavolo le stava venendo in mente? Esporsi e aprirsi in tal modo con
lui,
pensare che si stava creando qualcosa di speciale tra loro due.
Sicuramente quella di Caspian era solo cortesia dovuta ai modi gentili
e nobili di etichetta a cui era stato abituato. Però le
aveva fatto piacere parlare, ora era leggera e si era sfogata con
qualcuno, e poi con Caspian stava bene, non si rinchiudeva a guscio.
-Che ne dici di tornare? Gli altri magari saranno preoccupati.- la voce
del diretto interessato la riportò alla realtà, e
sembrava già sul punto di alzarsi agilmente e scrollarsi la
terra dai pantaloni.
La maggiore tra le sorelle Pevensie
annuì e i due abbandonarono le comode posizioni in cui erano
stati, sistemando i vestiti – come lei aveva immaginato
Caspian aveva passato le mani sui pantaloni e li aveva sistemati meglio
dentro gli stivali – incamminandosi, facendo il percorso
inverso. Parlarono del più e del meno, sulla strada del
ritorno: il Principe era curioso dell'Inghilterra, ma cercava
di non
risultare troppo assillante, e Susan si ritrovò internamente
colpita sulla discrezione che le stava mostando intuendo che si stesse
trattenendo per non darle noia, tanto che alla fine parlare non le
risultò poi così difficoltoso.
Nella mente della Pevensie, poi,
continuava a ronzare una cosa sola: appena beccava le sue sorelle le
avrebbe strozzate per quello scherzetto che le avevano
giocato… magari anche dopo una bella ramanzina. Sorrise, di
nuovo, al pensiero appena fatto.
Prima però le
avrebbe
ringraziate.
***
Nello
stesso momento
in cui si teneva il discorso tra Caspian e Susan, il resto del gruppo
continuava a camminare per il sentiero mostrato da Lia e Trumpkin,
ognuno perso nei propri pensieri.
Evelyn si fermò, attirata
da qualcosa che aveva scorso nel fitto del bosco mentre faceva vagare
lo
sguardo sulla vegetazione, senza però guardarla davvero. I
restanti la videro inoltrarsi nella foresta, senza dare
spiegazioni.
Peter reagì di conseguenza, scattandole dietro con tutti i
sensi all'erta e facendo segno agli
altri quattro di continuare il giro.
Mentre seguiva Eve, cercò di capire dove stava andando e
dove potevano trovarsi: nella sua mente, però, tutto era
vuoto. Non riusciva a collocare i tronchi, non riconosceva le forme che
prendevano le chiome degli alberi o i massi che incontrava sul cammino.
Sentiva dentro di sé un senso di impotenza,
perché in quel modo dovette ammettere che Narnia era tutta
nuovamente da scoprire, e le sue possibilità
– di vittoria, di tornare verso luoghi sicuri o rifugi che
aveva imparato a conoscere ed usufruirne durante le guerre –
diminuivano notevolmente.
Dopo aver camminato per qualche minuto Evelyn
si fermò, raggiunta in pochi secondi da Peter. Affiancandosi
a lei non ebbe
il tempo di dirle niente che il suo sguardo fu rapito, così
come quello della sorella minore, da una grande quercia che si ergeva
imponente davanti a loro in un piccolo spiazzo di erba, qualche fiore
attorno alla base di esso.
Evelyn si avvicinò e con la mano
sfiorò la corteccia che aveva attirato la sua
attenzione fin dal sentiero. L'albero non dava comunque segno di vita, quella vita, per
quanto fosse rigoglioso, le foglie verde brillante in contrasto con il
cielo estivo che filtravano i raggi del sole regalando un gioco di
ombre sul prato.
Chissà che
cosa diavolo l'aveva
attirata li.
Sospirando, si sedette all'ombra delle fronde e Peter seguì
il suo gesto, mettendosi da parte e appoggiando il capo contro il
tronco. Nessuno dei due fiatava,
godendosi l'aria fresca sul viso e la presenza reciproca, ognuno perso
nei propri pensieri.
-Eve, volevo chiederti una cosa.-
Fu Peter a
spezzare quel silenzio. Parlò piano, la voce appena un
sussurro, continuando a tenere gli occhi chiusi e percependo il calore
estivo scaldargli le membra e il silenzio avvolgerlo come se fosse in
una bolla. Poteva quasi dire di sentirsi in pace, in quel momento.
La ragazza
aprì i suoi e lo guardò, incontrando i suoi
lineamenti rilassati e mugugnando un assenso, un invito di continuare
non detto ma che sapeva che Peter avrebbe recepito.
-Tu e Lucy avete
davvero visto Aslan?-
Se lo sarebbe dovuto aspettare.
La sorella minore saltò subito sull'attenti, drizzando la
schiena e staccandola dall'albero, come se avesse ricevuto una scossa,
l'espressione mista tra la sorpresa e lo sconvolto.
In un primo momento, s'irritò, ricordando lo scambio di
pensieri
avuto con Edmund subito dopo aver cambiato strada alla gola del fiume
Rapido per avviarsi al guado di Beruna guidati da Trumpkin.
-Perché me lo domandi? Credi che siamo pazze?-
domandò, senza preoccuparsi di nascondere l'indignazione che
quella domanda le aveva procurato. Odiava che pensassero che fossero
due bugiarde. Odiava quando diceva qualcosa che era vero e non veniva
ascoltata. Il suo istinto non si era mai sbagliato.
-Non
prenderla male, Evelyn!- fu il commento lapidario di Peter mentre si
voltava per qualche attimo e la fulminava con lo sguardo.
-Solo mi chiedo come mai l'abbiate visto solo voi due.-
mormorò, tornando ad incrociare le braccia e celando
nuovamente gli occhi al mondo. In
quel momento Eve capì che lui era ancora più
confuso di lei. Sospirò, spostando lo sguardo ai suoi piedi
e poi al cielo, azzurro. Semplicemente tanto azzurro.
-Non lo so...- mormorò, come in colpa
per non riuscire a dare una spiegazione logica. Percepì un
movimento a lato e capì che Peter aveva rivolto il volto
verso di lei per osservarla.
-Però sono
sicura che era Aslan, e non un leone selvatico come dici tu.-
Entrambi
sorrisero: Aslan un
leone selvatico …
Evelyn rise
impercettibilmente, ricordandosi la frase di Tumnus sul grosso gatto
non addomesticato, nella sua mente
l'immagine del grande leone dal manto dorato e gli occhi ambrati. Due
pozze che ti scrutavano l'anima, nell'antro più profondo del
tuo essere.
Sgranò gli occhi sconcertata e spaventata: e se
avesse saputo il suo segreto? Dopotutto era plausibile visto che anche
Lia con qualche ora di tempo era arrivata alla conclusione giusta,
senza bisogno che lei dicesse niente.
Riportò l'attenzione
sul fratello maggiore da parte a lei capendo che c'era altro che voleva
dirle, cogliendo l'occasione per mettere da parte le proprie paturnie.
-C'è altro che di cui vuoi parlarmi, Peter?-
domandò, anticipandolo. Questi la
guardò in viso scrutandola, abbandonando la posizione che
aveva tenuto fino a quel momento e mostrandole nuovamente i suoi occhi
azzurri, sicuri e fieri.
Alzò un sopracciglio:
perché cavolo la fissava? Era per caso sporca in faccia?
Rammentò di non aver mangiato quindi no, non poteva avere la
faccia sporca…
-Il ciondolo.-
-Il
ciondolo?-Eve
aggrottò la fronte, ragionando con se stessa su cosa
intendesse dirle Peter.
-Si, il ciondolo, il tuo,
quello con la E… perché lo ha Lia?-
domandò, guadagnandosi un'occhiata perplessa dalla sorella.
-Solo sono molto curioso, come gli altri, insomma…
a quel ciondolo, così come quello che hai indosso adesso, ci
tieni così tanto...- Evelyn lo guardò, indecisa
su
cosa dire.
-E' un segno che ci lega, mi fido
molto di lei.- buttò fuori, e si rese conto subito dopo che
sicuramente quella non era una risposta soddisfacente.
-E cosa ha fatto di tanto importante da meritare la tua
fiducia?- gli occhi del Pevensie brillarono di curiosità, il
suo
tono però lasciò tradire un certo scetticismo
verso quella
creatura conosciuta solo il giorno prima. La sorella minore
l'osservò, mimando un mezzo ghigno e avvicinandosi a pochi
centrimentri dal suo viso. Peter, incuriosito, si avvicinò a
sua volta, trepidante di aspettativa.
-Segreto.- rispose misteriosamente, in un sussurro, portandosi
un indice davanti alle labbra.
-Come segreto?- il volto del biondo divenne una maschera di perfetto
disappunto: si tirò indietro, aprendo un paio di volte la
bocca con indignazione e corrugando la fronte.
-Si, segreto. Tu fidati, non sono
stupida.-
-Non ho mai detto questo, ma posso sapere di cosa si tratta?- Eve
scosse la testa, suo malgrado dispiaciuta per la bugia enorme che stava
rifilando al fratello. Se le fosse stato possibile, se fosse stato
qualsiasi altro argomento, non avrebbe avuto problem ad aprirsi con lui
- con tutti loro. Ma davvero non poteva, i rischi erano... erano
enormi. Cambiò discorso,
senza preoccuparsi di nascondere il fatto di volersi allontanare da
quell'argomento.
-Piuttosto, quale piano avete deciso di fare tu e
Caspian?- vide la sua espressione indurirsi al nome del
Principe e gli
occhi assumere una punta d'orgoglio.
-Siamo su fronti differenti,
secondo lui è meglio aspettare. Per quanto mi riguarda
dovremmo attaccare la notte, a sorpresa:
quelli di Telmar non se lo aspettano e li coglieremo impreparati, anche
perché gran parte delle truppe è al guardo per
costruire il ponte.- le spiegò Peter, pratico, prendendo a
scribacchiare con un legnetto in terra.
-Ma non siamo in pochi per
un attacco?- domandò, dopo qualche attimo di riflessione,
ottenendo che Peter si voltasse verso di lei come colto sul vivo.
-Si- ammise il fratello, e ad Eve dalla rigidità con cui si
era tesa la sua espressione sembrò una constatazione a cui
era venuto a patti con non poca difficoltà.
-Però non
possiamo neanche aspettare che ci prendano come topi in trappola.-
entrambe le opzioni erano buone e
avevano le loro ragioni. Evelyn intuì che per far
andare
d'accordo Caspian e Peter e trovare un fronte comune sarebbe stato
molto difficile. Purtroppo, la situazione dell'esercito e il modo
precario in cui erano accampati in quel momento non rendeva possibile
vagliare molte opzioni oltre a quelle di muoversi d'anticipo.
-Il piano lo spiegherò bene prima di sera, in modo da
prepararci.- mentre diceva ciò Peter si alzò dal
terra, tendendo una mano alla sorella minore per far alzare anche lei.
-… quindi penso sia ora di tornare-.
***
-Era
ora che
arrivaste! Ma dove diavolo siete stati?-
Non appena arrivano trovarono gli altri già ad
attenderli. Edmund aveva parlato a nome di tutti, il tono
più alto del solito per l'agitazione e la preoccupazione
nate non avendoli visti tornare in tempi brevi - aveva temuto fosse
capitato loro qualcosa ed era già pronto a smuovere le
sentinelle.
-Scusateci, ci siamo attardati perché ci eravamo
allontanati, quindi ci abbiamo messo più tempo-
spiegò Peter, paziente, sorvolando sul discorso tra lui e la
sorella.
-Ora è chiaro.- fece Trumpkin, come illuminato, facendo
rivolgere l'attenzione dei Pevensie sulla sua figura minuta.
-Però vi faccio notare che i vostri fratelli erano in
pensiero per voi.- spiegò, dando una leggera pacca sulla
spalla a Lucy come per tranquillizzarla. Evelyn
sorrise lievemente, congiungendo le mani dietro la schiena e rivolgendo
uno sguardo di scuse al gruppo che si era formato intorno a lei e
Peter.
-Ci
dispiace, hai ragione. Non ricapiterà.-
-Cosa avevi visto di tanto importante, Eve?-
attirò la sua attenzione Lu, esprimendo una domanda che si
aggirava anche nella mente di Edmund. Evelyn alzò un
sopracciglio in un muta domanda, quesito a cui la sorella minore
rispose alzando leggermente le spalle.
-Hai iniziato a inoltrarti nella foresta senza dare
alcuna spiegazione…-
Eve capì e stette qualche
attimo in silenzio, evitando di fare una faccia di chi si ritrova a
capire un discorso dopo che glielo hanno spiegato nei particolari e che
le sue labbra formassero una muta esclamazione.
-Pensavo di aver
riconosciuto un posto…
ma non era lo stesso.- in realtà, il posto
l'aveva attirata senza che nemmeno volesse: un attimo prima camminava
persa a rimuginare sui suoi pensieri perdendosi ad osservare il modo in
cui i cespugli si confondevano con le fronde degli alberi, i tronchi
caduti ed i massi lievemente ricoperti di muschio, e un attimo dopo, un
colore, una
foglia particolare e l'istinto le aveva fatto muovere i piedi verso
quella sorgente di ricordi ed emozioni.
Si scambiò uno
sguardo con Peter.
-Ma era bello lo stesso!- cercò di tirarla su di morale, non
facendo caso volontariamente al tempo passato della
frase
precedente. La sorella minore annuì, aprendosi in un sorriso
per confermare le sue parole.
-Dove si trova?- s'intromise
Susan, che si era resa conto della loro mancanza quando avevano
raggiunto i restanti rimasti poco prima di sbucare nuovamente nella
radura.
-Quando ci sarà più calma e un momento
adatto vi porto. Adesso… il piano.- disse Evelyn, con fare
sbrigativo, lanciando uno sguardo al fratello. Veramente, quel pezzo di
terra non le andava molto di
metterlo sotto l'attenzione degli altri, come se fosse un oggetto da
comprare al mercato. Per il gruppo calò un silenzio carico
di tensione per il modo brusco con cui erano stati riportati alla
realtà degli eventi.
-Si, giusto: dopodomani sera entreremo in azione: il piano ve
lo espongo tra mezz'ora, così abbiamo
tutto domani per poterci preparare e un'altra notte per poter riposare.
Per quell'ora voglio voi e tutti i comandanti nella stanza della tomba
di Aslan.-
***
Le
tre sorelle
Pevensie e Lia si avviarono già per il luogo stabilito:
stare all'aperto a rimembrare luoghi diversi ed osservare
ciò che
già una volta avevano rischiato di perdere era una cosa che
poteva far riaffiorare stilettate e sensi di colpa, quindi preferirono
parlottare tra loro cercando di svuotare la mente, provando a
raccattare ciò che di positivo quel giro nel bosco aveva
portato.
Quando furono
arrivate ed ebbero la conferma di essere da sole, Susan
parlò per prima, il tono di voce leggermente minaccioso
diretto alle due sorelle minori. Le superò, parandosi poi di
fronte a loro, con le mani sui fianchi e gli occhi affilati. Dalla sua
posizione assunta Eve e Lucy avevano la visuale ostruita per la
raffigurazione di Aslan.
-Voi due…-
-Si?- domandarono
quelle, all'unisono, la voce divertita mentre facevano finta di non
sapere che cosa voleva dire Susan. Anche se in realtà
sapevano a cosa sarebbero andate incontro giocandole quel
trabocchetto.
-Che diavolo vi è venuto in mente?-
sbottò Sue, più imbarazzata al ricordo di quei
momenti che arrabbiata realmente con loro.
-Lasciarmi sola con Caspian
oggi non è stata una mossa molto saggia…
specialmente per la vostra incolumità!- decretò,
usando un tono vagamente minaccioso e offeso ed indicandole con un
indice. Le due si scambiarono uno
sguardo, facendo comunella e consce che quelle parole erano solo
dettate dall'imbarazzo di quel pomeriggio, mentre in realtà
la Pevensie non era per niente arrabbiata. Erano sicure, anzi, che le
avrebbe ringraziate, se tutto andava per il verso giusto.
-Su Susan, non venirci a dire la balla che
non ti abbia fatto piacere stare sola con lui- la maggiore tra le tre
avvampò di fronte a quella realtà guardando Lucy
con espressione indignata, mentre Evelyn prendeva parola
appoggiando la sorella minore.
-E poi era ora che vi ritagliaste un
quadretto solo per voi due: in questi ultimi giorni intorno a
Caspian
c'era sempre Peter che discuteva con lui per il piano. Anche se alla
fine non ne sono venuti a una…- lasciò
la frase in sospeso, e rivolse l'attenzione prima a
Susan per poi soffermarsi su Lucy: bastò poco, uno sguardo,
perché entrambe si intendessero alla perfezione.
-Oh Susan,
solo così felice di essere qui da solo con te. E'
così un onore e un privilegio che non riesco a trovare le
parole adatte per esprimermi.- proferì per prima Evelyn, il
tono di voce più basso che potesse fare per imitare la voce
del Principe che aveva rapito il cuore della sorella maggiore.
Lucy
stette al gioco, coprendosi la bocca prima di parlare con la
mano per non scoppiare a ridere, poi imitò Susan.
-No, non
dire così Caspian, mi imbarazzi…- mentre diceva
ciò l'ultima Pevensie si portò le mani alle
guance per significare di essere arrossita, abbassando lo sguardo in
maniera pudica.
Lia osservava la scena la scena in disparte, e nel
frattempo Susan, più rossa e imbarazzata che mai, riprese le
due sorelle minori che stavano facendo quel teatrino coalizzandosi
contro di lei.
-Eve! Lucy! Non pensate di farla franca!-
Si mise a
rincorrere le due sorelle per la stanza, senza volerle prendere davvero
per conservare il suo atteggiamento da adulta: le due la schivavano e
non si facevano fermare, scivolandole via un attimo prima che lei
potesse agguantarle per gli abiti. Dopo qualche minuto Susan si
fermò definitivamente, anche se non si era messa a correre
come una forsennata – piuttosto cercava di scivolar vicino
loro, piano, ma quelle si tenevano lo stesso a debita distanza
–, e alzò le mani in segno di resa.
-D'accordo,
avete vinto.- asserì, con un sospiro. Sapeva già
che sarebbe stata una guerra persa in partenza, perché
quando si mettevano in testa qualcosa da fare insieme erano tremende.
Cercò di scacciare l'imbarazzo che ancora sentiva provocarle
la pelle d'oca, lanciandosi uno sguardo alle spalle per constatare che
fossero ancora sole: non ci sarebbe stata vergogna più
grande se qualcuno avesse visto quella scenetta.
-Piuttosto,
è quasi ora...- continuò, diventando di botto
seria
e posata, più nessuna traccia di divertimento negli occhi
grigi.
-Già, tra poco dovrebbero essere qui per discutere
del piano.- Evelyn guardava il cunicolo dal quale i fratelli e gli
altri
sarebbero spuntati quando parlò, senza rivolgersi a nessuna
delle presenze in quella stanza in particolare.
-Tu sai per caso
qualcosa, Eve?- a ridestarla ci pensò Lucy, che le
fece riportare l'attenzione su di lei e l'altra Pevensie.
Annuì, prendendo posto affianco a Lia e immergendo una mano
nel pelo sulla nuca.
Com'era soffice e caldo,
confortevole come una dolce nicchia.
-Per quanto mi ha detto
Peter, ma penso che ci siate arrivate anche voi, lui e Caspian la
pensano in modo diverso.- le due sorelle annuirono a quella
constatazione ovvia, per nulla sorprese della cosa.
-Secondo Caspian
è meglio aspettare, secondo nostro fratello è
meglio muoverci. Sarà dura capire quale sia la soluzione
migliore da prendere.-
-Già...- si ritrovarono
a concordare, guardandosi e facendo poi vagare gli occhi
sull'ambiente in cui si trovavano. Tra le tre calò
rapidamente un silenzio teso.
-Un'altra cosa mi preoccupa.- ruppe il silenzio Eve, congiungendo le
mani e appoggiandoci sopra il mento. Lucy e Susan la guardarono, Lia si
limitò a rivolgere un orecchio verso di lei, continuando
tuttavia a tenere lo sguardo verso il cunicolo.
-Sapete quanto
è orgoglioso nostro fratello. Non vorrei che per questo
facesse delle cavolate, solo per dimostrare che è il
migliore.- Susan annuì leggermente e Lucy tirò le
labbra a quelle parole. Tutte e tre le sorelle sospirarono, sapendo che
si sarebbero
dovute aspettare di tutto da quella testa biondo grano.
Lia le
riportò alla realtà e spezzò il
silenzio carico quasi di preoccupazione e incertezza sul futuro che si
stava creando.
-Stanno arrivando.-
-Lu, Eve… Grazie,
comunque.-
*Esulta
da sola*
Ho aggiornato!
Lo so, dovrei essere immensamente triste
e dispiaciuta per tutto il tempo che vi ho fatto aspettare, e si, lo
sono: mi spiace di lasciare molto spesso questi intervalli
di tempo molto lunghi tra gli aggiornamenti. Non mi sorprenderebbe se
per questo motivo la storia perdesse interesse ai vostri occhi,
perchè il filo della trama viene perso, perchè
nel frattempo i vostri gusti sono cambiati o il mio
modo di scrivere è calato, ecc ecc...
Però sono anche contenta che in questi tre giorni ho ripreso
a scrivere.
Quindi, sperando che non ce l'abbiate a morte con me, vi chiedo scusa
per il ritardo accumulato dall'ultimo aggiornamento.
Io
ringrazio chi ha letto, chi preferisce, segue e ricorda. Chi ha
recensito, chi continuerà a seguire e chi mi ha seguito fin
qui.
Ed, inoltre, vi auguro un buon inizio 2012.
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento.
Grazie ancora del sostegno e della pazienza.
Love,
D*
|
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Capitolo 11 *** Bolle di parole pronte a scoppiare. ***
Narnia's
Spirits
Bolle
di silenziose parole
pronte a scoppiare.
I
corpi erano illuminati dalle torce e dal fuoco che circondava tutto il
perimetro della sala, le sagome venivano proiettate sul muro creando un
vasto contorno eterogeneo di forme scure che si confondevano tra loro.
Il rumore ovattato del ferro battuto che solitamente giungeva dal
centro della casa di Aslan si era dissolto, andando a formare un
silenzio teso e carico di aspettative per quell'incontro da tanto tempo
aspettato e discusso.
Anche coloro che non erano stati ammessi, per
ragioni di spazio, a quella riunione che avrebbe deciso le prossime
sorti dell'esercito Narniano, avevano smesso di lavorare, in attesa di
venire a conoscenza dell'esito di quella riunione tanto sospirata,
tanto temuta e tanto discussa per le diverse ragioni che, sicuramente,
l'avrebbero animata.
Dopo che Lia aveva annunciato l'arrivo dei
maggiori esponenti di quel mucchio di giusti ribelli che rivolevano
indietro la loro terra, la stanza in cui lei e le Pevensie si trovavano
non ci aveva messo molto a cambiare aria, diventando ambiente di
serietà e occhi che, se potevano, avrebbero fulminato
all'istante elementi poco graditi.
Il silenzio che aleggiava per quel
piccolo pezzo di grotta non era altro che una bolla pronta ad esplodere
appena qualcuno ci avesse infilato una parola troppo appuntita dentro.
Caspian e Peter erano in piedi, rigidi, fermi in mezzo alla stanza e al
cerchio che i presenti avevano formato, mettendo in evidenza
l'attenzione che riponevano nelle parole che avrebbero pronunciato di
li a poco e confermando che li ritenevano le due guide maggiori che i
Narniani avevano.
Senza un piano di qualche regnante vissuto tra
allenamenti e guerre, probabilmente il prossimo attacco che avrebbero
organizzato non sarebbe stato molto diverso da quelli passati, e
sarebbe servito soltanto a cospargere altro sangue e riaprire
nuovamente la caccia agli abitanti di Narnia, che, fino a poco tempo
prima, sembrava essersi fermata dietro un muro di silenzio e paure
umane.
-Miraz starà organizzando un esercito per attaccarci
al più presto, per cui hanno abbassato la guardia al
castello- Peter parlò per primo, deciso e affilato,
impaziente di arrivare al succo del discorso e ciò che
pensava il prima possibile.
Secondo un fauno, alcuni Telmarini erano
stati mandati in avanscoperta: ciò significava che li
stavano studiando, per cercare di vedere come stavano facendo, e la
costruzione del ponte che pochi giorni prima aveva visto non poteva che
essere la conferma di un'imminente invasione.
Caspian lo guardava,
ritto e impassibile di volto, ma negli occhi neri si poteva leggere
tutta la sua disapprovazione su ciò che l'Antico Sovrano
aveva detto e su ciò che si immaginava stesse per dire,
ragione che l'aveva portato a considerarlo uno sborone pieno di
sé che non guardava minimamente in faccia la
realtà e gli altri, che non fossero le prossime persone a
cui
teneva, in quel tempo in cui si erano trovati a discutere di possibili
piani di battaglia.
-Che ci proponete di fare, Maestà?-
chiese Ripicì, rizzando la coda e posando una zampina
sull'elsa dello stiletto, come per manifestare la sua opinione senza
parole.
-Bisogna essere pronti-.
-Ci muoviamo-.
La voce del Principe e
del Re risuonarono all'unisono tra le mura insieme ai passi che avevano
compiuto verso il Narniano, rimbalzando nelle orecchie dei presenti in
quel silenzio teso che si era creato nuovamente, di botto.
I due si
girarono e si scrutarono in volto, ognuno fermo sulle proprie idee, e
si fulminarono con gli sguardi: erano tra lo stupefatto gli occhi scuri
di Caspian, ancora troppo abituato a non essere imparziale e mantenere
il sangue freddo, mentre quelli di Peter lasciavo trasparire
l'indignazione e la collera per quella presa di posizione
così diversa.
Evelyn non poté fare a meno di
cercare d'incrociare lo sguardo di Lia, come se quell'azzurro color
ghiaccio potesse regalarle un conforto rassicurante e caldo in
confronto al gelo che rappresentavano.
Effettivamente, non appena lo
vide, ebbe come una scossa di determinazione, un'improvvisa
consapevolezza che tutto doveva andare bene e quelle erano solo
scaramucce – disaccordi, però, che coinvolgevano
altre vite – di chi ancora deve imparare a conoscersi bene.
La cosa, la velocità con cui la Narniana aveva capito, la
lasciò persa, sospesa nei suoi pensieri ancora
più della notte prima. Se non c'era uso di magia, che non
aveva visto usare da quando erano rientrati a Narnia, Eve faticava
davvero a capire come Lia potesse averle letto così
profondamente e in poco tempo nei pensieri.
…Magia.
Caspian
aveva abbassato la testa leggermente dopo aver fissato Peter a lungo,
facendo un cenno al ragazzo e lasciando intendere che lui si sarebbe
messo da parte concedendogli l'onore di parlare per primo.
Secondo la
leggenda Peter era il Re Supremo e aveva il comando su tutti gli altri
Re e Regine di Narnia che sarebbero venuti, quindi chiunque doveva
sottostare alla sua autorità.
Caspian, Telmarino, sottostava
a quella regola dal momento in cui si era unito ai Narniani.
Dopo aver
rivolto al Principe un ultimo sguardo con le mascelle serrate, che
lasciava intendere senza tante cerimonie di non osare anche solo
pensare di interromperlo ancora, Peter si voltò di nuovo
verso i suoi fratelli e i vari Narniani continuando il discorso dove
l'aveva interrotto.
-L'unica speranza è attaccare loro prima
che attacchino noi- decretò sicuro, posando la mano sul pomo
di Aslan e studiando le reazioni del suo pubblico.
-Nessuno ha mai
conquistato quel castello- gli fece notare Caspian, tornando a parlare
e cercando di fargli capire le sue motivazioni: lui conosceva Miraz e
in quel palazzo ci aveva vissuto, lo conosceva bene ed era come una
fortezza inespugnabile, specialmente per loro che non erano in molti
rispetto agli aiuti che Telmar poteva ricevere dai regni vicini.
La
mossa che stava facendo Peter era troppo azzardata: stava facendo il
passo più lungo della gamba, troppo preso a voler riavere
indietro ciò che era suo.
-C'è sempre una prima
volta- il Pevensie lo guardò con aria di sufficienza.
Ricordava troppo bene che grazie al suo arrivo e quello dei suoi
fratelli Narnia era stata tolta dal gelo perenne di Jadis dopo
tentativi che già erano falliti. Perché la cosa
non si sarebbe potuta ripetere?
-Ci sarà l'elemento
sorpresa- fece notare Trumpkin guardando il Principe, intervenendo a
favore di Peter.
-Ma siamo più al sicuro qui- Caspian, con
un tono quasi di supplica, cercò nuovamente di farli
ragionare: perché diavolo erano così cocciuti?
Avevano così voglia di farsi ammazzare? Non poté
fare a meno di pensare, in relazione alle perdite che già
c'erano state tra i Narniani e in base a ciò che
stava accadendo, quelle vite perse non erano servite di lezione.
-Ben equipaggiati
potremmo anche resistere- Intervenne Susan, lasciando la sua posizione
seduta ed avvicinandosi a Caspian, restando però con lo
sguardo fisso sul volto di Peter. A sua volta questo la fissava con una
punta di un qualcosa che non seppe definire, probabilmente
perché non si aspettava quella presa di posizione
così diversa anche da un membro della sua famiglia.
Nella
discussione si intromise anche Trufflehunter -io mi sento
più sicuro sotto terra- espose la sua opinione.
Dopo aver
rivolto uno sguardo al tasso e a sua sorella, Peter parlò
cercando anche di motivare le sue ragioni. Se ognuno avesse fatto
prevalere opinioni diverse l'esercito si sarebbe diviso, e quel poco di
unità che si era trovato per la causa comune sarebbe
scomparso, sovrastato dalle idee che ognuno voleva esporre e che
trovava migliori.
Non c'era bisogno di ulteriori spaccature, e qualcuno
doveva avere il pugno di ferro nel guidare quegli uomini verso
l'obbiettivo.
-Apprezzo quello che avete fatto qui, ma questa non
è una fortezza, è una tomba- spiegò,
cercando di essere conciliante.
-Si, e se sono furbi aspetteranno e ci
prenderanno per fame- cercò di ironizzare Edmund, ma il tono
di vago scherno non aiutò ad alleggerire le sue parole. I
Telmarini erano bigotti fermi nelle loro idee, non stupidi.
Eve
attendeva pazientemente il verdetto sempre accanto alla lupa, iniziando
a perdere la calma: aveva cominciato a torturasi le unghie e muovere
nervosamente un piede. La situazione che si stava creando non le
piaceva particolarmente.
-Potremmo raccogliere nocciole- se ne
uscì uno scoiattolo, senza pensare che solo con quelle non
avrebbero potuto fare molto.
-Si! E lanciarle a quelli di Telmar!
Zitto- iniziò Ripicì accanto a lui, finto
entusiasta, per poi ammonirlo. -Sapete bene da che parte sto, Sire-.
Dopo qualche attimo di silenzio assoluto per quello che apparentemente
era un bivio a cui si erano trovati, Peter si voltò deciso
verso Glenstorm, rimasto fino a quel momento in silenzio attento sulle
parole che venivano pronunciate.
-Se riesco a farvi entrare, vi
occuperete della guardie?- gli domandò, prendendo in mano la
situazione. Dal tono di voce si poteva sentire chiaramente la leggera
speranza di quanto quell'appoggio potesse essere di vitale importanza,
ma anche l'ansia e la preoccupazione nell'essere sempre più
vicino ad affrontare nuovamente una battaglia, a trovarsi a guidare
nuovamente un esercito.
Glenstorm rivolse uno sguardo ai due ragazzi,
poi abbassò leggermente il capo, il giuramento di servire i
Regnanti che si univa con l'onore che non si sarebbe tirato indietro
davanti a nulla.
-Fino alla morte-.
Le sue parole fecero cadere
nuovamente il silenzio.
***
-Fino alla morte-.
Dhemetrya rischiò
seriamente si perdere la presa dal ramo su cui stava nel sentire quelle
parole trasportatele da un vento impercettibile.
Gli occhi blu si
sgranarono di stupore, mentre i lineamenti del suo volto riuscirono a
rimanere fermi nel suo solito volto dai lineamenti regali. Tuttavia,
gli occhi espressivi lavoravano anche per i muscoli del suo viso,
limpidi come uno specchio d'acqua su cui era possibile vedere il fondo
senza però riuscire a raggiungerlo.
Il piano del Magnifico
era qualcosa di, già lo prevedeva, altamente rischioso.
Eppure una piccola parte di sé non riusciva a dargli contro,
reduce delle vittorie millenni prima.
Ciò di cui non si
capacitava era la sconsiderata fiducia che i Narniani stavano
nuovamente dando a delle persone che li avevano abbandonati. Forse la
voglia di riavere la loro terra era più forte di qualsiasi
vecchio rancore che potevano covare.
Sospirò, appoggiandosi
al tronco e immergendo una mano nei lunghi capelli neri, trovando
apparentemente divertente far diventare lisci i lunghi boccoli scuri
per poi rilasciarli e farli rimbalzare.
Era possibile evitare altro
spargimento di sangue se la magia di Narnia si fosse ristabilita,
scoppiando dal luogo in cui era stata relegata, in parte, e annullata
dalla fede sempre minore che gli abitanti Narniani nutrivano verso
essa.
-E' questo che mi
preoccupa-.
Dhem sospirò
pesantemente, tornando ad ascoltare ed isolandosi maggiormente dal
resto del mondo che non le interessava.
La bolla stava per scoppiare.
***
-E' questo che mi preoccupa-.
Con grande stupore di tutti la voce
apparteneva a Lucy, la nota bambinesca e allegra sostituita da
un'espressione seria e il tono che sembrava più maturo di
come lo era stato fino a quel momento.
Come se improvvisamente fosse
mutata, l'anima della Regina Valorosa e coraggiosa che tornava a
manifestarsi su quel corpo di ragazzina troppo piccolo per contenerla.
Lucy era accondiscendente e guardava sempre la positività in
tutto, ma in quella folle mossa azzardata non vedeva vie di fuga che la
aiutassero a pensare bene.
-Come scusa?- Peter sembrava si stesse
trattenendo dal ringhiare solo perché stava parlando con sua
sorella minore, ma i lampi che mandavano i suoi occhi chiaramente
scocciati di tutte quelle persone così vicine a lui che si
trovava contro lo stavano seriamente facendo irritare più di
quanto già non fosse.
Non era come con Caspian, con cui si
trovava in disaccordo.
Quella mancanza di fiducia che le sue sorelle
stavano manifestando verso di lui lo feriva. In qualche modo si sentiva
tradito, come se, da quando erano tornati in Inghilterra, il Re Supremo
lo avesse abbandonato e fatto tornare ad essere un ragazzino normale e
pieno di sé.
-Ci sono solo due possibilità per
voi: morire qui, o morire là- continuò Lucy,
imperterrita e cercando di restare il più possibile calma.
-Allora non hai ascoltato, Lucy- Peter si voltò
completamente verso di lei, pronto a parlare come se stesse spiegando
un concetto elementare, la voce quasi stanca di dover dare tutte quelle
ragioni.
-No- Lo interruppe brusca lei, bloccando sul nascere il suo
discorso. -Sei tu che non ascolti. O non ti ricordi chi ha sconfitto la
Strega Bianca, Peter?- insinuò, toccando un tasto dolente.
Il maggiore dei Pevensie guardò attentamente in volto la
sorella minore, serrando la mascella per non decretare cose di cui poi
si sarebbe potuto pentire.
Sapeva che Lucy e gli altri avevano ragione
a voler aspettare, una vocina glielo tamburellava insistentemente in un
angolo della testa e del suo cuore sopraffatti dall'istinto, che invece
gli diceva che prima si concludeva quella faccenda meglio sarebbe stato
per tutti.
In quel momento era troppo preso a comandare e fare la
figura del Sovrano, così non ascoltò quella parte
di ragione che gli diceva che era uno sbaglio attaccare e di
aspettare Aslan.
-Aslan si è già fatto attendere
abbastanza- concluse, lapidario e pronto a voltare le spalle a sua
sorella e alla lapide.
-Mentre tu e il tuo orgoglio non potete
aspettare, vero?-
***
Dhemetrya scattò sull'attenti,
irrigidendosi all'istante, percependo chiaramente l'aria ribollire e
farsi tesa, come se una scossa elettrica stesse per abbattersi su di
essa pronta a incenerire ogni particella di vita che si trovava
attorno.
Quello non ci voleva.
Non così.
“Fermala.”
Fece un'espressione schifata, quando si
rivolse alla figura con due occhi completamente diversi dai suoi,
seppur di base avessero quasi lo stesso colore. E la risposta le fece
stringere i capelli con cui prima stava giocherellando tanto da farsi
male alle dita.
“No.”
Cercò di mantenere
la calma che quell'albero chiuso nel silenzio le infondeva.
“Perché no?” Sibilò
mentalmente,
assottigliando lo sguardo e accarezzando qualche foglia verde
brillante.
“Non
c'è pericolo.”
La
ragazza serrò la mascella, concentrandosi e cercando
qualcosa con cui ribattere. Era vero, c'era stato un cambio in Narnia,
ma sembrava essere stato uno sbalzo temporaneo. Si era agitata per
niente, come spesso mossa dalle emozioni le succedeva.
“Beh,
sai? Non si è mai troppo previdenti.”
Quella frase
sembrò infervorare la Narniana, perché dal
terreno arrivò una breve scossa che mosse impercettibilmente
l'albero su cui stava. Invisibile, ma lei la percepì come se
si trovasse direttamente davanti la causa di quel tremore.
La stava
irritando.
“Non si è mai troppo
previdenti!?”
La voce di Lia le tuonò nella testa
come un pugnale freddo, trapassandole le tempie e facendole fischiare
le orecchie. Una sensazione sgradevole s'impossessò di lei,
come se sapesse già che ciò su cui il discorso
stava vertendo non avrebbe fatto piacere a nessuna delle due.
“E tu saresti stata così previdente da lasciarli
tornare nel loro mondo, milletrecento anni fa! Tutto per non farti
vedere, perché no, magari era ancora troppo
presto!”
Dhemetrya abbassò il capo, colpita da
quelle parole come da una pugnalata. Non si risparmiava mai di
rinfacciarglielo.
“Questa Narnia
è il risultato
della tua previdenza, Dhemetrya Selenya. Complimenti.”
La
gelò.
La presenza che aveva tempestato la sua mente si
dissolse, e a Dhem sembrò tanto di poter tornare a
respirare. Ma era come se non volesse farlo, perché tutto un
groviglio di emozioni che a lei non erano concesse le si
posò sul cuore come un mattone, soffocandolo.
Perché lo sapevano entrambe, pur con la consapevolezza che
il destino aveva dovuto fare il suo corso, che se non se ne fossero
andati
non sarebbe successo nulla.
***
-Mentre tu e il tuo orgoglio non potete
aspettare, vero?-
Peter arrestò il passo, voltandosi di
scatto: ci mise pochi secondo ad individuare la fonte di quella voce
piena di disapprovazione, la figura di Eve che si era alzata dal masso
su cui stava in un impeto di qualcosa non ben definito che le era
scoppiato nel petto. L'aveva sentito ruggire, e le parole le erano
uscite prima che potesse fermarle.
L'attenzione di Peter si
posò completamente sulla Pevensie che lo guardava
attentamente e sicura, ferma sulle sue decisioni e vagamente in sfida,
anche se il volto era tornato rilassato, quasi come se non avesse
parlato.
Se non l'avesse sentita distintamente penetrare come una bomba
nelle sue orecchie spezzando quel silenzio teso e non avesse avuto
sotto tiro gli occhi che le scintillavano di una nuova fiamma, Peter
avrebbe giurato che poteva essersi anche solo immaginato che Eve avesse
parlato.
Semplicemente si sarebbe alzata in piedi perché lui
aveva decretato che la prima parte di riunione era finita ed era stata
la prima a voler lasciare la sala, diventata improvvisamente troppo
piccola, calda e affollata.
Evelyn strinse un pugno: non doveva osare
dire quella frase su Aslan e, soprattutto, non doveva osare dirla a
Lucy.
Peter si voltò completamente verso di lei. Sembravano
due predatori che si studiavano, pronti ad azzannarsi al primo segno di
distrazione dell'altro.
Susan, Edmund e Lucy trattennero il fiato
qualche istante: nella loro testa erano ben chiari i ricordi delle
discussioni che a casa – sia in Inghilterra che a Narnia
– spesso animavano l'atmosfera altrimenti tranquilla e
contornata da qualche scherzo innocente.
Il pesante scambio di battute
che si svolgeva tra il maggiore e la penultima Pevensie era qualcosa
che ascoltavano con attenzione, benché ne avessero fatto
volentieri a meno.
Non si insultavano, non volavano oggetti - quando Eve aveva gli scatti
di rabbia poco ci mancava - o sbattevano porte: si colpivano
nell'orgoglio fino a quando il primo non
desisteva, troppo ferito per continuare. Il che, lo sapevano, era
qualcosa di ben peggiore che però non aveva avuto effetti
negativi permanenti.
Peter prevaleva quasi – sempre
– sui fratelli minori anche quando questi contestavano le sue
decisioni.
Come prima aveva fatto Edmund che non si sottostava al
volere del fratello maggiore, Evelyn, testarda, aveva continuato a non
darsi per vinta nemmeno dopo che il fratello maggiore li aveva traditi.
Forse perché a lei, di tradirli, non era mai passato per la
testa.
Una volta in Inghilterra si erano messi il muso a vicenda,
però avevano continuato a litigare e mandarsi frecciatine
tramite i bigliettini. Quando poi Eve era crollata dal pianto e il
magone che non riusciva più a reprimere, un quattordicenne
Peter l'aveva presa in braccio, portandola a letto e crollando poi a
sua volta in un sonno senza sogni.
I due si scannavano, litigavano, si
scontravano e poi facevano pace: Eve perdonava sempre gli attacchi
d'orgoglio del fratello, sapendo inconsapevolmente che lo faceva solo
per proteggerli e mostrarsi sempre il migliore ai loro occhi.
-Che
vorresti dire Eve?- chiese il maggiore alla sorella più
piccola dopo che si fu avvicinato di qualche passo.
-Sai bene cosa
intendo Peter- la risposta da parte della diretta interessata non si
fece attendere. -Lo sai meglio di me che attaccare quel castello
è una follia e il piano di Caspian è
più fattibile del tuo. Oh, mai sei troppo impegnato a
pavoneggiarti per rendertene conto del tutto-.
-Eve- il maggiore dei
Pevensie aveva sibilato il nome della sorella come ad ammonirla dopo
averla fissata qualche attimo in completo silenzio. Quella non si fece
intimidire dal suo tono accusatore, ormai ci aveva fatto l'abitudine
durante tutti quegli anni. Aspettava solo che il fratello maggiore
dicesse qualcosa per scattare e continuare il suo discorso.
-Non ti ci
mettere anche tu Eve, piantala prima di iniziare…-
cercò di contenerla Peter, iniziando una ramanzina.
-No
Peter, io inizio e finisco quando, come, e dove lo dico io ed ora
esigo che
tu mi ascolti- Eve si era avvicinata per fronteggiare
meglio Peter ed entrambi i Pevensie assottigliarono lo sguardo, pronti
alla discussione e a far prevalere le proprie idee.
Lia a quell'esigo
aveva rizzato le orecchie, concentrandosi meglio sulla Pevensie: le era
sembrato quasi un ringhio, una voce nel profondo che veniva
strascicata.
Sicuramente
si sbagliava.
Nel frattempo la stanza era stata lasciata vuota e
all'interno rimanevano solo Caspian, Susan, Lucy ed Edmund che
seguivano la discussione tra i due.
Caspian li guardava fissando prima
Peter e poi Evelyn, preoccupato non per la discussione in
sé, ma per chi
la stava facendo. Quei due erano talmente
diversi ma anche talmente uguali che sarebbero arrivati a fare follie
per riuscire a prevalere, liberando il loro temperamento impetuoso.
Edmund osservava i due apparentemente distaccato, mentre Lucy e Susan
nutrivano una speranza di fondo. Magari Peter avrebbe iniziato a
ragionarci su meglio.
-Sentiamo, cosa avresti da dirmi?-
La sorella lo
fissò lanciandogli un'occhiataccia.
-Hai mai chiesto il
loro
parere?-
Il ragazzo corrugò la fronte, chiedendosi che
cosa significasse.
-Il loro
parere? Il parere di chi, Evelyn?-
domandò, ragionando sicuro di non essersi fatto sfuggire
niente e nessuno.
Quella gli lanciò un'occhiata palese ma il
ragazzo fece intendere che non aveva capito dove voleva arrivare,
restando in silenzio in attesa di spiegazioni. La penultima Pevensie,
allora, fece roteare gli occhi per poi iniziare a camminare avanti e
indietro davanti a Peter, evitando per un soffio le varie rocce che
sporgevano dal terreno rischiando di inciampare in una di quelle e
finire
faccia a terra.
-Il parere degli abitanti di Narnia, è
ovvio- soffiò, arrestando il passo e guardando Peter dritto
negli occhi azzurri. Aspettò qualche minuto una reazione del
fratello, poi si posò una mano sul fianco ricominciando a
camminare come poco prima, per sfogare il nervosismo.
-Non capisco che
vuoi dire-.
-Ma allora sei tardo mica poco Peter! Sapevo che eri
leggermente lento di comprendonio ma non pensavo fino a questo punto!-
lo punzecchiò Eve. Era impossibile che Peter davvero non
capisse cosa voleva dirgli.
I restanti tre Pevensie e Caspian si
ritrovarono a ridacchiare sommessamente, mentre Peter cercava di
trattenersi dal boccheggiare, incredulo, non capacitandosi delle parole
dette dalla sorella. Aveva detto che era tardo? Che era lento di
comprendonio?
-Perché mi chiedi questo?- La sua espressione
tornò presto seria e decisa, ferma nelle sue convinzioni.
-Ti sei mai chiesto il perché hanno deciso di seguirti in
questa missione praticamente già persa? Perché a
meno che non arrivi Aslan non siamo messi bene, e tu lo sai- decise di
puntare alto, mettendo dentro il suo discorso più
negatività possibile per cercare di far smuovere quella
montagna dai capelli color del sole e gli occhi color cielo.
-Non sono
certo io che li ho obbligati a combattere con me. Combattono
per
ciò che credono, per far si che Narnia possa tornare come un
tempo- disse sicuro. Quelle erano le motivazioni che spingevano anche
lui e che, ne era certo, condividevano anche gli altri Narniani.
Altrimenti non avrebbe avuto senso il loro inizio di rivolta.
-Ne sei
sicuro, Peter?- domandò flebilmente Eve, cercando risposte.
Perché si combatteva? Perché ogni volta che
arrivavano a Narnia c'era qualcosa che non andava?
Quello
annuì convinto un paio di volte e la sorella
sospirò, poco convinta e rassegnata.
-Visto che hai
già deciso non credo ti si possa far cambiare idea.
Però sappi che hanno messo la loro vita nelle tue mani e ti
hanno dato la loro fiducia sperando che tu li possa liberare. Non
abusarne solo perché sei il Sovrano- Il tono le
uscì più sapientino di quanto avesse voluto. Il
suo voleva essere un consiglio e invece aveva preso la forma di una
ramanzina, come di una mamma che avverte un bambino di non fare qualche
stupidaggine.
-E Lia allora? Praticamente l'hai fatta diventare tua
amica in meno di due giorni- insinuò Peter, dimentico che
quella poteva sentirlo. La sorella sbuffò e non fu contenta
della frase pronunciata del maggiore dei Pevensie, però si
trattenne dal rispondergli in malo modo, come ogni volta che per caso
ci si avvicinava a quell'argomento.
-Con Lia è un discorso
diverso- iniziò a mettere in chiaro. -Ti pare che obblighi
qualcuno a fare qualcosa contro la sua volontà? Non ti ho
appena detto che sei libero di fare quello che vuoi?-
Il fratello la
fissò: pensava di conoscere Evelyn così come gli
altri tre fratelli, invece ogni volta si rendeva conto che c'erano
aspetti di loro ancora celati e che non riusciva a cogliere fino in
fondo. Ad ogni azione corrispondeva una loro reazione, e queste si
sviluppavano ogni volta in maniera vagamente diversa, pur mantenendo le
solite linee che glieli avevano fatti conoscere.
La ragazza che si
trovava davanti era una contraddizione unica: contestava le sue
decisioni fino alla fine, però poi lasciava che sbattesse la
testa contro il muro per arrivare alla fine a dirgli, vittoriosa, -Te
lo avevo detto-.
Ebbe, per una manciata di secondi, dubbi sul fatto che
magari lui non era poi così Re e il titolo di Sovrano
Supremo non era poi così adatto a lui.
Solo per una manciata
di secondi qualcosa tremò dentro di lui, che represse a
fondo.
Si riprese posando lo sguardo su Eve che si era seduta sulla
stessa roccia da cui prima si era alzata, non sapeva nemmeno lei
guidata da cosa. Guardò i suoi fratelli uno per uno: Edmund
mentre si gustava l'ultimo pezzo di mela che aveva colto quel
pomeriggio stava fissando Evelyn.
Perchè la
fissava come un
ebete?
Peter non pensò ad una risposta e si voltò
a guardare Susan e Lucy che parlavano tra loro di sicuro di argomenti
da ragazze che a lui sicuramente non interessavano, lanciandogli
però a volte delle occhiate preoccupate. Avevano capito che
non c'era niente da fare e si sarebbero seguite le sue direttive.
Caspian, poco lontano da lui, fissava assorto l'immagine di Aslan.
Peter non volle girarsi a vedere quella figura scolpita nella pietra.
Era già pieno di dubbi, non ne voleva altri.
Realizzò di aver gongolato abbastanza mentre, ritornando con
l'espressione seria e decisa del solito, chiedeva a Edmund di chiamare
gli altri, il piano per l'attacco al castello di Miraz ben lucido in
mente pronto da esporre.
Il suo pensiero fu che, forse,
quella volta
Evelyn non gli avrebbe proferito il solito “Te lo avevo
detto.”
Eccomi
qui
l'undicesimo capitolo. Ho avuto qualche problema sulla lunghezza, in
quanto nel risistemare i precedenti capitoli questo pezzo mi era
rimasto fuori, infatti è un capitolo di
semi-transizione più corto degli altri.
Ho
preferito farne un pezzo a parte, concentrandomi a brevi tratti sul
legame Lia/Eve che non è
qualcosa che nasce così per caso, come di primo acchito
può sembrare, e Lia/Dhemetrya. Sembrano completamente
diverse, ma i loro scopi sono uguali. Proprio questo, però,
le porta a scontrarsi. Inoltre, come si sarà intuito,
Dhemetrya era presente quando i Pevensie sono tornati in Inghilterra.
Avrebbe voluto fermarli, ma ci sono delle motivazioni che l'hanno
spinta a non farlo – o farlo quando ormai era troppo tardi.
Ovviamente la colpa non è sua, così le cose
dovevano andare.
Per specificare: dato che le due riescono a comunicare mentalmente
anche se Lia
era incavolata gli altri la vedevano lo stesso sdraiata ad ascoltare
Peter.
Comunque, tenevi aggiornati, in un massimo di due capitoli
entrerà in scena Dhemetrya. Da quel punto, poi, alcuni
piccoli punti di questa versione inizieranno a scostarsi dalla
precedente, sempre di più, per adattarsi alla nuova trama.
Finito di blaterale pure per scritto, ringrazio coloro che seguono,
leggono in silenzio, commentano, preferiscono e ricordano. Ogni nuovo
parere è uno stimolo a fare sempre meglio :) Grazie a tutti
per seguirmi in questa avventura.
Vi lascio annunciandovi che la
raccolta Elements and Seasons ha iniziato il
“girone” sulle shot degli elementi, aprendosi con
quella dedicata a Lucy.
Inoltre, Essence ha visto la pubblicazione
dell'ottavo capitolo, dedicato a Tumnus,
e del nono, dedicato
all'Armadio
e in piccola parte a Digory.
Ci vediamo al prossimo
capitolo.
Love,
D.
|
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Capitolo 12 *** Ricordi fatti di margherite. ***
Narnia's
Spirits
Ricordi
fatti di margherite.
Quando
l'aria generale
era tornata allo stato iniziale i Narniani che avevano lasciato la sala
della tavola di pietra vennero richiamati da Edmund, per informarli che
si era trovato un accordo in qualche modo definitivo e si era pronti
con l'esposizione del piano programmato da Peter.
Furono tutti presenti
e attenti dopo aver sentito le parole del Re, come dimentichi dello
scambio di battute tra le varie parti di una decina di minuti prima, e
il Supremo prese parola tornando a rivolgersi a tutti. Gli occhi erano
puntati sulla sua figura e, impazienti, attendevano istruzioni. Tanto
impazienti che prima che potesse dire nuovamente qualcosa una domanda
quasi banale si levò da Trumpkin per incitarlo a parlare.
Stava diventando frustrante quel tempo perso a tentennare.
-Dunque come
ci muoviamo, Sire?-
E la risposta da parte del maggiore dei Pevensie
tanto attesa non si fece aspettare nuovamente.
-Edmund, tu hai ancora
la tua torcia, vero?-
Questo accennò un si con la testa,
portando involontariamente una mano al fianco per toccare la borsa
contenente l'oggetto, come a voler confermare la veridicità
dell'affermazione. Trovò però l'elsa della spada
che si scontrò con le dita della sua mano, ricordandogli che
la torcia era nella camera temporanea insieme alla tracolla con il
materiale scolastico.
-Bene. Dunque tu ed Evelyn andrete per primi su
una delle torri più alte del castello. Verrete trasportati
da un grifone e quando siete lì vi sbarazzerete delle due
guardie che, a quanto ha detto Caspian, ci sono su ogni torretta e che
quindi troverete inevitabilmente. Una volta fatto questo ed esservi
assicurati di essere al sicuro tu, Edmund, manderai con la torcia dei
segnali a intermittenza verso il bosco. E' tutto chiaro fin qui?-
Peter
li guardò attento e i due si limitarono ad annuire.
Ciò che avevano già intuito, era che il Pevensie
aveva fatto tutto in modo da tenere loro, Lucy e probabilmente anche
Susan il più lontano possibile dalla guerra e lo scontro
diretto con più guerrieri, in modo da tutelarli.
-Dopo che
Edmund avrà fatto il segnale toccherà a noi- si
voltò verso Caspian, Trumpkin e Susan.
-Sempre con l'aiuto
dei grifoni ci avvicineremo al castello dall'alto, atterreremo sul
ponte principale e ci occuperemo delle varie guardie di vedetta prima
che possano dare l'allarme. Dopodiché con una corda ci
caleremo e raggiungeremo la stanza del precettore di Caspian,
Cornelius-
-Cornelius?- si sentì in dovere di domandare Eve,
scettica. Non l'aveva mai sentito nominare o meglio, si
però… se fosse stato dalla parte di Miraz, se si
fosse
convertito per avere salva la vita?
Il Principe sembrò
capire i dubbi della Pevensie e si affrettò a dissolverli.
-E' il mio
precettore, mi ha aiutato a salvarmi la notte in cui sono scappato.
Puoi stare tranquilla, è dalla nostra parte. Mi ha dato lui
il corno-.
Eve si limitò ad osservarlo ancora qualche
istante, analizzando il tono preoccupato ma pieno di speranza che aveva
usato Caspian. C'era una sincera preoccupazione e devozione,
dall'allievo verso il suo maestro, dei sentimenti che parendole
sinceramente veri le fecero credere sulla lealtà dei due
e del rispetto reciproco che provavano.
-Dopo che ci saremo introdotti
nel castello ci occuperemo di Miraz. Ad un mio segnale Edmund, manda
altre intermittenze con la torcia: sarà il segno per le
truppe di entrare nel castello e attaccare- finì sicuro
Peter, non soffermandosi sull'argomento precedente.
-Peter, mi sa che
hai saltato un pezzo- la maggiore tra le sorelle Pevensie, vedendo lo
sguardo dei Narniani che saettava tra loro in cerca di maggiori
informazioni, si sentì in dovere d'intervenire.
Il fratello
annuì, consapevole -Si difatti non avevo finito, stavo solo
facendo una pausa per farvi assimilare le mie parole. Perché
adesso viene il difficile da spiegare, ma lo farò nel modo
più chiaro possibile. In caso di qualsiasi dubbio comunque,
non abbiate paura di parlare per chiedere, intesi?-
Un leggero coro
affermativo si levò in sottofondo e l'antico Re di Narnia
continuò ad esplicare il suo piano.
-Allora: nel frattempo
che Edmund manda il primo segnale con la torcia, e noi ci avvicineremo
con i grifoni, voi- e dicendo ciò si rivolse a Lia e
Glenstorm in primis, per poi guardare tutti gli altri presenti -e il
resto delle truppe vi inizierete a muovere. Uscirete dal bosco e
silenziosi vi avvicinerete al castello. Una volta lì vi
occuperete delle guardie che incontrerete e attenderete il secondo
segnale,
che sarà quello per l'attacco. A quel punto entrerete nel
cortile principale e sapete bene cosa dovete fare-.
Il centauro e la lupa annuirono, per poi scambiarsi uno sguardo
d'intesa.
-Chi si
occuperà del ponte e della grata?- Chiese per tutti,
Nikabrik. Non volevano pensare che il Re Supremo si fosse dimenticato
di quel piccolo particolare da abbattere per poter attuare il tutto.
Sarebbe stato ridicolo.
-Mentre voi vi avvicinate e noi iniziamo a
introdurci nel castello, Ripicì con altri due del suo
gruppo, s'introdurranno nella sala dove ce' la leva del ponte. Quando
tutto sarà tranquillo apriranno la porta per permettere a
Trumpkin, che nel frattempo si sarà separato da noi, di
entrare. Lì Trumpkin, Ripicì e i suoi uomini
inizieranno a far girare la leva per abbassare il ponte e, di
conseguenza, farvi entrare dopo aver ricevuto il secondo segnale- si
fermò un attimo per riprender fiato, poi continuò
-Per la grata invece ci penserà Caspian mentre io e Susan ci
occupiamo di Miraz-.
Evelyn ripensò alle parole di suo
fratello, ripetendosi meccanicamente in testa il procedimento senza
accorgersi, però, di aver iniziato a ripeterlo ad alta voce.
-Quindi in pratica: io e Edmund ci muoviamo per primi, al primo segnale
vi muoverete voi quattro- disse indicando con un dito i suoi due
fratelli maggiori, Caspian e il CPA.
-Nel frattempo che voi vi
introducete nel castello succedono tre cose: le truppe iniziano a
muoversi, Ripicì e i suoi entrano nella sala di comando del
ponte e Trumpkin si separa da voi per raggiungere, a sua volta, la
stanza dove stanno Ripicì e i suoi compagni. Nel frattempo
che loro iniziano a far abbassare il ponte, Caspian si
occuperà della grata e al secondo segnale di Edmund le
truppe entreranno nel cortile del castello, mentre tu e Susan vi
occuperete di Miraz-.
Annuì tra sé due volte,
come quando doveva ripetere una lezione e saltava direttamente dei
pezzi, accorgendosi di averli già assimilati e di saperli
senza che per forza dovesse ripeterli per intero.
-Quindi è
tutto chiaro?- domandò nuovamente Peter.
I presenti nella
stanza si limitarono ad annuire ed il Pevensie non poté non
notare uno sbadiglio da parte di Lucy e due Narniani che si
strofinavano gli occhi arrossati per la voglia di dormire un poco.
-Bene, allora potete andare. Riposatevi, domani mattina
verrà deciso se attaccheremo entro sera o quella dopo-
***
Evelyn
era ancora
vicino alla lapide di pietra e guardava la figura di Aslan, mentre
ripensava alle parole del fratello: c'era qualcosa in quel piano che
non le era chiaro.
Gli altri già dormivano, costretti a
chiudere gli occhi dalla stanchezza che era piombata su di loro come un
macigno non appena avevano avuto tempo di distrarsi un attimo quando
avevano finalmente avuto modo di apprendere il piano. Era penetrata
nelle loro membra, facendogliele sentire indolenzite, con lievi
emicranie, sonori sbadigli o occhi gonfi e palpebre pesanti.
“Dunque Peter ha precisamente detto che io ed Edmund verremo
trasportati da un grifone su una delle torri più alte. Io ed
Edmund, trasportati dal grifone… aspetta! Cosa ha detto?
Grifone? Il grifone? Un grifone? Io e Edmund insieme su un grifone? No,
sicuramente ho capito male.”
La bomba di pensieri che le era
esplosa in testa faceva un fracasso assurdo, nella sua mente, anche se
fuori si sentiva solo il lieve rumore del fuoco smosso dalle correnti
d'aria che penetravano tra piccole fessure e l'entrata.
-Non hai
sonno?-
Evelyn si ridestò dai suoi pensieri e si
avvicinò in fretta al fratello maggiore, sopraggiunto alle
sue spalle senza che se ne rendesse conto.
-Peter, grazie al cielo,
proprio te stavo cercando- Quello corrugò la fronte a
quell'uscita.
-Cercando? Ma se eri piantata li in piedi- La penultima
Pevensie si voltò occhieggiando lo spazio in cui erano i
propri piedi pochi secondi prima, osservando che aveva ragione; ma ora
aveva cose per lei ben più importanti da chiedergli.
-Tralasciando questo fatto, volevo chiederti una cosa riguardo il
piano- espose senza mezzi termini. Peter la osservò un
attimo, facendosi attento.
-Perchè non lo hai chiesto
prima?-
-Mi è venuto in mente questo dubbio solo ora,
scusami- Un lieve senso di colpa ed imbarazzo l'attraversarono quando
si rese conto della gaffe che stava facendo.
-Meglio tardi che mai-
sorrise leggermente il Pevensie -Forza, parla-.
-Riguardo a quando io
ed Edmund ci avvicineremo al castello… sarà su
due grifoni diversi, no?-
“Dimmi che ho capito male. Ti
prego, dimmi che ho capito male.”
Il maggiore dei Pevensie la
guardò, attento: perché quella domanda? Si
sentì in dovere di chiarire subito i dubbi della sorella,
così non ci pensò troppo.
-No, sarà su
uno perché due potrebbero attirare troppo l'attenzione-.
Evelyn ammutolì di colpo, mentre nella sua testa erano
partite varie ipotesi sia positive che negative.
Peter la
ridestò dai suoi pensieri -Ora è davvero tardi,
vai a dormire-.
La sorella gli sorrise e si avviò verso la
sua camera, anche se forse dopo quella scoperta non avrebbe dormito
così bene, troppo presa nei pensieri più strambi
e in mezzo a due fuochi a valutare i pro e contro di quella situazione.
Si voltò semplicemente un'ultima volta verso il fratello
prima di lasciare definitivamente la stanza, anche se lo
trovò immerso ad osservare Aslan, come lei prima che la
interrompesse.
-Notte-.
***
La
mattina dopo la
sveglia aveva suonato presto per la maggioranza dei Narniani,
soprattutto per quelli che avrebbero partecipato all'attacco. C'erano
armi da sistemare, lame da finire di affilare, bersagli da colpire
meglio, armature da rinforzare.
In tutta quella confusione di armature,
zoccoli, ferro e corna non facevano eccezione, quindi, coloro che erano
gli esponenti e punti di riferimento per tutto quell'ammasso di
creature più diverse.
Peter, Caspian, Susan ed Edmund erano
già in piedi pronti e svegli. Lucy, invece, l'avevano
lasciata dormire: volevano tenerla, per quanto fosse possibile, ancora
lontana dalla guerra.
Evelyn era ancora in uno stato di trans: aveva
gli occhi che faticavano a stare aperti, le palpebre le sentiva pesanti
e la faccia in generale declamava pietà, mentre la testa
aveva in circolo solo il pensiero di maledizione per non essersi
addormentata prima la notte precedente.
La mattinata era passata
relativamente in fretta, e dopo essersi permessi di prendersi una pausa
per pranzare, Eve stava guardando Edmund e Peter duellare, mentre Susan
e Caspian allenavano gli arcieri, con grande disappunto di
Trufflehunter che doveva sorreggere il bersaglio rischiando di
diventarlo, e gli abitanti di Narnia erano tutti impegnati in qualcosa.
La sua attenzione venne catturata da una margherita che stava vicino a
lei.
D'impulso e senza pensarci la prese e strappò il gambo
dal terreno, curandosi solo dopo aver eseguito il gesto che
così il fiore sarebbe appassito in poco tempo, e
portò il
fiore all'altezza degli occhi, una fitta di rimorso nel cuore: una
collana di fiori, fu il suo pensiero e nella mente un
ricordo,
posizionato quando aveva circa dieci anni.
***
Evelyn
Pevensie, in un
giorno di primavera, stava tranquillamente seduta su un prato di fiori.
Margherite, per la precisione.
Le guardava una ad una, cercando di
cogliere ogni più piccolo particolare di ogni fiore che la
circondava. Cosa un po' impossibile: chissà quanti erano.
Tutti diversi.
Eppure lei continuava a guardarle.
Ora una margherita
bianca, ora una con le sfumature azzurrine, ora una con le sfumature
rosate …
Le sarebbe piaciuto fare una collana di fiori.
Ma
lei non era capace.
Ed era troppo orgogliosa per ammetterlo a se
stessa, figurarsi a qualcuno. Aveva paura di andare a chiedere a quei
gruppetti che erano tutti insieme sorridenti se poteva unirsi a loro,
paura di qualcosa che nemmeno lei conosceva.
Improvvisamente l'ombra di
qualcuno occupò la sua visuale. L'ombra poi, si sedette
accanto a lei, finalmente rivelando l'identità del suo
proprietario.
Edmund.
Suo fratello era venuto a cercarla, forse per il
fatto che era lì in quel prato da dopo pranzo quando il sole
era ancora alto nel cielo. Ora invece si ritrovava a poca distanza
dalla linea dell'orizzonte.
Aveva passato tutto il pomeriggio
lì. Ad osservare, a pensare, a perdersi nelle sue fantasie
di bambina. Ci perdeva intere giornate quando non aveva niente da fare;
forse perché quel posto le dava, in parte, una pace e una
tranquillità dalla sua vita quotidiana. Perché
lì poteva perdersi nei propri pensieri e fantasticare, senza
che nessuno le dicesse niente.
La voce di suo fratello la
riportò alla realtà.
-Sai fare una collana di
fiori?-
La sorella a quella domanda s'incupì, poi
proferì un semplice -No- appena sussurrato, ma che alle
orecchie di Edmund arrivò chiaro e limpido come l'acqua.
Sorrise di fronte alla testardaggine di Evelyn.
-Bene, allora
è arrivato il momento di imparare-.
La penultima Pevensie
alzò di scatto la testa rischiando di scontrarsi con il
mento di Edmund.
-Che vuoi dire?- domandò, quasi allarmata:
aveva paura di dover fare qualcosa che poi avrebbe sbagliato.
-Che ora
tu imparerai a fare una collana di fiori- la sorella lo
guardò, mutando sguardo e diventando curiosa.
-Perché tu sai farla?- Edmund gonfiò il petto,
improvvisamente sicuro e orgoglioso di sé.
-Certamente-
-Ma
non è una roba da femmine?- chiese con la sua voce
bambinesca. A quella domanda pronunciata senza doppi fini da Eve,
Edmund arrossì leggermente in imbarazzo e
incrociò le braccia al petto.
-Uffa, uno tenta di aiutarti e… - iniziò, il tono
e il viso leggermente
imbronciati, ma la sorellina lo interruppe.
-Va bene. Insegnami come si
fa una collana di fiori- disse sorridendo.
A quel punto Edmund
iniziò a cercare per il prato una margherita che fosse
perfetta per fare una collana. Dopo averla trovata, circa a una decina
di metri da dove aveva lasciato una Eve che lo guardava ancora curiosa,
tornò e si sedette di nuovo, iniziando a spiegare
pazientemente alla sorella come bisognava fare e facendole vedere i
vari meccanismi fin quando lei non li ebbe imparati quasi alla
perfezione.
Quando ormai il sole si apprestava a calare dietro una
collinetta i due fratelli tenevano in mano la collana che erano
riusciti a fare quel pomeriggio. La prima collana di tante.
-Cosa ne
facciamo adesso?- fu la domanda che Evelyn rivolse al fratello,
pensosa. I fiori sarebbero poi appassiti, c'era bisogno di godersi in
fretta i momenti in cui ancora conservavano la loro bellezza.
Questi
sembrò pensarci su, poi s'illuminò -Tieni,
indossala- disse portando la collana in direzione di Eve.
-Io?-
-No
guarda… quante Evelyn Pevensie vedi qui, scusa?-
domandò, accigliato. Evelyn lo guardò e gli
voltò le spalle per quell'uscita scontrosa:
“Cattivo”,
pensò.
Poi però si voltò di nuovo
verso Edmund, che in mano teneva ancora la collana di fiori e si
guardava intorno impaziente, come rendendosi conto che era stato tutto
il pomeriggio a fare qualcosa da femmine. Sperava, in una parte remota
di se stesso, che nessuno che conoscesse li avesse visti.
-Dicevi
davvero?-
-Certo. Avvicinati- Evelyn eseguì l'ordine e si
portò a poca distanza dal fratello maggiore.
-Una collana
speciale per una bambina speciale: la mia sorellina-
proferì, mentre metteva la loro creazione al collo di Eve.
La ragazzina guardò la collana, poi Edmund.
Sorrisero.
Una
felicità malinconica si fece spazio in lei a quel ricordo
tanto caro che aveva e che conservava gelosamente dentro di
sé. Subito poi, ne fece arrivò un altro,
posizionato all'incirca cinque mesi dopo che avevano lasciato Narnia.
Evelyn
se ne stava sul
prato pieno di margherite appena fiorite, rimuginando su se stessa.
Ormai i suoi pensieri erano sempre quelli: Narnia, il suo amore per
Edmund a cui ormai ci aveva fatto l'abitudine e ancora Narnia con tutto
ciò che ne conseguiva.
Cinque mesi erano passati, cinque
strazianti e lunghi mesi.
Quando sarebbero tornati? Mancava ancora
molto a quando la grande magia li avrebbe riportati a casa?
Sospirò, osservando attentamente le margherite che la
circondavano e il prato su cui si trovava, per poi spostare lo sguardo
sul cielo azzurro con qualche sbuffo di nuvola qua e là.
Poteva pensare di essere ancora a Narnia. Poteva ma non voleva. Oppure
voleva, ma non poteva. C'era sempre il rumore del traffico londinese a
portarla alla realtà.
A Narnia invece c'era il silenzio
rotto solo dal rumore del mare dell'est o dall'aria che birichina
faceva danzare i fiori e le chiome degli alberi. Non c'erano le auto,
le strade e non c'erano le case che occupavano gran parte dello spazio
disponibile.
Narnia era pura.
-Ti ricordi ancora come si fa una collana
di fiori?-
La ragazza alzò lo sguardo di scatto per
incontrare il viso e gli occhi famigliari di suo fratello Edmund.
Questi, senza attendere risposta, si sedette sull'erba accanto a lei.
-Certo che mi ricordo- fu la semplice risposta di Evelyn, nel tono di
voce si poteva chiaramente sentire una nota di nostalgia. Ed Edmund
sapeva bene cosa mancava a Evelyn.
Mancava Narnia.
Come mancava a lui,
a Lucy, a Peter e a Susan.
S'ingegnò per tentare di
risollevare il morale a sua sorella.
-Bene- proferì, dopo
aver capito cosa doveva fare. -Allora facciamo questa collana di
fiori-.
Evelyn si voltò verso di lui: Edmund? Una collana di
fiori? Come quando erano piccoli? Come quando erano Re e Regina?
Lasciò perdere i suoi pensieri e gli sorrise non appena lo
vide mettersi comodo e iniziare a trafficare con qualche margherita.
Così iniziò ad aiutarlo cercando le margherite
con i gambi più lunghi e quelle con i petali migliori,
serena mentre sentiva le sue dita che si scontravano con l'erba verde.
In poco tempo una bellissima collana dai petali bianchi con sfumature
rosa e azzurre fu pronta nelle mani dei due Pevensie.
-E adesso?-
chiese Evelyn, lo sguardo sempre puntato sulla loro creazione. -Che si
fa?-
-Semplice- Edmund le rispose in tono ovvio, fin troppo consapevole
di ciò che doveva fare.
-Una collana speciale, per una
Regina speciale- Disse facendo indossare la collana di fiori a Eve.
Quella rimase leggermente imbarazzata dall'improvviso avvicinamento che
Ed aveva fatto.
-Grazie, te ne sei ricordato- Edmund si
limitò a sorriderle.
I mesi
passati lontano da Narnia si sentivano lo stesso, come un macigno, una
gabbia in cui si ritrovava senza volerlo e da cui voleva –
doveva – assolutamente evadere.
Ma durante quei minuti
trascorsi insieme a suo fratello, la mancanza si era affievolita e a
Evelyn sembrò di essere di nuovo a Narnia: nei verdi e
infiniti spazi aperti del grande bosco dell'ovest, sotto il limpido
cielo del nord, con la luce dello splendente sole del sud e, in
sottofondo, il rumore delle onde contro gli scogli dello sfavillante
mare dell'est.
Il
suo sorriso triste si
ampliò e continuò ad osservare la margherita che
teneva in mano.
Nonostante tutto, era di nuovo a casa.
***
Edmund
e Peter, nel
frattempo, avevano smesso di duellare. Dopo che entrambi ebbero
rinfoderato la spada, il maggiore si avviò dentro il rifugio
per vedere a che punto fossero i vari Narniani.
Sperava in cuor suo che
fossero pronti per quella sera, perché non c'era tempo da
perdere, ma sapeva che rimandare alla sera dopo sarebbe stato meglio,
per vari e più fattori. Si sarebbero riposati un poco
ancora, si sarebbe allentati e avrebbero potuto finire di preparare
meglio il materiale necessario.
Edmund vide la figura di suo fratello
scomparire nella roccia e, voltando lo sguardo, la sua attenzione fu
attirata da Evelyn che, seduta dietro il mucchio di rocce dove
l'avevano trovata pochi giorni prima, guardava assorta e pensierosa una
margherita.
Gli spuntò un sorriso: sapeva a cosa stava
pensando, perché anche a lui stavano facendo capolino gli
stessi pensieri, come ogni volta che si ritrovava a guardare un prato
fiorito.
Il suo sorriso però, durò poco.
Difatti,
anche se era leggermente lontano dalla sorella, non gli era passato
inosservato il suo cambio di espressione, che da sereno era
diventato… triste. Una scintilla di sconforto che le aveva
attraversato gli occhi.
Perché?
Non dovevano essere felici i
ricordi legati alle collane di margherite che facevano da bambini e che
avevano continuato a fare a Narnia?
E poi, eccola.
Una lacrima.
Edmund
la vide distintamente fare capolino dagli occhi lucidi di Evelyn che
invece continuava a guardare il fiore, ignara. Poté
chiaramente vedere il movimento che quella goccia salata stava facendo:
ora era a metà guancia, sfuggita da quegli occhi che
cercavano di tenere a freno una tristezza che gli si era frantumata
dentro, per poi continuare a muoversi lentamente fino ad arrivare allo
zigomo e cadere per terra, lasciandosi dietro solo una piccola scia che
la ragazza si affrettò a cancellare con la manica
dell'abito.
Il terzogenito Pevensie ebbe, come d'improvviso, alcune
risposte ai parecchi dubbi che lo assillavano da tempo. O forse erano
ancora più dubbi e domande quelle che in quel momento
vorticavano nella sua testa: perché piangeva guardando la
margherita? C'entrava lui tutte le volte che Evelyn piangeva? Forse era
per quello il motivo per cui negli anni non gli aveva mai parlato di
ciò che la tormentava? Perché non voleva ferirlo?
Perché la sua
tristezza riguardava lui?
Ebbe una stretta
allo stomaco e se avesse potuto si sarebbe picchiato da solo. Come
poteva essere stato così cieco? Come poteva non aver capito
che i comportamenti strani di Evelyn rivolti a lui e agli altri
fratelli erano per causa sua?
Come… ?
Si ridestò
e si decise, riprendendo il controllo su di sé e cercando di
ragionare con lucidità. Doveva sapere il motivo che la
tormentava tanto.
Ancor più se centrava lui.
Il suo corpo si
mosse più veloce del suo pensiero, iniziando ad incamminarsi
verso una Evelyn che continuava a guardare i fiori in maniera assorta.
Appena fatti dieci passi però il secondo Pevensie si
bloccò, indeciso. Sarebbe andato la, e poi? Cosa le avrebbe
detto? “Ti
ordino di dirmi i tuoi segreti?”
Edmund
si guardò attorno attento, concludendo che l'approccio
diretto non sarebbe servito e, anzi, avrebbe solo peggiorato le cose
facendola chiudere a riccio.
Poi, l'illuminazione, dopo aver osservato
più volte Eve, il prato e le margherite: ora sapeva cosa
poteva fare.
Ricominciò a camminare con passo spedito verso
la sorella.
***
-Vuoi fare una collana di margherite?-
Evelyn
alzò lentamente lo sguardo su colui che le stava di fronte e
che aveva interrotto i suoi pensieri.
Edmund.
Aveva un sorriso sul
volto ma gli occhi erano velati di qualcosa…
preoccupazione? Lo scrutò il più a lungo
possibile.
Com'è che saltava sempre fuori quando voleva
stare da sola? Fu la domanda che si pose, però
poi scosse la
testa; infondo la compagnia del fratello maggiore non le dispiaceva.
Scosse la testa, di nuovo, gesto che non passò inosservato
al
Pevensie, facendogli solo intuire di più che c'era davvero
qualcosa che avrebbe dovuto sapere. Si sedette anche lui sul prato
vicino a lei in attesa di risposta che non si fece attendere.
-Si, mi
piacerebbe-.
Si sorrisero a vicenda ed entrambi arrossirono, ma fecero
finta di niente, non notando la reazione dell'altro, troppo concentrati
a cercare di mascherare la propria.
-Aspetta, non qui, c'è un
altro posto più bello. E' dietro il rifugio ed è
pieno di margherite- Spiegò Eve, bloccando Edmund che si
stava sporgendo per prendere una margherita, il tono di voce allegro.
Ci
misero pochi minuti
e, quando girarono dietro una roccia che li fece scomparire dalla vista
della pianura che si trovava di fronte alla casa di Aslan, finalmente
si trovarono nel prato.
Non era grande, però straboccava di
fiori, non solo margherite, ed era un luogo a dir poco magico, con
qualche farfalla che volava qua e là senza rompere troppo la
stasi nell'aria.
-Come hai scoperto questo posto?-
-Per caso-
confessò, tralasciando di dire che era in cerca di un luogo
in cui poter pensare privatamente e prendere delle distanze da lui.
-Che fortuna- Affermazione particolarmente idiota e quasi banale, ma ad
Ed non venne in mente altro da dire.
-Lo so- si limitò a
rispondere Evelyn, mentre si avviava al centro dello spiazzo d'erba e
fiori totalmente a suo agio. Fu seguita subito da Edmund e dopo aver
trovato una margherita con il gambo abbastanza lungo i due fratelli
iniziarono a fare la collana.
Mentre osservava i fiori che aveva in
mano in attesa di passarli a Edmund quando ne aveva bisogno Evelyn
disse di colpo, rompendo il silenzio che si era creato -Io sto sopra e
tu stai sotto-.
Edmund si bloccò di colpo, si mise a tossire
perché la saliva gli era andata di traverso e spaesato
guardò la sorella.
-Che?!- si limitò a dire,
spaesato.
-Ho detto: io sto sopra e tu stai sotto- ripeté le
Pevensie, con tono ovvio. Edmund intanto continuava a guardarla
stralunato e Eve avvampò, capendo la gaffe per il doppio
senso della frase.
-Intendo con il grifone!- esclamò con la
voce più alta del solito. Il viso di Edmund si
rilassò all'istante mutandosi in un'espressione di quasi
noia.
-Ma certo, va bene-.
La sorella annuì alle sue parole,
sapendo che comunque l'avrebbe convinto a farsi trasportare dagli
artigli della creatura, poi però affilò lo
sguardo, improvvisamente attenta.
-Edmund Pevensie, che cosa avevi
capito?-
-Ma niente!-
-Edmund, dimmi che non avevi pensato
ciò a cui sto pensando che tu avevi pensato-.
Il fratello si
limitò ad annuire facendo un gesto eloquente con la mano che
stava a dire: -Certo che no-.
La Pevensie lo guardò
sospettosa per un'altra manciata di secondi, poi tornò a
fissare i fiori, non totalmente convinta.
-Per un attimo ho temuto… - Edmund si pentì di
aver pronunciato quelle
parole non appena Evelyn aveva alzato lo sguardo, fulminandolo con un'
occhiataccia.
-Ed!- Tentò di dargli un pizzicotto, che
questi schifò prontamente, per poi alzarsi e iniziare a
correre.
Sua sorella era pericolosa. Pericolosa quando si metteva in
testa di farla pagare a qualcuno, pensando di dargli fastidio fino a
quando questi non avesse chiesto scusa e di lasciarlo in pace.
Eve gli
corse dietro e andarono avanti per un po' così, poi, quando
Evelyn lo stava per prendere, inciampò in un sasso. L'unica
cosa di cui si rese conto fu un dolore lieve al piede,
abbastanza da farle perdere l'equilibrio che la Pevensie
cercò di riottenere aggrappandosi alla casacca del fratello,
prima di sentire aria ed erba che le graffiavano il viso.
Rotolarono.
***
“Che
botta.”
Eve stava tentando di andare a toccare il piede che
aveva pestato nella caduta, un senso di nausea dovuto ai troppo giri
continui. L'avrebbe fatto, se un peso sopra di lei non le avesse
impedito i movimenti.
Alzando lo sguardo incontrò gli occhi
di Edmund tremendamente vicini. Tanto vicini, troppo
vicini. E il suo
fiato sul collo.
Si persero a guardarsi
come se fossero improvvisamente caduti in uno stato di stasi che li
aveva congelati in quel modo.
Evelyn fu la prima a ridestarsi, mentre
la testa che non capiva più niente cercava di ragionare per
tornare lucida.
-Ed n-on re-p-ro-.
-Cosa hai detto?- le chiese Edmund,
improvvisamente attento e conscio della posizione in cui si trovavano.
Una posizione non propriamente normale, se li avesse visti qualcuno di
sicuro avrebbe capito male.
-N-non respiro… spostati, per
favore- ripeté più convinta e con il tono di voce
più alto.
-Insomma non sono un materasso!- sbottò
alla fine riprendendo il tono spavaldo di sempre e arrossendo
furiosamente.
-Oh si, scusami- proferì il fratello, che
però non si mosse. La guardava: le sue labbra erano
invitanti.
Ancora una volta fu sua sorella a portarlo alla
realtà. -Ed quale parte del non respiro e spostati non hai
capito? Non mi pare che siano frasi difficili-.
Il terzogenito Pevensie
si rese conto di aver fatto la figura dello stupido e facendo leva
sulle braccia fece per spostarsi di lato. Qualcosa, però,
attirò la sua attenzione, inevitabilmente. I suoi occhi
avevano imparato a cogliere anche i più piccoli movimenti da
quando era diventato un Re, un condottiero, un guerriero che rischiava
la vita nelle battaglie.
-Eve, non muoverti- disse alla sorella, il
tono di voce tremendamente serio.
-Come faccio a muovermi con te sopra,
genio?- Ma lo sguardo di suo fratello che andava oltre la sua testa e
la mano che stava andando ad impugnare l'elsa della spada la fecero
preoccupare.
Cosa diavolo aveva dietro di lei?
Non ebbe il coraggio di
chiederlo, inconsciamente paurosa di sapere qualcosa di cui poi si
sarebbe pentita, ed immobile osservava suo fratello estrarre la spada
facendo meno rumore possibile. Lo vide protendersi con il corpo,
lentamente, e qualche secondo dopo colpire qualcosa con la spada al di
sopra della sua testa.
Al suo naso giunse un lieve odore di sangue, e
quando Edmund si alzò finalmente da lei si girò
su un fianco. Lo vide osservare la carcassa di un serpente e poco dopo
gettare il corpo esanime dell'animale lontano da loro.
-Stava per
mordere- disse semplicemente, pulendo la spada nel terreno per poi
rinfoderarla.
-Che ne dici di tornare?- fu la domanda che le giunse da
parte di suo fratello, senza che attendesse una risposta da parte sua.
-Si, direi che è una buona idea-.
***
Edmund
aveva
praticamente costretto Evelyn a non andare più in quel prato
che poteva essere pericolo, mentre camminavano per tornare davanti alla
casa di Aslan.
Questa dal canto suo aveva messo il broncio, ma poi si
era aperta in sorriso e aveva ceduto. Dopotutto Edmund si preoccupava
per lei, perché farlo agitare?
Non appena fecero la loro
comparsa il Pevensie venne richiamato da Peter, mentre Susan
e Lucy stavano parlando tra di loro. Osservandole meglio per un attimo,
a Eve parve più che Lucy parlava a Susan, probabilmente di
Caspian, perché la ragazza poteva chiaramente vedere le gote
di sua sorella maggiore arrossate, e il ghigno sereno sul volto invece
della più piccola.
Stava per essere quasi morsa da un
serpente, ma Eve già non ci pensava più: avevano
decisamente
affrontato di peggio.
Scrutò la radura, attenta,
pensando a qualcosa da fare per non addormentarsi: la sua attenzione
venne attirata da un sentiero che si avviava nel folto della foresta.
Stando attenta a non farsi vedere per non essere seguita o, nella sua
ipotesi peggiore, bloccata, sgattaiolò via e
iniziò a percorrere quella stradina, la quale ai lati aveva
alberi le cui fronde si incrociavano tra di loro. Nonostante tutto era
comunque abbastanza luminoso, il sole faceva lo stesso capolino tra gli
alberi, la strada era visibile e percorribile. Sembrava quasi una
passeggiata di montagna.
Dopo che ebbe camminato un po', indifferente
all'aver lasciato alle sue spalle la casa di Aslan da vario tempo
– quanto? Non lo sapeva, in parte non le importava nemmeno
– arrivò in uno spiazzo d'erba.
Davanti, alla sua
sinistra e alla sua destra si aprivano altri tre sentieri, come un
incrocio.
L'erba davanti a lei era invitante, così verde.
Tolse Asterius e lo appoggiò vicino al tronco dell'albero
che
stava alla fine del sentiero da cui era arrivata, immaginando che la
sua potesse essere una mossa furba per non perdersi. Senza pensarci si
distese sull'erba e si addormentò.
Una folata di vento,
l'albero su cui era appoggiato Asterius che tremava per una presenza
improvvisa tra la chioma, e questi era rotolato al suo fianco.
Eccomi
qua.
Scusate, ho avuto delle settimane infernali, il tempo vola e non me ne
rendo conto. ._.
In questo capitolo venivano
presentati i ricordi di Eve che, rammento, mi era piaciuto moltissimo
scrivere anche se erano nati da una deviazione improvvisa
dell'ispirazione.
Come dicevo già, il primo va preso come un gesto fraterno,
il secondo con i sentimenti da entrambi. Sono messi vicini anche per
cercare di mettere in risalto le due situazioni che si, sono analoghe,
ma con significati diversi di sfondo.
Ovviamente io sono fin troppo
prolissa quando si tratta dei capitoli delle long, quindi gli eventi
vanno un po' a rilento, forse anche perché è un
mio modo di vedere l'evoluzione dei sentimenti tra le persone. Comunque
è un capitolo di semi-transizione, quindi ricordi e scenette
varie tolte non ci viene detto niente di che. E' qualcosa che era nato
per togliere un po' la tensione prima della battaglia,
anche se verrà rimandata di due capitoli, visto l'arrivo di
Dhemetrya nel prossimo.
Vi ringrazio per aver letto, per le
recensioni, i preferiti, i seguiti e le ricordate. Di pazientare tra
gli aggiornamenti e di continuare a seguirmi nelle mie idee strambe.
Grazie a tutti,
D.
|
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Capitolo 13 *** Sospetti nelle ombre d'un prato. ***
Narnia's
Spirits
Sospetti
nelle ombre
d'un prato.
Edmund
era stato
richiamato dal fratello maggiore non appena era ritornato visibile,
insieme ad Eve, a coloro che vagavano per la casa di Aslan e i
dintorni.
Lanciando un'occhiata ai Narniani notò che tutto
era come sempre, forse con qualche segno di tensione in meno a causa
della pausa che si stavano godendo concessa dai due comandanti
principali, trovatisi d'accordo sul non far pesare troppo una
situazione già da sola seria e preoccupante.
Ancora
leggermente confuso e imbarazzato per ciò che era successo
poco prima, con riluttanza il Pevensie seguì Peter
all'interno della stanza dove c'era la tavola di pietra per sapere,
nello specifico, cosa voleva suo fratello.
Sperava che nessuno avesse
visto lui e la sorella poco prima, andando poi a riferirlo al Re.
Benché sapesse che non avevano fatto, né stavano
facendo nulla di male, non poté impedire ad una parte di se
stesso d'entrare in panico e cominciare a pensare ad un discorso
abbastanza convincente per tirar via i sospetti che potevano essersi
formati.
Peter, arrivato nella stanza pochi passi prima del minore, si
era appoggiato ad una metà della roccia spaccata, braccia
incrociate al petto e lo sguardo serio.
Continuava a fissare Edmund
senza proferire parola e questi, oltre che spazientirsi, si stava
seriamente preoccupando, la testa che iniziava a pensare anche ad altre
possibilità oltre alla prima che gli era venuta in mente.
C'era la possibilità di un attacco a sorpresa? Le truppe al
fiume si stavano muovendo più velocemente del previsto?
-Di
cosa volevi parlarmi?- si decise di chiedere alla fine cercando di
mantenere un tono di voce il più neutro e naturale possibile
e capendo che Peter aspettava una sua mossa.
-Edmund, lo sai che entro
domani dovremo attaccare il castello di Miraz, no?- Il maggiore dei
Pevensie parlò calmo, e alla sua frase Ed
aggrottò leggermente la fronte, non aspettandosi ancora un
discorso riguardante l'assalto.
-Si, certo. Non ripeti altro da quando
abbiamo incontrato Caspian nel bosco- gli fece notare, diretto e
leggermente pungente per i modi con cui si era rivolto spesso al
Principe. Lui e le sorelle lo avevano spesso ripreso con qualche
occhiataccia o una tirata di casacca, ma non c'era stato verso di far
scendere il Magnifico dal piedistallo su cui si era messo.
Peter
annuì soddisfatto e tirando un leggero sorrisino.
-Ti
ricordi il piano, no?-
Edmund sbuffò, roteando leggermente
gli occhi: dove voleva arrivare? Era logico che si ricordasse del
piano!
-Certo che mi ricordo, Peter- Proferì serio e
marcando il nome del fratello, guardandolo dritto negli occhi.
-Bene,
quindi ti raccomando di fare attenzione. Sia a te che a Eve- Il minore
dei Pevensie ebbe un improvvisa voglia di tirare un lungo sospiro di
sollievo quando capì il succo del discorso, totalmente
diverso rispetto a ciò cui aveva pensato inizialmente, ma si
limitò ad esultare internamente per non dar adito a Peter di
chiedere il motivo del suo comportamento.
-Certo che faremo attenzione-
si limitò a dire, mantenendo il solito comportamento posato
e leggermente distaccato.
-Dopo che avrete mandato il secondo segnale e
nel cortile principale si svolgerà la lotta tra i Narniani e
i Telmarini, tu e Evelyn dovrete cercare di raggiungere il campo di
battaglia senza farvi vedere, in modo da uscire senza problemi
attraverso l'entrata principale insieme agli altri e a noi. D'accordo?-
Edmund annuì, la mente che pensava. Sicuramente secondo suo
fratello non ci sarebbe stato bisogno di usare l'entrata principale
nuovamente, perché il suo piano prevedeva la presa in
ostaggio di Miraz e, così, la conseguente resa delle guardie
per evitare che il loro sovrano temporaneo subisse danni.
Poi un dubbio
si insinuò nella sua mente, e la pulce nell'orecchio gli era
stata messa nel prato da Eve tornò a ronzare fastidiosa.
All'inizio era rimasto sorpreso, molto, dalla sua frase e non aveva
fatto caso a chiederle il perché di quell' affermazione
detta con tanta convinzione.
-Scusa, ma per andare al castello quanti
grifoni saranno disponibili?- si ritrovò a domandare, d'un
botto e senza volerlo davvero, sviando leggermente lo sguardo verso dei
punti imprecisati della stanza.
Il fratello maggiore corrugò
la fronte, mentre rimaneva tacitamente sorpreso: perché
quella domanda gli sembrava familiare? Però si
affrettò a rispondere al fratello minore, chiedendosi anche
se non fosse stato poco chiaro in quella parte di piano.
-Dunque: uno
io, uno Susan, uno Caspian, uno il CPA e uno tu ed Evelyn- disse,
mentre si assicurava di aver incluso tutti.
-Ah- Si limitò a
dire l'altro, gli occhi sbarrati e il cuore che a quelle parole era
incespicato sui suoi stessi battiti. Ora capiva il perché
della frase di Evelyn.
Peter lo guardò studiandolo
attentamente: la sua espressione lasciava trapelare qualcosa che
però Edmund faceva di tutto per nascondere, non osservandolo
direttamente, ma che ai suoi occhi di Re guardingo e fratello non
scappò del tutto.
-Perché questa domanda?-
domandò, per smorzare il senso di curiosità che
iniziava a sentire. Edmund non seppe prontamente che risposta dare, ma
il Pevensie continuò il suo discorso senza farci,
apparentemente, troppo caso.
-Sai, non sei il primo che me la fa…- finì, con
un tono che voleva essere tra
l'indagatore e il misterioso.
In quel momento, voleva una risposta.
-Cioè?- Edmund sospettava di sapere a chi alludeva
Peter, tuttavia non si sbilanciò troppo, cercando di far
credere che per lui quella situazione era del tutto nuova.
-Perché questa domanda me l'ha già fatta Eve e,
come te, sembrava sinceramente sorpresa dalla risposta- disse diretto
il fratello maggiore senza problemi e scrociando le braccia dal petto.
Si staccò dalla pietra dietro di lui, prima di riprendere a
parlare facendo un passo in avanti per poter osservare il fratello poco
più da vicino.
-Inoltre ho notato che vi comportate in modo
strano ultimamente. Non è che nascondete qualcosa?- Peter
aveva usato un tono vagamente ironico, come quando si sa già
che una persona ha combinato qualcosa che vuole però
continuare a nascondere a tutti i costi.
Era più che sicuro
che quei due ne stessero combinando una delle loro, come quando
organizzavano gli scherzi o se ne andavano per allontanarsi dalla
presenza sua e di Susan. Nascondevano qualcosa, ma non era ancora
riuscito a capire bene il motivo di alcuni loro comportamenti, tanto
che alle volte gli sembrava che li avessero sempre avuti fin da prima
di Narnia.
Ma no. Nascondevano qualcosa.
Non sapeva quanto ci stava
andando vicino.
La bocca di Edmund si aprì leggermente, ma
non ne uscì alcun suono, mentre il fratello continuava a
guardarlo in attesa di risposta. "Eve, perchè Eve ha chiesto
dei grifoni a Peter?"
Peter vide il fratello boccheggiare un paio di
volte senza sapere esattamente cosa dire, mentre entrambi rimanevano
fissi nei loro pensieri e ragionamenti. Quando il minore
constatò che dire espressamente il motivo della domanda era
certamente migliore che ricamarci sopra delle inutili scuse che
sarebbero state sicuramente poco credibili, puntò lo sguardo
posato dritto sul fratello.
I due si guardarono per qualche secondo,
studiandosi in silenzio, poi il minore si aprì in un sorriso
rassicurante e sghembo.
-Tranquillo Peter, la mia era solo una
curiosità ed evidentemente lo era anche di Evelyn- disse
pensando che quella motivazione doveva essere plausibile anche per sua
sorella.
Peter sospirò di sollievo poi si aprì
anche lui in un sorriso e si mosse in direzione del fratello minore.
-Ti credo- Peter sorrise, avvicinandosi al fratello e
posandogli una mano sulla spalla come un gesto di fiducia e
incoraggiamento.
-Mi raccomando per sta notte- aggiunse poi, serio e
con una nota determinata nello sguardo, stringendo la presa.
Edmund
portò una mano all'elsa della spada, fida compagna, mentre
l'altra andava a toccare quella del Pevensie: quando le due
s'incontrarono Peter staccò la presa della spalla del
fratello, e il gesto si trasformò in una stretta di mano
come quello che erano soliti fare con i centauri.
-Non preoccupati. Non
ci tengo a farmi uccidere-.
Si rivolsero un sorriso determinato a
vicenda, mentre sapevano bene che il piano doveva andare bene se
volevano risolvere quanto prima quella situazione che stava via via
precipitando sempre di più. Ancora poco e sarebbe stata
irrecuperabile, disastrosa anche per loro.
Se già non lo
era.
-Andiamo, voglio vedere Eve- si allontanò
improvvisamente Peter sotto lo sguardo crucciato di Edmund.
-Perché?- si limitò a domandare quello, mentre
iniziava a seguire il maggiore nei corridoi bui della casa di Aslan.
Un'idea vaga l'aveva, però non voleva far cadere il silenzio
tutto d'un botto.
Parlare con suo fratello, sapere di avere la sua
fiducia, sentirsi considerato erano tutti piccoli pezzi che, in quei
momenti, si chiedeva come non avesse fatto a percepire prima, quando
ancora li aveva traditi.
-Vorrei parlarle- svoltarono a destra e
tra qualche segno di rispetto che rivolsero loro alcuni Narniani
intenti nei loro incarichi notarono la luce diurna proveniente
dall'entrata che si trovava dinnanzi ai loro sguardi.
-Immaginavo- si
limitò a rispondere Edmund, sorridendo appena.
***
Non appena
uscirono la luce di un pomeriggio che andava a scomparire in un leggero
rosato li colpì agli occhi, ed i due per riflesso furono
costretti a socchiudere le palpebre anche senza volerlo del tutto,
mentre in testa avevano tutt'altri pensieri rispetto al sole che
tramontando dava loro fastidio.
Avevano un altro fastidio, che si stava
lentamente prendendo possesso delle loro menti, mentre i loro occhi
vagavano tra le figure che sostavano nei paraggi.
Videro Lucy in
compagnia di Lia e Trumpkin: la Regina sorrideva, mentre la lupa se ne
stava sdraiata apparentemente addormentata e il CPA parlava burbero.
Poco più lontani Caspian e Susan si allenavano con l'arco,
in quel momento, però, da soli e senza soldati da tenere
d'occhio. Sembravano tranquilli, mentre si scambiavano sguardi fugaci e
sorrisi deliziati forse senza nemmeno rendersene conto.
Ed Eve? Dov'era Eve?
Chiesero alle sentinelle,
particolarmente attente a chi girava per la radura, se l'avessero vista
ma queste negarono, facendo intendere che l'ultima volta era stata
avvistata la Regina era in compagnia di loro due prima che si
dividessero.
Girando per tutto il rifugio e non trovandola, Edmund e
Peter si iniziarono a preoccupare sul serio, dando adito a quel senso
di inquietudine che avevano sentito nascere quando già da
soli inizialmente non erano riusciti a vederla, mentre decidevano di
avvertire gli altri.
Peter chiamò Lia in disparte, decidendo
di non far preoccupare troppo Lucy e lasciandola con Trumpkin,
raggiunto da Trufflehunter, mentre Edmund si avviava in fondo alla
radura per avvertire Susan e Caspian.
Eve, zucca vuota, dove sei?
***
-Vediamo
se riesci a
prendere il centro da questa distanza-
Caspian aveva sfidato l'antica
regina ad una gara di tiro con l'arco, un sorriso divertito di chi
crede di aver già vinto in partenza una partita troppo
facile.
Susan lo guardò con un sorrisetto divertito e si
preparò a tirare, impugnando saldamente l'arco e la freccia
appena incoccata, pronta a non lasciarsi sconfiggere anche solo per
scherzo in quella che era una delle sue doti migliori.
-Fai prima tu,
accomodati- Abbassò improvvisamente l'arco e tese un braccio
verso il bersaglio, spostandosi appena di lato, facendo intendere a
Caspian di partire per primo.
-Come vuoi- le disse in risposta il
ragazzo, togliendo la balestra dalla spalla su cui l'aveva appoggiata
con la punta rivolta verso la sua schiena e preparandosi a tirare dopo
averla impugnata nella maniera consona.
-Ma se sbagli poi non ti
lamentare- scherzò.
Prese la mira, sentendo su di
sé lo sguardo serio e attento della ragazza, e dopo qualche
attimo scoccò la freccia che si conficco nella zona
più esterna di quella che segnava il centro del bersaglio.
-Niente male… davvero niente male- fece Susan, guardando la
freccia e calcolando mentalmente l'area di scarto rispetto al punto
centrale.
Aveva ottime abilità nel tirare, quello doveva
ammetterlo. Se anche gli altri Narniani fossero stati così
pronti sarebbero stati, se non in vantaggio, almeno più
pronti nel cercare di colpire e fermare più soldati
possibili per coprire le spalle ai guerrieri che combattevano corpo a
corpo.
-Tu sapresti fare di meglio?- la sfidò Caspian,
strappandola dai suoi pensieri e passandosi una mano tra i capelli.
Quella sorrise, in risposta, una scintilla di furbizia nello sguardo
che lasciò per qualche secondo un Principe inebetito; Poi
tese la corda dell'arco con la freccia di poco prima già
pronta.
Un leggero sibilo e il dardo dalle piume rosse si trovava al
centro perfetto del bersaglio, oscillando impercettibilmente.
-Visto?
Non è poi così difficile- Susan si
girò verso Caspian, sorridendo orgogliosa del suo operato e
ringraziando il suo arco, come ogni volta che tirava. Per le volte in
cui l'aveva protetta, in cui l'aveva aiutata a salvaguardare la vita
dei suoi fratelli, per averle fatto credere nelle sue
capacità.
Il Principe fece per risponderle, ma qualcuno
irruppe nella conversazione, annunciando la sua presenza con passi che
veloci correvano sull'erba attutiti dalla stessa.
-Susan, Caspian:
c'è un problema. Un problema abbastanza problematico-
Irruppe Edmund, respirando in maniera leggermente affannata per la
breve corsa che aveva fatto.
-Se magari ci dici questo problema, Ed-
gli fece Susan, che da spazientita per quel tergiversare stava entrando
in ansia.
Quello in risposta annuì, dandole ragione, per poi
parlare diretto mentre si passava una mano sulla fronte.
-Non troviamo
più Evelyn-
-Sicuro?- Caspian parlò a nome di
Susan, mentre faceva un passo in avanti per quell'affermazione che non
si aspettava.
La Pevensie era sbiancata, cosa messa in evidenza ancor
più a causa dei capelli scuri, e gli occhi si erano
spalancati mentre un senso di terrore le faceva immaginare cose che
avrebbe preferito non vedere nella sua testa.
-Certo. Io e Peter
l'abbiamo cercata dappertutto. Abbiamo anche chiesto alle guardie, ma
queste non l'hanno vista- Edmund rispose frettoloso, guardando il
Principe e sua sorella un po' male per la poca fiducia e abbagliato dal
nervosismo che iniziava a sentire.
Si girò, poi, indicando
la casa di Aslan e dicendo che Peter voleva parlare con tutti loro,
mentre i due gli rivolgevano uno sguardo di scuse.
Susan si
avviò per prima, prima di essere seguita dai due ragazzi,
rendendosi conto che rimanendo li a guardarsi a vicenda non sarebbero
arrivati da nessuna parte.
-Andiamo-.
***
-Lia,
riusciresti a
sentire l'odore di Evelyn?-
Quando entrarono nella sala della tavola di
pietra i tre sentirono Peter porre quell'inusuale richiesta alla lupa.
Quella, però, non sembrava molto toccata dalla cosa;
Dopotutto era un lupo, i suoi sensi più sviluppati. Capiva
perché il Sovrano si stesse affidando a lei.
-Sì
Maestà, dovrei essere in grado di seguire la scia di odore
che si è lasciata dietro- spiegò, annusando
l'aria e percependone la presenza.
E non solo la sua.
Lia
assottigliò gli occhi, quando tre odori mischiati le
arrivarono distintamente al naso. Uno sapeva di terra, terra vera, di
quella che sentiva nascere e battere dalle viscere del terreno, e
sentirlo fremere leggermente la lasciò leggermente
interdetta. Uno era di Eve, dolce e sfuggente, mentre l'altro la fece
ringhiare mentalmente, per niente contenta della vicinanza.
-Bene-
proferì Peter, distraendola, mentre impugnava l'elsa di
Rihdon e i lineamenti s'indurivano. Non sarebbe stato tranquillo fino a
che non l'avesse avuta sotto il suo sguardo.
-Manderemo una pattuglia a
cercarla-.
La lupa bloccò sul nascere la frese del Re ed i
probabili pensieri che poteva alzare anche tra gli altri fratelli che
sicuramente sarebbero voluti andare a riportare la Pevensie al rifugio.
-Se mi permettete, Sire, sarei lieta di andare a cercare Evelyn da
sola. Non deve essere molto distante da qui, e non credo che far
preoccupare il resto dei Narniani sia positivo- gli spiegò,
omettendo volutamente la nuova presenza che percepiva e che avrebbe
sicuramente incontrato, ed il fatto che preferiva andare da sola,
muovendosi tra la vegetazione come un'ombra.
-Si in effetti hai
ragione, si agiterebbero con la scomparsa di un Sovrano- Ammise Peter,
riluttante all'idea di lasciarla andare sola e di, soprattutto, non
poter partecipare personalmente.
Però, sapeva che una
persona avrebbe certamente destato meno sguardi rispetto ad una truppa
di Narniani ben riconoscibili.
Si chinò leggermente verso
Lia, che gli stava di fronte -Visto che Eve si fida molto di te io
farò lo stesso: riportala qui- disse semplicemente,
guardandola negli occhi ed ottenendo anche l'assenso degli altri.
La
lupa fece un inchino, poi di corsa uscì dal rifugio.
Le
sentiva.
Le sentiva distintamente, le loro presenze, l'alone che
emanavano, non aveva nemmeno bisogno di annusare l'aria.
Ringhiò leggermente, frustrata, mentre l'aria le tagliava il
pelo e la boscaglia si apriva davanti ai suoi occhi.
“Dhemetrya.”
***
Aprì
un
occhio.
Lo richiuse, per poi rivelare il colore di entrambi alla
vegetazione che, silenziosa, la guardava.
Si mise a sedere, sentendo la
schiena schioccare per le ossa che si distendevano, e
osservò intorno a sé, cercando di ricordare e
capire. Aveva dormito? Quanto?
Dal sole che penetrava dalle fronde
degli alberi dando loro delle sfumature arancioni poté
dedurre che al tramonto non mancava molto.
Si mise in piedi,
mentre la mente riprendeva lucidità e rendendosi conto che
era meglio se tornava dagli altri. Si ricordò subito di
Artemis e girando su se stessa cercò l'albero a cui aveva
appoggiato la sua doppia lancia.
Dov'era?
Non vedendolo ne fece un
altro, cercando di vedere tra le foglie dei cespugli, mentre un brutto
presentimento si faceva spazio in lei e le gambe iniziavano a tremare.
-Ditemi che sto ancora dormendo- si sussurrò, cercando
conforto.
Quando poi fece per muovere un passo per avvicinarsi agli
alberi, pensando che magari Artemis era caduto e non riusciva a
scorgerlo rispetto a dove era lei, inciampò e per poco non
cadde a terra. Si voltò di scatto, e con enorme spavento
misto a sorpresa si accorse che l'oggetto su cui aveva inciampato era
proprio Artemis. Che era di fianco a lei.
Deglutì a vuoto e
afferrò il bastone legandoselo in vita, non potendo evitare
che un'espressione confusa e smarrita le si dipingesse sul viso.
Pensava di aver fatto bene, ma non aveva preso in considerazione che la
sua arma potesse cadere.
-Non è possibile-
pronunciò dopo qualche minuto Evelyn, mentre girava su se
stessa guardando le quattro direzioni diverse che aveva davanti,
dietro, e ai suoi lati.
Stupida.
Si maledì, mentre iniziava
a sprofondare nella frustrazione per quella svista.
Una paura folle
s'impadronì di lei, e non poté impedire che gli
occhi le si inumidissero leggermente.
Tristezza.
Si sentiva delusa da
se stessa, perché non riusciva mai a combinarne una
giusta.
-...No è impossibile- Guardò
le quattro direzioni attentamente, mentre si metteva le mani nei
capelli. Si era persa!
-Eve, niente panico- si sussurrò,
tirando un lungo respiro e toccando la collana che portava
per calmarsi.
Lia. Non
sapeva perché, ma sperava che la lupa
potesse sentire la richiesta che qualcuno comparisse a prenderla che
stava mentalmente mandando a coloro che sentiva più vicini.
Capì che i suoi poteri telepatici non esistevano,
così si decise a provare a prendere un sentiero che le
sembrava il più famigliare rispetto a quello che aveva
percorso all'andata. Magari riconosceva qualche punto particolare che
non fosse la vegetazione normale.
Si maledì ancora una
volta, per essersi girata su se stessa più volte: in quel
modo non poteva nemmeno cercare di capire in che direzione si fosse
girata per addormentarsi e ricostruire, così, una possibile
mappa dei suoi movimenti.
Evelyn si avvicinò titubante al
sentiero che si apriva nel bosco e lo osservò attentamente:
mano a mano che ci si inoltrava diventava più cupo e la
stradina era piena di rovi e pozze di fango. La Pevensie
deglutì a vuoto un paio di volte, capendo che la stradina
che aveva preso lei era decisamente più calma e tranquilla e
non comprendeva uno slalom.
Si girò per andare al sentiero
alla sinistra di quello scartato, mentre i passi leggeri facevano pochi
rumori sull'erba verde. Lanciò uno sguardo tra le chiome
degli alberi, convinta di aver sentito una presenza che la osservava,
ma non trovò nulla.
Eppure...
eppure le sembrava una
situazione simile a quella sulla riva del lago, con l'orso che aveva
cercato di uccidere Lucy.
Scosse lievemente la testa, mentre
il panico iniziava a scemare sostituito dalla determinazione.
Determinazione dettata dalla voglia di tornare dagli altri, mentre
sfiorava ancora il ciondolo. Determinazione dettata dal una vampata di
coraggio ed intraprendenza, mentre con l'altra mano sfiorava l'elsa di
Asterius.
Chiunque fosse, avrebbe
trovato una lama affilata ad attenderlo.
-Vi siete persa, Maestà?-
Non aveva fatto che pochi passi,
quando quella voce le risuonò dolcemente nelle orecchie,
facendola girare di scatto senza nemmeno pensare di armarsi.
La ragazza
osservò che colei che aveva interrotto la sua marcia era una
driade. Se ne stava seduta sul ramo di un albero poco dietro di lei, e
la guardava dall'alto. Il corpo sinuoso fatto di corteccia liscia,
rispetto a quella a più strati degli alberi, coperto da
lunghi capelli color terra e gli occhi vispi, verde scuro, la
incantarono.
Bellissima...
Il pensiero spontaneo che nacque in Eve,
osservando quel viso delicato e il sorriso cordiale che sfoggiava su
esso, le si posò sulle labbra senza però uscire.
Benché non fosse
propriamente umana, se non per quell'aspetto temporaneo, la sua
presenza avrebbe certamente attirato sguardi indiscreti di chi vorrebbe
possedere una creatura esotica e particolare.
La seconda constatazione
che fece, mentre ancora osservava la driade della terra, era che gli
alberi dovevano essere addormentati, e con essi le ninfe che gli
abitavano.
-In effetti si- Si decise a parlare, congiungendo le mani in grembo e
sorridendo leggermente alla driade che aveva continuato ad osservarla.
-Ma non preoccuparti, ho già ritrovato la strada- disse
sicura, alzando leggermente il mento per allontanare i sospetti e
cercando di mostrarsi sicura.
-Posso sapere dove siete diretta?-
domandò l'altra, dall'alto del ramo su cui stava e
studiandola ancora.
-Alla casa di Aslan- Eve non ci pensò
nemmeno che, rivelando la sua meta, la driade avrebbe saputo che aveva
mentito sul sentiero, in caso lo avesse preso sbagliato. Si
sentì poi improvvisamente in colpa, per aver detto una
menzogna che certamente sarebbe uscita fuori ad una creatura tanto pura
che si era mostrata per aiutarla.
-Ora se mi puoi scusare dovrei andare
perché sono stata via troppo- Evelyn fece per imboccare il
sentiero scelto, mentre s'inchinava leggermente alla Narniana e poi le
voltava le spalle. Effettivamente era via da troppo.
-Siete sicura che
sia la direzione giusta?-
La driade interruppe ancora la sua camminata,
il tono di voce divertito che cercava di rimanere neutro.
Aveva
capito.
La rossa si voltò leggermente, scorgendo
l'essenza della terra portare una mano alla bocca per coprire un
sorriso.
-Si-sicurissima…?- La Pevensie si
maledì, per il tono incerto che le era uscito e che sembrava
tanto una richiesta d'aiuto indiretta. La driade parve capire,
perché andò in suo soccorso senza bisogno che lo
chiedesse espressamente.
-Mi dispiace dirvi che quella è la
direzione sbagliata, mia Signora. La casa di Aslan è dalla
parte opposta a quella che voi state prendendo- le spiegò
dolcemente, dondolando le gambe nell'aria ed indicandole con un cenno
della testa la strada.
Evelyn si bloccò, osservando la
direzione che le era stata indicata. Se ci faceva caso effettivamente
nel terreno poteva scorgere alcuni tratti di erba calpestata, segno che
ci aveva camminato sopra.
Si diede dell'idiota per non averci pensato
prima, tuttavia non cedette.
-Lo sapevo, volevo solo metterti alla
prova-
La driade rise, divertita dalla testardaggine orgogliosa della
Sovrana, poi si alzò sul ramo e prese ad avvicinarsi alla
corteccia.
-Ora che ho compiuto il mio dovere mi ritiro- disse,
occhieggiando Eve e posando una mano sul tronco. Il suo corpo
iniziò ad unirsi a quello dell'albero, scomparendo in esso,
la chioma tremò leggermente e alcune foglie sibilarono,
dando il bentornato alla loro amica che prima di scomparire del tutto
fece un inchino con la testa.
-Con rispetto-.
Evelyn non fece neanche
in tempo a dirle grazie, troppo presa ad osservare la magia che si era
svolta davanti a lei, che questa era sparita dentro l'albero.
Un
fruscio.
Lo sentì distintamente provenire da una chioma
dietro di lei, brividi che iniziarono a scorrerle per la schiena
rendendosi conto di essere nuovamente sola nel bosco.
Un secondo
fruscio.
Si mise in posizione di difesa, stringendo nervosamente l'elsa
di Asterius, mentre osservava attenta la parte di bosco da cui aveva
sentito provenire il rumore che, era certa, non poteva essersi
immaginata per due volte.
Un altro fruscio, ed Evelyn ebbe tanto voglia
di scoppiare a gridare alla presenza di rivelarsi.
Che fosse quella di
prima?
Un lieve risata le arrivò dall'alto, e la Pevensie
strinse la mascella, irritata, ed estraendo Asterius.
-Mostrati,
avanti!- Sibilò indispettita, guardando a vuoto tra le
chiome degli alberi e non riuscendo a distinguere nulla se non rami e
foglie.
-Suvvia, calmati-.
Quella voce le arrivò come una
pugnalata al cuore, risvegliandole delle emozioni che non aveva mai
provato.
Nostalgia.
Beatitudine.
Non l'aveva mai sentita, eppure ne era
attratta e spaventata allo stesso tempo, come se volesse toccare
qualcosa che poi sapeva le si sarebbe ritorto contro.
Così
famigliare...
-Chi sei?- Disse, cercando di mantenere il tono fermo e
dandosi come spiegazione l'essere stata presa in contropiede.
Un'ombra
scese dagli alberi facendone vibrare leggermente le foglie, rivelando
poi la sua presenza fisica dietro un tronco abbastanza massiccio.
Eve
strinse gli occhi per cercare di distinguerne i contorni in parte
coperti dalle fronde più basse dell'albero, la spada che si
abbassava lentamente mentre perdeva la difensiva.
La sagoma si
rivelò ai raggi di un sole ormai quasi completamente rosso
che donava bagliori rosati e arancioni ai luoghi che illuminava.
-Tu,
sei... chi?-
Fece pochi passi in avanti, avanzando lentamente fino ad
arrivare abbastanza vicina ad Eve, che continuava a guardarla, non
riconoscendola, però, come nessuno che avesse già
incontrato.
E allora,
perché... ?
Piegò la testa,
gli occhi blu che si illuminavano di gioia e la bocca che si stirava in
un sorriso sincero.
-Io sono Dhemetrya-.
*Nel
capitolo scorso
ho scritto che Edmund viene chiamato da Peter e
Caspian. Mia
svista, ho
corretto.
Ecco qui il tredicesimo capitolo, cari lettori che avete
la pazienza di continuare a seguire questa storia. Questa volta non vi
ho fatto attendere troppo. ^^'
Comunque, dato che questa parte la devo
risistemare, come già avevo anticipato i capitoli saranno
per alcuni punti diversi rispetto a quelli della precedente versione, e
questo influisce anche sulla lunghezza, mi scuso se sono più
corti del solito.
Quindi, che dire…
arriva Dhemetrya, ricordatevi la driade – che non si
risveglia a caso – e tutta l'allegra combriccola. Come si
rapporterà Dhem con il resto del gruppo? Secondo voi? Si
accettano ipotesi. :D
Ringrazio chi legge in silenzio, chi preferisce,
segue e ricorda, e un grazie particolare a coloro che commentano
– se avete qualche parere non esitate a farmelo sapere. ^^
Alla prossima!
Dhi.
Altre
storie in
corso:
Le
Cronache di Narnia:
Essence
/ Elements
and Seasons.
Fairy
Tail: La
gabbia
del Vento.
Zero
no Tsukaima: Mizu
no Chikai.
Originali:
Dhialya.
|
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Capitolo 14 *** Increspature dietro occhi piatti. ***
Narnia's
Spirits
Increspature
dietro occhi piatti.
(Dhemetrya)
-Tu sei... ?-
-Io sono
Dhemetrya-.
In un piccolo spiazzo di una radura circondata da alberi
riflettenti il colore di un cielo che si preparava ad accogliere la
luna e un sole sulla via del tramonto, due figure continuavano a
studiarsi, circondate da qualche manciata di secondi da un silenzio
troppo pesante perché sembrasse naturale.
Dhemetrya.
Evelyn
continuava a ripetersi quel nome, cercando di capire tra gli antri
della sua mente se non avesse già potuto sentirlo
precedentemente da qualche parte in giro per Narnia.
Vuoto.
Non le
arrivava nessun indizio che le facesse capire di trovarsi di fronte a
una vecchia conoscenza. Si ricordò, poi, che tutte le
vecchie presenze che avevano fatto a lei e ai suoi fratelli da
confidenti ed amici non potevano più esserci.
Un'ombra
calò sul suo sguardo, mentre la figura davanti a lei
diventava di contorno, gli occhi che le portavano visione di vecchi
ricordi sostituendosi alla realtà che stava vivendo.
Faceva
male, non poterli afferrare concretamente, sapere di non avere la
facoltà di prendere di peso i personaggi che vagavano nella
sua mente e tirarseli fuori per dar loro nuovamente vita. Avrebbe dato
tutta se stessa per poterli rivedere ancora una volta, una volta ancora
che non suonasse come l'ultima.
-Dhemetrya...-
Ripeté quel nome, più per studiarne il suono e
abituarsi nuovamente a quel momento che stava vivendo che per reale
interesse, o domandare una tacita conferma se avesse sentito bene.
Osservò gli occhi blu elettrico della ragazza scintillare,
mentre si avvicinava di qualche passo a lei.
-Dhemetrya Selenya, per
essere pignoli-.
Chinò leggermente il capo, facendo
affiorare sul volto un leggero sorriso e suscitando una lieve smorfia
in Eve che riuscì a tenere a freno prima di manifestarla.
Sorride troppo.
Per i suoi gusti sorrideva un po' troppo, per la
situazione in cui si trovava di parlare con una sconosciuta. E se fosse
stata una spia? Il dubbio s'insinuò sotto la pelle, dandole
un brivido che sentì arrivare fino alle punte dei piedi.
Decise di fare finta di niente.
-Ah ah-.
Non manifestò grande
entusiasmo di fronte ai modi aperti di Dhem, Evelyn, limitandosi ad
occhieggiare quel volto dai lineamenti leggermente affilati circondato
da morbidi boccoli neri che, notò, raggiungevano e
superavano la metà della schiena, e limitandosi a quei
monosillabi per far capire che aveva inteso.
-Io sono...-
Iniziò, per spezzare quel silenzio prima che avesse la
possibilità d'insinuarsi troppo, ritenendo giusto che almeno
il nome poteva farglielo conoscere.
-La Regina Evelyn- finì
per lei Dhemetrya.
Eve ghignò internamente, rendendosi conto
che nel bene o nel male lei e i suoi fratelli, la loro storia e il loro
ritorno non erano passati inosservati.
-Già-
confermò, fissando la ragazza e nascondendo un gesto di
sfida fuori luogo.
C'era qualcosa che le puzzava in tutto quello, che la rendeva inquieta
e le faceva tremare il corpo, costringendola ad assumere la posa rigida
che le stava logorando i muscoli delle gambe troppo in tensione.
Eve
ragionò su come poteva effettivamente
sapere chi era,
rendendosi conto che la presenza che sentiva spiarla molto
probabilmente era la stessa che in quel momento se ne stava calma
davanti a lei.
Probabilmente era lei perfino al fiume giorni prima.
Dhemetrya si era avvinata ancora senza sembrare irritata per quei
continui silenzi che non avevano fatto formare un discorso
più articolato tra loro due, mentre lei continuava a
guardarla ragionando tra sé.
Notò in quel momento
che la ragazza era circa una spanna più alta di lei, ed era
molto snella, più di lei e delle sue sorelle; avrebbe
pensato che non mangiava abbastanza anche a causa del colorito molto
chiaro – latteo, quasi etereo –, se non fosse stato
per la tonicità che le cosce mostravano avvolte in un paio
di pantaloni scuri abbastanza aderenti.
Risalendo con lo sguardo vide la lama di un pugnale, attaccato poco
sopra
metà coscia da un cinturino che veniva coperto in parte
dalla casacca bianca, che spuntava da sotto il corpetto che fasciava il
busto, la quale arrivava all'altezza dei glutei. Era l'unica arma che
aveva notato ad una prima occhiata e che sarebbe stata benissimo in
grado di respingere con la spada, ragionò, dimenticandosi di
non sottovalutare mai l'avversario.
Il suo sguardo fu nuovamente attirato
da Dhemetrya e si fissò nei suoi occhi: un blu che ricordava
quello delle sere d'estate non troppo scure e quando il cielo era
tappezzato di stelle che rischiaravano la terra come piccole fiammelle;
una tonalità di colore che raramente aveva visto
così pura.
Solitamente c'era sempre una spruzzata d'azzurro
o indaco, che invece in quei due baratri che la osservavano in
silenzio era assente.
Era soltanto blu.
Blu come l'acqua.
Qualcosa le
smorzò il battito del cuore, stritolando il muscolo in una
stretta, quando si ritrovò a fissare intensamente quello
sguardo senza distogliere i suoi occhi e costringendola ad interrompere
il contatto, improvvisamente a disagio.
C'erano tanto cose a cui
avrebbe dovuto far fronte, pesando lucidamente – Chi sei,
precisamente? Cosa vuoi? Da che parte stai? Ma in quel momento pesava
solo a sciogliere il cumulo di emozioni che l'aveva assalita senza
motivo.
La sensazione di disagio tornò, costringendola ad
allontanarsi di qualche passo da quella che, effettivamente, era ancora
una totale sconosciuta – che continuava ad osservarla,
facendo trasparire una pazienza incredibile, in silenzio. Come se non
avesse totalmente la mente lì, in quel luogo, e stesse
viaggiando in altri posti di memorie con i ricordi, in un mondo che a
Eve era ancora totalmente precluso.
Era una patina di distanza che
poteva percepire provenire da Dhem, come quella che spesso usava anche
lei; una sorta di autoprotezione, per non rimanere troppo coinvolti in
prima persona con il rischio di rimetterci e stare poi male.
Se
Dhemetrya era una Narniana, come Eve aveva intuito dall'alone di
tristezza che le oscurava i lineamenti del viso e che poteva essere
dovuto alla caduta in disgrazia di quel mondo, poteva provare ad
azzardare anche i motivi di quel comportamento finto estroverso
– sorrideva, sorrideva troppo e troppo fintamente –
fatto per non lasciar trasparire le sue emozioni.
Se poi era sola, come
sembrava, e giovane – dimostrava un'età tra Peter
e Susan – e abituata alla solitudine...
In certi casi devi
rialzarti da solo.
Se la si guardava sembrava dimostrare una
fragilità a cui probabilmente aveva imparato a porvi rimedio
da sola, forgiando un carattere a primo impatto che non lasciasse
intuire i pensieri che le tempestavano la mente.
Eve non sapeva, non
poteva sapere, che Dhemetrya sentiva urlare dentro la testa il dolore
di Narnia, della magia che veniva sradicata dalla sua terra, la morte
che strisciava sul terreno insinuandosi come una malattia e facendo
appassire ogni traccia di speranza che un tempo era tornata rigogliosa.
Tra tutto ciò, il suo compito principale le risuonava in
testa come lo scoppio di un'esplosione, dandole pressione e
inquietudine.
Non doveva provare paura, ma non poteva nemmeno pensare
che tutto sarebbe filato liscio; quando mai le cose erano andate bene
per più di qualche centinaio d'anni, lì?
C'erano
regole che erano state rotte, accordi strappati e segreti che non
potevano più essere taciuti, legami che andavano
ripristinati e compiti da svolgere.
E tutto ciò
sarebbe
venuto a galla, presto.
E non osava - o non
voleva - immaginare
le conseguenze che tutto
ciò avrebbe comportato, Dhemetrya.
Sulle persone coinvolte e
sull'equilibrio di Narnia stessa.
Ehm,
si, non
dovrei avere il coraggio di farmi vedere dopo tutto questo tempo e con
questo mini-capitolo. Però alle volte si dice meglio tardi
che mai, no? *No.*
Stupidate a parte, ogni storia ha subito un
blocco. Sono lenta, molto, negli
aggiornamenti, ne sono consapevole, e mi spiace, cerco di evitare i
ritardi il più possibile ma non mi viene facile a causa
della vita reale.
Si introduce il personaggio di Dhemetrya, motivo per cui il capitolo
è totalmente incentrato su lei
e le prime impressioni di Eve. Comparirà anche Lia nel
prossimo, con le
due, altro motivo per cui ho deciso di fare questo pezzo a
sé: una piccola transizione introspettiva prima di iniziare
l'arco narrativo dell'attacco a Miraz.
Dhemetrya che conosce Lia, che non sono molto in sintonia, Dhem che
è una creatura legata alla grande magia e divisa tra
ciò che prova come ragazza e il suo comportamento che il
ruolo le richiede.
Si scopriranno le cose piano piano, per il momento
non preoccupatevi se vi sembra di non capirci molto. Dopo i prossimi
– circa – tre/quattro capitoli sull'arco narrativo
riguardante l'attacco al castello di Miraz farò un breve
riassunto sulle cose fondamentali che si sono sapute fino ad ora. ^^
Grazie a chi ha la pazienza di seguire ancora questa storia, ai vecchi
e ai nuovi lettori.
Love, D***
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Capitolo 15 *** Voci fuori dal coro di una pecora nera. ***
Narnia's
Spirits
Voci
fuori dal coro
di una pecora nera.
"Brutta
mocciosa."
"Oh
suvvia cara, non irritarti... Questa forma ti si
addice, sai? Scommetto che anche lui se la sta in qualche modo godendo
confondendosi da occhi di chi non sa vedere."
"Non c'entra nulla ora,
lui, e non cambiare discorso. Allontanati da lei, hai già
non fatto abbastanza tempo addietro."
"Lo sai che non potei impedirlo e… mi dispiace. Davvero."
"…Lo so. Lo sento."
Non
sapeva come rapportarsi, non sapeva cosa poteva dire, o cosa
aspettarsi.
Da una parte vedeva in quella figura davanti a lei nulla di
male, ma il sentore che ci fosse qualcosa di stonato, di tremendamente
stonato, non poteva impedirle di stare in guardia e non muovere un
passo.
Per quanto ne sapeva, per come era cambiata Narnia in quel
centinaio d'anni, Dhemetrya poteva anche essere una spia di Telmar
inviata apposta per infiltrarsi tra le loro file, un segugio che poi li
avrebbe azzannati da dietro.
Non sapeva, non capiva.
E tutto
ciò la rendeva nervosa.
Odiava il fatto di essere in bilico
tra due pensieri completamente opposti senza riuscire a concluderci
qualcosa di concreto. Era lei che era stata soprannominata la Scaltra,
da Aslan, milletrecento anni prima. Avrebbe dovuto escogitare qualcosa:
per capire, per provare ad entrare nella testa di quella sconosciuta.
Niente.
Era un vuoto che si stava espandendo come una macchia
impossibile da fermare.
-Non sono cattiva-.
-Eh?-
Per Eve fu come
risvegliarsi da uno strato di profonda trance, o ricevere una doccia
fredda, e si rese conto che era
stata totalmente persa nei suoi pensieri, tanto persa che, se avesse
subito un attacco, probabilmente sarebbe stata spacciata; e tanto persa
che non si preoccupò nemmeno di nascondere il senso di
disorientamento contro cui era finita.
-Non sono cattiva-
Ripeté Dhemetrya, sorridendo davanti all'espressione che il
volto della ragazza aveva assunto.
-...Ah- si limitò
infatti a rispondere quella, come se non si aspettasse per nulla
quell'uscita e non sapesse cosa dire d'altro.
Le aveva letto nel
pensiero, per caso?
-E non sono una spia di Telmar-
continuò, per dissipare ogni possibile dubbio che, lo
sapeva, la Pevensie poteva giustamente avere in mente riguardo la sua
identità. La capiva, capiva le sue motivazioni e la
diffidenza che le mostrava.
-Chi me lo assicura?- domandò
infatti, riprendendosi.
-Nessuno, è vero- le diede ragione.
Nessuno davvero?
Lia – Lia, la cara e matura Lia –
avrebbe potuto. Dire che si conoscevano poteva essere un buon punto di
partenza per essere accettata in quel gruppo che, ci avrebbe messo una
mano sul fuoco, non sarebbe stato subito aperto nell'accettarla,
probabilmente. Era da sola, vagante in mezzo al bosco armata solo di
arco e un pugnale. O era particolarmente furba, o agli occhi dei
giovani non si sarebbe spiegato come avesse scampato le armate di
Telmar e come fosse finita proprio li.
Entrambe le ragazze vennero
attirate da dei rumori tra i cespugli che segnavano l'avvicinamento di
qualcosa – o qualcuno.
La Pevensie si mise in una posa
difensiva estraendo Asterius, pensando che tutto quel rumore poteva
farlo qualche soldato Telmarino mandato in avanscoperta dai suoi
superiori per segnalare la posizione e il numero delle schiere
Narniane. In caso contrario, non si sarebbe dispiaciuta di certo se
fosse stato qualcuno che conosceva giunto fino li per cercarla.
Da
quanto era via, effettivamente?
I suoi fratelli sarebbero stati in
pensiero per lei, immaginava. E se fosse comparsa con una sconosciuta
al seguito, poteva provare ad anticipare le possibili reazioni degli
altri. Spariva senza lasciare un avviso, e ritornava con una ragazza
che per quanto ne sapeva poteva aspettare la notte per pugnalarli alle
spalle e mettere fine ad ogni possibilità di ribellione e
vittoria.
Un fruscio tra i cespugli attirò la sua
attenzione, nuovamente.
Ci avrebbe pensato
dopo...
Strinse maggiormente
l'elsa della spada mentre studiava la natura che la circondava, poi,
sentendo improvviso silenzio, buttò lo sguardo verso
Dhemetrya per vedere cosa stesse facendo: la ragazza osservava il
sentiero che la driade aveva indicato prima ad Evelyn, però
non sembrava particolarmente colpita o in guarda in seguito a quei
rumori.
Eve trovò quell'atteggiamento troppo spavaldo e
molto strano – a meno che Dhem non fosse come appariva e non
aveva ragione di temere chi le si parasse di fronte.
Non era il momento
di distrarsi, doveva stare concentrata.
Appena un ombra uscì
dalla vegetazione, la ragazza era pronta ad attaccare per fermare ogni
suo possibile movimento ma si
bloccò, riconoscendo Lia che la guardava con gli occhi che
comunicavano sorpresa e sollievo.
-Che cosa fai con la spada in mano?-
le domandò, avvicinandosi e buttando uno sguardo verso
Dhemetrya.
-Ho creduto che fossi un nemico-.
Eve rinfoderò la
spada, pensando che era strana la mancata reazione da parte di entrambe
nel trovarsi davanti una presenza nuova. Aveva una strana sensazione.
Forse Dhemetrya non era un nemico per davvero.
La ragazza dagli occhi
blu se ne stava in piedi, ad osservarle, in silenzio: sul volto
delicato era sparito il sorriso giovale di prima, però non
sembrava tesa o chissà che altro, quanto più in
attesa.
-Beh, ti ringrazio- ironizzò la lupa, strappandole
un sorriso. -I tuoi fratelli sono preoccupati perché sei
sparita senza dire niente e mi hanno mandata a cercarti-. Evelyn si
avvicinò alla Narniana e le diede una lieve carezza dietro
le orecchie.
-Grazie, ora torniamo indietro-.
Lanciò uno
sguardo a Dhemetrya: cosa avrebbe dovuto fare? Presentarle? Dirle se
andava con loro?
-Vengo anche io se permettete- s'intromise la ragazza,
avvicinandosi, e levando Eve dall'impiccio di dover decidere cosa fare.
Soppesò per qualche minuto la corvina, non sapendo cosa
rispondere, mentre quella invece lanciava delle occhiate abbastanza
penetranti in direzione della lupa.
Avanti, non fare la bastarda.
Lia
sembrò sul punto di ringhiare ma si trattenne, non
ritenendolo il caso.
-Garantisco io per lei-. Era come se nella sua
voce si fosse una nota indolente di un peso che non si toglie ma si fa
più leggero, di qualcosa che ti piacerebbe far andare via ma
che invece rimane.
-Vi conoscete?- domandò Evelyn, in quel
momento curiosa. Non si era sbagliata, dunque, poco prima.
-Storia
lunga!- Dhemetrya fu come se si fosse improvvisamente rallegrata:
sorrideva – meno di prima, ma in modo quasi fuori luogo come
da quando era comparsa fino a poco prima. Come una bambina che trova un
regalo inaspettato – e tagliò corto le possibili
domande della Pevensie, non a caso.
Era davvero una storia
lunga, da
raccontare.
E non poteva, non ancora, non così.
-Dunque...
andiamo- disse allora Eve rivolta alle due, pensierosa.
-Visto che
è già abbastanza tardi, monta su di me- si
propose Lia: avevano perso già abbastanza tempo.
-Sicura?-
si ritrovò a domandare, avvicinandosi.
-Si, tranquilla- la
lupa la rassicurò, mentre si abbassava leggermente per
rendere ad Eve la salita più facile a causa del vestito.
La
Pevensie lanciò uno sguardo a Dhem per vedere se fosse
pronta. L'arco bianco lo aveva anche prima e non lo aveva notato? E le
piume delle frecce... bianche.
Come quella che uccise l'orso.
Decise di
non fare domande e lasciare correre, per quel momento.
-Bene, allora
andiamo-.
Quando si fu assicurata che Eve si fosse aggrappata bene la
lupa partì, seguita da Dhemetrya, per fare ritorno al
rifugio il prima possibile imboccando il sentiero che la driade aveva
indicato.
***
Lia
continuava a
correre e per Evelyn stare sul suo dorso era la cosa
più bella che avesse mai provato.
Sentiva l'aria fresca
sulla faccia e tra i capelli, e le sembrava di poter in quel modo
evitare tutto ciò che di più brutto avrebbe
potuto tentare di prenderla.
Provò qualche volta a voltarsi
indietro per vedere se Dhemetrya le seguiva, ma ciò che
riusciva a vedere era solo lo scorrere degli alberi: verde, marrone,
qualche roccia; solo raramente aveva adocchiato una figura che si
muoveva tra le sterpaglie o saltava di ramo in ramo, ma era
più un movimento confuso che altro.
Quando la foresta
finì, aprendosi sulla radura, fu visibile il rifugio e man
mano che si avvicinavano Eve poteva benissimo scorgere ad attenderle
sull'entrata Peter, Susan, Edmund e Caspian.
Parlottavano tra di loro e
talvolta il Magnifico si passava una mano tra i capelli, in segno di
impazienza. Lucy, su decisione comune - avrebbe poi saputo, non era
stata avvisata per non farla preoccupare.
Appena videro comparire
Evelyn in groppa a Lia da un sentiero laterale della radura fu ben
visibile il cambiamento che il volto dei fratelli ebbe, rilassandosi.
Notarono anche la figura che le seguiva, ma essendo più una
macchia che altro non riuscirono a capire bene di chi si trattasse. Ci
avrebbero pensato dopo, e si basarono sul fatto che Evelyn e Lia non
fossero in fase di allarme per non mettersi in difesa.
Eve fece appena in tempo a raggiungere il
gruppetto che Susan la prese, stritolandola in un abbraccio e
lasciandola un po' interdetta. Si aspettava una lavata di capo, dalla
maggiore, che si comportava oltre che come una sorella, come madre.
La
Dolce si era preoccupata, come tutti gli altri, su dove fosse finita
Eve.
Narnia non era più sicura, e benché non lo
avessero esternato o troppo pensato, se non fosse ricomparsa entro poco
sarebbero stati costretti a pensare al peggio – magari era
stata attaccata, oppure si era fatta male cadendo, o peggio ancora era
stata trovata e portata da Miraz.
Pensieri che non avevano voluto
esprimere, puntando fermamente sulle parole di Lia quando era partita a
cercarla.
-Eve, dove diavolo eri? Ci hai fatti preoccupare!-Susan si
staccò dalla sorella per guardarla in faccia mentre
attendeva una risposta come gli altri.
-Mi dispiace- si
scusò quella, sinceramente. Non era davvero sua intenzione
farli preoccupare.
-E' solo che… solo che…-
Massi dai, digli pure che ti eri addormentata nel bosco e non riuscivi
più a trovare la strada per tornare!
Che figura ci avrebbe
fatto? Anzi, per la precisione, che figura aveva fatto!
-Solo che…?- incalzò Peter, cercando di farle
finire la
frase, attendendo spiegazioni. Era serio in volto, segno che non aveva
gradito quel contrattempo e quella dose di preoccupazione ed angoscia,
ma non sembrava ostile nei suoi confronti come dopo una litigata.
-Mi
ero addormentata nel bosco- lo disse a talmente bassa voce e in un modo
così veloce che nessuno capì. Si vergognava
troppo, e prese a torturarsi le unghie.
-Puoi ripetere?-
provò a chiederle gentilmente Edmund.
Quella in risposta
abbassò lo sguardo, imbarazzata, per poi rialzarlo e decisa
a parlare. Al diavolo, avrebbe detto la semplice e pura
verità.
-Mi ero addentrata nel bosco, ho trovato uno spiazzo
d'erba molto invitante e così…-
-Non dirmi che
ti sei messa a mangiare l'erba!- esordì in tono scherzoso ma
anche leggermente stupito Peter, come se da lei si aspettasse pure
quello, ed interrompendola prima che finisse di spiegare.
Le due
sorelle gli scoccarono un'occhiataccia ed Edmund alzò gli
occhi al cielo, scuotendo la testa: certe volte Peter aveva di quelle
uscite che ti facevano venire il latte alle ginocchia.
Poi Eve
continuò, come se il fratello maggiore non avesse parlato ed
ignorando come gli altri quella constatazione che poteva evitare.
-Mi
sono addormentata poi quando mi sono svegliata non riuscivo
più a capire da che parte ero arrivata. Una driade mi ha
indicato la strada e poco dopo è arrivata Lia-.
Avrebbe
aggiunto che tra la driade e Lia era comparsa Dhemetrya, ma la ragazza
non si era ancora avvicinata al gruppo e non sapeva bene come
introdurla.
-Te l'ho detto che non hai il senso dell'orientamento!-
fece Edmund, sollevato.
Aveva davvero avuto paura, come per Lucy
qualche giorno prima. Se però avesse perso Eve... non
avrebbe dovuto dire addio solo ad una sorella. Il pensiero era una lama
gelata che avrebbe evitato volentieri.
-Taci!- lo rimbeccò
la sorella minore, puntando i piedi e fingendosi offesa, strappandolo
dai suoi pensieri.
-Ora che sei qui preparati. Tra poco si parte-
tagliò corto Peter, facendo subentrare il ragazzo che
guidava l'esercito, quello che era cresciuto e vissuto da Re. Si era
perfino dimenticato della nuova comparsa che li aveva raggiunti e li
guardava, studiandoli di nascosto – ma non vedendo nulla di
nuovo. in realtà.
-Tu saresti...?-
Susan se ne accorse e la fissò,
lievemente infastidita per quella che sembrava tanto una radiografia
fatta a lei e ai suoi fratelli. Nonostante tutto cercò di
tenere un atteggiamento ed un tono di voce posati, come in passato
aveva già fatto per non mostrare ostilità nei
confronti di qualche personaggio in vista che si presentava a corte.
-Dove dovete andare?- Ignorò la domanda, Dhemetrya,
suscitando un moto di stizza nella Pevensie, mentre una sensazione
sgradevole iniziava a far capolino prendendola all'altezza dello
stomaco e rendendola nervosa.
-Prima rispondi tu alla domanda- S'intromise
Edmund, anticipando gli altri due ragazzi e Susan.
-Dhemetrya...
Selenya- Eve decise di rendere partecipi i presenti del nome di quella
che per loro era una totale sconosciuta, rispondendo al posto suo.
Voleva evitare che scoppiasse qualche discussione suoi modi di fare
della ragazza che, ammetteva, trovava alquanto strani. Un attimo prima
era come una bambina felice, quello dopo una figura che a malapena ti
guardava rivolgendoti uno sguardo che comunicasse qualcosa.
-Conosce
Lia, quindi non è un nemico.-
Dhem fissò gli
occhi su Lia.
"Non dirmelo..." Avrebbe
voluto non essere già a conoscenza di quella
verità che le stava venendo sbattuta in faccia.
"Si invece. Andiamo ad attaccare il
castello di Miraz. Questa notte."
-Attacchiamo Miraz- rispose allora
Peter, in quello stesso momento.
-Scherzi?!- Se ne uscì la
ragazza, sorprendendo il gruppo, rivolta alla lupa. Se non fosse stato
che la sua reazione poteva essere collegata alla risposta del Re,
quello sbotto sarebbe risultato alquanto strano e senza – in
apparenza – motivazione logica.
-Mai stato più
serio-.
Dhemetrya si accorse della figura appena scampata e si
ricompose, schiarendosi la gola e fissando anche gli altri.
Caspian
aveva un'ombra scura in volto, rimembro che non era per nulla in
accordo con la decisione del Supremo presa in modo, praticamente, quasi
autonomo.Si girò facendo un cenno del capo e avviandosi
dentro il rifugio, per soffocare possibili pretese che sentiva salire e
che, in quel momento, non poteva permettersi di far uscire e creare
qualche casino. L'ultima cosa di cui avevano bisogno era una spaccatura
tra i soldati a causa dei diversi pensieri su come agire.
"E' una
follia."
"Lo so. Lo sanno bene. Ma il signorino reale qui non vuole
sentire ragioni, ed alcuni Narniani sono d'accordo con lui."
"Farebbero
di tutto, vero?"
"Ormai il tutto potrebbe diventare il niente."
-Sei dei
nostri?- Domandò Edmund, interrompendo quello scambio di
battute tra le due che loro, e solo loro, potevano aver sentito.
-Io...- Non lo so.
Era stanca di combattere. Non voleva vedere altro sangue,
quella sostanza che per tanto, tanto tempo le aveva macchiato le mani
senza che ne valesse la pena.
Era stanca.
-Prenditi il tempo per
decidere. In caso, chiedi a Lia, dato che la conosci, i punti
fondamentali dell'assalto-.
Finita quella spiegazione che non ammetteva
repliche Peter fece un cenno a Susan ed Edmund, voltandosi, e facendo
intendere che era ora di andare a prepararsi e che non potevano
permettersi di far passare altro tempo.
Eve li vide farsi sempre
più piccoli, fino a scomparire tra le ombre e i giochi di
luce dei fuochi che iniziavano ad essere accesi.
Sentì una
pressione sul braccio e si voltò, confusa. Due occhi blu
s'incresparono nei suoi, mentre la presa cresceva, come se
non volesse lasciarla più andare, rivelando nei gesti
ciò che il viso non lasciava trapelare.
-Non
dovete andare-.
Eve sospirò, come se percepisse le emozioni della ragazza
davanti a lei. Le condivideva, così come Lucy, sapeva che si
poteva provare a cercare altre soluzioni, ma Peter era cocciuto e,
soprattutto, deciso a riprendere quel ruolo con relative conseguenze.
-Mi dispiace-
***
Quando
la sera era
ormai calata i Narniani guidati dai quattro Sovrani
e Caspian si preparavano per quello che era stato programmato come un
attacco con il tentativo di ripresa dei loro diritti una volta
imprigionato Miraz e deposto.
Lucy osservava i vari abitanti di Narnia
che la superavano pronti per andare incontro a quella che lei
– e non solo lei – riteneva una folle, folle
battaglia.
Non le piaceva la sensazione sgradevole che aveva addosso:
Aslan le era comparso in sogno, quindi non capiva perché
andare incontro a qualcosa che si poteva evitare quando avrebbero
potuto provare a cercare il leone. Aslan, ne era sicura, li avrebbe
aiutati e rimesso le cose a posto.
Vide Trumpkin superarla e Glenstorm
salutare la moglie e partire con il figlio, seguendo gli altri. Era
come se dietro ogni saluto, dietro ogni bacio, ci fosse un addio
celato.
In quel
momento davanti a lei passò Evelyn che si fermò a
guardarla, capendo la preoccupazione della sorella.
-Ehi Lucy- la
richiamò dolcemente, dandole un buffetto sulla guancia.
-Stai tranquilla, andrà tutto bene- cercò di
rincuorarla, aprendo le braccia e invitandola a farsi accogliere come
in una culla protettrice.
-Buona fortuna- Bifonchiò la
minore contro il vestito, ancora stretta a sua sorella.
Eve
le fece un occhiolino e poi le diede le spalle, allontanandosi con gli
altri. Si voltò verso Peter, Lucy, che aveva osservato la
scena, e dopo avergli scoccato uno sguardo di disapprovazione
rientrò dentro al rifugio.
-Non
dovete andare.
Pensaci solo un po' di più-.
Dhemetrya
aveva soppesato quel muoversi di creature che più che andare
a fare una guerra sembrava stessero partendo per una processione, e si
era avvicinata al Re Supremo, rimasto solo davanti all'entrata.
Stava
cercando di farlo ragionare, voleva provare a trasmettergli la
sensazione che era sbagliato ciò che stava facendo e che se
solo si fosse fermato a pensare un attimo, solo uno, si sarebbe reso
conto che non era un piano così buono come poteva sembrare.
Poteva andare male un qualcosa, un qualsiasi cosa e sarebbe crollato
tutto.
-La decisione è stata presa, te l'ho già
spiegato anche prima- sentenzionò, senza nemmeno guardarla
in faccia.
Dhem era una presenza che lo irritava, perché da
quegli occhi si sentiva troppo osservato, troppo studiato.
Perché Eve l'aveva portata al rifugio?
Sangue, altro
sangue... non voleva vedere, sentire, percepire. Non voleva sentire
più nulla, non voleva immaginare ciò a cui
sarebbero potuti arrivare quella notte, Dhem.
-Ma…-
Provò, ma lui la fermò.
-Abbiamo deciso
così da prima che venissi tu. Non cambierò idea.
Quindi, se vuoi venire accomodati, oppure fai quello che vuoi, ma non
discutere decisioni che non ti riguardano- sibilò, quasi
rabbioso e stanco di tutte quelle opposizioni. Aveva già
guidato eserciti, perché tutte quelle diffidenze?
-Te ne
pentirai- disse solamente, come ultimo avvertimento. Sperava di
sbagliarsi lei, in realtà, perché ciò
avrebbe significato una vittoria, ma iniziava ad irritarsi per quel
comportamento tenuto dal ragazzo.
Cosa posso fare?
-Non dovete andare-
ripeté di nuovo come una frase d'ordine quando Peter si
decide a muoversi per raggiungere e guidare i soldati.
-Non dovete
andare-.
Ma ormai era
tardi.
Ho
aggiornato,
finalmente; ci ho messo tanto tempo, vero. Spero di aver
portato un capitolo gradito.
Le reazioni dei Pevensie rispetto
a Dhemetrya sono abbastanza diverse, ma mi paiono più
“reali” che l'avere il “sono tutti felici
e contenti”: non troppo felici, o aperte, e abbastanza
sbrigative perché sono concentrati sull'imminente battaglia.
Le motivazione del non andate di Dhem verranno fuori anche loro. Lia e
Selenya si possono parlare nella mente, si. (NB: è presente
una cosa simile anche in Narnia's Rebirth, di ranyare. Ho chiesto
all'autrice se questa somiglianza potesse darle fastidio, ed ha detto
di no ^^ - mia salvatrice *O* - ).
Alla
prossima, spero presto.
Dhi. <3
Altre storie in corso:
Le
Cronache di Narnia:
Essence
/ Elements
and Seasons.
Fairy
Tail: La
gabbia
del Vento.
Zero
no Tsukaima: Mizu
no Chikai.
Originali:
Dhialya
/ Punti
di Vista.
|
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Capitolo 16 *** Rottura della notte. ***
Narnia's
Spirits
Rottura
della notte.
La
sera
inoltrata
aveva ormai preso possesso del mondo Narniano, costringendo il sole a
scomparire del tutto ed il cielo ad scurirsi tappezzandosi di stelle.
I
Londinesi non avrebbero mai smesso di pensarlo, ma a osservare
quell'ambiente, anche dopo l'arrivo dei Telmarini, non avrebbero mai
fatto a meno di confrontarlo con Londra.
Erano giunti, marciando in
silenzio e con poche fiaccole accese, fino al limitare del bosco, luogo
designato per dove si sarebbero divisi.
Per avvicinarsi al castello
senza essere notati dalle vedette, Caspian aveva proposto l'aiuto dei
grifoni, che avrebbero accompagnato il primo gruppo fino ai tetti
confondendosi nel nero del cielo.
-Come vi disponete
Maestà?-
Bayord, il grifone che si era offerto di portare i
due Pevensie, invece che una sola persona, domandò loro se
avessero qualche richiesta per il viaggio, aprendo le ali e scuotendole
leggermente, ravvivando le piume.
Nel frattempo, gli altri erano
già quasi pronti per partire, mentre Peter si assicurava di
dare le ultime disposizioni.
Edmund e Evelyn si scambiarono uno sguardo
per poi parlare insieme, osservati dagli occhi del Narniano che
brillavano nel buio quasi completo dell'ambiente.
-Io sto sotto-.
-Io
sto sopra-.
-Prego?- Il grifone li guardò leggermente
stupito, non potendosi evitare di chiedere delucidazioni e facendo
arretrare il muso e piegandolo di lato.
-Trasporterai Edmund con le
zampe, mentre io salirò in groppa- Spiegò Eve,
resasi conto che erano stati affrettati e confusi nel parlare.
La
creatura alata accennò un inchino con il capo, ringraziando
tacitamente per la spiegazione e preparandosi definitivamente per
volare di li a poco e a sentire il peso dei ragazzi che avrebbe
trasportato.
Evelyn salì per prima, affondando le mani nelle
piume castano-dorate della creatura magica e assicurandosi di non
stringere troppo, poi il grifone alzandosi leggermente dal terreno con
qualche battito d'ali caricò anche Edmund, prendendolo per
il busto.
-Ed, hai la torcia?- Ad Edmund la voce di Eve
arrivò leggermente ovattata e d'istinto cercò di
alzare lo sguardo per vederla, ma la posizione orizzontale non lo
permise, così lasciò perdere.
-Strano che mi
chiedi se ho la torcia, di solito è la spada che serve per
difendersi- Disse, cercando d'ironizzare la situazione.
-Oh, ma quella
viene dopo- Edmund non poté vedere che mosse una
mano in aria come se fosse una cosa da nulla, la spada. -L'importante
è che tu abbia la torcia sennò il piano va in
fumo-.
Effettivamente.
Poi sulla torretta non avrebbero dovuto correre
rischi - Peter aveva cercato di pensare anche a questo.
-Al massimo ti
presto Asterius- finì poi, seria.
-Ho la torcia. E anche la
spada, comunque-. La sorella sorrise anche se lui non poteva vederla
– di li a poco avrebbe avuto molto poco, per cui sorridere.
-Allora al segnale di Peter possiamo andare-
Questi con Susan, Caspian
e Trumpkin si stava preparando insieme agli altri sui rispettivi
grifoni, dopo essersi assicurato, per l'ennesima volta da arrivare
quasi ad essere nauseante, che il piano fosse perfettamente chiaro
nella mente dei Narniani e che, date le divergenze, non decidessero
forse all'ultimo momento di tirarsi indietro.
-Edmund, potete partire.
Fate attenzione- Peter puntò lo sguardo sui fratelli, serio,
come a voler trasmettere su di loro uno strato protettivo contro il
pericolo che avrebbero probabilmente incontrato.
-Anche voi-.
I due
fratelli annuirono e con un battito d'ali Bayord si librò in
cielo, smuovendo con la corrente d'aria che si creò dal suo
movimento l'erba su cui stava poco prima.
***
Aiutati dalla notte senza
luna il Narniano con Evelyn ed Edmund arrivò in poco tempo a
sorvolare le torrette del castello di Miraz. Silenziosamente e
aiutandosi con una corrente d'aria, il grifone arrivò fino
alla torre prestabilita su cui avrebbe dovuto lasciare i due Pevensie.
Bayord s'avvicinò al piccolo tetto a forma conica, ed il
ragazzo venne lasciato dai suoi artigli per aggrapparsi alle tegole in
modo che anche il grifone potesse utilizzare le zampe per aggrapparsi
al tetto e non scivolare o essere visto.
Le guardie di vedetta erano
due proprio come aveva detto Caspian: parlavano talvolta tra di loro e
una si voltò per osservare alle sue spalle, attirata
probabilmente da qualche rumore che però non la
insospettì troppo, poiché quando l'altra
domandò informazioni, scrollò le spalle e
tornò a fissare davanti.
Di una se ne occupò il
grifone libero dal peso anche di Eve, che era scesa, mentre dell'altra
se ne occupò Edmund cogliendola alle spalle e tramortendola
con l'elsa della spada. Le due sentinelle furono adagiate contro il
parapetto della torre e private delle loro armi per sicurezza.
-Via
libera- sussurrò Edmund rivolto verso l'alto, ed Evelyn fece
la sua comparsa scendendo dal tetto mentre Bayord si congedava
portandosi via le spade dei due Telmarini.
I due fratelli si
scambiarono uno sguardo veloce, poi studiarono la situazione sui vari
ponti e torrette.
-Pare che non si siano accorti di niente- Evelyn
osservò le varie guardie che camminavano avanti ed indietro
lentamente gettando sguardi al bosco, una macchia indefinita di ombre
scure, e al nero che circondava il castello.
Edmund iniziò a
mandare i segnali ad intermittenza verso la foresta senza bisogno che
si dicessero altro, l'aria leggermente fresca che era piacevole
da sentire sulla pelle.
Quel segnale, un fascio di luce che schiariva
il cielo per pochi secondi per poi sparire, decretò l'avvio
del volo degli altri grifoni che avevano avuto il compito di portare al
castello gli altri. I due fratelli distinsero leggermente e strizzando
un po' gli occhi le sagome che si avvinavano e planavano sul castello,
e i soldati d Telmar che silenziosamente venivano eliminati da Susan o
da Caspian dopo essere stati segnalati da Edmund utilizzando la torcia.
Lo scontro più arduo sarebbe stato imminente, il piano era
definitivamente entrato nel vivo del suo scopo. I due Pevensie lo
capirono quando videro i quattro calarsi con una corda nelle stanze del
precettore Cornelius, maestro e protettore di Caspian, sparendovi
all'interno.
L'attacco aveva avuto inizio.
***
Dhemetrya
camminava
avanti e indietro nella stanza di Aslan.
Lucy non era li, probabilmente
era sparita da qualche parte poco prima, ma lei era troppo presa a
pensare ai ragazzi e alla gente al castello per farvi caso.
Sapeva che
avrebbe dovuto fare qualcosa. Sapeva anche che probabilmente
– no, certamente – aveva un minimo di potere per
riuscire a fare qualcosa di utile e che avrebbe avuto grande importanza
per l'esercito Narniano.
Ma era come bloccata.
Ed era ironico, che non
sapesse se scegliere la via che le sembrava più giusta o
meno. Solitamente le veniva più facile, perché
aveva ben chiaro in testa ciò che voleva fare,
perché sapeva che quella terra andava difesa.
Forse aveva
paura? Paura di macchiarsi nuovamente, paura per se stessa. Era una
cosa terribilmente umana, e non poteva accettarlo.
Non poteva.
Non
doveva.
Aveva come un bivio dentro di sé, un buco enorme che si
stava
scavando mentre se ne stava li ferma e che si riempiva d'angoscia,
soffocandola.
Umanamente bloccata.
***
Il
primo che
atterrò sul davanzale della finestra fu Caspian, in quanto
conosceva il castello e come muoversi, e dopo essersi assicurato, per
l'ennesima volta, di essere al sicuro bussò leggermente alla
finestrella.
-Maestro?- sussurrò non senza una grande
speranza che si mischiava alla paura per la vita del precettore, mentre
dietro di lui arrivava Peter.
Non ottenendo risposta il Principe prese
il suo pugnale e aprì la finestra in modo da poter entrare:
la serratura cigolò leggermente e Caspian trattenne il
fiato, mentre osservava l'interno semi buio in attesa di non sapeva
nemmeno lui cosa, precisamente.
Lui e Peter furono i primi che misero
piede nella stanza dell'anziano, mentre alle loro spalle si calavano
Susan e Trumpkin.
Quando furono tutti all'interno ed ebbero chiaro
ciò che i loro occhi vedevano si guardarono intorno stupiti
e attoniti rendendosi conto della stonatura immensa che vagava per
quelle mura. Non poterono che stare in silenzio, domandandosi il
perché di tutto ciò: fogli sparsi in giro, libri
aperti e non ai loro posti in ordine sugli scaffali, calamai
rovesciati… la stanza era sotto sopra – e di
Cornelius,
ovviamente, neanche l'ombra.
In mezzo a tutto quel casino di pagine
allo scoperto e vestiti arrotolati Caspian poté distinguere
sul tavolino al centro della stanza i piccoli occhiali del precettore.
Li prese delicatamente in mano mentre mille domande gli affollavano la
mentre, più o meno ovvie: cos'era successo? Dov'era
Cornelius? Stava bene?
Pensò che Miraz poteva averlo
rinchiuso nelle prigioni, visto che l'aveva aiutato a scappare la notte
in cui era nato il figlio di suo zio, e quindi l'anziano uomo sarebbe
passato per traditore per il suo gesto di coraggio nell'avvertirlo di
scappare.
Doveva trovarlo e portarlo in salvo come Cornelius aveva
fatto con lui. Non poteva lasciare lì l'uomo che considerava
come un padre e che l'aveva accompagnato nella crescita con i suoi
consigli e le sue lezioni.
-Devo trovarlo-.
-Non hai tempo, devi aprire
la grata- gli si oppose subito Peter, cercando di usare un tono calmo e
capendo ciò che animava gli occhi del ragazzo.
-Senza di lui
non saresti qui, e nemmeno io- sibilò Caspian, come
indifferente alle parole del vecchio Re.
Peter si girò a
guardare Susan in una muta domanda su ciò che secondo lei
bisognava fare, totalmente in bilico e sapendo che sia continuare con
il piano, che salvare la vita di un uomo, erano entrambe azioni giuste.
Per la prima volta dopo vari giorni accettò un consiglio
esterno.
-Io e te occupiamoci di Miraz- propose, soppesando il piano
velocemente. Potevano fare la prima parte anche da soli.
-E io
arriverò alla grata in tempo- promise Caspian, grato, con
enfasi e quasi sollevato.
I quattro si divisero dopo quel veloce cambio
di piano: il Principe si avviò alle prigioni, Trumpkin alla
sala per raggiungere Ripicì e i due Pevensie in cerca della
camera di Miraz.
***
-Ci
aspettavamo
qualcuno… un po' più alto- Fu il commento
d'esordio del capo dei topi quando si ritrovò davanti il
nano.
-Senti chi parla- Trumpkin squadrò Ripicì e
gli altri due compagni, scettico.
-Sarebbe ironia questa?-
Il nano
chiuse la porta di legno e raggiunse gli altri tre, iniziando a
spingere la leva per abbassare il ponte.
***
Entrò
nelle
segrete facendo meno rumore possibile e il soldato cadde a terra senza
riuscire a gridare, difendersi o dare l'allarme, complice il buio.
Cornelius dormiva, notò con sollievo avvicinandosi alla
cella, e non si era accorto della scena di pochi istanti prima.
Caspian
aprì svelto la porta arrugginita della prigione che
cigolò e si chinò sul precettore, scuotendolo
leggermente per svegliarlo e osservandogli il volto per scorgere delle
possibili lesioni. Sembrava stare bene, a parte l'essere stato
prigioniero.
-Ancora cinque minuti?-
L'uomo dapprima non
capì e lo guardò confuso, strizzando gli occhi
per la mancanza degli occhiali e ancora leggermente intontito per il
brusco risveglio.
-Cosa ci fate qui?- Domandò poi,
allarmato, mentre gli venivano tolte le manette. -Non vi ho aiutato a
scappare perché poi tornaste di nascosto-
rimproverò il ragazzo, mentre aiutato si tirava in piedi.
-Dovete andarvene prima che Miraz venga a sapere di voi- Lo prese per
le spalle e guardandolo dritto negli occhi lo scosse leggermente,
cercando di trasmettergli il poco senso che aveva ciò che
stava facendo, secondo lui. Caspian sembrò quasi sorridere,
a quell'affermazione, tendendogli gli occhiali.
-Lo verrà a
sapere molto presto. Gli daremo la vostra cella-. Ora che sapeva
Cornelius vivo e al sicuro le cose stavano procedendo al meglio.
Avrebbe poi raggiunto la grata come nella stesura del piano era stato
stabilito.
Il precettore li prese e fece per metterseli, ma dopo aver
sentito la frase di Caspian e visto che si girava pronto per andare,
l'anziano uomo lo fermò prendendolo per un braccio,
facendolo girare nuovamente verso di lui.
Il Principe non
capì quel gesto e guardo l'uomo confuso.
-Non sottovalutate
Miraz come ha fatto vostro padre- Il volto del ragazzo si contrasse e
le pupille si dilatarono, come se una nuova prospettiva gli fosse
balenata in mente.
-Di che cosa state parlando?- Domandò
infatti, ansioso di sapere, bisognoso di sapere.
Il precettore
abbassò la testa colpevole, un segno che confermò
quella che era soltanto un'ipotesi fino a pochi secondi prima e che era
stata un'oscura verità distorta per tutti quegli anni.
-Mi
dispiace-.
Ignorando Cornelius che tentava di trattenerlo e farlo
ragionare Caspian si liberò della sua presa, per poi correre
velocemente sui gradini di pietra diretto alle stanze di colui che non
considerava più suo zio.
Non più, non dopo
quello.
Voleva spiegazioni.
E vendetta.
***
S'erano
aggirati
furtivamente per il castello in cerca della camera giusta, poi delle
voci, tra cui quella famigliare di Caspian, aveva fatto capire loro che
erano giunti a destinazione.
Entrarono spalancando le porte irrompendo
nella stanza e bloccando la conversazione, e si trovarono davanti una
scena che a Peter fece ribollire il sangue nelle vene: Caspian che
minacciava Miraz puntandogli la spada alla gola, invece di essere alla
grata e a sua volta minacciato da una donna che impugnava una balestra,
che dedussero essere Prunaprismia, la moglie del nuovo Re.
Mentre
Susan tendeva l'arco verso
Miraz, Peter prese parola mal celando la rabbia che sentiva.
-Che stai
facendo? Dovresti essere alla grata!-
Caspian li
osservò velocemente, gli occhi lucidi che mandavano
scintille di rabbia e la tensione che gli irrigidiva i muscoli.
Puntò maggiormente la gola a suo zio che si limitava ad
osservarlo, mal trattenendosi dall'infilargli la spada direttamente
nella giugulare e finirla subito.
-No! Per una volta, voglio la
verità. Hai ucciso mio padre-.
Successe
poi tutto in
fretta, eventi confusi che non poterono essere fermati o riavvolti.
Caspian prima di uccidere l'uomo a sangue freddo avrebbe voluto sapere
la verità. Solo la verità, il motivo per cui era
stato privato, oltre che della madre, anche del padre. Voleva un motivo
prima di liberare tutta la rabbia che sentiva scorrere in corpo.
-Caspian IX era debole
nella guerra contro i Narniani-.
Poi c'erano
state le voci di Peter e Susan che cercavano di far calmare il
Principe.
E la balestra puntata su Caspian da una moglie dubbiosa sulle
azioni del marito, stesso uomo che sfidava una lama puntata alla gola
ed intimava alla donna di uccidere per il loro figlio.
Il
Principe fu colpito al braccio dalla freccia scoccata dalla Regina di
Telmar.
Miraz si rifugiò in un passaggio segreto scappando.
E il grido di Prunaprismia ruppe la quiete del castello
definitivamente.
***
Una
stretta allo
stomaco di Evelyn faceva preoccupare la ragazza, per un motivo a lei
sconosciuto, perché fino a quel momento non c'erano stati
problemi.
Le guardie non si erano accorte dei nemici penetrati nel
castello, quindi non era scattato nessun allarme, e fuori non c'era
segno di qualche nuovo soldato che si aggirava per le torrette con la
possibilità che li scoprisse o vedesse i cadaveri.
Cercò di non pensarci, tamburellando sul cemento, mentre
osservava Edmund giocherellare con la torcia perso nei suoi pensieri.
S'impose di non fissarlo, volgendo lo sguardo al cielo nero sopra di
lei e ricordando, però, ogni dettagli che nei vari momenti e
nel corso del tempo era riuscita a catturare. Si beava di quelli,
quando non era in vena da sentirsi in colpa.
-Stai sempre vicino a me e
fa attenzione- Si voltò lentamente e puntò lo
sguardo su Edmund che aveva smesso di giocare con la torcia e la
fissava, serio.
-Altrimenti chi lo sente Peter?- Sorrise nella
penombra, ironizzando e cercando egoisticamente di cercare di
alleggerire la tensione che sentiva stringerle lo stomaco. Pensava
quasi che avrebbe vomitato, di li a poco.
-Altrimenti chi lo sente
Peter. Beh, non solo lui- Edmund si avvicinò facendo qualche
passo nella sua direzione, che d'istinto arretrò di poco
senza darlo a vedere, visto che la lunga gonna copriva i movimenti.
Era
meglio se Edmund le fosse stato lontano. In generale, ed in un momento
come quello in cui avrebbero dovuto stare entrambi concentrati.
-Guarda
che non sono più una bambina, sono cresciuta se non te ne
sei accorto- Incrociò le braccia al petto, ribattendo
picche.
-Certo che mi sono accorto che sei cresciuta- Edmund rispose
senza pensarci troppo, per poi mordersi la lingua.
Ma che cavolo dico?
Eve lo osservò dapprima stupita, soppesando quella
frase alquanto fraintendibile, per poi allontanare la sua reazione e
possibili pensieri che avrebbero solo fatto più male.
-Cioè io intendevo… ehm… volevo
dire… - Il fratello maggiore gesticolò qualcosa
con la torcia in mano tentando di dare spiegazioni, mentre Evelyn
corrugava la fronte e si gli avvicinava leggermente minacciosa.
-Intendevi cosa? Dai forza parla Ed, formula una frase di senso
compiuto!- gli sibilò a pochi centimetri dal volto in attesa
di spiegazioni, mentre il cuore batteva furioso e la stretta allo
stomaco si faceva più intensa.
Era come un bivio di
sensazioni che si stava espandendo: da una parte voleva sapere, era
bisognosa di sapere; come se vedesse l'acqua dopo giorni nel deserto.
Dall'altra aveva paura che quell'acqua fosse solo un'illusione dovuta
al caldo, e reagiva di conseguenza per evitare di essere presa alla
sprovvista.
Si rendeva conto che era piuttosto brusca quando faceva
così.
Il ragazzo sospirò e fece per dire
qualcosa, ma un urlo che non si aspettavano li fece sussultare entrambi
e la torcia cadde di mano ad Edmund, finendo nel terrazzino
sottostante.
I due si affacciarono dall'alto della torre ed Evelyn
scoccò un'occhiata preoccupata al fratello, seguendolo poi
per le scale a chiocciola.
I
due
poterono vedere
due guardie da una finestrella osservare e maneggiare lo strano oggetto
per loro nuovo, mentre una terza correva a dare l'allarme. Uno dei due
soldati accese l'interruttore della torcia e Edmund ed Evelyn si
appiattirono contro il muro della torretta per evitare di essere visti.
Il fascio di luce investì i volti delle due guardie che in
risposta agitavano la torcia, incapaci di realizzare il meccanismo.
Magari lo scambiarono quasi per magia.
-Che facciamo?- chiese Evelyn
nascosta dietro la schiena di Edmund, cercando di non aggrapparsi a
lui.
-Non lo so- sussurrò solo, ragionando e soppesando
le possibilità.
Non appena finita la frase il suono delle
campane che davano l'allarme arrivò alle loro orecchie.
Edmund si buttò sopra il soldato Telmarino che aveva sotto
di lui senza pensarci più di qualche secondo, ed Evelyn non
poté che seguirlo: la torcia andava assolutamente recuperata
e la situazione stava diventando pericolosa, le truppe che attendevano
andavano avvisate.
***
-E
quello che vorrebbe
dire?- chiese diffidente Nicabrik osservando il fascio di luce che si
agitava a destra e sinistra nel cielo.
Lia lo riprese, scambiandosi
un'occhiata con Glenstorm di fianco a lei e facendo mantenere la calma
al gruppo che non andava persa.
-Abbi fiducia-.
***
-Peter!-
Susan
richiamò il fratello che imperterrito continuava a correre
verso il cortile principale per andare ad aprire la grata.
-Le nostre
truppe sono qui fuori, venite!- Ordinò alla sorella e a
Caspian, continuando a correre.
Avevano quasi il fiatone e un esercito
di soldati alle costole che li inseguiva, ma la determinazione del Re
sembrava essere in quel momento l'unica via d'uscita.
-Ora Ed! Ora!-
Gridò al fratello minore, correndo per il cortile.
-Ho un
po' da fare adesso Peter!-
Il minore dei fratelli Pevensie
evitò un fendente che gli fece perdere la spada e per
difendersi usò la torcia, senza pensare ai
possibili danni ma deciso ad uscire indenne dal combattimento.
Colpì deciso il soldato Telmarino, che cadde a terra
svenuto.
-Cosa hai fatto Edmund?!- Vedendo il fratello osservare
preoccupato la torcia Eve gli fece la fatidica domanda mentre gli si
avvicinava, dopo aver tramortito l'altro soldato.
-Ecco…- Ed iniziò a battere la
torcia sul palmo della mano per farla accendere.
-Ti avevo detto che
potevi usare Asterius se ne avevi bisogno!- La sorella minore esplose
d'irritazione e rabbia per quell'azione sconsiderata, buttando fuori
anche l'ansia e la paura per come stavano andando le cose, e si
passò una mano nei capelli e sulla fronte sudata, agitata.
***
-E'
troppo tardi
Peter, lasciamo perdere finché siamo in tempo!-
Supplicò Susan osservando le guardie Telmarine avanzare
verso di loro con le armi in mano e riempiendo il cortile. Si sentiva
un topo in trappola.
-No posso ancora farcela!-
Caspian e la Pevensie
si scambiarono uno sguardo poi aiutarono il Re ad alzare la grata.
-Tutto questo per chi lo stai facendo, Peter?-
***
Evelyn
osservò le guardie che iniziavano ad avanzare ed invader il
cortile principale, e si voltò verso Edmund.
-Avanti Ed!-
Avevano assolutamente bisogno dell'intervento dell'esercito all'esterno
del castello.
Quello in risposta batté più forte
la torcia sul palmo della mano e questa per miracolo si accese. I due
fratelli osservarono la luce per qualche attimo, poi il Pevensie si
riscosse, affrettandosi a dare il segnale alle truppe.
I Narniani marciarono e videro il ponte
abbassarsi, segno che Trumpkin e Ripicì stavano facendo il
loro dovere senza essere interrotti. Si sbarazzarono delle due guardie
al ponte ed entrarono con un grande urlo nel cortile principale andando
a combattere contro i soldati Telmarini.
In poco tempo era tutto un
clangore di spade e frecce sibilanti in aria, urla di battaglia e corpi
che cadevano – da entrambe la parti.
-Per Narnia!-
***
Dopo
che i rinforzi
erano entrati Evelyn ed Edmund si affacciarono ad un piccolo tetto in
modo da avere la visuale completa di ciò che accadeva nel
cortile sotto di loro.
Videro i loro fratelli più grandi
affiancati dai Narniani e Caspian combattere egregiamente mentre
sembrava che le cose andassero bene e volgessero in loro favore
nonostante il contrattempo.
I due si scambiarono un'occhiata per poi
ripuntare lo sguardo sulla battaglia sotto di loro.
Evelyn vide Susan
usare una freccia come un pugnale, poi però la
osservò fermarsi
al centro del piazzale guardando in alto: la sorella maggiore era
sconcertata e spaventata, e lo sguardo saettava come se osservasse
più cose contemporaneamente.
Ciò che vide Eve,
curiosa su ciò che aveva costretto Susan a fermarsi nel
mezzo del combattimento, la fece tremare di paura e le fece irrigidire
tutti i muscoli del corpo: soldati, tanti, troppi da contare, armati di
balestra, stavano circondando il cortile dal
terrazzino sotto al punto in cui si trovavano lei ed Edmund, pronti a
scoccare le loro frecce contro i Narniani impegnati a combattere.
Tirò una gomitata al fratello e prima che
questo potesse chiederle cosa succedeva, con un cenno della testa gli
indicò i Telmarini sotto di loro.
Entrambi si accorsero che
una guardia aveva puntato su Peter, e prima che potesse tirare Edmund
scivolò giù dal tetto colpendo il Telmarino che
cadde nel cortile. Peter si accorse della cosa e si rese conto che
erano sotto tiro.
-Ed!- Si limitò a gridare Eve,
precedendolo sull'avvertire il fratello, senza pensarci. Le guardie si
accorsero di lui e presero la mira, ma questi si rifugiò
all'interno della torre che aveva alle proprie spalle.
***
Evelyn
sospirò di sollievo nel vedere entrambi i suoi fratelli in
salvo, anche se momentaneamente, ma poi si riprese subito sentendo un
sibilo passarle vicino all'orecchio.
Sgranò gli occhi,
sconcertata: avendo gridato il nome di Edmund si era rivelata alle
guardie che ora stavano puntando su di lei. Si chinò
proteggendosi con il muretto coprendosi la testa con le braccia.
Quando
non sentì più il sibilo delle frecce
pensò di essere al sicuro e aprì gli occhi, che
per la paura aveva chiuso. Non fece in tempo a rendersi conto di niente
che sentì il rumore di una porta che si apriva e dal quale
spuntò un gruppo di circa cinque Telmarini. Il corpo si
mosse per lei, ansioso di evitare il dolore, iniziando a correre dalla
parte opposta e cercando rifugio all'interno del castello.
***
Peter
nel frattempo
aveva continuato a combattere. Uccise un soldato di Telmar e quando
alzò lo sguardo vide Miraz affacciato alla balconata di una
stanza.
Ed era solo.
Fece segno ad un Narniano vicino a lui di
seguirlo.
Il momento sembrava
essere perfetto.
Poi
tutto
andò storto.
Il Narniano fu ucciso, e cadde nel cortile come
un fantoccio.
Edmund si ritrovò isolato su una torretta
inseguito da due guardie e lontano da tutti.
Le guardie ruppero il peso
che teneva su la grata e Trumpkin fu buttato nel cortile.
I soldati sui
terrazzini si preparavano a scoccare le frecce.
***
Mentre
correva
cercando di seminare le cinque guardie che la inseguivano e le frecce
che le lanciavano, Evelyn sentì un dolore lancinante alla
spalla sinistra, un fitta che le perforò corpo e mente.
Il
suo viso assunse un'espressione di dolore e fu tentata di fermarsi per
prendere fiato, ma qualcosa dentro di lei le impedì di
farlo.
Svoltò in vari corridoi e all'ennesimo angolo si
guardò attorno: era
in un corridoio del castello, anche se non sapeva dove rispetto al
cortile, e sentiva le grida dei soldati Narniani e Telmarini.
Esaminò il lungo corridoio che le si presentava di fronte:
alla fine girava a sinistra, esattamente a metà sulla destra
c'era una porta di legno e davanti a questa un altro corridoio.
Si
portò una mano alla spalla, sentendo bagnato, mentre l'odore
del sangue le arrivava al naso. Era come se dopo tutte le battaglie
fosse diventato inconfondibile.
Osservò la freccia che le
entrava da dietro, senza però uscire dal davanti: iniziava a
sentire la spalla intorpidita.
Ci penserà
Edmund a tirarmela
fuori, se riesco ad uscire di qui.
Un rumore di passi dietro di lei la
fece voltare spaventata, e si rese conto che i soldati che era riuscita
a seminare momentaneamente la stavano raggiungendo.
Iniziò a
correre cercando di allontanarsi, ma quando fece per svoltare l'angolo
alla fine del corridoio visto poco prima altri passi provenienti
davanti a lei la bloccarono di colpo e altre ombre di soldati Telmarini
raggiunsero il suo sguardo.
L'unica via che le rimaneva era il terzo corridoio davanti alla porta
di legno, ma per l'ennesima volta dovette
fermarsi in quanto anche da quella direzione proveniva un gruppo di
soldati di Telmar.
Eve sbuffò, innervosita. Anche volendo in quello stato non
avrebbe potuto combattere.
Guardò le tre direzioni che aveva come scappatoia mentre da
tutte e tre le parti le guardie di Telmar si avvicinavano.
La spalla
doleva e il sangue macchiava l'abito e il pavimento, stava diventando
stanca e
non sapeva come raggiungere gli altri ed uscire da li.
Si
lasciò scivolare lungo la porta di legno dietro di lei,
prendendo anche dentro con la freccia, e per poco non urlò.
Si morse un labbro, in panico, non sapendo cosa fare, gli occhi che
doventavano lucidi.
Sono in trappola.
Curiosità:
“Rottura della notte” l'ho deciso come titolo
perché l'attacco è nel bel mezzo, appunto, della
notte, e invece stanno combattendo, andando a minare la
“routine” delle ore notturne.
Questa volta ho
aggiornato presto, dai. :)
Parlando di questo capitolo: ho volutamente
fatto delle descrizioni un po' veloci e decise, diciamo, nei punti che
sono già a conoscenza e di cui non credo ci sia bisogno di
ripetere troppo. Il capitolo è, salvo per il pezzo su Dhem,
praticamente uguale al precedente – con dovute correzioni e
approfondimenti. La seconda parte riguardo la battaglia spero riesca a
farla arrivare anche lei in tempi decenti. ^^
Ringrazio per le recensioni,
sempre ben accette, preferiti, ricordate e seguite – siete in
molti, nonostante i tempi d'aggiornamento vergognosi, vi ringrazio
davvero molto per la fiducia!
Alla prossima.
Dhi. <3
Altre storie in corso:
Le
Cronache di Narnia:
Essence
/ Elements
and Seasons.
Fairy
Tail: La
gabbia
del Vento.
Zero
no Tsukaima: Mizu
no Chikai.
Originali:
Dhialya
/ Punti
di Vista. (Raccolta/Completa)
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Capitolo 17 *** Speranza di pietra. ***
Narnia's
Spirits
Speranza
di pietra.
Cosa
devo fare?
Continuava a camminare avanti ed indietro, Dhemetrya, la suola dei
calzari che produceva piccoli ticchettii sul pavimento di pietra della
stanza di Aslan.
Si stava tormentando da vario tempo le mani,
continuando a schioccarle e rigirarsele tra loro, sfiorando alle volte
il pugnale nascosto sotto la casacca ed attaccato alla coscia, sempre
più ansiosa mano a mano che il tempo scorreva.
Non era
più riuscita a starsene ferma ad attendere, e la
tumultuosità dei pensieri che le riempivano la testa l'aveva
fatta scattare in piedi, ad un certo punto, senza che riuscisse
più a fermarsi da quel camminare incessante che non aveva
meta e che continuava a fare da non aveva idea quanto tempo,
esattamente.
Sentiva solo la necessità di non stare seduta,
per non darsi l'impressione di non star facendo niente perdendo tempo.
Cosa posso fare?
Aveva paura di star sbagliando tutto. Temeva di poter
sbagliare nel tempo avvenire. Aveva una stretta gelata alla mente che
le puntava contro il pensiero che qualsiasi cosa avesse fatto o meno,
in quel momento o nei giorni seguenti, sarebbe comunque stata
sbagliata.
Puntò lo sguardo su Aslan, e cercò gli
occhi del leone incisi nella pietra che guardavano il vuoto;
cercò di rievocarne lo sguardo vero e caldo, come se lo
avesse davanti a sé, reale, cercò di focalizzare
la figura imponente e la criniera dorata.
Così uguale a lei,
eppure così diverso.
Due punti focali nella Grande Magia,
eppure il leone ne conosceva segreti e regole a lei sconosciuti. Era
decisamente più sapiente e consapevole, Aslan, per quanto
riguardava tutto ciò che comprendeva la magia e Narnia. Per
questo era sempre stata la sua guida, ne era come un po' dipendente, lo
trattava con il rispetto che doveva ad un Sovrano e la devozione
rivolta ad un genitore.
E non doveva perdere quel filo di speranza che
la tirava a galla tenendola in vita.
Era nata dalla Grande Magia e ne
faceva parte, Aslan però per lei era come un padre,
perché la magia di Narnia la conosceva e la controllava.
Sospirò e rilassò i muscoli del collo e della
schiena, Dhem, distogliendo lo sguardo e sedendosi sul primo masso che
le capitò vicino, improvvisamente pensierosa e rabbuiata,
confinata nella sua testa.
Poggiò il mento su una mano,
tenendo lo sguardo basso rivolto al terreno; si lasciò
sopraffare solo da un pensiero, mettendo tutto il resto fuori per una
manciata di minuti, mentre rimuginava, la mente che sembrava andata in
pausa e non sentiva più lo scorrere del tempo e le emozioni
di poco prima.
Allora perché non ne percepiva più
la presenza?
Ti prego, dammi un segno.
***
Faceva
un po' freddo
perché si era alzata la brezza notturna e le notti non erano
ancora quelle assolate dell'estate, e gli alberi non riparavano dal
vento che, passando tra le foglie e facendole vibrare, creava una danza
su note nella lingua della natura tra loro e l'aria.
Lucy era poco dopo
dell'entrata alla casa di Aslan, nella prateria, ad osservare le sagome
del bosco Narniano che la circondava, non preoccupandosi del freddo che
poteva sentire e delle ombre create dal buio.
Continuava a osservare il
punto in cui aveva visto scomparire i suoi fratelli e l'esercito dei
Narniani, un sentiero che si perdeva tra gli alberi e che con il buio
notturno non era più ben visibile da quella distanza.
La
ragazza pregava che i suoi fratelli stessero bene e facessero ritorno
al più presto, che Aslan da lontano ed ovunque fosse li
vegliasse e proteggesse.
Il tempo sembrava aver iniziato il gioco della
tortura, dando l'impressione di non passare mai e allo stesso tempo
scorrere quasi più velocemente rispetto a come era solita
percepirlo.
Si era accorta che era passata ormai qualche ora da quando
erano partiti, e ogni minuti che scorreva non poteva evitare che
l'ansia e la preoccupazione le aggrovigliassero lo stomaco in una morsa
d'acciaio, anche se cercava di non pensarci e tenere esclusi dalla
testa i pensieri più oscuri.
Quando sarebbero ritornati gli
avrebbe abbracciati uno ad uno per convincersi che erano nuovamente li,
davanti a lei, salvi. Necessitava di sentirli, di farsi stringere e
coccolare dai maggiori, di sapere che aveva ancora la sua famiglia
vicino a se, che nonostante i diverbi precedenti stavano ancora bene ed
erano ancora con lei.
Eppure ancora non si vedevano e Lucy si stava
iniziando seriamente a preoccupare, mentre dentro di lei il tumulto di
emozioni si espandeva a poco a poco.
Cercava di non farci caso, pensare
positivo, ma anche per lei non era facile, soprattutto non sapendo come
stavano andando le cose.
-Altezza è tardi e fa freddo,
rientrate per favore. Sono sicuro che i vostri fratelli torneranno
presto-.
La voce di Trufflehunter la strappò dai propri
pensieri, facendole accelerare il battito per la sorpresa di trovarselo
da parte senza aspettarselo. Guardò il Narniano, accennando
un lieve sorriso di circostanza e capendo i buoni propositi che aveva.
Il tasso cercò di infonderle un po' di speranza, capendo
quanto la Regina potesse essere in pensiero, così come lui
pensava ai suoi amici Trumpkin e Nicabrik, e i vari Narniani che non
avevano partecipato all'assedio al castello erano in pensiero per i
loro familiari e amici che erano partiti per andare contro Miraz.
Erano
tutti in ansia e nervosi, con la voglia nel sangue di poter fare
qualcosa, qualsiasi, che fosse d'aiuto.
La ragazza osservò
ancora una volta il limitare del bosco, animata da una fiammella di
speranza nell'immaginare che potessero tornare vittoriosi proprio in
quegli attimi; sospirò senza farsi notare e decise di
seguire il Narniano.
Il calore dei fuochi accesi la inondò,
non appena fu entrata nel rifugio di pietra, dandole per qualche attimo
un vago senso di benessere, riscaldando i suoi muscoli che ormai erano
intorpiditi.
Si rese conto in quel momento di quanto freddo faceva
fuori rispetto a dentro, me non se n'era accorta, presa a guardare un
punto vuoto e da vario tempo.
Senza pensarci si diresse alla tomba di
Aslan e si sedette sui gradini alla base della lapide spezzata, in modo
da avere di fronte a sé l'immagine del leone. Con un sospiro
si accoccolò meglio, appoggiandosi alla pietra dietro di
lei, non sapendo cosa poter fare per occupare il tempo senza
soffermarcisi troppo.
Si mise a giocherellare con la boccetta con
l'estratto del fiore di fuoco donatole da Babbo Natale, stando attenta
a non danneggiarla o farla cadere, e non poté non domandarsi
come mai, dopo più di milletrecento anni, avesse ancora il
potere di guarire le ferite.
Sapevano che funzionava perché
Peter aveva voluto fare una prova che partissero per la battaglia,
facendosi una lieve ferita al fianco, così da poterla
utilizzare per gli eventuali feriti che ci sarebbero stati dopo quella
notte.
Lo sguardo di Lucy poi, finito di osservare la boccetta di
diamante, si focalizzò sul leone di pietra davanti a lei,
criptico. Ciò che ebbe in risposta, ad una sua muta domanda
d'aiuto e richiesta di spiegazioni, fu solo il silenzio di un quadro
che non la vedeva nemmeno.
Una folgorazione le arrivò quando
stava per chiudere gli occhi, e si alzò di scatto, come se
avesse ricevuto una scossa nella schiena, guardandosi intorno.
Ma
dov'era Dhemetrya?
***
Il
richiamo si perse
nel vuoto, una volta che fu giunto a destinazione, leggero come aveva
avuto vita. Fu un richiamo silenzioso, un fischio che
perforò gli alberi ed ebbe la capacità di
scuotere il terreno facendo vibrare l'erba.
Dhemetrya smise di
sussurrare al vento ed attese, nell'apatia della notte, mentre
continuava a raccogliere i capelli in una mezza coda di cui non era mai
soddisfatta, per evitare che le ciocche cadendo davanti agli occhi le
dessero fastidio.
Non sapeva cosa l'avesse spinta ad alzarsi ed uscire,
di preciso, scivolando tra le ombre della notte come una sagome
invisibile. Ne aveva solo sentito la necessità, quando,
provando a contattare mentalmente Lia, non ricevette risposta.
A quelle
mancate informazioni su come stava procedendo la battaglia aveva fatto
varie ipotesi, di cui tre spiccavano maggiormente – e non
erano buone.
Una delle più probabili era che la sua magia
non era più in grado di raggiungere grandi distanze, a causa
della scarsità e della debolezza contro cui stava andando.
Quindi, anche provando e riprovando, non sarebbe riuscita a contattare
la lupa se non dentro un certo raggio di ampiezza.
Tutto ciò
stava a significare che era più debole di quanto pensasse, e
non riusciva più a tenere sotto controllo le percezioni che
Narnia le mandava.
Non era un bene, per lei.
Non era per niente una
cosa positiva.
Un altro pensiero che aveva fatto, era Lia fosse
impegnata in modo particolare, quindi volutamente la ignorava. Era da
lei, con quel suo caratterino a volte accomodante ed altre tagliente.
Sospirò Dhemetrya, scuotendo la testa e lasciando perdere i
capelli.
Mentre la terza... era la più brutta di tutte,
l'ipotesi che mai, per nessun motivo, avrebbe dovuto fare.
Morti.
Se
fosse morta, se per qualche scherzo del destino non era riuscita a
diferndersi pienamente, era un motivo per cui non rispondeva. E
ciò
avrebbe significato che anche per gli altri stava andando male.
Non
devo pensarci. Non devo, nella maniera più assoluta,
pensarci.
Strinse i pugni, chiudendo gli occhi ed imponendosi la calma,
cercando in ogni modo di allontanare i pensieri e le rispettive
immagini che si trascinavano dietro e che andavano animandosi davanti
alle palpebre ancora chiuse.
Quando il manto bianco della giumenta
catalizzò la sua attenzione, una macchia quasi argentea che
si muoveva nel buio del sottobosco nella sua direzione, la ragazza si
avvicinò all'animale di pochi passi e lo
accarezzò, ringraziandolo di essere venuto ed aver ascoltato
la sua richiesta di supporto.
Qualsiasi cosa stesse succedendo, doveva
andare di persona a controllare.
Non riusciva più a starsene
ferma senza fare nulla, ancor più da prima che partissero,
con il costante pensiero di non essere riuscita a fermarli quando aveva
saputo del piano. Era un groppo in gola che continuava a non andar via
ma, anzi, si allargava.
Montò in groppa, e la giumenta
nitrì leggermente, impaziente.
Al castello di Miraz.
Non sapeva
esattamente cosa avrebbe fatto, una volta giunta li. Non sapeva nemmeno
se sarebbe stata ancora in grado di combattere.
L'acqua, a furia di
macchiarsi, s'imputridisce.
Sapeva solo che, sbagliato o giusto che
fosse quello che stava facendo, doveva andare. Al resto ci avrebbe
pensato dopo; per quel momento, per quegli istanti, doveva rimanere
fedele e fiduciosa.
La giumenta iniziò a correre per il
bosco, una macchia bianca in mezzo ad un oceano di nero.
Sperava solo
che non fosse troppo tardi.
Ehilà
fandom ^^
Due
aggiornamenti
nello stesso mese, i miracoli accadono.
A parte
ciò: questo capitolo non è molto lungo ed
è concentrato esclusivamente su Dhemetrya e Lucy, rimaste
alla casa di Aslan. E' come un intermezzo, una visione che si stacca
dalla battaglia per soffermarsi sui pensieri delle due.
Se lo avessi
messo con il prossimo capitolo, probabilmente non sarei riuscita a
rendere i loro pensieri come volevo, per paura che fossero troppo
lunghi e quindi uniti al resto risultassero pesanti. Un po' come
è stato per “Increspature dietro occhi
piatti”, il capitolo su Evelyn e l'incontro con Dhemetrya.
Sperando sia stato di gradimento, ringrazio per la lettura e le
recensioni, i preferiti, seguiti e ricordate, ed inoltre per la vostra
pazienza e il supporto.
Grazie mille, alla prossima.
Dhi. <3
Curiosità:
Tre anni fa pubblicai per la prima volta su efp, con la prima versione
di Narnia's Spirit (allora chiamata The Just and The Sly), e iniziai la
mia “carriera” di scrittrice. Il tempo vola. *^* E
ringrazio se questa storia è ancora seguita anche da
qualcuno che iniziò a leggerla nell'agosto del 2010.
Altre
storie in corso:
Le
Cronache di Narnia:
Essence
/ Elements
and Seasons. (Completa!)
Zero
no Tsukaima: Mizu
no Chikai.
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Dhialya
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di Vista. (Completa!)
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Capitolo 18 *** Scie di decisioni. ***
Narnia's
Spirits
Scie
di decisioni.
La
lotta tra Narniani
e Telmarini continuava, imperterrita, all'interno delle mura del
castello.
Grida disperate e di guerra si innalzavano nel cielo nero
riempiendo l'aria ed animandola, il sangue macchiava la terra formando
chiazze scure e dall'odore ferroso, e le armature e le spade cozzavano
tra loro producendo un rumore continuo.
Peter fissava attonito il corpo
riverso a terra del Narniano che le guardie di Miraz avevano colpito e
che quest'ultimo aveva fatto cadere dal parapetto del balcone al quale
era affacciato con una spinta.
Era completamente fermo in mezzo alla
battaglia e con occhi strabuzzati osservava quello che era stato un suo
soldato fino a pochi minuti prima. Alzò poi lo sguardo verso
la lotta che si stava svolgendo intorno a lui, cercando di ragionare.
Si liberò abbastanza velocemente di una guardia che aveva
tentato di colpirlo, e mentre mille pensieri vorticavano nella sua
testa s'impose la calma per studiare la situazione.
Mancava
così poco...
Vide Susan combattere accanto a Lia, i dardi
che tagliavano l'aria e la figura della giovane che si muoveva tra le
guardie colpendone il più possibile.
Erano stati
così vicini...
Glenstorm si occupava di due
soldati e li teneva a bada con la sua spada a due mani, mentre un fauno
si caricava sulle spalle Trumpkin, incosciente per la caduta. Si
rifiutava di pensare che il nano a cui avevano salvato la vita potesse
essere morto. Lucy, soprattutto, non glielo avrebbe mai perdonato. E,
in una parte inconscia di sé, nemmeno lui se lo sarebbe mai
perdonato.
“Non dovete andare.”
Si portò una mano
alla fronte, confuso, e strizzò gli occhi. Perché
proprio in quel momento gli veniva in mente Dhemetrya?
Scosse la testa
per togliersi i ricordi da davanti agli occhi.
Dannazione.
Facendo
vagare lo sguardo non incontrò Caspian, ma nonostante il
principe non gli andasse a genio sperò comunque che stesse
bene, perché quel signorino non poteva permettersi di
morire, in alcun modo e per nessuna ragione. Altrimenti tutto
ciò che stavano facendo non avrebbe avuto più un
senso completo.
I pensieri del Re, poi, corsero come un cavallo senza
controllo ad Edmund ed Evelyn, che aveva perso di vista dopo che il
minore dei fratelli lo aveva salvato da una freccia Telmarina.
Sperò con tutto il cuore, mentre una morsa di apprensione
gli stringeva lo stomaco, che stessero bene.
Un rumore sordo, di ferro
che sbatte contro qualcosa di duro, lo riscosse attirando la sua
attenzione su ciò che stava accadendo.
Gli occhi di Peter
vagarono inquieti per il cortile fino a che non incontrarono il peso
che teneva sollevata la grata a terra, mentre questa si abbassava
inesorabilmente.
Avrebbe chiuso ogni loro via di fuga.
Stavano per fare
la fine dei topi in trappola. Sarebbero stati spacciati, tutti loro;
lui, i suoi fratelli, i soldati... e
non poteva permetterlo.
Doveva agire
da Re e fare ciò che gli sembrava più convenevole
in quel momento per quello che rimaneva il suo popolo, relegando il
pensiero di Miraz, che aveva avuto quasi in pugno pochi istanti prima,
lontano dalla sua testa.
-Ritirata! Subito!- Urlò infine,
più forte che poteva, convincendosi che non c'era
più niente da fare per il momento ed il tempo scarseggiava.
Iniziò ad avanzare verso il centro del cortile per essere
più visibile dai suoi uomini, guardando gli arcieri sopra di
lui che ancora impugnavano le balestre ed attendevano un ordine.
Toccò le spalle di alcuni fauni e minotauri intimandogli di
uscire e indicando l'entrata, cercando di fare più veloce
che poteva, per poter salvare più vita che riusciva.
Lo
sguardo di Peter si focalizzò su Susan, vicino al pozzo del
palazzo, e poi su Glenstorm che, mentre impugnava la sua spada e
abbatteva i soldati che gli si paravano di fronte deciso a salvare la
vita a se stesso ed i compagni che lo seguivano, correva verso l'uscita
seguito da alcuni Narniani.
-Portatela via!- Urlò, indicando
la sorella con la spada.
-Subito! Fuori!-
Il centauro le porse la mano
libera e una volta che la Pevensie gli fu in groppa si diresse verso
l'uscita.
-Caspian!- Susan si voltò verso il fratello,
gridando a squarciagola per farsi sentire al di sopra del rumore delle
armi che si scontravano.
-Lo trovo io!- la rassicurò,
temendo forse che per cercare il Principe la sorella si rifiutasse di
andare al sicuro fuori dalle mura del castello. Non se lo sarebbe
perdonato, non si sarebbe permesso altri errori.
-Ritirata! Fuori!-
Molti non potevano scappare nemmeno volendo, impegnati a trattenere le
guardie di Telmar in un combattimento o troppo feriti per muoversi.
Peter, rimasto nel cortile, continuava a sbracciarsi tra i vari
Narniani per far si che almeno la maggior parte e coloro che potevano
riuscissero a scappare da quel luogo che presto sarebbe diventata una
tomba.
-Andate, uscite presto!-
La loro.
***
Edmund
era confinato sulla torretta, il volto sudato e con i capelli
appiccicati in fronte ed il petto ansante per la corsa nel tentativo di
seminare i suoi inseguitori.
Ci era arrivato correndo tra scalini di
pietra e corridoi stretti, e aveva avuto tanto l'impressione di
perdersi in una miriade di percorsi che lo allontanavano dal luogo
principale in cui sarebbe dovuto essere.
Si affacciò di
nuovo per vedere di sotto ed ebbe conferma, per l'ennesima volta, che
se si fosse buttato non avrebbe avuto un atterraggio che avrebbe
definito morbido. Nel migliore dei casi sarebbe solamente morto
spappolato al suolo – quale suolo, che sotto era tutto buio?,
il ché non sarebbe stata una bella fine. Proprio per niente.
Rabbrividì al pensiero mentre il sangue gli si gelava nelle
vene, e scrollò le spalle, cercando di scacciare i brutti
pensieri.
Aveva ben chiara la sua situazione disastrosa, e non era il
momento di pensare ironicamente sulla fine che avrebbe potuto fare.
Chissà poi dov'era Evelyn, non avrebbe dovuto ne voluto
lasciarla sola in mezzo a soldati di Telmar, ma il pensiero che Peter
potesse essere ferito aveva prevalso e senza pensarci era corso in
soccorso del fratello.
Sperò che la sorella minore fosse
riuscita a raggiungere gli altri nel cortile principale senza problemi,
giacche in quel momento i sensi di colpa lo divoravano se solo le fosse
successo qualcosa – senza contare che sulla torretta si era
praticamente proclamato la sua balia ufficiale.
Prima che potesse
dilagare in altri pensieri o studiare un modo per fuggire da li un
rumore secco alla porta lo riportò alla realtà.
Si girò di scatto, sgranando gli occhi e trattenendo il
respiro mentre il cuore gli martellava quasi in gola, agitato. Questo
lo fece tornare alla sua situazione: si trovava in una torretta
chissà dove, nessuno sapeva che era lì e la porta
non avrebbe retto ancora per molto.
Inoltre, la sua mente era occupata
da tutt'altri pensieri che lo rendevano decisamente poco lucido, e la
stanchezza iniziava a farsi sentire pressante insieme al panico. Non
sapeva se sarebbe riuscito ad affrontare entrambe le guardie senza
subire danni.
Un'altra
spinta e la torcia venne scaraventata in un angolo della torre,
cozzando contro il muretto e spegnendosi.
Edmund
indietreggiò più che poté guardando
dietro di sé, finendo sul bordo, mentre osservava i due
soldati di
Telmar avanzare, spade sguainate e sorriso di vittoria sul volto.
Rivolse un sorriso sghembo alle guardie che si guardarono, non capendo,
poi si buttò nel vuoto nero dietro di lui.
***
-Come hai fatto a
sapere che ero lì?- Domandò Edmund, dopo essersi
ripreso e rendendosi conto che non aveva mancato la schiena del
grifone.
Era salvo.
-Ho studiato i vostri movimenti dall'alto, Sire,
non me ne sono mai andato. Questo su ordine di Re Peter-.
Ed sorrise
leggermente, aggrappandosi maggiormente alle piume della creatura e
scuotendo la testa per togliersi i capelli dagli occhi e lasciando che
l'aria i tirasse indietro del tutto. Certo, Peter... avrebbe dovuto
immaginarlo.
-Ora cosa facciamo, Maestà?- Domandò
Bayord, dopo aver girato dietro la torretta ed uscendo dalla vista dei
due soldati, librandosi in cielo silenziosamente.
-Andiamo al cortile
principale-.
***
La
sagoma di Evelyn
era accovacciata sul freddo pavimento di marmo, immobile e lo sguardo
era rivolto verso il basso. Il sangue che usciva dalla spalla ferita
continuava a gocciolare, sporcando così il pavimento sul
quale era seduta.
Faceva freddo.
O almeno, per lei era così;
da qualche minuto aveva iniziato a darle fastidio la brezza notturna
che entrava dalle finestre aperte. Avrebbe tanto voluto un fuoco acceso
e scoppiettante davanti agli occhi e una coperta intorno alle spalle
– e, possibilmente, che entrambe fossero prive di ferite.
Inspirò profondamente mentre con un pezzo di fazzoletto
cercava inutilmente di fermare il sangue, che invece non voleva proprio
saperne di smettere di macchiare il suo abito, colando in rivoli lungo
la stoffa e all'interno della stessa, rigando la pelle.
Senza contare
che, da sola, non riusciva a tamponare bene dietro.
Sperava di non
morire dissanguata, ma se avesse continuato così c'era il
rischio – e Lucy sarebbe stata troppo lontana da raggiungere,
e non c'era la certezza che si sarebbe ricongiunta con gli altri.
Si
sentiva debole e stravolta, con un potente groppo in gola a bloccarle
ogni parola. Non sapeva come mai non avesse ancora pianto, ma era
sicura che prima o poi avrebbe superato il limite sopportabile e
sarebbe scoppiata.
Per il momento sembrava al sicuro perché
i tre gruppi di soldati che si stavano per congiungere nel punto in cui
si trovava lei erano stati richiamati all'ordine da due generali
perché si richiedeva la loro presenza per uccidere gli
invasori che ancora combattevano nel cortile principale.
Se non aveva
sbagliato a sentire i pezzi di discorsi, i Narniani stavano perdendo e
battendo in ritirata.
E gli altri? Come stavano gli altri? Peter,
Edmund, Susan, Caspian, Lia…
Fermò i suoi
pensieri: la lista di nomi delle persone a cui teneva era troppo lunga
perché potesse essere elencata in un momento simile.
Fortunatamente almeno Lucy era al sicuro alla casa di Aslan,
così come la bizzarra Dhemetrya. Forse iniziava a capire
cosa la ragazza avesse voluto dire loro.
Si maledì,
sentendosi in colpa.
Perché non ho
provato a convincere
maggiormente Peter? Tutto questo non sarebbe successo.
Cercò
di alzarsi aiutandosi con il bracci sano, ma si bloccò di
colpo sentendo di nuovo dei passi che tornavano alla carica verso la
sua direzione. Non avrebbe saputo dire se erano gli stessi uomini di
prima, però l'istinto le gridava solo di scappare il prima
possibile da li.
Era troppo vulnerabile.
Bene Eve: inspira,
espira,
inspira, espira… Pensa, pensa, pensa, dannazione! Sei o non
sei la Scaltra?
Mentre imprecava tra sé contro la sua stessa persona
appoggiò la testa indietro in modo un po' troppo forte, e
ciò provocò un rumore sordo che, però,
non sembrava aver raggiunto le orecchie dei Telmarini impegnati
nell'assegnarsi i compiti – tra cui anche il trovare
l'intrusa.
La Pevensie si portò la mano sana dietro la nuca
e si morse la lingua per non urlare sul momento. Strizzò gli
occhi e quando si fu calmata sussurrò un mugolio di dolore.
Si
girò minacciosa, maledendo la situazione in generale, la sua
mente in panico e le lacrime che premevano per uscire, e soprattutto si
chiese perché il legno che costituiva la grande porta a cui
era appoggiata dovesse essere duro come il marmo.
Dannazione, aveva
fatto male sbatterci contro!
…Porta di legno?
Evelyn
sgranò gli occhi e saltò in piedi, ingoiando
lacrime di dolore per la fitta che si diramò tra il braccio
e la schiena. Iniziava a fare davvero, davvero troppo male.
Mentre allungava
il braccio in direzione della porta, chiedendosi come potesse non
averla collegata come possibile via di fuga, si diede della stupida.
Con la mano stava per afferrare la maniglia ed aprire, il movimento che
avrebbe potuto salvarla però si fermo a mezz'aria mentre dei
dubbi le si insinuarono come serpenti nella sua mente: era sicuro
entrare in una stanza che neanche conosceva? E se dentro c'era qualcuno
ad attenderla per ucciderla? Magari quella era la stanza dello stesso
Miraz che al seguito aveva un altro gruppo di soldati.
La Pevensie
corrugò la fronte, indecisa sul da farsi, poi si sporse
leggermente e appoggiò un orecchio sul legno freddo della
porta per cercare di provare a sentire qualcosa proveniente
dall'interno.
Sembra non ci sia nessuno.
Allontanò il volto,
continuando a studiare il legno.
Però potrebbe
essere una
trappola.
Picchiettò nervosamente un piede, vagliando le
possibili soluzioni, prendendo per se del tempo che in
realtà non aveva. Avrebbe dovuto decidere più in
fretta.
Si girò di scatto alla sua destra, attirata dalle
voci di uomini distinguibili nonostante i rumori della battaglia e il
vario caos che regnava all'interno e soprattutto fuori dalle mura del
castello.
-Io dico che è andata a destra- fece una voce
maschile in tono sicuro.
Evelyn tese le orecchie e si
bloccò, improvvisamente attenta. Di chi parlavano?
-Io invece sono sicuro di averla vista andare a sinistra-
Sbottò una seconda in tono scocciato.
La Pevensie
corrugò la fronte, sentendo le loro armature tintinnare.
Forse di lei?
-No, guardate che vi sbagliate entrambi: la ragazza ha
preso la via dritta- Rispose invece un terzo in tono solenne.
Eve
abbassò la testa scuotendola lentamente, per poi grattarsi
la nuca, leggermente in imbarazzo. Si, parlavano di lei.
Nel frattempo
però si chiese anche se quei Telmarini fossero
così stupidi da non capire che per trovarla bastava che si
dividessero e ognuno prendesse una direzione. Però era
meglio così, decisamente meglio così.
La sua
attenzione venne rivolta nuovamente alla porta davanti a lei. Cosa
fare? Osare o non osare?
-Ognuno vada in una direzione-.
La voce di un
Telmarino e il rumore di passi che prontamente si avvicinavano, diede
l'impulso alla Pevensie di aprire la porta ed entrare nella stanza, il
cuore che le martellava nelle orecchie come un tamburo e una preghiera
silenziosa espressa in nome di Aslan nel petto.
***
Sto
arrivando.
Chiese
alla giumenta di aumentare l'andatura, mentre cercava di tenere a bada
un groppo in gola che le stava salendo e che non poteva permettersi.
Doveva rimanere lucida, doveva arrivare e capire cosa avrebbe potuto
fare.
Aveva capito ormai da tempo che le cose non stavano andando bene,
al castello, altrimenti qualche grifone sarebbe già tornato
indietro ad annunciare a gran voce la vittoria di Narnia e la
deposizione di Miraz.
E allora sarebbero state lacrime di gioia e grida
di libertà ad innalzarsi tra i Narniani alla casa di Aslan.
E non il silenzio teso che regnava da prima che se ne andasse di
nascosto.
Tenete duro, sto arrivando.
***
Si
ritrovò
in una stanza avvolta nel buio, dove la luce non filtrava nonostante le
tende nella stanza non fossero tirate, questo perché la
notte era senza luna.
Aguzzò la vista mentre si chiedeva
dove si trovasse: nella penombra distinse un letto a baldacchino, uno
strano letto a baldacchino, tutto disfatto e con le piume dei cuscini
sparse sopra e intorno alla struttura. Nel materasso, inoltre, erano
infilzate parecchie frecce.
Qualcuno in quella stanza aveva avuto un
attentato alla propria vita.
La Pevensie strabuzzò gli
occhi, sorpresa.
Possibile che fosse la camera di Caspian?
Cercò di ragionare su cosa potesse fare come prossima mossa,
avvicinandosi di qualche passo al letto e studiando la camera. Strano
che nessuno si fosse premurato di sistemarla per nascondere la
verità.
Si spaventò quando sentì un
fruscio dietro di lei, e il fiato le si mozzò in gola,
mentre deglutiva rumorosamente. Un secondo fruscio ed Evelyn si fece
coraggio estraendo Asterius con il braccio sano e girandosi di scatto
verso la direzione del rumore.
Lo sapevo che questa era
una pessima
idea!
Pensò lagnante, impugnando l'elsa della spada
più fermamente che poteva. Cercava di scorgere qualcosa
attraverso il buio che regnava sovrano, ed i suoi occhi distinsero un
trespolo. Evelyn fece per avvicinarsi, quando sentì di nuovo
un fruscio seguito da dei
...campanellini?
Quando fu abbastanza vicina
al trespolo si fece coraggio e parlò per prima, la spada
sempre puntata davanti a sé.
-Avanti esci fuori, chiunque tu
sia- sussurrò, cercando di mantenere un tono calmo e sicuro.
In risposta le arrivò alle orecchie il tintinnio leggero di
pochi attimi prima.
Cos'è, uno scherzo?
Si
accigliò, avvicinandosi maggiormente e strizzando gli occhi.
Stavolta nella penombra riuscì a distinguere una sagoma
appollaiata e vide due occhi oro che la osservavano nel buio,
brillando.
-Oh ma sei solo un pennuto!- Si lasciò scappare,
mentre sospirava di sollievo rinfoderando Asterius. -Mi hai fatto
spaventare, sai?- Il falchetto pigolò in risposta, mentre
osservava la Pevensie che allungava un braccio per accarezzarlo. Quando
fece per beccare quella si ritrasse, affilando lo sguardo.
Uffa.
-Ti
porterei volentieri con me, però sono sicura che qui starai
meglio-
E che non verresti se
non facendo un baccano allucinante.
Cosa
di cui in quel momento non aveva assolutamente bisogno. Senza contare
che non era abituato alla vita lontano dalla corte, ed inoltre c'era
sicuramente qualcuno che si occupava di lui. Dopotutto Caspian era via
da parecchi giorni.
Il suo sguardo venne catturato da un armadio e
istintivamente, forse in ricordo dell'armadio a casa del professor
Kirkle che li aveva condotti a Narnia, Eve ci si fiondò
dentro chiudendosi alle spalle la piccola anta che cigolò
leggermente.
Sentì distintamente i rumori dei passi e
l'armatura del Telmarino che frusciava tra sé producendo un
rumore metallico che si avvicinava e chiedeva distintamente agli altri
due gruppi di vedetta se avessero visto l'intrusa.
Senza pensarci la
ragazza si fece spazio in mezzo a tutti quei vestiti arretrando e
toccando con la schiena il fondo dell'armadio, inciampò
però in qualcosa e cadde all'indietro con il solo risultato
che la freccia penetrò maggiormente nella sua spalla e
guadagnandosi un bernoccolo.
Ebbe un senso di vertigini e nausea,
mentre aprendo lentamente gli occhi vedeva tutto vorticare. Quando
tutto fu passato si mise seduta, e il dolore arrivò forte e
deciso come se fosse stata ustionata sul momento.
Faceva male,
dannazione, tremendamente male!
Le veniva da piangere. Si sentiva quasi
vuota, senza voglia più di scappare. Solo di riposare un
po', chiudere gli occhi e cercare di estraniarsi da quel momento.
Una
voce interiore, però, la faceva andare avanti seppur ad
inerzia. Si rifiutava di lasciarsi andare li, in quattro mura desolate
e sporche: se avesse dovuto morire, lo avrebbe fatto vedendo l'oceano e
il tramonto dalle rovine di Cair Paravel.
Si guardò intorno,
tirandosi in piedi e studiando il posto in cui si era ritrovata,
totalmente priva di pensieri logici.
Era un cunicolo neanche tanto
grande e assomigliava molto a quello dei castori con la differenza che
era a grandezza uomo e di pietra, con qualche torna fuoco per
illuminarlo lungo il percorso. La via, però, si trovava
immersa nella penombra, poiché le torce non erano
più state alimentate o la sua esistenza era andata
dimenticata.
Eve si domandò se fosse tramite quel passaggio
che Cornelius era riuscito a far scappare Caspian.
Sentì provenire da fuori la voce di un soldato di Telmar che
indicava agli altri che era sicuro che lei si trovasse in quella
stanza, perché sul pavimento vicino alla porta si trovava
del sangue e le tracce non andavano in altre direzioni.
Sbirciò dall'anta, invece di seguire l'istinto e scappare
subito, e vide la grande porta di legno aprirsi con un grande tonfo
mentre all'interno si facevano spazio tre Telmarini. O forse quattro,
ma il buio era troppo per distinguere bene le figure.
La cosa che agli
occhi di Eve arrivò distinta, però, fu il
luccichio delle spade impugnate dai soldati.
Arretrò
facendo il meno rumore possibile e si ritrovò all'inizio del
cunicolo: raccolse tutta la calma che le rimaneva prima di scoppiare in
un esaurimento nervoso, imponendosi di ragionare con freddezza ed
analizzare la situazione.
Era in un castello che non conosceva, ferita
e stanca – era completamente diverso dallo stare sveglia
tutta la notte quando era a casa da scuola.
Non sapeva come stavano gli
altri, ne dove fossero, ne dove fosse lei e come potesse uscire da li o
avvertir loro della sua posizione. Senza contare che, per quanto
potesse saperlo, quel passaggio poteva portarla completamente fuori
strada rispetto a dove voleva andare.
All'interno della stanza i
soldati di Telmar rovistavano tra le ceste, sbattevano le ante degli
armadi o buttavano in giro mobiletti per trovarla.
Si convinse a
muovere il primo passo in modo del tutto inconscio, seguito a ruota da
altri che si facevano più veloci per quanto poteva, quando
ormai si rese conto che quella era la sua unica via d'uscita.
Dunque,
salve lettori :)
Allora: Capitolo abbastanza concentrato su Eve e,
come per l'altro che annunciava la prima parte di battaglia, certi
pezzi li ho resi un po' più veloci, essendo conosciuti,
quindi maggiormente l'attenzione è catalizzata su quelli che
non ci sono nel film (ma che ho cercato di amalgamare, specialmente nel
prossimo spero si noti la cosa).
Per quanto riguarda gli eventi, sono
pressoché uguali alla versione precedente –
essendo comunque la versione della trama sempre quella iniziale
– circa. ^^' Dhem esclusa.
Unica cosa, sono stata
“costretta” a dividere nuovamente per un pezzo
nuovo che sarà presente nel prossimo capitolo, altrimenti ne
venivano fuori due, ma troppo lunghi davvero e un po' confusi.
Grazie per la
lettura ed il supporto, ringrazio per seguiti, preferiti e ricordate.
Una stretta forte,
Dhi.
***
Per chi seguisse
altre mie storie:
Essence è arrivata al capitolo
diciottesimo, riguardante il Lampione.
Elements and Seasons
è giunta, dopo più di due anni, a conclusione,
con il capitolo riguardante Edmund.
Dhialya (Originali/Generale)
è giunta anch'essa a conclusione con il capitolo settimo
riguardante il tema dell'Amicizia.
Nella sezione Originali/Nonsense ho
pubblicato due flash, Urlo
Ingabbiato e C'era
una volta la vita.
Grazie
ancora.
|
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Capitolo 19 *** Mortale silenzio di tomba. ***
Narnia's
Spirits
Mortale
silenzio di tomba.
Scuderie?
Distorse il
naso, Eve, quando il tanfo penetrante del letame che sarebbe stato
raccolto la mattina dopo dagli scudieri le arrivò alle
narici, stordendola. Non ci era più abituata,
benché a Cair Paravel avessero anche loro delle stalle.
Ecco
come ha fatto Caspian a scappare.
Le fu tutto più chiaro,
quando collegò che il passaggio preso dalla camera del
Principe conduceva alle scuderie. Ingegnoso. Evidentemente era stato
fatto apposta per casi di emergenza in cui si sarebbe dovuti scappare,
come assedi al castello, episodi in cui i regnanti dovevano riguardare
la loro vita.
Chi immaginava che si
sarebbe dovuto proteggere dai suoi
stessi parenti, il Principe?
Sentì un tocco leggero sulla
spalla e si girò di scatto, Eve, facendo un salto indietro e
sgranando gli occhi per lo spavento. Non riuscì nemmeno ad
urlare, perché il cuore le era balzato in gola e lo
percepì come un nodo che le impedì di emettere
suono.
Caspian?
-Cosa ci fai tu qui?-
Il ragazzo davanti a lei
corrugò la fronte e alzò un sopracciglio, lo
stesso pensiero che gli percorreva la testa.
-Potrei farti la stessa
domanda- Affermò, ovvio, osservando i capelli della ragazza
scomposti e il volto sudato. Ed era pallida, troppo pallida, con
gli
occhi arrossati e lucidi.
-Ma non c'è tempo, tuo fratello ha
dato l'ordine di ritirarsi- Spiegò in fretta, sapendo che la
situazione per i Narniani era grave ma non sapeva esattamente quanto,
da quando aveva lasciato il cortile.
Cercò di voltarsi, e
allora i suoi occhi caddero sulla spalla, sull'abito impregnato di
sangue e il tessuto che iniziava a sfaldarsi, attaccandosi alla pelle
– le girò intorno, per osservare meglio.
-Ma sei
ferita!- Indicò, spiegandosi anche come mai Eve fosse in
quelle condizioni troppo, troppo
disastrate per il ruolo sulle torretta
che avrebbe dovuto avere.
-Potrei essere morta- Esalò lei
semplicemente, buttando uno sguardo dietro e non immaginando come fosse
in realtà la sua ferita.
-Sire, dobbiamo andare. Non
c'è tempo- intervenne una terza voce, coperta dal rumore di
zoccoli agitati. Evelyn si girò, così come
Caspian, verso colui che aveva interrotto la loro discussione.
Si
ritrovò davanti un uomo non molto alto, in carne:
aveva il viso segnato dalle rughe del tempo, i capelli e la barba erano
entrambi lunghi, riccioli e bianchi segnando, così come le
rughe, l'età avanzata dell'uomo. Inoltre indossava sul naso
dei piccoli occhiali a forma circolare che gli davano un aria colta e
in mano teneva le redini di tre cavalli che scalpitavano per il rumore
proveniente dall'esterno, di cui uno era Destriero.
-Lo so che
è sconveniente come momento, però permettetemi di
presentarvi- fece Caspian, veloce, avvicinando i due che non poterono
tirarsi indietro.
Proprio adesso, Caspian?
-Evelyn, lui è il
mio precettore Cornelius- Lei sorrise, leggermente in imbarazzo,
alzando una mano e mimando un saluto per quanto le fosse permesso.
-Cornelius lei è Evelyn, una delle Regine di un tempo di cui
tanto mi avete parlato-.
L'uomo strabuzzò gli occhi, non
aspettandosi quell'uscita e rimanendo spiazzato. Tossì,
schiarendosi la voce per riassumere contegno, lisciandosi la barba,
nervoso.
-E' un onore conoscere un Sovrano dell'età d'Oro di
Narnia, sono onorato di fare la vostra conoscenza, Maestà-
Fece per inchinarsi, ma Eve prontamente lo fermò, scoccando
un'occhiataccia a Caspian per quella presentazione di cui non c'era
bisogno.
-Non c'è bisogno di tutte queste
formalità, per questo le chiedo di darmi del tu-
Affermò, sicura. Cavoli, tornare a parlare in quel modo
serio e posato era strano, non ci era più abituata.
-Lascia
che ti selli un cavallo, sei ferita e…- iniziò
Caspian, dirigendosi verso un stalla, mentre Cornelius montava con
fatica.
-Non preoccuparti, iniziate ad andare- propose Eve, fermandolo.
-Vi raggiungerò subito- promise, tentando di sorridere.
Caspian guardò dubbioso la Pevensie, poi si decise ad andare
quando lei gli fece un cenno con la testa verso l'uscita mimando un
Vai.
Non appena i due ebbero varcato la soglia delle scuderie Eve si
guardò in giro, soppesando il luogo e pensando se sarebbe
riuscita a fare tutto da sola.
Forse aveva sbagliato a non farsi
aiutare.
-Evelyn?-
Eh?
Si guardò intorno, stupita,
chiedendosi di chi fosse la voce che sentiva e che le suonava
sconosciuta. Magari aveva iniziato ad avere le allucinazioni, dato che
nella scuderia non c'erano più persone.
-Siete la Regina
Evelyn la Scaltra?-
Individuò la fonte che le stava
parlando: un cavallo dal manto scuro come il carbone che era rivolto
verso di lei, aveva delle balzane bianche e la criniera e la coda erano
tendenti al grigio. Inoltre se lo si confrontava con gli altri equini
era più alto di una decina di centimetri.
Parlava?
Ci capiva
davvero poco in quel momento di tutta la faccenda e ciò che
stava succedendo. I fatti andavano e venivano e lei quasi nemmeno se ne
accorgeva, restandoci invischiata in mezzo.
-Sì.
Perché?- Eve affilò lo sguardo e si
avvicinò lentamente, permettendosi di essere sospettosa.
-Permettetemi di presentarmi: mi chiamo Antares. Sarei onorato di
portarla in salvo fuori da qui, mia Regina-.
Perché tutti le
si rivolgevano con tono formale in un momento simile? Sarebbero dovuti
uscire da li e allontanarsi al più presto da quel luogo che
stava diventano un inferno.
-Sei un cavallo di Narnia?- Aprì
il cancellino del box e fece uscire il cavallo, mettendogli poi almeno
le briglie che aveva trovato lì vicino, intuendo che fossero
sue. Non sarebbe riuscita a reggersi solo alla criniera, anche se le
dispiacque per l'animale che avrebbe potuto protestare per quella
libertà negata.
Con la fortuna che si capivano non fece
fatica come solitamente capitava, e di questo gli fu grata,
poiché le costò meno sforzo per la spalla ferita
ed avrebbe evitato di cadere durante la fuga imminente.
-Sono stato
catturato anni fa, mi ero allontanato troppo dalla foresta. Ovviamente
non ho parlato e ho atteso il giorno in cui avrei riacquistato la
libertà. Però non è stato facile, non
mi hanno cavalcato spesso. Dicevano che la mia mole poteva essere un
problema e l'ultima cosa di cui avevano bisogno era qualche soldato
morto per essere stato disarcionato-.
Antares si chinò
leggermente per far salire la Pevensie più agevolmente,
mentre spiegava brevemente i fatti più rilevanti capitati
nella sua vita negli ultimi tempi.
-Mi hanno comunque tenuto nelle
scuderie, senza un motivo preciso, probabilmente-.
Eve si
aiutò salendo su un barile, aggrappandosi poi alle briglie e
cercando di riacquistare in fretta famigliarità in
ciò che stava facendo.
-Eve!-
-Lia?- Chiese d'impulso, ma la
sua voce venne coperta da una più profonda.
-Antares!- Fece
di rimando la lupa, drizzando le orecchie verso i due, il tono di voce
in qualche maniera sollevato. Era come se in Lia si fosse sciolto un
nodo, si sentiva più tranquilla nel vedere il Narniano che
stava bene davanti a sé realmente.
-Sono passati anni da quando sei
scomparso!-
-Vi conoscete?- S'intromise Eve, asciugandosi un po' il
sudore dalla fronte. I due animali si limitarono ad annuire, poi
tagliarono corto rendendosi conto che le cose si stavano tirando troppo
per le lunghe.
-Non c'è tempo, dobbiamo andare- Antares
sfregò uno zoccolo contro il cemento del pavimento,
impaziente.
Voleva uscire di li, definitivamente.
Lia li precedette, ed
Evelyn incitò il Narniano a partire e seguire la figura
della lupa.
-Andiamo-
***
Eccoci.
Entrò nella cittadella buia, puntando in direzione del
castello senza nemmeno osservare intorno se qualcuno fosse in giro o la
stesse seguendo.
Dhemetrya poteva sentire quasi distintamente
ciò che le portava il vento, l'odore del sangue che veniva
sparso nell'aria, il rumore dell'acciaio che si incrociava in una danza
mortale, le grida stanche e di dolore dei due eserciti che si
scontravano. E la voce di Peter, che ordinava la ritirata, la
colpì come un pugnale quando arrivò ad
attraversare il ponte levatoio.
Superò il gruppo dei
Narniani che si erano già messi in salvo uscendo da quella
prigione reale come un lampo bianco, le creature che guardarono la sua
figura senza riconoscerla del tutto e mettendosi da parte per farla
passare per evitare di essere travolti.
Era... era un disastro.
Quando
la giumenta si fermò in mezzo al piazzale Dhem si permise di
analizzare la situazione.
Era un totale disastro.
Avvertì
una stretta al cuore, nell'osservare ciò che si trovava
davanti: la morte danzava nell'aria sinuosa come un predatore e
colpiva, la vita scorreva via, fuggendo dai corpi esangui e provati di
coloro che si ostinavano a combattere.
Si ritrovò a cadere
rovinosamente a terra e sbattere la schiena, un dolore lancinante che
le si irradiava per tutto il corpo per quella caduta improvvisa e
contro cui non si era riparata, quando l'animale che cavalcava si
impennò, nitrendo.
Cosa...?
Nitrendo di dolore, Dhemetrya
poté sentirlo distintamente in mezzo alla confusione che
aveva in testa. Strizzò gli occhi, accovacciandosi e
guardandosi intorno se per caso non fosse stata presa di mira da un
soldato. Poi, il suo sguardo si focalizzò sulla figura
biancastra distesa a terra, un bastoncino di legno che spuntava dal
ventre ed un altro dal collo.
No.
Gattonò velocemente,
graffiò le unghie contro il terreno insanguinato e
impiastricciato di sangue quasi asciutto, sporcò gli abiti
di terriccio.
Non poteva essere. Si sporcò le mani di rosso
vivo, immerse le dita nel pelo macchiando il bianco.
No, non farmi
questo, ti prego.
Sangue e lacrime si mischiarono, quando il corpo
della giumenta smise di annaspare nel dolore e nel tentativo di
rialzarsi da terra.
Provò rabbia, Dhemetrya, per non essersi
accorta ed aver impedito che ciò accadesse, per non aver
impedito che tra le fila Narniane ci fosse un'ennesima perdita. Una
perdita completamente innocente rispetto a tutto ciò che
stava accadendo.
Provò dolore, nel sentire la vita scorrere
via, nell'ascoltare il cuore che smise di battere, il respiro fermarsi.
Provò un dolore come da tempo non sentiva, per non essere
stata in grado di aiutarla.
Il cuore sembrò affondare come
colpito da un mattone, percepiva tutto incredibilmente pesante.
Soraya...
Era stato un errore, recarsi li.
***
Appena
fu fuori dalle
scuderie il rumore della battaglia le trapanò la testa da
parte a parte, come se fosse stata colpita. Era come se in quell'arco
di tempo fosse stata in una bolla di vetro. Non si era resa conto di
quanto penetranti fossero i rumori attorno.
Caspian guardava Miraz
scoccandogli sguardi d'odio che sembravano volerlo trapassare da parte
a parte, frecciate a cui l'uomo rispondeva senza timore, fiamme negli
occhi vivi di entrambi ad animare i loro animi e le loro emozioni.
Era
come se fosse un gioco tutto loro che di divertente non aveva nulla.
Osservò il campo di battaglia, Peter che sbraitava
continuamente di ritirarsi. Era stravolto e stanco, suo fratello, la
voce spesso gli si mozzava in gola per il fiato corto e lo sforzo a cui
era sottoposto.
Dhemetrya...?
Mentre tutto intorno la battaglia
infuriava, la figura di Dhem era immobile accanto alla giumenta,
atterrita, il bianco ormai sporco dal sangue che era fuoriuscito dalle
ferite.
Eve la individuò quasi per caso, perché
sarebbe benissimo potuta passare per un fantasma che con la guerra non
c'entrava niente. Si voltò di nuovo verso Peter e poi
alzò lo sguardo: dall'alto gli arcieri attendevano l'ordine
per poter scoccare le frecce.
Non c'era davvero
più tempo.
***
Dhemetrya! Il
ringhio
di Lia le arrivò come una stilettata in testa. La ragazza
sobbalzò, totalmente confusa, alzando lo sguardo carico di
lacrime sulla battaglia.
Vieni via! La lupa aveva individuato cosa
stesse osservando Eve, ed era trasalita, nel vedere la figura
dell'Eterea trasandata e nel mezzo della battaglia, indifesa e
disattenta.
I-Io...
Cercò di riportare calma nella sua
testa, ma gli occhi osservarono il sangue che si ritrovava intorno.
Era
tutto insopportabile.
Gli occhi blu si macchiarono dello scarlatto che
si incise nuovamente davanti alla retina. Era insopportabile.
È colpa mia.
Si sentì tirare da una parte della
casacca violentemente.
-Non pensarci adesso!- Lia la guardava, cercando
di farla alzare e mordendo ansiosamente la stoffa. Si alzò
come un automa per raggiungere l'amica, tendendo le mani tremanti in
avanti, lasciandosi dietro il resto.
...Va bene.
***
Miraz
afferrò la balestra del generale e diede l'ordine di
colpire, mentre anche lui scoccava frecce verso il minotauro che
sorreggeva la grata in attesa che i restanti Narniani fuggissero in
salvo.
Voleva togliere loro ogni via di fuga. Voleva togliere la vita
ai ribelli, far sparire definitivamente Caspian per non avere
più rivali.
Lui, e lui soltanto, sarebbe stato Re e
conquistatore.
***
Peter diede un calcio ad un Telmarino e si
issò in groppa al cavallo che era stato preparato per lui.
Aumentarono l'andatura dei loro cavalli quando furono sicuri che il Re
Supremo gli avrebbe seguiti, mentre la pioggia di frecce
cadeva su di loro in sibili mortali.
Evelyn vide un fauno e una tigre
venire colpiti e cadere al suolo, Lia mettersi in salvo per prima con
Dhemetrya che la cavalcava. Essere fuori e superare la grata fu quasi
un sogno, ed accadde velocemente che nemmeno se ne resero conto.
Un tonfo sordo.
Un
suono pesante e sinistro non appena furono fuori costrinse Peter ed Eve
a fermare i cavalli. Si voltarono indietro, sapendo che invece
avrebbero dovuto continuare a scappare, ma quel richiamo fu
più forte.
Vari abitanti di Narnia si accalcavano sulla
grata mentre le frecce continuavano imperterrite, impossibili da
fermare, a piovere su di loro con sibili sinistri che innalzavano
lamenti di dolore.
Guardò Susan sconvolto, Peter, osservando
poi l'addio silenzioso tra Glenstorm e suo figlio, rimasto all'interno
del cortile, un cenno che racchiudeva tutte le parole che non potevano
dirsi e che non sarebbero state dovute dire – non in quelle
circostanze, non così.
Si sentì terribilmente
impotente.
Spostò lo sguardo lucido su Evelyn, che aveva
seguito la scena. Aveva anche lei gli occhi lucidi per tutta la
situazione generale, il dolore per la spalla che bruciava, la
stanchezza. Riusciva però a fissarlo negli occhi con una
punta di astio, mentre a stento reprimeva la voglia di dirgli in faccia
ciò che pensava fin dall'inizio.
Non era il momento adatto.
Gli dispiaceva per suo fratello, sapeva che non si era divertito a
mettere a repentaglio la vita di tutto ed aveva ideato quel piano
sperando di avere meno perdite possibili e spodestare in fretta Miraz.
Una serie di eventi però erano andati male.
E ora se ne
pagava il prezzo.
-Peter, Eve! Il ponte!- Gridò Caspian,
mentre indicava ai due Pevensie il legno che si alzava per bloccare
ogni via di fuga.
Si girarono come se avessero avuto un richiamo
nuovamente in direzione dei Narniani intrappolati nel cortile. Era
troppo lasciarli lì a morte certa, era uno strazio, un senso
di colpa, inadempienza ed impotenza che dilagavano travolgendo tutto.
Eve abbassò la testa e strizzò gli occhi, dopo
aver scoccato un altro sguardo al fratello. Li riaprì pochi
secondi dopo, ingoiando un groppo in gola.
-Via da qui-.
Antares
partì al galoppo raggiungendo gli altri dalla parte opposta,
saltando il dislivello che si stava creando. Peter li raggiunse dopo
aver voltato l'ennesima volta lo sguardo indietro.
Come se fosse un dovere, imprimendosi quelle immagini nella testa. Loro
sparirono alla
vista dei Narniani intrappolati nel cortile e i Narniani nel cortile
sparirono alla loro.
Nonostante ciò, chi era riuscito a
fuggire riuscì a sentire le loro grida che presto si
tramutarono in silenzio.
***
Sarà
finita?
Edmund non sentiva più alcun suono, mentre
cavalcando Bayord si dirigevano al cortile principale del castello.
L'aria che gli scompigliava i capelli in un'altra occasione lo avrebbe
calmato e magari fatto ridere di gioia. Questo in quelli che a Narnia
erano milletrecento anni fa.
Qual'era il risultato?
Ne ebbe risposta
non appena in groppa al grifone arrivò a sorvolare lo
spiazzo che aveva accolto la battaglia ed era funto da trappola
mortale.
Il ragazzo ammutolì più di quanto
pensava sarebbe potuta essere la sua reazione di fronte a
quella che sarebbe potuta essere la loro sconfitta e strinse le labbra,
con un'espressione indecifrabile sul volto.
Morti.
Tra Narniani e
soldati riusciva solo ad osservare quelli che un tempo erano corpi
pieni di vita e coraggio, ora distesi a terra in posizioni scomposte
come fantocci senza più fili che li tengono in piedi. I
Narniani, però, sembravano essere in maggioranza. Ed
erano vicino alla grata, abbassata per togliere
loro la fuga.
Dando egoisticamente un'occhiata veloce, però,
non distinse i suoi fratelli né qualche persona con cui
aveva fatto conoscenza in quei giorni, e questo gli diede la speranza
che fossero riusciti a mettersi in salvo nel bosco.
Lui e il grifone
superarono il castello e sorvolarono il ponte, dove Edmund distinse un
gruppetto dirigersi al luogo di ritrovo. Indicò al Narniano
la
direzione di dove volare, allontanandosi da Telmar e pregò
di non essere seguiti.
Ciò che seguì fu solo un
silenzio di tomba.
Ollalà,
ci
sono prima del previsto. Meglio così. :)
Allora, nel
prossimo capitolo termineranno questi incentrati sulla battaglia
– che hanno occupato più
“spazio” del previsto.
Dunque... mi spiace aver
dovuto far morire la giumenta di Dhemetrya, però mi serviva
come fatto. Far subire una perdita mi sembra abbastanza reale, anche se
non di “importanza” come potrebbe esserlo quella di
uno dei personaggi - chissà. Ognuno ha il suo con cui fare i
conti, ed essendo una battaglia è strano che vada tutto
liscio per tutti.
Spero di aver reso le cose abbastanza reali e di aver
adeguato bene storia originale e fatti della fic. ^^ Per questo, ho
cercato di non perdermi troppo nelle cose
“conosciute”, cercando però di non
lasciarle in disparte per far risaltare solo quelle nuove.
Inoltre,
spero di star rendendo le protagoniste abbastanza umane ed imperfette.
Questo anche perché, con lo sviluppo della trama che ci
sarà poi, non voglio che diventino appunto perfette e tenere
così le cose equilibrate.
Chi è Antares, nuova
figura che si aggiunge alle altre? Che collegamento ha con Dhem e Lia?
Per il momento ha avuto un'introspezione abbastanza leggera, ma
arriverà anche per lui un delineamento, così come
per la lupa.
Ringrazio per lettura, preferiti, seguite e ricordate; e
un grazie speciale per le anime buone che si fermano a lasciarmi la
loro opinione, sempre ben accetta.
Alla prossima,
Dhi.
|
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Capitolo 20 *** Mondo di calma in pensieri di tempesta. ***
Narnia's
Spirits
Mondo
di calma in pensieri di tempesta.
Con
un battito d'ali
Bayord atterrò in uno spiazzo d'erba, posando le zampe al
suolo e facendo muovere impercettibilmente i fili verdi. I grifoni
avevano imparato a fare ancora meno rumore quando si muovevano, per
evitare che i suoni prodotti dallo sbattere delle loro ali venissero
percepiti da possibili nemici.
Si riunì così ai
suoi fratelli e compagni che avevano preso parte alla parte iniziale
del piano di battaglia, e raggiunse il gruppo dei Narniani che si erano
appartati nel bosco per riprendersi.
Edmund scese velocemente dalla
schiena del grifone, lasciandosi scivolare sul fianco dell'animale, e
si fece avanti nello sparuto gruppo di sopravvissuti, in attesa di
veder comparire anche i suoi fratelli.
Osservò
ciò che rimaneva dell'esercito con cui era partito la sera
precedente, i volti stravolti e abbattuti di chi invece possedeva un
luccichio di determinazione negli occhi solo poche ore prima. Sguardi
di chi ha perso tutte le speranze, facce racchiuse in un mutismo di
frustrazione e dolore con cui cercavano di convivere e che stava loro
esplodendo dentro.
Non
passò
molto tempo dal suo arrivo che dalla foresta si fece avanti la figura
stravolta di Peter, seguito da Caspian. I due camminavano velocemente,
a pochi passi di distanza, con un'espressione rigida sul volto e lo
sguardo sfuggente.
Il Pevensie aveva un graffio sulla fronte e il volto
sudato, mentre il Principe si teneva con una mano la fasciatura fatta
frettolosamente con un pezzo di stoffa dove era stato ferito da
Prunaprismia.
Istintivamente Edmund sospirò di sollievo
quando lo sguardo si posò anche sulla sagoma di Susan
trasportata da Glenstorm, per poi farsi di nuovo attento.
In quel
gruppo mancava ancora colei per il quale il groppo in gola e il vuoto
allo stomaco avanzavano, invece che ritirarsi alla vista di una parte
della sua famiglia.
Evelyn.
Dov'era sua sorella?
Strinse gli occhi e
tese tutti i sensi per cercare di distinguere nelle luci ancora tenui
dell'alba che stava sorgendo le figure che mano a mano si avvicinavano
al punto di ritrovo: altri nani, fauni, centauri, animali parlanti,
minotauri… Ma di Eve nessuna traccia. E, ora che ci
pensava, Edmund non vedeva neanche Lia.
Eppure aveva scorto sua sorella
minore uscire in groppa ad un cavallo nero.
Che si fosse persa?
Dopotutto ne sarebbe stata capace. Ma se era con la lupa dubitava che
sarebbe incappata in un problema simile.
Un rumore di passi strascicati
sull'erba alle sue spalle lo fece voltare, e ai suoi occhi arrivarono
le sagome della grande lupa e di Evelyn, in groppa al cavallo che la
ragazza aveva montato per uscire dal castello.
Si sentì
sollevato, come se un nodo alla bocca dello stomaco si fosse
improvvisamente sciolto permettendogli di respirare meglio, e a grandi
falcate si avvicinò, improvvisamente più in colpa
di prima, mentre dentro gioiva di felicità sollevato che non
le fosse accaduto niente.
Aveva detto che l'avrebbe protetta e invece
non aveva mantenuto la parola.
Quando le fu di fronte le porse un
braccio per aiutarla a scendere, aspettandosi che sul viso della
ragazza si dipingesse un sorriso di ringraziamento, ma quella, come se
non lo avesse visto, scese dalla parte opposta a quella in cui si
trovava il fratello.
Eve accarezzò con il braccio sano
Antares, che graffiò il terriccio con lo zoccolo e
nitrì sommessamente per quella premura.
Spostò
poi lo sguardo su Lia al suo fianco e la lupa le rivolse un'occhiata
dispiaciuta, mentre Dhemetrya fissava ostinatamente il terreno chiusa
in un mutismo da quando avevano lasciato il castello, mentre con presa
nervosa stringeva il pelo della lupa. Gli occhi blu erano cupi ed i
lineamenti induriti, e nessuno dei tre aveva provato ad accennarle
qualche parola, poiché appena guardava qualcuno era
percepibile la distanza che poneva per essere lasciata in pace.
Dhemetrya era diventata come una bombola a pressione, e sapeva
benissimo di dover essere lasciata in pace finché non si
fosse calmata; non poteva permettersi di lasciarsi andare a sentimenti
negativi, non poteva permettere che gli eventi di quella notte le
oscurassero maggiormente l'animo.
Edmund scosse la testa, non capendo,
ed osservando con occhi interrogativi Eve, quando riportò
l'attenzione su di lei: era così arrabbiata con lui? Si
sentì in colpa per averla lasciata sola, ma non riteneva
fosse del tutto sua la responsabilità. Dopotutto lo aveva
fatto per poter salvare la vita a Peter...
Ed si mosse a grandi falcate
per posizionarsi di fronte a sua sorella, ottenendo così la
sua attenzione: la vide accorgersi della sua presenza improvvisamente
vicina e sussultare leggermente, prima di inchiodarla con lo sguardo.
Eve poté, con quel ponte di emozioni che si era instaurato
tra i due, vedere le sensazioni tumultuose che si agitavano negli occhi
e nel profondo del Pevensie.
Aveva il volto di un pallore insolito, che
risaltava con i capelli neri ancora scompigliati e sudati, segno di
quanto si era preoccupato, e le guance avevano iniziato da poco a
riprendere il solito colore naturale; gli occhi erano oscurati ed
abbattuti, e il buio che ancora regnava per la maggiore nel bosco non
permetteva di cogliere appieno i lineamenti del volto e le espressioni.
Fu come se un improvviso lampo le fosse passato davanti agli occhi
illuminandole la mente, quando Eve si diede il tempo di rendersi conto
del suo comportamento e ciò che poteva aver suscitato.
La
ragazza puntò lo sguardo negli occhi di Edmund, per avere
conferma delle sue supposizioni: come aveva pensato, erano velati dalla
tristezza del risultato di quella missione, lo vedeva e capiva
ciò che provava perché immaginava fosse un
sentimento comune con la maggior parte dei presenti; ma poté
scorgerci chiaramente altro, qualcosa di infimo che si faceva spazio
tra i pensieri e divorava la mente di dubbi: senso di colpa.
Lo
percepiva quasi chiaramente, poiché lei spesso ne era
soggetta: per un gesto trascurato, una parola sbagliata, un
comportamento brusco... Bastava poco per farlo saltare fuori, ed era
come trovarsi in un circolo vizioso.
Si diede della stupida per averlo
ignorato, rendendosi conto di come lo avesse fatto stare; ma aveva
fatto così perché non voleva far vedere che aveva
pianto in silenzio, sulla strada del ritorno, dopo aver lasciato
imprigionati coloro che non avrebbero potuto farcela e sentendo una
stretta al cuore che le impediva quasi di ragionare.
Aveva solo un
grosso cumulo di qualcosa d'indefinibile che avrebbe volentieri
vomitato fuori, e una vocina nella testa che non faceva che ripetere
che era una pessima Regina, che non era stata capace di fare qualcosa
di utile, che l'unico gesto positivo che aveva fatto era stato mettersi
nei guai e scappare, lasciandosi dietro tutti gli altri al loro destino
senza essere d'aiuto.
Si era attardata nel bosco con Lia e Antares,
prima di raggiungere i suoi fratelli e gli altri, aspettando con i due
di vedere se Dhem avesse reazioni, e per questo era sbucata con i tre
dietro agli altri.
Eve accennò l'ombra di un sorriso
comprensivo in direzione di Edmund, e puntò il suo sguardo
sui capelli del ragazzo che erano scompigliati per la battaglia e a
causa dell'aria che aveva avuto contro quando poco prima aveva volato
nel cielo con Bayord. Si mise leggermente sulle punte dei piedi,
avvicinandosi maggiormente al fratello, e con fare materno
allungò il braccio sano per rimettergli i capelli scuri in
una maniera quantomeno decente – quantomeno decente per lei,
dato che a lui sicuramente poco importava.
Edmund socchiuse gli occhi,
lasciandola fare, nonostante sapesse benissimo che quello non era per
niente un momento adatto.
Beandosi di quel contatto familiare e
lasciandosi andare alla calma che lo aveva avvolto da quando Eve aveva
poggiato la mano sulla sua nuca ringraziò tacitamente in
tutte le lingue che conosceva il fatto di non aver perso colei a cui
teneva più della sua vita.
Evelyn
imprecò, stringendo le labbra ed indurendo la mascella, per
il fatto che i capelli di suo fratello in quel momento fossero peggio
di un cespuglio di rovi; non faceva in tempo a far scorrere la mano per
più di pochi centimetri che incontrava dei nodi, e sentiva
il capo di Edmund tirarsi sempre leggermente indietro, consapevole che
avrebbe potuto sentire molto fastidio se lei fossi andata avanti nel
tentativo di sciogliere quelle ciocche annodate tra loro.
Però la lasciava fare senza fermarla, limitandosi a qualche
lamento masticato tra i denti.
Eve maledì il Telmarino che
le aveva scoccato la freccia colpendola al braccio, impedendole
così gran parte dei movimenti e delle azioni che faceva
normalmente: impugnare le sue armi, anche usando il cordiale di Lucy,
sarebbe stato impossibile per almeno qualcuno dei giorni a seguire
– era tra l'altro sicura che nessuno glielo avrebbe permesso.
Anche tenere le redini dei cavalli sarebbe stato impossibile, e
ringraziava il cielo che Antares fosse un cavallo Narniano disposto ad
ascoltarla volentieri e attento ai percorsi che batteva, per evitare di
dover saltare qualche tronco – lo aveva notato mentre
raggiungevano gli altri aggirandoli nel bosco.
Poter sistemare i
capelli di Edmund come era solita fare sia a Narnia che a Londra,
guadagnando così un' occasione per poter sentire suo
fratello più vicino di quanto già non fosse, in
quel momento si stava rivelando più difficoltoso del
previsto, complici anche la stanchezza e il bisogno fisico di dormire;
però... però non ci avrebbe rinunciato per nulla
al mondo.
Un velo di dolcezza le passò sugli occhi
ammorbidendo i suoi lineamenti, ed Eve si ritrovò a fare
pensieri particolarmente sentimentali a cui non era abituata.
Si
ridestò, facendosi quasi paura per quell'attaccamento che
sapeva di sentire verso il ragazzo, mandando a quel paese ogni suo buon
proposito di non pensare a Edmund in quel modo e cancellando totalmente
dalla sua mente le stupide regole che aveva creato.
Erano troppe,
troppo strazianti, e troppo difficili da mantenere.
Specialmente se il
ragazzo in questione lo hai sotto gli occhi praticamente ogni ora di
ogni giorno, di ogni settimana, di ogni mese e ci vivi
assieme. Tutto
questo grazie alla fortuna o sfortuna del dato di fatto che tale
ragazzo di cui sei innamorata – o, peggio ancora, ami
– è tuo
fratello.
Amare.
Eve probabilmente non si
era mai resa conto di aver superato la fase della cotta già
da parecchio tempo. Non sapeva di come si rilassasse quando lui le era
vicino, o di come nonostante la preoccupazione di qualche momento
questa, pur non cancellandosi del tutto, evitava di avanzare ancora
rendendole impossibile impazzire, perché lui le parlava e le
mostrava la sua comprensione.
Sospirò, osservando il lavoro
che aveva fatto con i capelli scuri di Edmund: ora aveva un aria
più ordinata; un minimo almeno, e il viso era contratto in
un espressione rilassata, con gli occhi socchiusi.
La ragazza lo
guardò per qualche attimo ancora mentre era perso in
quell'espressione anche aveva sempre quando gli toccava i capelli, poi
portò la mano al petto come a voler conservare gelosamente
il ricordo di quel momento.
Chiuse gli occhi, espirando profondamente,
e fu come se un'illuminazione totale l'avesse improvvisamente avvolta.
Pensò intensamente e con una calma che non le apparteneva,
rendendosi consapevole che ormai era giunta al limite e non avrebbe
resistito per molto.
Si, era ormai troppo tempo che non parlava e
soffocava tutto; tanto valeva cogliere l'attimo buono e dirgli in
faccia ciò che da anni la tormentava. Avrebbe avuto
finalmente il cuore libero, con un peso in meno, con la coscienza
pulita e la forza di poter guardare gli altri senza paura che si
intravedesse qualcosa.
O forse no.
Come avrebbe reagito Edmund alla
notizia? E Peter, Susan e Lucy? I due Pevensie più grandi le
avevano sempre ribadito che se aveva bisogno di qualsiasi cosa di non
farsi problemi a chiedere aiuto, che l'avrebbero sempre aiutata in ogni
situazione.
Ma in quella? Come avrebbero reagito in
quella situazione?
Li avrebbe avuti più vicini oppure li avrebbe persi per
sempre?
Evelyn sospirò, e tutta la motivazione che poco
prima aveva sentito scemò, lasciandola in balia dei soliti
pensieri a cui non aveva ancora trovato un modo per reagire.
Troppe
domande e nessuna risposta.
Vi
porto questo piccolo
capitolo così corto e così incentrato su Evelyn
ed Edmund e dalle note vagamente romantiche perché mi
piaceva l'idea di dare questo stacco solo ed esclusivamente loro, con i
loro pensieri ed i loro sentimenti, dopo tutto il trambusto dei
precedenti – e perché poi per un po' non ci
saranno molti altri momenti simili solo per loro due, avendo varie
situazioni che si intrecceranno tra esse.
Sperando di non avervi deluso
e che la storia continui ad interessarvi, vi ringrazio per tutto.
Alla
prossima :)
Dhi.
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Capitolo 21 *** Errori al sapore di sangue. ***
Narnia's
Spirits
Errori
al sapore di sangue.
Edmund
socchiuse gli
occhi, rivelando il castano autunnale che era stato celato al mondo nel
momento in cui Eve aveva iniziato a far passare la mano tra i capelli
del moro.
Di fronte a lui Evelyn, che lo stava guardando, attese, come
intuendo che il ragazzo stesse per dirle qualcosa.
L'attenzione di Ed,
però, volò al sangue che macchiava l'abito di sua
sorella e che ormai aveva incrostato il tessuto del vestito,
rappresandocisi sopra. I suoi occhi, prima calmi, guizzarono
riempiendosi di preoccupazione e tumulto, mentre con uno scatto
automatico allungava il braccio verso la spalla sana della Pevensie,
obbligandola a voltarsi per osservare la ferita.
La ragazza non
capì molto di cosa fosse improvvisamente preso al fratello e
si lasciò manovrare come una marionetta, sussultando di un
fastidioso dolore non appena avvertì il tocco di Edmund
sulla spalla, vicino all'entrata della freccia.
-Ma sei ferita!- Il
ragazzo si affrettò a ritrarre la mano, come scottato e
spaventato di averle fatto male.
-Non me n'ero accorta, sai?- Evelyn
sbuffò, facendo per girarsi e ribattendo con una fredda
ironia, in modo da far trapelare al fratello che non era di molte
parole.
Edmund recepì il messaggio: la conosceva troppo
bene, e sapeva che quando faceva così era meglio lasciarla
sbollire per qualche ora. D'altronde la capiva e condivideva parte
delle sue emozioni: aveva avvisato Peter, ma questi aveva voluto fare
di testa sua, e ora ne pagava le conseguenze.
C'era anche la
possibilità che il maggiore non avrebbe neanche ammesso il
suo errore, riversando la colpa su qualcun' altro, come era solito
fare. E chissà perché Edmund aveva la vaga idea
di chi sarebbe stato il prescelto, visto le varie occhiatacce che il Re
si scambiava con il Principe per poi ritornare chiuso nel suo mutismo e
nei suoi pensieri.
-Ti curerò non appena faremo ritorno, e
se sarà necessario berrai la pozione di Lucy- Edmund si
girò di nuovo verso Evelyn, lasciando perdere i due
comandanti e l'ostilità che scatenavano silenziosamente.
La
sorella, semplicemente, annuì.
***
-Se non avessi perso tempo...- sibilò Peter, affiancandosi a
Caspian e lasciando
volutamente la frase in sospeso tra loro.
-Se mi avessi dato ascolto...- rimandò il Principe,
stringendo i pugni e irrigidendo la
mascella.
I due si fronteggiarono, lanciandosi lampi d'ira e
frustrazione, avvicinandosi l'uno all'altro.
-Sarà meglio
tornare- Glenstorm intervenne, frapponendosi tra i due ragazzi che si
allontanarono con qualche remora, e indicando loro il resto
dell'esercito che attendeva istruzioni.
Peter osservò i vari
Narniani, si voltò verso i due fratelli minori, che si erano
avvicinati, e girò il viso da un'altra parte pochi attimi
dopo. Non aveva il coraggio di guardarli in faccia.
Si costrinse a
girarsi di nuovo però, perché la vista di
sfuggita del sangue sull'abito di Evelyn che riaffiorò nella
sua mente lo fecero sbiancare di colpo, mentre con uno scatto si
avvicinava alla penultima della famiglia.
Quando fu di fronte ai due
fece per dire qualcosa, ma fu totalmente tolto di scena dall'arrivo di
Susan che, senza curarsi di lui, si mise in mezzo, occupando la sua
visuale.
I due si fecero abbracciare da Sue, lasciandosi cullare da
quella stretta materna e dolce, ma quando la maggiore tra le Pevensie
strinse maggiormente la presa un leggero lamento di dolore
uscì dalle labbra di Eve. Susan si staccò dai
due, per poi prendere a parlare, mal celando il tono di voce tremulo
per l'emozione che sentirli contro di lei le aveva procurato e gli
occhi lucidi.
-Scusa Eve, è che ero così
spaventata in realtà! Pensavo che avrei potuto perdervi, poi
vi ho visto qui e non ho saputo resistere, io…-
lasciò la frase a metà, le parole che scemavano
lentamente, mentre strabuzzava gli occhi accorgendosi solo in
quell'istante del motivo per cui sua sorella minore si era lamentata.
Una freccia.
Una freccia nella spalla della sua Evelyn.
Gli occhi di
Susan scintillarono di rabbia, mentre pregava Aslan che il soldato
responsabile dell'atto fosse morto tra atroci sofferenze. Evelyn
capì cosa voleva dirle, ed osservò sua sorella
portarsi una mano alla bocca e osservarla, senza sapere come poterla
aiutare in quel momento. Fece intendere di lasciar perdere, mentre
pochi attimi dopo si avvicinò a Peter, rimasto in disparte.
Ebbe una vertigine mentre camminava e si bloccò di colpo,
spaventata, ma nessuno sembrò farci caso, troppo perso nei
propri pensieri. Quando fu di fronte al maggiore i due si scrutarono,
senza lasciar trapelare nessuna emozione, e pochi attimi dopo Peter
allargò le braccia.
Per Eve fu come se si aprisse un mondo,
quello celato e turbolento in cui suo fratello si era rifugiato e in
cui però lui riusciva a donar loro sempre uno sprazzo di
calma.
Si fiondò tra le braccia protettive del Re, che
l'abbracciò stando attento a evitare di toccare la spalla
ferita. Ai due si unirono anche Edmund e Susan, e i quattro si bearono
della presenza degli altri tre, sollevati che stessero bene. Fu come se
per quei secondo si dimenticarono di tutto il resto, della stanchezza e
del dolore che solo persone speciali riescono a mandar via senza
bisogno di grandi parole.
Quando si staccarono, Cornelius si
inchinò verso i quattro regnanti, mentre Caspian
piantò lo sguardo su Susan assicurandosi che stesse bene. La
ragazza abbassò lo sguardo, che venne poi catturato dalla
figura di Evelyn che camminando velocemente raggiunse Trumpkin, inerme
tra le braccia di Glenstorm.
-Torniamo al rifugio, con la pozione di
Lucy vedrai che starà bene- Susan la raggiunse e le
posò una mano sulla spalla in modo rassicurante, cercando di
confortarla. Eve annuì poco convinta, e tutti si voltarono
verso Peter, in attesa.
Il ragazzo osservò i vari Narniani e
si appurò che fossero pronti, poi si mise in testa ai
soldati rimanenti, dando una leggera spallata a Caspian passandogli da
parte.
Non guardò in faccia nessuno e diede l'ordine di
ritornare alla Casa di Aslan.
***
Antares
si
offrì per portare Evelyn, e quella fu costretta ad accettare
la proposta del destriero perché era stanca, si sentiva
debole e iniziava ad avere le vertigini causate dalla perdita di
sangue.
Il cavallo s'incamminò dietro il Re Supremo, con al
suo fianco Edmund e Susan i quali continuavano a guardare la sorella
minore con fare apprensivo. A loro poco dopo si affiancò
Lia, la quale portava una Dhemetrya ancora avvolta nel silenzio, mentre
dietro si trovavano Caspian e Cornelius.
Il tragitto si fece nel modo
più silenzioso che Evelyn avesse mai sentito. Avevano subito
una sconfitta, perdite di soldati, vite, ed erano tutti, nessuno
escluso, stremati per la lunga notte appena passata e che solo in quel
momento stava realmente giungendo a termine.
Il sentiero era avvolto
nel silenzio, e raggi di sole birichini iniziavano a farsi strada tra
le fronde degli alberi. Un tempo, in quel momento, ci sarebbe
già stata attività e vita nella foresta Narniana.
Quando furono in cammino da circa due ore Eve prese parola, dando una
voce ai suoi dubbi e concentrandosi su altro che non fosse la battaglia
o il dolore alla spalla.
-Lia, Antares, ma vi conoscete?-.
Quella
domanda sembrò interessare anche Dhemetrya, che ebbe un
lieve sussulto e alzò lo sguardo, ascoltando la risposta
– risposta che già, in realtà,
conosceva, ma appartenente ad un argomento che non poteva lasciarla
indifferente.
-Si, ci conosciamo. Fin dalla tenera età-
spiegò la lupa.
“Non
è totalmente
vero.”
“Questa da dove ti è uscita,
mutaforma?”
“Antares, Dhemetrya, per favore. Non
posso dirlo in altro modo, lo sapete.”
Evelyn li
guardò, stupita. -Il cavallo non è una preda per
te?-
-Tecnicamente si. Ma tra Narniani, animali parlanti, è
più difficile che si creino conflitti, avendo il dono della
parola – Dovresti saperlo ormai. Se poi ti interessa mi cibo
anche di frutta, e non solo di carne-.
Eve si ritrovò in
imbarazzo per la domanda stupida che aveva posto. -Capisco- si
limitò a dire, ma il discorso la incuriosiva parecchio e con
lei si fecero attenti anche Susan ed Edmund.
-Come vi siete conosciuti?-
domandò il ragazzo.
-Le nostre... famiglie
abitavano vicine,
prima dell'arrivo dei Telmarini- rispose Antares, lanciando uno sguardo
alla lupa.
-E Dhemetrya?- chiese Susan, rivolta ai tre.
-Situazione
simile- tagliò corto la ragazza. Era meglio non dire troppe
cose, specialmente se poi non erano nemmeno del tutto veritiere.
Ci fu
una breve pausa, poi Lia continuò il discorso -Da allora
siamo sempre stati insieme. Qualche anno fa, poi, Antares non fece
ritorno. Lo cercai, ma le sue tracce arrivavano fino al fiume. C'era
anche il problema che gli uomini di Telmar continuavano a cacciare i
Narniani e oltre il fiume vicino a Beruna non potevo andare-
spiegò brevemente.
La lupa saltò il dettaglio che
da subito sapeva dov'era il Narniano e per quale motivo, limitandosi a
dire che, effettivamente, da sola non poteva aiutare l'amico,
prigioniero a Telmar.
Antares pestò uno zoccolo
nervosamente, abbassando il collo per non prendere le fronde di un
albero troppo basse.
-E' stata colpa mia. Mi ero spinto al di la del
fiume, ma non mi aspettavo che a quell'ora dell'alba ci fossero
Telmarini in giro. Il comandante decise di portarmi come trofeo al suo
Re, per entrare nelle sue grazie-.
Era stato imprudente, quel giorno, se
lo ricordava bene. E gli era costato tanto: anni di libertà,
anni in mezzo a quella che rimaneva la sua terra fin nelle viscere
dell'anima, anni in una cittadella che non gli apparteneva.
-E dopo che
ti hanno catturato che è successo?- chiese per tutti Edmund,
curioso perché, per quanto ne sapevano, i Narniani non
sopravvivevano a Miraz e i suoi sudditi, che volevano eliminare gli
abitanti di Narnia.
-Il Re mi osservò e decise di tenermi
per sé. Iniziarono ad addestrarmi e io sopportavo,
perché qualcosa, qualcuno dentro di me diceva di tenere
duro, che il giorno tanto atteso era vicino. Non ho mai visto il grande
Aslan, ma credo che fosse la sua presenza che sentivo quando avevo
perso tutte le speranze-.
Non era scappato, perché sapeva
quasi certamente che, un giorno, avrebbe avuto la
possibilità di riprendersi tutto. Tutto. Doveva andare
così.
-A-Aslan!?- lo sconvolgimento si dipinse sui visi di
tutti.
-E dimmi, ti ha detto altro?- chiese Susan, apprensiva.
-No, non
sono neanche sicuro che fosse lui- rispose dispiaciuto il destriero,
mentre ognuno si perdeva nei propri pensieri.
“Si che era
lui.”
“Non se sono sicuro Dhem,
davvero...”
La ragazza tornò a fissare davanti a
se, chiedendosi quanto ancora mancasse perché tutto
ciò finisse.
Ci fu un interminabile silenzio, in cui si
continuò a camminare. Ognuno non vedeva l'ora di tornare
alla casa di Aslan e poter riposare tranquillo, per iniziare a provare
a lasciarsi alle spalle quella terribile nottata.
Il suono cupo di un
corno annunciò il loro arrivo.
***
Lucy
si era
addormentata appoggiata alla tavola di pietra e si era svegliata una
ventina di minuti prima con al suo fianco l'amico tasso.
Non aveva
fatto in tempo a dire niente, dopo essersi stropicciata gli occhi,
perché Trufflehunter l'aveva avvisandola che i grifoni, che
avevano preceduto tutti, avevano portato la notizia riguardante il
fatto che i sopravvissuti
erano diretti verso il rifugio e di
prepararsi a dare soccorso.
In quel momento la piccola Pevensie si era
rimessa a giocherellare con la boccetta di diamante, disegnando il
bordo con l'indice. Il tempo ad attendere sembrava non trascorrere mai,
e la notte prima si era addormentata, esausta di aspettare e
sopraffatta dal sonno.
Il suono di un corno la distrasse, riportandola
alla realtà e svegliandole i sensi, e si affrettò
a rimettere la boccetta al suo posto, allerta. Con il cuore che batteva
per l'emozione e l'ansia si avviò poi all'entrata.
Vide
Peter seguito da Caspian, entrambi con l'espressione funerea e irata.
Non ci fu bisogno che osservasse altro, la quantità di
esercito rimanente, l'espressione degli altri, le quantità
di feriti... Suo fratello e il Telmarino portavano sui loro volti i
segni della sconfitta e della frustrazione del risultato ottenuto.
Subito si accorse poi dello stato in cui era la maggior parte
dell'esercito, come aveva pensato.
-Che cosa è successo?-
chiese, rivolta a Peter che sollevò lo sguardo da terra.
-Chiedilo a lui- rispose semplicemente il fratello, gelido, facendo un
cenno con la testa verso il moro. Caspian arrestò il passo
di colpo, iniziando a voltarsi lentamente e stanco di quella storia.
-Peter...- la voce di Susan raggiunse i due ragazzi in un nullo
tentativo di raffreddare le acque e ammonire il fare sgarbato del
fratello maggiore. Non era il momento adatto per mettersi a litigare,
dando spettacolo davanti a tutti.
-A me? Dovevi lasciar perdere, il
tempo c'era- si limitò a dire il Principe, sicuro di non
avere nessuna colpa.
-No, non c'era, grazie a te- lo attaccò
il Pevensie, fronteggiandolo. -Se tu avessi rispettato il piano quei
soldati potrebbero essere ancora vivi- affondò quelle parole
con rabbia, cercando di scalfire l'orgoglio e la sicurezza di Caspian.
-E se tu saresti rimasto qui come ti avevo suggerito lo sarebbero di
sicuro!- Il ragazzo non si fece però vedere colpito,
rincarando la dose e trovando un altro punto a cui aggrapparsi per far
gravare la colpa sul Re Supremo, colpevole di aver preso una decisione
azzardata fin dall'inizio.
-Ti ricordo che ci hai chiamati tu!-
-Il mio
primo errore- disse Caspian a pochi centimetri dal volto del Re, con un
tono glaciale.
Evelyn ebbe veramente paura: la situazione tra i due si
stava veramente scaldando, ed Edmund avvertì l'irrigidimento
della sorella dai tratti del suo viso.
-No, credere di poter guidare
quella gente è stato un errore- finì Peter,
ricominciando a camminare verso l'entrata del rifugio e dichiarando
chiuso il discorso.
-Ehi!- lo richiamò Caspian -non sono
certo io quello che ha abbandonato Narnia- sputò fuori con
un tono di disprezzo verso gli antichi Re e Regine, velenoso.
Benché il commento fosse solo rivolto a Peter, una fitta
d'impotenza e dolore attraversò tutti i Pevensie.
Narnia.
Com'era bella la sua
Narnia, quando l'aveva lasciata, quando l'aveva
conosciuta, quando sprizzava mille colori vitali...
Peter lo guardò, sconvolto e rabbioso, una
montagna di ricordi legati a quella terra che lo assalivano.
-No, tu
hai invaso Narnia!- lo accusò, mentre il Principe lo
superava scansandolo con un braccio. -Non hai il diritto di governarla,
come non c'è l' ha Miraz! Tu, lui, tuo padre…
Narnia sta molto meglio senza tutti voi- finì. Narnia stava
molto meglio prima.
Il Principe a quelle parole s'infervorò
e si girò nuovamente, impugnando la spada.
Evelyn
cercò aiuto in Edmund, strattonandolo per un braccio
affinché facesse qualcosa per far smettere quella lite tra i
due.
-Smettetela!- gridò il ragazzo, imperioso, facendosi poi
avanti con al suo fianco Glenstorm, che reggeva un Trumpkin esanime.
Vedendo il CPA in quelle condizioni Lucy corse verso il nano che era
stato posato delicatamente a terra, mentre attorno a lui si stringevano
Nicabrik e Trufflehunter, ansiosi per la sua sorte. Lucy
s'inginocchiò vicino a Trumpkin, mentre toglieva il tappo al
cordiale con dita tremule per la paura che fosse troppo tardi; i
Narniani che non avevano mai visto il famoso liquido rosso all'opera,
inoltre, si facevano attenti per osservare se era miracoloso come le
antiche leggende narravano.
Una goccia e pochi attimi dopo la vita
riprese a scorrere.
I Pevensie e i suoi amici sospirarono di gioia,
rilasciando parte della tensione accumulata.
Caspian e Peter
rinfoderarono le spade, e il primo raggiunse l'entrata del rifugio
senza dar conto a nessuno, sparendovi poi all'interno. Peter lo
osservò, per poi girarsi verso Lucy e facendole capire che
c'erano altri Narniani avevano bisogno.
***
La
Scaltra
respirò profondamente chiuse gli occhi, quando raggiunse una
roccia e ci si appoggiò sopra, rilassando i muscoli. Era
stanca, debole e sudata.
Non ce la faccio davvero
più.
Sospirò poi, quando Edmund le si fece vicino. Aveva sentito
il tintinnare della spada e ne riconosceva il passo.
-Devi proprio?-
chiese, con un'espressione indecifrabile in viso e socchiudendo gli
occhi.
-Devo, prima che faccia infezione. E' passato anche troppo
tempo- le rispose con tono serio, inginocchiandosi davanti a lei e
costringendola a guardarlo.
-Farà un po' male ma poi
andrà meglio, e cercherò di fare piano- Le prese
il viso tra le mani.
Fresco.
Il volto accaldato di Eve trovò
pace, quando i palmi delle mani di suo fratello si posarono sulle sue
guance.
-Tu resta sveglia però, intesi?-
-Mh... Non so se
sia meglio vivere con una freccia piantata nella spalla o sopportare il
dolore mentre me la togli- Affermò Eve, dopo che suo
fratello ebbe esaminato la ferita e si stava preparando per
estrargliela.
Non avendo trapassato la spalla, le spiegò,
c'era bisogno che la spingesse fuori, in modo da togliere la punta, e
poi poteva estrarre l'asta, senza così che la parte
metallica facesse attrito e espandesse la ferita.
Un moto di terrore
per il dolore le attraversò la schiena.
-Conta fino a tre,
ok?- domandò, irrigidendo la schiena.
-Hai paura?- Le chiese
Edmund, mentre impugnava la parte di freccia che non era entrata nella
spalla di Eve.
Si.
-No-
Come no...
-Farà male- Sapeva cosa
l'aspettava, non era la prima volta che si ritrovava ferita in
battaglia. Non ci era però più abituata
– o forse quello non lo fai mai.
-Va bene- concesse il
fratello. -Uno, tre!-
La Pevensie si morse la lingua per non urlare di
dolore, mentre grossi lacrimoni le annebbiavano la vista.
-E il due
dove lo metti? E' in vacanza?- Chiese acida, scoccando uno sguardo
d'ira al fratello maggiore, mentre questi tagliava la punta.
-Se avessi
contato fino a tre poi mi avresti bloccato per paura- Eve
arricciò il naso, indispettita, emettendo una specie di
ringhio e senza commentare.
-Stai ferma adesso-.
-Brucia- Si
lamentò, asciugando gli occhi con il braccio sano.
Con un
lembo di stoffa Edmund fece una fasciatura, dopo aver pulito la ferita,
che si macchiò leggermente di sangue perché
l'estrazione del dardo aveva causato nuovamente un'emorragia.
-Guarda,
seppur sia una fasciatura momentanea è perfetta, mi
complimento con me stesso- Sdrammatizzò Edmund, osservando
il suo operato.
Evelyn fece per ribattere, ma venne interrotta -E non
osare muovere il braccio sennò la ferita ti si riapre peggio
di adesso-. La Pevensie cercò di dire qualcosa, ma fu
nuovamente fermata. -E guarda che ti tengo d'occhio, quindi non cercare
di imbrogliarmi-. Evelyn allora si arrese, rilassando la muscolatura
delle spalle.
-Edmund...- lo richiamò dolcemente pochi
minuti dopo, ottenendo la sua attenzione. -Grazie, starò
attenta alla tua fasciatura perfetta- lo prese in giro, ma sapeva che
lo faceva per il suo bene.
A volte però era così,
così… scosse la testa, mentre si alzava, non
trovando un aggettivo che calzasse: senza la freccia stava decisamente
meglio, certo bruciava e il braccio non poteva muoverlo,
però almeno non sentiva più il ferro che si
muoveva ad ogni suo spostamento.
Lucy, poi, sicuramente avrebbe
insistito per farle bere l'estratto del fiore di fuoco, quindi la
ferita si sarebbe rimarginata in poche ore.
Lucy si fermò
davanti ai due fratelli maggiori, come se fosse stata chiamata e con un
tempismo perfetto, e senza ammettere obiezioni somministrò
una goccia del prezioso liquido rosso ad Evelyn.
La ragazza
poté chiaramente sentire il bruciore sparire gradualmente,
mentre impercettibilmente riusciva a fare i primi movimenti con il
braccio. Ovviamente senza farsi vedere da Edmund sennò
l'avrebbe ripresa sul fatto del suo duro lavoro sprecato, della
fasciatura perfetta, della ferita che aveva bisogno di tempo per
guarire e bla bla bla.
Si ritrovò a sorridere a
quel pensiero.
Come se fosse un rito obbligatorio, i tre si
abbracciarono, beandosi delle presenze famigliari in cui si ritrovarono
circondati.
-Ci
riposiamo?-
Susan
si avvicinò, facendo sciogliere la stretta dei tre e
invitandoli implicitamente a entrare nel rifugio.
-Si, è
stata una lunga notte- concordò Edmund, mentre Eve si
limitava ad annuire.
Entrando trovarono la casa di Aslan che brulicava
dell'esercito e dei feriti che riposavano a terra o su delle coperte,
mentre coloro che erano rimasti al rifugio avevano interrotto i lavori
in modo da lasciare che il silenzio li cullasse, lasciandoli riposare
al meglio.
Era stata una dura battaglia, e se lo meritavano.
Nella
stanza della tavola di pietra videro che Caspian e Peter si erano
già sistemati ai rispettivi giacigli e si davano le spalle a
vicenda, tentando di prendere sonno per recuperare le forze e la presa
suoi loro nervi e le loro emozioni.
Edmund prese posto tra la sorella
maggiore e Peter, anche Lucy si sdraiò tra Susan ed Eve
– nonostante avesse già dormito, non era stato un
sonno rilassante a causa dei pensieri e dell'angoscia che l'avevano
animato –. La stanchezza prese definitivamente il sopravvento
in pochi attimi.
Qualche
ora dopo
Dhemetrya, tremante sulle gambe ancora intorpidite e avvolta dallo
shock, lasciò il campo.
Buon
Natale!!!
Questo
è il
mio regalo natalizio per voi: un capitolo della mia storia, di quella a
cui tengo di più, della creatura che per me ha significato e
significa tanto da quando ho iniziato a scrivere dandole vita.
Salve lettori.
:) Come
state? Spero bene per tutti voi, a me mancano un po' Agosto e le
vacanze.
^^' Vi
porto questo capitolo in tempi decenti, diciamo; è
anche abbastanza lunghetto e con tante cosine carine, quindi sono
soddisfatta.
Allora:
finalmente si è giunti a conclusione
sull'arco narrativo dell'attacco al Castello di Miraz! Ebbene, Antares,
Lia e Dhemetrya si conoscono per benino. C'è ancora molto
altro da scoprire riguardo loro! Se ci fossero domande
su qualsiasi
cosa di poco chiaro sarò più che volentieri
contenta di rispondere.
Ringrazio per
le letture, i seguiti, preferiti
e ricordate.
Vi auguro
buone vacanze e buon proseguimento per l'anno
nuovo che arriverà, che possa darvi nuove sorprese e
soddisfazioni.
Alla prossima,
Dhi. <3
|
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Capitolo 22 *** Ricordo di una voce dispersa nel vento. ***
spiritscap22
Narnia's
Spirits
Ricordo
di una voce dispersa nel vento
Come
dopo una grande
pausa, lo scorrere del tempo aveva ripreso ad andare avanti.
Perché bisogna andare avanti, dopo che si è
andati incontro a qualche ostacolo, altrimenti tutto sarebbe un
meccanismo piatto e privo di senso.
E così come il tempo
andava avanti, anche la vita, alla casa di Aslan, stava riprendendo il
suo corso.
Stare fermi, apatici, piangersi addosso, era la cosa
peggiore che potessero fare in quel momento. Le cose non sarebbero
cambiate, le persone non hanno il potere di cambiare gli errori passati
tornando indietro. Possono, però, andare avanti e cercare di
aggiustare ciò che ancora deve prendere vita.
I Pevensie si
erano svegliati a pomeriggio inoltrato; aveva iniziato Peter, il viso
palesemente ancora stanco e segnato ed i movimenti lenti, seguito poi
da Susan, sempre all'erta e attenta ai minimi segnali come sua madre lo
era nei loro confronti.
Edmund era già sveglio da un po' ma
non aveva avuto abbastanza motivazione di alzarsi e andare ad
affrontare la realtà della situazione. Per una volta aveva
preferito rimanere li, fermo, ad ascoltare i respiri dei suoi fratelli.
Evelyn si tirò a sedere dopo essersi stropicciata gli occhi,
mentre un tenue mal di testa faceva capolino. La ragazza si
portò una mano alla testa, mentre la sentiva pulsare sempre
più forte.
No, ti prego.
Fortunatamente il dolore era si
forte, ma non insopportabile. Magari con qualche intruglio di erbe
strane, sempre che ci fose qualcuno ancora in grado di farlo, sarebbe
passato.
Si alzò, sospirando, mentre vedeva
Susan sistemare le sue coperte, un'espressione mista tra il rilassato e
il corrugato sul viso, mentre accanto a lei stava una Lucy seduta
ancora avvolta nelle coltri.
Fece anche lei per prendere la sua coperta
e sistemarla, ma una mano fu più veloce della sua
nell'afferrare il tessuto.
Eve rimase un attimo sbigottita mentre
vedeva la figura davanti a lei sistemarle le coperte tranquillamente,
riponendole poi vicino alle altre in un angolo della cripta.
-Beh, non
mi ringrazi?-
La ragazza sbatté le palpebre, non sapendo
come reagire a quel gesto di galanteria. Riprese la solita calma,
spesso scambiata per freddezza, ricomponendosi e sistemando un ciuffo
di capelli dietro l'orecchio.
-Dovrei, Caspian?- Evelyn
scandì bene il nome del Principe, ritto davanti a lei,
studiandolo con attenzione.
Perché mai mi
ha sistemato le
coperte? Non ci ricava niente, a meno che …
La Pevensie
ghignò interamente, mentre un sorrisino soddisfatto
compariva sul suo volto e lanciò un occhiata eloquente a
Caspian, senza preoccuparsi di nascondere le conclusioni a cui era
arrivata, per poi volgere lo sguardo alle sue spalle.
Susan, intenta a
parlare con Lucy probabilmente riguardo ciò che era avvenuto
la notte passata al castello di Miraz, era giusto poco dietro di lei.
Si rigirò di nuovo verso Caspian, mentre sorrideva
leggermente malefica e sadica, il mal di testa che passava in secondo
piano, facendosi i complimenti da sola su quanto il suo sesto senso
andasse a parare sempre nei punti giusti.
-Eve, ti prego- le
sussurrò lui, lanciando un'occhiata veloce alle spalle della
Pevensie, per poi continuare -non farlo. Ti scongiuro, non fare niente-
la pregò, con una nota preoccupata e agitata nella voce,
guardandosi intorno.
La Pevensie lo guardò, inarcando un
sopracciglio.
-Fare cosa, Principino?- gli chiese, in tono volutamente
casuale e ironico, conscia invece di ciò a cui Caspian
alludeva. Aveva sistemato le sue coperte in modo da farsi bello agli
occhi di Susan, sperando che Evelyn l'avesse ringraziato senza
chiedergli spiegazioni, prendendo spunto dalla spalla ferita, che per
ora la ragazza non doveva muovere sotto costrizione di Edmund.
Invece,
male per lui, era stata fulminea nel collegare i fatti e capire il suo
intento.
Ma ciò che più preoccupava il Principe
non era tanto il fatto che Eve avesse scoperto il suo piano, o meglio,
sì, sarebbe stata comunque una lezione per il futuro non
sottovalutare più quella ragazzina dagli occhi azzurri e i
capelli mogano, ma quanto il fatto che ora lei, era sicuro, avrebbe
fatto di tutto per far finire insieme casualmente lui e Susan.
E quando
si metteva in testa una cosa, Evelyn, diventava come un tornado che non
si ferma fino a quando non ha spazzato via anche l'ultima
casa. E, sfortunatamente per Caspian, in quella circostanza,
era lui la casa.
Poteva trovare un altro modo, pensò
Caspian, leggermente sconsolato.
Forse doveva ripiegare su Lucy… Il Principe
osservò la più piccola
Pevensie. No, anche lei era della stoffa di Eve, non ci sarebbe mai
cascata. Era piccola, non stupida.
Sospirò pensando a quanto fossero anormali e fuori dal
comune gli antichi Re e
Regine.
Lucy, seppur dalle fattezze ancora da ragazzina, aveva dentro
di sé una sicurezza tale da lasciar spiazzati, sicura e
ferma nelle sue idee, dallo sguardo limpido e dolce con cui ti scrutava
fin dentro l'anima. La capacità che aveva, poi, di cogliere
sempre il buono in tutto e tutti la rendevano una persona dall'animo
comprensivo e affidabile.
Come non adorarla? Era impossibile, Caspian
sentiva di volerle bene quasi come fosse anche lui un suo fratello
maggiore.
Assurdo.
Ma Lucy dava quell'effetto su tutti: persino
Trumpkin, Lia e Trufflehunter avevano preso la piccola Pevensie sotto
la loro ala protettrice, la controllavano sempre, non la lasciavano mai
sola e almeno uno di loro era sempre con lei quando i fratelli erano
impegnati.
Edmund era quello più taciturno tra i cinque,
riflessivo e calcolatore, ma non per questo meno simpatico. Anzi, era
quello che faceva le migliori battute ironiche, specialmente per
spezzare le tensioni. Bisognava solo capire il modo di avvicinarlo e il
Giusto si tramutava in una specie di confidente, che studiava attento
attorno a sé con una calma da lasciarti di sasso.
Riusciva a
cogliere ogni più piccolo particolare e andarci d'accordo
non era difficile - sicuramente era molto meno testardo e orgoglioso di
Peter, quindi era anche più facile instaurare un rapporto
d'amicizia senza essere sempre in competizione.
Il Re Supremo invece, a
differenza del fratello minore, era quello con cui sicuramente andava
meno d'accordo. Testardo e cocciuto peggio di un mulo, quando si
metteva in testa una cosa era così punto e basta.
Assomigliava un po' ad uragano-Eve per quell'aspetto, ma in Peter era
molto più radicato, complici il fatto di avere la
responsabilità di una famiglia a cui badare, un regno da
governare, delle responsabilità da portare avanti e non
poteva permettersi di vacillare.
Se aveva ragione aveva ragione, se
aveva torto aveva lo stesso ragione. Se faceva le cose giuste erano
giuste, se sbagliava era colpa di terzi, e quindi lui non aveva
sbagliato perché faceva sempre le cose giuste, in quanto Re
Peter il Magnifico.
Nonostante questo e i vari attriti, Caspian non se
la sentiva di odiarlo, come invece spesso faceva trapelare. Lo mal
sopportava, quello si, ma lo ammirava anche, in fondo - molto in fondo,
mai lo avrebbe ammesso a voce.
Era sempre stato affascinato dalla sua
figura di Regnante di cui tanto aveva sentito parlare da Cornelius: le
battaglie che aveva vinto, le guerre che aveva combattuto, Jadis, e il
modo in cui le leggende su di lui e le imprese fatte
insieme ai fratelli erano spesso motivo di discorsi tra gli abitanti di
Narnia, che spesso aveva sentito parlottare onorati che gli Antichi
Sovrani si trovassero lì ad affiancarli contro Miraz.
Se
solo Peter avesse lasciato più spazio anche agli altri, non
solo a lui, ma anche alle opinioni dei suoi fratelli e degli altri che
bellamente spesso ignorava, forse e solo allora il Pevensie sarebbe
potuto andargli un po' più a genio.
Evelyn invece... era
una bella gatta da pelare. Quella ragazza non gli e la raccontava
giusta, lo vedeva, lo sentiva e lo percepiva. Era solo una sensazione
che a volte faceva capolino, ma la sua vista spesso gli infondeva una
strana sensazione, come di pace, di calma ma anche di profonda
tristezza.
Come se dentro di
sé la Pevensie portasse
qualcosa di ben più grande che forse nemmeno lei conosceva.
Ma dopotutto erano solo supposizioni e forse aveva le travecole per
tutta la situazione generale che si stava creando e che faticava a
gestire in modo convinto. Ecco, in quel caso, avrebbe voluto avere
più la sicurezza di Peter nell'affrontare le cose.
Tralasciando le strane emozioni che suscitava in lui, Eve era forse la
più complicata dei cinque.
Aveva i momenti si, ma anche i
momenti no, ti coglieva con delle punte di fredda ironia, spesso la
vedeva perdersi nei propri pensieri e Caspian, poteva giurarci, vedeva
i suoi occhi velarsi di frustrazione. Ti capiva al volo, ed era mossa
da una determinazione tale che per certi versi ricordava spesso quella
di suo fratello Peter.
Riflessiva per certi versi, ma anche impulsiva,
uno spirito libero che si muoveva a seconda di come le girava.
E poi
c'era Susan…
Caspian era stato totalmente affascinato dalla
figura della Dolce, che si aspettava completamente diversa.
Lei era
bella, la
creatura più perfetta che Caspian avesse mai
visto, di quella meraviglia
che ti coglie nel profondo e ti lascia
senza fiato, stupito quasi come un bambino.
I profondi occhi grigi, il
corpo che si muoveva mellifluo e silenzioso sotto l'abito viola, la
precisione con cui maneggiava l'arco, l'affetto incondizionato che
nutriva per i suoi fratelli, i gesti materni che ne derivavano e i
sorrisi che regalava a pochi.
E il Principe si era reso conto di essere
tra queste poche persone privilegiate a cui Susan sorrideva veramente,
abbandonando la maschera di freddezza che lasciava trasparire per la
maggior parte delle volte, facendo uscire in realtà la
ragazza fragile e incerta che era e che, come tutte le donne, aveva
bisogno di attenzioni, cure e sicurezza.
Chissà
perché ogni volta che la vedeva si sentiva bene, il respiro
gli si mozzava in gola e il cuore accelerava i battiti da solo senza
che lui potesse fermarlo.
Quella volta, quando si era confidata con lui
vicino al torrente, si era sentito onorato che avesse scelto proprio
lui.
E quando stavano facendo la gara di tiro con l'arco poco prima che
Edmund li interrompesse, il Principe sentiva di avere tutto, si stava
godendo il pomeriggio, quasi dimenticandosi i problemi come la guerra,
l'attacco al castello di Miraz o che all'inizio i Narniani volevano
ucciderlo essendo un Telmarino.
Niente, non gli serviva nient'altro, in
quei momenti.
Solo la presenza di Susan, accanto a lui.
-...pian?-
Una voce
conosciuta si fece largo tra i pensieri del Principe, distogliendolo da
tutto il discorso mentale che stava facendo.
Quanto tempo era che si
era perso nei suoi pensieri?
-Caspian?-
-Eh?- Con quell'espressione che
di regale aveva assai poco riprese coscienza della realtà.
-Hai detto qualcosa?-
Eve in risposta roteò gli occhi e
sbuffò, tra lo sconsolato e il divertito.
-No, per ora non
ho detto niente-
-Oh meno male, grazie- Caspian non fece in tempo a
tirare un sospiro di sollievo, che un'occhiata della Pevensie lo fece
ricongelare all'istante: guai.
-Mi sono solo goduta la tua espressione
da pesce lesso mentre guardavi Susan come se fosse un delizioso
bocconcino- Eve gli fece una leggera linguaccia, mordendo la lingua con
i denti per non scoppiare a ridere.
-Lucy ha fatto in tempo a dire a
Sue morte, vita e miracoli di ciò che Trufflehunter le ha
raccontato mentre noi eravamo al castello- si guardò
distrattamente le unghie, come se ciò appena detto fosse una
cosa da nulla, facendo intendere con quella frase che Caspian si era
imbambolato per un tempo non indifferente.
Sollevò lo
sguardo dalla sua mano, però, pochi attimi dopo, per godersi
dell'espressione terrorizzata, imbarazzata, sconcertata e vagamente
sgomenta del ragazzo.
Se l'espressione del Principe era un miscuglio di
emozioni, la sua mente non era da meno: si chiedeva se Susan l'avesse
visto, cosa avrebbe pensato di lui, si malediva della figura appena
fatta e soprattutto era anche leggermente spaventato per ciò
che stava nascendo nei confronti della maggiore tra le Pevensie e che
non aveva mai provato per nessuna.
E l'ultimo punto era quello che
decisamente lo lasciava più interdetto e confuso,
perché, insomma... non era possibile.
O si?
-Comunque Susan
è uscita molto tempo fa con Lucy, se è questo che
ti preoccupa- la voce limpida di Eve ruppe il silenzio che si era
creato, facendo riportare l'attenzione di Caspian su di lei.
La ragazza
aveva perso l'espressione divertita e stava parlando in modo serio.
Alla fine, capiva che quegli argomenti erano sempre un po' spinosi e
molto, molto personali.
-Non le dirai niente, vero?-
-Perché
no, scusa?- chiese, palesemente interdetta: almeno loro che avevano una
possibilità per amarsi senza paura dovevano approfittarne, e
lo diceva – pensava – per esperienza personale.
Certo, non sarebbe andata in giro a urlare ai quattro venti
ciò che Susan e Caspian provavano l'una nei confronti
dell'altro e viceversa, però una piccola spinta d'aiuto
poteva dargliela, come quando un bambino impara a camminare da solo.
-Beh, ecco… - iniziò Caspian, palesemente in
imbarazzo e reticente a parlare di quel discorso, mentre le sue guance
si coloravano leggermente e gli occhi dardeggiavano per la stanza.
-Non
dirmi che hai paura!- Esclamò sgomenta Evelyn, facendo
trapelare il disaccordo e capendo che quei due senza aiuti non
sarebbero arrivati a nulla.
Insomma, se lui aveva paura di farsi avanti
pur essendo palesemente ricambiato, lei cosa avrebbe dovuto dire
allora?!
Sospirò. Certe fortune che la gente aveva e non
coglieva non le avrebbe mai capite.
-Ti aiuterò io, stai
tranquillo- cercò di rassicurarlo.
-E da quando sei esperta
in relazioni d'amore, tu?-
le chiese ironico, per poi affrettarsi ad
aggiungere -Comunque no, grazie. Preferisco cavarmela da solo. Sono pur
sempre il Principe Caspian X- gonfiò il petto a quella
frase, lanciandole uno sguardo orgoglioso e soddisfatto.
La ragazza
evitò di rispondergli in tutte le lingue che conosceva.
-E comunque non mi
hai risposto prima- disse, riferendosi alla domanda ironica sulle
relazioni.
Evelyn ebbe un attimo di esitazione, prima di rispondere.
-Sesto senso-.
Caspian alzò palesemente un sopracciglio,
mentre Eve tirava un sorriso sul volto in una sorta di apparente calma
e convinzione.
-Sesto senso?-
le chiese il Principe alzando, se
possibile, ancor di più il sopracciglio.
-Si. Ogni ragazza
lo ha nel sangue, ma ahimè, tu non lo sei per ovvie ragioni-
disse la Pevensie riprendendo il tono sicuro di sempre e scoccando
un'occhiata palese al ragazzo di fronte a lei, per poi guardarsi
intorno nella cripta e sperando che il Principe non avrebbe continuato
quel discorso.
-Però non hai risposto- tentò di
sviare il discorso lui, cercando un contatto visivo.
-Si che ti ho
risposto- ribatté calma Eve, evitando di guardarlo. Non
poteva permettere, non poteva, che si formasse anche il minimo sospetto
che a lei piaceva – e piacere era dire poco –
qualcuno.
-Come se io credessi al fantomatico “sesto
senso”- fece il segno delle virgolette, Caspian,
come a voler
calcare sulle ultime due parole in modo scettico.
-Voglio qualcosa di
più dettagliato- finì sicuro, incrociando le
braccia al petto. Sperò di non averla urtata, ma davvero non
poteva credere ad una spiegazione così... così...
così.
Senza che se ne accorgesse la situazione si era fatta
pesante e la piega che stava prendendo il discorso non le piaceva per
niente. Come se non bastasse, senza che potesse fare niente Caspian era
riuscito a penetrare le sue difese che ogni volta che si toccava il
discorso Amore lei imponeva. Doveva sviare il discorso. E subito.
Stava
per rispondere, quando sia lei che Caspian sentirono dei passi
avvicinarsi ed Eve, più vicina all'entrata, riconobbe la
figura di Susan.
Perfetto.
Il sorrisino sul volto tornò e si
calmò, pronta a sviare la situazione spinosa in cui si stava
cacciando. Il Principe capì le sue intenzioni, ma prima che
potesse dire o fare qualcosa Eve lo precedette prendendo parola nel
momento in cui Susan entrava nella stanza.
-Caspian!-
esclamò, con fin troppa enfasi, e il ragazzo le
scoccò un'occhiata di rimprovero.
-Come sei gentile, ti
ringrazio- esclamò milleflua e fin troppo riconoscente,
sorridendo apertamente e catturando l'attenzione di sua sorella.
-Cosa
ha fatto?- s'interessò infatti, intromettendosi in una
discussione che in realtà non c'era e iniziando ad
avvicinarsi ai due.
-Oh, beh, io nie...- iniziò Caspian, ma
Eve lo interruppe tirandogli un calcio negli stinchi e prendendo parola
mentre il ragazzo reprimeva un rantolo di dolore, coprendo la visuale
di lui che saltellava sul posto a Susan.
-Non essere timido!-
esclamò – e sembrava molto più una
minaccia fatta tra i denti – girandosi e guardandolo torva.
-Sai Sue, Caspian è stato così gentile da avermi
aiutato con le coperte, visto che per ora non posso muovere il braccio-
spiegò, scoccando un ennesimo sguardo al ragazzo,
intimandogli di reggerle il gioco che lui stesso aveva iniziato.
-Mi
spiace, ti ho lasciata indietro perché ho accompagnato Lucy
fuori per raggiungere Edmund e Peter che erano svegli da prima di noi.
Ero appunto tornata indietro per chiederti si avevi bisogno
perché Ed ha fatto notare che tu non c'eri- si
scusò la Pevensie più grande con la sorella
minore, palesemente in colpa, accarezzandole la testa.
Questa le
sorrise, rassicurante e scuotendo la testa per minimizzare la cosa, e
Susan ricambiò.
-Grazie per aver aiutato mia sorella-
concentrò poi la sua attenzione su di lui, sinceramente
riconoscente per quella carineria. Il ragazzo di fronte a lei
sviò il discorso.
-Una cosa da nulla- proferì
sollevando una mano in aria e minimizzando il gesto che, alla fine,
aveva fatto volentieri. Guardando poi in direzione di Eve, per ricevere
un supporto, non la trovò. Difatti la Pevensie,
approfittando della situazione e del discorso tra i due, era uscita
dalla stanza, lasciandoli soli.
Solo loro due.
-Eve?- Quello di Caspian
sembrò più un'implorazione preoccupata che la
semplice esclamazione di un nome. Il ragazzo si stava agitando, non
aspettandosi quella situazione e sentendo la tensione salirgli e
bloccargli le idee.
-Sarà andata dagli altri, sai
com'è lei- la voce di Susan che stava impilando tutte le
coperte, giusto per tenersi impegnata, lo riportò alla
realtà, attirando l'attenzione del Principe.
-Ehm, si. Ho
imparato a conoscerla un minimo- le diede ragione, per poi dire la
prima cosa che gli veniva in mente.
-Tu come stai?- si decise alla
fine, cercando di assumere un tono vago.
Bel discordo Caspian,
complimenti.
-In che senso come sto?-
Ecco,
visto?
Il Principe corresse il tiro, cercando di prendere confidenza e
sistemare le cose.
-Intendo, come stai dopo l'attacco al castello di
Miraz?- Nel pronunciare quel nome il tono della voce gli si
incrinò, divenne freddo e distaccato, pungente come una lama
affilata, segno di quanto detestava suo zio. O meglio, quello che un
tempo considerava suo zio, ma che ora non vedeva altro se non come un
traditore, bugiardo e meschino.
Come aveva potuto lasciarlo governare
in quegli anni quando il legittimo erede era lui?
Susan capì
l'interessamento e ne fu lusingata, così si
affrettò a rispondere, per distoglierlo dal pensiero di
ciò che avevano scoperto la notte appena passata riguardo la
morte di Caspian IX.
Perdere un genitore, così come
qualunque persona cara, non è bello – e lo sapeva,
per quando aveva rischiato di perdere Edmund –; sapere che
inoltre è stato tradito da una persona di fiducia rende la
cosa ancora più amara.
-Fisicamente sto bene-
iniziò, portando l'attenzione del ragazzo su di lei. Aveva
lasciato perdere le coperte e si era girata apertamente verso il
ragazzo.
-Ma...?- le domandò lui, capendo che c'era altro
che la Regina voleva dire. Un tasto dolente, probabilmente.
-Beh, nella
mia mente sono parecchio confusa- continuò, esitante, mentre
con la schiena si appoggiava a una colonna di pietra e il ragazzo
l'affiancava, invitandola a continuare con un gesto della mano.
Confusa? In che senso confusa?
Caspian si domandò se forse
Evelyn non era totalmente pazza e qualcosa nel profondo del petto
vibrò di aspettativa.
-Insomma, tutti i soldati che abbiamo
perso, mi chiedo se ne è valsa veramente la pena-
spiegò la Pevensie mentre la tristezza per il ricordo dei
Narniani che non erano sopravvissuti ritornava. Gli occhi le si
oscurarono e abbassò lo sguardo, mentre un silenzio pesante
calava su di loro.
Caspian provò una leggera fitta di
delusione, come se qualcosa si fosse spezzato, sostituita
però in fretta dall'evocazione di quei ricordi.
-Secondo te
poteva cambiare qualcosa se restavamo qui come avevi detto tu?- chiese
lei, tornando a volgere il viso verso il ragazzo al suo fianco,
guardandolo con uno sguardo indecifrabile. Tra il dispiaciuto, lo
speranzoso e il frustrato.
-Non saprei- iniziò Caspian. La
bocca gli si era seccata, e si ritrovò ad umettarsi le
labbra.
Argomento spinoso, specialmente se fatto con la sorella di
colui che ha fatto ammazzare tutta quella gente. Come sarebbe andata?
Nessuno poteva saperlo, alla fine.
-Forse sì, alcuni che
sono morti forse potrebbero essere qui- fece una pausa, preparandosi a
ciò che stava per dire, mentre Susan lo ascoltava attenta.
-Però non è detto che sarebbero sopravvissuti in
seguito, magari era destino- Finì, non sapendo dare una
spiegazione logica a ciò che aveva appena detto, pensando
che magari erano morti era per qualche ragione, ragione totalmente
assurda.
Sempre se
c'era una spiegazione.
-Forse doveva finire
così, anche se il pensiero che poteva andare diversamente mi
attanaglia lo stomaco- ammise, mimando un'alzata di spalle.
-Non lo
sapremo mai, vero?- domandò Susan, più a se
stessa che a lui.
Entrambi tenevano lo sguardo fisso a terra, come se i
propri piedi fossero più interessanti, ognuno perso nella
sua mente e nei suoi pensieri, godendosi la presenza reciproca.
-No, mi
sa proprio di no-.
***
Speriamo
che quei due
si diano una mossa.
E lo sperava davvero, Eve, che quei due imbranati
riuscissero ad arrivare a qualcosa, fosse anche un minimo passo in
avanti.
Uscì dall'entrata e si permise di fermarsi e
respirare l'aria fresca di Narnia. Non ebbe tempo di perdersi in
ricordi malinconici, però, perché il mal di testa
le tornò con una leggera fitta a dominarle i pensieri, e
capì che era perché si stava sfogando la tensione
avuta nelle ore precedenti.
La Pevensie decise di occupare la mente con
altro, e stava giusto per muovere il primo passo verso il centro della
radura, quando un'ombra leggermente più alta di lei le si
avvicinò da dietro, facendo il minimo rumore indispensabile
quando i piedi toccavano il suolo.
Se non fosse stato che era abituata
grazie agli anni in cui aveva governato, le battaglie che aveva
affrontato e l'udito che riusciva a captare la maggioranza dei suoni
che spesso agli altri non arrivavano, non si sarebbe accorta della
presenza dietro di lei.
Che poi, a volte si era chiesta se erano
più spesso sensazioni sue.
Per riflesso portò la
mano che poteva muovere verso l'elsa di Asterius, impugnandola, senza
però estrarla e si girò di scatto, non tenendo
conto di quanta distanza ci potesse essere tra lei e la figura. Per
questo
andò a sbattere la faccia contro qualcosa.
Per il colpo
stava cadendo all'indietro, ma una presa salda che le si
serrò sul braccio le impedì il contatto con il
suolo. Alzando lo sguardo incrociò gli occhi di Edmund, che
la guardavano tra il rimprovero e il preoccupato.
Che diavolo le
saltava in mente di fare quella sorta di attacco?
-Dov'è
Lucy?- domandò, facendo uscire dalla bocca la prima cosa che
le veniva in mente.
Edmund corrugò la fronte, evitando di
chiedersi il reale perché di quella domanda.
-E' dentro con
Cornelius e Peter- rispose, accennando al rifugio dietro di loro,
lasciando la presa e incrociando le braccia al petto.
-Capisco- si
limitò a rispondere lei.
-Cosa volevi fare?-
-Io?- chiese
Eve, indicandosi con l'indice. -Niente!- si affrettò ad
aggiungere, cercando di essere convincente.
L'essere inopportuni era
una prerogativa di tutti loro, in certi momenti. Eccetto Susan, lei era
sempre perfetta al momento perfetto e diceva sempre le cose perfette.
-Quindi tu non stavi facendo niente- ripeté Edmund,
scandendo la frase.
-Niente di niente, posso giurarlo-
continuò Eve, mostrandogli le dita delle mani che non erano
incrociate.
-E quindi cosa ci facevi qui da sola?- le
domandò, curioso.
-Potrei farti la stessa domanda-
Impiccione,
pensò.
Edmund ridacchiò. -Sono venuto
a vedere cosa stavi facendo tu-.
In un'altra occasione, in cui sarebbe
stata sola, il fatto che suo fratello si fosse interessato a lei tanto
da raggiungerla l'avrebbe mandata in un brodo di cuoricini tutti suoi.
Purtroppo, doveva mantenere un certo comportamento davanti a lui e ai
Narniani.
-Beh, mi dispiace ma per tua sfortuna non ho ancora fatto
niente- lo rimbeccò, puntigliosa.
-Meglio. Vieni, ti cambio
la fasciatura-.
Cosa?
-No!- S'impuntò, mentre Edmund
iniziava ad avviarsi verso la cripta.
-Perché?- chiese
semplicemente lui, arrestando il passo e voltandosi nella sua
direzione,
non capendo.
-Non mi fa male. E poi la fasciatura non mi serve
più ormai, Lucy mi ha dato l'estratto del fiore di fuoco-.
Non voleva, in realtà, avere troppi contatti con Ed. Sapere
di poterlo sfiorare, abbracciare e toccare, sentirne il profumo senza
tuttavia poterlo vivere
liberamente era una tortura, un contraccolpo
che la faceva, ogni volta, sprofondare un pochino di più.
Non se ne sarebbe mai liberata.
Edmund sospirò.
-Dobbiamo
cambiarla perché rischia di fare infezione, e non credo tu
voglia questo- spiegò, con quel suo tono di voce calmo ma
che non ammetteva repliche sulle sue decisioni. Si avviò,
sentendo dietro di lui Evelyn che lo seguì, dopo aver
sbuffato sonoramente e strasciando i piedi sul terriccio.
Entrarono di nuovo nel rifugio ed Edmund si stava
per muovere verso la sala con la scultura di Aslan, dove c'erano in
quel momento Susan e Caspian. Appena si rese conto di questo Eve lo
superò di corsa e gli si piazzò davanti
impedendogli il passaggio.
-Cosa c'è ora?- le chiese,
alzando gli occhi al cielo. Quel pomeriggio era più strana
del solito.
-Non si può andare lì- fece veloce,
alzando il capo impettita.
Edmund alzò un sopracciglio.
Evelyn si mise a torturarsi le mani e a guardare in basso, cercando un
modo per spiegare la situazione. Ma la loro attenzione venne attirata
dalle risate che provenivano dalla sala della tavola di pietra.
-Era
per questo che non si può andare?- chiese divertito il
Pevensie, indicando le ombre dei due.
-Ehm... si- Eve si
grattò imbarazzata la testa -non dire niente a Peter-. Il
fratello annuì e le fece l'occhiolino, per poi aprirsi in un
sorriso che Eve ricambiò.
Rimasero per qualche attimo in
silenzio sentendo sempre Caspian e Susan, poi il minore dei fratelli
Pevensie si mise a guardare in giro, per cercare un altro posto
tranquillo.
-Allora andiamo là- fece, dopo pochi attimi,
prendendo Evelyn per il polso e costringendola a seguirlo.
Quella si fece trascinare senza remore, cercando di capire le
sensazioni che provava in quel momento.
-Siediti, io vado a prendere
una benda-
-Si capo- lo prese in giro lei. Osservò la figura
di suo fratello prendere delle garze e tutto l'occorrente per farle di
nuovo la fasciatura.
Voltò lo sguardo fuori al rifugio e
notò che il sole stava per calare. Senza neanche
accorgersene il tempo era passato senza che facessero nulla di
particolarmente rilevante. E le sembrava di non aver visto in giro
Dhemetrya, ne Lia o Antares.
Venne riscossa da Edmund che le si stava
avvicinando con una benda nuova. Le sciolse la fasciatura e
osservò la ferita: ferita che non c'era.
Al suo posto stava
una piccola cicatrice vagamente a forma di stella.
-Allora?- chiese
impaziente Eve, cercando in invano di guardare dietro.
-E' guarita, o
almeno così sembra- le disse Edmund, sfiorando la pelle.
-Prova a muovere il braccio-.
Evelyn fece come ordinato e
iniziò a muoversi senza avere nessun dolore.
-Non mi fa
male- disse, dopo vari movimenti. Il fiore di fuoco aveva fatto il suo
lavoro magnificamente. Insomma, aveva ridato vita a Trumpkin ed Edmund,
cosa sarebbe stato mai una piccola ferita alla spalla?
-Comunque per
precauzione ti rifaccio la mia fasciatura perfetta- disse il Re,
prendendo in mano una garza pulita e dopo aver constatato che quella
precedente era comunque macchiata di sangue.
Eve si lasciò
andare a quella premuta.
-...Va bene-.
***
Evelyn
si
guardò un attimo intorno e notò Cornelius, Lucy e
Peter, così si alzò e si avvicinò al
terzetto. Non appena arrivò si sedette vicino a Lucy e
iniziò ad accarezzarle i capelli, per poi rivolgere
l'attenzione al discorso tra suo fratello e il precettore.
-Oh, salve
Regina Evelyn- la salutò Cornelius, mimando un inchino. Eve
in risposta strinse leggermente un pugno, sorridendo nervosa, poi si
accorse che aveva tra le dita le ciocche di Lucy e si
rilassò, iniziando a farle una treccina.
-Puoi chiamarmi
Eve- gli fece notare, rilassandosi.
-Certamente- si scusò
allora Cornelius, tornando poi a rivolgere l'attenzione a Peter.
-Quindi ditemi, mio Re, il Grande Aslan esiste ancora?-
domandò, pieno di aspettativa. Avere a che fare con quelle
che fino a qualche giorno prima erano solo leggende non era certo un
evento che lo lasciava indifferente.
Questo parve destarsi dallo stato
di trance in cui era e fece per rispondere, ma Lucy lo precedette.
-Certo che esiste!- saltò in piedi, entusiasta, e la
treccina che le stava facendo Evelyn iniziò a sciogliersi.
-Aslan è qui, lo sento. Arriverà in nostro aiuto-
continuò, osservando negli occhi gli altri tre senza timore
delle sue affermazioni. Insomma, non era mica solo lei a crederlo,
vero?
Evelyn sorrise di rimando e la invitò a sedersi di
nuovo, mentre Peter le scoccò uno sguardo indecifrabile. Non
era certo colpa di Lucy se Aslan era così importante e tutti
lo aspettavano.
Però, dov'era allora? Perché
aveva permesso tutto quello e non dava loro un segno?
Il precettore
invece parve essere sorpreso.
-E ditemi, mia Regina- iniziò,
rivolto direttamente alla più piccola Pevensie, quella che
sembrava invece più propensa ad affrontare quel discorso.
-Davvero è così grande e potente?-
La Pevensie
si aprì in un sorriso, un sorriso pieno di gioia, mentre i
ricordi su Aslan le tornavano alla mente, così come le
ritornavano davanti agli occhi il sogno, nelle orecchie le sue parole
pacate e sagge.
-Aslan è il più grande leone che
io abbia mai visto. E' buono e ci ha aiutato quando siamo venuti la
prima volta qui ed è stato proprio lui a incoronarci a Cair
Paravel-.
-E' vero ciò che si dice su lui-
l'aiutò Evelyn, spiegando con più pacatezza
ciò che l'uomo chiedeva.
-La sua criniera è
davvero morbida e il suo ruggito è così potente
che si può sentire fino ai confini orientali. Solo lui
è capace di grandi cose che noi non potremmo nemmeno
spiegare. Non è vero, Peter?- finì, rivolgendosi
poi al fratello.
Quello nemmeno si girò a
guardarla, limitandosi ad annuire distrattamente, senza rompere quel
silenzio in cui si era ostinatamente chiuso. Aveva talmente tanti
pensieri e tante domande che Aslan e le sue capacità erano
solo una piccola parte che preferiva non tirare a galla.
-Perché fa così?- Lucy si rattristò e
guardò il fratello e poi Eve, preoccupata.
-Anche i grandi Sovrani
fanno degli errori- prese parola Cornelius, rivolto alle due ragazze.
-E poi bisogna pagare le conseguenze delle proprie decisioni-.
***
Dalla
parte opposta al
precettore e alle due ragazze stavano Lia e Antares.
La lupa se ne
stava distesa sotto la fronda di un albero al lato della prateria, al
confine con l'inizio del bosco, mentre il destriero si limitava a
girarle intorno.
-E' lei?- le chiese, alzando il collo e scuotendolo.
-Si- Lia continuò ad osservare la figura della penultima
Pevensie, che parlava amabilmente con Cornelius, poi si
sdraiò maggiormente, poggiando il muso sulle zampe mimando
una posizione di rilassamento.
-Non dobbiamo far altro che aspettare,
allora-.
Il silenzio della compagna fu una risposta più che
eloquente. Non avevano bisogno di usare troppi giri di parole, tra
loro.
-Dov'è Dhemetrya?- chiese poi, sperando invano che la
lupa potesse dargli una risposta diversa rispetto a quella che
già sapeva.
-Lei... lo sai, lo senti anche tu-
Fa troppo
male. Lasciatemi sola. Per favore.
-...Si-.
***
Evelyn
aveva parlato
molto con Cornelius, e se non fosse stato per Caspian a quell'ora
sarebbe stata ancora presa a raccontare del suo mondo e dell'entrata in
Narnia.
Si avvicinò alle sue coperte e le sistemò
alla bene e meglio, cercando di essere delicata – per una
volta – e fare il meno rumore possibile. Si sdraiò
e cercò una posizione comoda, dopodiché si perse
nei ricordi di un tempo che aveva raccontato al precettore.
In
particolare le venne in mente il giorno dopo l'incoronazione, quando
scoprì che Aslan, oggetto di spicco nei discorsi di poco
prima, se n'era andato davvero.
***
Evelyn
osservava il
paesaggio dalla grande balconata che dava sul mare dell'est e sulla
spiaggia.
La stessa spiaggia da dove lui era sparito. Se guardava bene
poteva ancora vedere le impronte di Aslan sulla sabbia del bagnasciuga
che ad un certo punto s'interrompevano.
Aveva chiesto subito dopo la
festa dove fosse il grande leone per ringraziarlo di tutto e aveva
saputo da Peter che era andato via.
Andato
via.
Senza salutarli. Senza
permetterle di salutarlo. Senza nemmeno dare uno straccio di
spiegazione – anche se, come poi avrebbe capito, le
spiegazioni il leone le dava in modo criptico e stava a loro
interpretarle.
Lei voleva ringraziarlo per aver perdonato Edmund, per
averlo salvato, per averli aiutati, per essere stato la loro
guida… e non aveva potuto perché lui era sparito,
andato chissà dove.
Si era sentita tradita, per un attimo:
prima li fa chiamare dalla Grande Magia, li incorona Sovrani di Narnia,
li fa combattere in una battaglia dove rischiano la vita, loro poco
più che bambini... e poi scompare, lasciandoli da soli a
governare un regno.
Eve sospirò, continuando a guardare il
mare alla sua sinistra, come se sperasse di vederlo tornare, che era
solo un momento improvviso quello per cui era andato ma aveva fatto
ritorno per stare accanto a loro.
-Eve-
Una voce la riscosse dai suoi
pensieri, e girandosi impercettibilmente riconobbe Edmund, negli
sgargianti abiti, il mantello che tocca lievemente terra
perché troppo lungo.
-Si?-
-Ti volevo chiedere cosa facevi
qui- affermò, avvicinandosi e sistemando meglio sul capo la
corona D'argento. Quella cosa non voleva saperne di restarsene ferma
senza scivolare.
-Niente- si limitò a rispondere lei,
continuando a osservare il panorama.
-Andiamo!- la riprese lui,
improvvisamente con il tono di voce più alto, e Eve
sobbalzò, guardandolo.
-Non puoi stare qui a fare niente, devi pur far
qualcosa!-
Evelyn storse leggermente il naso, voltandosi completamente
verso suo fratello e appoggiandosi con un gomito alla ringhiera di
cemento della balconata.
-Non eri tu quello che diceva che si poteva
stare benissimo in casa perché l'aria c'è anche
dentro?- gli fece notare, scocciata, ricordandogli il discorso a casa
del professore. Quanto era insopportabile suo fratello in quel
periodo...
Edmund chinò il capo e la corona
scivolò nuovamente in avanti.
-Si, beh… ma non
centra- le fece notare, togliendosela.
-E poi dai, vieni dentro. Lucy e
Susan hanno fatto una torta- le disse, facendole capire il
perché la cercava.
-Lucy e Susan? Una torta?-
Quello in
risposta alzò le spalle.
-Beh, almeno ci hanno
provato… basta che non mi avvelenano-.
Eve gli diede una
piccola pacca sulla spalla per ammonirlo della frase appena detta:
Susan era bravissima a fare dolci, insieme alla mamma.
La mamma,
chissà come stava. E chissà se papà
era ancora in guerra.
-Edmund! Evelyn! Venite dai!-
Le voci di Tumnus e
Lucy li chiamarono, mentre Peter parlava con il signor Castoro e la
moglie era intenta a sistemarsi meglio il pelo castano.
-Arriviamo!-
Edmund prese per mano Eve e la condusse dentro. Questa
s'impuntò con i piedi e volse un'ultima volta lo sguardo
alla spiaggia e al mare, in un ultimo gesto di speranza.
“Tornerà”.
Sentì un sussurro vicino all'orecchio e le sembrò
che una leggera brezza le accarezzasse il collo, e sgranò
gli occhi, colta in un primo momento dal panico.
Chi... ?
-Eve?
C'è qualche problema?- le chiese Edmund, riportandola alla
realtà.
Questa negò con la testa, non riuscendo a dire una parola
– mai
avrebbe rivelato in futuro, poi, quel dettaglio – per poi
farsi condurre dal fratello maggiore dagli altri.
E poi furono solo
risate.
***
Evelyn
ricordava bene
quei momenti: la torta fatta da Lucy e Susan era buonissima, e in poco
tempo non ne era restata più neanche una briciola - e non
era un modo di dire.
Si era divertita moltissimo quel giorno, come
quelli a seguire, per giorni, settimane, mesi e anni in una Narnia viva
che trasmetteva voglia di vivere.
Si girò dalla parte
opposta, maledicendo il mal di testa che era tornato e cercando di
addormentarsi.
Scusate.
Scusate,
anche se non ho propriamente scusanti. Mesi
d'inferno, come già dicevo in Blood Legacy.
Come sapete
questa storia era già stata scritta (fino ad un certo punto)
e sto sistemando il
lessico/la grammatica e aggiungendo le parti in più che la
differenziano dalla precedente, quindi non me la sono sentita di
togliere la parte riflessiva di Caspian sui Pevensie. ^^' E quella
sulle caratteristiche di Eve, non è data “a
caso”, nel senso che poi avrà anche un suo
significato. Allora, si
continua nel post battaglia, adesso ci saranno dei capitoli di
assestamento vario con le varie reazioni.
Non
so quanto ci metterò per il prossimo
capitolo, spero di riprendere un buon ritmo piano piano. Niente in
particolare da dire
riguardo questo.
Ringrazio chi continua a seguire e leggere
portando una pazienza immensa. :)
Grazie mille,
Dhi.
|
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Capitolo 23 *** La musica incantatrice dei ricordi. ***
Le note sono a
fine capitolo, nel frattempo, ecco un breve riassunto sugli eventi
accaduti fino ad
ora:
Peter, Edmund, Susan, Lucy ed Evelyn sono tornati a Narnia,
trovandola cambiata ed invasa dai Telmarini. Assieme a Caspian, cercano
di convincere i Narniani a combattere al loro fianco per spodestare
Miraz, ma il primo attacco al castello dell'usurpatore si rivela
disastroso. Nel frattempo al loro fianco si sono uniti Lia, una lupa
dagli occhi di ghiaccio che riesce ad avere subito la fiducia di Eve e
che sa che è segretamente innamorata di Edmund;
Dhemetrya, una ragazza chiusa nel suo mondo e che sembra avere un
profondo legame con la Grande Magia tanto da chiamarla "madre" e che al
momento, a causa della sconfitta disastrosa, è scappata di
nascosto dal campo; ed
Antares, un destriero che per vari anni è stato rinchiuso
nelle scuderie del castello di Telmar. Tutti e tre si conoscono
sembrerebbe fin dai tempi di Jadis e custodiscono un segreto che li
lega
riguardante Narnia tenuto nascosto per
più di milletrecento anni.
Narnia'
Spirits
La
musica
incantatrice dei
ricordi
Tutti
i Pevensie si
svegliarono la mattina presto quando il sole era sorto da poco,
illuminando la radura e il bosco in cui si trovavano.
La natura giaceva
imperterrita nel suo silenzio, ferma e immobile come se tutto
ciò che stava succedendo sulla terra da cui prendeva vita
non la riguardasse minimamente.
In poco tempo tutti si ritrovarono
preparati e pronti per iniziare quell'ennesima giornata.
Avevano deciso
di dormire nuovamente tutti insieme, perché si sentivano
più sicuri e lasciando così un paio di stanze del
rifugio sotterraneo per i feriti che necessitavano di cure e di un
posto tranquillo in cui riprendersi.
Anche Lucy non si volle tirare
indietro ai suoi doveri, nonostante Peter avesse tentato in tutti i
modi di convincerla a dormire ancora qualche ora. Ma la Pevensie aveva
rifiutato caldamente, rassicurando il fratello maggiore dicendogli che
avrebbe solo passato la mattina con Trumpkin, per vedere come stesse, e
Antares, per poterlo conoscere meglio.
Il maggiore aveva allora ceduto,
espirando un grosso sospiro, dicendole di non allontanarsi dal rifugio
e seguendola quando la sorellina si era avviata fuori dalla stanza di
Aslan, prima con lo sguardo e poi con la sua persona.
Evelyn ed Edmund,
che avevano seguito tutta la scena, mentre Caspian parlava fitto fitto
con Susan poco lontano da loro, si ritrovarono a sorridere di quelle
premure: ormai Lucy era grande, già una volta era diventata
una donna a tutti gli effetti, ma Peter continuava a tenerla d'occhio e
prestarle costanti attenzioni come se fosse ancora la bambina piccola e
innocente che aveva scoperto Narnia.
Era anche l'unica con cui aveva
parlato un po' di più da quando erano tornati dalla
battaglia, senza limitarsi a rispondere a monosillabi come invece
faceva con loro, perché con Lucy riusciva in qualche modo a
smussare certi suoi lati spigolosi per non darle il dispiacere di
ricevere una brusca risposta.
Eve voltò il viso verso sua
sorella maggiore e il Principe e sorrise di più,
osservandoli dalla sua posizione.
Quanto avrebbe dato per
poter sapere
di cosa parlavano!
Sembravano divertirsi e vedeva negli occhi di sua
sorella e del ragazzo da parte a lei uno speciale luccichio negli
occhi, oltre che le loro espressioni distese e serene.
Pensò
che fossero fortunati, perché insieme sembravano riuscire a
lasciarsi alle spalle il ricordo della notte terribile che avevano
passato nemmeno due giorni prima.
Sospirò, dispiaciuta e
affranta, distogliendo lo sguardo e posandolo sulla lapide che le stava
di fronte.
Lei non poteva mostrare il luccichio che avevano i suoi
occhi quando parlava con Edmund, ne poteva – o forse era
più corretto dire voleva – confidarsi con qualcuno
riguardo tutto ciò che stava succedendo dentro di lei.
Gli
eventi si stavano succedendo tutti in maniera fin troppo rapida da
lasciarla quasi senza fiato.
Dover pensare a celare i suoi sentimenti
agli occhi degli estranei e dei suoi fratelli, preoccuparsi delle sorti
di Narnia, del suo mondo che inesorabile sembrava andare verso una
sorte già decisa, cercare di fare la parte della ragazza
forte... erano tutte cose importanti e di cui sentiva di non stare
riuscendo a gestirne il peso come avrebbe voluto.
Dopotutto, Lia
l'aveva scoperta nemmeno un giorno dopo.
Il fratello da parte a lei la
osservava di sottecchi, provando a cercare di intuire a cosa pensasse
mentre guardava il vuoto, invano.
Evelyn quando si chiudeva nella sua
testa diventava impossibile da raggiungere.
La sorella chiuse gli occhi
e ispirò profondamente, come a volersi rilassare e svuotare
la mente, dopodiché si voltò verso di lui, che
sussultò per essersi fatto scoprire mentre la fissava.
-Vado
con Lucy e Peter, tu che fai?- gli chiese, non facendo caso alla sua
espressione di timore per averlo colto sul fatto, guardandolo dritto
negli occhi scuri mentre attendeva risposta.
Edmund ebbe un attimo di
esitazione, e si grattò una guancia, pensieroso.
-Beh… - iniziò, voltandosi verso Susan e Caspian
senza celare di starsi mettendo a guardare anche loro. Di certo non
poteva andare da loro a fare da terzo incomodo, rifletté,
rompendo quel quadretto che trasudava un'atmosfera distesa e serena.
Era sicuro che pur non vedendola Evelyn fosse pronta a fulminarlo se
avesse sbagliato a dare risposta e anche solo osato avvicinarsi ai due.
-Vengo anche io- rispose, tornando a fissare la sorella minore. La vide
annuire, ghignando in direzione del Principe e di Susan, per poi
girarsi e avviarsi in cerca del fratello maggiore e della sorellina
minore.
Le fu subito dietro, allungando il passo per raggiungerla, e
non poté non ripensare in quel momento in cui aveva visto
sua sorella e Caspian scambiarsi sguardi eloquenti e sorrisi
imbarazzati, a quando a Londra l'aveva vista andare via dispiaciuta
dopo che le aveva risposto che l'amore era una cosa per femmine.
Non
che l'avesse fatto apposta, solo che aveva risposto senza pensarci.
Inoltre era stato inquieto, perché Evelyn aveva passato
tutto il tragitto da casa a scuola a parlare con quel Simon.
Lei, che
non dava confidenza a quasi nessuno preferendo isolarsi in un mondo
tutto suo – che guarda caso somigliava a Narnia.
Erano stati
attimi infiniti in cui aveva avuto un sentimento di profondi gelosia e
terrore combattere dentro di lui, incatenandogli il cuore e facendogli
sentire una morsa allo stomaco, il quale si era sentito impotente di
fronte all'eventualità che Eve gli venisse strappata via
dall'interesse nato per un ragazzo.
E lui non avrebbe potuto
farci
niente a riguardo.
Scosse la testa e un ricordo gli balenò
nella mente, risalente a dopo il primo incontro con Simon.
Perché ovviamente lui era tornato alla carica, riprovando a
fare colpo su Eve.
La sorella minore che lo precedeva intanto era
immersa nei suoi pensieri ricordando con un sorriso quando quel Senhal
aveva riprovato ad avvicinarla il pomeriggio dello stesso giorno; non
sapeva che quel ragazzo era stato attirato da lei in modo quasi
inconscio, solo che, appena l'aveva vista, qualcosa era scattato dentro
di lui.
Se qualcuno le avesse detto che lei ed Edmund stava pensando
allo stesso momento, anche se visto da due differenti prospettive,
avrebbe riso dicendogli di non prenderla in giro.
***
Evelyn,
Susan e Lucy
erano all'edicola che si trovava davanti alla stazione, la stessa a cui
si fermavano sempre, sia in compagnia che singolarmente, per apprendere
le notizie che succedevano nel mondo o concedersi del tempo per
riflettere fingendo essere occupate.
Susan stava leggendo un
quotidiano, fintamente interessata - per lo più faceva
scorrere gli occhi leggendo qualche riga sparsa, Evelyn osservava le
macchine passare per la strada grigia seguendo con gli occhi la loro
direzione e Lucy si guardava in giro, gli occhioni che trasudavano
impazienza, cercando di scorgere tra la folla di studenti che si
riversava sui marciapiedi Edmund e Peter, che lei e le sorelle stavano
aspettando.
La Pevensie sbuffò rassegnata e imbronciando il
viso quando, per l'ennesima volta, non li vide tra la nuova orda di
studenti che stava arrivando.
Probabilmente si erano trattenuti da
qualche parte e loro erano li come delle allocche ad aspettarli per
tornare a casa, perdendo del tempo in cui invece potevano
già essere sulla via di casa.
Ma Peter era stato categorico
a riguardo: mai prendere il treno da sole. O lui o Edmund dovevano
essere con loro.
Sorrise, ricordandosi l'espressione allibita di Evelyn
e Susan nel sentire quella frase, ma il fratello maggiore era stato
convincente nella sua spiegazione: non erano a Narnia, dove nessuno
avrebbe fatto loro del male e dove potevano avventurarsi per i boschi
da sole; erano a Londra, nel loro mondo di nascita, un mondo sconvolto
dalla guerra in corso e con un tasso di criminalità non
indifferente, con persone pronte a arrabbiarsi anche per le
più piccole cavolate.
Alla fine anche le sorelle ci avevano
fatto l'abitudine, sebbene la loro voglia d'indipendenza spesso le
metteva nella posizione di cercare di imporsi sul più grande
ricordandogli che non era più ragazzine e non erano
più a Narnia.
Ma a maggior ragione, Peter aveva risposto che
la mamma li aveva affidati a lui. Erano una sua
responsabilità.
-Uffa,
ma quanto ci
mettono?-
La voce di Evelyn che a stento tratteneva il tono scocciato,
fece voltare Lucy verso le due sorelle maggiori riportandola alla
realtà, strappandola dai ricordi di quel dibattito ormai
lontano.
Susan posò il giornale insieme agli altri dopo
averlo piegato con cura, come se non lo avesse mai letto.
-Perderemo il
treno- proferì, senza guardarle ma voltandosi ad osservare
il grande orologio appeso alle parete della stazione, la mani che
lisciavano ancora i fogli del giornale già dritti.
-Se
iniziassimo ad andare?- azzardò Eve, mettendo una mano sulla
fronte per coprire gli occhi da un raggio di luce che la stava
infastidendo.
-Lo sai che non possiamo prendere il treno da sole- le
rispose Lucy, rammentandole il discorso di Peter, che si era voltata a
fissarla insieme a Susan.
Quella in risposta si aprì in un
sorrisino che la sapeva lunga, ghignando in direzione della minore e
scambiandosi un'occhiata eloquente con la maggiore.
-Peter ha detto che
non possiamo prendere il treno, non che non possiamo andare in stazione
per aspettare
il treno- sussurrò, ovvia, avvicinandosi
all'orecchio di Lucy chinandosi leggermente in avanti e incrociando le
braccia sotto il seno.
Le tre Pevensie si scambiarono una silenziosa
occhiata d'intesa e presero le loro borse, per poi avviarsi con calma
verso la metropolitana.
Scesero le scale, che spesso occupavano delle
risse, e si sedettero sulla loro panchina – quella stessa
che, mesi dopo, sarebbe stata l'ultima cosa Londinese con cui avrebbero
avuto contatto prima di tornare a Narnia dopo un anno e mezzo.
Loro
perché, a detta di Lucy, quella panchina aveva qualcosa di
speciale e si sedevano sempre lì per aspettare il treno.
Le
tre posarono a terra le loro borse e si sedettero, lasciando
volutamente Evelyn nel mezzo.
Susan e Lucy si scambiarono un'occhiata
da dietro la testa della Pevensie, poi la più piccola prese
parola, con un finto tono innocente.
-Eve, parliamo di qualcosa. Tanto
abbiamo tempo-.
Quella in risposta si girò verso di lei,
sbattendo le palpebre e non capendo dove volesse arrivare con una frase
posta in quel modo.
Perché chiederlo a lei, poi?
-Di cosa
dovremmo parlare?- le domandò, curiosa, portandosi una
ciocca di capelli dietro l'orecchio.
-Mah non so… che ne
dici di questa mattina? Susan tu sei d'accordo, vero?- chiese,
fintamente tonta, sporgendosi leggermente per poter guardare la
maggiore in volto, la quale le sorrise di rimando.
Gli occhi delle due
brillarono di intesa.
-Certo- fece poi Susan, entusiasta, come se Lucy
avesse avuto un'idea grandiosa.
Evelyn roteò gli occhi,
sospirando pesantemente.
Ecco,
lo sapeva.
-Come si chiama?-
iniziò impaziente Lucy, avvicinandosi leggermente al suo
volto e appoggiando le mani sulla panchina.
-Chi?- domandò
Eve, il tono stanco di una persona che non vuole più parlare
perché ha già dato fin troppe spiegazioni senza
venire ascoltata.
-Ma come chi? Il ragazzo di stamattina, no?-
intervenne Susan, attendendo risposta. Sapeva che Eve faceva solo la
finta disinteressata per non dover parlarne con loro.
-Ah... lui- fece
finta sorpresa – come Susan aveva immaginato, poi si
costrinse a fare mente locale per rispondere. Davvero all'incontro di
quella mattina ci aveva dato poco peso.
Ma almeno il nome lo ricordava.
-Simon Senhal-.
Sperava fosse giusto.
-Sentila Susan, sa già
il suo nome e cognome- insinuò Lucy, parlando come se la
sorella non ci fosse tra di loro. La diretta interessata
sbuffò, non contenta di quella situazione – le
piaceva mettere in imbarazzo gli altri, non ritrovarcisi.
-Certo che lo
so, me lo ha detto lui come si chiama!-
La minore continuò
come se quella non avesse mai parlato, abituata a quei modi di fare
schivi e esasperati quando non le piaceva un argomento trattato.
-Non
ti pare geniale, Susan? Di solito Eve ci mette secoli a ricordarsi di
qualcuno che non sia di famiglia. Perfino nostra zia Sarah, che abita
fuori città e vediamo poco stenta a riconoscere-
constatò divertita, alludendo al fatto che le prime volte
che zia Sarah andava a trovarli, ogni volta che Evelyn apriva la porta
e se la ritrovava davanti gliela sbatteva in faccia accompagnata da un
sonoro -Non compriamo niente!-
-Non è colpa mia se si veste
come una zingara perché abita in campagna!-
ribatté offesa e indignata Eve, capendo a cosa Lucy si
riferiva.
Avevano fatto quel discorso centinaia di volte, cavoli!
-Invece, ricordare il nome di un ragazzo che ha visto solo una volta
non le crea problemi- rifletté Susan, rivolta alla
più piccola Pevensie continuando ad ignorare Evelyn che
stava diventando sempre più impaziente e irritata.
Le
iniziava a odiare per il fatto che non la stessero calcolando
minimamente in quello che dicevano, come se non ci fosse.
Le due
risero, divertite dalle reazioni della Pevensie, ma si trattennero
dallo scoppiarle a ridere in faccia, limitandosi a guardare la sua
espressione imbronciata e gli occhi che scattavano da una parte
all'altra della banchina.
-Gatta ci cova-.
-Ehi
Pevensie!-
Una
voce decisa, conosciuta purtroppo da Eve, irruppe allegra nella
conversazione. Si mise le mani nei capelli, mal celando il senso di
disperazione che l'aveva colta per quella nuova presenza, guardando
forse fin troppo in cagnesco il ragazzo di fronte a lei, che non ne
capì il motivo.
Sentiva Susan e Lucy accanto a lei
sghignazzare.
“Sono a posto” pensò,
maledicendo Simon in tutte le lingue che conosceva e Peter ed Edmund
per essere finiti chissà dove. Chissà come mai
quando servivano non c'erano mai, quei due.
-Tu devi essere Simon!- la
voce squillante di Susan congelò i pensieri della Pevensie
contro i fratelli; vide la sorella maggiore avvicinarsi al ragazzo e
porgergli la mano.
-Sono Susan, la sorella maggiore di Eve e lei
è Lucy- fece, presentandole, sorridendo in un modo fin
troppo ampio e pacato.
Lucy accennò a un saluto con la mano
quando Senhal incrociò il suo sguardo, mentre la sorella,
accanto a lei, sentì l'orrore farsi strada dentro di se.
Mai
come in quel momento avrebbe voluto sbattere la testa contro il muro
fino a spaccarsela o avere il coraggio di buttarsi sotto un treno in
arrivo.
Puntò lo sguardo su una Susan e una Lucy intente a
parlottare con Simon che, a differenza sua che avrebbe seriamente
voluto solo sprofondare, non dava segni di nervosismo o imbarazzo.
Anzi, sembrava perfettamente a suo agio con le sue sorelle, come se
fosse abituato a trattare con le ragazze, notò con stupore
Eve, imbambola a fissarli e senza aver ancora detto una parola.
Magari ne aveva anche lui in famiglia.
Decise di alzarsi in piedi e
avvicinarsi a Simon, interrompendo la conversazione dei tre in modo
poco garbato.
-Avevi bisogno di qualcosa?- gli chiese, freddamente,
sperando di levarselo di torno il più in fretta possibile
con quei modi bruschi.
-A dire la verità…
sì- le rispose, inchiodandola con lo sguardo sul posto.
Tutta la sicurezza nel comportarsi male le scemò via, senza
nemmeno lei sapere bene il motivo.
-Che cosa?- intervenne Lucy, curiosa
e in aiuto della sorella che aveva visto rimanere spiazzata.
Simon parve esitare un attimo prima di parlare con la minore,
però poi prese parola, mentre le sorelle della ragazza che
gli interessava lo guardavano, in attesa.
In realtà, non
sapeva nemmeno bene lui cosa stesse facendo quel giorno.
Aveva visto
Eve, e gli si era dovuto avvicinare per parlarci, attirato come gli
orsi vengono attratti dal miele.
-Volevo invitare Evelyn a fare un giro- iniziò, scoprendosi.
Tossì per togliere la secchezza che sentiva in gola,
percependo un velo di imbarazzo prendersi possesso di lui.
-Ma vorrei
il permesso da vostro fratello, ehm… - si interruppe un
attimo, incerto sul nome da dire.
-Peter- gli suggerì Susan,
sorridendogli tranquilla.
-Si, Peter- ripeté Simon,
ricambiando il sorriso, sollevato per la reazione di calma che aveva
avuto la maggiore delle sorelle. Sapeva che con quel ragazzo c'erano
stati degli episodi di astio, ma sperò che potesse fare
un'eccezione, se glielo chiedeva con calma e ne parlavano da uomo a
uomo.
-Però non lo vedo, quindi mi sa che sarà
per la prossima volta-.
Scordatelo.
Evelyn sorrise
vittoriosa, esultando dentro di sé come se le avessero dato
una notizia bellissima che aspettava da tempo. Era salva. Peter non lo
avrebbe mai permesso, e ringraziò per una volta le manie
protettive del maggiore – per una volta, non gli sarebbe
andata contro.
La
sua
felicità durò pochi secondi, però,
perché ci pensò Susan a irrompere in quel suo
stato di esaltazione, riportandola alla realtà.
-Oh, ma ti
do io il permesso-.
Cosa?
Evelyn trattenne un urlo per quell'impiccio,
stringendo i pugni e fulminando Susan con lo sguardo – che,
in tutta risposta, la ignorò, rivolgendo la sua attenzione a
Simon senza preoccuparsi delle occhiate inceneritrici che le lanciava
sua sorella.
Un giorno era sicura che l'avrebbe ringraziata.
-Davvero?-
domandò Senhal, titubante, guardando il volto di Eve,
improvvisamente pallido. Era sempre più convinto non stesse
bene, perché non aveva minimamente partecipato alla
conversazione.
-Certo. Dopotutto io sono la seconda, quindi vale anche
la mia parola quanto la sua. Vero, Lucy?- ragionò, guardando
poi la sorellina minore annuire quando le chiese silenziosamente
manforte.
-Sono sicura che Peter non avrà problemi se
è Susan ad averti dato il permesso- la aiutò.
-Ma
tu non sei Peter- proferì debolmente Evelyn, a quel punto,
cercando di trovare una scappatoia e con gli occhi che imploravano
pietà per quella combutta.
Si sentì sopraffatta
dalla volontà delle sue sorelle di volerla far uscire a
tutti i costi con un ragazzo.
-Ho la sua stessa autorità-
Susan mise le mani sui fianchi, un gesto fatto più per
abitudine che per un motivo di imporsi.
-Ma tu non sei Peter-
riprovò la Pevensie, calcando sul non, sussurrandolo in un
modo quasi lento. -Prova a pensare se lo venisse a sapere-
finì, cercando di metterle la pulce nell'orecchio facendole
venire qualche dubbio.
Ci pensò Lucy, a colpire Evelyn
nell'orgoglio, forse senza voler davvero.
-Non dirmi che hai paura di
Peter-.
Vide
la sorella farsi
seria e composta, non tardando la sua reazione a quella frase.
-Certo
che no- proferì, improvvisamente calma e sicura di se, non
capendo cosa centrasse la paura di Peter con il suo non voler uscire
con Simon.
Forse le sue sorelle pensavano che fosse quella la causa del
suo rifiuto.
-Bene, allora andate e divertitevi- iniziò
Lucy, mentre Susan spingeva una riluttante Pevensie verso Senhal.
-Cerca di tornare per il treno delle 18.30-
-E voi?- Evelyn si
girò verso la sorella sgusciando via dalla sua presa sulle
spalle, dando la schiena al ragazzo che l'aspettava.
-Noi staremo qui
ad aspettare Edmund e Peter, poi torneremo a casa. E non preoccuparti
per la borsa, la prendiamo noi- Eve strabuzzò gli occhi,
rendendosi conto forse solo in quel momento che davvero le toccava
passare del tempo con Simon.
No, i suoi fratelli non sarebbero stati
contenti di quella decisione di Susan, per niente.
-Ma... la regola di
Peter?- Susan sbuffò.
Peter, Peter, Peter: in quel momento
ciò che voleva era solo che Evelyn si distraesse un po',
perché era stanca – e preoccupata –
dell'isolamento verso cui stava andando sempre più spesso.
-Al diavolo- le sussurrò, rivolgendosi poi al suo
accompagnatore. -Simon, l'accompagni tu a casa con il treno delle
18.30?-
-Certo. La vostra fermata è quella prima della mia-
la sua risposta non tardò ad arrivare, ma la Pevensie non
aveva avuto dubbi che, anche se avessero abitato più
lontani, non si sarebbe fatto problemi per riaccompagnarla a casa.
-Divertiti- le raccomandò la sorella minore, mentre Susan le
faceva l'occhiolino, attenta a non farsi vedere da Simon.
Evelyn storse
la bocca, dando poi due baci sulle guance delle sorelle e avviandosi
poi fuori dalla stazione con il ragazzo accanto. Di spalle, non le vide
battersi il cinque.
Eve
sospirò: ma chi gli e l'ho aveva fatto fare? Avrebbe voluto
avere più forza di imporsi e capacità di dire no,
ma da una parte non aveva il coraggio di ferire i sentimento del
ragazzo che adesso camminava accanto a lei sul marciapiede.
-Tu vai alla
stessa scuola dei miei fratelli- disse, per smorzare il silenzio
creatosi tra loro.
Simon si limitò ad annuire, senza
voltarsi a guardarla, limitandosi a lanciarle delle brevi occhiate.
-Si, li vedo a scuola, a volte-. Surclassò di dire che lui e
Peter non si erano mai piaciuti a pelle.
-C'è un motivo
particolare per cui ora mi trovo qui?- chiese Evelyn, forse fin troppo
diretta, non sapendo come gestire la situazione. Pensò che
con Edmund era tutto più facile, nonostante la situazione
ben più complicata.
-Si- le rispose Simon, improvvisamente
contento e deciso.
Avevano continuato a camminare fino ad entrare in un
parco, ed Eve si perse ad osservare gli alberi automaticamente, prima
che la risposta di Senhal la riportasse alla realtà.
-Volevo
chiederti se ti andava di uscire con me sabato pomeriggio-.
Eve
si
ritrovò a sorridere percependo un mal celato imbarazzo nel
ragazzo di fronte a lei, e non poté che rispondergli di si
– se non altro, apprezzava il coraggio e la tenacia che
dimostrava.
-Ora che mi sono tolto questo peso, che ne dici se ti offro
una cioccolata calda?- le chiese, porgendole gentilmente la mano.
Evelyn pensò stupidamente che i soldi che aveva erano tutti
nello zaino che aveva preso Susan da portare a casa. Si
scusò con il ragazzo, imbarazzata, ma quello la
rassicurò, dicendole che dopotutto era stato lui a invitarla
all'improvviso.
Si stupì di come la tensione fosse
scemata in pochi minuti, ascoltando il moro, che prima era quasi
taciturno, raccontarle delle giornate passate a giocare a calcio con
gli amici, invitandola anche ad andare a vederlo qualche volta durante
gli allenamenti.
Passarono
il
pomeriggio a parlare del più e del meno davanti ad una tazza
di cioccolata con la panna e dei biscotti freschi, in un tavolino di un
bar del centro la cui vetrata dava sul parco di poco prima.
Parlarono
dei loro interessi, della loro famiglia, vagamente anche del loro
passato – ciò che accomunava tutti i ragazzi, di
quei tempi, era la durezza della vita che la guerra aveva portato nelle
loro esistenze.
Eve scoprì che Simon aveva una sorellina
più piccola di nome Jenne e un fratello più
grande di nome Richard e che anche suo padre, come il suo, era in
guerra.
Il pomeriggio alla fine passò in modo
così piacevole che Evelyn non s'è ne accorse,
persa a pensare a quante scene avesse fatto con le sue sorelle per
niente, fino a quando non sentì il rintocco delle sei.
Simon
si offrì di pagare come aveva detto, nonostante la Pevensie
gli disse che gli avrebbe ridato la sua parte la volta successiva, ma
quello minimizzò, avviandosi verso la stazione.
-Quanti anni
hai, Simon?- gli chiese, mentre si avvicinavano alla panchina di poche
ore prima – quella panchina maledetta, pensò Eve,
le sembrava quasi di vederci sedute Susan e Lucy che se la ridevano
nella sua direzione.
-Tra due mesi faccio i diciotto- le rispose,
dubbioso. -Perché?- chiese poi incuriosito da quella
domanda.
La Pevensie fece spallucce.
-Così-.
Si stava
perdendo nei propri pensieri, pensando che aveva circa la stessa
età di Peter, quando raggelò all'istante, venendo
bruscamente riportata alla realtà da quello che i suoi occhi
avevano appena scorto.
Peter.
Peter, con le braccia incrociate e lo
sguardo serio puntato su di loro.
Eve aprì la bocca come per
dire qualcosa, ma la richiuse quando, dietro il maggiore, vide un'altra
figura che li osservava con la stessa intensità di sguardo.
Edmund.
Si irrigidì all'istante, pensando al casino che
potevano aver combinato Susan e Lucy facendola uscire con Simon. Il
ragazzo, accanto a lei, continuava a camminare tranquillamente, non
accortosi del gelo che era improvvisamente calato su di loro.
I due
arrivarono di fronte ai fratelli, ed Eve tenne lo sguardo basso.
-Ciao-. Non aveva il coraggio di guardarli in faccia. Non aveva il
coraggio di guardare in faccia Edmund.
-Ciao, Eve- la
salutò Peter, andando poi verso Simon fino ad arrivargli di
fronte.
Edmund,
dal canto suo,
guardava la scena senza muovere un muscolo, le braccia incrociate al
petto. Provava un fastidio come poche volte aveva sentito nella sua
vita, ma quel gesto – l'uscire con un ragazzo, quasi di
nascosto poi! – l'aveva ferito e fatto arrabbiare
particolarmente.
Avrebbe voluto che sua sorella glielo avesse almeno
accennato, pur non essendo lui nella posizione di impedirle di fare
ciò che voleva.
-Grazie, Simon, ora accompagniamo noi Evelyn
a casa- disse gelido Peter, facendo notare come si ricordasse il nome
di Senhal pur non essendosi mai presentati. Il suo sguardo era freddo
come il tono di voce che aveva usato per parlargli.
Il ragazzo non
diede segni di turbamento, restando imparziale di fronte a tanta
sfrontatezza e al modo in cui Peter lo guardava dall'alto in basso.
Dopotutto, sapeva già che non aveva un carattere facile.
-Va
bene- acconsentì, non essendo nella posizione di ribattere.
Poi sorrise, rivolgendosi esclusivamente alla Pevensie per congedarsi e
usando un tono decisamente più dolce e pacato.
-Mi ha fatto
piacere parlare ancora con te, Evelyn, ci vediamo sabato-.
Eve si
limitò ad alzare la mano in segno di saluto, prima di vedere
Simon darle le spalle e avviarsi diretto chissà dove invece
di attendere il treno per tornare a casa.
-Non potevi parlarne con noi,
prima?- chiese Edmund, turbato, mentre Peter si risedeva sulla panchina
affiancato da Evelyn.
La ragazza si sentì male per il tono
usato da Ed, che le parlava come se fosse alla stregua di una...
traditrice. Si sentì morire, sotto quello sguardo
accusatore, mentre un senso di colpa faceva capolino in lei. Un turbine
di sensazione la colse, e fu costretta a chiudere gli occhi per
calmarsi.
Perché faceva così?
Dopotutto era stata
praticamente costretta a uscirci dalle sue sorelle, e inoltre aveva
pensato che parlare con qualcuno che non fosse loro –
qualcuno che fosse un ragazzo normale e che si era rivelato pure
interessante – potesse aiutarla, dandole qualche tregua per
la sua situazione sentimentale senza speranza.
Non erano di certo
andati ad uccidere qualcuno, dannazione!
Se lo meritava di poter avere
un po' di pace e provare a pensare a qualcuno che non fosse Edmund.
-Non fa mica qualcosa di male- disse, inviperita per il loro
atteggiamento.
Edmund sembrò voler ribattere, ma si
zittì perché sapeva che lei aveva ragione,
lanciando solo un'occhiata a Peter, che si era alzato per dirigersi
verso il treno appena arrivato.
-Andiamo a casa-
Salirono sul vagone
avvolti da un pesante silenzio.
***
Fortunatamente,
le
cose poi si erano appianate in fretta e tutto era tornato come sempre,
sollevandola dal peso di aver in qualche modo deluso i suoi fratelli.
Però davvero non aveva capito Edmund, perché
trovava la sua reazione eccessiva e senza senso, non avendo mai avuto
l'istinto di protezione che aveva Peter.
Aveva provato anche a
chiedergli spiegazioni, ma lui aveva sempre sviato il discorso su
qualche cosa d'altro.
Una parte di se le gridava che fosse geloso, ma
si costringeva a farla tacere perché, se anche fosse stato
quello il motivo, non sarebbe mai stato nel modo in cui lei poteva
esserlo di lui.
Più semplicemente, si era data la
spiegazione che Simon non gli piacesse, come non piaceva a Peter.
I due
Pevensie raggiunsero Lucy e Peter che parlavano con il nano. Si
avvicinarono, e la minore li salutò sorridente, mentre
Trumpkin si limitò a fare un cenno del capo nella loro
direzione.
Sempre di poche parole, eh?
-Come stai?- gli chiese Evelyn,
sedendosi da parte a Lu e di fronte al Narniano, costringendolo a
parlare.
-Bene, grazie- si limitò a rispondere quello, un
po' burbero. Non gli piaceva essere al centro dell'attenzione, come
stava accadendo in quel momento, anche perché si era ripreso
e non c'era motivo di avere tanta gente attorno.
Edmund sorrise,
sollevato che Trumpkin fosse tornato ai suoi soliti atteggiamenti
appurando che non aveva più problemi dal tono leggermente
brusco che aveva usato.
-Peter, posso parlarti?- la voce di Eve fece si
che l'attenzione dei due Pevensie si catalizzasse su di lei, mentre
Lucy continuava a parlare con Trumpkin. Il Pevensie fece un cenno di
assenso, alzandosi per seguire la sorella fuori dal rifugio.
Edmund
seguì le loro figure fino a quando non furono fuori dalla
sua portata, domandandosi di cosa volesse parlare a Peter Eve.
***
-Come
stai?-
La
domanda di Evelyn lo lasciò un po' interdetto, ma non si
fece attendere nel darle una risposta.
-Bene- sparò fuori
Peter, mettendosi le mani sui fianchi, impaziente. Nella sua testa
vorticavano le moltissime cose che avrebbe dovuto fare quel giorno e i
seguenti.
-Non è vero- lo corresse Eve, con una nota di
ovvietà nella voce.
-E' vero, non sto affatto bene- le diede
ragione il fratello, ed la Pevensie trovò strano che non
avesse provato a ribattere a quella sua affermazione.
Peter fece il
gesto di mordersi un labbro, guardando il terreno e poi riposizionando
lo sguardo sulla sorella.
-Per colpa di Caspian quei soldati sono
morti- sputò fuori, rabbioso.
Evelyn gli scoccò
un'occhiata gelida, capendo come mai non avesse ribattuto –
semplicemente, non accettava che la colpa fosse anche sua, scaricandola
solo sul Principe.
-Sai che non riesci a fingere, con me- gli disse,
posizionandogli una mano sul braccio, che il ragazzo lasciò
stancamente andare lungo i fianchi. Il fratello la guardò
per attimi che sembrarono un'eternità, bloccandosi anche
dall'inalare l'aria, mentre venivano avvolti in un silenzio quasi
surreale.
Forse fu vedere lo sguardo pulito e non accusatore di Evelyn,
che permise a Peter di tornare a respirare, scorgendosi solo una
innocente preoccupazione.
Qualcosa dentro di lui si spezzò
sotto il peso di tutti i pensieri e sentimenti che stava provando.
Quanto bruciava, l'orgoglio ferito. Quanto facevano male, gli errori.
-Ho sbagliato- soffiò fuori, quasi come se avesse paura di
dirlo lui stesso. Dicendole, le cose diventano reali.
-Si, ma non per
questo devi arrenderti-
Evelyn gli si avvicinò, posandogli
una mano fresca sulla guancia, per farsi guardare negli occhi.
Cercò di scalfirlo nell'orgoglio, per farlo rinsavire e
uscire da quell'apatia in cui era caduto e che stava facendo
preoccupare tutti.
Se anche Peter, che era il più tenace nei
combattimenti, si arrendeva, non avevano davvero più
speranza.
Sembrò funzionare, perché vide un
luccichio negli occhi di suo fratello e un tacito ringraziamento. Le
prese la mano tra le sue, portandosela alla bocca e lasciandole un
casto bacio contornato da un mezzo sorriso.
-Grazie-.
***
Peter
entrò
a passo deciso nel rifugio e si fiondò senza esitazione
verso Glenstorm, iniziando a parlare riguardo la fabbricazione di armi
e nuovi turni di vedetta.
Ci aggiunse anche qualcosa a proposito della
libertà, del fatto che la guerra era appena iniziata e non
tutto era perduto se provavano a combattere di nuovo.
La sua voglia di
rivalsa sembrò essere in qualche modo contagiosa,
perché vederlo in quel modo riuscì a risollevare
gli animi dei Narniani che lo stavano ascoltando.
Edmund
guardò Peter dettare ordini, mentre gli occhi ed i volti
degli abitanti di Narnia si riaccendevano, come se fossero stati
raggiunti da una nuova forza vitale.
Evelyn lo raggiunse, appoggiandosi
al muro, un sorriso soddisfatto sul volto.
-Ho fatto un buon lavoro,
vero?- chiese, incrociando le braccia al petto e sapendo già
la risposta.
Edmund si voltò verso di lei, la mano
appoggiata sull'elsa della spada.
-Cosa gli hai detto?-
domandò, continuando ad occhieggiare il fratello maggiore,
alzando le sopracciglia in un'espressione di stupore. Eve in risposta
alzò le spalle, crogiolando internamente per la vicinanza di
suo fratello.
-Probabilmente le stesse cose che avrei voluto sentirmi
dire io- constatò, forse più a se stessa che al
Giusto, continuando a guardare il frutto del suo intervento.
Vedere
Peter comportarsi di nuovo come Re era una gioia per gi occhi. Era nato
per governare.
-Io esco un po' fuori- disse poi, voltandosi per uscire
dal rifugio.
Il fratello acconsentì lanciandole una sola
occhiata, dandole mentalmente del genio – non glielo avrebbe
mai detto a voce, altrimenti non l'avrebbe più finita di
vantarsene –, continuando ad osservare il Supremo.
***
Appena
fu fuori, il
suo sguardo chiaro si posò sui vari alberi che circondavano
la radura, e non poté non ripensare a quelli che una volta
danzavano.
Essere di nuovo li a Narnia, in quegli stessi luoghi in cui
erano cresciuti già una volta, riportava alla sua mente e
davanti agli occhi memorie di cui, talvolta, pensava perfino di essersi
dimenticata.
Rimembrò anche della prima volta che aveva
sentito il nome di Aslan pronunciato dal signor Castoro. Aveva provato
un misto di sicurezza e protezione, come quando si ritrovava insieme ai
suoi fratelli nei momenti di calma e pace. Come se al solo sentire il
nome del grande leone niente e nessuno potesse farle del male: ne a
lei, ne ai suoi fratelli.
Ed infatti si era subito fidata di Aslan,
appena l'aveva visto, mettendogli in mano la vita di Edmund senza
esitazione.
E ora che c'era bisogno
di lui più che mai, non c'era.
Eppure lei
era sicura di averlo visto tra la vegetazione e anche Lucy. Di
questo ne era sicura, non poteva sbagliarsi.
O magari si?
Se si
sbagliavano entrambe?
Sapeva che il leone era enigmatico e aveva sempre
un suo perché, però, quella volta davvero non
capiva.
Aslan...
-Abbiamo bisogno di te- sussurrò, affranta,
non accorgendosi di aver detto quella frase che si disperse nell'aria
ad alta voce.
Sospirò di nuovo nel giro di pochi minuti,
mentre la brezza leggera le accarezzava i capelli, come a volerla
consolare.
Si beò del contatto con il suo vento, che per
tanto tempo non aveva sentito sfiorare la propria pelle, mentre
chiudendo gli occhi si ricordava della prima volta che aveva conosciuto
Narnia.
***
Evelyn
e Lucy erano
appena entrate nella stanza vuota, rimanendo un attimo spiazzate
trovandosi di fronte solo l'enorme armadio.
In sottofondo potevano
ancora sentire Peter contare.
Si erano ritrovate l'una di fronte
all'altra e senza remore erano entrate insieme nella prima stanza
trovata.
Le due si sorrisero, complici, ed entrarono, venendo subito
avvolte da folte pellicce e certe che nessuno avrebbe mai pensato che
si trovassero li dentro. Eve chiuse l'anta di legno dopo aver sbirciato
fuori e si voltò verso Lucy che continuava ad arretrare.
Quanto stava andando indietro sua sorella?
-Lu- la richiamò,
a bassa voce -fermati, dove vuoi andare?-
-Più andiamo in
fondo meno possibilità ci sono che ci trovi- le rispose la
sorella.
Evelyn sorrise, muovendosi per raggiungere la sorella che nel
frattempo si era bloccata - ah, finalmente era arrivata al fondo
dell'armadio, non le era sembrato così profondo da fuori!
-Lucy?- la richiamò, vedendola ferma e immobile. La vide
girarsi e tra le pellicce scorse il suo corpo irrigidirsi, e le si
avvicinò, rimanendo totalmente incantata dallo spettacolo
davanti a loro.
Un bosco. Un bosco completamente imbiancato.
Un bosco
dentro un armadio.
Aveva senso?
-Lucy, stai facendo il mio stesso
sogno?- chiese, per conferma. Non aveva senso quello che stava vedendo.
-Credo ... di sì- rispose quella, guardando il paesaggio che
sembrava uscito da una favola totalmente incantata.
Entrarono
completamente nel bosco e si voltarono giusto per avere conferma che
l'armadio fosse sempre dietro di loro, incapaci di darsi una
spiegazione, forse senza nemmeno preoccuparsi di cercarne una.
Le due si
ritrovarono a sorridere, mentre osservavano la neve che candida
scendeva dal cielo.
Evelyn sentì un brivido di freddo
scenderle lungo la schiena.
-E' bellissimo- proferì, mentre
osservava un abete completamente imbiancato. Come cullata da una dolce
canzone iniziò a volteggiare tra la neve che scendeva,
mentre Lucy rideva felice, cercando di prendere i fiocchi di neve che
danzanti cadevano dall'alto.
Al terzo giro si bloccò,
totalmente ipnotizzata dal lampione che si ergeva di fronte a lei. Lucy
le fu subito da parte, e come se quel luogo fosse famigliare le due si
avvicinarono al lampione studiandolo, curiose.
Eve posò una
mano sul ferro freddo, ignorando il fastidio che quel contatto le
procurò.
-Cosa ci fa un lampione in mezzo alla neve?-.
-Non
lo so- si limitò a rispondere Lucy, avvicinandosi alla
sorella e continuando a guardare in alto.
Un rumore improvviso le fece
zittire, mettendole sull'attenti, e Lucy si posizionò dietro
Evelyn in cerca di protezione, aggrappandosi ai suoi vestiti come se
fossero l'unica salvezza che aveva. Le due continuarono a osservare il
bosco intorno a loro, avvolte in un silenzio rotto solo dai loro
respiri.
-Aahhh!-
Le due sorelle gridarono, incapaci di fare altro,
riparandosi dietro il lampione quando videro uno sconosciuto palesarsi
davanti a loro, il quale corse a nascondersi dietro il tronco di un
albero.
Ci furono attimi di silenzio che sembrarono eterni dove solo la
neve che continuava a cadere si muoveva, e Lucy fu la prima delle due
che si mosse, ignorando Eve che provò a trattenerla, uscendo
da quel nascondiglio improvvisato.
Evelyn continuava a guardare
dubbiosa l'albero dietro cui si nascondeva quella persona, indecisa se
seguire l'esempio della sorella.
La minore della Pevensie si
avvicinò ai pacchetti che erano caduti, spargendosi nel
terreno soffice e bagnandosi, cautamente; si chinò a
raccoglierne
uno, mentre sua sorella la raggiungeva, incerta, e il ragazzo si
sporgeva dall'albero per osservare i movimenti delle due.
-Ah-
Proferì poi, non sapendo cosa dire d'altro e uscendo
dall'albero, mentre le due ragazzine continuavano a guardarlo curiose.
Puntò l'ombrello davanti a lui come a volersi riparare da un
probabile attacco, e osservò la ragazzina che ora gli
porgeva il pacchetto.
Le due sorelle furono attirare dalle zampe da
capra di quel ragazzo incapaci – per l'ennesima volta e in
poco tempo – di processare quello che stava succedendo e a
cui stavano assistendo.
-Ti nascondevi da... noi?-
Fu Lucy a interrompere
quella tensione, innocente come solo una bambina sapeva essere, mentre
Evelyn si chinava per raccogliere un piccolo pacchettino quadrato,
occhieggiando la strana creatura.
Lo sconosciuto, che però
ispirava simpatia, prese il pacchetto dalle mani della
più piccola per poi chinarsi e raccogliere le altre cose.
Balbettò qualcosa d'incomprensibile ed Eve alzò
un sopracciglio davanti a tanta esitazione e trovandolo particolarmente
impacciato e buffo.
-Io... non volevo spaventarvi- disse, con un tono
calmo.
Evelyn e Lucy si ritrovarono a sorridere inconsciamente.
-Se non
sono indiscreta, posso chiederti… che cosa sei?-
domandò la maggiore, accostandosi alla sorellina.
-Io sono
un fauno- rispose quello, come se fosse ovvio. Non capiva il senso di
quella domanda, non era ovvio a quale razza appartenesse?
-E invece,
voi? Siete per caso una specie di nani senza barba?- domandò
curioso e guardandosi distrattamente intorno.
-No- prese parola Lucy,
divertita per quella che pensava fosse una battuta. -Noi siamo due
bambine-.
Il fauno le guardò stupito e improvvisamente serio
e attento, ma nessuna delle due sembrò notare il cambiamento
che gli passò attraverso lo sguardo.
-E se vuoi saperlo-
continuò Lucy come se nulla fosse accaduto e raccogliendo un
altro pacchetto -sono anche la più alta della mia classe-.
-Non è vero. La più alta è Annette-
ribattè Eve, roteando gli occhi verso l'alto.
-Ma
perché mette le scarpe alla moda con il tacchettino- disse
Lucy, leggermente offesa.
Eve si ritrovò a sorridere, dando
ragione alla sorella, altrimenti sarebbe stato un discorso troppo lungo
da reggere. -E va bene, Lu. Tu sei la più alta della tua
classe-
La Pevensie le sorrise e poi porse il pacco al fauno, che le
osservava.
-Vorresti dire che voi due siete due figlie di Eva?- chiese,
indicandole con il dito.
-Beh la nostra mamma si chiama Helen- disse
Lucy, mentre Eve alzava un sopracciglio, scettica. Non capiva il senso
di quel discorso.
-Si, ma tu devi essere… umana-
puntualizzò il fauno. Ad Evelyn non piacque il suo
tono di voce e qualcosa le diceva di stare attenta, anche se a vederlo
sembrava totalmente innocuo.
-Si, certo. E' per caso un problema?-
chiese, seria, cercando di studiare l'atteggiamento del ragazzo di
fronte a loro.
-Che ci fate qui?- chiese in un sussurro, muovendosi
nervosamente sulle zampe. Lucy iniziò a spiegare
dell'armadio-guardaroba, mentre Evelyn si chiedeva il perché
non avesse risposto alla sua domanda, ignorandola.
-Vi trovate a
Narnia-
Alla parola Narnia Eve riportò l'attenzione sul
fauno -Narnia? Che cos'è?- chiese, curiosa. Era un nome
strano, però le piacque come suonava quando veniva
pronunciato.
Lo strano ragazzo sembrò vacillare a quella
domanda, rendendosi conto che le bambine davvero ignoravano quel posto,
la sua esistenza ed i suoi abitanti.
-Ma care bambine, voi ci siete
dentro. Ogni singola pietra a partire dal lampione e poi,
giù, giù, fino al castello di Cair Paravel
sull'oceano orientale. Ogni albero o pietra che vedi, ogni...
ghiacciolo, è Narnia- spiegò, indicando con la
punta dell'ombrello un punto indefinito alla fine della grande vallata
sulla loro destra.
-E' davvero grande l'armadio guardaroba-
sussurrò Lucy guardando la direzione indicata dal fauno.
-Cair Paravel- si trovò a ripetere Eve. Non sapeva come, ma
anche quel nome le piaceva, le dava un senso di pace e calma.
-Permettetemi
di
presentarmi: il mio nome è Tumnus- iniziò il
fauno, riportando l'attenzione delle due su di sé e
inchinandosi leggermente in un vago gesto galante.
-Molto piacere
signor Tumnus, il mio nome è Lucy Pevensie. E lei
è mia sorella Evelyn- la ragazzina porse la mano verso la
creatura. Lui
la
guardò, interdetto, non sapendo cosa fare, così
Eve intervenne.
-Devi stringerla- gli spiegò, indicandogli
la mano della sorella con un gesto del capo.
-Perchè?-
domandò, non capendo.
-Io… non lo so-
esalò Lucy, aggrottando la fronte. Perché le
persone si stringevano la mano? Era una cosa su cui non aveva mai
pensato di fermarcisi a ragionare sopra.
-Da noi si fa così
quando le persona s'incontrano- si ritrovò a parlare Evelyn.
Il fauno sorrise e allungò la sua mano, esitante, andando a
stringere delicatamente quella della Pevensie sotto lo sguardo vigile
di Eve. Poi fece lo stesso con lei e i tre si ritrovarono a ridere,
come se si conoscessero da sempre.
Chi li avrebbe visti, pensava
Evelyn, li avrebbe sicuramente scambiati per dei beoti.
-Beh, Lucy ed
Evelyn Pevensie, giunte dalla splendente città di
guardaroba, che ne dite di venire a prendere un the da me?- Chiese
Tumnus, aprendo l'ombrello.
Le due lo guardarono scettiche e
Lucy prese parola.
-Noi la ringraziamo, ma dobbiamo andare- gli disse;
per quanto avrebbe voluto volentieri preso un accettare l'invito di
Tumnus, erano via da troppo tempo in un posto sconosciuto. Dovevano
assolutamente dirlo agli altri.
-È proprio qui, voltato
l'angolo. Ci sarà un bel camino acceso, con il te caldo, i
toast, i biscotti e le sardine- provò a convincerle il
fauno.
Le
sardine?
si ritrovò a pensare Eve.
-Non
lo so- proferì Lucy, lanciando uno sguardo ad una Evelyn
dubbiosa quanto lei per quell'invito. Il tono incerto faceva capire che
avrebbe voluto accettare.
-Coraggio- provò ad implorare
Tumnus, per convincerle -non succede tutti i giorni di incontrare due
nuove amiche-
La piccola Pevensie guardò la sorella maggiore
ancora una volta e quella annuì.
Ormai erano lì,
perché rifiutare?
-Solo un pochino- si
ritrovò a decidere Eve, raccogliendo un pacchetto e
prendendo a braccetto Tumnus dalla parte opposta a quella della
sorella, avviandosi verso la casa del fauno.
Una parte di lei ancora
non voleva lasciare Narnia.
***
Eve
ricordava
benissimo quel giorno, perché dimenticarsi il momento in cui
scopri un altro mondo non è una cosa che ti scordi
facilmente. Di quei momenti aveva impresso nel cuore e nel cervello
ogni più piccolo particolare.
Tumnus aveva offerto loro il
the con il latte, poi aveva iniziato a suonare quella melodia che le
aveva fatte addormentare dopo averle ipnotizzate.
L'aveva
svegliata Lucy a notte fonda, e insieme avevano chiesto al fauno
– che avevano trovato turbato ed in lacrime – cosa
non andasse. Erano venute a conoscenza, così, del nome di
Jadis e dell'incantesimo che aveva lanciato su quella terra per la
prima volta.
Evelyn non aveva mai pensato che Tumnus fosse cattivo,
nonostante si fosse arrabbiata con lui perché aveva provato
ad attirarle in trappola, e il fatto che le aveva ricondotte
all'entrata dell'armadio senza consegnarle alla Strega era stata una
prova.
Jadis spargeva terrore intorno a se tanto che anche le anime
buone, per sopravvivere, venivano costrette a comportarsi male.
Ovviamente Susan, Edmund e Peter non ci avevano creduto quando, una
volta che erano tornate, avevano raccontato la loro storia, pensando
solo ad un gioco inventato per noia.
Evelyn
tornò al presente quando si accorse di avere gli occhi
lucidi e non riuscendo più a vedere limpidamente dove stesse
andando.
Sospirò, tentando di calmarsi.
Anche se Narnia era
sotto il gelo di Jadis, lo spettacolo che aveva offerto loro era
magnifico, ammise.
E avrebbe pagato oro o dato la vita per poter
rivedere Narnia come lo era al loro primo arrivo, perché
anche se congelata, sotto pulsava di vita, cosa che allo stato attuale
delle cose non era scontata.
Si ricordò della collana che
stava facendo con Edmund qualche giorno prima, così si
avviò nel prato dietro il rifugio per cercarla, ignorando la
promessa fattagli dopo l'episodio del serpente di non recarsi
più li da sola.
Non ci mise molto a raggiungere il posto
desiderato, trovandolo bello come l'aveva lasciato.
Si mise alla
ricerca, camminando tra l'erba e i fiori appena sbocciati, cercando di
scorgere il loro operato in mezzo a quel mucchio di erba e margherite
che confondevano le vista.
-Eccola!-
Quando la vide quasi le prese un
colpo, non credendoci, chinandosi per raccoglierla. La
lasciò subito cadere, però, quasi senza la sua
volontà, perché una melodia proveniente dal bosco
la raggiunse.
Somigliava molto a quella del signor Tumnus,
che lui aveva suonato anche dopo la loro incoronazione –
senza però utilizzare quella speciale magia che faceva
addormentare, ma solo per far sì che la musica fosse un bel
passatempo da ascoltare mentre si ballava con le driadi e gli altri
fauni nel giardino di Cair Paravel.
Quella melodia,
però, aveva qualcosa di strano.
Era nostalgica, era
ipnotica, erprimeva durezza ma anche dolcezza.
Evelyn si
ritrovò a camminare verso il bosco senza volerlo, attirata
da quel suono che era penetrato nella sua testa, lambendola in uno
stato di torpore, come un ape al miele.
Nella sua mente i ricordi della
vecchia Narnia, dei castori, di Aslan, del signor Tumnus, degli anni
passati a governare si affollavano nella sua mente, riportati a galla
tutti insieme, mentre un senso di ansia e nostalgia la metteva a dura
prova, schiaffeggiandole in faccia la dura verità che fino a
quel momento aveva provato a negare a se stessa.
Narnia non era
più come un tempo.
Gli uomini di Telmar l'avevano
rovinata e lei e i suoi fratelli non c'erano stati a dare il supporto
necessario, come invece avrebbe dovuto essere. Gli alberi non
danzavano più e non si inchinavano al loro passaggio, non
erano più casa delle driadi. Gli animali non parlavano e i
grifoni non sovrastavano più il cielo azzurro, le ninfe e le
sirene erano scomparse.
Perfino il suo vento si era spento: mentre
prima la cullava e la faceva sentire sicura, ora poteva giurare che
l'aria di Narnia assomigliava a quella londinese, benché
conservasse quella traccia pura e pulita.
Narnia non era più Narnia e forse
non lo sarebbe più stata, perché era come morta,
come morte erano la maggior parte delle creature che fin dai tempi
antichi l'avevano abitata.
Un moto di rabbia la percorse mente
s'inoltrava nel fitto del bosco.
Dov'era Aslan quando serviva?
Perché
aveva fatto si che tutto ciò accadesse?
Senza
volerlo prese
dentro in un ramo basso e appuntito, che fece si che la fasciatura si
disfasse, cadendo al suolo.
Ma Evelyn era troppo impegnata ad
ascoltare la musica e cercare di dirigersi da dove proveniva per
accorgersi della cosa, mentre i ricordi le oscuravano la
vista.
Arrivò in una radura che terminava in un
burrone, e la musica si fece più forte e suadente.
-Vieni-
Non poté girarsi di sua volontà verso la
provenienza di quella voce, però, perché il suo
corpo era bloccato. Davanti a lei comparvero quelle che avrebbe
definito driadi, ma che in realtà non lo erano.
Evelyn le riconobbe come seguaci di Jadis dal modo in cui erano vestite
e agghindate, perché ricordavano i colori della Strega
Bianca, e una delle due suonava un flauto.
La provenienza di
quella musica così… strana.
La
provenienza di quella trappola in cui era cascata come una
stupida.
La musica si fece più forte e gli occhi
di Evelyn divennero vacui, mentre la melodia le entrava nella mente,
annebbiandogliela. Era stata una stupida. Si era lasciata abbindolare
come una scema.
-Vieni-
ripeté la prima voce, in modo
suadente.
Sentire quel suono rimbombarle nella testa insieme alla
musica che iniziava a essere fastidiosa le procurò una fitta
alle tempie.
-Vieni con noi-
Evelyn mosse il primo passo
verso la fonte di quella voce, totalmente incantata e soggiogata.
-A
Narnia-
Fece i primi passi incerta, smettendo di ribellarsi, mentre
l'effetto della musica faceva il suo corso, riportandole davanti agli
occhi una Narnia che ormai non c'era più e dandole la
speranza vana di poterla raggiungere.
Le due ghignarono vittoriose
sapendo che, se non avessero fallito, la Strega sarebbe stata fiera di
loro, poi la stessa di prima prese parola.
-No mia cara Regina, vieni
con noi... verso la tua fine-
Evelyn si mosse di nuovo, avvicinandosi
pericolosamente al bordo del burrone.
Per rivedere la sua
Narnia.
***
Edmund
osservava Lucy
parlare con Antares e Lia, che mostravano un'estrema calma e pazienza
nel rispondere alle domande curiose che la Valorosa continuava a fare
loro.
La Pevensie si stava anche confrontando per sapere quando gli
animali avessero smesso di parlare, ancora scossa per la storia
dell'orso.
Susan e Caspian, invece, si erano accorti del movimento tra
i Narniani e stupiti avevano passato dieci minuti buoni ad osservare
Peter. Poi si erano cambiati ed erano usciti per allenare gli arcieri
in vista della battaglia contro l'esercito di Miraz, contagiati dalla
nuova atmosfera che vibrava gli animi dei Narniani.
Il Pevensie si
guardò intorno cercando Evelyn, non vedendola.
Uscì quindi dal rifugio mentre un presentimento si faceva
largo in lui, ma lo scacciò, ripudiandolo in un angolo della
mente,
deciso invece a prendere in mano la situazione.
Si diresse nel campo di
margherite in cerca di quella collana che stavano facendo giorni
indietro.
Note generali:
Allora,
che dire?
No, non state sognando e no, non ci
credo nemmeno io. Penso saranno le note più lunghe
che io abbia mai scritto ma credo siano doverose, se volete leggerle.
Prima di tutto, mi scuso moltissimo, ma davvero moltissimo, per aver
fatto passare più di tre anni dall'ultimo capitolo.
Io non
so cosa sia successo, chi mi segue/seguiva come autrice sa che, in
tutto questo tempo, non ho più pubblicato nulla, non so
nemmeno io bene perchè. Immagino che il dover portare a casa
uno stipendio sia il motivo principale, più molti
cambiamenti che ci sono stati in questo arco di tempo; non sono una
scusante, ma è la verità, perchè
nonostante tutto io le mie storie lasciate in sospeso non le ho mai
dimenticate.
Quindi, solo da un paio di mesi sono tornata a scrivere e
pubblicare, forse perchè entrare in un nuovo fandom mi ha
riacceso la scintilla dell'ispirazione. Non so se ci saranno ancora in
giro i vecchi lettori, ho visto che il fandom nel frattempo si
è un po' spento - nel caso, se volete, battete un colpo
perchè mi farebbe davvero piacere.
Note
sulla storia:
Prima di tutto devo dire che riprenderla
è stato un po' difficoltoso perchè ci sono tanti
elementi che, ai tempi, avevo ben stampati in testa insieme a come
dovevano andare gli eventi. Quindi io per prima mi sono riletta quello
che avevo pubblicato - trovando anche un paio di imprecisazioni che ho
corretto, ma che non sono fondamentali ai fini della trama (esempio:
quando Eve si addormenta nel prato scrivo che cade Artemis, ma in
questa versione lei si è portata dietro solo Asterius, la
spada) - per capire
a che punto fossi arrivata.
Come sapevate, questa storia è
la riscruttura di una che avevo iniziato a pubblicare nel lontano...
2010? 2011? non ricordo precisamente, quindi questo capitolo ed i
prossimi quattro sono già delineati in base a quelli che
avevo già scritto, andranno solo adattati e corretti
grammaticalmente a questa versione.
Nel frattempo, lascierò
passare un po' di tempo prima di tornare - almeno paio di mesi -
così da avere tempo di prepararmi alcuni
capitoli, in modo che, quando aggiorno, ne ho sempre qualcuno di
riserva, e far ripartire nella mia mente gli eventi che devono
succedersi, perchè pur sentendola mia ed essendo il primo
progetto che ho pubblicato - quindi ci tengo davvero a vederla conclusa
-, sento che non mi rispecchia più completamente.
Per quanto riguarda Essence,
se qualcuno la seguiva, come
scrivevo nelle note del profilo non trovo più la scaletta
con tutti i capitoli. Mi piacerebbe riprenderla, ma al momento mi
concentro su ciò che mi ispira e purtroppo quella non
è tra queste.
Ringrazio chi si
è fermato a
leggere e coloro che non hanno perso la fiducia in me in questi anni.
Un grande abbraccio.
D.
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Capitolo 24 *** Il pericolo nascente da un segreto. ***
Narnia's
Spirits
Il
pericolo nascente da un segreto
I
Narniani erano in
fermento da quando il Re Supremo si era rimesso a dare ordini sulla
prossima battaglia, passando tra i vari esponenti delle razze coinvolte
per affidargli compiti nuovi e sentirne le loro opinioni a riguardo.
Nonostante un'idea per il piano di contrattacco si delineasse mano a
mano nella sua mente, non si era dimenticato di quanto anche i pensieri
altrui e il confronto fossero importanti.
Non avrebbe fatto lo
stesso
errore due volte.
Non si sarebbe fatto sopraffare di nuovo
dall'orgoglio e dalla voglia di dimostrare che fosse il legittimo Re di
Narnia. Perché una delle cose più importanti che
aveva imparato – e che, purtroppo, aveva dimenticato di
dimostrare fino quel momento – era quanto anche l'ascolto
fosse una parte fondamentale e gli fornisse il rispetto dei suoi
sudditi.
No, Peter di certo non avrebbe sbagliato una seconda volta, ne
era convinto.
Non credere in Aslan, non credere in Lucy, non dare
ascolto nemmeno a Caspian o Dhemetrya soggiogato dalla pressione di
tutti gli eventi di cui era venuto a conoscenza, era una cosa che aveva
pagato a caro prezzo. Lui e i Narniani.
E Narnia aveva
già
pagato le conseguenze date dalle azioni degli esseri umani fin troppo.
Animati dalla nuova scintilla di fervore che si era sparsa tra le
truppe con la stessa velocità della luce di un lampo che
squarcia il cielo, le quali avevano ripreso ad allentarsi nel
combattimento, anche Caspian e Susan si erano decisi a prenderne parte,
selezionando un primo gruppo di combattenti da allenare nell'arte del
tiro con l'arco.
Trufflehunter era stato scelto, come i giorni
precedenti all'attacco al castello di Miraz, per reggere il bersaglio
tramite un'asta che gli permetteva di muoverlo secondo le direttive che
riceveva, stando dietro un ampio gruppo di rocce che usava come riparo
dalle frecce nel bel mezzo della radura.
In quel modo, aveva spiegato
Susan, venivano allenati anche i riflessi e ad imparare a prevedere i
movimenti degli avversari.
-Preparatevi!-
La voce autoritaria della
Dolce si espanse nella radura, e subito in risposta al suo ordine gli
arcieri incoccarono i loro dardi, prendendo la mira. Davanti a loro, le
sagome di alcuni fantocci senza occhi che in silenzio attendevano la
pioggia di frecce che sarebbe inevitabilmente arrivata su di loro, li
fissavano.
Si appurò che tutti fossero pronti con le
rispettive armi, lanciando un'occhiata ai dintorni per essere sicura
che nessuno potesse rimanere coinvolto per sbaglio.
-Tirate!-
Non
appena udirono il segnale della Regina, gli arcieri eseguirono
l'ordine, lasciando andare la corda tesa dei loro archi. Solo poche
decine di colpi, però, andarono a segno in modo
soddisfacente, mentre molti altri dardi si persero nei dintorni.
Tra i
Narniani si levò un brusio di disappunto, mentre altri
esultarono per essere riusciti nel loro compito.
Susan
studiò il risultato di quella prima serie di allenamenti che
avrebbe dovuto tenere in modo ancor più severo e serrato,
leggermente spaesata e poco contenta di quel risultato.
I Narniani che
avevano più difficoltà perché non
abituati a combattere con l'arco o perché impacciati nei
movimenti e nella coordinazione avrebbero solo dovuto allenarsi
più duramente nel tempo che li separava della guerra. Anche
come mira notò che non erano messi male, perché
ricordava di come chi proprio non fosse portato facesse finire le
frecce tirate da tutt'altra parte.
Non era dubbiosa sul fatto che, con
un buon allenamento sotto le sue direttive e con i suoi consigli,
sarebbero migliorati, perché dopotutto erano nati guerrieri
e nelle condizioni di vita in cui avevano vissuto si erano abitati a
combattere.
A sfavorirli maggiormente, ed era la cosa che
più preoccupava lei ed i suoi fratelli, era l'evidente fatto
che ora erano ridotti a poco più di pugno di mosche.
Già si erano trovati più che decimati,
se ricordava invece il grande esercito ai tempi di Jadis che aveva
combattuto con loro ed Aslan, in più da dopo la notte a
Telmar...
Sospirò, Susan, mentre un nodo alla gola tornava a
renderle difficoltosa la respirazione. Si costrinse a cambiare i
pensieri, cercando di scacciare quelli negativi che avevano preso posto
nella sua mente, preferendo tornare a concentrarsi sull'allenamento di
quel momento.
Alle sue spalle sentì un brusio insistente di
alcuni Narniani dietro di lei, mentre Trufflehunter diceva qualcosa
riguardo il bersaglio ma che, persa nei propri pensieri, non
riuscì a cogliere.
-Non preoccupatevi!- iniziò, e
l'attenzione venne catalizzata sulla sua persona.
-Bisogna continuare
ad allenarsi per poter migliorare- spiegò, il tono
fintamente sicuro e convincente, cercando di alzare il morale e
spronare le creature che la fissavano.
Sperò che le sue
parole fossero servite nell'intento, mentre li guardava incoccare altre
frecce per ripetere quell'esercizio e preparandosi a farlo anche lei,
per dare l'esempio.
Ma chi voglio prendere
in giro?
Scosse la testa
impercettibilmente per scacciare quella domanda, tendendo la corda
dell'arco e portando le piume rubino a sfiorarle la guancia.
Un sibilo
inaspettato.
Susan non fece in tempo a dare l'ordine di tirare,
perché riconobbe il suono leggero e inconfondibile di un
dardo che fende l'aria a tutta velocità passarle accanto,
congelandole il sangue nelle vene.
La freccia le passò di
lato, andando a conficcarsi nel petto del fantoccio.
Susan la
osservò qualche attimo, spaesata di aver assistito a quella
scena improvvisa, poi si girò verso i Narniani stupita e
incredula. I suoi occhi color ghiaccio dardeggiarono tra i presenti,
cercando il fautore di quell'azione, ma si trovò di fronte
solo degli occhi spalancati pieni di ammirazione e spiazzamento.
-Chi
ha tirato?- chiese, soppesando il volto degli abitanti di Narnia,
ricomponendosi e alzando il mento assumendo una posa sicura. Il suo
viso tornò imperscrutabile come solo lei sapeva esserlo.
Questi in risposta alzarono le spalle, lanciandosi delle occhiate.
-Ho
fatto centro!-
Susan sussultò quando sentì quella
voce rompere quel momento di confusione che si era creato nel gruppo,
concedendosi un sorriso interno – ma che, agli occhi degli
altri, fu soltanto uno stiramento di labbra.
Abbassò lo
sguardo, ingoiando l'agitazione che sentiva nascerle nello stomaco e
leccandosi un labbro, dandosi mentalmente della sprovveduta.
Avrebbe
dovuto immaginarlo.
Riportò gli occhi davanti a
sé, fissandoli sulla figura di Caspian che a passo veloce si
faceva sempre più vicino. Nella mano teneva la sua balestra.
Un leggero sorrisino di soddisfazione comparve sul volto del ragazzo
quando la raggiunse definitivamente, occhieggiando il fantoccio appena
centrato e fermandosi di fronte a lei.
Alcuni Narniani gli diedero
delle pacche sulle spalle per congratularsi per quella piccola
vittoria.
Susan lo soppesò ancora qualche attimo, ignorando
l'imbarazzo che sentiva farsi prepotente tra di loro quando si
ritrovò a imprimersi nella mente il sorriso sghembo che
aveva in volto.
-Dove hai imparato?- Si decise poi a rompere il
silenzio la Pevensie.
-A Telmar mi hanno insegnato l'arte del
combattimento fin da piccolo- spiegò Caspian, pacato, ma
osservandola come se fosse ovvio. Dopotutto, era un combattente, un
soldato, un Principe. Era naturale che dovesse sapere combattere per
essere in grado di guidare un esercito in guerra.
Susan
annuì, come a dargli ragione di quei pensieri appena nati
nella sua mente, poi fissò l'arma che teneva ancora in una
mano.
-Ma così non vale- cercando di far trasparire un tono
di indignazione, la ragazza indicò con un cenno della testa
la balestra. Era un'arma totalmente diversa dall'arco, forse anche
più facile da utilizzare perché, supponeva,
più stabile per poter prendere la mira sul bersaglio.
Caspian fece passare lo sguardo dalla sua arma alla Regina un paio di
volte, non capendo.
-Perché no?- domandò,
corrugando le sopracciglia.
La ragazza puntò un piede,
mettendo la mano libera sul fianco, cercando di ignorare quanto fosse
buffa l'espressione che lui aveva assunto in quel momento.
-Non
è un arco. E' un arma totalmente diversa- spiegò,
paziente, come se si trovasse di fronte uno dei suoi fratelli.
-E' pur
sempre un'arma- ribatté quello, non cogliendo quale fosse il
punto di quel discorso e lanciandosi un'occhiata intorno, come in cerca
di suggerimenti.
La risposta di Caspian non la sorprese per niente. Si
costrinse a non roteare gli occhi al cielo per non mancargli di
rispetto – dopotutto, era sempre stata convinta insieme alle
sue sorelle che i ragazzi certe volte fossero lenti di comprendonio,
per le cose che non gli interessavano.
Susan si costrinse a passare
alla parte pratica per dimostrare ciò che intendeva.
-Che
ne dici di fare una gara?- domandò, cogliendolo alla
sprovvista. Sembrò suscitare l'attenzione del Principe,
perché lo vide irrigidirsi e osservarla, attento, con un
nuovo interesse nello sguardo.
-Cosa dovremmo fare?- A quella domanda
ci fu qualche secondo di silenzio, e Caspian pensò che la
Pevensie avesse cambiato idea.
-Colpire una pigna- Quell'affermazione
lo lasciò spiazzato tanto che si chiese se non avesse per
caso capito male: aveva pensato di dover colpire qualcosa, ma non
credeva che si sarebbe trattato di una pigna.
Ma, beh, non si tirava
mai indietro di fronte a una sfida.
-Va bene-.
***
Aveva
corso non seppe
nemmeno lei per quanto tempo, prima di permettersi di arrestare quella
fuga morbosa che l'aveva assalita.
Aveva lasciato che le luci tenui di
un sole ancora troppo timido per innalzasi nel cielo le mostrassero
quel poco che le serviva per seguire un percorso immaginario,
inoltrandosi nel fitto del bosco, diventando una macchia scura che
penetrava silenziosa nel cuore della foresta.
I rami e le sterpaglie le
avevano graffiato la pelle, lasciando segni rossastri sulle braccia
scoperte e sulle guance, ma non le era importato, perché
l'unica cosa sensata che era riuscita a formulare la sua testa mentre
gli occhi le si riempivano di lacrime brucianti era che gli alberi non
si aprivano più al suo passaggio mostrandole la via da
seguire e accarezzandola con dolcezza.
Da quanto era via? Un
giorno?
Forse di più.
Ma la mente e il cuore di Dhemetrya erano
troppo scossi perché il dubbio che si fosse allontanata
troppo e da troppo tempo la sfiorasse.
Si strinse le gambe al petto,
accoccolandosi nascosta tra le fronde del grande albero che aveva
scelto come rifugio, tenendo gli occhi ostinatamente chiusi.
Non voleva
vedere, non voleva vedere più niente.
In quel momento non le
importava nient'altro.
Accoccolata contro la corteccia di quel rifugio
improvvisato Dhem si appallottolò se possibile ancor di
più, cercando di diventare un tutt'uno con quella creatura
della foresta millenaria, lasciando che la sua fragilità
venisse fuori sotto forma di singhiozzi strozzati e tremiti del corpo,
rompendo l'immagine della ragazza dal perenne sorriso e gli occhi
dolci.
Chi l'avesse vista in quel modo, non avrebbe mai pensato che
fosse una guerriera, quanto più una ragazzina terrorizzata
per essersi persa in un bosco dominato da fantasmi.
Ma non
importava, perché Dhemetrya era stanca.
Stanca di quella
vita, stanca di aver dovuto passare secoli nella solitudine senza poter
fare niente.
Si sentiva abbandonata, priva di forze e di motivazioni
per poter tirare avanti. Mai il pensiero di voler rinunciare a quel
privilegio a cui era stata condannata l'aveva sfiorata tante volte come
in quegli ultimi anni.
Tirò su con il naso, Dhemetrya,
vergognandosi di se stessa e di quanto potesse risultare patetica con
quei pensieri. Eppure non riusciva a trovare la forza necessaria per
calmarsi, per estraniarsi a quel dolore e riprendere il controllo della
sua persona.
Desiderava solo restare da sola.
***
-Non
quella...-
La
balestra venne spostata verso l'alto, e tutto ciò che
riuscirono a registrare i suoi occhi in quel momento furono le mani di
Susan che delicatamente spostavano la mira su un nuovo bersaglio.
Molto
più in alto e molto più lontano rispetto a quello
che, inizialmente, aveva pensato di dover colpire.
-Quella-
Lui la
guardò un attimo interdetto, cercando di darsi del tempo per
riprendere la concentrazione che quell'interruzione gli aveva tolto,
poi si rimise in posizione, la Regina sempre affianco che lo osservava.
Caspian deglutì, cercando d'ignorare lo sguardo attento di
Susan su di lui, imponendosi di fingere che fosse da solo.
Dannazione,
gli tremavano le mani.
Storse il naso, mentre i secondi
passavano, sentendo sotto la sua pelle l'impazienza crescere a
dismisura. Stava facendo passare troppo tempo e non era sicuro, per la
prima volta nella sua vita, di ciò che stava facendo
– e il silenzio della Regina non lo aiutava, anzi, lo agitava
ancor di più.
Alla fine, quando decise che aveva aspettato
troppo, si costrinse a tirare.
-Era vicina-
Come aveva immaginato, non
era stato uno dei suoi tiri migliori. La freccia aveva sfiorato la
pigna, facendola dondolare, senza però colpirla.
Il Principe
s'imbronciò senza darlo a vedere, maledicendosi fin nel
profondo per quella dimostrazione mediocre che il suo orgoglio di uomo
e di guerriero non ammetteva.
-Prova tu ora- la pungolò,
ricambiando lo sguardo che quella gli stava riservando, sperando
– in modo un po' subdolo, si vergognò subito
– che anche lei sbagliasse.
La vide incoccare con una cura e
una lentezza incredibili una freccia dalle limpide piume color rubino e
prendere la mira, portandosi il dardo a sfiorarle la guancia. Non ebbe
nemmeno il tempo di rendersene conto, poi, di quello che successe,
perché pensò erroneamente che lei ci avrebbe
messo altrettanto tempo prima di decidersi a scagliare.
Ma il sibilo
della freccia gli arrivò alle orecchie nel giro di pochi
secondi, sorprendendolo e ricatalizzando la sua concentrazione sulla
Regina, che osservava in lontananza con un sorriso sul viso.
Sul prato
dove guardava la Pevensie spiccava la pigna con la freccia che la
trapassava.
-Ho vinto- Susan abbassò l'arco, guardando
Caspian.
-Tutta fortuna- borbottò quello, senza cattiveria
nella voce e fintamente offeso. In realtà, era profondamente
colpito dalle capacità che Susan aveva dimostrato per
l'ennesima volta.
Non pensava fosse così brava.
Ricordò tutte le leggende su di loro che Cornelius gli aveva
sempre raccontato con pazienza e dedizione. Aveva sempre –
erroneamente – pensato, seppur affascinato da loro, che molti
fatti e molte cose erano state riportate più grandi di
quanto non fossero, per cercare di cancellare quelli che potevano
essere i difetti che si portavano dietro ed esaltandone solo le
qualità.
In quei pochi giorni in cui aveva potuto
conoscerli, invece, aveva avuto la conferma che gli antichi Regnanti
erano veramente le straordinarie persone che si diceva da oltre
milletrecento anni. E lui li aveva conosciuti in carne ed ossa.
-Cos'è, sei rimasto senza parole?-
La voce canzonatoria di
Susan lo riscosse da quelle riflessioni, riportandolo alla
realtà. Vide la Pevensie che gli porgeva il suo dardo, che
si era conficcato in un albero, mentre nell'altra mano teneva la sua
freccia con la pigna.
Probabilmente era andata a recuperarli mentre lui
era rimasto imbambolato con i suoi pensieri.
Caspian afferrò
la sua freccia e la mise insieme alle altre, per poi prendere dalla
mano della Pevensie il bersaglio centrato e osservarlo con occhio
critico. Notò come la freccia l'avesse colpito quasi al
centro.
-Ora che cosa te ne fai di questo?- le chiese, porgendole
l'oggetto dopo averglielo dondolato davanti al viso un paio di volte.
Quella non esitò a rispondere, rivelando un lato
ironico che raramente mostrava agli estranei.
-Lo terrò come
ricordo: il giorno in cui battei il Principe Caspian X-
Vide il ragazzo
diventare paonazzo, un misto di imbarazzo per quella sconfitta che non
avrebbe esitato a risbattergli in faccia ad ogni occasione e un po' per
l'ilarità che quella frase gli scatenò
involontariamente.
Cercò di avvicinarsi con uno scatto
repentino per portarle via l'oggetto incriminato dalle mani. Bastavano
già Evelyn e Lucy a metterlo nelle situazioni più
assurde con tutto e tutti – ed una persona in particolare.
La
voce allegra di Susan che parlava a proposito della sua figura lo
riscosse dai suoi pensieri, e voltando il capo poté vedere i
vari Narniani che sorridevano furbescamente, oppure sghignazzavano tra
di loro consapevoli di ciò che poteva star provando il
ragazzo.
Provò un profondo senso di insicurezza che solo
quella ragazza riusciva a mettergli addosso con i suoi modi di fare.
Sospirò, scuotendo la testa e posò lo sguardo
sulla Regina, osservando come sorridesse spensierata a seguito di
quello che era un semplice tiro con l'arco – ed era uno
spettacolo che per la prima volta gli concedeva così
apertamente.
Ed era stato grazie a lui, lui l'aveva resa contenta, lui
era riuscito a regalarle un po' di serenità, come se fosse
tornata ad essere Susan la Dolce durante l'età d'oro.
Provò un senso di leggerezza, Caspian, che pensò
di aver bisogno di ricordarsi come fare per respirare.
-Continuiamo?-
le domandò, indicando i bersagli e le truppe alle loro
spalle con un cenno, voglioso fin nella parte più recondita
di se stesso di rivedere quel sorriso – quel sorriso che
faceva a lui e lui soltanto e di cui era la causa inconsapevole.
La
vide guardarlo spiazzata, la bocca socchiusa per quella domanda che le
era penetrata nella testa riportandola bruscamente alla
realtà e facendole riprendere il controllo.
Caspian le
faceva un effetto che nessuno le aveva fatto mai, riuscendo a incrinare
quella maschera di perenne distaccamento che si metteva addosso.
-Se
desideri perdere alla grande...- lo schernì, impugnando
l'arco e incoccando un'altra freccia dopo aver messo al sicuro la pigna
forata.
-Voglio la rivincita- Lui fece altrettanto con la balestra,
imitandola prendere la mira sui bersagli, mentre i Narniani
riprendevano la concentrazione che avevano perso in quei minuti di
pausa inaspettata.
-Pronti... tirate!-
***
Edmund
camminava tra
l'erba verde e fresca, avvolto dall'aroma dei fiori e dallo svolazzare
degli insetti.
La giornata era limpida e il cielo sopra di lui terso e
con qualche sbuffo di nuvola, e la tranquillità che quella
visione metteva addosso si rifletteva anche sulla terra.
Non si
impressionò, quando un'ape gli volò vicina,
mentre un sorriso gli spuntava sul volto che ancora mostrava la
stanchezza per i giorni passati. Si lasciò scappare una
risatina, la mente che correva a rimembrare la figura di Eve.
Lei e la
sua dannata - quanto ilare - fobia per gli insetti.
Non c'era volta in
cui quando vedeva un insetto si comportasse in maniera normale. Si
metteva ad urlare come una matta, scappando come se le stesse crollando
il mondo addosso.
Lui e Peter la prendevano in giro perché
talvolta si spaventava anche per le mosche, ma lei rispondeva che era
una cosa a cui non riusciva mettere un freno. Era più forte
di lei.
La prima volta che sua sorella ebbe quella reazioni era
primavera.
La prima Primavera a Londra dopo il ritorno da Narnia.
Stavano facendo un giro nel prato vicino a casa, lui e gli altri
Pevensie. Improvvisamente, una vespa era andata vicino a Eve - e non
sembrava intenzionata ad andarsene.
Questa in risposta si era bloccata
sul posto, sbiancando.
All'inizio avevano riso, lui e gli altri, per il
suo comportamento. Poi, quando si era nascosta dietro la sua schiena e
aveva afferrato convulsamente la sua maglietta iniziando a piangere e
tremare come una foglia gridando di mandarla via si erano spaventati,
congelandosi all'istante alla vista di quella reazione.
Non avevano mai
capito il motivo di quel comportamento a cui perfino lei non sapeva
dare una spiegazione, perché non sembrava esserci stata una
causa scatenante. Non si era mai manifestato, prima di allora.
Edmund
storse il naso.
Da quando erano tornati a Narnia non sembravano esserci
problemi. Ricordò di come qualche giorno prima Eve
camminasse per quello stesso prato senza problemi e senza guardarsi
convulsamente attorno.
Forse Narnia faceva miracoli.
Seppur
fondamentalmente diverse Ed non poté evitare di pensare alla
sua esperienza diretta e di come quel mondo lo avesse cambiato,
permettendogli di crescere e maturare, raggiungendo consapevolezze che,
se fosse rimasto a Londra, probabilmente non avrebbe avuto modo di
capire.
Si sedette quando arrivò al centro del prato,
lasciandosi accarezzare dagli steli d'erba, la voglia di cercare la
collana che di colpo era sparita.
Si sdraiò e
incrociò le braccia dietro la testa, mettendosi a guardare
il cielo azzurro lasciando che la calma di quella visione gli
distendesse le membra. Si perse nei propri pensieri, lasciando che la
sua mente navigasse tra essi come quelle stesse nuvole si muovevano con
calma nella sua visuale.
Chiuse istintivamente gli occhi, sospirando.
Un sospiro che lo svuotò, tirandogli fuori tutto il peso che
si sentiva addosso in quel momento.
Eve, Narnia, Telmar, la guerra,
Londra... tutti quei pensieri gli riempivano la mente ed Edmund pensava
seriamente che prima o poi ne sarebbe uscito pazzo – sempre
se già non lo fosse.
Una realtà lo
colpì come una lama tagliente tanto che, per il modo in cui
lo fece trasalire, si tirò a sedere con un colpo di reni,
guardando ansimante la foresta intorno a se: Lia aveva ragione.
Avrebbe
potuto perderla al castello di Miraz.
Se quella freccia invece
che
nella spalla…
Scosse violentemente la testa, intimandosi di
non pensarci e tornando a sdraiarsi per cercare di recuperare la calma
di qualche istante prima. Si portò una mano al petto,
potendo sentire da fin sopra la casacca la velocità
frenetica con cui aveva iniziato a battergli il cuore.
“Quello che è stato è stato. Non serve
parlare di ciò che è passato.” La voce
di Aslan gli risuonò in testa ed Edmund rilassò i
muscoli, prendendo un bel respiro, godendo di quel suono che a lungo
gli era mancato e che per troppo tempo aveva confinato in un angolo di
cuore perchè ricordarlo faceva troppo male.
Avrebbe voluto davvero sentire la voce del leone e non
solo come un vago ricordo nella sua memoria.
Anche se la frase aveva un
altro contesto, era l'unica ancora in suo possesso a cui appigliarsi in
quel momento per riuscire a non pensare al peggio che invece sarebbe
potuto accadere – a lei come potevano essere Peter, o Susan,
ad essere colpiti.
O che forse deve ancora accadere.
Aprì di scatto gli occhi per l'ennesima volta e si mise a
sedere. Sbuffò, scocciato con se stesso e cercando di
scrollarsi di dosso la sensazione di inquietudine che gli stava
ronzando intorno.
-Mi faccio troppi
problemi- parlò al vuoto che aleggiava intorno a lui, come
se questo potesse rispondergli e dissipare i brutti pensieri di poco
prima.
Si sdraiò di nuovo, sperando che la propria schiena
restasse a contatto con il suolo più di qualche minuto
scarso, prendendo la posizione di poco prima e schernendo se stesso.
Mi sono innamorato di
mia sorella.
Si
passò una mano sul volto, tirandosi la pelle sotto gli
occhi, le guance e le labbra verso il basso finché non gli
diedero fastidio. Come se si volesse dare una piccola punizione per
quell'amore proibito e sbagliato che si portava dietro da troppo tempo.
Si era innamorato.
E non poteva più nasconderlo.
***
Peter
ed Edmund erano
usciti dalle rispettive classi non appena le lezioni erano terminate.
Erano stati subito circondati da moltissimi altri studenti che, come
loro, non vedevano l'ora di andarsene da quella prigione.
Il minore dei
Pevensie raggiunse per primo l'entrata del cancello e si
fermò per aspettare Peter, stranamente in ritardo.
Dopo
circa una ventina di minuti, in cui aveva sbuffato altrettante volte,
aveva rifiutato una ragazzina che imbarazzata cercava di attirare la
sua attenzione e aveva potuto vedere la maggior parte degli studenti
dirigersi verso casa o in stazione, finalmente aveva potuto scorgere la
figura di suo fratello uscire dall'entrata principale, la borsa a
tracolla sulla spalla destra e un foglio che continuava a guardare
nella sinistra.
-Era ora!- Edmund gli fece vedere con un gesto del
polso l'orologio, ignorando l'espressione scocciata di Peter.
-Abbiamo
perso il treno, e le ragazze saranno incavolate nere-
si immaginò le lamentele che Susan ed Evelyn avrebbero detto
loro una volta che sarebbero arrivati in stazione. Sempre che non
fossero già tornate a casa.
Inoltre era ancora scosso e
pensieroso per la figura della mattina e voleva porvi rimedio al
più presto.
Aveva visto Eve andarsene verso l'istituto senza
salutare nessuno e la cosa lo aveva preoccupato, perché
quell'immagine continuava a tornargli davanti agli occhi come un
tormento, nonostante non sapesse bene cosa avesse detto di sbagliato
tanto da renderla muta. Pensare che era colpa sua lo rendeva inquieto.
Inoltre
era comparso quel ragazzo...
-Scusami, non è stata
colpa mia- si giustificò Peter, riportandolo alla
realtà. Edmund non rispose, aspettando che il fratello
continuasse a parlare e camminandogli di fianco, interessato a quel
discorso.
-Il prof di educazione fisica mi ha fermato in corridoio per dirmi che
devo metterci più impegno nello sport- Peter
cercò di imitare il tono che l'uomo aveva usato, e suo
fratello poté sentirne l'irritazione che gli aveva procurato
quell'annotazione dal tono di voce.
Dire a uno che era stato abituato a
combattimenti e ad allenamenti con la spada per oltre quindici anni che
doveva impegnarsi negli sport era un po' ironico.
-Che
cos'è?- chiese, curioso, indicando con un cenno del capo il
foglio e cambiando discorso.
-Questo? Ah, non è niente, solo
la verifica di fisica- disse, muovendo la pagina che teneva nella mano
per cercare di renderla dritta.
-Quella per cui hai studiato un po' si
e un po' no?- Edmund ricordò di come Peter si alzasse ogni
dieci minuti, per nulla intenzionato a studiare, suscitando delle
occhiatacce da parte di Susan perché, con tutto quel
movimento, la distraeva.
-Si- si limitò a rispondere il
maggiore. Alzò le spalle quando Edmund gli fece segno di
proseguire, curioso sul risultato.
-E' andata bene- porse il foglio al
fratello, che lo prese, studiandolo attentamente.
-Ti va sempre bene
tutto, Peter- scherzò. Attimi di silenzio seguirono mentre i
suoi occhi scorrevano sulle domande e le formule, e il maggiore dei
Pevensie poté vedere l'espressione del fratello mutare e lo
sguardo riempirsi di orrore e sdegno per ciò che stava
osservando.
-Ma non ci capisco nulla!-
Peter provò a
soffocare una risata, poi scoppiò a ridere.
-Non ci sono-
I
due Pevensie osservarono lo stand dell'edicola davanti cui di solito
trovavano le sorelle, vuoto.
-Magari sono già dentro. Vieni-
Peter si posizionò meglio la borsa sulla spalle,
incamminandosi all'interno della stazione e raggiungendo la solita
panchina.
Ad attenderli videro Susan e Lucy, che alzarono gli occhi
puntandoli sulle loro figure non appena li scorsero tra la folla di
gente che li attorniava. Nei lineamenti di Susan di poteva scorgere la
durezza di un rimprovero che mal celava.
-Per colpa del vostro ritardo
abbiamo perso ben due treni!- disse infatti, velenosa, non appena le
furono abbastanza vicini.
-E' colpa di Peter- fece scarica barile,
Edmund, alzando le mani convinto di non volersi ritrovare in
quell'impiccio. Susan quando si arrabbiava e iniziava a predicare
diventava pesante.
-Non mia, ma del mio prof- lo corresse il fratello
maggiore, con calma, ignorando lo sguardo accusatore della sorella.
Aveva un buon legame, con Susan, il Magnifico, forse perché
erano i più grandi e si capivano senza bisogno di tante
parole. Sapevano cosa dire e cosa fare l'uno per l'altra.
Proprio per
questo talvolta non la ascoltava, come un bambino che ignora le
sgridate della mamma.
-Diamo la colpa agli altri adesso?- chiese,
pungolandolo per dargli fastidio.
Peter stava per ribattere e Lucy fece
per alzarsi e intromettersi in quella conversazione che sapeva
già non avrebbe avuto fine finché uno dei due non
si fosse arreso – e nessuno dei due lo avrebbe fatto.
Dopotutto, erano fratelli.
-Dov'è Evelyn?- li interruppe
Edmund, mal celando il tono di voce agitato e guardandosi intorno come
se potesse uscire da chissà quale posto. Peter
s'interessò anche lui, scattando in piedi in cerca della sua
figura, rendendosi conto solo in quel momento della sua mancanza.
Lucy
e Susan si scambiarono uno sguardo, poi la più piccola prese
parola dopo un muto cenno della sorella, ignorando quale turbamento
stesse per creare ciò che stava per dire.
-Mentre voi due
facevate i vostri comodi Evelyn è stata invitata dal ragazzo
di stamani a fare un giro- spiegò, tranquilla.
Peter strinse
i pugni d'istinto, mentre Edmund trattenne a stento un colpo al cuore a
quelle parole che lo fece sbiancare. Nessuno notò quel
cambiamento, complici le luci della stazione che creavano ombreggiature
strane.
Cercò di calmarsi e riprendere fiato, mentre un nodo
alla gola gli rendeva difficile respirare.
-Chi è questo
qui?- chiese duro Peter, per nulla contento.
-Simon Senhal- rispose
Susan.
-Ho dato io il permesso-
Peter si rivelò per nulla
sorpreso di quella confessione, limitandosi al silenzio.
-Che cosa?!-
Edmund per la sorpresa fece cadere a terra la borsa che aveva posato
poco prima sulle gambe, rompendo quella bolla di tensione che si era
creata tra i fratelli maggiori.
La reazione del Pevensie
lasciò spiazzati gli altri quattro, che lo guardarono,
stupiti e interrogativi. Si maledisse per non essere riuscito a
trattenersi.
-C'è qualche problema, Ed?- Lucy lo
guardò, preoccupata, e il Pevensie si ritrovò ad
essere osservato da tre paia di occhi.
-N-no... non me l'aspettavo-
cerchò di correggere il tiro, sentendosi tremendamente a
disagio, chinandosi a raccogliere la borsa per distrarsi e per togliere
l'attenzione dei fratelli da se, cercando di scappare dai loro sguardi
interrogativi.
Quelli lo guardarono pulire la borsa – che in
realtà era giù pulita –, taciturno ed
immerso nei propri pensieri e si scambiarono un'occhiata preoccupati,
senza osare però disturbarlo.
Il fischio improvviso di un treno in arrivo
risvegliò i tre Pevensie dallo stato di apnea in cui erano
caduti e Peter riprese il discorso lasciato in sospeso, riportando lo
sguardo sulla sorella, lasciando trasparire una punta di rimprovero.
-E
perché le hai dato il permesso?- la risposta di Susan fu
preceduta da un sonoro sbuffo.
-Perché, non può?
Ha il diritto anche lei di divertirsi- gli disse. La sua espressione
sembrò addolcirsi.
-Non siamo più a Narnia, non
può succederle nulla per quel motivo-.
Peter la
fulminò con lo sguardo, serrando le labbra. Lucy scosse la
testa, alzando gli occhi al cielo.
Un discorso senza fine.
-Proprio
perché non siamo più a Narnia può
essere peggio- le fece notare, avvicinandosi leggermente come a non
volersi far sentire dalla gente che gli stava intorno.
Susan lo
guardò, per qualche attimo senza sapere cosa fare,
così Lucy prese in mano la situazione, intervenendo.
-Non
credo che quel Simon sia un problema- disse sincera, rivolta al
fratello maggiore, esponendo le proprie impressioni. Senhal non le
aveva fatto una brutta impressione, a pelle.
-E poi le stiamo sempre
intorno, se ci fossero dei problemi ce lo direbbe o comunque ce ne
renderemmo conto-.
Era sicura che Evelyn si sarebbe rivolta a loro in
caso di bisogno. Dopotutto, erano una famiglia. Erano cinque fratelli
uniti come pochi se ne potevano vedere.
Peter sospirò, per
nulla convinto, ma era stanco di quella giornata e non aveva voglia di
continuare a parlare di una cosa che, per il momento, sembrava non
creare problemi. Rimaneva comunque della propria idea.
-Va bene-.
Peter guardò l'ora: le 16.40.
Si sedette
accanto ad Edmund, che aveva voluto aspettare Evelyn con lui. Lo
sguardo che gli aveva rivolto era stato carico di una determinazione
tale che Peter non era riuscito a dirgli di no.
Erroneamente,
pensò che fosse preoccupato per le sorti della sorella e
voleva vedere di persona il ragazzo con cui era uscita.
Peter conosceva
Simon di vista e per voci di corridoio, ma a pelle non si erano stati
simpatici, rivolgendosi sguardi di astio quando di incrociavano.
Perché si era fissato, tra tutte, proprio su Eve? Era per
fargli dispetto?
Passò il resto del tempo a pensare e
ripensare, mentre accanto a lui Edmund continuava a tenere lo sguardo
basso e restare immobile come una statua di pietra, lo sguardo cupo e
perso nei propri pensieri.
Peter non si domandò
più di tanto il suo comportamento e la sua reazione: sapeva
da sempre che Edmund era molto attaccato a Evelyn e viceversa, quindi
poteva capire la sua gelosia e preoccupazione, in quanto tra loro
vigeva un legame speciale da cui lui, Lucy e Susan ne erano tagliati
fuori.
Come se vivessero in un mondo tutto loro a cui poche e rare
volte potevi accedervi.
Arrivarono circa le 18.15 nel mutismo
più totale finché non li scorse avvicinarsi alla
banchina tra la gente che girava in stazione.
Evelyn
si era seduta
vicino al finestrino: le piaceva guardare il paesaggio di compagna e
perdersi nei ricordi e nei suoi pensieri, immaginando che quei paesaggi
fossero lo scenario di un altro mondo che ben più le stava a
cuore.
Si sentiva morire, però, e a stento tratteneva le
lacrime di frustrazione e di dolore che le avrebbero reso
inevitabilmente gli occhi lucidi.
Davvero non si aspettava una reazione
così dura da Edmund e quella era la cosa che le aveva fatto
più male. La faceva sentire in colpa e subdola, come se
avesse agito alle sue spalle, quando in realtà non gli
doveva niente.
Più dello sguardo d'astio di Peter.
Più delle sue manie protettive.
Più del modo in
cui aveva risposto sgarbatamente a Simon.
Più di tutto.
L'aveva guardata come se lo avesse tradito, con quegli occhi castani
che esprimevano tantissime emozioni diverse difficili da distinguere.
Uno sguardo che in quel momento sembrava voler farla affogarci dentro,
togliendole il respiro.
Edmund.
Che fin prima del suo tradimento
adorava di già. Perché era l'unica a cui tavolta
non rispondeva male, perchè l'aveva sempre fatta sentire un
po' speciale.
Sospirò, incupendosi ancora di più, volgendo uno
sguardo veloce al Giusto di fronte a lei. Bastarono quei pochi attimi
per far incrociare i loro sguardi.
Edmund vide gli occhi di Eve di un
verde cupo e scuro. Se fosse stata felice il colore degli occhi sarebbe
stato più azzurro.
La vide distogliere lo sguardo,
ripuntandolo fuori dal finestrino, e si sentì tremendamente
in colpa, per la reazione che aveva avuto e che l'aveva ferita. Per la
seconda volta in quella giornata era riuscito a toglierla un po' della
felicità che stava provando.
Si rese conto che in un solo
giorno era riuscito a farle del male per ben due volte.
Perché
poi?
Non c'era niente di male se Evelyn usciva con
qualche ragazzo.
Niente di male.
Edmund cercò di convincersi
da solo, soppesando quelle parole nella sua testa con una lentezza
disarmante, come se ne stesse gustando il sapore - un sapore dal
retrogusto amaro.
Niente di male.
Quelle parole gli bruciavano nella
testa ed Edmund ammise che invece, per lui, qualcosa di male c'era.
***
Edmund
aprì
gli occhi e rivolse lo sguardo al cielo sopra di lui, trovandolo
immutato come poco prima.
Aveva preferito smettere di ricordare quel
viaggio di ritorno.
Un viaggio che gli era sembrato più
lungo e infernale di tutti gli altri.
Inoltre, sapere che era stato
ancora lui la causa della tristezza di Evelyn gli aveva fatto male. Un
dolore molto simile a quello provato quando stava tradendo i suoi
fratelli, dopo essersi alleato con la Strega Bianca solo per voler fare
un dispetto a Peter, ma molto più infimo e sottile.
Gli
aveva fatto male, come lo scoprire nei giorni precedenti che la causa
del comportamento strano di Eve era sempre e ancora lui.
Si
ricordò che nonostante tutto non era ancora riuscito a
scucirle una parola di bocca.
Si mise a sedere e si guardò
intorno. L'erba fresca e verde lo circondava, i fiori erano splendidi
nei loro colori e venivano mossi, così come l'erba, dalla
leggera brezza che a volte faceva capolino dal fitto del bosco,
muovendoli placidamente sotto il suo tocco delicato.
E il
bosco… il suo bosco dell'Ovest.
Immenso e millenario, ma che
lui conosceva a memoria quando governava.
Verde vitale come mille
colori nelle stagioni calde, rosso e arancione come il tramonto
d'autunno, bianco candido d'inverno. Moltissime volte aveva visto negli
anni il suo bosco cambiare forma e aspetto, plasmarsi sotto la forza
della vita che la natura sprigionava, ma lui lo riconosceva sempre.
Era
casa sua.
Ma da quando erano ritornati a Narnia, Edmund... Edmund il
suo bosco non lo riconosceva più.
***
Peter
osservava
soddisfatto gli abitanti di Narnia eseguire i compiti che gli aveva
ordinato, concedendosi una pausa di riflessione.
Da quando aveva preso
a rimettere in riga quell'eterogeneo gruppo di creature non si era
fermato un attimo, sempre più preso da nuove cose che
bisognava fare e persone che gli domandavano delucidazioni.
Decise di
lasciarli fare, dal momento che sembravano tutti occupati, e
uscì dal rifugio, rendendosi conto che nessun altro dei suoi
fratelli fosse all'interno.
Inoltre, il caldo creato dai fuochi accessi
che venivano usati per modellare e fondere il metallo iniziava da
dargli fastidio. Aveva bisogno di un po' d'aria fresca.
Un raggio di
sole lo colpì non appena fu all'esterno, e gli fece
socchiudere gli occhi per la luce improvvisa a cui si
ritrovò di fronte.
Si spostò verso una roccia per
nascondersi alla vista del sole e osservò la radura,
mettendosi una mano sulla fronte per fare più ombra: vide
Caspian e Susan allenare gli arcieri insieme, e distinse la sorella
sorridere apertamente.
Per quanto poco gli piacesse Caspian, dovette
ammettere con se stesso che vedere la ragazza finalmente un po' sciolta
e serena gli procurò una profonda rassicurazione.
Aveva
temuto che, da quando erano tornati a Londra, fossero tutti cambiati
irrimediabilmente, diventando tristi, cupi e irriconoscibili. Lui per
primo si rendeva conto di essersi fatto trascinare dalla frustrazione
che provava un sacco di volte.
Intercettò poco distanti da
loro Lucy, che li guardava con un'espressione sorniona, un curioso
Cornelius e un apparente inespressivo Trumpkin. Notò Lia e
Antares, a ridosso del bosco, e non poté non pensare a Eve
che se li era trascinati dalla sua parte nel giro di poco tempo,
Glenstorm e altri centauri allenarsi con le spade al centro della
radura.
Un pensiero, però gli fece voltare il capo da una
parte all'altra, la fronte che palesava delle rughe di confusione.
Evelyn ed Edmund non c'erano.
Fece vagare lo sguardo su tutto il
perimetro della radura per un paio di volte, per essere sicuro di aver
analizzato ogni singolo centimetro di terra su cui i suoi occhi si
posavano, prima di ammettere che, effettivamente, i due non c'erano.
Era mai possibile che sparivano sempre? Non era la prima volta che
accadeva, sia a Narnia che a Londra. Prendevano e andavano senza
preoccuparsi di avvisarli.
E temeva sempre che…
Il suo cuore
vibrò di incertezza, mentre una voce nella sua testa gli
intimava di calmarsi.
***
A
Cair Paravel era in
corso una grande festa. I Re e le Regine erano stati incoronati e
riconosciuti come legittimi regnanti di Narnia, e ora tutti si
gustavano il banchetto che era stato organizzato in onore di quel
radioso evento a lungo aspettato.
Il regno di Jadis era definitivamente
concluso.
Peter osservava Evelyn parlare con Susan e i signori Castoro,
mentre Edmund era perso da chissà quale parte a gustarsi
tutti i lokum che i cuochi del castello gli avevano preparato, e Lucy
sicuramente si trovava con Tumnus o qualche driade.
Peter si trovava di
fronte a un'immensa vetrata che dava sul giardino, estraniato da quella
felicità di cui ancora non si capacitava esserne la causa.
Era un ragazzino che era stato incoronato Re.
Mai Peter avrebbe pensato
che la vita gli avrebbe riservato quel futuro. Ancora non ci credeva.
Come all'inizio non aveva creduto a Lucy ed Evelyn – ancora
si vergognava, di aver messo in dubbio le loro parole.
Ora che si
trovava lì, però, sentiva mano a mano crescere
dentro di sé la consapevolezza che la sua carica gli dava,
si sentiva
un po' come se il ragazzino di Londra stesse lasciando posto ad un
ragazzo più sicuro, un adulto, l'uomo che da sempre era
destino sarebbe diventato.
Si sentiva felice, felice fin nel profondo.
Una presenza lo riscosse dai suoi pensieri e voltandosi si
trovò a poca distanza dal muso di Aslan. Si
ritrovò a specchiarsi negli occhi dorati del grande leone e
automaticamente abbassò il capo, in segno di rispetto,
ripalesando il ragazzino dubbioso con cui il leone si era trovato a
parlare la prima volta.
Ma non aveva dubbi avrebbe avuto una grande
vita, Peter, Aslan. Lui e i suoi fratelli.
Dopotutto, la leggenda e la
Grande Magia non si sbagliavano mai.
-Peter, posso parlarti
privatamente?- gli chiese, scrutandolo attentamente.
Andava fatto
ciò che andava fatto.
Il ragazzo annuì
semplicemente, domandandosi cosa volesse da lui mentre gli si accostava
per seguirlo docilmente nel suo incalzare pacifico.
Arrivarono in una
grande sala. Peter vide un caminetto di marmo, in quel momento spento,
vicino ad esso stavano a semicerchio quattro poltrone di tessuto
sicuramente ricercato che accerchiavano un basso tavolino di legno; gli
occhi del ragazzo si soffermarono a osservare gli intarsi nel legno.
Le
tende erano leggermente tirate, permettendo così alla luce
del tramonto di entrare il necessario per creare una tenue luce senza
che bisognasse utilizzare le candele.
Il giovane Re non ebbe modo di
guardare altro di quel posto che formava quella che era la sua nuova
casa, perché la sua attenzione fu catturata da Aslan che ora
stava davanti alla finestra e guardava il tramonto tramite l'apertura
tra le tende.
Il leone si era mosso in silenzio, e ora i suoi occhi
erano persi verso l'orizzonte.
Peter poté giurare di vedere
un'ombra che ne adombrava l'espressione, ma non disse niente, pensando
che la creatura stesse soppesando a cosa dirgli o a cose in cui lui non
c'entrava. Chissà quante erano le cose conosciute ad Aslan e
che tutti gli altri ignoravano.
Il Pevensie si accosto alla sua figura,
rispettandone il silenzio senza dire niente, in attesa.
-Peter, ti ho
chiesto di seguirmi perché devo parlarti di una cosa
importante- iniziò, rompendo quella bolla quasi innaturale
in cui si erano calati.
Ciò fece nascere nel ragazzo un
senso di trepidante attesa mista ad ansia. Forse Aslan voleva essere
sicuro che sapesse cosa lo aspettava nei prossimi anni e dargli qualche
consiglio prezioso.
-Di cosa volevi parlarmi?- domandò
allora per la prima volta, deglutendo per non far tremare d'incertezza
la voce.
Il leone lo guardò lanciandogli una breve quanto
intensa occhiata, poi spostò di nuovo lo sguardo sul
paesaggio di Narnia.
-Riguarda una persona a te cara- Sembrava che
più del solito avesse poche parole da spendere per
ciò che voleva dire, perché si fermò
per l'ennesima volta per una lunga pausa.
Peter iniziava a spazientirsi
e preoccuparsi ed a stento si trattenne dallo sbottare contro il
Narniano di sbrigarsi a parlare. Si limitò a mordersi un
labbro, gli occhi azzurri socchiusi e attenti a qualsiasi cambiamento
nella creatura che gli stava da parte.
-Chi?-
Attimi di silenzio che
sembrarono eterni seguirono quella domanda, e Peter per qualche ragione
che non conosceva si pentì di aver posto
quell'interrogativo.
Come se ciò che ne sarebbe conseguito
avrebbe potuto togliergli tutta la gioia che aveva preso con tanta
fatica, cambiandogli la vita irrimediabilmente e rendendolo
vulnerabile.
Sentì una morsa alla bocca dello stomaco.
-Riguarda Evelyn- Alla risposta pacata del leone sentì il
cuore stritolarsi, come se un serpente gli si stesse stringendo
addosso.
Non capiva, non capiva davvero quale fosse il punto
focale di quel discorso e gli stava iniziando a girare la testa.
-Figlio di Adamo, non è una cosa grave- Aslan, come se
avesse intuito i pensieri e il turbamento che scuotevano l'animo del
ragazzo accanto a lui, cercò di calmarlo.
-Ah no?- Peter
storse il naso, suscitando una risata roca e leggera nel leone. Una
risata che ben presto si spente, facendo calare nuovamente tra di loro
un'atmosfera pesante.
-Veniamo al dunque. Devi sapere, figlio di Adamo,
cosa è successo prima del vostro arrivo- Peter lo interruppe
prima ancora che finisse la frase.
-E cosa centra mia sorella?- Il
leone lo guardò e il Pevensie infossò le spalle
sotto il suo sguardo criptico, sentendosi improvvisamente piccolino.
-E' una storia lunga, ascoltami attentamente-.
***
Il
rumore improvviso
delle spade che si scontravano riscosse il Pevensie da quei ricordi che
gli sembravano tanto vicini quanto lontani. Ricordi di una vita fa.
Aveva fatto fatica ad accettare ciò che Aslan gli aveva
rivelato, e sotto suo consiglio aveva deciso di parlarne con Susan,
Edmund e Lucy. I fratelli erano rimasti increduli e spiazzati, ma il
leone non poteva mentire, non l'avrebbe mai fatto e loro avevano
imparato in quel breve inizio di quella avventura a fidarsi di lui.
La
cosa più ovvia che avevano deciso di fare era tenerne
Evelyn all'oscuro per evitare che finisse con l'essere sopraffatta
dalle emozioni, mantenendola come se fosse in una bolla.
E, fino a quel
momento, sembrava aver funzionato, per quanto Peter sapesse che fosse
una situazione precaria e dall'equilibrio instabile. Ogni giorno c'era
il rischio che venisse a conoscenza di quel segreto, rischiando di fare
danni a se stessa e a ciò che la circondava.
Peter aveva
anche la sensazione che, più glielo tenevano nascosto,
più li avrebbe odiati.
Lucy aveva spinto per dirle la
verità, in modo che potesse gestirla, ma lui aveva respinto
con fermezza quella decisione. Voleva essere lui a parlargliene, da
fratello maggiore e Re, come lo stesso Aslan gli aveva passato quel
peso da portare – a lui e lui soltanto.
Si era ripromesso di
farlo, un giorno, ma non sembrava esserci mai stata l'occasione
necessaria. Aveva avuto paura delle conseguenze, Peter, e non si
sarebbe mai perdonato quei momento di debolezza.
Perché
intanto il tempo era passato.
Fece vagare lo sguardo tornando al
presente e vide che Susan era impegnata a parlare con una Lucy
particolarmente attenta, mentre gli altri erano rimasti come poco
prima.
Di Edmund ed Evelyn, invece, ancora nessuna traccia.
Osservò Caspian con Cornelius, poi l'anziano
tornò a concentrare la sua attenzione su Trumpkin e altri
due nani, come se fosse da sempre uno di loro.
Il Principe, congedatosi
dal mentore, si era sistemato la balestra sulla schiena e stava in quel
momento avanzando verso di lui, lo sguardo che si guardava attento
intorno – come se stesse cercando qualcuno.
Peter non ci mise
molto a capire che anche lui si era accorto della mancanza dei due
Pevensie tra quella ristretta cerchia di persone nei dintorni.
-Cerchi
qualcuno?- gli domandò, interrompendolo quel suo far
vagare lo sguardo per la radura.
-Si- si limitò a rispondere
Caspian, rivolgendogli un'occhiata scettica per quell'interessamento.
Sapeva che Peter non lo vedeva di buon occhio, specialmente da dopo la
notte al castello di Miraz.
Il Principe aveva avuto modo di riflettere
e si era sentito in colpa, per come erano andate le cose. Si era
lasciato prendere dalla voglia di vendetta mettendo a rischio tutti nel
momento in cui era andato nelle camere dello zio.
-Chi?- Il Pevensie
non mollò la presa, volendo avere conferma se le proprie
intuizioni fossero giuste.
-Evelyn ed Edmund. E' da un po' che non li
vedo in giro- Caspian sospirò, sentendosi sotto torchio come
se fosse ad un interrogatorio. Nonostante non avesse il Re in simpatia,
non poté nascondere a se stesso che una parte di se lo
rispettava.
Peter gi diede le spalle e fece un paio di passi, senza
preoccuparsi dell'espressione confusa e un poco offesa che aveva
assunto il volto di Caspian per aver troncato la conversazione. Poi si
bloccò, girandosi a guardare il moro e notando che era
rimasto fermo a guardarlo dove l'aveva lasciato.
Al Principe
sembrò che gli sorridesse – ma sicuramente se lo
stava immaginando.
-Andiamo a cercarli-.
***
Lia
e
Antares
osservarono Peter e Caspian inoltrarsi nel bosco, venendo in pochi
minuti inghiottiti dalla vegetazione. Se avessero avuto un volto, le
loro espressioni avrebbero espresso senza preoccuparsi di nasconderli
tutto lo scetticismo e la sorpresa per quell'inaspettato avvicinamento.
Gli animi umani sapevano essere imprevedibili.
La lupa
sospirò.
Dhemetrya non si era ancora fatta né
vedere né sentire e, benché la mal sopportasse,
iniziava a preoccuparsi seriamente.
Antares le aveva suggerito di
andarla a cercare appena si erano accorti della sua mancanza provando a
seguire i rimasugli di magia che si era lasciata dietro ma aveva
declinato, spiegando che, se avesse voluto il loro supporto, non
sarebbe sparita senza nemmeno dirgli qualcosa, chiudendosi nel suo
silenzio ermetico.
Il destriero le aveva dato ragione, non
preoccupandosi comunque di nascondere l'impazienza che sentiva. Erano
tutti riuniti dopo anni, non aveva senso si dividessero nuovamente.
Aveva avuto sempre un animo fragile, Dhem, come la superficie calma
della stessa acqua da cui prendeva vita e di cui era padrona, pronta ad
incresparsi al minimo tocco o soffio di vento.
Ma c'era qualcosa, se
pensava più in grande, in tutta quella situazione che non
piaceva alla lupa. Sembravano tutti spariti improvvisamente e anche
della Pevensie non riusciva a sentirne la presenza.
Aveva come un
presentimento che le scuoteva l'animo ma non poteva permettersi di
abbandonarsi alle emozioni. Ma nella sua mente un campanellino
d'allarme continuava a disturbarla incessantemente.
Evelyn, Edmund,
Dhem... e ora anche Peter e Caspian se ne stavano andando.
Sperò non si perdessero nel bosco, altrimenti sarebbe stato
uno spreco di tempo doverli andare a cercare.
Era stanca, stanca di
quella vita, Lia, stanca di quella costrizione.
Loro tre dovevano fare
qualcosa per cercare di migliorare le cose e aiutare, prima di tutto,
Narnia a vincere la guerra contro i Telmarini – e poter
riprendere così possesso del loro ruolo.
Era il loro
compito.
Proteggere Narnia.
Proteggere la loro terra.
Antares si era
alzato, come se per tutto quel tempo avesse avuto modo di seguire i
pensieri della compagna, sempre più decisa ad andare a
scuotere la bolla ermetica in cui si era chiusa Dhem.
Lia non ne fu
sorpresa, quando lo vide osservarla già pronto a muoversi.
Dopotutto, il loro era un legame indissolubile nato fin dai tempi
più remoti.
-Andiamo da Dhemetrya-.
***
Peter
e Caspian
camminavano già da una decina di minuti, le mani sulle
rispettive spade, senza essersi rivolti una parola da quando erano
partiti.
Avevano preso il sentiero che costeggiava la radura, poi
però avevano cambiato direzione sotto ordine del Re,
inoltrandosi in un sentiero che andava dietro il rifugio e ritrovandosi
ancora di più nel fitto del bosco.
Non sapeva
perché l'istinto lo stesse guidando a costeggiare le zone
boschive alle spalle della casa di Aslan.
La vegetazione intorno a loro
era silenziosa, forse fin troppo, e per Peter quelle constatazioni
erano come una fitta al cuore perenne. Si ricordò del volto
di Eve quando avevano fatto il giro nel bosco poco dopo essere arrivati
al rifugio di Aslan, dell'abbattimento nel suo sguardo e in quelli di
Lucy e Susan.
Odiava vedere le sue sorelle tristi e avrebbe fatto
qualsiasi cosa fosse in suo potere per cancellare quell'espressione dai
loro visi.
Non era sicuro, però, di quanto le cose si
potessero sistemare fino a farle tornare come milletrecento anni prima.
Di una cosa però era certo: non avrebbero lasciato di nuovo
quelle terre e avrebbero lottato fino alla fine per dar loro la gloria
che meritavano.
-Perché cercavi Edmund ed Evelyn?- Il
Pevensie, più avanti del Principe di qualche passo, ruppe il
silenzio che si era creato tra loro.
Caspian corrugò la
fronte, poi sospirò, alzando gli occhi al cielo senza che il
biondo potesse vederlo.
-Te l'ho detto. Li cercavo perché
è da un po' che non li vedo in giro-.
-Sei preoccupato per
loro?- Al Principe quella domanda sembrò strana, ma
pensò che quella che Peter stava facendo trasparire fosse in
realtà la sua, di preoccupazione, su dove fossero finiti i
fratelli.
C'era la remota possibilità che i Telmarini
avessero fatto qualche imboscata senza che ne se accorgessero per
rapirli e interrogarli, cercando di estrapolare i loro prossimi piani.
Al moro sembrò un'opzione poco fattibile, perché
nessuna vedetta aveva segnalato qualcosa di insolito e le cose
sembravano essersi svolte come sempre.
Ma ogni cosa poteva essere
successa.
Caspian, immerso nei propri pensieri, non si era accorto che
Peter si era bloccato e gli andò addosso. Quello si
girò, stizzito e lanciandogli un'occhiata di lampante
rimprovero, facendogli cenno di tacere quando provò a
protestare e fare domande.
Delle voci lontane catalizzarono
l'attenzione del moro, ancora intento a osservare il Re fulminarlo con
lo sguardo.
A quel punto, anche Peter si voltò di nuovo,
nascondendosi dietro il tronco di un albero e impugnando l'elsa della
spada, imitato dal ragazzo. Assottigliò gli occhi, senza
riuscire però a vedere niente. Tutto ciò che
riusciva a percepire erano dei borbottii confusi.
Caspian gli
toccò la spalla, facendogli cenno di avanzare – e
Peter, per quella volta, si ritrovò d'accordo con lui,
asserendo con il capo.
Aiutati dalla vegetazione ed usando i tronchi
dei rami centenari come nascondiglio i due ragazzi si avvicinarono alla
fonte di quelle voci che avevano attirato la loro attenzione.
Non si
spiegavano chi potesse essere tanto sconsiderato da girovagare per il
bosco – i Telmarini erano tutti insieme al guado o alla
cittadella, i Narniani si erano riuniti alla casa di Aslan o erano
dispersi ai confini dei boschi, lontani da quel posto ben presto
testimone di guerra.
Peter riconobbe quella parte di bosco quando si
ritrovò ad osservarsi meglio intorno per cercare di scorgere
le figure interessate. Quel pezzo boschivo finiva con una piccola
radura e un burrone, se non ricordava male e il tempo non aveva
cambiato considerevolmente la conformazione del terreno.
Chi sarebbe
stato così sconsiderato da avvicinarsi ad una parte di bosco
così pericolosa?
Quando gli alberi ed i cespugli iniziarono
a diradarsi permettendo la veduta sul prato che celavano, i due ragazzi
si nascosero dietro gli ultimi alberi che potevano fornirgli il riparo
necessario per non farsi scoprire.
Si guardarono, scambiandosi
un'occhiata e tenendo saldamente le mani sull'elsa delle spade per
scaricare la tensione che sentivano. Sgranarono gli occhi quando i loro
sguardi riuscirono a immergersi in quella scena.
Due... ninfe?
Peter
aggrottò le sopracciglia, socchiudendo gli occhi per cercare
di vedere meglio le due figure in controluce. Una sembrava tenere
qualcosa tra le mani.
No... streghe.
Peter le riconobbe subito come
seguaci di Jadis. Non avrebbe mai dimenticato la prima volta che le
aveva viste, a Narnia. Avevano accompagnato la Strega Bianca alla base
di Aslan perché voleva il sangue di Edmund.
Peter
sentì un moto di rabbia al ricordo della strega, per il modo
in cui infidamente aveva cercato di separarli e mettersi tra di loro
riuscendo quasi a fargli perdere uno dei suoi fratelli e mettendoli
tutti in pericolo.
Scacciò quei ricordi, cercando di
concentrarsi su ciò che stava succedendo nel presente.
Jadis
era un problema passato.
Aslan l'aveva uccisa, non avrebbe
più potuto creare danni.
Peter non capì come mai
quelle due gliela ricordassero tanto, come se fosse ancora viva in
mezzo a loro dopo decenni pronta ad approfittare ad un loro cenno di
debolezza.
-A Narnia-
Peter sentì distintamente un brivido
corrergli lunga la colonna vertebrale e il fiato mozzarglisi in gola,
venendo bruscamente riportato alla realtà.
Doveva aver
capito male.
Si sporse maggiormente, sperando di essersi sbagliato e di
aver immaginato quello che aveva sentito.
Cercò lo sguardo
di Caspian, come a voler conferma di essersi sbagliato e sperando forse
che il Principe gli scoppiasse a ridere in faccia per l'espressione
terrorizzata che aveva assunto.
Aveva la gola secca da dare quasi
fastidio e a stento si trattenne dal tossire per non farsi scoprire.
Trovò la conferma alle proprie paure nell'espressione
altrettanto sconvolta e confusa che Caspian gli stava rivolgendo.
Pochi
attimi dopo una figura fece capolino dal bosco, rompendo
definitivamente tutte le scusanti che il Re stava cercando nella sua
mente per dare una spiegazione a quella voce che aveva sentito.
Doveva
essersi sbagliato. Non poteva essere in pericolo.
Peter e Caspian
trasalirono, percependo distintamente un groppo in gola.
Com'era
possibile? E nessuno si era accorto di niente?
Sentirono la voce
fintamente melodiosa della prima dire qualcosa e indicare con gesto
della mano oltre il burrone, ma non capirono le sue parole. Erano
ancora troppo lontani perché riuscissero a riconoscere
distintamente ogni frase.
L'abito si mosse gentilmente all'ennesimo
passo, senza ostruire i movimenti della proprietaria che ignara
continuava a camminare.
Peter si ritrovò diviso: una parte
di lui gli gridava di saltare fuori allo scoperto ed eliminare le
nemiche nel giro di pochi secondi, un'altra gli intimava di mantenere
la calma ed analizzare la situazione.
Se si lasciava trascinare dalla
paura e dal panico c'era il rischio che facesse solo più
danni.
Non sapeva cosa volessero fare e come mai riuscivano a farsi
ascoltare in quel modo. Sicuramente c'era lo zampino di qualche
incantesimo.
Ma quando mancavano pochi metri al bordo del burrone Peter
sbottò, non potendosi più trattenere, saltando
fuori dal proprio nascondiglio e puntando la spada verso le due figure.
-Evelyn!-
Ciao
a tutti :)
Ritorno come promesso dopo quasi due mesi - penso che
sarà sempre questo il tempo minimo tra un aggiornamento e
l'altro almeno finchè non riesco a portare molto
più avanti la storia, mi scuso moltissimo, purtroppo la vita
reale non mi aiuta in questo ma! cercherò di fare il
possibile per finire questa storia anche se dovessi metterci tempi
biblici -.
Penso che questo capitolo si spieghi da solo, ho
cambiato/sistemato un paio di imprecisazioni nei flashback per essere
coerente ma per il resto non cambia molto la sostanza che era
già presente.
Se qualcuno l'ha
notato ho cambiato un po' l'impostazione grafica del capitolo rispetto
ai precedenti in modo che risulti più ordinato - spero! - e
si capiscano meglio i cambi di scena (***), piano piano
cercherò di sistemare anche i precedenti e lo stesso ho
fatto con le one shot spin off della storia.
Ringrazio chi si
è fermato a leggere, a commentare - dopo tre anni ricevere
ancora dei pareri fa moltissimo piacere! - chi preferisce, segue e
ricorda, siete davvero tanti!
Alla prossima
D <3
|
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Capitolo 25 *** I sentimenti oltre le parole. ***
Narnia's
Spirits.
I
sentimenti
oltre le parole.
Arrivare
a quel luogo
nascosto dalla vegetazione era stato relativamente facile.
Avevano
seguito i rimasugli di magia che Dhemetrya si era lasciata dietro, una
traccia unica ed inconfondibile che segnava il passaggio della ragazza
tra le sterpaglie che nascondevano sentieri, gli alberi e le rocce.
Per
quanto questa provasse a celarsi agli occhi altrui per restare sola con
il proprio dolore il fatto che loro riuscissero a sentirne la presenza
era una cosa che non poteva evitare. Il loro legame era troppo forte e
troppo profondo perché non bastasse la minima cosa, il
minimo pensiero od il minimo gesto a farsi comprendere.
Lia
alzò gli occhi azzurri agli sprazzi visibili tra le chiome
degli alberi per osservare il cielo limpido di quella giornata,
domandandosi quanto
ancora avrebbero dovuto aspettare prima che la magia tornasse e
scorrere prepotentemente per quelle terre che conosceva tanto bene ed a
cui apparteneva fino alla più piccola particella di se
stessa.
Per l'ennesima volta in poco tempo, pensò di essere
stanca di quella forma che incarnava.
-Deve essere vicina-
Antares,
pochi passi dietro di lei, irruppe nelle sue riflessioni. Lia non
capiva come avesse potuto trascorrere anni lontano dalle terre
Narniane, rinchiuso in una stalla – rischiando anche la vita
se fosse successo qualcosa.
Se ci pensava bene provava un po' di rabbia
per quella scelta che aveva preso da solo.
-Mi dispiace-
Il cavallo
sapeva bene ciò che la compagna stava pensando e provando.
Si sentì in colpa per averla lasciata sola. Per aver
lasciato sole entrambe per quelli che erano stati una manciata
insignificante di anni in quei millenni trascorsi tra l'attesa, la
speranza e il vedere inesorabilmente Narnia cadere in un baratro.
-Avevo bisogno di vedere... capire...- Provò a spiegare,
incerto della sua posizione. L'effetto che la lupa gli faceva anche
dopo tutto quel tempo lo lasciava disarmato.
Lia ringhiò
appena, conficcando maggiormente le unghie nel terriccio per scaricare
il nervoso. Sentì distintamente la rabbia ribollirle dal
profondo e pensò che fosse un'emozione che non le si
addiceva all'animo.
Cosa c'era stato bisogno di capire o vedere? Non
gli bastavano tutte le vittime che c'erano state, le creature decimate,
la magia scomparsa? Avrebbe dovuto starle ancor più vicino
in quegli anni di buia rassegnazione, aspettando insieme quella che
probabilmente sarebbe potuta essere la loro fine, ed invece... invece
lui aveva deciso di andarsene e lasciarla sola.
-Perdonami-
riuscì solo a dirle. Lia fece schioccare la lingua contro il
palato, facendo dardeggiare lo sguardo tra la vegetazione intorno a
loro. Come sempre non c'era segno di anima viva in giro.
-Ne
riparleremo, adesso pensiamo a Dhemetrya- disse, evitando di dargli una
risposta. Aveva bisogno di calmarsi prima di avere a che fare con la
ragazza e chiudere quel discorso, anche se momentaneamente, era la
scelta migliore. Non voleva finire a dire cose di cui poi si sarebbe
potuta pentire.
Antares asserì silenziosamente a quella sua
decisione, decidendo di affiancare la Narniana in quell'ultimo pezzo di
strada che li divideva da Dhem. La sentivano molto vicina. Ormai
avrebbero dovuto poterla scorgere.
Riuscivano a percepire il cambio di
atmosfera man mano che si avvicinavano al luogo in cui stava la mora,
una sensazione di tensione dolorosa e quasi spasmodica da fargli
contorcere lo stomaco e zittire qualsiasi loro pensiero.
Dhemetrya
stava soffrendo. Immensamente. E la natura di Narnia che le stava
intorno soffriva con lei.
Quando giunsero alla fine di quel sentiero
nascosto Lia e Antares rabbrividirono, osservandosi intorno in quel
luogo sperduto che avevano raggiunto.
C'era una piccola radura su cui
si apriva la vegetazione millenaria: l'erba verde e piena veniva smossa
leggermente dalla brezza estiva, il sole illuminava in pieno quello
scorcio di prato dando la sensazione fosse più grande e
spazioso di come fosse realmente.
Dhemetrya si trovava li da qualche
parte, probabilmente nascosta su qualche albero dove la foresta
riprendeva il sopravvento. Si era sempre sentita più sicura
stando in alto, occultata dalla vista altrui ma consapevole che quella
posizione le dava il vantaggio di osservarsi intorno.
I due Narniani si
lanciarono un'occhiata prima di procedere al centro della radura.
Si
sentivano paralizzati.
Nonostante l'apparente calma e
serenità che traspariva da quella visione della natura,
potevano benissimo percepire l'aria tesa e inquieta che vi aleggiava
intorno.
Ai loro occhi di creature di Narnia appartenenti a quella
terra fin nelle viscere non passò inosservato come la quasi
totale immobilità di quel posto trasudasse dolore e
indignazione, sentimenti riflessi della persona che da qualche giorno
aveva deciso di isolarsi in quella zona. Potevano sentire ogni stelo
d'erba, ogni albero, ogni particella di aria urlare.
Forse complice il
sole oscurato da una nuvola passeggera, i boschi che circondavano quel
luogo sembrarono improvvisamente più vicini, come se si
volessero chiudere su di loro per intrappolarli e fargli sentire quel
dolore che da tanto, troppo tempo, Narnia provava.
Antares
provò la sensazione amplificata di essere in trappola, come
se fosse stato costretto nuovamente in una stalla senza potere
decisionale. Sbuffò un nitrito per tentare di scacciare dei
brividi lungo la schiena.
Lia osò qualche altro passo,
puntando gli occhi verso un grande albero e scrutandolo in silenzio.
Pur non potendola vedere direttamente, tutto quel dolore e magia
sprigionati dall'animo di Dhem le fecero capire che si trovava li.
Fu
incerta come poche volte nella sua lunga vita di irrompere dentro la
bolla di protezione della ragazza. Aveva paura di rompere quello che
era un equilibrio precario – mai come in quell'ultimo periodo
la mente e l'animo della figlia della magia erano così in
tempesta.
-...Dhemetrya?-
***
La
ragazza si
portò le mani alla testa, stringendo spasmodicamente i
capelli come se fossero l'unica cosa che potesse tenerla ancora a
quella realtà da cui però cercava in tutti i modi
di scappare.
Strinse fino a sentire male, strinse finché
qualche capello non le rimase tra le dita, finché non
percepì le unghie grattare contro la nuca. Come se con quel
gesto volesse punirsi, autoinfliggendosi un dolore che sentiva fin
troppo chiaramente.
Era colpa sua.
Digrignò i denti,
Dhemetrya, mordendosi a sangue un labbro già fin troppo
martoriato e tenendo ostinatamente gli occhi blu nascosti dietro le
palpebre chiuse.
Era solo colpa sua.
Se non fosse andata al castello
quella notte Soraya sarebbe stata ancora viva.
Si odiò Dhem
come si era odiata sempre di più durante quelle ore che
sembravano infinite, come infinita sembrava essere la sofferenza che
provava. La sua compagna più fidata non c'era più
ed era stata lei a condurla alla morte.
Ancora peggiore era la
convinzione che se fosse stata un po' più decisa a fermarli
prima di andare da Miraz nessuno sarebbe morto. Aveva avuto la
possibilità di cambiare le cose e per l'ennesima volta
l'aveva sprecata, facendosela scivolare tra le dita come l'aria.
Un
singhiozzo spezzato le uscì dalle labbra secche, scuotendo
quel corpo fragile: non aveva mangiato nulla in quei giorni e lo stress
per il dolore ed il non darsi pace sembravano averla fatta dimagrire
ancor di più. Chiunque avrebbe potuto avere l'impressione
che si sarebbe potuta spezzare sotto il peso di tutte le emozioni che
stava provando.
-...Dhemetrya?-
Qualcosa nella sua mente annebbiata la
spinse ad immobilizzarsi così com'era, tenendo i muscoli ed
interrompendo quello che si stava trasformando nell'ennesimo pianto, in
attesa. Corrugò la fronte, chiedendosi se non fosse
possibile che la stanchezza l'avesse portata ad avere allucinazioni.
Attese avvolta da un silenzio talmente teso che le sembrò
quasi di
poterlo toccare.
-Dhemetrya?-
Riconobbe chiaramente a chi appartenesse la
voce che la stava chiamando quella seconda volta e si diede della
stupida per non aver celato meglio la propria presenza. Finse
di non sentire, rimanendo sempre immobile.
-Sappiamo che sei li.-
Stavolta era stato Antares a parlarle, rompendo quel suo maldestro
tentativo di scomparire come se, improvvisamente, potesse diventare un
tutt'uno con l'albero su cui stava.
Aprì le palpebre,
sconfitta, rivelando alla natura silenziosa che le stava intorno due
arrossati e lacrimanti occhi blu. Si permise di utilizzare il suo
legame con quella terra e quel poco di magia che ancora vi viveva per
saggiare l'aria che la circondava e capire dove si trovassero i suoi
due interlocutori.
Fare quel gesto una volta così naturale
le costò uno sforzo immenso sotto tutti gli aspetti. Si
sentì debole e indifesa come mai le era capitato.
Terribilmente e schifosamente umana.
“Nessuno vi ha
chiesto
di venire.”
Non ebbe il coraggio di parlare ad alta voce.
Sentiva di avere la gola troppo secca e una spossatezza tale che
perfino il solo pensiero di dover formulare una frase da dire le
costò fatica – e temeva, temeva terribilmente come
sarebbe suonata la propria voce, rivelando quella stessa
fragilità che trasudava dalla sua figura esteriore.
L'aria
si fece aspra, un cambiamento minimo che a lei non passò
inosservato e la colpì in pieno. Lia si era irritata.
-Non
puoi rimanere qui a nasconderti per sempre-
Dhem
digrignò i denti, portandosi il dorso di una mano ad
asciugare i rimasugli di lacrime che le segnavano il viso pallido.
“Posso fare
quello che vo-...”
-Dhemetrya, torna
con noi- Fu Antares ad osare interromperla, infilandosi in quella
conversazione prima che diventasse una guerra. La ragazza non
osò andare contro alle parole di quello che considerava come
un fratello. Si limitò ad abbassare lo sguardo sulle unghie
mangiucchiate a sangue, giocando con le dita per scaricare il nervoso.
Sospirò.
“Tornare
dove?”
Azzardò, assottigliando lo sguardo e voltandolo verso il
basso. I rami le impedivano di vedere le due figure che, sapeva, si
trovavano nella direzione in cui stava osservando. Poteva percepire la
rabbia iniziare a ribollirle nelle vene.
“Non
c'è
più nessun posto in cui tornare! Per Narnia è la
fine ormai!”
I due Narniani non sembrarono colpiti da quel
suo sbotto improvviso, rivelando la pazienza che tanto li
caratterizzava, ignorando le parole piene di verità di
Dhemetrya. Una folata di vento scosse i rami degli alberi le cui foglie
frusciarono, come indignate.
-Torniamo alla casa di Aslan- riprese parola Lia, che aveva
riacquistato la calma. Sapeva che prendersela in quel momento con Dhem
non aveva senso, non stava bene e probabilmente diceva cose che nemmeno
pensava. Quella consapevolezza le diede la forza di non usare dei toni
bruschi.
“Non
servirebbe. Lasciatemi sola.”
Lia
sospirò, sentendosi triste per l'arrendevolezza che
percepiva provenire dalla ragazza. Ma non potevano lasciarla li. Non
poteva tirarsi indietro alle sue responsabilità fino a che
l'ultima parola non fosse stata scritta, non poteva gettare la spugna e
buttare all'aria tutto quel tempo passato ad attendere, a sperare, a
combattere.
Nessuno di loro poteva.
Rifiutava anche solo di pensarla,
quella possibilità. Non voleva morire prima del tempo.
-Non è il caso di gettare
tutto all'aria- disse, dando voce ai propri pensieri, ma Dhemetrya
aveva la testa dura ed era ferma nelle sue convinzioni.
“Ormai cosa
c'è da fare? I Narniani stanno morendo
uno dopo l'altro, di Aslan nemmeno l'ombra, Narnia stessa sta sempre
peggio e la grande magia si sente con il contagocce. Non siete stanchi,
eh? Chi ve lo fa fare di continuare questa impresa?”
Lia ed
Antares non poterono non darle ragione.
***
Il
sole che brillava
alto nel cielo venne coperto da una nuvola di passaggio, oscurando
quello spiazzo d'erba dove fino a pochi secondi prima tutto era
scoperto e illuminato sotto i raggi solati.
Il ragazzo steso sull'erba
non se ne preoccupò, mentre un'ennesima folata d'aria gli
scompigliava i capelli corvini creando strani sussurri intorno a lui
quando il vento passò delicatamente tra le chiome degli
alberi. Era come se si stessero parlando nella lingua della natura,
comprensibile solo a loro.
Un linguaggio per troppo tempo rimasto
dimenticato negli antri più nascosti della foresta.
Il
silenzio però, alla fine di quella ventata, tornò
a regnare sovrano e inevitabile – come poco prima.
Improvvisamente un suono che avrebbe dovuto essere famigliare e
naturale, ma che da quando era lì non avevano mai sentito,
ruppe quella bolla di stasi che sembrava ammantare tutto.
Un
cinguettio.
Edmund pensò quasi di essersi sognato quel suono
così delicato e frizzante, tanto che credette fosse
stato lo stato di dormiveglia in cui si stava lasciando andare ad
averglielo creato.
Ma un altro cinguettio proveniente dal bosco gli
arrivò chiaro e forte pochi secondi dopo, risuonando a lungo
nelle sue orecchie
come se il fautore di quel suono glielo stesse rimbombando direttamente
all'interno.
Edmund aprì di scatto gli occhi,
completamente sveglio ed attento, mentre una miriade di emozioni gli
inondava l'animo. Talvolta anche le cose più piccole e
innocue riuscivano a dare la più grande forma di genuina
felicità se risultavano inaspettate.
Si tirò a
sedere, sperando di scorgere l'animale occhieggiandosi in giro. Un
suono così semplice di cui Narnia era stata privata per
tutti quei secoli e che, solo dopo aver passato quei momenti avvolto
dal
silenzio completo, si era accorto mancasse.
Non si stupiva se i
Telmarini narravano leggende sulla foresta, perché questa ed
i suoi abitanti si erano chiusi in loro stessi talmente tanto da far
calare un silenzio pesante su ogni cosa la riguardasse. Troppi orrori
erano stati consumati perché la vita continuasse a scorrere
come se niente fosse.
Strizzò gli occhi castani, scrutando
la fitta vegetazione, i rami degli alberi intricarsi tra loro come in
una danza e le chiome innalzarsi verso il cielo – ma di altri
segni di vita, nessuna traccia. Forse se lo era immaginato, dopotutto.
Si limitò ad alzare le spalle, un po' sconsolato e
sorridendo, rendendosi conto che l'animale poteva essere ovunque il
quel
grande spazio aperto. O forse semplicemente era volato via.
Edmund si
sdraiò nuovamente, sospirando e tornando a fissare il cielo
chiaro: la nuvola si era spostata e ora i raggi del sole erano tornati
ad accarezzargli la pelle, lambendogli le membra e riscaldandole di un
tenue tepore.
Si concesse di riprendere il filo dei suoi pensieri,
interrotti poco prima di addormentarsi, riuscendo a lasciarsi
nuovamente cullare da quello stato di stasi calmante che solo l'essere
avvolto dalla natura – la sua natura, il suo bosco, la sua
Narnia – riusciva a mettergli addosso.
***
Il
paesaggio di campagna scorreva veloce fuori dal finestrino, risultando
quasi solo un mucchio di macchie e colori indefiniti, mentre il treno
continuava la sua corsa.
Evelyn continuava a guardare ostinatamente all'esterno come se non
potesse perdersi nemmeno un particolare, chiusa nel
suo mutismo di offesa piccata, cercando di ignorare lo sguardo di suo
fratello.
Edmund la fissava senza preoccuparsi di nasconderlo troppo,
scrutandola e studiandola, come se con quello sguardo potesse coglierne
i pensieri e attraversare il muro ermetico dietro cui si era
trincerata.
Aveva capito che ce l'aveva a morte con lui.
Ed Evelyn non
aveva tutti i torti. Poteva sentire il suo sguardo su di sé,
che
l'attraversava come una lama tagliente. E ad Eve non piaceva quando
qualcuno cercava di penetrare nelle sue difese, a meno che non fosse
lei a concedere il passaggio.
Il fatto che fosse Edmund non cambiava le
cose, anzi, forse la infastidiva ancora di più. Non che le
dispiacesse, però in quel momento voleva stare sola,
isolarsi e darsi della stupida, ma suo fratello non glielo permetteva,
continuando a guardarla come se potesse scomparire da un momento
all'altro.
In più, aveva una paura – la costante
paura – maledetta che potesse intuire qualcosa, e questo la
rendeva ancora più tesa.
S'impose di non parlare e
continuare a osservare fuori, ma la curiosità e la sua
parlantina non erano dello stesso parere. Sbuffò
leggermente.
-Che cos'è?- Si decise a chiedere al biondo,
stando ben attenta a non incrociare lo sguardo di Edmund. Il maggiore
dei fratelli alzò lo sguardo dal foglio, stupito di sentire
la voce tranquilla della sorella.
-E' la mia verifica di fisica-
rispose alzando lo sguardo e incontrando gli occhi di Evelyn che
già lo fissavano.
-Quella per cui studiavi un po' si e un
po' no?- Evelyn alzò il sopracciglio, in un vago tono
derisorio e inconsapevole di aver fatto la stessa domanda di Edmund.
Peter non poté fare a meno di sorridere, notando quanto
fossero simili sotto certi aspetti e pensieri. Eve osservò
la reazione dei due fratelli, lanciando un'occhiata veloce anche ad
Edmund e vedendolo guardarla stralunato.
-Che ho detto?- indispettita
gonfiò le guance. Peter rise apertamente, ed Ed sorrise
scuotendo la testa. Posò poi lo sguardo fuori dal
finestrino, decidendo di togliere gli occhi dalla Pevensie e restando
in silenzio ad ascoltarli parlare.
-E com'è andata?-
cercò allora di informarsi la minore, capendo che la
risposta alla sua domanda era affermativa. Suo fratello si
limitò a un “bene” mentre le passava il
foglio. Quella lo prese, contenta, facendo scorrere lo sguardo sulla
carta. Mano a mano che leggeva, i suoi occhi s'illuminavano e il fiato
le si arrestò in gola.
-Che bello, Peter! Non vedo l'ora di
studiare questi argomenti!- esclamò, emozionata, stringendo
la presa sul foglio impaziente e rischiando di stropicciarlo.
Il
maggiore dei Pevensie sorrise, riprendendolo e mettendolo via, mentre
Edmund sbuffò, per nulla contento all'idea di quello che il
futuro da alunno gli riservava. A Narnia era uno stratega eccelso per
quanto riguardava la logica e l'organizzazione, ma non aveva a che fare
con formule e composti strani.
Evelyn sorrise inconsapevolmente di
fronte a quella scena, ma ricordando la sua situazione
s'incupì nuovamente.
Arrivarono a casa dopo aver passato il
resto del viaggio in silenzio, perso ognuno nei propri pensieri e
ragionamenti. Lucy sbucò fuori dalla porta d'ingresso e
corse verso Evelyn, abbracciandola e guardandola con un sorriso che la
Pevensie sapeva non promettere nulla di buono.
Lu si staccò
dalla sorella maggiore per poi andare ad abbracciare Peter
riacquistando i soliti sorriso innocente ed occhi dolci. Il fratello le
sorrise, per poi spostare lo sguardo su Susan, che li attendeva sulla
soglia d'ingresso paziente e silenziosa come una madre si accerta che i
figli rientrino all'ora stabilita e tutti interi.
Evelyn
iniziò ad avviarsi verso la sorella maggiore, che la
salutò non appena le fu arrivata di fronte, lasciandosi
dietro Lucy che salutava Edmund e superando Peter che li stava
aspettando.
Le due Pevensie si scambiarono un'occhiata che lasciava
intendere tutto, e Susan ghignò, divertita, ottenendo da Eve
un'alzata di occhi al cielo, ignorando la tempesta di emozioni che
nascondeva quel gesto sbarazzino. Come rare volte in vita sua la
Scaltra avrebbe desiderato non trovare nessuno al rientro in casa per
restarsene con i propri pensieri e sentimenti con cui stava facendo
battaglia in quelle ore.
Vennero raggiunte da un Edmund pensieroso, un
Peter tranquillo e una Lucy raggiante. La più piccola dei
Pevensie si staccò dal fratello maggiore, che l'aveva presa
per mano, avvicinandosi alle due sorelle. Si scambiò
un'occhiata con Susan e annuì leggermente, prendendo poi
Evelyn per mano e trascinandola dentro casa senza che questa potesse
replicare.
Scorgendo il movimento davanti a lui Edmund alzò
lo sguardo, vedendo le due sagome dirette al piano superiore. Sorrise
forzatamente in direzione di Susan, per poi entrare in casa e dirigersi
verso camera sua e di Peter sotto lo sguardo preoccupato dei fratelli
maggiori per quel suo mutismo.
Peter e Susan si scambiarono un'occhiata. Non capivano cosa avesse reso
Ed tanto
inquieto da chiudersi in se stesso – dubitavano fosse solo
per gli eventi di quel pomeriggio che era tanto sfuggente.
Arrivato in
camera Edmund chiuse la porta, posò la borsa vicino al suo
letto e poi si sdraiò su quello Peter, in un vano tentativo
di rilassare i muscoli e svuotare la mente, come se in quel modo
potesse sentire la vicinanza protettiva e sicura del fratello maggiore.
Ci rinunciò dopo pochi minuti, sentendosi sempre
più teso e irrequieto per restare sdraiato.
Decise di uscire
dalla sua camera, dirigendosi nel giardino sul retro e sedendosi sotto
un albero. Si appoggiò alla corteccia dell'enorme quercia e
chiuse gli occhi, pensieroso e stanco, facendosi cullare dalla brezza
del vento.
Sperò che il contatto con la natura riuscisse a
calmargli l'animo e i pensieri.
Nella
camera accanto a quella dei ragazzi, Evelyn stava appoggiata alla
scrivania, le braccia dietro la schiena, osservando una Lucy
comodamente seduta a gambe incrociate sul suo letto. La sorellina
minore la guardava con un luccichio negli occhi e un sorriso sghembo.
Sospirò, stanca, ma senza il coraggio di rompere quel
silenzio o chiedere alla minore del tempo per se stessa. Raramente
riusciva ad arrabbiarsi sul serio con uno dei suoi fratelli, meno
ancora con Lucy.
-Allora?-
Evelyn sbuffò, guardandola, senza
tuttavia riuscire a risultare scocciata come avrebbe voluto.
-Allora
cosa, precisamente?- domandò, facendo di tutto per non
distogliere lo sguardo da quello della sorella. Gli occhi di Lu
sorridevano, sorridevano sempre e a chiunque, sprigionando una luce
tutta loro da cui si finiva attirati come le falene sui lampadari.
Quella sorrise di più senza darlo a vedere, mentre
riprendeva il discorso per nulla decisa ad arrendersi.
Voleva sentire
un discorso da Eve, non cavarle le parole di bocca.
-Allora,
com'è andata oggi con Simon?- Si decise a incalzare la
Valorosa, facendo gesto d'impazienza con le mani. Evelyn s'impose la
calma, mentre controllava il respiro e meditava su cosa dire, per
niente convinta di darla vinta alla più piccola.
-Come vuoi
che sia andata? Normale- disse, come se fosse la cosa più
ovvia del mondo, alzando le spalle come se la cosa appena detta non
avesse valore.
-Normale? Come può essere normale quello che
sembrava un appuntamento?-
La voce un poco indignata di Susan
sopraggiunse inaspettatamente, facendo sobbalzare le due sorelle che si
voltarono a guardarla. La figura alta e slanciata della Pevensie
entrò nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle e
avvicinandosi a Lucy, sedendosi poi accanto a lei.
-Ha detto
qualcos'altro?- domandò, rivolgendosi alla più
piccola, lanciando un'occhiata furtiva ad una Eve persa nei suoi
pensieri. Ma cos'avevano tra lei ed Edmund quel giorno? Forse avevano
litigato e non lo sapeva?
-No, non sono riuscita a scucirle niente-
proferì la sorella, negando con la testa. Susan
sospirò, voltandosi poi ad osservare Evelyn, in attesa.
Quando la Pevensie si accorse che gli occhi delle sorelle erano puntati
su di se, alzò un sopracciglio.
-Che c'è?-
chiese, non nascondendo una nota scocciata e brusca. Che sorelle
pettegole che aveva.
-Non hai risposto- le fece notare calma la maggiore, ignorando quel suo
modo di fare. Sapeva già come Eve
avrebbe reagito e la cosa non la sorprendeva per niente.
-A cosa?-
domandò, interessata. Non ricordava le fosse stata fatta una
domanda. Forse si era persa troppo a pensare e non aveva sentito? No,
era sicura non avessero detto altro. Evelyn roteò gli occhi.
-Non sembrava una domanda- fece notare. Susan fece schioccare la lingua
e la guardò come se fosse senza speranze per tutte quelle
scuse che trovava.
-Beh, se quel damerino di Simon si può
considerare un ragazzo...- sputò allora fuori, velenosa,
ricordando
i suoi modi gentili e forse un po' all'antica. Decisamente non era il
suo tipo. Troppo calmo, troppo gentile, troppo ordinato, troppo Simon
– e troppo
diverso da Edmund.
Semplicemente troppo.
Lucy e
Susan guardarono Eve indecise se ridere o roteare gli occhi. Dovevano
immaginarsela una frase simile, detta per far credere loro che non le
interessasse niente della persona in questione. A Evelyn qualsiasi
ragazzo le facessero notare non andava mai bene: troppo alto, troppo
basso, troppo brufoloso, troppo mammone... ci avevano provato in tutti
modi, ma ogni volta che uno di loro si avvicinava per parlarle, Evelyn
lo respingeva prima ancora che questo avesse aperto bocca.
Più di una volta si era dovuta scusare, in quanto alcuni
volevano solo chiederle l'ora o se aveva, per caso, una penna per
compilare una giustificazione falsificata.
Susan e Lucy
pensavano che con Simon sarebbe stato diverso, visto che ci aveva
parlato di buon grado anche senza il loro intervento. Inoltre era anche
carino come ragazzo, non sembrava avere nulla che a primo impatto non
andasse.
Eppure qualcosa faceva intendere loro che nemmeno lui aveva
fatto breccia nel cuore della sorella e ostinatamente si chiedevano
perché. Non capivano davvero. A costo di sembrare ostinate,
per quanto sapessero che le relazioni non si possono costringere,
volevano solo che lei fosse felice, che la smettesse di pensare ad una
vita in un luogo che, forse, c'era la possibilità non
avrebbero più rivisto.
-Comunque, cosa avete fatto?- Evelyn
alzò nuovamente le spalle alla domanda della minore, mentre
anche Susan la guardava in attesa di risposta.
-Nulla di che. Abbiamo
parlato e bevuto la cioccolata in un bar- si limitò a dire.
Le due sorelle la guardarono, ansiose di saperne di più sul
tempo che avevano passato assieme ed Eve decise che dir loro qualcosa
non c'era niente di male.
-Mi ha parlato un po' della sua famiglia e mi
ha chiesto di…- Eve si bloccò a metà
frase, rendendosi conto di cosa stava per dire. L'appuntamento! Se
l'era completamente scordato!
Alle due Pevensie non era passato
inosservato quel blocco improvviso.
-Ti ha chiesto di?- chiese Susan,
gli occhi che le si illuminavano. Evelyn divenne rossa al solo pensiero
e indietreggiò andando a toccare con la schiena il bordo
della scrivania.
-Uscire questo sabato- s'arrese, sicura che ormai non
aveva scampo. Pronunciò la parola in un sussurro strozzato
sperando non lo sentisse nessuno, ma alle sorelle non
sfuggì. Il risultato fu un urlo di una stupefatta Lucy e il
volto stupito di Susan che strabuzzava gli occhi.
-Davvero?-
domandò, incredula, portandosi una mano davanti alla bocca e
sbattendo le palpebre. Sembrava quasi commossa.
-Si- sospirò Evelyn, stanca di quella
situazione improvvisamente pesante.
-E' una cosa bellissima Eve!-
annunciò Susan, realmente contenta per quella svolta degli
eventi ed andando subito a rovistare tra i vestiti della sorella che,
secondo suo parere, doveva prepararsi per quel giorno. Non vedeva l'ora
di poterle dare dei consigli su cosa mettersi.
Evelyn
arricciò il naso per nulla convinta, ma non disse niente e
lasciò che per quella volta Susan rovistasse tra le sue
cose. Tutto pur di far finire quel discorso il prima possibile.
-Bisogna dirlo a Peter ed Edmund!- annunciò Lucy, avviandosi
di corsa verso la porta. Evelyn a quelle parole ebbe un tremito
ripensando al fratello. Si girò di scatto pronta per
afferrare Lucy e fermarla ma la sorellina era già vicina
alla porta.
-Lucy aspetta!- provò a gridarle,
allungando il braccio in un gesto di arresto, sperando forse che
arrivasse fino alla sorella e potesse trattenerla. Lucy non
l'ascoltò e uscì.
Evelyn fece per seguirla, ma il
suo corpo rifiutava di muoversi.
Era paralizzata.
Non voleva che lo
sapessero, anzi era decisa che probabilmente prima di sabato avrebbe
trovato una scusa per rifiutare di uscire. Che poi non si spiegava come
mai non avesse fin da subito detto di no a Simon.
Si sarebbe
sicuramente evitata molti più problemi.
Lucy
correva spedita giù dalle scale, non dando peso alle parole
che Evelyn le aveva urlato dietro. Era sicura che Peter ed Edmund
andassero avvisati quanto prima per evitare delle possibili tragedie.
Arrivò in cucina, dove il biondo stava leggendo un volume
riguardante storia.
-Peter- richiamò la sua attenzione,
cercando di calmarsi. Lo vide alzare lo sguardo dal libro per nulla
turbato, probabilmente l'aveva sentita arrivare mentre scendeva le
scale. Stava sempre attento a tutto ciò che gli succedeva
intorno, suo fratello.
-Devo dirti una cosa-
gli disse, come se dovesse confessargli una colpa. Nonostante fosse la
più piccola Lucy sapeva bene quanto alcuni argomenti
meritassero di essere presi con la dovuta calma. Peter la
guardò, in un tacito assenso che la stava ascoltando.
-Simon
ha invitato Eve a uscire sabato- disse Lucy, torturandosi le mani. A
Peter quel ragazzo non piaceva, l'aveva capito.
Il Pevensie rimase
immobile, irrigidendo solo la mascella e serrando i denti. Lucy lo
guardò aspettando che dicesse qualcosa, una cosa qualunque,
per farle capire cosa gli passasse per la testa.
-Bene, grazie Lu-
Quella risposta lasciò Lucy con l'amaro in bocca, non
riuscendo a capirla, e decise che forse era meglio lasciarlo solo.
Peter sentì l'irritazione pervadergli il corpo e
sospirò pesantemente non appena la sorella fu uscita
– probabilmente in cerca di Edmund o per tornare dalle altre.
“Lo sapevo che aveva in mente qualcosa”
pensò Peter, capendo il perché Simon gli avesse
sorriso e ricordando come avesse salutato la Pevensie. Ma non poteva
permettere che sua sorella rischiasse di rimanere coinvolta in quello
che magari era un dispetto che voleva fare a lui. Era troppo sensibile.
Improvvisamente
ebbe un'illuminazione e un'idea si fece spazio nella sua mente, per
quanto ingiusta potesse essere. E se per quel giorno Evelyn fosse stata
ammalata?
Lucy
si fermò in mezzo al corridoio pensando seriamente a dove
potesse essersi cacciato Edmund. L'aveva cercato in ogni stanza della
casa, eppure non riusciva a trovarlo.
Voltò lo sguardo verso
la finestra che dava sul giardino come se il paesaggio fuori potesse
darle qualche aiuto e scorse la figura di suo fratello intento a
dormicchiare sotto una quercia. Sorrise, dandosi mentalmente della
stupida per non averci pensato prima.
Da quando erano tornati da Narnia
quello era il luogo preferito da lui ed Evelyn, come poterlo scordare?
Un rumore di passi fece aprire gli occhi ad Edmund, strappandolo dallo
stato di dormiveglia in cui era calato. Si sentiva meno teso di prima,
ma nonostante tutto non era riuscito ad abbandonarsi al sonno come
avrebbe voluto. Lucy si sedette accanto a lui, ed il moro non
poté non pensare a quanto gli facesse strano che non fosse
stata Eve a raggiungerlo in quel luogo.
-Sai che Evelyn ha un
appuntamento con Simon, sabato?- domandò la Pevensie senza
aspettare che le dicesse niente,
mordendosi un labbro. Sapeva quanto Edmund ed Evelyn fossero legati e
sapeva che vedere in qualche modo crescere una delle persone a cui
tieni di più e vederla legarsi ad altri non sempre la cosa
fa reagire bene.
Lu non sapeva quanto fosse vicina alla
realtà con quei pensieri, di quanto fosse realmente profondo
il sentimento che legava quei suoi due fratelli.
Edmund
sentì una profonda fitta allo stomaco attraversarlo come una
lama tagliente e un lungo brivido lungo la schiena lo
paralizzò. Si schiarì la gola per prendere tempo
prima di formulare una risposta, temendo nell'incertezza della propria
voce e per avere qualche secondo per incassare quel colpo.
-Edmund?
Edmund? Ehi…- provò a richiamarlo Lucy, il tono
di voce preoccupato per il mutismo ostinato del Pevensie.
-Non lo
sapevo...- si limitò a rispondere lui, strappando dei fili
d'erba. Si girò verso di lei, sorridendo, ma alla sorella
sembrò tanto un sorriso di circostanza. Sgranò
gli occhioni, sentendosi in colpa per la tristezza che vedeva oscurare
gli occhi del Giusto e che involontariamente gli aveva portato.
Osservò in silenzio il Pevensie, davanti agli occhi un sacco
di ricordi che le si palesavano sotto altri aspetti, mentre questi non
si rese conto di come venisse interpretato il comportamento che stava
tenendo quel giorno.
Possibile
che... ?
Lucy si costrinse a scacciare
quell'idea dalla testa.
***
Alla
fine sembrava che
fossero riusciti a chiarirsi: lui le aveva chiesto scusa per il poco
tatto usato quella mattina, lei aveva scosso la testa dicendogli che
non c'erano problemi ed aveva reagito un po' male perché
evidentemente era una giornata storta.
Edmund si era sentito come
tirare via un macigno dallo stomaco.
Ripensò a quando poco
prima aveva deciso che le avrebbe detto la verità sui propri
sentimenti. Non era sicuro fosse la cosa giusta –
probabilmente non lo era per niente – ma non riusciva
più a tenersi tutto dentro. Rischiava di scoppiare e
ripensare alle reazioni anomale che più volte gli era
capitato di avere non faceva che confermarglielo.
Si morse un labbro,
pensieroso.
Doveva essere pronto a dirle addio. Era una constatazione
che al solo pensiero gli faceva mancare l'aria, ma non poteva essere
più veritiera. Non sapeva quando poteva essere il momento
migliore per confessarsi ma era sicuro che, una volta fatto quel passo,
nulla sarebbe potuto essere come prima – né con
Eve né, molto
probabilmente, con gli altri fratelli.
Forse poteva prendere la scusa
che si trovavano a Narnia ed andarsene verso altre terre...
Dei fruscii
improvvisi provenienti dal bosco lo misero all'erta. Si tirò
in piedi, riconoscendo in quei suoni il movimento di chi avanza per la
foresta, cercando di scorgerne la fonte e mettendo mano all'elsa della
spada. Concentrò la sua attenzione in un punto imprecisato
davanti a lui, strizzando gli occhi ma anche così non
riuscì a vedere nulla se non un movimento di fogliame.
Una
ventata lo raggiunse da dietro, facendogli rabbrividire
involontariamente la pelle. Si girò di scatto quasi di
riflesso, estraendo la spada mentre si voltava, ma strabuzzò
gli occhi non trovando nessuno davanti a sé.
Cosa... ?
-Edmund!-
La voce che lo chiamava lo costrinse a voltare il capo di
lato. Il suo sguardo si posò sulla figura di Lia, appiattita
a terra; notò Antares uscire dalla vegetazione dietro la
lupa in quel momento portando qualcuno in groppa. Corrugò la
fronte qualche secondo prima di riconoscere nella figura che stava sul
cavallo Dhemetrya.
Rivedendola si rese conto del fatto che non l'aveva più
incrociata alla casa di Aslan – e ne
capì il motivo. La ragazza era visibilmente pallida, con gli
occhi ancora arrossati da tutti i pianti che aveva fatto e
l'espressione spenta e lontana, lo sguardo vacuo.
Guardava nella sua
direzione, ma non sembrava vederlo davvero.
-Forse
hai ragione, ma
bisogna ricordare che siamo nati per questo-
Dhemetrya rimase qualche
attimo in silenzio, soppesando nella mente le parole di Antares. La
rabbia che aveva sentito nascere qualche secondo prima sembrava essere
scemata via così come era comparsa.
Si sentì
nuovamente svuotata di ogni emozione.
Sospirò pesantemente,
facendo schioccare la lingua contro il palato senza un reale motivo.
-Devi calmarti, non ti è concesso farti trascinare
così dalle emozioni-
Si torturò le mani alle
parole della lupa, mentre addosso percepiva ancora l'odore acre del
sangue come se le si fosse attaccato alla pelle in modo indelebile. Era
disgustoso.
Esitò ancora vari attimi avvolta nel silenzio
paziente della foresta millenaria che sembrava attendere l'esito di
quell'incontro, prima di decidersi a farsi forza sulle gambe e scendere
dal ramo.
Atterrò sull'erba felina e silenziosa come solo
l'aria sapeva essere, concedendosi tutto il tempo che riteneva
necessario prima per cercare la determinazione di alzare gli occhi
stanchi e arrossati verso i due compagni.
Si domandò quanto
tempo le sarebbe stato necessario quella volta per sentirsi nuovamente
pulita.
Edmund
sentì il senso di colpa per le condizioni in cui stava
attanagliargli le viscere e non si seppe spiegare il motivo. L'esito
della battaglia doveva averla sconvolta parecchio...
Antares
sbuffò un nitrito, avvicinandosi ai due e attirando
l'attenzione del Pevensie. Ed non poté fare a meno di
restare incantato dal passo cadenzato e dal manto lucido di quella
creatura imponente. Evelyn aveva sempre buon gusto.
-Scusate... pensavo
foste dei nemici- Si rese conto di avere ancora in mano la spada ed
essere rimasto imbambolato, così si affrettò a
metterla via, esibendo un sorriso imbarazzato.
-Non preoccuparti- si
limitò a dire la lupa, occhieggiando Dhemetrya che si
ostinava a stare in silenzio. Quasi la preferiva quando sorrideva a
tutti senza motivo.
-Avete visto gli altri miei fratelli?-
cercò di informarsi, per spezzare quel silenzio che si stava
posando su di loro e rendendosi conto che aveva passato molto tempo in
quel prato perso nei suoi pensieri.
-Tuo fratello e il Principe Caspian
si sono inoltrarsi nel bosco- Edmund ebbe un tentennamento a quella
parole, aprendo un paio di volte la bocca senza sapere cosa dire.
-Insieme?- si volle sincerare, alzando un sopracciglio scettico.
-Si,
Sire- gli confermò Antares.
-Riusciresti a seguire le loro
tracce?- domandò allora il Re, rivolto alla lupa,
avvicinandosi maggiormente ai tre Narniani. Se quei due erano in giro
insieme era curioso di capirne le motivazioni – non ci
avrebbe mai creduto senza vederli con i propri occhi. Inoltre voleva
essere sicuro che non stesse succedendo nulla e trovare conferma in
Peter era la prima cosa che gli veniva da fare.
-Salite, faremo prima-
disse Lia, dopo aver annuito, girandosi e porgendo la propria schiena
ad Edmund. Il ragazzo ebbe un breve tentennamento, occhieggiando
Antares con sopra Dhemetrya – si, sarebbe stato imbarazzante
se si fossero ritrovati così vicini, e poi la ragazza non
sembrava molto in sé in quel momento. Era decisamente meglio
lasciarla cavalcare da sola.
***
-Cosa
c'è?-
Edmund si sporse di lato per poter scrutare la lupa in volto
– o quel poco che da dietro riusciva a scorgere –
domandandosi il motivo per cui questa avesse arrestato la sua corsa
bruscamente.
Scrutò il bosco attorno a loro credendo potesse
aver percepito dei nemici con il suo udito animale, ma quando non vide
nulla muoversi nella vegetazione riportò lo sguardo sulla
lupa. Quella ancora non gli aveva risposto, osservando qualcosa che non
riusciva a scorgere a terra.
-La riconosci?- Edmund si sporse
leggermente, puntando lo sguardo sul terreno. I suoi occhi registrarono
vicino alle zampe di Lia un pezzo di stoffa bianca che sicuramente
niente centrava con la natura. La lupa fece in modo che il ragazzo
potesse trovarsi quel fazzoletto più vicino per poterlo
osservare meglio.
Ebbe un tuffo al cuore.
La stoffa per la
fasciatura
di Evelyn.
Lia sentì il corpo di Edmund tendersi come una
corda. Come immaginava, aveva ragione. Il suo fiuto non sbagliava mai.
-E' la stoffa che ho usato per
la fasciatura di Evelyn!- disse, sporgendosi dalla schiena della lupa
per raccoglierla. Antares si era avvicinato, osservando l'oggetto del
discorso.
-Credevo stessimo cercando Peter e Caspian-
I tre si
voltarono verso Dhemetrya, sorpresi. Era la prima volta che parlava da
quando si erano incontrati. La sua voce suonava un po' roca, ma i suoi
occhi sembrarono aver ripreso un luccichio di vitalità.
Edmund si grattò la nuca, pensieroso, evitando di guardarla
troppo negli occhi.
-Deve essere anche lei
in giro per il bosco- azzardò, riponendo attorno alla
cintura che aveva alla vita la fasciatura. Certe volte sua sorella era
davvero un'irresponsabile!
Dhemetrya non replicò,
scambiandosi però uno sguardo con Lia, che a sua volta
guardò Antares, senza che Edmund ci fece caso. Il pensiero
generale di tutti fu lo stesso.
-Allora dobbiamo trovarla.-
Ciao
a tutti
:)
Eccomi di ritorno in tempi relativamente brevi *O* Il prossimo
capitolo è già pronto e ve lo porterò
per metà agosto, prima di partire per le vacanze. Se riesco
(a settembre tornerò a studiare), tengo volentieri
l'aggiornamento una volta al mese nonostante *dovrebbero essere* una
volta ogni due. Comunque...!
In questo capitolo
vengono lanciate varie eschine. Rispetto al capitolo vecchio, qui
c'è una buona parte riguardante i nuovi personaggi per dar
loro un po' di meritato spazio: piano piano usciranno anche loro dal
guscio e avranno modo di mostrare il loro carattere, i loro pensieri
ecc. E poi Lucy... Lucy avrà
capito qualcosa? Non resta che aspettare per sapere!
Per quanto
riguarda la trama in sè, siamo all'incirca a
metà. Mancano un paio di filoni per poi dirigersi verso
l'arco narrativo finale. Ringrazio coloro che preferiscono, seguono e
ricordano, coloro che leggono in silenzio e un ringraziamento
particolare alle persone che tra i vari capitoli si sono fermate a
lasciarmi una recensione. Se vorrete, ogni nuovo parere è ben accetto.
Alla prossima.
D. <3
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Capitolo 26 *** La voce dietro il silenzio delle note. ***
Narnia's
Spirits
La
voce dietro il
silenzio delle note.
-Evelyn!-
Peter aveva pronunciato il nome della sorella cercando di mantenere un
tono di voce sicuro e deciso, mentre usciva allo scoperto seguito pochi
passi dietro da Caspian. Non avrebbe mai ammesso la paura che stava
provando per la sorte incerta della ragazza.
-Evelyn!- Provò
di nuovo a chiamarla, con tutta la voce che aveva. Questa non diede il
minimo segno di averlo sentito. Peter cercò di non fare caso
alla sensazione di impotenza che iniziava a tormentarlo cercando di
scacciarla in un angolino della sua mente: doveva rimanere lucido e
ragionare.
Tra lui e Caspian, rimasto in silenzio poco dietro ad
osservare teso la scena in attesa di sviluppi, e la Regina, si
intromisero le due streghe. Sembrarono voler mettere ancora
più distanza tra i ragazzi e la Pevensie, più di
quanta già non ce ne fosse – soprattutto
mentalmente.
Caspian notò come le due non camminavano a
terra, rimanendo sospese nell'aria senza bisogno di toccare il terreno:
era la conferma che erano creature magiche a conoscenza di incantesimi.
Quella che teneva il flauto se lo tolse dalle labbra, ridacchiando,
mentre l'altra emise un lungo fischio. I due ragazzi si dovettero
tappare le orecchie per il fastidio di quel suono.
Persi nel cercare di
proteggersi l'udito e chiudendo gli occhi come se quel gesto potesse
aiutarli non si accorsero della decina di lupi che li avevano
circondati fin quando non rialzarono lo sguardo davanti a loro.
Peter
strinse le nocche dalla rabbia tanto che sbiancarono, mettendosi sulla
difensiva, osservando le bestie ringhianti dritte negli occhi. Li
stavano studiando, aspettando qualsiasi loro movimento per poterli
attaccare. Il Re fece digrignare i denti.
Se quelle due volevano la
guerra l'avrebbero avuta. Avrebbe riportato Evelyn alla casa di Aslan
sana e salva, a qualsiasi costo.
Caspian gli si era avvicinato,
imitandolo nei movimenti: senza che ci fosse bisogno di parole i due si
ritrovarono schiena contro schiena per proteggersi le spalle a vicenda.
-Io mi occupo di loro, tu vai da Eve- gli sussurrò Peter,
nel suo tono imperioso. Era teso, pronto a scattare al minimo segno di
attacco da parte degli animali, ma nonostante ciò il tono di
voce era
rimasto quasi immobile mentre parlava. Qualsiasi mossa azzardata
avrebbe dato vita a quello scontro.
-Che ne dici di fare il contrario?-
gli domandò Caspian, osservando un paio di lupi provare ad
avanzare per restringere il cerchio in cui li avevano chiusi.
Sapeva
che Peter era bravo con la spada e nell'arte del combattimento, ma li
da solo rischiava seriamente di lasciarci le penne. Perdere uno degli
antichi sovrani era una cosa che non poteva essere contemplata, non con
la guerra che stavano per affrontare. Se doveva sacrificarsi qualcuno,
lui era la persona più adatta.
-Sono troppi da trattenere
per una sola persona- constatò Peter. Sentì
dietro di sé il Principe annuire. Non c'era altro modo se
non fare gioco di squadra. Eppure... eppure voleva che qualcuno
arrivasse il prima possibile da Evelyn. Anche a costo di doverci
rimettere la vita per far prendere tempo a Caspian.
Improvvisamente i
lupi attaccarono, stanchi di quella situazione di stallo, e i due
ragazzi si buttarono a terra rotolando di lato per evitarli.
Poi iniziarono a difendersi come meglio potevano, facendo volteggiare
le spade davanti a loro per cercare di colpire il numero maggiore di
avversari. Bastava prendere i lupi alle zampe o alla testa e
probabilmente i più deboli se ne sarebbero andati per
istinto di sopravvivenza.
Mentre combattevano cercando di evitare gli
attacchi degli animali i due si ritrovarono spinti verso il confino con
il bosco, allontanandosi sempre di più dalla Pevensie,
ancora ferma a pochi metri dal burrone.
-Vogliono tenerci lontani!-
gridò Peter, rendendosi conto che i lupi non li attaccavano
solo per ucciderli ma anche per farli indietreggiare dalle due Streghe.
I suoi occhi cercarono la figura di Caspian per capire dove fosse
finito ma, per evitare un lupo che aveva provato ad azzannargli un
braccio, inciampò e andò a sbattere la schiena
contro il tronco di un albero. Per qualche secondo che gli
sembrò infinito gli mancò il fiato e
usò la spada per reggersi in piedi.
Osservò con
rabbia i due lupi che gli ringhiavano contro minacciosi, le zanne
bianche e affilate che risaltavano sul manto grigiastro.
Gli
arrivò l'odore inconfondibile del sangue e temendo che il
Principe potesse essere stato ferito cercò nuovamente la sua
figura: lo vide alle prese con tre lupi, ma a parte qualche graffio
sulla casacca sembrava stare bene. In qualche modo si sentì
sollevato, voleva dire che il sangue che stava inacidendo l'aria era
solo dei lupi che avevano ucciso o ferito.
Schivò l'attacco
di uno che finì in mezzo ai cespugli e si preparò
a colpire l'altro, riuscendo a ferirlo ad una zampa. L'animale
ululò un lamento per poi rialzarsi sulle zampe sane ed
attaccandolo di nuovo. Questa volta per il Pevensie fu meno difficile
schivare l'attacco e colpirlo a sua volta, uccidendolo.
Peter si
passò un braccio sulla fronte bagnata per togliersi il
sudore
in eccesso e osservò verso il burrone. Eve era ancora in
quel punto e le due seguaci osservavano la lotta dei due ragazzi con un
ghigno soddisfatto, come se sapessero di avere già vinto.
Il
biondo sentì l'irritazione invaderlo per il modo in cui si
prendevano gioco di loro. Le odiò per il modo in cui lo
stavano sottovalutando.
-Peter, attento!-
Improvvisamente
sentì un dolore al braccio e gridò, ricordandosi
dell'altro lupo che era ancora in vita e che aveva approfittato della
sua disattenzione per attaccarlo nuovamente. Percepì i
canini affondargli nella carne come tanti spilli e il sangue
fuoriuscire copioso, e per il dolore mollò la presa
sull'elsa
della spada.
Pensò seriamente che gli avrebbe staccato il
braccio a morsi.
Con l'altra mano tirò un pugno alla testa
del lupo, che però ringhiò maggiormente senza
mollare la presa. Il ragazzo gridò ancora, mordendosi un
labbro. Era insopportabile.
-Peter!-
Il ragazzo sgranò gli
occhi, cercando di riprendere lucidità sentendo Caspian che
lo chiamava con ansia: si chinò a terra e afferrò
un sasso, colpendo nuovamente la testa dell'animale. Questo
guaì e lasciò la presa, allontanandosi di qualche
passo per quel dolore improvviso. Peter lo guardò con aria
di sfida con ancora la mano a mezz'aria, cercando di ignorare il dolore
che sentiva.
Il lupo lo osservò ancora qualche secondo,
aveva del sangue che gli colava lungo il muso, poi voltò le
spalle e se ne andò nel fitto della foresta.
-Eve!-
provò a chiamare nuovamente, nonostante fosse lontano.
Perché non lo sentiva? In quel momento, con la testa
spaesata
e la confusione della lotta, non riusciva a spiegarsi il motivo.
L'unica cosa che gli veniva in mente, come un campanello che suona
l'allarme insistentemente, era che sua sorella fosse sotto qualche
incantesimo. Non
c'era altra spiegazione. Specialmente se di mezzo vi era veramente
Jadis. Ma la Strega di ghiaccio era morta... giusto?
Peter
sentì le corde dell'incertezza vibrare dentro di lui. Il
dolore al braccio lo riportò alla realtà, e si
voltò in cerca di Caspian, scuotendo la testa per cercare di
togliersi dalla mente quelle macchinazioni.
Scorse a vari metri da lui
il principe messo all'angolo dai tre lupi, la fronte imperlata di
sudore e la casacca sempre più a brandelli. Aveva anche un
taglio sulla guancia e respirava affannosamente.
Non ci
pensò su troppo e per istinto corse verso di lui per
aiutarlo, lanciando delle rapide occhiate ad Evelyn e sperando
rimanesse ferma nel punto in cui era. Si bloccò di colpo
strabuzzando gli occhi quando la vide compiere un paio di passi: un
movimento indeciso e tentennante, come quando si è in una
stanza buia e ci si muove piano per non rischiare di andare contro
qualcosa. Nel frattempo, i lupi stavano stringendo il semicerchio
contro il Principe per non lasciargli via di fuga.
Qualcosa dentro
Peter urlò di indecisione di fronte a quella scena.
Avrebbe
dovuto scegliere.
L'istinto gli diceva di correre da Evelyn, mentre la
ragione ed il suo senso dell'onore prevalevano nello spingerlo per
aiutare per primo Caspian. Il ragazzo si sentì impotente nel
non poter andare da entrambi nello stesso momento.
-Io me la cavo!
Pensa a Evelyn!- Il moro menò un fendente in avanti, per far
allontanare gli animali da sé e prendere tempo. Peter
intercettò il suo sguardo determinato e lo vide annuirgli,
indicandogli con un cenno della testa di andare dalla Pevensie. Il Re
gli sorrise brevemente, ringraziandolo con uno sguardo per aver capito
il motivo della sua indecisione.
Forse Caspian non era
poi
così male...
Vide il Principe sempre più vicino
ad affrontare i tre lupi, ed il suo corpo si mosse da solo: corse verso
di lui per andare in suo soccorso, menando la spada per allontanare gli
animali che balzarono di lato per evitare di essere colpiti ed
arrivandogli, così, accanto. Caspian sembrò
bloccarsi qualche attimo a quel gesto.
-Vedo che anche questa volta non
hai ascoltato i consigli- gli disse, ironico, rivolgendogli
però un'occhiata di ringraziamento. Il Pevensie si
limitò a storcere il naso prima di rispondere, reggendo
quello scambio di battute.
-Sono Re Peter, non prendo ordini da
nessuno- disse, alzando il mento altezzoso e senza guardarlo.
Lanciò poi un'occhiata alla sorella e Caspian
seguì il suo sguardo, tendendo i muscoli, notando come le
due streghe, nonostante il branco di lupi fosse stato quasi del tutto
ferito o ucciso, sorridevano guardandoli.
Il Principe
digrignò i denti. Non avevano altro tempo da perdere.
Affilò lo sguardo, per nulla intenzionato a perdere, mentre
un vago senso di orgoglio e rabbia interiore iniziava ad invaderlo. Non
poteva permettere che succedesse qualcosa ad Evelyn o perfino a Peter.
Narnia aveva bisogno di loro, in quel momento più che mai.
Non avevano tempo per stare ai giochetti di... di?
Corrugò
le sopracciglia, non capendo. Chi erano quelle due? E cosa volevano?
Dubitava che fossero state assoldate da suo zio per far fuori i vecchi
sovrani. Piuttosto che rivolgersi ai Narniani si sarebbe impiccato,
probabilmente.
Un basso ringhio proveniente vicino a lui gli fece
riportare l'attenzione ai tre lupi strappandolo dalle proprie domande.
Mentre era distratto li avevano circondati di nuovo. Ma Caspian non si
fece intimidire, reggendo più saldamente la spada: era
sicuro che con l'aiuto di Peter la lotta sarebbe stata breve e ne
sarebbero usciti vincitori.
Lanciò un'occhiata al ragazzo:
la casacca sul suo braccio era zuppa di sangue. Aveva bisogno al
più presto di cure mediche.
I due ragazzi iniziarono ad
affrontare i tre animali, cercando di evitare i loro attacchi per non
essere feriti. In una manciata di minuti, come aveva pensato il moro,
avevano vinto. Due lupi giacevano morti al suolo, il terzo era scappato
ululando al vento con una zampa ferita.
I due si scambiarono uno
sguardo d'intesa, per poi mettersi a correre in direzione del burrone
per raggiungere Evelyn. Davanti a loro però si
materializzarono le due donne, e furono costretti ad arrestarsi di
colpo per non arrivar loro troppo vicino. Entrambi si domandarono come
avessero fatto a muoversi così velocemente.
Le due li
scrutavano con un luccichio di soddisfazione nello sguardo, ghignanti.
Peter sotto quegli sguardi di scherno tremò visibilmente di
rabbia e si morse un labbro, impaziente.
Si scagliò contro
la prima che l'aveva fermato e tentò di colpirla, ma questa
schivò l'attacco facilmente, scartandolo di lato e andando
indietro qualche metro. Caspian rimase attonito nel vedere la
facilità con cui la donna si era mossa senza mutare
espressione e per nulla impressionata dal colpo, come se fosse sospinta
nei suoi movimenti dall'aria.
-Bel colpo, Re Peter. Ma inutile-
mormorò poi, ghignando divertita e mettendosi una mano sul
fianco. La seconda emise un risolino. Li stavano sottovalutando e si
stavano divertendo a giocare con loro.
-Cosa avete fatto ad Evelyn?!-
sbottò rabbioso il Re, cercando di ignorare la provocazione.
-Lasciatela andare!-.
-Che maniere sgarbate- La
seconda assunse un tono fintamente offeso e gli lanciò
un'occhiata indignata, avvicinandosi all'amica che stava scuotendo la
testa in segno di sconsolazione e reggendo il flauto tra le mani.
-Che
cosa volete da lei?- prese parola Caspian, lanciando un'occhiata alla
Pevensie e cercando di mantenere un tono tranquillo. Quelle due si
divertivano a vedere le reazioni di Peter, agitato come un topo in
gabbia. Le due posarono gli occhi dorati su di lui come se lo vedessero
per la prima volta, e sbatterono le palpebre, fintamente perplesse.
-E'
un pericolo- iniziò la prima, come se dicesse l'ovvio. Peter
strinse un pugno tanto che le nocche gli diventarono bianche, Caspian
gli lanciò un'occhiata, non capendo quelle parole.
-Anzi,
è un pericolo per la nostra Regina- specificò la
seconda. La prima le lanciò uno sguardo di rimprovero per
quella rivelazione, tirandole un leggero schiaffo sulla
guancia. Per quanto erano sicure che gli avrebbero uccisi, meno cose
rivelavano meglio era.
Caspian si domandò in che modo
potesse una ragazza essere un pericolo e di quale regina parlavano.
Non conosceva altri sovrani che Narnia avesse avuto oltre loro
– o oltre i Telmarini che volevano conquistarla.
-Ora basta-
disse tagliente Peter, alzando lo sguardo e posandolo sulle due, duro.
Era stanco di quei discorsi senza senso. Tanto gli bastava sapere che
volevano fare del male ad Evelyn per volerle uccidere. Del resto non
gli importava. Chiunque si sarebbe messo contro di lui e la sua
famiglia l'avrebbe sconfitto.
-E' ora di finirla- ordinò,
stringendo maggiormente l'elsa della spada e scattando in avanti. Il
Principe gli fu subito dietro. Entrambi erano stanchi per la lotta
contro i lupi, i loro colpi erano spesso imprecisi e a volte sembravano
muoversi a casaccio.
Le due avversarie si limitavano a evitare i colpi
e i due si domandarono se non fosse un modo per farli stancare
facendogli perdere tempo. All'ennesima serie di attacchi andati a
vuoto, Peter si bloccò di colpo, mentre anche Caspian si
fermava e tentava di riprendersi, cercando di regolare la respirazione.
Lanciò un'occhiata davanti a sé: le due non
sembravano volerli attaccare ma era meglio non abbassare la guardia. Si
avvicinò a Peter di qualche passo.
-Vai da tua sorella, io
le tengo occupate- gli sussurrò. Il ragazzo rimase in
silenzio qualche attimo.
-No. Vai tu. Voglio combatterle io- gli disse,
sorprendendolo. Era sicuro che la cosa che più volesse in
quel momento fosse raggiungere la ragazza e non perdere tempo con
quelle due.
Caspian alzò gli occhi scuri su di lui, vedendo
Peter osservare attentamente Eve. Gli mise una mano sulla spalla senza
ribattere. Iniziò a correre in direzione di Evelyn ma una
delle due gli sbarrò la strada.
Fu Peter ad intervenire,
menando un fendente verso di lei per allontanarlo dal Principe e
lasciandogli così la strada libera. Le due sorrisero
tornando vicine, lasciando trapelare una calma innaturale e seguendo
con lo sguardo Caspian che si avvicinava ad Evelyn.
-Abbiamo tempo per
occuparci sia di te che del Principino- disse la prima, alzando il
mento altezzosa e sfoggiando un sorriso. Nelle sue mani si
materializzarono due pugnali.
-E vorrà dire che tu sarai il
primo ad avere l'onore di morire- mormorò la seconda,
estraendo da dietro la schiena una katana. La sua voce suonò
innaturalmente fredda e Peter dovette reprimere un brivido.
-Lo
vedremo- le sfidò, facendo roteare la spada.
Ringraziò che il lupo non gli avesse morso il braccio con
cui maneggiava Rhindon. Caspian si voltò velocemente
indietro, vedendo Peter iniziare a duellare di nuovo contro quelle due.
Non aveva tempo da perdere.
Doveva sbrigarsi.
Si fece forza, intimando
alle proprie gambe di aumentare il passo, raggiungendo Evelyn. Nel
momento in cui le fu vicino quella accennò ad un altro passo
e Caspian le si mise di fronte per cercare di non farla avanzare.
Alzò lo sguardo sul suo viso e il respiro gli si
mozzò in gola.
I suoi occhi...
Il Principe si sentì
incerto.
Gli occhi di Evelyn...
Vacui, persi, spenti e soprattutto...
lucidi. Lucidi di lacrime, straboccanti come i fiumi in piena dopo
giorni di pioggia. Evelyn stava piangendo.
-Eve...- provò a
chiamarla, ingoiando il groppo che sentiva in gola e mettendole le mani
sulle spalle per scuoterla leggermente. Quella non rispose, ma in
risposta sgranò gli occhi come se l'avesse sentito facendo
in quel modo trasbordare le lacrime, che le rigarono le guance
arrossate.
-Evelyn- riprovò Caspian, più deciso
rispetto a prima. -Devi svegliarti- cercò di spronarla. Le
labbra della Pevensie si mossero ma non ne uscì alcun suono.
-Cosa hai detto?- provò a chiederle, abbassandosi per
cercare di guardarla negli occhi. Le pupille gli facevano impressione,
erano dilatate in modo innaturale, come quando ai malati si dava
qualche erba per non fargli sentire il dolore.
-...N-nar-nia- la
sentì mormorare. La sua voce risuonò roca, come
se a parlare facesse uno sforzo immenso. Caspian si domandò
se si stesse rivolgendo a lui o fosse persa nell'oblio creato da quelle
due.
-V-Voglio and-andare… a N-Narnia- soffiò in
un sussurro. Qualche altra lacrima le rigò il viso. Il
Principe si sentì impotente di fronte all'evidente
sofferenza dell'amica ed inarcò un sopracciglio, non capendo
il senso delle sue parole.
-Sei già a Narnia- le disse,
convinto.
-Non vedi?- domandò, indicandole con un gesto del
braccio l'ambiente intorno a loro. Quella sembrò guardare
quasi seriamente il punto indicato dal Principe, ma gli occhi erano
sempre vacui e persi nel vuoto.
-La vera Narnia- sibilò la
ragazza, stringendo le labbra per la rabbia. Il Principe
sentì i muscoli della spalla di Evelyn sotto il suo tocco
tendersi per l'irritazione e la tensione. Caspian parve intuire
qualcosa.
-E dov'è la vera Narnia, Eve?- le
domandò, abbassandosi nuovamente per poterla guardare in
viso e parlandole come se fosse una bambina con cui è
richiesta una immensa pazienza. La Pevensie alzò un braccio,
indicando un punto indefinito di fronte a sé al di la del
burrone.
-Laggiù-
Prima che potesse girarsi al Principe
arrivò alle orecchie il clangore del metallo che cozza
contro altro metallo, e si sporse oltre Evelyn per soppesare la
situazione e vedere come fosse messo Peter.
Il Pevensie era tenuto
lontano da loro due, tuttavia non sembrava cavarsela male: combatteva
soprattutto contro quella che impugnava i due pugnali, mentre l'altra
si limitava a tagliargli la strada quando cercava di avanzare. Le due
sembravano prese così tanto da Peter che il Principe ebbe
l'impressione che si fossero dimenticate di lui.
Forse non lo
ritenevano una minaccia così grande da poterlo considerare
un pericolo per i loro piani. Probabilmente credevano che il legame tra
i due fratelli fosse invece di una profondità tale da
doverli tenere lontani ad ogni costo.
Caspian corrugò la
fronte, leggermente risentito: era vero che non era da molto tempo che
conosceva i Pevensie, eppure sentiva in qualche modo di essersi
affezionato ad ognuno di loro. Riportò l'attenzione sulla
ragazza di fronte a lui.
-Evelyn, svegliati- disse, deciso. Voleva ad
ogni costo che quella si svegliasse da quello stato di torpore e
soggiogamento in cui era caduta. La Pevensie fece un altro passo e
Caspian si ritrovò a trasalire per quel gesto inaspettato,
prendendola subito per le spalle in modo da bloccarla.
Lei
però non si arrese e continuò a spingere per
avanzare, rivelando una forza innaturale e che non le apparteneva
decisamente.
-Caspian, non lasciarla andare!- gli gridò da
lontano Peter, ansante, vedendo come si stava volgendo la situazione.
Non era possibile che Evelyn riuscisse a fare indietreggiare Caspian,
nemmeno con tutto l'impegno del mondo.
-Secondo te cosa sto facendo?-
lo riprese quello, senza guardarlo e serrando le labbra. Aveva dovuto
puntare i piedi a terra per bloccare la Pevensie.
Mentre Peter rimaneva
impegnato a combattere contro le due avversarie che si stavano
rivelando decisamente più astute e forti di come aveva
immaginato, la mente di Caspian lavorava frenetica per pensare ad un
modo che potesse svegliare l'antica regina.
-Eve!- gridò il
biondo, da lontano, senza arrendersi nel chiamarla. Dovette abbassarsi
per evitare un affondo e usare Rhindon per parare un attacco laterale
che lo fece barcollare di qualche metro.
Il ragazzo si ritrovò a dover riprendere fiato contro la
corteccia di un albero.
-Sono stanca di te- sibilò la prima,
affilando lo sguardo. Fece schioccare la lingua sul palato con
arroganza, osservandolo da capo a piedi. Quel ragazzino le stava
facendo perdere tempo e si era stancata di giocare.
-Metterò
io la parola fine alla tua vita- sibilò, prendendo entrambi
i pugnali e preparandosi a lanciarli da lontano. Prese la mira e si
preparò a tirare mirando al petto e alla testa. Il
Pevensie si vide spacciato. Provò a muoversi, ma
sentì i muscoli intorpiditi e stremati, il corpo non gli
obbediva
più, il braccio gli faceva male terribilmente.
Sentì la fine inesorabilmente vicina e si odiò
per non essere riuscito nel suo intento. La sua mente gridava, ma il
suoi fisico non sembrava sentirla spronarlo. Chiuse gli occhi per
istinto.
Scusami, Evelyn...
-Peter! Non arrenderti!- gridò
Caspian da lontano, vedendo i pugnali sempre più pronti a
fendere l'aria senza poter fare nulla. Il Pevensie avrebbe voluto
ribattere a quelle parole, rinfacciandogli che lui non si era mai fatto
battere e mai si era arreso, ma era troppo stanco anche per quello.
Vide le persone più preziose della sua vita comparirgli
davanti agli occhi e sentì un colpo al cuore consapevole di
starli deludendo. Non avrebbe mai più rivisto i suoi
fratelli, la sua famiglia...
Improvvisamente sentì una
corrente d'aria e un peso lo spinse di lato senza grazia, facendolo
cadere a terra di qualche metro. Il ragazzo trattenne un gemito di
dolore per lo scontro con il terriccio e aprì gli occhi,
sconvolto. Ci mise qualche attimo a capire in che direzione dovesse
guardare.
-Ciao Peter-
Il Pevensie sbatté le palpebre,
sorpreso della scena che si trovava davanti: Edmund gli sorrideva
complice, tendendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi; alle sue spalle
Lia si era frapposta tra i due ragazzi e le due streghe e le fissava,
ringhiando sommessamente. Le due seguaci sembravano sorprese quanto lui
di quell'improvviso cambio di eventi e si scambiarono un'occhiata.
Il
biondo sorrise al fratello, alzandosi con il suo aiuto e cercando di
fare mente locale. Il suo sguardo corse alle spalle delle due donne,
per poi fissarsi su Evelyn, circondata oltre che Caspian anche da
Antares e Dhemetrya. Il Pevensie non si fece domande in quel momento su
tutte quelle presenze che li avevano raggiunti insieme, sentendosi solo
immensamente sollevato per il loro intervento.
Soprattutto, doveva a
suo fratello la sua vita.
Lia, Edmund e Peter, con in mano le loro
spade, iniziarono ad avanzare verso le due con sguardo di sfida, che
nel frattempo retrocedevano, incerte. Potevano chiamare altri lupi
ma... la prima digrignò i denti, ritrovandosi disarmata.
-Eve?- sussurrò Edmund, lanciando uno sguardo sulla sorella
girata di spalle. Non capiva come potessero essere finiti in quella
situazione. Pensava che i pericoli per loro provenissero solo dalla
gente di Telmar o dagli animali selvatici.
-Non si sveglia-
ringhiò Peter fuori dai denti, strizzando gli occhi per il
dolore al braccio che con la caduta si era fatto più acuto.
Strinse l'elsa della spada per scaricare la tensione.
Edmund
guardò preoccupato in direzione di Evelyn ancora una volta
pregando che gli altri trovassero un modo per rompere quella sorta di
maleficio, per poi avanzare insieme al fratello verso quelle due per
attaccarle. Prima le toglievano di mezzo prima potevano salvare la
sorella.
Lia, invece, era rimasta immobile qualche passo dietro i
ragazzi. Aveva le orecchie tese e percepiva una strana sensazione di
inquietudine scuoterle l'animo. Si sentiva tutta irrigidita. Sentiva
come se le stesse sfuggendo qualcosa da sotto il naso.
Cercò
di concentrarsi maggiormente, ordinando i pensieri e sgomberando la
mente. Attorno a lei presto ci fu solo silenzio. E si mise in ascolto.
-Antares!-
Caspian osservò il destriero raggiungere lui e la
Pevensie mentre Peter veniva salvato da Edmund. Tirò un
sospiro di sollievo e riportò la sua attenzione sulla mora
ramata.
Da parte a lui si mise Dhemetrya e il Principe si limitò a
lanciarle delle brevi occhiate, cercando di non fare caso in quel
momento al suo aspetto trasandato.
La ragazza osservò la
Pevensie con sguardo pensieroso, poi lanciò un'occhiata a
Lia, ferma immobile. Perché perdeva tempo invece di
aiutarli? Sospirò, scuotendo la testa, riportando la
concentrazione su Evelyn. Era già abbastanza stanca, ci
mancavano solo dei Narniani ribelli di cui doversi preoccupare.
Dhemetrya si domandò da dove quelle due streghe avessero
potuto attingere alla magia che sicuramente c'era dietro allo stato di
trance in cui si trovava la regina. Perfino lei faticava a percepirla e
la doveva usare con il contagocce. Non c'era da sprecarla con
giochetti strani.
-Sapresti come svegliarla?- le domandò
ansioso il ragazzo, vedendola pensierosa e sperando che da Narniana
fosse a conoscenza di qualche soluzione. Dhemetrya scosse la testa,
spezzando le sue speranze appena nate.
-No, purtroppo no. Forse Lia...-
sussurrò atona, lanciando un'occhiata ad Antares ed
accennando con la testa alla lupa ancora ferma nello stesso punto di
prima.
Caspian si domandò cosa potesse saperne un animale
rispetto ad una persona, ma non osò parlare per non
offendere: dopotutto Aslan era un leone... e non era tempo di fare
pensieri simili.
-Dobbiamo evitare che avanzi verso il burrone-
constatò Antares, trattenendo Eve per un lembo della manica
quando la vide tentare di muoversi. Il Narniano si sentì
impotente per non potere fare di più.
-Eve!- Edmund
gridò il nome della sorella, mentre evitava un affondo della
sua avversaria. Si allontanò di qualche passo per
poter recuperare il fiato.
In cuor suo, sperò che almeno la
sua voce, nel ricordo di quel legame tanto stretto che li univa da
sempre, potesse rompere l'incantesimo e farla reagire. In cuor suo,
forse, sperò egoisticamente di poter essere l'unico a
poterla salvare.
-Evelyn! Svegliati!- le gridò, dando
momentaneamente le spalle alla seguace. Ci pensò Peter a
coprirgli le spalle e il fratello gliene fu grato.
Edmund la vide
sussultare e sorrise, sentendo il suo petto riempirsi di uno strano
calore. L'ansia che gli attanagliava lo stomaco sembrò
iniziare a dissolversi sotto la certezza che non era tutto perduto.
Tornò a concentrarsi sul suo duello, sicuro di aver ottenuto
qualche risultato come sperava.
***
La
ragazza si
sentì sbatter le palpebre, anche se ad occhio
esterno non ci fu nessun movimento sul suo corpo. Si sentiva spaesata e
confusa, aveva fastidio alle orecchie e per quanto riuscisse a vedere
il proprio corpo, non ne percepiva del tutto la presenza.
Davanti a lei
continuavano a sovrapporsi immagini diverse, immagini che le si
concretizzavano davanti agli occhi come se le stesse sognando. Immagini
tutte con lo stesso soggetto: Narnia.
Eve trattenne il fiato, non
capendo, sentendo il peso dei ricordi affondarle nel cuore come
pugnali.
Più vedeva quei paesaggi attorno a sé
più sentiva di stare sprofondando in un baratro.
Sentì gli occhi pizzicare. Aveva voglia di piangere.
-Eve!-
Chi mi chiama?
-Evelyn! Svegliati!-
Chi sei? Ti conosco…
La
Pevensie si sentì sussultare. Qualche parte sperduta della
sua mente le portò la soluzione ai suoi quesiti. Era la voce
di Peter.
“Peter! Dove sei? Peter, aiutami!” Evelyn
si portò una mano alla bocca, sconvolta, sentendo le lacrime
rigarle le guance. Era sicura di aver urlato quelle frasi, ma si rese
conto di non essere riuscita a produrre alcun suono. Sentì
lo sconforto penetrarle nel cuore e la paura di essere isolata da tutti
strisciarle addosso.
Aveva paura. Paura di rimanere per sempre in
quello stato che, era sicura, non era la realtà. Come a
volerle dare conforto, davanti a lei si materializzò un
armadio.
L'armadio guardaroba.
Evelyn si sentì trattenere il
fiato come quando ci si era ritrovata davanti da ragazzina.
Doveva
ritornare a Narnia.
La Pevensie scorse all'interno di esso, tra i
giubbotti di pelliccia e le ante aperte, quell'inconfondibile paesaggio
imbiancato che aveva impresso nel cuore delle sue memorie. Si
sentì sorridere, sollevata, iniziando ad avanzare verso
l'entrata.
Narnia.
-Eve! Devi svegliarti-
La Pevensie sgranò
gli occhi, bloccando il suo cammino verso l'entrata dell'armadio che,
fece caso, sembrava più lontana del previsto. Si
osservò attorno, non scorgendo nulla di strano nella stanza
in cui si trovava. Eppure era sicura di aver sentito... Caspian?
-Dove
vuoi andare?-
Sentì di nuovo quella voce, e ne fu sicura.
Era Caspian. Le stava parlando da qualche parte.
-A Narnia-
Evelyn
storse il naso, riconoscendo la sua voce risuonare roca in quella
confessione che non aveva fatto. Se lei era li, e non stava parlando...
chi aveva risposto al posto suo?
-Tu sei a Narnia. Non vedi?-
“lo so che sono a Narnia, cosa credi?” Avrebbe
voluto rispondergli.
-Laggiù-
Sentì il suo braccio muoversi per
indicare qualcosa senza che lei ordinasse niente, e ancora qualcuno che
parlava per lei. Si paralizzò sul posto, vedendo il braccio
alzarsi a mezz'aria. Si sentì improvvisamente
confusa e diretta maggiormente verso l'armadio. Era come se la
chiamasse inesorabilmente e lei non vi si potesse opporre.
Era arrivata ormai
di fronte alle ante aperte, poteva sentire il freddo pungente
solleticarle le guance accaldate. Allungò una mano
all'interno per farsi spazio.
-Eve!-
Si bloccò di colpo,
mentre il cuore perdeva un battito. Quella voce…
-Evelyn!
Svegliati!-
Sgranò gli occhi, sentendo il fiato farsi
più pesante e uno sfarfallio nello stomaco.
Sussultò leggermente, sentendosi vagamente in colpa per star
facendo quel gesto da sola.
Edmund.
Mosse la testa avanti e indietro,
per cercare di capire da dove provenisse la voce del fratello,
realizzando che né lui né i fratelli si trovavano
all'interno dell'armadio e facendo qualche passo indietro.
Edmund...
***
Lia
aprì di
scatto gli occhi, realizzando come stavano le
cose e strappandosi bruscamente dalla bolla di silenzio in cui si era
chiusa. I suoi occhi azzurri dardeggiarono per quella radura cercando
di individuare la fonte della magia.
Musica silenziosa.
Ci aveva messo
un po' a capirlo, e solo con una grande quantità di
concentrazione era riuscita a capire cosa le stesse suggerendo il
proprio istinto, ma alla fine, aiutata dal suo udito fine, ci era
arrivata. Se stava bene attenta, poteva scrogere i residui di magia
avvolgere la Pevensie e arrivare fino a...
-Il flauto!- I due fratelli
Pevensie si voltarono nella sua direzione, non capendo.
-Il flauto?-
domandò Peter, scettico. Osservò l'oggetto nelle
mani della strega, che nel frattempo aveva passato la sua katana alla
compagna.
-Ma non lo sta nemmeno suonando!- le fece notare, ovvio. Lia
evitò di fare caso allo scetticismo del ragazzo nei suoi
confronti per non sentirsi offesa.
-È incantato- si
limitò a dire, iniziando ad avvicinarsi alla seconda. Questa
indietreggiò, reggendo saldamente l'oggetto di legno
intarsiato, mettendosi dietro la prima per proteggersi.
Peter
ingaggiò l'ennesimo duello in poco tempo, decidendo di
credere alla lupa: questa volta era lui che aveva l'obbiettivo di
dividerle, in modo che Edmund e Lia potessero prendere il flauto. Ormai
erano vicini alla soluzione, non si sarebbe arreso alla stanchezza e al
dolore.
La strega che reggeva l'oggetto magico indietreggiò,
guardando con occhi sgranati la compagnia combattere. Era
così presa dal suo scontro che non si accorse di Edmund,
arrivatole di spalle, che le diede un colpo alla schiena con l'elsa
della spada.
La donna cadde a terra in ginocchio, il flauto le
scivolò dalle mani rotolando tra l'erba ed i sassi a qualche
metro di distanza. Provò a raggiungerlo a tentoni,
graffiandosi le mani e le ginocchia scoperte, ma Lia le
bloccò la strada, posandole una zampa sulla schiena e
ringhiandole, minacciosa.
-Antares!- gridò Edmund. Il
cavallo, che aveva osservato lo svolgersi della scena, intuì
subito cosa volesse dirgli il Pevensie e galoppò verso
l'oggetto. Lo osservò qualche attimo, pensieroso, poi
alzò una zampa. Qualche secondo dopo il flauto fu
sbriciolato sotto il suo peso.
I presenti si sentirono sollevati e fu
come se l'aria attorno a tutti loro si fosse fatta più
leggera, la foresta meno tetra. Le due streghe sgranarono gli occhi,
spaventate, e lanciarono urli di disperazione. Quella che stava sotto
Lia sgusciò fuori dalla sua presa, ignorando i graffi che le
rimasero sulla schiena.
Corsero verso ciò che restava
dell'oggetto magico, come dimentiche degli avversari. Sembravano quasi
sull'orlo delle lacrime, si mettevano le mani nei capelli incredule e
tremavano visibilmente di rabbia, mentre senza successo cercavano di
capire se ci fosse qualcosa da poter fare. Da ciò che
rimaneva dell'oggetto provenne un suono stridulo, che poi si perse nel
vento flebilmente.
Le due rimasero immobili qualche minuto e attorno a
tutti i presenti calò un silenzio pesante. Quella stasi
sembrava la calma prima della tempesta.
Caspian serrò le
labbra, irrigidendosi, Lia tese le orecchie e Antares scosse lievemente
la testa. Le due si alzarono quasi in contemporanea, stringendo i
pugni. Le loro unghie poi iniziarono ad allungarsi, andando sempre
più ad assomigliare a degli artigli: Dhemetrya
alzò un sopracciglio scettica, il ragazzo da parte a lei
invece rimase interdetto di fronte a tale mutazione.
Cosa diavolo erano
quelle due?
Era la prima volta che assisteva ad una scena simile. Una
volta in piedi rivelarono i lineamenti delicati dei loro visi distorti
dalla rabbia, puntando i loro sguardi rabbiosi sui tre ancora fermi
davanti burrone.
Caspian e Dhem si sentirono congelare sul posto e
automaticamente assunsero una posizione di difesa, percependo il
pericolo che sprigionavano quelle due figure.
Se il flauto si era rotto
era probabile che volessero porre fine al loro piano con le loro mani.
Quindi Evelyn, ancora in stato di trance, era quella più
indifesa.
Nessuno fece in tempo però a fare nulla,
perché dietro le due seguaci si posizionarono Peter ed
Edmund. Le due fecero per girarsi sentendo le loro presenze alle
spalle, pronte ad attaccarli, ma non appena si voltarono incrociando lo
sguardo dei due ragazzi furono trafitte dalle loro spade.
La prima si
guardò il ventre, non capendo cosa fosse successo e vedendo
lo scarlatto del sangue iniziare a macchiarle l'abito.
Riportò lo sguardo su Edmund, di fronte a lei, sbattendo le
palpebre sorpresa.
-Male...det-tti- sussurrò, portandosi una
mano alla ferita imbrattandola di rosso. Iniziava a percepire il
dolore. Il sangue sgorgava, segnando inesorabilmente la sua fine. Aveva
fallito.
-La pagherete- sputò fuori la seconda, tossendo
della saliva mischiata a sangue.
-La... nostra R-regina non
sarà... c-conten...ta- sibilò, con le ultime
forze che le rimanevano. Si accasciarono al suolo, e i due Pevensie si
avvicinarono, sperando fossero ancora vive per potergli fare delle
domande. Dovevano assolutamente saperne di più, saper chi le
mandava ad attentare alle loro vite.
Appena si accostarono a loro, i
corpi delle due streghe iniziarono a emanare un calore innaturale, come
se stessero ardendo. Peter si mise davanti ad Edmund con fare
protettivo e lo obbligò a fare qualche passo indietro. Sotto
gli occhi increduli di tutti, i due corpi si trasformarono in cenere.
Il biondo tirò un pugno contro la corteccia di un albero,
amareggiato, Edmund si morse un labbro. Erano stati imprudenti ad
ucciderle entrambe. Non avrebbero più avuto modo di ricavare
informazioni.
Edmund!
Evelyn
sentì un profondo sibilo arrivarle alle
orecchie. Fu costretta a portarsi le mani alla testa per cercare di
contenere il dolore e si rannicchiò su se stessa. Le girava
la testa e aveva un senso di nausea. Vedeva tutto scuro e sfocato. Dove
si trovava?
L'immagine diventata ormai offuscata davanti a lei
scomparve e si ritrovò avvolta da un profondo buio.
Tremò di paura e sentì che stava piangendo.
-Evelyn?-
La ragazza ci mise qualche attimo a decidere che la voce che
aveva sentito chiamarla fosse reale. Aveva paura di ritrovarsi in
un'altra illusione. Iniziò a percepire nuovamente il suo
corpo e una presa salda sulle sue spalle.
-Eve?-
Aprì gli
occhi, lentamente, cercando di regolare il respiro agitato. La luce
improvvisa dell'ambiente esterno la costrinse a chiuderli e sbattere le
palpebre un paio di volte per abituarsi. Si sentiva la testa pesante e
confusa.
Cos'era successo?
Si ritrovò rispecchiata nello
sguardo preoccupato di Caspian.
-Come stai?- le domandò il
ragazzo, scrutandola. Le passò una mano sulla guancia per
toglierle i residui di lacrime che le rigavano il viso e la Pevensie
rimase immobile sotto il suo tocco premuroso. Le ricordò
quello di Peter.
-Bene... credo- mormorò, portandosi una
mano alle guance. Si sentiva accaldata – forse aveva un po'
di febbre. Notò accanto a lei Dhemetrya, che la osservava in
silenzio con le braccia incrociate da parte ad Antares. Vedendo il suo
viso stanco le venne spontaneo aprire la bocca per parlarle, ma venne
bloccata.
-Evelyn! Evelyn!- Voltandosi a quei richiami, vide Peter ed
Edmund correre verso di lei. I suoi fratelli avevano il viso pallido e
sudato, lo sguardo quasi allucinato. Dovevano essersi spaventati
molto... La ragazza si sentì in colpa per la situazione che
si era creata a causa sua, anche se non capiva bene come si fosse
svolto il tutto.
Ma vedere Edmund la fece sentire sollevata. Non era
stato un caso se la voce che aveva sentito chiamarla fosse proprio la
sua, probabilmente.
-Eve! Come stai?- La voce preoccupata e ansiosa di
Peter le penetrò nella testa più alta di quanto
non fosse in realtà, provocandole un brivido di fastidio. Si
portò la mano alle orecchie.
-Mi gira la testa e ho la
nausea. Peter, potresti abbassare la voce?- disse, strizzando gli
occhi. Si ritrovò ad essere aggrappata al braccio di Caspian
per sostenersi.
-Cosa è successo?- domandò,
scrutando i volti di tutti. Notò che c'era anche Lia e fece
uno sforzo per sorriderle.
-Ora non ha importanza- decise Edmund,
vedendola più pallida del solito e con gli occhi ancora
lucidi. La sua unica
preoccupazione era che sua sorella potesse riposare il prima possibile.
Il fratello maggiore annuì, lanciandogli un'occhiata di
assenso e soppesando poi tutti i presenti. Si fermò poi a
fissare la Scaltra.
-Evelyn, monta su Antares. Torniamo alla casa di
Aslan.-
***
Lucy
stava sdraiata
sull'erba, godendosi il sole che splendente
illuminava la radura. Il calore che infondevano i suoi raggi le
lasciava sulla pelle una piacevole sensazione di rilassamento.
Molte
volte durante l'età d'oro aveva passato le giornate immersa
nella natura a godersi quei momenti insieme alle creature di Narnia.
Erano i momenti più semplici, ma anche i più
spensierati e di cui conservava i più bei ricordi.
In quel
momento, però, nella mente sveglia di Lucy correva una sola
domanda che la rendeva sempre più inquieta, rendendole
quella stasi milleflua quasi pesante da sopportare.
Dov'erano tutti?
L'unica cosa di cui era certa, era che Susan si trovava dentro la casa
di Aslan. L'aveva lasciata respirare più di una trentina di
minuti prima, dopo
averla asfissiata con varie domande sul Principe. Si era divertita ad
ascoltare le risposte balbettanti e a delle note decisamente
più alte del normale della sorella, osservando le sue gote
che andavano via via ad imporporarsi.
Lucy si divertiva a stuzzicare le
sue sorelle, ma in fondo dovette ammettere di essere contenta. Susan
sembrava felice davvero in quei giorni.
La Pevensie sospirò,
passando una mano nell'erba. Pregò affinché le
speranze della sorella non si sarebbero infrante.
Fece dardeggiare gli
occhi chiari per la radura, incontrando solo le figure dei soldati.
Edmund e Peter, così come Caspian e Evelyn, o Antares e Lia.
Era come se fossero tutti... scomparsi. Ormai da un tempo che le
iniziava a sembrare troppo lungo non stavano facendo ritorno.
Caspian e
Peter erano insieme probabilmente, perché li aveva visti
inoltrarsi nel bosco – sperò non stessero
litigando da qualche parte –, ma per quanto riguardava gli
altri non si capacitava di dove potessero essere andati.
Lucy
gonfiò le guance, leggermente indispettita e cercando di
scacciare la sensazione di malessere che sentiva premerle sulla bocca
dello stomaco. Almeno avrebbero potuto avvisare e lei non si sarebbe
preoccupata!
Si alzò dalla sua posizione, osservandosi
intorno i Narniani. Erano in fermento, emozionati dopo la ripresa del
Re, ma anche agitati e spaventati. Lucy si ritrovò a
comprendere le loro emozioni appieno. Quella poteva essere l'unica
– l'ultima – remota possibilità di poter
tornare a vivere in pace, senza doversi nascondere, che si presentava
loro dopo un secolo.
Poter tornare a respirare l'aria di Narnia, senza
paura di essere visti. Poter tornare a volare in cielo, senza paura di
essere colpiti da qualche freccia, di venire cacciati e braccati. Poter
tornare a forgiare armi, senza paura di venire accusati di ribellione.
Poter tornare a vivere, senza paura di poter morire.
Lucy
sospirò, portandosi una ciocca ribelle dietro l'orecchio. Se
solo ci fosse stato ancora il signor Tumnus, a consigliarla e a farle
compagnia in quei momenti di sconforto che sentiva… Non era
solita abbattersi, Lucy, ma con Narnia così cambiata le
sembrò che anche il suo umore ed il suo carattere stessero
subendo un lento mutamento.
Ripensò a quanto era stata
felice e sollevata, la notte in cui era tornata di nascosto a Narnia,
di vederlo sano e salvo: avevano parlato molto durante quelle ore.
***
Un
lieve bussare alla
porta distrasse Mr. Tumnus che stava apparentemente leggendo un libro,
una tazza di the posata sul tavolino di legno scuro e lo scoppiettare
allegro del fuoco come amico di compagnia e fonte di luce.
Alzò di scatto la testa dall'oggetto delle sue attenzioni,
mentre un brutto presentimento si faceva largo ed il suo cuore di
timido iniziava a battere veloce. Sapeva chi
poteva essere. Una parte
di sé avrebbe voluto fare finta di niente e correre via
dalla parte opposta. Probabilmente sapevano che aveva ospitato due
Figlie di Eva ed ora erano venuti a prenderlo.
Sentì un
brivido scendergli lungo la schiena. Eppure c'era qualcosa che non
andava. Il bussare alla porta era stato troppo dolce e timido, per
appartenere a qualche seguace della Strega, di solito infuriato e
sbrigativo nel voler svolgere il proprio lavoro per evitare di essere
trasformato in pietra.
Si alzò dalla postazione quando il
bussare si ripeté e s'avvicinò veloce, cambiando
pensieri e pregando che non fosse chi pensava.
Sarebbe stato un guaio.
Una tragedia. Potevano morire, se Jadis le catturava. E lui con loro,
artefice di averle accolte e poi lasciate andare, infrangendo le regole
che vigevano a Narnia da anni.
Aprì piano la porta,
titubante, dopo aver tolto la catena, trovandosi di fronte gli occhi
luminosi di Lucy che lo guardavano tra il felice e il sollevato.
Spalancò maggiormente la porticina di legno, soppesando i
dintorni.
Si sentì gelare dal freddo esterno e
dopo qualche secondo di silenzio fece segno alla Pevensie di entrare in
casa. Questa non se lo fece ripetere due volte, accomodandosi sulla
poltrona su cui il fauno era seduto poco prima come se fosse nella casa
di qualche sua amica.
Mr Tumnus richiuse la porta, osservando per
l'ultima volta da un lieve spiraglio ciò che circondava la
sua casa: neve, alberi ricoperti di neve, rocce, montagne, bosco e un
cielo bianco latte. Tutto silenzioso e apparentemente tranquillo. Ma
l'apparenza inganna.
Si voltò poi verso la bambina, dopo
aver chiuso la porta facendo scattare anche la serratura.
-Che ci fai
qui?- le domandò, leggermente smarrito e ansioso, muovendosi
continuamente sulle zampe. Lucy sorrise, dolce e divertita, osservando
il fauno porgerle una coperta, per poi andare a scaldare altro the.
-Sono venuta a trovarti. Ero in pensiero- confessò,
cambiando tono di voce. Se i suoi fratelli si svegliavano e non la
trovavano si sarebbero spaventati a morte. Eppure stare lì a
Narnia con Tumnus era così bello, così
rassicurante. Si sentiva a casa, lontano dalla guerra e i
bombardamenti.
-E' pericoloso!- la riprese il fauno, con una nota di
rimprovero. Al contempo, però, sentì un calore
scaldargli il cuore per la prima volta dopo anni. Sapere che quella
bambina era tornata per lui, si era preoccupata per la sua vita... lo
faceva sentire speciale.
-Se la Strega Bianca scopre che sei qui
sarà un problema- disse il Narniano, ponderando bene le
parole del discorso per non farla spaventare troppo e decidendo di
scacciare le emozioni di poco prima.
-Ti ucciderebbe- le
sussurrò, porgendole però una tazzina. I suoi
gesti esprimevano il contrario di ciò che le stava cercando
di dire. Lucy lo guardò con gli occhioni
spalancati, avendo quasi paura anche a respirare.
-E con te, tua
sorella, se la dovesse trovare... e me- finì, sorseggiando
un po' di bevanda calda che represse un altro brivido gelido. Lucy
stette in silenzio per un po', soffiando sul the fumante, pensierosa.
-Sono sicura che la Strega non verrà a sapere che siamo
state qui- disse, sicura del suo pensiero.
-Perché ne sei
così convinta?- Tumnus rimase fermo con la tazzina a
mezz'aria, interessato. Quella bambina era speciale, l'aveva capito
subito. Ma non conosceva come stavano realmente le cose o di come fosse
crudele la vita in quel mondo.
-Perché l'unica altra persona
della mia famiglia che sa di Narnia è Evelyn. Gli altri
fratelli…- abbassò lo sguardo, dispiaciuta,
sentendo gli occhi pizzicare di umiliazione.
-Non hanno voluto
crederci- confessò ricordando la discussione con amarezza.
Evelyn si era arrabbiata tantissimo con Peter che non le credeva ed
Edmund che prendeva continuamente in giro Lucy, accusandola di avere
fatto alla sorella mediana qualche lavaggio del cervello per far
credere anche a lei di essere stata in un mondo dentro l'armadio.
-Ed
Eve ora dov'è?- azzardò a chiedere il fauno,
strappando Lucy dai suoi pensieri.
-A casa, a dormire. Sono venuta da
sola- disse Lucy, riprendendosi. Sorseggiò un altro po' di
te per tenere le mani occupate. Tumnus suo malgrado dovette ammettere
che quella bambina aveva del fegato. Un po' la invidiava.
-Hai detto
che hai altri fratelli?- domandò, improvvisamente curioso e
attento. Nel suo cuore spuntò il germoglio del sospetto.
-Si. Fuori l'armadio guardaroba ci sono anche Peter, Susan ed Edmund-
disse Lucy, sorridendo sincera al ricordo dei suoi fratelli. Il fauno
però sembrò sbigottito e la sua espressione fece
preoccupate la Pevensie, che si irrigidì.
-Susan?- Lucy
aggrottò la fronte, non capendo e sentendosi confusa da
quella serie di domande.
-Si- esalò semplicemente,
osservando il volto di Tumnus. Sembrava perso in chissà
quali misteriosi pensieri e fissava un punto indefinito alle sue
spalle.
-Ed è più grande o più piccola
di te?- domandò il Narniano, sbattendo le palpebre e
riportando l'attenzione sulla bambina.
-Più grande, sia di
me che di Eve che di Edmund, ma più piccola di Peter-
spiegò Lucy, cercando di essere il più chiara
possibile, prendendo nel frattempo un biscotto dal vassoio sul
tavolino. Le stava venendo fame.
-Quindi, se non ho capito male: prima
c'è Peter, poi Susan, poi Edmund, Evelyn ed infine tu- le
disse, facendo un elenco con la mano. La Pevensie si limitò
ad annuire, osservando il volto del fauno sempre più
pensieroso.
-Si… è per caso un problema?- chiese,
preoccupata, lasciando perdere un pezzo di biscotto che si perse nel
the ancora fumante. Mr Tumnus sembrò riprendersi e sorrise
alla Pevensie.
-No, affatto. Nessun problema-.
***
-Lucy!-
La voce di
Susan la strappò bruscamente dai suoi
ricordi. La minore tra le Pevensie sospirò, affranta per
essere stata interrotta nel bel mezzo dei suoi pensieri e ragionamenti.
All'inizio, così piccola e ingenua, spesso non aveva capito
ciò che realmente le stava intorno o come andassero le cose,
nonostante avesse sempre avuto una mente piuttosto arguta.
-Lucy!-
La
regina si voltò, incontrando la figura di Susan chiamarla
dall'entrata della tavola di pietra. Sembrava agitata e faceva scattare
la testa da una parte all'altra, come alla ricerca di qualcuno, e la
minore pensò fosse perché si era accorta della
mancanza degli altri.
Quando la scorse nella radura la Dolce le fece un
gesto impaziente di raggiungerla e Lucy sospirò.
-Arrivo!-
Ciao
a tutti e
ben ritrovati!
Si, avevo detto che avrei aggiornato per metà
agosto, ma dal momento che dovrò partire e temo di non
riuscire a regolarmi con tutte le cose che avrò da fare...
vi porto questo capitolo in netto anticipo sperando vi possa far
piacere e magari di sapere che ne pensate. :)
Che dire... alcuni punti sono stati cambiati, il combattimento
ho cercato di renderlo più "vero" e ho cercato di dare dello
spessore a queste due comparse antagoniste - nella precedente versione
erano abbastanza insipide -. Altra cosa che ho cercato di fare
è stato sviscerare meglio le emozioni ed i pensieri di tutti
e ciò che prova Evelyn mentre è sotto questo
incantesimo.
Mano a mano che aggiorno sistemo anche uno
o due dei
capitoli iniziali, al momento sono arrivata al quinto e ho
anche cambiato l'immagine presente nel prologo. Ho anche ritrovato un
quaderno (uno dei tanti lol) dove avevo scritto una scaletta dei
prossimi capitoli e TUTTI
gli elementi che avrei dovuto trattare nella
raccolta Essence.
Al momento però, come avevo scritto, non credo la
riprenderò, quando concluderò un po' di
cosine magari ci tornerò sicuramente su
perché mi
spiacerebbe lasciarla incompleta.
Stavo anche valutando l'idea di
trattare la storia dei Pevensie e delle due comparse
dell'età d'oro (l'uomo misterioso e la principessa che
compare nella one-shot Water
Heart) in una storia spin-off di qualche
capitolo (e non in questa come avrei programmato). Fatemi sapere se
potrebbe interessarvi un'idea del genere, al momento è solo
un pensiero ma se rischiesto posso pensarci seriamente!
Ringrazio tutti
coloro che seguono, preferiscono, ricordano e leggono. Vi auguro di
passare delle buone vacanze, io dopo tre anni finalmente
riuscirò a partire e andare al mare, non vedo l'ora. Alla
prossima,
D <3
|
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Capitolo 27 *** Il peso delle memorie. ***
Narnia's
Spirtis
Il
peso delle memorie.
Il
gruppo procedeva,
silenzioso come la foresta che stava attraversando, per raggiungere il
rifugio di Aslan il prima possibile. A scandire quei momenti in
sottofondo c'erano solo il rumore dei loro passi sul terriccio o lo
scricchiolio dei rami spezzati.
I respiri erano ancora affannati per lo
scontro, le emozioni di paura ed ansia che avevano fatto schizzare i
battiti dei cuori a mille ancora vivide nel loro animo. Qualcuno
sospirò per cercare di rilassarsi. Dovevano calmarsi tutti.
Non c'era più nessun pericolo, almeno per il momento.
Speravano.
Lia guardò il bosco che li circondava,
soffermandosi in particolare a scrutare tra i cespugli o dove la
vegetazione si faceva più fitta. Era meglio stare all'erta,
non voleva altre sorprese del genere.
Cercò di restare
composta, intimandosi di mantenere la calma e dare un ordine alle
domande che le stavano premendo nella testa. Chi erano quelle due? Cosa
volevano? E perché attaccare proprio Evelyn?
Lia
sentì l'impazienza di voler sapere scorrerle sotto i
polpastrelli delle zampe e darle una fastidiosa sensazione di pressione
alle tempie. Trovò ironico che una come lei, le cui
conoscenze sembravano essere state sempre infinite, non potesse darsi
delle risposte.
Si trattenne dal ringhiare di frustrazione per non
spaventare inutilmente i ragazzi che la seguivano. Poteva intuire
qualcosa sulle loro intenzioni, ma non capiva chi, dopo millenni,
potesse essere interessato alla ragazza.
Solo coloro che conoscevano
quel segreto potevano costituire una minaccia, ma non lo sapeva
praticamente nessuno. Solo lei e i Narniani con cui condivideva
millenni di vita e pensieri, lo sfuggente Aslan... e i Pevensie
– e forse nemmeno tutto nei minimi dettagli.
No...
Lia
sentiva che le stava sfuggendo qualcosa.
Arricciò il naso,
persa nelle proprie riflessioni, ignorando le occhiate di Antares.
C'era solo una persona che poteva costituire una minaccia per tutta
Narnia e per tutti i vecchi re.
Jadis.
“Ma
è
morta.”
Lanciò un'occhiata stralunata ad Antares
poco dietro di lei per quell'intromissione, ma lo sguardo che il
destriero le restituì le fece capire quanto anche lui fosse
seriamente preoccupato. Le sembrò di rivedere in quelle
iridi scure il compagno con cui condivideva lo stesso soffio di vita
fin da prima che si decidesse la loro sorte, prima ancora che
prendessero la forma materiale con cui poi avrebbero calpestato le
terre di Narnia.
Fece schioccare la lingua tornando a guardare di
fronte a sé, affondando gli occhi chiari nella vegetazione,
sentendo Dhemetrya sopra di lei irrigidirsi e stringere tra le mani il
suo pelo come per cercarvi un appiglio. Non era quello il momento per
potersi perdere in inutili domande che non avrebbero avuto risposta.
“...Già.”
Caspian camminava pochi passi
più indietro rispetto a Peter: di tutta quella faccenda non
ci aveva capito niente ma non osava interrompere la bolla di silenzio
che si era posata su di loro facendo domande. Non era ancora il caso.
Immaginò che, se per lui vedere Evelyn in quelle condizioni
fosse stato un duro colpo, Peter ed Edmund dovevano aver quasi sfiorato
l'infarto.
Si ritrovò ad ammirare il modo in cui il Supremo
aveva comunque cercato di mantenere il sangue freddo, nonostante la
situazione, fin dall'inizio. Non era sicuro che se si fosse trattato di
una persona a lui cara il Principe sarebbe riuscito a fare lo stesso.
Il suo sguardo corse alla ferita al braccio del biondo, costatando
che non sanguinava più da quando Edmund l'aveva fasciata. Si
sentì sollevato e storse il naso, domandandosi da quando
avesse iniziato a preoccuparsi per quella zucca vuota.
Rilasciò un basso sospiro, mentre nella sua mente si
materializzava l'immagine di Evelyn, a cui pochi secondi dopo si
sovrappose quella di Susan. Caspian cercò di mantenere viva
quella scena il più a lungo possibile per ricordare ogni
lineamento e dettaglio di quel viso che aveva imparato a conoscere e,
anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, amare.
Era sicuro che sia lei che
Lucy appena avrebbero saputo di quell'attacco ai danni della sorella si
sarebbero preoccupate.
Sperò che in qualche modo sarebbe
potuto essere di aiuto per calmare la Dolce. Aveva imparato a
conoscerla oltre ciò che erano i suoi sguardi altezzosi e il
portamento composto, e sapeva quanto ci tenesse alla propria famiglia.
Quanto quel Dolce le calzasse appieno per l'anima buona e amorevole che
nascondeva dentro quel fisico slanciato e delicato.
Si sentì
un po' invidioso dei Pevensie e delle attenzioni che si riservavano
l'un l'altro. L'unica persona che in tutta la sua vita gli aveva
dimostrato reale affetto e a cui doveva tutto, tutto, perfino poter
dire di essere vivo e poter fare quei pensieri, era il suo Precettore.
In quel momento, Caspian sentì una fitta di mancanza dei
suoi genitori fin nel profondo.
Peter lo precedeva ed era quello che
più di tutti camminava con il passo spedito e quasi
meccanico: nonostante il braccio gli bruciasse tanto che avrebbe voluto
strapparselo, cercava in ogni modo di non farci caso.
Occhieggiò le figure di Antares e Lia che lo precedevano,
soffermandosi sulla schiena di Edmund e immaginandosi Evelyn davanti a
lui addormentata. Conosceva così bene i lineamenti del suo
volto, come conosceva quelli di ognuno dei suoi fratelli, che gli
sembrava quasi di avercela davanti agli occhi.
Come Lia aveva
sospettato poco dopo che si erano messi in viaggio, la Pevensie si era
lasciata andare al sonno dopo che erano ripartiti per tornare alla casa
di Aslan e il minore si era offerto di farle da appoggio per evitare
che cadesse.
Nonostante l'ansia, l'agitazione e soprattutto la paura
che l'avevano sconvolto e che erano ancora presenti fermamente nel suo
animo e non volevano sapersene di andare via, sapere che sua sorella
dormiva lo rasserenava: almeno lei avrebbe avuto modo di riposare e
riprendersi, se non del tutto, almeno in parte.
Peter
preferì accelerare il passo per potersi affiancare
così al Narniano con in groppa i suoi due fratelli, per
poter verificare di persona i propri pensieri. Tuttavia non ruppe il
silenzio che si era creato, limitandosi a lanciare un'occhiata ad
Edmund, apparentemente interessato ai capelli di Evelyn che gli
sfioravano il braccio e lasciando che i suoi occhi poi seguissero i
lineamenti distesi e ignari di essere osservati della sorella.
Provò una fitta profonda al cuore.
Gli faceva sempre male
sapere che uno dei suoi fratelli soffriva senza che potesse fare
qualcosa.
Gli aveva sempre fatto male quando c'era la guerra e non
sapeva come calmarli per i bombardamenti, come gli aveva fatto male
ogni giorno di quell'anno passato a Londra sapere che loro soffrivano
terribilmente per la mancanza di Narnia e non poter fare niente a
riguardo.
Non voleva che altro dolore si unisse a quello che
già si portavano dietro, al peso di essere agli sgoccioli di
una battaglia che poteva essere l'ultima.
Ma un presentimento gli
diceva che non era ancora finita. Sapeva già che ne
avrebbero dovuto discutere una volta arrivati alla casa di Aslan.
Jadis.
Possibile? Lei era morta, uccida da Aslan davanti ai suoi occhi
sconvolti di ragazzino con una missione troppo grande.
Forse quelle
due volevano solo continuare l'opera che anche la Strega aveva provato
a fare fallendo milletrecento anni prima. Forse volevano la distruzione
completa di Narnia e la sola presenza di Evelyn era una minaccia per i
loro piani.
Possibile che due Narniani potessero volere la vincita dei
Telmarini?
Si morse un labbro frustrato, Peter, mentre i ricordi
prepotentemente prendevano forma nella sua testa.
***
-EDMUND!!!-
La voce
spaventata di Evelyn riscosse Peter dal suo scontro, e, dopo aver
affondato la lama nel corpo di un Narniano alleato di Jadis,
alzò lo sguardo verso la direzione della voce della sorella.
Il cuore gli batteva a mille, aveva un bruttissimo presentimento e il
tono di urgenza di Eve lo aveva scosso profondamente –
più di quanto non pensava fosse possibile. Non aveva mai
sentito la voce della Pevensie così acuta se non quando
c'erano dei bombardamenti in corso e questo gli aveva fatto venire la
pelle d'oca.
Fece appena in tempo a scorgere Edmund davanti a Jadis, la
spada di questa imbrattata del suo sangue e quello di altri Narniani.
Vide suo fratello che cadeva al suolo, tenendosi l'addome, e
poté chiaramente scorgere la smorfia di dolore e sofferenza
sul suo viso, come se tutto si stesse svolgendo con una lentezza
disarmante.
Una lentezza che gli avrebbe impresso per sempre quelle
immagini nella testa.
Rimase immobile per pochi secondi, ma che a lui
sembrarono secoli, mentre quelle immagini continuavano a tormentarlo,
il cuore prendeva a battere furiosamente di ansia, un vuoto si faceva
spazio sulla bocca dello stomaco e il respiro si faceva affannato
più di quanto non fosse già.
Gli ci vollero degli
attimi per rendersi conto di ciò che aveva appena visto
accadere.
Non ci voleva credere. Non era possibile. Quello a terra non
poteva essere Edmund, gli aveva detto di andarsene via.
-NO!-
Venne
riscosso da Evelyn che, fuggita alla presa del signor Castoro,
raggiunse i due, ignorando la battaglia che si stava svolgendo attorno
a lei e indifferente al fatto che fosse totalmente distratta ed
indifesa. Aveva il volto pallido e gli occhi lucidi. La vide guardare
Edmund e reprimere un urlo con la mano, mentre con gli occhi spalancati
fissava il corpo del fratello disteso a terra.
Da quella distanza che
li separava Peter non poteva vedere il tremore che le scuoteva il
corpo. Edmund respirava sempre più a fatica e aveva del
sangue che gli usciva dalla bocca.
Evelyn s'irrigidì,
sconvolta e spaesata, sentendo la paura della perdita strisciarle nel
cuore.
Cosa doveva fare?
S'inginocchiò accanto al fratello,
cauta, ignorando di essere seguita in ogni più piccolo
movimento dalla Strega ghignante in piedi di fronte a loro due.
Esitò qualche attimo, prima di posare una mano su quella che
Edmund si teneva premuto all'addome. Quando sentì il
vischioso e caldo del sangue arrivarle ai polpastrelli la ritrasse,
come scottata, guardando il liquido scarlatto colarle lungo le dita.
Edmund...
sentì una stretta al cuore.
Suo fratello era stato
ferito... e stava morendo. Sentì gli occhi bruciare, la
vista diventare appannata.
-Ed...- provò, ma il moro non le
rispose, lanciandole un'occhiata addolorata. Ad Evelyn
scappò un singhiozzo strozzato e si chinò verso
il Pevensie, stringendo il velluto rosso dell'armatura tra le mani e
posando la fronte sul petto del ragazzo. Da così vicino,
poteva ascoltare il respiro di Edmund farsi sempre più
debole e sentì il senso di colpa per non averlo fermato in
tempo affossarle il cuore.
-Vedo che voi marmocchi non imparate mai-
Sentì dire, a pochi passi da lei. Alzò il volto
rigato di lacrime verso l'alto, incontrando gli occhi freddi di Jadis
che la fissavano. Anche se la Strega sembrava sicura di stare vincendo,
il suo sguardo esprimeva solo disprezzo e distacco.
Evelyn
sentì un brivido correrle lungo la schiena per quanto quella
donna riuscisse a imporsi sugli altri solo con la propria presenza. Si
sentì piccola e indifesa.
Edmund tossì del sangue
misto a saliva e Jadis ghignò, guadagnandosi un'occhiataccia
da parte della Pevensie che non ebbe problemi a sostenere. Se aveva
imparato a conoscerla bene, era perfino divertita davanti alla loro
sofferenza.
-Sei proprio una Strega!- Gridò Evelyn,
rabbiosa. Aslan si era offerto in sacrificio per loro e Jadis non aveva
mantenuto la parola. Li voleva morti, tutti. Jadis era una bugiarda,
una burattinaia. Il suo piano era stato annientarli per poter prendere
il trono di Narnia fin dall'inizio.
Peter si riscosse, vedendo Evelyn
rotolare di qualche metro lontana da Edmund sotto un colpo assestatole
dalla Strega Bianca.
-Piccola mocciosa- sibilò la donna,
scavalcando il corpo del fratello a terra malamente e impugnando la
spada, muovendosi in direzione della ragazzina. Questa stava provando
ad alzarsi, tenendosi una mano all'addome e tossendo.
Peter non seppe
quanto tempo fosse passato osservando quella scena, ma il suo istinto
capì di aver perso troppo tempo e fece scattare il suo corpo
in direzione dei tre.
Doveva salvarli.
S'immobilizzò
sentendo il sangue ghiacciarsi nelle vene vedendo Evelyn venire colpita
da Jadis e rotolare di lato, sbattendo contro una roccia. I suoi occhi
passarono ansiosi dalla figura di Edmund disteso a terra in una pozza
di sangue a Evelyn svenuta e inerme.
Peter sentì una rabbia
cieca nascergli nel cuore e riprese a correre, stringendo convulsamente
l'elsa della spada fino a farsi venire le nocche bianche.
I suoi
fratelli... i suoi fratelli erano in pericolo e lui non aveva fatto
niente per impedirlo.
Peter si sentì uno stupido per aver
lasciato che le cose precipitassero in quel modo. Finì un
minotauro che gli si parò davanti e pochi istanti dopo si
ritrovò a fronteggiare la Strega che, in risposta a
quell'intruso che aveva fermato la sua avanzata verso la Pevensie,
sbatté le palpebre come sorpresa.
Il biondo
deglutì, ricacciando indietro il panico e la paura e
facendosi coraggio, evitando di farsi soggiogare dallo sguardo di
Jadis, che, sorridendo, era certa di avere la vittoria in pugno.
***
Peter
scosse la testa,
scacciando quei ricordi e aumentando poi l'andatura per arrivare al
rifugio il più in fretta possibile.
Voleva ritrovare il
conforto che aveva perduto tra i fuochi e il rumore del ferro battuto
per modellare le armi, fermarsi ad osservare la tavola di pietra e,
soprattutto, poter abbracciare Susan e Lucy. Soprattutto Lucy, che con
il suo carattere comprensivo riusciva sempre a calmarlo e illuminare la
sua anima tormentata di doveri a volte troppo pesanti da sopportare.
Aveva bisogno di essere circondato da tutte quelle piccole cose a cui
per più di quindici anni era stato abituato e relegare
nell'inconscio quei ricordi che avevano ancora il potere di colpirlo
come se stessero accadendo davanti ai suoi occhi in quell'istante.
Strinse i pugni, reclamando a sé la poca calma che ancora
riusciva a mantenere. Era passato.
Passato.
Non doveva più
temere per il ricordo di quella battaglia che poi, seppur con l'aiuto
fondamentale di Aslan, avevano vinto.
Edmund osservò con
delle brevi occhiate la foresta attorno a lui, cercando di catalizzare
l'attenzione su qualcosa che non fosse la sorella addormentata addosso.
Strinse impercettibilmente la criniera di Antares – c'era di
buono che, essendo il cavallo un Narniano, poteva fare a meno di
briglie e sella senza rischiare scarti o impennate improvvisi.
Le sue
braccia circondavano la vita di una Evelyn inconsapevole di
ciò che le accadeva intorno, la testa leggermente
ciondolante di lato. Se fosse stata sveglia avrebbe potuto sentire il
battito accelerato del cuore di suo fratello ed i sospiri che talvolta
si lasciava sfuggire.
Per quello, Edmund ringraziò tutti gli
dei che conosceva che stesse dormendo. Altrimenti fare quel viaggio di
ritorno in quel modo – tenendola tra le proprie braccia senza
l'ansia di dover controllare ogni emozione che sentiva, ogni smorfia
che poteva assumere il suo viso – sarebbe stato impossibile.
Inoltre, conoscendola, probabilmente avrebbe voluto stare da sola e
quel contatto, seppur effimero, gli sarebbe stato negato.
Il Pevensie
fissò la sua attenzione su una ciocca di Eve che gli
solleticava il braccio, e invano cercò di spostarla
soffiandoci delicatamente sopra, come se dovesse spegnere una piccola
fiamma che non ne voleva sapere di arrendersi.
Sentiva i passi di
Caspian e la presenza di Peter accanto a lui, certo che il fatto che
non stessero discutendo significava solo che la faccenda era abbastanza
grave.
Ognuno era perso nei propri pensieri, rimuginante sui fatti
appena accaduti e sulle possibili ipotesi. Dopotutto, chi non lo
avrebbe fatto?
Edmund, invece, in quel momento scoprì che
non gli importava. Non gli importava di niente, in quel momento. Solo
che Evelyn stesse bene e non corresse più alcun pericolo.
Se
le fosse accaduto qualcosa, si sarebbe sentito terribilmente solo e
perso. Nessuno riusciva a capirlo come faceva lei, e dubitava ci fosse
un'altra persona al mondo capace di tanta empatia nei suoi confronti.
L'avrebbe protetta, a qualsiasi costo.
-…Eddie-
Edmund
abbassò lo sguardo, fissandolo su Evelyn: la ragazza aveva
mugugnato nel sonno e adesso stava stringendo una mano a pugno sul
tessuto della sua casacca, come se fosse l'unico appiglio a cui potesse
aggrapparsi.
Il ragazzo, perso nei suoi pensieri fino a poco prima, si
riscosse del tutto sentendo un brivido intenso, di quelli che ormai da
anni lo accompagnavano, attraversargli la schiena. Chiuse gli occhi,
celandoli momentaneamente alla luce del sole, riordinando
distrattamente i pensieri sparsi e tentando di mantenere la mente
lucida.
Caspian e Peter si erano affiancati nuovamente, e continuavano
a procedere, quindi concluse che probabilmente il sussurro di Eve
l'aveva sentito solo lui. Da una parte era meglio, perché
sicuramente gli altri avrebbero fatto del sarcasmo. A sue spese,
ovviamente.
Che nomignolo stupido: da dove diavolo l'avesse tirato
fuori sua sorella un anno fa se lo stava chiedendo ancora.
***
La
sensazione del
caldo delle coperte, del cuscino morbido e della sofficità
del materasso. Certamente, nulla a che vedere con i letti regali che
avevano a Narnia, ma era sempre meglio che dover passare la notte nel
rifugio antiatomico.
Improvvisamente, il cigolio della porta che viene
aperta.
Edmund, seppur fosse nel dormiveglia, lo riuscì a
cogliere ma non ci fece caso, pensando che fosse Peter, da sempre
più mattutino di lui.
Percepì il fruscio delle
tende e poi una ventata d'aria fredda lo investì, facendogli
lanciare epiteti a chiunque si fosse permesso di aprire la finestra in
pieno autunno, permettendo all'aria gelida di entrare e rubargli tutto
il calore che faticosamente si era creato nel suo letto la sera
precedente.
Anche se non fosse stato Peter, chiunque fosse lo avrebbe
strozzato con le sue mani.
Fece però tutt'altro,
nascondendosi maggiormente sotto le coperte e rannicchiandosi. Queste
gli vennero strappate via poco dopo e in risposta lui si chiuse ancor
più a riccio, cercando di socchiudere un occhio.
Lo
aprì quando sentì un peso accanto a lui e un
respiro caldo e tranquillo solleticargli il volto. Si
ritrovò faccia a faccia con gli occhi di Eve, e tutta la sua
irritazione scemò via, rimanendo imbambolato a fissarla.
-Cosa vuoi?- mugugnò, dandole le spalle un po' per voler
continuare a dormire, anche senza coperte e con la finestra aperta
andava bene, e un po' per nascondere le guance che s'arrossavano.
-Non
ti alzi?- gli chiese quella, alzandosi. Edmund aveva imparato a
conoscerla così bene che qualcosa lo fece mettere in allerta
per il tono che aveva usato.
-...No- le sussurrò,
continuando a sonnecchiare e ignorando le sue sensazioni, facendo
vincere il torpore che ancora sentiva lambirgli le membra.
-Ok- lo
stupì lei, ed Edmund ci rimase male nel sentire la sua voce
allontanarsi da lui così in fretta. Ingoiò
l'amarezza di non avere più la sua presenza vicino e
richiuse gli occhi.
-Ci vediamo dopo- mormorò, cercando di
appigliarsi ai rimasugli di sonno che sentiva. Voleva approfittarne per
cercare di sognare una conclusione diversa per quel dialogo.
-Contaci-
gli sussurrò Evelyn, ormai sulla soglia della porta. Edmund,
girato di spalle, non poté vedere il ghigno con cui gli
aveva parlato, ma il tono basso che aveva usato gli fece sentire un
brivido lungo la schiena.
***
Freddo.
Si svegliò di scatto in
cerca d'aria quando sentì una massa gelata premergli sul
viso, invadendolo subito dopo quasi fino ai piedi.
Freddo.
Cercò di respirare affannosamente, ancora confuso per la
sensazione che lo aveva investito e sentendo la pelle bagnata.
Constatò che era fradicio di acqua ghiacciata, i vestiti gli
si erano appiccicati addosso, le coperte e il materasso erano
bagnati... Istintivamente rabbrividì, passandosi una mano
tra i capelli gocciolanti per liberarsi gli occhi e cercando di
ignorare la pelle d'oca. Passò poi a studiare il soffitto,
credendo in qualche perdita improvvisa, ma non trovò nulla
di sbagliato.
Corrugò la fronte, tossicchiando. Doveva
essergli andata la saliva di traverso.
Una risata divertita
attirò la sua attenzione verso la porta ed Edmund si
bloccò. Evelyn se ne stava appoggiata sulla soglia della
porta, le mani incrociate al petto, la testa ciondolante di lato in una
maniera innocente. Non notò il secchio ai piedi della
sorella.
-Cosa ridi?!- la rimproverò, alzandosi del tutto e
bagnando il pavimento. Edmund sospirò di sconsolazione
pensando che gli sarebbe toccato asciugare tutto.
-Piaciuto il bagno,
Ed?- Quello la guardò, mentre si strizzava le maniche del
pigiama, contrariato. Poi sembrò notare il catino azzurro a
terra e l'espressione di sua sorella gli fece intendere che era stata
lei a fargli quel dispetto.
La fulminò con un'occhiataccia,
ricevendo un mezzo sorriso fintamente innocente. Iniziò a
strizzare i pantaloni, poi fissò il suo sguardo in quello
della Pevensie, che sussultò per la sorpresa di vederci una
luce maliziosa.
-Corri-
-Ops- sussurrò Eve, con fare
divertito, per nulla intimidita. Vedendo l'espressione determinata di
Edmund Evelyn iniziò ad indietreggiare, per poi voltarsi e
correre per il corridoio, prendendo le scale e scendendo in salone.
Lanciò dei gridolini di panico, sentendo la presenza
fintamente minacciosa del fratello sempre più vicina,
sapendo bene che, se l'avesse raggiunta, gliela avrebbe fatta pagare
con ciò che più non sopportava: il solletico.
La
loro corsa fu fermata da Peter, dietro la quale Evelyn si nascose per
farsi scudo da Edmund. Il biondo sbuffò divertito,
osservando l'espressione sconsolata del moro che ricambiò lo
sguardo, arreso. Susan, richiamata dalle grida concitate, fece capolino
dalla cucina, ritrovandosi ad osservare Peter sballottato da una parte
all'altra con Eve ed Edmund che gli giravano intorno.
I due si
bloccarono quando dei colpi di tosse si intromisero tra il loro
vociare, per la gioia del maggiore che smise di essere sballottato da
una parte all'altra. Susan si limitò ad alzare un
sopracciglio, in attesa di spiegazioni, soppesando criticamente i tre.
Il moro emise un lamento di indignazione, indicando la sorella minore e
se stesso ancora grondante senza sapere cosa dire. Peter
ridacchiò vedendolo con tutti i vestiti sfatti che gli
pendevano addosso, i capelli appiccicati alla fronte, lo sguardo un po'
sconvolto. Gli ricordò quando lui e le sorelle uscirono dal
fiume congelato dopo essere scappati dai lupi.
Susan lanciò
un'occhiata stralunata a Peter, che alzò le mani in segno di
innocenza, per poi passare a guardare Evelyn, sconsolata. Non poteva
che essere stata una sua idea. Quella alzò gli occhi al
cielo, fintamente scocciata, per poi sorridere, per nulla toccata.
-Pulite tutto- disse Susan, scomparendo nuovamente in cucina, senza
dare possibilità di ribattere. Aveva passato il giorno prima
a rassettare tutto, quel giorno non avrebbe preso in mano uno straccio!
Peter si voltò ad osservare Evelyn, incrociando le braccia,
per nulla intenzionato a prendersi quella responsabilità di
cui non era l'artefice.
-Si, si, ho capito, ho capito: ci penso io- si
arrese la sorella, ricevendo un sorriso soddisfatto di risposta.
Lanciò poi un'occhiata critica ad Edmund, rimasto in
silenzio fino a quel momento.
-Perché questo scherzo?- le
domandò lui, indicandosi. Represse un brivido di freddo e il
fastidio di sentire i vestiti appiccicati al corpo. Doveva asciugarsi
il prima possibile. Peter decise di raggiungere Susan in cucina, certo
che Eve avrebbe sistemato alla perfezione.
-Beh, pensavo fosse un buon
modo per svegliarti in questo giorno speciale- gli rispose lei, con
tono ovvio. Non capiva perché Edmund non avesse ancora
capito le motivazioni del suo gesto. Eppure erano così
scontate!
-Speciale?- le domandò lui, alzando un
sopracciglio. Ricevette in risposta uno sguardo perplesso e si
preoccupò di essersi dimenticato qualcosa di importante.
-Non ricordi, Ed? Oggi è il tuo compleanno!-
***
Edmund
osservò i vari pacchetti che gli stavano davanti: la carta
colorata lanciava riflessi brillanti quasi fastidiosi quando veniva
colpita dalla luce del sole che entrava dalla finestra.
Il Pevensie
ancora non si era reso conto che fosse il giorno del suo compleanno.
Perso a pensare a Narnia, ad attendere la chiamata, a cercare di non
fare errori nei confronti di Evelyn che potessero far intuire qualcosa
e provando a conciliare il suo essere un uomo – un Re
– nel corpo di un ragazzo, si era completamente scordato del
tempo che, inesorabile, passava.
Susan e Lucy avevano preparato il
pranzo ed i dolci, mentre Peter aveva preso i regali che avevano
nascosto da una mensola in cui erano sicuri Edmund non avrebbe mai
guardato. Il Pevensie era rimasto sbigottito, rendendosi conto che non
si era accorto di nulla nei giorni precedenti che facesse intuire
stessero progettando qualcosa.
Dopo che Evelyn aveva pulito ed Edmund
si era cambiato si erano ritrovati tutti in cucina. Il moro era stato
accolto con dei sonori auguri di compleanno, con tanto di striscione
appeso lungo la finestra scritto e colorato da Lucy e Peter.
Lu lo
aveva abbracciato con trasporto, Susan gli aveva dato dei
più contenuti baci sulle guance, Peter gli aveva fatto gli
auguri dandogli delle pacche sulla schiena. Quando fece per andare da
Eve - non sapendo cosa fare, cercando di ingoiare il groppone di panico
che gli era salito in gola - se l'era ritrovata dietro, che
gli tirava le orecchie contando ad alta voce gli anni.
-Ti diverti?- le
aveva chiesto, apparentemente scocciato di essere trattato come un
pupazzo.
-Si- gli aveva sussurrato quella sull'orecchio. Edmund aveva
sentito un brivido corrergli lungo la schiena e il suo perdere dei
battiti.
Avevano mangiato allegri e facendosi battute, immaginando cosa
stessero facendo i loro genitori e ricordando i grandiosi banchetti
aperti a tutti che usavano organizzare per i loro compleanni a Narnia.
-Questo è da parte di mamma e papà-
Susan lo
riscosse dal suo torpore porgendogli un pacchetto. Edmund sorrise,
sentendo la malinconia di non avere i genitori accanto in quella
giornata adombrargli l'animo. Mamma la vedevano raramente da quando
aveva dovuto mandarli in campagna per salvarli dai bombardamenti e
papà era ancora in guerra. Progettavano poi di andare in
America.
-Un libro!- Edmund si
rigirò il tomo tra le mani, facendo scorrere le pagine
ancora liscissime e prive delle pieghe che si formano con la lettura.
Sorrise ai fratelli che lo guardavano, contenti della sua sorpresa.
Quel libro erano mesi che il moro diceva avrebbe voluto comprarlo, ma
per un motivo o l'altro non ci era mai riuscito.
I Pevensie ripensarono
a quando si chiudeva nella biblioteca del castello per poter leggere
ogni opera che
ne riempiva gli scaffali.
Alzò lo sguardo, mettendo da parte
a sé il tomo, mentre Susan gli porgeva il suo regalo. Edmund
la ringraziò e prese il pacchettino, scartandolo in fretta
dalla carta per l'entusiasmo che sentiva sotto pelle. Ciò
che ne uscì fu un cappello nuovo, beige, per la festa,
simile a quello che usava in coordinato alla divisa scolastica.
-Almeno
avrai un cappello decente- gli sussurrò la sorella maggiore
per giustificare quella scelta, scompigliandogli i capelli. Lui le fece
la linguaccia, sorridendo poi divertito e dandole un bacio
per il pensiero. Per fare scena si mise subito il cappello in testa,
trepidante di aprire gli altri regali.
Si stava rendendo sempre
più conto che era lui il protagonista di quel giorno e tutti
gli occhi della sua famiglia gli erano puntati addosso.
-Tieni il mio-
gli disse il maggiore dei Pevensie, dandogli il proprio pacchetto e
mettendosi con le braccia incrociate, in attesa.
-Ma sono due!-
esclamò Edmund sorpreso, rivolto a un Peter che sorrideva
soddisfatto vedendo il minore studiare gli oggetti.
-Sono un orologio,
e un portafoglio perché devi avere i documenti sempre con
te- gli disse, pratico. Ed era ormai abbastanza grande da doversi
iniziare a comportare come un adulto anche in quel mondo –
fintanto che ci rimanevano.
-Spero ti piaccia- sussurrò
Lucy, un po' timida, allungando le braccia per porgere al fratello il
proprio regalo.
-L'ho fatto io- confessò, guadagnandosi
un'occhiata dal moro mentre apriva il pacchetto. Era un po' in ansia,
perché non aveva speso molti soldi come invece avevano fatto
i suoi fratelli. Ma si sa, per un regalo è importante il
pensiero.
Ed Edmund lo sapeva bene con tutto quello che aveva passato e
per quanto era cresciuto, perché quando si
ritrovò in mano una cornice per foto decorata con fiori e
farfalle sui colori autunnali fece segno a Lucy di avvicinarsi e
l'abbracciò, sussurrandogli qualcosa nell'orecchio che
nessuno capì ma che la fece ridere di gusto.
Quando fu il
turno di Evelyn Edmund sentì il cuore accelerare. Era
impaziente di vedere cosa gli avesse regalato. Questa gli porse un
pacchetto con attaccato un biglietto.
Tentando di tenere a freno
l'entusiasmo per non far nascere dubbi a Peter, Lucy e Susan che lo
guardavano – e per non offenderli facendogli pensare male
– scartò il pacchetto, lasciando il biglietto da
parte promettendosi di leggerlo dopo. Ciò che si
ritrovò a rigirarsi tra le mani fu un piccolo diario in
pelle nera e una penna.
-Nel bigliettino c'è scritto la
spiegazione- interruppe la sua contemplazione Eve, dandogli poi le
spalle e uscendo dalla cucina con una scusa. Edmund aprì la
busta, leggendo mentalmente il contenuto scritto sotto gli occhi
curiosi dei fratelli.
Susan aveva iniziato a sparecchiare la tavola per
mettere ordine.
Ebbe un attimo di smarrimento e rilesse più
volte le poche righe.
-Evelyn!- sbottò, facendo sussultare
il resto della famiglia che sgranò gli occhi allibita. Susan
e Lucy si scambiarono uno sguardo perplesso mentre Peter
alzò gli occhi al cielo, intuendo che Eve doveva averne
combinata un'altra delle sue.
-Che razza di nomignolo è
questo?!- la riprese, alzandosi dalla sedia e cercandola per tutta
casa, non certo che potesse averlo sentito. Sicuramente aveva intuito
la sua reazione e se l'era filata.
La cercò per tutta casa,
finendo poi davanti alla porta socchiusa della camera delle sorelle. Si
concesse dei secondi per calmarsi in vista di quell'incontro faccia a
faccia, aprendo piano la porta che, stranamente, non cigolò.
I suoi occhi soppesarono l'ambiente, fermandosi poi quando incrociarono
la sua figura appoggiata al davanzale della finestra. Non sembrava
essersi accorta della sua presenza o, se l'aveva notato, non diede
segno di turbamento.
Gli dava la schiena, osservando assorta il bosco
visibile da casa sfoggiare pienamente la poggia di colori autunnali che
andavano dal giallo al rosso, dall'arancione al marrone. Tirava un
venticello fresco che le faceva ondeggiare i capelli lasciati lisci,
come se quei fili castano ramati fossero foglie in balia del vento.
-Eve...- sussurrò, esitante, lanciando un'occhiata al
paesaggio. Sentì un groppo in gola immaginando i pensieri
della sorella.
Narnia.
Per un attimo avrebbe voluto uscire, non essere
mai entrato in quella camera, perché gli sembrò
di avere interrotto un momento di intimità che si era creato
tra sua sorella e la natura circostante. La ragazza si girò
verso di lui dopo qualche attimo, sorridendo e portandosi una ciocca
dietro l'orecchio.
-Si?- gli chiese, calma, anche se sapeva
già cosa voleva. Lo vide avvicinarsi titubante alla
finestra, fino ad affiancarla. Edmund appoggiò i gomiti sul
davanzale, imbarazzato di averla interrotta e fissando un punto
indefinito all'orizzonte. Sentiva lo sguardo indagatore della Pevensie
su di lui e sospirò, ingoiando la tensione che quella
vicinanza gli creava.
-Il regalo... grazie- le disse, senza
però guardarla. Visto che osservava fuori non
poté scorgere il sorriso soddisfatto che Evelyn gli fece.
Sbuffò, ricordando il motivo per cui l'aveva raggiunta.
-Ma
non ti pare di avere esagerato?- le domandò, voltandosi a
guardarla. La Pevensie ricambiò lo sguardo, mimando
un'espressione innocente.
-Con cosa, precisamente?- Edmund
alzò un sopracciglio, mentre i sue si ritrovarono l'uno di
fronte all'altra, per nulla toccato dal tono di Eve.
-Te-…
Ted-…- si sbattè una mano alla fronte,
imbarazzato. Sentì la necessita di fare pace con le emozioni
che sentiva in quel momento.
-Quello- sputò fuori,
disgustato.
-Oh, volevi dire Teddy!- lo corresse Evelyn, sghignazzando.
Edmund le mise una mano sulla bocca d'istinto e quella
sgranò gli occhi, presa alla sprovvista.
-Ti prego, non
dirlo!- le ordinò, lanciando un'occhiata preoccupata alla
porta. Evelyn sorrise, facendogli l'occhiolino e mimando un giuramento.
-Tranquillo. Non lo saprà nessuno. Ora torniamo
giù-.
Edmund sospirò, annuendo e avviandosi verso
la porta con passo pesante sotto lo sguardo penetrante della sorella.
Teddy. Che bel modo
per poter ricattare suo fratello.
Evelyn
ghignò di gusto senza farsi notare.
***
Edmund
scosse la
testa, sentendo su di sé il peso dei ricordi e la nostalgia
che si lasciavano dietro scavargli nell'anima.
Evelyn gli aveva
regalato quel diario perché potesse scrivere ciò
che voleva, come se avesse sempre con sé un amico fidato.
Effettivamente era utile per sfogarsi su certi argomenti di cui non
poteva parlare, certo che la sua privacy sarebbe stata rispettata e
nessuno avrebbe letto ciò che scriveva.
Teddy. Odiava quel
nomignolo, era rivoltante e bambinesco. Non capiva come sua sorella,
con la mente acuta che possedeva, potesse averlo tirato fuori.
Sospirò, guardando Eve ancora addormentata contro di lui.
Aveva le gote arrossate e stava sudando, i capelli le si erano
appiccicati alla fronte. Le mise una mano alla fronte, percependo i
palmi scaldarsi a contatto con la sua pelle. Probabilmente le era
venuta la febbre.
Si morse un labbro, pensieroso e preoccupato.
Sperò che con qualche erba medica si sarebbe rimessa in
fretta. La guerra era vicina e non potevano permettersi di stare male.
Non erano in posti sicuri per farsi curare.
Decise di informare Peter,
in modo che potessero aumentare il passo, ma quando alzò lo
sguardo si rese conto di trovarsi quasi alla fine del sentiero che
portava alla radura davanti alla casa di Aslan, lo stesso percorso che
avevano fatto per arrivare la prima volta.
Si sentì
sollevato e rilassò le spalle, voltando lo sguardo e
specchiandosi negli occhi sicuri di Peter.
-Ha la febbre- gli disse,
indicando la sorella con un cenno della testa. Il maggiore si
avvicinò osservando con espressione seria e critica il viso
della sorella. Strinse con una mano il braccio di Edmund, come per
fargli forza – ma al fratello sembrò tanto che le
parti fossero invertite, in quel momento, e che fosse il biondo ad
avere bisogno di sentire la sua presenza per scrollarsi di dosso
l'ansia che era tornata a trafiggergli il respiro – puntando
lo sguardo davanti a sé.
-Ormai siamo arrivati.-
Ciao
a tutti :)
Lo so,
magari non ci crederete a tutti questi aggiornamenti così
vicini, però voglio farmi perdonare per l'assenza immensa
che ho fatto dandovi un po' di robine da leggere. Come
immaginerete,
adesso ci saranno un paio di capitoli di assestamento, poi si
inizierà con un altro arco narrativo.
Non me la sono sentita di togliere il "Teddy" perché ci sono
affezionata, anche se a distanza di quasi otto anni dalla prima volta
che lo scrissi mi sembra un po' infantile. A tal proposito, il
flashback del compleanno di Edmund è forse la parte che ha
subito più cambiamenti (nella precedente versione era
presente anche la mamma e alcune cose inutili che ho omesso) e inoltre
anche nel fhashback di Peter ho tolto un paio di battute tra Eve e
Jadis che non avrebbero avuto senso.
Comunque,
questo
è l'ultimo aggiornamento di agosto. Stavolta
sul serio però. ^^'
Noticine
generali: i
capitoli precedenti li ho sistemati fino al decimo. Se qualcuno volesse
leggere gli spin off dedicati a questa storia e non l'ha ancora fatto
invito a passare alle storie:
Fragola
e Limone, Water
Heart,
Necklace
of Feeling, Promise,
I
breathe with your heart,
First
look
(Suspian).
Ringrazio
coloro che
leggono, seguono, ricordano e preferiscono. Sarei felice se qualcuno mi
facesse anche sapere cosa ne pensa essendo passato molto tempo, vorrei
capire se sono migliorata/peggiorata e le vostre impressioni mi
farebbero piacere dal momento che tengo molto a questa storia.
Alla
prossima,
D.
|
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Capitolo 28 *** Incontri con l'anima. ***
Narnia's
Spirits
Incontri
con l'anima.
Si
stavano dirigendo al campo di Aslan, accompagnati e guidati dai Sig.
Castoro. Quel viaggio pieno di insidie e pericoli che sembrava avere
una durata infinita finalmente stava per giungere al termine.
L'inverno
svaniva sempre di più mano a mano che si avvicinavano
all'accampamento e calpestavano le terre di Narnia, risvegliata dalla
presenza dei figli della profezia.
Evelyn si osservò
intorno, dubbiosa, fissando poi lo sguardo sulle figure di Peter e
Susan che la precedevano intenti a parlare tra loro.
Avevano
abbandonato le pellicce prese dall'armadio su un vecchio tronco
d'albero caduto, poco lontano la riva del fiume ormai scongelato del
tutto. Iniziava a fare troppo caldo perché ce ne fosse
bisogno.
Evelyn ispirò a fondo l'aria primaverile che via
via andava a sostituire quella ghiacciata e pungente dell'inverno che
aveva ormai perso la sua morsa perenne. Sorrise: sapeva di buono. Di
fiori e frutta. Era frizzante, e volteggiava leggera intorno a loro,
trasportando con sé petali di fiori d'albero in un modo che
non aveva mai visto e che, se avesse provato a raccontare, era sicura
nessuno avrebbe creduto.
Una serie di questi le passò
accanto e fece per proteggersi il volto, ma constatò con
malcelata sorpresa che i petali l'avevano evitata, e che quei pochi che
l'avevano sfiorata erano stati delicati come una carezza.
Si
girò in cerca di Lucy, rimasta più indietro di
tutti, mentre l'erba alta e piena le solleticava leggermente le gambe e
i collant bianchi le davano un fastidioso prurito. Si era tolta le
scarpette, in modo da poter sentire meglio la terra di quel mondo
magico sotto i piedi.
Che cosa strana: le sembrava di sentirla battere
ad ogni suo passo, pulsare ritmicamente ad ogni suo respiro, di sentire
tutto attorno a sé la forza degli alberi, la purezza dei
fiori e la delicatezza dell'erba.
Si sentiva collegata a quel mondo,
anche se non se ne capacitava di come fosse possibile. Era una
sensazione particolare e indescrivibile e la sua mente di ragazzina non
trovava le parole giuste per dare voce a quello che sentiva.
Aveva
chiesto a Peter e Susan, ma le avevano risposto che probabilmente era
normale, visto che non erano più in Inghilterra ma in un
mondo magico. Ma le avevano fatto intendere che a loro non capitava la
stessa cosa.
Aveva allora girato l'attenzione su Lu, ma l'aveva trovata
intenta ad ammirare entusiasta con gli occhi che brillavano di emozione
gli alberi che s'inchinavano al loro passaggio. Allora aveva lasciato
perdere, scartando ogni pensiero e pensando che certe cose non sempre
avevano una spiegazione logica.
Dopotutto, non c'era una spiegazione
sul fatto che Narnia si trovasse dentro l'armadio – o almeno,
a lei era sconosciuta –, quindi poteva benissimo non averla
nemmeno la terra che sembrava cosparsa di vita propria.
Focalizzò la sua attenzione sul sole splendente nel cielo
azzurro intenso – un azzurro così pulito come non
l'aveva mai visto e che si sarebbe per sempre imprigionato nei suoi
occhi.
Sospirò, non del tutto felice per la mancanza di
Edmund, e si voltò verso Lucy per vedere a che punto fosse.
Incrociò la figura della sorella che le dava la schiena, il
braccio alzato a mezz'aria per salutare qualcuno. Si sporse oltre le
spalle della sorellina, incuriosita, trovandosi osservata da uno
sguardo vispo e sereno su un viso dai lineamenti affilati.
Si
ritrovò senza parole, immersa a contemplare quella creatura
fatata con il corpo ricoperto di fiori bianchi e rosati – e
che poi avrebbe imparato a chiamare driade.
La trovò
stupenda.
Evelyn le sorrise, e mimò un imbarazzato cenno con
il capo, ricevendo in risposta un elegante inchino nell'aria. Poi
spostò l'attenzione su Lucy, che si era accorta di lei che
la stava aspettando, e le fece un gesto eloquente di raggiungere gli
altri già molto avanti.
La Pevensie salutò
un'ultima volta e le corse incontro, prendendola per mano e
trascinandola verso i fratelli maggiori come presa da una nuova
euforia. Evelyn non fece resistenza, voltandosi indietro per vedere se
la driade le stesse seguendo. Ma era già sparita.
-Perché ci fissano?-
Lucy, Peter ed Evelyn si voltarono
verso Susan, che scrutava incerta i Narniani attorno a loro che li
fissavano, curiosi. I castori li precedevano, emozionati di essere
finalmente giunti al campo al cospetto di Aslan, mentre l'esercito che
si era radunato in quello spiazzo di terra smetteva di fare i propri
compiti osservando i nuovi arrivati.
Qualcuno bisbigliava, e Susan si
sentì come messa sotto indagine. Non le piaceva quando la
fissavano.
-Forse pensano che sei buffa- le rispose Lucy,
innocentemente, strappando un sorriso ai fratelli. Sembrava l'unica
oltre ai castori a non sentire la tensione che iniziava a penetrare tra
loro.
Quando arrivarono davanti alla tenda più grande
dell'accampamento, Peter sfoderò la spada, raccogliendo
tutto il coraggio e la spavalderia che possedeva.
-Siamo qui per
conferire con Aslan-
Dei mormorii si alzarono tra la folla in attesa di
sviluppi, ma vennero subito zittiti da dei movimenti provenienti
dall'interno della tenda. Gli abitanti di Narnia s'inchinarono
all'istante quando una figura fece la sua comparsa davanti ai ragazzi,
uscendo dalla tenda e mostrandosi alla luce del sole.
Tutti i Pevensie
sgranarono gli occhi, sorpresi, sentendosi immediatamente messi sotto
indagine da quei baratri dorati in cui si ritrovarono riflessi.
Aslan
non era una persona. Aslan...
Aslan era un leone.
Evelyn
focalizzò la sua attenzione sull'animale che tutti adoravano
e temevano, fermo in una posa regale da cui traspariva una compostezza
e una calma percepibili nell'aria.
Osservò la folta criniera
dorata, il manto tendente al beige, e gli occhi… due pozzi
d'oro colato che si guardavano intorno sapienti e consapevoli della
propria persona – e, avrebbe poi imparato, moltissime altre
cose.
S'inchinò, imitando i fratelli, faticando a staccare
gli occhi dall'animale che li stava soppesando, in silenzio. Al solo
sentire nominare Aslan aveva provato un misto di sicurezza e
protezione, come se niente e nessuno poteva farle del male.
Ma ora che
se lo trovava davanti era tutto diverso.
La gioia, la calma e la pace
stavano svanendo, mentre un macigno sembrò esserle piombato
sulla bocca dello stomaco. Il respiro le divenne affannato, la gola
secca. Il cuore prese a batterle così velocemente che
pensò fosse udibile da chiunque le stesse accanto e
fissò ostinatamente lo sguardo al terreno, non capendo il
motivo di quella sua reazione.
E il colpo di grazia lo ebbe quando la
voce dell'animale la raggiunse.
-Benvenuto Peter, Figlio d'Adamo.
Benvenute Susan, Evelyn e Lucy, Figlie di Eva. E benvenuti a voi
Castori-.
Ma Eve non stava più ascoltando, perché
il vuoto allo stomaco dilagava e l'ansia si affievoliva, sostituita da
un grande, grandissimo senso di nostalgia e numerose fitte al cuore che
le fecero salire le lacrime agli occhi. Stava avendo un attacco di
ansia e aveva assolutamente bisogno d'aria.
Aria...
Aprì
gli
occhi di scatto, boccheggiando e tendendosi in
avanti. Sentiva la respirazione bloccata e un groppo in gola che le
dava l'impressione la stesse soffocando, come una morsa che la
stringeva sempre di più.
Mosse le braccia a casaccio,
vedendo tutto intorno a sé vorticare pericolosamente e non
riconoscendo nulla di ciò che le passò davanti
agli occhi, tossendo.
-Eve!-
Percepì una presa salda sui
fianchi e si irrigidì, fermandosi, cercando di calmare il
battito del suo cuore impazzito e riprendere il controllo su se stessa.
Si portò una mano alla gola, come per sincerarsi di essere
viva e non avere nulla che le stesse premendo contro, sentendo
immediatamente le gocce di sudore che le colavano verso il seno
bagnarle il palmo della mano.
-Eve...?-
La voce di Peter le
arrivò lontana, quasi ovattata nonostante lui le fosse corso
da parte prendendola per il braccio. Evelyn non vide la scintilla di
preoccupazione che passò attraverso lo sguardo del re
supremo.
Non gli rispose, inspirando a fondo e chiudendo gli occhi
chiusi per calmarsi, isolandosi dagli sguardi del gruppo, mentre un
brivido la scuoteva da capo a piedi. Sentiva la testa girare e farle
male, le tempie bruciare.
Quel ricordo era tornato a farle visita.
Doveva essersi addormentata...
-Eve-
Peter la richiamò di
nuovo, stringendo la presa sul polso della sorella, intimandole di
voltarsi a guardarlo. Aveva bisogno che lei lo guardasse,
perché quel pomeriggio già troppe volte si era
sentito impotente nei suoi confronti.
La Pevensie sussultò,
voltandosi e rendendosi conto di quanto le fosse vicino Peter. Si rese
anche conto di essere in groppa ad Antares, che aveva arrestato la sua
marcia appena lei aveva avuto quel brusco risveglio.
Alle spalle del Re
intercettò Caspian, che la stava fissando con la fronte
aggrottata e le fece un timido stiramento di labbra. Si
sforzò di sorridergli, ma una stretta del biondo le fece
riportare all'istante gli occhi su di lui. Sussultò per la
scintilla implorante che vide negli occhi di Peter e ne
restò spiazzata.
-Io...- provò, non sapendo cosa
dire. Si schiarì la gola, sentendola raschiare. Non
ricordava se le fosse stato chiesto qualcosa.
-Come stai?- la
aiutò il maggiore, precedendola, lasciandole andare il
polso. Evelyn si portò quello stesso braccio al petto,
cercando di riordinare la mente.
Scorse Lia e Dhemetrya poco
più avanti che la osservavano, serie. Si accorse poi della
presenza di Edmund dietro di lei e delle sue mani attorno alla vita.
Ebbe un brivido e non seppe definire se fosse per l'emozione di essersi
accorta in quel momento di averlo così vicino o per il
freddo che sentiva.
-Io... non lo so- mormorò, strizzando
gli occhi e portandosi la mano alla testa, passandosela tra i capelli.
La luce del sole che filtrava tra i rami degli ultimi alberi prima che
la foresta si aprisse sulla radura le iniziava a dare fastidio. Sentiva
freddo e la testa pesante.
Peter si scambiò uno sguardo con
Edmund e Caspian, facendo cenno ad Antares.
-Andiamo- disse,
riprendendo a camminare ed andando in testa al gruppo, accanto a Lia.
Il biondo lanciò uno sguardo a Dhem, uno sguardo
disinteressato che quasi istantaneamente si trasformò in uno
studio della sua figura eterea e longilinea prima che se ne rendesse
conto.
Era come se la vedesse realmente per la prima volta da quando si
erano ritrovati tutti insieme.
Notò le labbra martoriate,
gli zigomi scavati e le occhiaie profonde di chi non dorme da giorni, i
boccoli increspati raccolti a casaccio, le braccia magrissime e le
spalle esili.
Ebbe l'impressione che la spavalda ragazza tutta sorrisi
che aveva conosciuto giorni addietro e che gli stava quasi antipatica
fosse scomparsa e ciò che ne rimaneva... ciò che
ne rimaneva non era lei.
Che fine aveva fatto? Perché quel
cambiamento radicale?
Si sentì congelare quando Dhemetrya
gli restituì lo sguardo che le stava dando, trovandosi
specchiato in due baratri blu metallico che ebbero il potere di farlo
sentire piccolo ed insignificante.
Peter si sentì colpito
nell'orgoglio, vedendo l'espressione della ragazza restituirgli
quell'occhiata con una punta di arroganza. Non seppe che dire e
voltò il capo, a disagio, riportandolo poi subito dopo sulla
ragazza che non lo stava già più guardando,
trovando apparentemente molto più interessanti le proprie
mani.
E capì, come colpito da un fulmine illuminante,
perché di Dhemetrya, creatura di Narnia fino al midollo,
sembrava esserne rimasto soltanto un guscio fragile pronto a spezzarsi.
Era colpa sua.
Evelyn sbuffò leggermente, gli occhi
socchiusi, cercando di rilasciare la tensione che percepiva nella
schiena per ritrovare la posizione apparentemente comoda in cui si era
addormentata.
Non doveva avere la mente lucida a causa della febbre che
le stava salendo, perché non si rese conto di come si stesse
appoggiando senza problemi ad Edmund. Voleva solo godere di quei
momenti ancora un po', con la scusa di essere stata appena salvata da
quella che poteva essere la sua morte, sfruttando la bolla di
protezione che i fratelli sembravano averle costruito attorno.
Ignorava
la fatica che Edmund stava facendo per non abbracciarla totalmente e
tenere a bada l'impulso di lasciarle dei baci rassicuranti sul viso,
limitandosi a irrigidirsi ogni volta gli si spalmava addosso.
Evelyn
corrugò la fronte, osservando stancamente davanti a
sé senza vedere davvero dove stessero andando.
La melodia
l'aveva stordita immediatamente, facendole credere di essere davanti ad
un varco per poter ritornare alla Narnia che tanto amava. Si era
ritrovata come in un sogno, di quelli in cui ti accorgi che non si
tratta della realtà ma non puoi fare niente per svegliarti.
Era stata attirata in una trappola.
Un piano per metterla fuori gioco
architettato da... da chi?
I Telmarini non avevano armi magiche a
disposizione ed erano ignoranti riguardo ciò che di
più proibito e nascosto facesse parte di quel mondo.
Dubitava si fossero spinti fino al centro del bosco solo per lei o per
catturare uno dei Re con l'aiuto di qualche Narniano. Da entrambe la
parti non era possibile che un accordo simile potesse essere stato
stipulato.
Si sentì stupida per il modo in cui si era fatta
abbindolare senza poterci fare nulla per sottrarsi. Aveva intuito che
fosse una trappola, ma sentendo quella musica si era lasciata andare ai
ricordi, che prepotentemente erano tornati a galla come il legno che
non affonda.
Il suo male.
I ricordi le facevano male. Iniziava a
credere di essere troppo legata a Narnia e alle memorie della prima
vita che si portava dentro.
Però... come poteva non esserlo?
Era stata, ed era, la sua fuga dalla guerra, la sua pace e la sua vita,
il luogo in cui aveva vissuto, era cresciuta e in cui aveva sempre
sperato di tornare, come un prigioniero che cerca la
libertà.
Narnia era la sua casa.
Per tutti quei mesi le era
sembrato di essere stata in apnea e tornando in quei luoghi era stato
come riprendere a respirare. Non poteva scordare, sarebbe stato un
affronto troppo grande – un affronto che non poteva fare ad
un luogo a cui doveva dire grazie per la persona che era diventata
grazie ad esso.
Preferiva ricordare e soffrire, piuttosto che rinnegare
una vita intera.
-Eve-
Quella trafila di pensieri che pensava iniziasse
a non avere più senso venne interrotta dalla voce di Edmund,
la quale le fece perdere definitivamente il filo del discorso.
Evelyn
chiuse gli occhi nel vano tentativo di mantenere la calma,
dopodiché si girò leggermente verso il fratello,
in attesa, cercando di ignorare la testa pesante.
Non voleva parlare
perché temeva di farsi tradire dal proprio tono di voce.
-Come stai?- le domandò lui, dolcemente. Eve gli
lanciò una mezza occhiata senza voltarsi del tutto,
rendendosi conto che non era propriamente padrona di se stessa.
-Potrebbe andare meglio- mugugnò, approfittando della
situazione e appoggiandosi meglio. Le sembrò che Edmund
avesse rilasciato uno sbuffo divertito.
-Sei comoda?- le
domandò, infatti. Un mezzo sorriso soddisfatto
spuntò sul viso stanco della Pevensie, contenta di avere
ragione.
-Abbastanza. Ma potrei stare meglio- sentì il petto
del fratello gonfiarsi di indignazione.
-Scusami se non sono stato
stampato a forma di materasso- le disse direttamente nelle orecchie.
Evelyn si portò una mano alla testa, infastidita dal tono
troppo alto che aveva usato per parlarle. Non ebbe le forze di
riprenderlo.
Sentì delle vampate di calore miste a freddo.
Non vedeva l'ora di cambiarsi d'abito e darsi una rinfrescata.
-Tranquillo, mi piaci così- mormorò, senza
rendersene conto, tenendo sempre la mano sulla fronte sudata. Se ne
pentì due secondi dopo, quando le parve di sentire Edmund
smettere di respirare per qualche istante e rendendosi conto di cosa
aveva effettivamente detto in preda ai primi deliri della febbre.
Sgranò gli occhi, senza avere il coraggio di muoversi di un
millimetro. Era stata una grandissima stupida a lasciarsi andare in
quel modo!
Spostò lo sguardo verso Lia, in cerca di una
scappatoia, ma la vide molto più avanti con Peter.
Ringraziò che il fratello maggiore non fosse nelle vicinanze
e sperò che nessuno l'avesse sentita.
-Edmund...-
esalò, dopo qualche attimo, incerta, non sapendo bene cosa
dire. Cercò di recuperare tutta la lucidità e il
coraggio che possedeva. Il cuore le batteva e si sentiva il sangue
congelato come se le avessero fatto una doccia ghiacciata.
-Tranquilla
Eve- le rispose lui, mimando un sorriso finto e tirato che
però lei non poté vedere. La Pevensie si
sentì in colpa, inspiegabilmente, ed abbassò il
capo.
Edmund si trattenne dallo stringere i pugni, mantenendo la
facciata di calma apparente che si portava sempre dietro.
Cercò di ingoiare il rospo amaro della delusione che premeva
per uscire e di non fare smorfie.
Era ovvio che Evelyn con la propria
frase si riferisse al fatto del materasso-comodità
– e non altri sensi come lui avrebbe sperato. Era inutile che
si facesse illusioni, anche se quelle parole gli avevano fatto volare
il cuore. Si era sentito come se sarebbe potuto schizzargli fuori dal
petto.
Se fosse stata una vera confessione sarebbe stata la sensazione
più della che avrebbe provato nella vita. Ma in quel modo
erano state solo l'ennesima coltellata che gli veniva inflitta senza
malizia dalla persona che amava.
Evelyn si impose di non sospirare,
sentendo il peso della paura sciogliersi lentamente. Si era esposta per
sbaglio, ma sembrava esserle andata bene. Edmund non sembrava aver
percepito – e come poteva immaginare, grazie ad Aslan?
– il significato nascosto dietro le sue parole.
Ma per quanto
ancora poteva nascondersi?
Notò che alla rifugio in cui si
erano riuniti i Narniani mancava davvero poco: stavano attraversando la
grande radura, e da quella distanza era visibile il fermento che si
agitava tra quelle creature intente nell'assolvere i propri doveri.
Si
morse un labbro, godendosi la sensazione del macigno della vergogna e
della sofferenza creatosi negli anni alleggerirsi.
Era come se un
pezzetto si fosse staccato e sciolto, dopo che quelle mezze parole di
affetto che le erano scappate dalla bocca prima che potesse fermarle.
Come se il peso da portare fosse minore... e la colpa non
così grande.
-Arrivati!-
Sussultò di sorpresa,
trovandosi improvvisamente da parte Caspian. Lo osservò vari
attimi, smarrita, cercando di ordinare al suo corpo di sorridere e
prendere la mano che lui le porgeva per aiutarla a smontare da cavallo.
S'immobilizzò a studiarlo, cercando di leggergli negli occhi
qualsiasi segnale che potesse farle capire se poteva aver ascoltato il
discorso di poco prima. In risposta ricevette un'occhiata perplessa che
il ragazzo si scambiò con il Pevensie dietro di lei e si
riscosse, cercando di esibire il migliore sorriso che potesse fare
nelle condizioni psico-fisiche in cui si trovava.
-Grazie- gli
sussurrò, con la voce un po' roca, quando la posò
a terra. Il Principe le offrì un braccio per aiutarla a
reggersi in piedi, memore della debolezza che l'aveva colta appena
avevano spezzato l'incantesimo.
Edmund le fu subito da parte, Peter la
osservava da pochi metri di distanza accanto a Dhemetrya.
-Grazie... a
tutti- si forzò di dire, soppesando gli occhi dei presenti
che le stavano intorno. Senza di loro sarebbe stata sicuramente
spacciata. Diede una carezza a Lia e Antares, scambiandosi poi uno
sguardo con Peter che annuì, serio, osservandola entrare
nella cripta insieme al Principe.
Sua sorella doveva riposare e aveva
già mandato un fauno ad avvisare Lucy e Susan del loro
ritorno, chiedendo di mandarle da lui con estrema urgenza. Sapeva
già che le sorelle gli avrebbero fatto centinaia di domande.
***
Peter
ed Edmund
fissarono a lungo il punto in cui Evelyn era sparita,
avvolti da un pesante silenzio che nessuno dei restanti osò
interrompere. Troppe domande si susseguivano nelle loro menti tanto da
lasciarli senza parole e con l'animo in subbuglio.
Si scambiarono uno
sguardo, sapendo di essere in sintonia con i pensieri, e si voltarono
verso i tre Narniani.
-Vi ringrazio dell'aiuto- fece il maggiore,
accennando un lieve inchino con il capo, cercando di non scomporsi.
Edmund gli lanciò una leggera occhiata di rimprovero,
schiarendosi la voce per togliere il velo di silenzioso imbarazzo che
si era posato su di loro.
-Si, grazie mille. Se fossimo stati da soli
probabilmente...- lasciò in sospeso la frase, soppesando i
loro visi e soffermandosi su quello della lupa. Era intuibile la fine
che avrebbero potuto fare soprattutto se non ci fosse stata Lia a
capire l'inganno che c'era dietro.
I tre annuirono, capendo i
ragionamenti che stavano mettendo in tumulto le menti dei due giovani
Re.
-Non preoccupatevi. E' stato... naturale, aiutarvi- Peter
fissò lo sguardo su Dhemetrya, che aveva parlato. La ragazza
stava guardando Edmund, sforzandosi di sorridere al ragazzo che le
aveva espresso la propria riconoscenza, cercando di mostrare una forza
che in quel momento probabilmente non aveva.
-Siamo in debito con voi-
disse, catturando l'attenzione della ragazza su di sé. Si
ritrovò imprigionato di nuovo in quegli occhi blu e
percepì una fastidiosa sensazione di disagio crescergli nel
petto. Non aveva ancora capito come inquadrarla, Dhem, e la cosa gli
metteva addosso ansia.
-Dovere- s'intromise Lia, facendo un passo in
avanti. La mora sussultò trovandosela da parte, rendendosi
conto di quanto si fosse lasciata andare nei confronti della Narniana
che tanto mal sopportava.
Era diventata proprio debole.
Sentì l'aria accarezzarle il volto e cercò di
rilassarsi sotto il suo tocco delicato.
-Ora credo che... possiate
andare. Vero Peter?- domandò Edmund, voltandosi verso il
fratello. Quello gli annuì per l'ennesima volta nel giro di
poco tempo, congedando i tre Narniani che diedero loro le spalle e si
avviarono verso un punto isolato della radura. Dovevano parlare e
riflettere senza rischiare di essere sentiti.
***
-Susan-
Lucy
richiamò l'attenzione della sorella maggiore,
che stava controllando la punta dei suoi dardi appoggiata ad una
gradinata all'interno della sala nella quale si trovava la tavola di
pietra su cui Lu, come poche sere prima, aveva passato il tempo in
attesa del ritorno dei fratelli.
Le torce rischiaravano i volti delle
due, mentre il calore era ben diffuso e le pietre sparse per terra, o
le colonne in piedi, creavano strani giochi di ombre.
-Si?-
domandò la Pevensie, calma, spostando lo sguardo sulla
sorellina per osservarla. Passò le dita tra le piume rubino,
lentamente, saggiando il lieve prurito che le diedero ai polpastrelli.
Sospirò, ripensando all'ansia che aveva provato quando si
era accorta che nessuno dei suoi fratelli era al rifugio, a parte la
minore che ora la stava osservando, dubbiosa. Sistemare i propri dardi
era uno dei pochi metodi che riuscisse a calmarla, facendole distrarre
la mente.
Osservò il volto della Pevensie, le sopracciglia
corrugate in un'espressione di perplessità. Erano li da
quando l'aveva richiamata poco tempo prima ma non avevano parlato di
niente d'importante.
Aveva solo bisogno di sapere che Lucy –
almeno lei – le fosse vicina e visibile, in quelle ore in cui
le sembrava che tutto le stesse scivolando dalle mani.
Fortunatamente
la Valorosa sembrava aver capito il suo stato d'animo perché
non le aveva fatto nessuna domanda, limitandosi a rassicurarla con la
sua presenza.
Susan sospirò, per l'ennesima volta, mettendo
via la freccia che si stava rigirando tra le dita.
Dove si erano
cacciati tutti? Peter era sparito e non era da lui andarsene senza
avvisare, e nemmeno da Edmund, sempre calmo e ragionevole. Dubitava
anche che Caspian avrebbe potuto tenere un comportamento simile,
allontanandosi senza avvisarla.
Avvisarla...?
Si morse l'interno di una
guancia, scuotendo la testa.
Avvisare.
Il Principe non si sarebbe mai
allontanato senza avvisare qualcuno delle proprie intenzioni. Forse
avrebbe dovuto mandare qualcuno a cercarli? Il fatto che fossero tutti
scomparsi senza dire nulla la agitava. Poteva essergli successo
qualcosa e loro non ne sapevano niente, attendendo il loro ritorno
senza muovere un dito.
Riportò l'attenzione sulla sorellina,
che aveva continuato ad osservarla senza però dire nulla,
soppesando dai tratti del viso come la mente della sorella maggiore
stesse lavorando per creare delle giustificazioni ragionevoli che non
scatenassero il panico.
Non potevano dire all'esercito che i loro
comandanti era spariti o far capire quanto la preoccupazione iniziasse
ad accompagnare i loro pensieri. Sarebbe stato un suicidio.
Susan mise
a fuoco il volto di Lucy, intimandosi di mantenere la compostezza che
l'aveva sempre caratterizzata, ma lo sguardo perso che la
più piccola le stava dando di rimando le fece tremare il
respiro.
Lucy era pensierosa. Troppo pensierosa. E se Lucy non parlava,
travolgendoti con i suoi discorsi salterini e a volte forse un po'
troppo bambineschi, voleva dire che c'era davvero qualcosa che non
andava.
Uno stato di ansia la colse, ma si impose di non mandare agli
occhi ciò che stava sentendo nel cuore. Susan si
sentì un po' persa, non potendo fare affidamento
sull'innocente positività della sorella minore.
La sua mente
tornò a macchinare senza che lo volesse.
Forse erano in
pericolo, magari dei Telmarini li avevano attaccati, si erano persi, o
forse Peter e Caspian stavano litigando persi da qualche parte a colpi
di spade e male parole e gli altri stavano provando dividerli.
Si rese
conto che l'ultima opzione era la più positiva.
Doveva stare
calma.
Tentò di rassicurarsi, aggrappandosi disperatamente a
tutta la capacità di ragionamento e analisi che l'aveva
sempre aiutata a mantenere la calma anche nelle situazioni
più difficili e che tutti le invidiavano.
Se fossero stati
in pericolo avrebbero trovato modo di chiedere aiuto… forse.
I Telmarini erano impegnati alla costruzione del ponte a Beruna ed
avevano troppe superstizioni su Narnia per entrare nella foresta in
piccoli gruppi.
Però... se invece fossero stati gli altri ad
andarli a spiare? Erano abbastanza temerari e fuori di testa per farlo
e forse li avevano scoperti.
Si impose nuovamente la calma, respirando
lentamente e scocciata con se stessa. Voleva mettere fine a tutte
quelle macchinazioni che sicuramente non la stavano aiutando.
Sperò che stessero solo esplorando i dintorni.
-Cosa
c'è?- Riportò l'attenzione su Lucy, alzandosi per
camminare in modo da aiutarsi a rimanere impegnata a fare altro.
-Secondo te gli altri dove sono?- le domandò la
più piccola. Susan sorrise tirata, rendendosi conto che
avevano gli stessi dubbi. Decise di restare vaga.
-Saranno in giro a
perlustrare i dintorni, sai come sono fatti. Soprattutto Eve e Peter,
che non riescono a stare fermi per molto senza fare nulla- disse,
cercando di essere rassicurante. Sapeva benissimo che le sue parole
suonarono come una bugia, specialmente per il tono fintamente
indifferente che aveva usato, ma Lucy non glielo fece notare.
La minore
delle Pevensie annuì, poco convinta. Preferiva vederli
davanti ai suoi occhi, solo allora sarebbe stata del tutto tranquilla e
sicura. Ma, senza prove che ci fossero dei problemi, continuare a
logorarsi era solo dannoso. A che pro preoccuparsi senza certezze?
Decise di cambiare il discorso, per cercare di alleggerire la tensione,
iniziandone uno decisamente più leggero.
-Allora, Sue...
cosa ne pensi di Caspian?- domandò, con la voce
che trillava di curiosità e uno sguardo volutamente
malizioso che ebbe il potere di congelare la Pevensie sul posto. Vide
Susan sussultare e si trattenne dal ghignare vittoriosa.
-Che…- iniziò incerta la sorella, spaesata,
facendo dardeggiare lo sguardo per la stanza. Non sapeva cosa
risponderle. Che le era stato subito più che simpatico? Che
aveva subito catturato la sua attenzione? No, decisamente. Sua sorella
si sarebbe messa a farle mille e più domande tornando
all'attacco come poche ore prima per farle confessare qualcosa a cui
nemmeno lei sapeva dare un nome.
-Che domanda è?-
deviò, il tono più alto di due ottave. Lucy la
guardò contorcersi le dita delle mani sbattendo le palpebre
con innocenza.
-Ma dai Sue! Vorrei solo sapere come ti sembra- le
spiegò, tranquilla. La maggiore non si fece ingannare dal
tono ovvio che aveva usato la sorella, come se si fosse messa sulla
difensiva per niente. Conosceva troppo la ragazzina perché
la traesse in inganno con i suoi modi innocenti di chi non ha malizia.
Ingoiò un groppone di imbarazzo, quello che le veniva sempre
quando si trattava di parlare dei suoi sentimenti. C'era un motivo se
non si apriva mai con nessuno.
-E' un bravo combattente, sia con la
spada che con la balestra- sputò fuori, alzando un
sopracciglio e guardando Lucy come se le spiegasse delle
ovvietà.
-Però tu e Peter siete più
bravi...- Susan scosse la testa, le guance leggermente rosse, non
capendo quella frase e sentendosi in dovere di specificare.
-Non ho
detto questo: ho detto che è bravo e che se la cava bene- la
sorellina rise di gusto, e Susan la guardò, aggrottando la
fronte. Non capiva proprio cosa ci fosse di divertente in quello che
aveva detto. Certe volte non sapeva proprio spiegarsi in che modo
lavorassero le teste dei suoi fratelli.
-Ma infatti non ho mai detto
che non fosse bravo- Lucy ci mise un po' a trovare la compostezza per
parlarle, gli occhi sempre luccicanti di chi non potrebbe passare il
tempo in modo migliore.
Susan la guardò, arricciando le
labbra e alzando per l'ennesima volta un sopracciglio.
-Spiegati- le
intimò, incrociando le braccia, in attesa. In quella stanza
iniziava a sentire caldo e non seppe dire se fosse lei o il calore
generato dai fuochi che andavano costantemente.
-L'ho solo confrontato
con te e Peter, ma tu ti sei messa sulla difensiva. Se Caspian non ti
interessava non avresti reagito così- Susan
sgranò gli occhi, sentendo la gola improvvisamente secca di
fronte a quella breve spiegazione che ebbe il potere di farle tremare
il cuore.
Lucy cambiò posizione, mettendosi seduta con le
gambe a penzoloni, restituendo alla sorella maggiore un sorriso
eloquente. La Dolce lasciò cadere stancamente le braccia
lungo i fianchi, sospirando sconfitta.
-Si ok, hai ragione. Un pochino
mi piace- ammise, guardandosi i piedi e grattandosi una guancia con
l'indice, in imbarazzo. Sentì Lucy ridacchiare soddisfatta
ma la cosa non la toccò. Era troppo impegnata a pensare che
l'aveva detto, l'aveva detto davvero ad alta voce.
Aveva confessato
quella verità che le stava diventando troppo scomoda da
nascondere. Caspian le piaceva, e anche tanto. E la cosa le faceva
paura, perché nessuno era mai riuscito a superare la sua
algida compostezza di Regina.
-Guarda che si capisce che da entrambe le
parti c'è interesse- le fece notare Lucy, con poco tatto.
Susan alzò lo sguardo da terra, gli occhi sgranati in cerca
di conferma di quello che aveva appena sentito. Sentì una
morsa allo stomaco vedendo che Lucy annuiva per dare più
enfasi alle proprie parole. Aprì la bocca un paio di volte,
senza sapere cosa dire, sentendosi travolta da quella confessione.
La
minore la osservò, senza rigirare il dito nella piaga come
le sarebbe piaciuto fare per metterla in imbarazzo. Susan forse non si
rendeva conto dell'effetto che faceva sui ragazzi – o, forse,
non voleva rendersene conto. Per anni l'aveva vista precludersi
qualsiasi rapporto che andasse al di là della semplice
amicizia o di mantenere la facciata con qualche nobile.
Non capiva
proprio perché le sue sorelle, ragazze così belle
e che sapevano il fatto loro, non si lasciassero andare all'amore.
Si
rese conto che tutti loro si erano privati di rapporti importanti
mettendo al primo posto i loro doveri di sovrani.
Scosse la testa,
dispiaciuta, studiando le gote arrossate di Susan e sentendo il
silenzio che era calato tra loro farsi pesante. Forse se fossero
rimasti a Narnia quella seconda volta...
-Mie Regine! Mie Regine!-
Le
ragazze si voltarono, interrompendo i loro pensieri, rendendosi conto
di quanta tristezza stessero mettendo addosso quelle constatazioni che
stavano facendo in solitudine.
Il fauno arrivò davanti a
loro facendo un inchino e Lucy gli si avvicinò, mettendogli
una mano sulla spalla per calmarlo, vedendo come respirasse veloce. Si
scambiò uno sguardo preoccupato con Susan.
-Parla. Con
calma- disse la maggiore, fissando il Narniano. Tutta l'ansia e le
preoccupazioni che aveva cercato di scacciare via dalla mente
riaffiorarono prepotentemente. Si trattenne dal mordersi un labbro per
il nervosismo, aspettando che il fauno parlasse.
I suoi fratelli...
-Vostro fratello Re Peter chiede di vedervi con urgenza-.
***
-Evelyn,
come stai?-
La ragazza si trattenne a stento dallo sbuffare.
Aveva perso il conto di quante volte le fosse stata fatta quella
domanda. Le faceva male la testa ed era ovvio che non stesse bene, dal
momento che sudava come se fosse nel deserto ma aveva freddo ed era
pallida.
Alzò le spalle, senza guardare il ragazzo in viso,
continuando a rovistare tra le cose sue e delle sue sorelle che erano
state raccolte in un baule. Vestiti di ricambio, biancheria, teli per
asciugarsi... Il minimo indispensabile che erano riuscite a raccattare
in giro, anche grazie alle Narniane che le avevano aiutate, per
continuare ad avere un aspetto presentabile e pulito in quei giorni di
difficoltà.
Si passò una mano sulla fronte,
sentendo i capelli umidi e unti.
Aveva bisogno assolutamente di
rinfrescarsi.
Non sapeva come riuscisse a rimanere in piedi con il mal
di testa che le premeva sulle tempie e la febbre che le faceva venire
le vertigini, ma si rifiutava di mettersi a dormire in quelle
condizioni.
Si voltò, trovando Caspian che le dava la
schiena per rispettare la sua privacy mentre rovistava in giro.
Sorrise, anche se non poteva vederla, sentendosi in colpa per non
avergli risposto.
-Sto... male- ammise, e il Principe si
voltò istantaneamente verso di lei, preoccupato. Eve rise
vedendo i suoi occhi allucinati, come se potesse svenirgli davanti.
Ringraziò di non essere una di quelle ragazze che sognavano
ad occhi aperti l'uomo dei sogni che le salvasse da tutto,
perché Caspian in quel momento ne sembrava l'incarnazione.
-Cos'hai?-
le chiese, avvicinandosi di qualche passo.
Evelyn si voltò
chiudendo il baule, tornando poi a fissare il ragazzo, stringendosi al
petto l'abito di ricambio e l'asciugamano. Non era da lei ammettere di
stare male, ma non c'era motivo di nascondersi dietro un dito. Era
ovvio che non stava bene e Caspian non era stupido.
-Mi scoppia la
testa, ho freddo, ho la nausea, mi sento debole- Caspian le mise una
mano sulla fronte sudata interrompendo il suo fiume di parole, memore
dei discorsi di Peter ed Edmund mentre tornavano al rifugio.
-Hai la
febbre- la sua fu una constatazione semplice ed ovvia, sentendo la
pelle di Evelyn bruciare sotto i polpastrelli. La Pevensie
annuì, dandogli ragione stranamente senza ribattere con
qualche frase sarcastica.
Lo guardò negli occhi,
riconoscente. Era anche grazie a lui se stava bene e non era finita nel
burrone. Gli doveva un favore enorme e prima o poi sarebbe arrivato il
momento in cui si sarebbe sdebitata. Ne era sicura.
-Io...
sarà meglio che vada a sistemarmi- mormorò,
incerta. Caspian tossì un paio di volte, evitando di
guardare il vestiario che teneva in mano per pudore e facendole gesto
di andare.
-Certo. Io nel frattempo vado a chiedere di farti fare una
medicina- si offrì, pratico, scortandola verso un'altra
stanza all'interno della quale la attendevano delle Narniane.
Appena
l'avevano vista entrare nel rifugio un paio di faune e una nana si
erano offerte di aiutarla, vedendola stare male, iniziando a preparale
un catino con acqua calda e sali, e lei non aveva avuto il coraggio di
rifiutare il loro aiuto. Aveva bisogno di sentirsi coccolata un po',
memore dei lunghi e rilassanti bagni che faceva a Cair Paravel.
I due
si fermarono davanti alla porta socchiusa.
-Poi dovrai spiegarmi bene
cosa è successo-
Si voltarono l'uno verso l'altra, sgranando
gli occhi. Rimasero a fissarsi qualche secondo in totale silenzio,
dopodiché Eve sorrise leggermente e Caspian prese parola.
-Direi che ad entrambi manca una parte di storia- disse. Era curioso di
sapere come era finita in quella trappola la ragazza. Si
schiarì la voce.
-Però prima sarebbe meglio se ti
riprendessi. Io vado a cercarti la medicina e a vedere dove sono i tuoi
fratelli- le disse, accennando alla porta socchiusa da cui intravide le
Narniane attenderla, pazienti.
Eve aprì maggiormente il
varco, dando in mano a una fauna il vestiario che aveva portato.
-Direi
che hai ragione- Si voltò verso il Principe, che aveva fatto
dei passi indietro per iniziare a darle le spalle e gli sorrise,
sinceramente sollevata della sua premura.
Peter era sicuramente troppo
preso a cercare di capire chi avesse attentato alla sua vita e Susan e
Lucy lo stavano sicuramente riempiendo di domande, se avevano saputo
cosa era successo, a cui lui sarebbe probabilmente pesato non sapere
dare risposta.
Il ragazzo le fece un cenno, pronto a voltarsi, ma
Evelyn lo fermò con un'occhiata.
-Ah, Caspian... grazie-.
Ciao
a tutti e ben
ritrovati :)
Siamo giunti al momento in cui la vecchia versione di
questa storia si interrompeva, dopo l'attacco ai danni di Evelyn: dal
prossimo capitolo sarà tutto completamente inedito e questa
nuova trama potrà finalmente andare avanti. L'unica cosa che
rimarrà uguale sarà il titolo, "Figlia del
Cielo", ma il contenuto sarà completamente cambiato.
Ringrazio chi ha avuto la pazienza di arrivare a leggere fino a questo
punto, a coloro che preferiscono, seguono e ricordano e si sono fermati
a lasciarmi un parere che non può che farmi felice. Sperando
di non deludervi vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo.
<3
Love, D.
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Capitolo 29 *** Figlia del Cielo. ***
Narnia's
Spirits
Figlia
del Cielo.
-Peter!
Peter!-
L'alto
Re di Narnia inspirò profondamente per cercare di racimolare
tutta la calma e sicurezza che possedeva. Edmund gli lanciò
un'occhiata profonda, voltandosi poi insieme a lui verso l'entrata
della casa di Aslan, vedendo la figura di Susan arrivare con passo
svelto.
Peter si sentì chiuso in una stretta prima di avere
tempo di guardarla negli occhi e abbassando lo sguardo, rendendosi
conto di essere circondato da due braccia minute, incontrò
gli occhioni preoccupati di Lucy che lo guardavano, luccicanti di
agitazione.
Forse non era stata una buona idea mandarle a chiamare con
urgenza.
Sentì una punta di senso di colpa farlo pentire di
quella decisione che aveva contribuito a mettere ancor più
agitazione alle sorelle.
La Dolce li raggiunse, abbracciandoli con un
sospiro sollevato.
-Cosa c'è? Va tutto bene?-
domandò, riservando un profondo sguardo a Peter. Il biondo
si sentì messo sotto indagine e si schiarì la
voce, rendendosi conto di non sapere come iniziare quel discorso. Susan
lo conosceva bene da sapere che i tentennamenti non facevano parte del
suo essere.
Le due si guardarono attorno, vedendo gli abitanti di
Narnia in fermento come li avevano lasciati – e non messi
sull'attenti come succede in caso di pericoli. Non sembrava che
avessero saputo qualcosa, ma era anche possibile che al momento non
dovessero venire alla luce di fatti che potevano minare l'equilibrio di
quelle truppe appena ripresesi.
In quell'analisi del posto in cui
stavano ormai da giorni si resero conto della mancanza di Evelyn e
Caspian.
-E' successa una cosa-
Le due Regine riportarono l'attenzione
su Peter, con sguardo perplesso e allarmato. Erano totalmente in balia
delle sue parole e della nota di grave preoccupazione che oscurava i
suoi occhi.
-...Cosa?- mormorò Lucy, con un filo di voce.
Aveva paura di fare quella domanda ad alta voce ed aprire un vaso di
Pandora.
I due ragazzi si scambiarono un'occhiata seria ed Edmund
annuì, come per dare forza al fratello maggiore che sapeva
si stava infilando in un discorso che gli avrebbe potuto dare il
tormento per un tempo indefinito.
Peter sentiva la tensione dell'attesa
fin dentro le ossa e osservò le sorelle, i loro visi
contratti e i respiri bloccati, percependo la loro ansia. Era sicuro
che gli stava quasi venendo un infarto e ammirò come gli
stessero lasciando il tempo di mettere in ordine i pensieri e trovare
le parole adatte per parlargli. Al loro posto sarebbe già
scoppiato.
Si guardò intorno, optando per parlare senza che
qualcuno potesse sentire, avvicinandosi alle sorelle e posando le mani
sulle loro schiene per sospingerle a camminare.
-Venite, andiamo a
discutere dentro-.
***
Non
appena arrivarono
allo spiazzo in cui erano sdraiati prima che andassero a riprenderla
Dhemetrya cercò rifugio tra le chiome di uno dei grandi
alberi che facevano da confine tra la radura e la foresta, salendoci
sopra con un agile balzo aiutata da una ventata d'aria.
Da quel punto
poteva anche vedere ciò che succedeva tutto intorno e se
qualcuno di sconosciuto si fosse avvicinato non le sarebbe sfuggito
allo sguardo.
Accarezzò la corteccia marrone, sentendo la
ruvidità del legno sotto i polpastrelli e sospirando
pesantemente per la mancata risposta di quella creatura chiusa da anni
nel silenzio. Dhem sentì addosso tutti quei secoli di vita
pesarle immensamente.
Lia si sdraiò tra l'erba, riprendendo
apparentemente la posizione di relax che aveva, Antares si
limitò a fermarsi accanto all'albero fingendo di mangiare
l'erba.
I tre stettero in silenzio vari minuti, soppesando la natura
intorno a loro e percependo i propri animi in tumulto. Sapevano fin
troppo bene le emozioni che stavano provando ed i pensieri che si
affollavano nella mente di ognuno di loro.
Era qualcosa che non
potevano permettersi ma che non riuscivano a fermare.
Avrebbero dovuto
essere imparziali, impassibili. Le emozioni ed i sentimenti erano
qualcosa che a creature come loro erano proibiti. Troppo umani
perché gli fossero concessi, troppo mutevoli per aiutarli
nella conservazione di un equilibrio che per troppe volte si era
rivelato instabile e precario.
Eppure, la prova che anche i loro animi
potessero essere scossi, le loro menti annacquate dai dubbi... erano la
conferma di quanto la Grande Magia ed Aslan avessero fallito. Per
più e più volte, fin dall'alba dei secoli, fin da
quando la prima particella di Narnia era stata creata, fin da quando le
prime creazioni ne avevano calpestato le terre magiche e respirato
l'aria.
Lia sospirò, percependo il peso del dovere e della
lealtà strisciarle addosso.
Non potevano permettersi quei
pensieri.
Il fato degli eventi che avevano sconvolto Narnia era
qualcosa che la Grande Magia non poteva prevedere, la scomparsa di
Aslan per così tanto tempo sicuramente aveva un suo
significato che sarebbe venuto alla luce.
Dovevano restare fiduciosi.
Percepì l'aria farsi aspra e s'irrigidì, alzando
il volto di lupo verso le fronde sopra di lei, scorgendo la pallida
figura di Dhemetrya appoggiata al tronco con gli occhi apparentemente
chiusi.
Non le piacevano i discorsi che stava pensando. Aslan e la
Grande Magia erano spesso argomenti scottanti e la ragazza ne fuggiva
ogni volta.
-Chi è il mandante, secondo voi?-
Lia non smise
di contemplare Dhem, che teneva ostinatamente gli occhi chiusi come a
volersi isolare dal mondo. L'unica parte che mostrò di aver
percepito la domanda fu il suo orecchio, che si piegò in
direzione di Antares.
Decise di voltare del tutto lo sguardo verso il
compagno, dandogli la sua attenzione, lasciando la Narniana libera dai
suoi occhi indagatori e sempre troppo pacati per i suoi gusti. Lo
soppesò qualche attimo con la profondità che solo
il suo sguardo riusciva a raggiungere e Antares sbuffò,
sentendosi a disagio per quell'analisi.
Gli venne il dubbio di aver
fatto una domanda stupida ma si riprese, ricordando la conversazione
avuta con Lia mentre tornavano: nessuno di loro aveva idea di cosa
fosse successo o dei motivi. Per quello c'era bisogno che ne
parlassero, condividendo pensieri ed ipotesi. Era il modo migliore per
evitare di trovarsi impreparati di fronte a possibili minacce.
-C'è solo una persona che ha sempre attentato al trono di
Narnia- disse Lia, distogliendo lo sguardo dal cavallo e fissandolo nel
cielo.
“E'
morta.” S'intromise Dhemetrya, lapidaria,
sapendo a chi si riferisse.
Tutti sapevano benissimo di come Jadis
fosse stata sconfitta da Aslan secoli addietro. Era impossibile che il
leone avesse avuto una svista tale da permetterle di tornare in vita e
cercare di riportare il gelo nella loro terra.
Antares
nitrì, socchiudendo gli occhi.
-Nessuno fa una colpa ad
Aslan, Dhem- le spiegò, sospirando. La sua voce
risuonò falsa perfino a lui che era quello che solitamente
faceva da paciere.
Era ovvio che se il grande leone non se ne fosse
andato, sparendo per secoli, loro non sarebbero stati in quella
situazione e Narnia sarebbe potuta essere ancora la terra rigogliosa in
cui erano nati.
Sospirò, perso nei propri pensieri,
ignorando la ventata di aria fredda che pungente gli
schiaffeggiò il muso, come a riprenderlo per quelle parole
bugiarde appena dette.
-Certo che no- diede manforte Lia, ovvia. Jadis
era una strega, era potente ed era stata scaltra ad approfittarsi della
situazione di debolezza che era creata secoli addietro. Niente le
impediva di aver tramato nell'ombra qualche piano per poter riuscire a
tornare alla ribalta al tempo più opportuno.
Dhemetrya
schiocciò la lingua contro il palato, assottigliando gli
occhi in modo diffidente.
“Sarà...”
Rivolse lo sguardo alle fronde che si chiudevano
attorno a lei.
Era arrabbiata in qualche modo con Aslan per il lungo
silenzio e la pesante assenza a cui li aveva costretti, ma non riusciva
a permettere che qualcuno ne osasse anche solo pensare male a riguardo.
Una parte di sé voleva proteggere il nome del leone, dargli
in cambio quella fiducia che sempre le aveva trasmesso, l'altra avrebbe
voluto prenderlo a pugni e male parole. Aveva abbandonato Narnia e
aveva abbandonato tutti loro. Li aveva condannati ad una vita sospesa,
una vita che rischiavano di perdere da un momento all'altro.
Aveva
abbandonato lei.
Era un sentimento strano, un misto di orgoglio ferito
e speranze spezzate taglienti come uno specchio rotto, qualcosa che
ribolliva sotto pelle a cui non riusciva a dare nome e che forse
nemmeno aveva il diritto di provare.
-Ciò che pensi non
è scorretto, Dhemetrya-
La mora sussultò
sorpresa, portando lo sguardo in basso e incrociando i volti dei due
Narniani. Il tempo sembrò fermarsi per qualche secondo,
finché non percepì una sorta di calore attorno a
sé, come un abbraccio confortevole che ebbe il potere di
calmarla e svuotarle la testa.
Sentì qualcosa incrinarsi
all'altezza del cuore e si morse un labbro.
-...Vi odio-
***
Susan
sospirò, lasciandosi alle spalle il calore dei fuochi nella
casa di Aslan che scoppiettanti continuavano ad ardere.
I Narniani
avevano lavorato per tutto il giorno, forgiando armi e armature, ignari
di ciò che era accaduto nel bosco qualche ora prima,
sopportando il caldo e la fatica.
Gli
occhi color ghiaccio della Regina dardeggiarono per la radura, come a
volersi assicurare personalmente che non ci fossero intrusi, fermandosi
poi ad osservare oltre le fronde degli alberi.
Il sole stava lentamente
calando e i raggi che penetravano tra le chiome davano dei dolci
bagliori aranciati alla natura che silenziosa circondava quel rifugio
immerso nel verde. Strizzò leggermente gli occhi,
focalizzando i profili delle montagne oltre cui il cerchio dorato stava
iniziando a nascondersi.
Sospirò leggermente, passandosi le
dita tra i capelli per lisciarli e andando poi a passarle sulla gonna
del vestito per togliere delle pieghe immaginarie.
L'abito lilla
sembrava in tinta con i colori che presto avrebbe assunto il cielo di
Narnia – era una cosa che Evelyn si era premurata di dirle
una delle prime sere che erano tornate, mentre rapita poteva osservare
di nuovo quei tramonti che tanto le erano mancati.
Susan si morse un
labbro, incassando le spalle, ed evitò volutamente di
guardare i bersagli con cui si allenavano gli arcieri spiccare ai lati
della radura. Sapeva troppo bene che se le fosse venuta voglia di
mettersi a tirare con l'arco per scaricare la tensione nessuno
l'avrebbe più schiodata. Ma non era quello il momento adatto
per cercare di evitare ciò che provava o per affogare i
propri pensieri.
Sospirò per l'ennesima volta in poco tempo
e si trovò irritante perfino per se stessa.
***
Il
calore dei fuochi li invase, facendogli quasi mancare l'aria per la
differenza di temperatura, ma nessuno osò pensare che fosse
troppo fastidioso per essere sopportato.
Effettivamente, dal momento
che era pieno giorno e l'ambiente era chiuso, restare all'interno del
rifugio con tanti focolai accesi dava la sua dose di fastidio
– specialmente considerando che
l'autunno con le prime brezze di freddo si faceva ancora attendere a
stemperare la temperatura.
Ma
tra i Narniani nessuno in quei giorni se ne era lamentato e il caldo
non era mai sembrato troppo insopportabile.
Forse il calore che
percepivano sottopelle in quel momento non era altro che l'ansia e
l'agitazione che li facevano accaldare per niente.
Susan si costrinse a
non tossire sentendo la gola secca, cercando di non fare caso alla
fronte sudata ed evitando di domandarsi perché mai
proprio
in quel momento quell'ambiente le sembrasse troppo ostile, troppo
stretto e troppo chiuso quando invece avrebbe dovuto essere fonte di
rifugio.
Sapeva benissimo che doveva limitarsi a seguire Peter insieme
ad Edmund e Lucy con la calma e la compostezza che riusciva sempre a
manifestare, cercando di tenere inchiodato in fondo agli occhi il
terrore che chiunque troppo attento avrebbe potuto vederle.
I suoi
fratelli erano tornati, Caspian era tornato. Non c'era motivo di
preoccuparsi troppo. No?
Si voltò verso Lucy, come a cercare
conforto nel volto sempre ottimista della sorella. La Pevensie le si
ancorò al braccio mentre si avvicinavano alla stanza della
tavola di pietra, offrendole quel sostegno che molte volte in momenti
di difficoltà aveva sempre trovato pronta a darle quando lei
sentiva che si stava per spezzare sotto le troppe pressioni.
Lucy era
la più piccola ma aveva imparato ad sviluppare dai suoi
fratelli tutte quelle che si potevano definire le loro migliori
qualità, imparando a sfoggiarle quando loro sembravano sul
punto di cedere e riuscendo così a tenerli sempre uniti e
dandogli la forza di reagire
– come una luce sempre accesa che ti mostra la via di casa
nelle notti più buie.
Una volta arrivati, Peter si
fermò al centro, puntando lo sguardo su Aslan, mentre Edmund
si sedette su alcuni gradini portandosi le mani tra i capelli e
guardando il pavimento.
Le sorelle rimasero ferme vicine alla tavola
spezzata, indecise se spezzare quel mutismo da parte dei fratelli e
temendo ciò che non volevano dirgli.
-Peter... cosa
è successo?-
Lucy si avvicinò al maggiore,
posandogli una mano sul braccio per cercare di farsi osservare in viso.
Il maggiore ruotò il busto verso di lei, decidendo dopo un
sospiro di voltarsi verso le sorelle.
Lasciò cadere
stancamente le braccia lungo i fianchi con un sospiro, elaborando una
frase che non mettesse troppo in allarme le ragazze, ricordando i loro
visi preoccupati quando lo avevano raggiunto fuori.
-Qualcuno ha
cercato di attaccare Evelyn- Lo precedette Edmund, serio, osservando la
Pevensie. Qualcuno aveva attentato alla vita di sua sorella e lui
percepiva ancora l'arrabbiatura e lo spavento fin dentro le ossa.
Susan
si portò una mano alla bocca, sbattendo gli occhi sconvolta,
mentre Lucy si voltò verso Peter inchiodandolo con lo
sguardo.
-E' vero?-
-Come? Perché?- si intromise Susan,
avvicinandosi di qualche passo. Si costrinse ad appoggiarsi ad una
delle colonne spezzate sentendo le gambe molli ed Edmund si
alzò di scatto vedendola pallida.
-Scusami, forse dovevo
dirlo in un altro modo- la guardò con un'ombra di senso di
colpa negli occhi, avvicinandosi e offrendole il braccio per
sostenersi. Percepiva su di sé lo sguardo carico di
rimprovero di Peter e si morse un labbro per non essere riuscito a
trattenersi.
-Tranquillo, ma...è vero?- domandò,
rivolgendosi al maggiore. Quello annuì, circondando con un
braccio le spalle esili di Lucy che gli si era ancorata alla casacca e
li osservava, spaesata da quella notizia.
Susan si portò una
mano alla fronte.
-Ci mancava anche questo- mormorò,
socchiudendo gli occhi. Dunque non aveva sbagliato a pensare che tutte
le sparizioni che c'erano state fossero strane.
Sospirò,
cercando di cacciare in un angolo del cervello la vocina che sempre
più insistente le diceva che invece lei era rimasta con le
mani in mano tutto il tempo.
-Come è successo? Chi
è stato?- chiese Lucy, guardando dal basso Peter. Quello
sospirò, schiarendosi la voce e decidendosi a parlare. Era
inutile continuare a tergiversare per niente, ormai doveva raccontare
tutto e non c'era modo che la cosa suonasse meno grave di quello che
era.
-Non lo so. Sembravano due ninfe, ma... usavano la magia, avevano
un flauto incantato- provò a spiegare, ma si rese conto che
aveva ancora i pensieri confusi dalla paura e dall'agitazione. Lo
sguardo
che gli restituì Susan gli fece rendere conto che non doveva
essersi spiegato molto bene.
-Erano due ninfe, o streghe. Hanno usato
un incantesimo per soggiogare Evelyn e allontanarla dal campo, per
poi...- si fermò, ricordando vividamente la scena del
burrone, gli occhi ghignanti di vittoria e i sorrisetti delle due nel
vedere la Pevensie alla loro mercé.
-Abitanti di Narnia? Che
attentano alla nostra vita?- Lucy si staccò da Peter,
sbattendo le palpebre confusa da quella confessione. Da quando i
Narniani li volevano morti? Era un pensiero che la sua mente si
rifiutava di accettare. Gli ultimi ribelli erano morti o si erano
arresi con la fine di Jadis.
-Se non fossimo arrivati non oso
immaginare come sarebbe finita- fece Edmund, serio. Lucy
posò lo sguardo su di lui, mentre Peter annuì
grave ringraziando tacitamente che nessuno quel giorno fosse troppo
preso dai propri doveri.
Susan gli si avvicinò, posandogli
una mano sul braccio. Sentiva la testa girarle.
-Le ha mandate
qualcuno?-
-Sicuramente si, ma non ho idea di chi potrebbe esserci
dietro- confessò il maggiore, ricordando le ultime parole di
una delle due. Aveva un sospetto, ma si rifiutava di pensare che
davvero potesse esserci ancora lei dietro tutto ciò. Sarebbe
stato come il ritorno di un incubo e non aveva tempo –
nessuno di loro lo aveva – da perderci dietro.
-Jadis? Ma
è stata uccisa da Aslan- Tutti si irrigidirono, voltandosi e
posando gli sguardi allucinati su Lucy.
La ragazza si era avvicinata
alla scultura di Aslan e aveva posato una mano sulla pietra riscaldata
dal calore dei fuochi. Le sembrava quasi di poter sentire in quel modo
il calore dell'animale sotto i polpastrelli.
Peter serrò la
mascella, rigido, mentre Susan ed Edmund si scambiarono delle occhiate
incerte.
Nessuno aveva avuto il coraggio di dire quel nome ad alta
voce, ma ognuno di loro non aveva potuto evitare di pensare –
anche solo per un attimo – che l'unica persona con un potere
abbastanza grande da resistere nel tempo potesse essere lei.
La minore
dei Pevensie si morse un labbro, dubbiosa.
-E' morta... da anni-
soffiò, cercando conferma negli sguardi dei fratelli. Aslan
non poteva aver permesso che una donna – no, una Strega, nel
vero senso della parola – così potente e temibile
tornasse.
Edmund distolse lo sguardo, troppo carico di pensieri e
sentimenti per poter essere neutrale, Susan aveva negli occhi le sue
stesse domande. Peter osservò la figura di pietra, cercando
di non percepire il serpente del dubbio e del timore strisciargli
addosso.
-...Già-
***
-Ahia!-
-Perdonami, non
ti avevo visto!-
Susan alzò lo sguardo, ritrovandosi davanti
il volto allarmato di Caspian. Erano sempre stati così
espressivi i suoi occhi?
Ci mise qualche attimo ad accorgersi che il
Principe l'aveva presa per la vita per evitarle una caduta rovinosa a
terra. Arrossì di botto, staccandosi come se si fosse
scottata e ringraziando il tramonto per rendere tutto color rossastro.
Caspian tossì un paio di volte per cercare di far scemare
l'imbarazzo.
-Scusami ancora, non stavo guardando dove andavo- le
disse, senza il reale coraggio di guardarla in faccia. Susan
alzò le spalle, minimizzando come se non fosse successo
nulla.
-Sono io che ero in mezzo all'entrata- spiegò,
rendendosi conto del tempo perso nelle proprie riflessioni. Come suo
solito si era persa a pensare, ignorando il tempo che scorreva.
Cercò di non sentire i battiti del suo cuore che le
sembravano
particolarmente assordanti in quel momento.
-In realtà ti
cercavo-
Si voltò verso Caspian, sorpresa da quella
confessione e in parte allarmata.
-E' successo altro?-
domandò, avvicinandosi leggermente al ragazzo.
-No, no.
Tranquilla- le disse, posandole le mani sulle spalle come per calmarla.
Quando si accorse dello sguardo quasi terrorizzato con cui Susan si
osservò ai lati del viso si affrettò a toglierle
e incrociarle dietro la schiena, pentendosene.
-Volevo solo sapere come
stavi. Sai, l'aver saputo dell'attacco, Evelyn che non sta bene...- le
spiegò, prendendo a camminare a casaccio verso la radura.
Susan lo seguì quasi in automatico, camminandogli a fianco e
prendendosi a torturarsi le mani.
In altre circostanze, Caspian avrebbe
voluto provare a fermarla prendendola per mano, ma non sapeva se quella
fosse la situazione più adatta, con tutto ciò che
era successo e la miriade di pensieri che di sicuro le stavano passando
per la testa.
Forse un gesto così, seppur semplice, avrebbe
potuto darle fastidio e non voleva fare niente che potesse allontarla
da lui.
-Si, beh... non è stata una giornata
facile nemmeno questa- mormorò la Regina, sospirando. Da
quando erano tornati sembrava che non avessero diritto nemmeno ad un
po' di pace.
-Comunque ti ringrazio. Le Narniane mi hanno detto che le hai
procurato una medicina. Sei stato molto gentile- disse dopo qualche
attimo di silenzio, sincera. Caspian si fermò, sentendosi
alleggerito da quella frase. Era contento di essere stato in qualche
modo utile e sentirselo dire da lei non poteva che fargli piacere.
-Peter ed Edmund erano ancora troppo agitati per pensarci-
continuò Susan, senza aspettare una risposta.
Ricordò di come Evelyn stesse già riposando
quando lei ed i fratelli avevano finito di parlare su ciò
che era successo. Avrebbe voluto domandarle come stesse e sentire cosa
era successo da lei, ma l'aveva lasciata dormire.
Lucy era andata da
Trumpkin e Trufflehunter, Peter dai soldati ed Edmund non aveva visto
dove fosse sparito.
-Adesso bisogna capire chi c'è dietro,
dubito siano stati i Telmarini a rivolgersi alla magia. Non ci voleva
anche questo con la guerra alle porte- Si morse l'interno di una
guancia, percependo l'agitazione per quella situazione che si stava
complicando strisciarle sotto pelle.
Il Principe la lasciò
fare, godendosi quell'apertura al dialogo da parte della Pevensie,
limitandosi ad annuire alle sue riflessioni.
Erano domande lecite che
tutti loro si stavano facendo. Ma concordava sul fatto che piuttosto
che rivolgersi alla magia suo zio si sarebbe fatto impiccare,
perché doveva rispettare ciò che il suo popolo si
aspettava da lui e sicuramente rivolgersi al nemico per un aiuto non
gli avrebbe reso onore.
-Andrà tutto bene- provò
a tranquillizzarla, rivolgendole un sorriso sghembo.
Il sole ormai era
calato oltre le montagne e i Narniani stavano facendo il cambio per i
turni di guardia. La foresta attorno a loro sembrava ancora
più chiusa nel silenzio e per la prima sera da quando si
trovavano li entrambi percepirono quanto potessero esserci pericoli
nascosti nell'ombra ad osservarli.
Caspian si occhieggiò
intorno e Susan si strinse nelle spalle, cercando di scacciare la
sensazione di pericolo che percepiva. Sicuramente era tutto frutto
della sua mente e degli eventi di quel giorno.
Tornarono verso
l'entrata della Casa di Aslan, sentendosi più rilassati mano
a mano che si avvicinavano a quel luogo ormai familiare.
-L'importante
è che ora tua sorella si riprenda e credo che tu ed i tuoi
fratelli abbiate bisogno di una bella dormita- Susan sorrise
sinceramente addolcendo lo sguardo, grata delle premure del ragazzo.
-Hai ragione.-
***
Le
passò
una mano sulla fronte sudata, bagnando poi il panno che era caduto sul
cuscino nel catino d'acqua fresca che stava da parte al letto di
fortuna che era stato creato.
L'espressione di Eve sembrò
rilassarsi a contatto con il freddo del fazzoletto imbevuto di liquido
trasparente.
Edmund sospirò, occhieggiando la stanza in cui
si trovavano: era quella che avevano usato appena arrivati al rifugio e
che dopo l'attacco al castello di Miraz avevano lasciato per i feriti.
Fortunatamente i più grazie alla pozione di Lucy si erano
ripresi o erano stati spostati in altri ambienti, così la
stanza era stata liberata per far si che Evelyn potesse riposare senza
gente che entrava e usciva.
Edmund le tirò le
coperte fin sotto il mento, fingendo di sistemare cose già a
posto, di lisciare lenzuola già fin troppo tirate.
Ripassò il panno nell'acqua, tamponandole il viso,
osservando gli occhi scattare sotto le palpebre e le sopracciglia
aggrottarsi.
Chissà se
sognava o se stava facendo un incubo...
Non sapeva da quanto
tempo fosse lì, però non riusciva a schiodarsi.
Il suo corpo si rifiutava di muoversi, come se fosse stato fissato sul
posto.
Sapeva che rischiava di svegliarla ogni minuto che passava, la
sua mente gli gridava di andarsene e lasciarla stare, che aveva bisogno
di dormire e che era al sicuro, protetta da tutti, nessuno avrebbe
potuto raggiungerla, ma... non
riusciva a lasciarla.
Appena accennava a
muoversi o alzarsi gli sembrava che il volto addormentato di Eve lo
chiamasse, implorando un nuovo contatto fresco del panno, o la sua mano
a spostarle i capelli dal volto.
-Edmund...-
Sapeva che non era colpa
di nessuno, eppure non poteva evitare di sentire il senso di colpa
affossarlo ogni minuto di più che passava, mano a mano che
vedeva Eve agitarsi per colpa della febbre che sicuramente stava
salendo.
Per fortuna Caspian sembrava aver mantenuto i nervi saldi e
aveva fatto preparare una medicina appena erano tornati.
Sperò che Eve si sarebbe rimessa in piedi nel giro di
qualche giorno. Aveva bisogno di vedere che stava bene.
-Edmund?-
Il
moro si irrigidì, voltandosi di scatto e portando
istintivamente una mano sull'elsa della spada.
-Per l'amor del cielo
Edmund, sono io-
Il Pevensie si grattò la nuca, in
imbarazzo, osservando Lucy rivolgergli un'occhiata di rimprovero.
Doveva rilassarsi, altrimenti rischiava di far qualche casino.
Non si
domandò da quanto tempo la sorella lo poteva star chiamando
o cosa poteva aver visto. Dopotutto, non stava facendo nulla di
sospettoso...
-Scusami Lucy- le disse, cercando di trovare la
motivazione per alzarsi in piedi.
-E' meglio lasciarla risposare-
mormorò la minore, avvicinandosi ed inginocchiandosi.
Lasciò una carezza sulla guancia di Eve, capendo
perché Edmund fosse restio a lasciarla sola. Eppure non
potevano fare altro che aspettare che la medicina facesse effetto e
torturarsi come se fossero al suo capezzale non avrebbe fatto bene a
nessuno di loro.
-E dovresti dormire anche tu-
Edmund
sospirò, seguendo controvoglia la minore fuori dalla stanza
dopo che quella gli fece cenno eloquente di uscire. Gli
sembrò terribilmente Susan in quel momento e non ebbe il
coraggio di ribattere, sentendo il peso di tutta quella giornata
pesargli addosso.
-Va bene.-
***
-Come
sta?-
Dhemetrya
scese dall'albero, finendo volutamente sulla groppa di Antares. Nel
buio della notte rischiarata dalle stelle che iniziavano a splendere in
cielo, la figura di Lia si muoveva felina per raggiungerli al confine
con la foresta.
-Ha la febbre- mormorò la lupa, mantenendo
un tono di voce neutro e per niente preoccupato.
Al rifugio poco
lontano da loro, i Pevensie e Caspian si stavano coricando per dormire
e tutto ciò che aveva percepito erano strascichi di
conversazioni: nessuno di loro era più andato a parlare con
i tre Narniani e quelli li avevano lasciati stare, consapevoli che
avevano bisogno di tempo per assimilare i pensieri e le emozioni.
-Nel
giro di qualche giorno guarirà- constatò Antares,
strascicando uno zoccolo a terra. Lia si limitò ad annuire,
soppesando le emozioni che percepiva nell'aria intorno a lei e la poca
magia sparsa in giro per Narnia. Sembrava essere sempre meno e la cosa
era preoccupante. C'era bisogno che le cose subissero un cambiamento
nel giro di poco tempo.
Dhemetrya incrociò le
braccia al petto, aggrottando la fronte. Aveva passato tutto il
pomeriggio a rimuginare su chi poteva essere stato ad attentare alla
vita di Evelyn, ma non riusciva a darsi una spiegazione.
Aveva anche
ripensato al passato, a tutte le figure che avevano incontrato o con
cui avevano avuto a che fare, a chi poteva sapere i loro segreti, ma
nessuno le era saltato particolarmente alla mente facendole suonare un
campanellino d'allarme.
L'unica che poteva sapere qualcosa, dal momento
che si era insinuata a Narnia approfittando della sua scomparsa, era
Jadis.
Sentì una fitta al cuore, Dhem, una di quelle che non
sentiva da diverso tempo e si portò una mano al petto,
stringendo il tessuto della casacca tra le dita sottili.
Evelyn le
assomigliava così tanto, ma era anche così
profondamente diversa...
Percepì gli occhi farsi lucidi e
con un saltò tornò a nascondersi tra le fronde
dell'albero su cui era stata fino a poco prima.
Si accoccolò
contro la corteccia robusta, lasciando che i capelli le coprissero
parte del volto, nascondendoglielo come le fronde attorno celavano la sua persona ad occhi esterni, percependo su di sé il candido tocco della
luna che silenziosa li avrebbe osservati torturarsi di pensieri e
ricordi tutta la notte.
“Ahislyn...”
Ciao
a tutti!
Eccomi
di ritorno con questo nuovo capitolo :D
Allora, che dire? Stiamo
iniziando ad avvicinarsi ai capitoli che daranno finalmente una botta
di vita a questa storia! Questo ed il prossimo capitolo sono di
assestamento, poi si incomincia un po' a ballare e insomma...
più andiamo avanti più arrivano nuovi misteri che
mi diverto a lasciarvi qua e la ma state certi che ogni cosa ha una
spiegazione.
Si aprono le scommesse su chi sia questa "Ahislyn".
Vi anticipo invece che tra 3/4 capitoli
scapperà un bacio. :D
Nota: dal momento che mi viene difficile pensare a Evelyn ora
(che io ho più di vent'anni e non più 16) come a una
di quindici anni e poco più, (quasi quattordici quando ha
scoperto Narnia + un anno e mezzo a londra) ho arrotondato un po' le
cose. Dicevo che la storia è ambientata intorno a
maggio/giugno, con Eve che fa gli anni a Gennaio, invece sposto tutto
di qualche mese in più (tipo fineine agosto, quindi a londra
sono stati poco più di un anno e mezzo. Nella storia non ho
mai specificato bene che stagione fosse o i mesi precisi mi pare,
però mano a mano rileggerò tutto per sistemare
eventuali incoerenze). Nella narrazione se c'è bisogno
arrotonderò scrivendo che lei ha quasi sedici anni mentre
Edmund diciassette (contando sempre che sono già cresciuti
una volta). Lucy ne ha sui dodici/tredici, Susan poco più di
diciotto e Peter quasi venti come Caspian. (Si, nei libri credo siano
decisamente più piccoli.)
Perdonatemi la
tediosità ma ci tengo a precisare queste cose per essere in
pace con me stessa anche se magari non vi interessano.
Per il momento non credo di avere
altro da dire, ringrazio delle letture, dei preferiti, seguiti,
ricordate e soprattutto un ringraziamento a coloro che si sono fermati
a lasciarmi un parere - è davvero di aiuto alla mia
motivazione :)
Alla prossima,
D <3
|
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Capitolo 30 *** Sguardi perduti in parole di gratitudine. ***
Narnia's
Spirits
Sguardi
perduti
in parole di gratitudine.
-Buongiorno
Evelyn.-
-Buongiorno Lia, come stai?-
La risata leggermente roca della lupa si
espanse per la stanza. La Narniana osservò la figura della
Pevensie scattare seduta, stiracchiarsi e tirarsi in piedi nel giro di
qualche minuto.
Si sentì sollevata nel rivederla piena di
vita e pronta per tornare a quella che era diventata la sua routine al
campo di Aslan durante quelle settimane passate al rifugio.
-Forse
dovrei chiedertelo io.-
Eve lanciò un'occhiata alla lupa
mentre si sistemava i vestirsi, quasi avesse paura che potesse fermare
da un momento all'altro ciò che stava facendo.
Era stata
giorni ferma in quella stanza, con i fratelli, Caspian e Lia che
avevano fatto avanti e indietro per farle compagnia quando si sentiva
meglio o si stava annoiando. Era sicura di aver visto anche Dhemetrya
qualche volta, venuta forse a sorvegliarla di nascosto, probabilmente
convinta che stesse dormendo – ma non sapeva dire se fosse
veramente lei o l'immagine causata dai deliri dati dalla malattia.
La
febbre ci aveva messo un po' a scendere, a differenza di quello che
aveva pensato, e lei non aveva potuto muoversi per quasi una settimana,
salvo gli ultimi paio di giorni in cui le avevano permesso di uscire
per qualche passeggiata all'interno del rifugio.
Aveva passato il tempo
dormendo e rimuginando su tutto ciò che era accaduto,
contemplando la figura di Aslan incisa nella pietra con il solo
silenzio a farle compagnia interrotto talvolta dal rumore del ferro
battuto, lo scoppiettare delle fiamme o la delicata presenza di Lucy.
Gli aveva rivolto domande e riflessioni, domandosi se mai avrebbe avuto
una risposta a tutto ciò che erano le questioni irrisolte
che si aggiravano nella sua testa.
Nel frattempo Narnia aveva donato
loro di un temporale: le truppe di Telmar che stavano costruendo il
ponte erano state costrette a fermarsi qualche giorno per non rischiare
di finire trasportate via dal fiume in piena.
Quello che dai Telmarini
era stato visto come un contrattempo aveva migliorato l'umore di Peter,
perché in questo modo avevano guadagnato tempo per
prepararsi ed Evelyn avrebbe avuto più tempo per
riprendersi. Mai i suoi fratelli lo avevano visto sorridere soddisfatto
guardando le gocce di pioggia cadere ininterrottamente dal cielo come
in quelle giornate.
-Sono pronta per riprendere la vita di sempre, mi
sento benissimo.-
La ragazza si diresse verso la porta a passo svelto:
non si ammalava quasi mai, le poche volte che succedeva però
riusciva a stare davvero male e inoltre stare per forza ferma a letto
non le piaceva più come un tempo. Soprattutto considerando
che si trattava di dormire su un pavimento di pietra. Per quante
coperte le avessero messo sotto, la durezza dei sassi le aveva dato
dolori alla schiena non indifferenti.
Dovette ammettere,
però, che quei giorni le avevano permesso di dissipare tutta
la stanchezza accumulata in precedenza. Si sentiva carica come da tempo
non succedeva.
-Mi fa piacere.-
Lia si limitò a seguire la
ragazza per le varie gallerie della Casa di Aslan, silenziosa come
un'ombra, accompagnandola con la sua presenza in quel giro tortuoso che
la stava portando verso l'esterno del rifugio.
Quando sentì
i raggi del sole posarsi sopra il vestito e la luce accecarle gli occhi
Eve sorrise, ispirando a pieni polmoni l'aria aperta e
la sensazione di non essere più come rinchiusa in gabbia.
Ci
mise qualche attimo per riuscire a focalizzare l'ambiente circostante
in cui si trovavano, ma come poche volte vedere quel piccolo spiazzo di
erba ed alberi in cui erano in qualche modo relegati le diede un senso
di sollievo quando se lo
trovò davanti allo sguardo.
Finalmente poteva tornare a
godere dell'aria fresca, dell'aria tra i capelli, dei rumori della
natura e della vita di quella terra che per troppo tempo le era
mancata.
Non aver potuto uscire come desiderava le aveva messo addosso
quasi la stessa tristezza di quando era a Londra – seppur
senza motivo reale –, perché la vista di quel
luogo già dal giorno dopo le era iniziata a mancare
– per quanto diversa rispetto ad un tempo. Voleva cogliere
ogni più piccolo dettaglio di Narnia, imprimerselo nella
memoria, recuperando tutti i momenti persi e passati in una
città troppo grigia, troppo distante e soffocante, per poter
essere chiamate casa.
-Guarda chi è tornata dal mondo dei
morti.-
Eve si voltò con tutta la serenità che
riuscì a trovare, sorridendo, avendo già
associato alla figura che si avvicinava in controluce la voce
canzonatoria di Caspian.
-Eh, hai visto? Sono ancora qui... per tua
fortuna.- disse, con tono malizioso e facendogli l'occhiolino. Caspian
alzò gli occhi al cielo capendo a cosa alludesse.
Ogni
giorno aveva chiesto a Lucy se ci fossero stati sviluppi tra il moro e
la sorella maggiore, ma quella le aveva sempre risposto che
più di qualche tempo passato insieme tra allenamenti e
dialoghi abbastanza sterili la relazione tra i due sembrava
come bloccata.
Non faticava a credere che per Caspian potesse essere
difficile intraprendere dei discorsi con Susan che riguardassero altro
oltre alla vita di corte o le truppe, nonostante lei avesse cercato di
convincerlo a provare ad avvicinarsi di più,
perché per quanto Sue fosse ai suoi occhi attenti
irrimediabilmente presa – come mai l'aveva vista verso altri
ragazzi – ancora non riusciva a lasciarsi andare.
-Preferivo
quando avevi la febbre.- le confessò il Principe, alzando un
sopracciglio. Almeno quando era a letto poteva andarsene dalla stanza
quando il discorso si faceva troppo imbarazzante senza che quella lo
tediasse troppo.
Evelyn alzò le mani in segno di resa e Lia
accanto ai due rise.
-Va bene, va bene. Ti lascio stare solo
perché sono appena guarita.- gli disse, alludendo con un
cenno del capo a quella che era stata la sua dimora fino a quel
momento.
Caspian le sorrise, soddisfatto di averla avuta vinta, dandole
un leggero buffetto sulla guancia e portandole poi davanti al viso la
balestra, che quella osservò leggermente dubbiosa.
-Dai
vieni, facciamo qualche tiro.-
***
-Cosa
ci fai qui?-
Dhemetrya si bloccò dal prendere le frecce quando la voce di
Susan le trafisse le orecchie come una pugnalata.
Con tutti i rumori di
sottofondo dei Narniani che stavano lavorando e occupata a seguire il
dialogo che l'aria le portava tra Evelyn e Caspian non l'aveva sentita
arrivare. Si diede della stupida per quella mancanza di attenzione.
-Prendevo le mie cose.- Ruotò il busto per poter osservare
in volto la Pevensie, lasciando cadere stancamente il braccio lungo il
fianco.
La Regina non sembrava ostile, però riusciva a
metterle addosso un velo di soggezione con quello sguardo perennemente
sospettoso con cui guardava tutti e che le stava riservando in quel
momento. Forse era colpa della continua freddezza che sprigionava,
così diversa dal suo dover cercare di vedere sempre le cose
con spensieratezza, che la rendeva diffidente nei suoi confronti.
La
Pevensie si avvicinò di qualche passo, studiando l'arco in
mano alla ragazza e le frecce risposte con cura nella faretra verso cui
l'aveva vista allungare la mano. Non ricordava che Dhemetrya avesse
messo le proprie cose in armeria, ma si limitò a tenere quel
pensiero per sé.
-Usi frecce bianche?- le
domandò, accennando ai dardi sullo scaffale. Dhem
aggrottò la fronte, infastidita per quell'analisi che
sembrava stesse facendo alla sua persona e a tutto ciò che
la riguardava.
-Si, da sempre- si limitò a dirle, prendendo
le proprie cose. Sentire sotto i polpastrelli il legno intarsiato del
suo arco riuscì a infonderle la calma necessaria per
sopportare quella presenza non richiesta.
Susan la sorprese sbattendo
una mano a pugno sul palmo dell'altra, indicandola con un dito e
un'espressione che Dhem non riuscì a decifrarle.
-Aspettami
qui!- le disse, sparendo oltre la porta prima che potesse ribattere.
La
ragazza sospirò pesantemente, non capendo quell'improvviso
cambiamento di atteggiamento. D'istinto avrebbe voluto uscire subito da
quel posto, ignorando la richiesta della Regina, ma la parte
più razionale e comprensiva di se stessa le
ricordò che non c'era bisogno di comportarsi come dei
maleducati rischiando di creare altri attriti.
Qualche attimo in
più non le avrebbe cambiato le cose, con tutto il tempo che
aveva a disposizione.
Osservò le spade non ancora
utilizzate, le else dalle varie forme e intarsiature, le frecce, gli
archi nuovi, i pugnali dalla
lama semplice ma sicuramente letale se utilizzati a dovere.
Forse
avrebbe dovuto affilare anche il suo...
Tutto in quella stanza richiamava
alla guerra e al sangue e a Dhemetrya iniziava a stare seriamente
stretto. Sentì una vampata di caldo e le sembrò
di fare fatica a respirare.
Era stanca della guerra, delle grida, del
dolore, dei pianti... pur sapendo che non c'erano altre soluzioni. Per
secoli era dovuta restare a guardare, senza poter fare niente per
cambiare il corso delle cose.
-Chi ha lasciato l'armeria aperta? Quante
vol-... ah-
Dhemetrya sussultò nuovamente nel giro di pochi
minuti quando la figura di Peter fece la sua comparsa sulla soglia
della porta con una leggera irruenza, strappandola bruscamente dai suoi
pensieri.
Il ragazzo s'immobilizzò, lasciando la frase a
metà e rimanendo imbambolato a fissarla leggermente spaesato
con ancora la mano sulla maniglia.
-Pensavo l'avessero lasciata aperta
per distrazione.- si giustificò, grattandosi la nuca e
riprendendo il controllo della situazione. Con tutta la gente che
lavorava o che si allenava ed aveva bisogno di prendere e riporre le
armi non era insolito trovare la porta di quella stanza aperta. Peter
aveva più volte ripreso tutti chiedendo di fare attenzione,
dal momento che non si trattava di giocattoli.
-Si... figurati, nessun
problema. Stavo per andarmene.- tagliò corto la Narniana,
distogliendo lo sguardo e portandosi davanti agli occhi l'arco che
teneva in mano.
Ogni volta che vedeva il volto di Peter ricordava
ancora di come l'avesse liquidata quando si era appena unita al gruppo
e aveva cercato di fargli cambiare idea sull'attacco, di come avesse
portato alla morte quei pochi restanti Narniani che ancora abitavano
quelle terre.
Le ricordava di come avrebbe potuto imporsi per cambiare
la sorte di quelle vite e invece si era limitata a chiudersi nel
silenzio, quello stesso silenzio che per decenni l'aveva accompagnata
diventando parte di lei.
Peter le ricordava di
come di lucente e
positivo, in lei, non ci fosse più niente, se non dei finti
sorrisi e una speranza che ogni tanto si ricordava di riaccendere.
Il
Pevensie si schiarì la voce un paio di volte, indeciso se
portare avanti il discorso con quella ragazza che ogni volta gli
riservava sguardi ostili e distacco.
Aveva più volte provato
a intraprendere un discorso nei giorni precedenti, perfino con Caspian
le cose sembravano essersi appianate, ma Dhemetrya continuava
imperterrita a tenerlo lontano e sembrava decisa a non volergli dare
nemmeno per sbaglio l'occasione di avvicinarsi e lui non trovava il
coraggio di iniziare un discorso mettendo da parte l'orgoglio con
quella che era una sconosciuta.
Sospirò stancamente, Peter,
facendo qualche passo in direzione della ragazza che ostinatamente non
lo guardava in faccia se non per qualche secondo. Rhindon al suo fianco
tintinnò leggermente, catturando l'attenzione di Dhem
sull'elsa della spada.
Il Re approfittò di quel momento per
studiare nuovamente il volto della mora, la pelle sempre molto pallida
e il corpo troppo magro per i suoi gusti, anche se non sembrava
più nelle condizioni trasandate con cui era riapparsa quasi
una settimana prima.
-Puoi smetterla di fissarmi?-
Peter
sbatté un paio di volte le palpebre, rendendosi conto che
Dhemetrya lo aveva nuovamente inchiodato con lo sguardo. Si
ritrovò a sentirsi quasi affogare nel blu dei suoi occhi e
una scossa gli fece venire la pelle d'oca, facendogli ingoiare il
boccone amaro dell'imbarazzo.
-Ci siamo già incontrati?- si
lasciò sfuggire, ancor prima che potesse capire
ciò che stava per dire. La Narniana alzò un
sopracciglio, dubbiosa.
-Cosa?- mormorò, poco convinta. Un
sorrisetto sghembo di scherno le comparve sul volto senza che potesse
farci nulla, osservando l'espressione dubbiosa con cui la stava
guardando il ragazzo.
-Non penso sia possibile.- lo liquidò,
prendendo la faretra con un gesto quasi seccato e dandogli quasi le
spalle. Si morse un labbro senza farsi vedere.
-Eppure sono convito di
aver già visto i tuoi occhi. Hanno un colore particolare.-
continuò, ormai vinto dalla curiosità.
Sapeva che
era impossibile, ma una parte di lui voleva sapere. Doveva sapere.
Quegli occhi così particolari avevano tormentato molte delle
sue notti insonni in quelli che per Narnia erano secoli addietro.
-Vi
sbagliate, Re Peter. Non ero io. Prima di queste circostanze non vi ho
mai incontrato.- Dhem sbuffò palesemente e una vocina nella
mente del Pevensie gli sussurrò che aveva ragione e lui
forse stava dando di matto. Erano passati centinaia di anni e il
ricordo della figura di Dhemetrya non compariva da nessuna parte nella
sua mente.
-Forse qualche tua parente, che tu sappia?-
Azzardò ancora, avvicinandosi maggiormente. La mora
arretrò un poco, studiando il volto del ragazzo ed i suoi
occhi pieni di domande, frapponendo tra loro l'arco. Si morse la lingua
reprimendo l'istinto di dargli uno spintone e scappare fuori da quella
stanza, sentendo addosso la dubbiosità con cui la stava
guardando il ragazzo pungolarla come tanti spilli e percependo di
venire messa alle strette.
-Lo escludo- si limitò a dire,
superandolo e avvicinandosi alla porta. Peter sembrò deluso
da quella risposta tanto che abbassò leggermente il capo,
pensieroso. Poi tornò a guardarla, sorridendo leggermente e
avviandosi verso l'uscita, lasciandola interdetta per quel cambio di
espressione repentino.
-Allora devo essermi sicuramente sbagliato.
Scusami.-
Peter se ne andò via così come era
arrivato, lasciandola nuovamente sola con i propri pensieri e l'arco
stretto spasmodicamente tra le mani come se fosse l'unica cosa a
tenerla ancorata alla realtà.
-Cosa ci faceva qui mio
fratello?-
La figura di Susan fece nuovamente capolino nella stanza
pochi secondi dopo che il Pevensie se ne era andato via. Dhemetrya
evitò di roteare gli occhi per tutte quelle presenze che
sembravano essere stranamente attirate da lei quel mattino, desiderando
ardentemente un po' pace.
-...Qualcosa riguardo l'armeria.-
borbottò, alzando le spalle con indifferenza. Si era
completamente dimenticata di Susan e del fatto che le aveva detto di
aspettarla.
La ragazza la osservò con rinnovato sospetto per
qualche secondo, poi sembrò rilassarsi e le si fece vicina.
-Questa è tua?- le domandò, quasi sventolandole
davanti al viso una freccia dalle piume bianche.
Aveva detto ad Evelyn
che l'avrebbe tenuta per lei, ma dopo aver visto la faretra di
Dhemetrya le si era accesa una lampadina e la sua testa aveva lavorato
da sola alle possibili conclusioni.
La ragazza osservò
perplessa il dardo, pensierosa e senza sapere cosa rispondere, sentendo
su di sé lo sguardo attento della Pevensie.
Dire di si
avrebbe comportato ammettere che li aveva seguiti e spiati fin da
quando aveva appena rimesso piede in quella terra. Non sapeva come
avrebbero potuto reagire a quella verità. Era anche ovvio,
però, che quel dardo le apparteneva... Optò per
dire una mezza verità.
-S-si... Si, è mia. Quel
giorno passavo per caso e ho vis-...- Si interruppe, Dhem, sconcertata
nel ritrovarsi le braccia di Susan attorno al collo e una serie di
ringraziamenti mormorati all'orecchio con voce quasi spezzata. La
Pevensie, quella l'aveva guardata sempre male, la stava...
abbracciando?
Rimase immobile per quel gesto improvviso ed inaspettato,
percependo il calore del corpo di Sue a contatto con il proprio,
finché non fu la Regina a staccarsi per poterla guardare in
viso, rivelandole di avere gli occhi leggermente lucidi.
Alzò un sopracciglio, non capendo quella reazione, restando
rigida nella posizione che aveva assunto. Susan le prese una mano tra
le proprie, lasciando indietro un po' della compostezza che si portava
sempre dietro.
-Ti ringrazio, ti ringrazio davvero per essere intervenuta. Se non ci
fossi stata tu, a quest'ora Lucy...- lasciò la frase in
sospeso, percependo la gola secca sotto quell'ipotesi e la mente
riportarle agli occhi quelle immagini che avevano sfiorato la tragedia.
Dhemetrya annuì, capendo dove volesse andare a parare,
continuando a osservare gli occhi carichi di gratitudine della Pevensie
quasi come se vedesse per la prima volta una persona commossa
– effettivamente, non era roba da tutti i giorni vedere la
Regina piegarsi così apertamente alle emozioni.
-E' stato un
caso...- mormorò, continuando con quella versione. Susan le
sorrise, allontanandosi da lei e lasciandole le mani. Alla Narniana
quasi dispiacque non percepire più il tocco gentile della
ragazza sulle dita.
Scosse la testa allontanando quelle riflessioni
inopportune. Stare in mezzo a quelle persone le stava dando alla testa,
non erano da lei certi pensieri.
-Te la restituisco, è tua.
Ti ringrazio ancora moltissimo, anche da parte dei miei fratelli.- La
Dolce le mise in mano la freccia prima che potesse ribattere.
Dhemetrya
guardò l'arma e poi la Regina, facendo passare lo sguardo da
una all'altra un paio di volte e tossendo imbarazzata dalla piega che
aveva preso la situazione.
Per la prima volta dopo tanto tempo
sentì un moto di felicità farle vibrare l'anima
di soddisfazione. Sapere di avere aiutato qualcuno era qualcosa che
riusciva sempre a metterle il buonumore e quei ringraziamenti non
potevano che farle piacere, specialmente in mezzo a tutta la sofferenza
patita e le difficoltà che erano successe fino a quel
momento.
-... Figurati.-
***
Era
una sera di festa
a Cair Paravel, una delle tante che venivano organizzate per poter
migliorare i rapporti con i regni vicini e creare alleanze. Era ormai
diventata abitudine che saltuariamente i Pevensie organizzassero
banchetti in cui si premuravano di invitare i nobili ed i regnanti che
governavano le terre oltre Narnia.
Dal momento che la loro
terra era
stata per più di cento anni sotto l'influenza della Strega
Bianca che aveva fatto terra bruciata attorno a sé era
necessario che il nome di Narnia venisse ripristinato.
Peter si stava
dando da fare in ogni modo possibile per poter essere un Re degno del
suo ruolo e finalmente, dopo pochi ma intensi anni di lavoro e trattati
stipulati con il supporto dei fratelli, sembrava essere riuscito nel
suo intento di portare Narnia alla gloriosa età dell'oro.
Da
tempi immemori non si vedeva una prosperità simile in quei
luoghi abitati dalle creature più bizzarre e ogni occasione
era buona perché i Narniani si complimentassero con lui.
-Anche stasera sembrano
tutti soddisfatti.-
Peter
allontanò
il calice dalle labbra percependoci sopra il sapore del vino e
lanciò uno sguardo ad Edmund da sotto la maschera, vedendo
che come sempre aveva in mano un piattino pieno di dolci.
-Bevono e
mangiano in quantità, mi sorprenderei del contrario.-
rispose, poggiando il bicchiere su uno dei tanti tavoli posizionati
attorno alla grande sala da ballo.
Edmund represse una
risatina e fece
dardeggiare gli occhi per la stanza, individuando le figure delle
sorelle dietro le maschere che avevano indossato intente a parlare con
un gruppetto di persone di cui sicuramente faticava a ricordare il nome
senza poterle vedere in faccia.
Il suo sguardo
indugiò
qualche secondo di troppo su Evelyn, che dialogava con quello che a
prima vista sembrava un condottiero, ma distolse lo sguardo prima di
incappare in qualche cosa che avrebbe preferito non vedere.
Nemmeno a
farlo apposta, l'orchestra iniziò a suonare una nuova
canzone e delle coppie si diressero verso il centro della sala per
poter ballare.
Il moro avrebbe tanto
voluto andare via da quel posto
per starsene un po' in pace, ma il senso del dovere glielo impediva fin
dentro le ossa. Non avrebbe fatto sicuramente una bella figura sparendo
nel nulla.
A tirarlo fuori dalle
sue riflessioni ci pensò
Peter: il fratello gli tirò una leggera gomitata ma
assestata quanto bastava perché gli facesse mancare l'aria
per qualche secondo.
Il Giusto si
voltò irritato verso il
biondo, fulminandolo con lo sguardo per quel gesto, ma prima che
potesse dire qualcosa una ragazza gli si parò davanti e fu
costretto a lasciare perdere tutte le imprecazioni che sentiva premere
sulla punta della lingua per rivolgerle la sua totale attenzione.
-Volete ballare con me,
Re Edmund?- La ragazza fece un inchino e lui le rispose con un
baciamano, notando come per l'imbarazzo non avesse il coraggio di
guardarlo fisso negli occhi nemmeno con il volto nascosto.
Provò un moto di tenerezza nei suoi confronti e non se la
sentì di rifiutare.
-Volentieri.-
Peter osservò
soddisfatto suo fratello andare in pista a ballare – almeno
si sarebbe distratto un po'. Fece dei cenni ad un gruppo di invitati,
restando fermo nella sua posizione per poter osservare con estrema
calma ciò che succedeva per la stanza.
La sua idea era
sempre quella di controllare che tutto andasse per il meglio, passare
tra la gente e assicurarsi che stessero bene, ma non poteva rifiutarsi
dal ballare o intraprendere dei dialoghi se qualcuno gli si avvicinava.
Cosa che, come per Edmund pochi minuti prima, successe anche a lui.
Si
ritrovò a volteggiare al centro della sala nel giro di pochi
secondi, seguendo il ritmo della canzone più per abitudine e
mantenimento dell'etichetta che per reale trasporto.
Forse complici i
troppi calici di vino bevuti che lo avevano reso brillo, la confusione
del parlare attorno a lui, gli sgargianti colori degli abiti, non seppe
dire come si fosse ritrovato a ballare anche la danza che veniva dopo,
e quella dopo ancora.
Preso dal volteggiare
insieme alla dama
di turno in un misto di noia e confusione si perse ad osservare tra la
folla, vedendo scorrere in poco tempo davanti ai propri occhi sempre le
stesse maschere, gli stessi sorrisi, le stesse espressioni.
Finché non ci fu un dettaglio che catturò la sua
attenzione in quel mare di confusione in cui gli sembrava di stare
annegando, spiccando tra la marea di dettagli in un modo a dir poco
anormale seppur nella sua semplicità.
Qualcuno lo stava
fissando dal bordo della pista.
Qualcuno con due occhi
così
profondamente blu da riuscire ad attirare la sua attenzione per quel
colore particolare perfino a quella distanza.
Peter
continuò
a ballare, cercando spasmodicamente ad ogni movimento di non perdere il
contatto con quei baratri che erano riusciti ad ammaliarlo
così tanto, ma il minimo di compostezza che
riuscì a racimolare con fatica gli fece evitare di lasciare
la ragazza con cui stava ballando nel bel mezzo della pista.
-Re
Peter?-
Fissò quegli
occhi che lo osservavano, cercando di
dare un volto alla proprietaria, accorgendosi vagamente che indossava
un abito altrettanto blu e domandandosi perché non riuscisse
a collegare quello sguardo a nessun nome di nessuna invitata e
perché era la prima volta che li vedeva in tutta la serata.
Era sicuro che se li
sarebbe sicuramente ricordati se li avesse visti
qualche altra volta prima di quella sera.
Un'intrusa?
-Re
Peter?-
Il biondo
riportò lo sguardo sulla sua compagna di
ballo, notando la vena di preoccupazione che le oscurava gli occhi per
la sua distrazione sempre più palese.
-Scusatemi, devo aver
bevuto troppo e ora ne sento gli effetti.- si giustificò,
provando un lieve senso di colpa per essersi fatto cogliere sul fatto.
Sperò che la ragazza non si fosse offesa.
-Se volete
possiamo interrompere.- gli venne incontro quella, gentile. Se lo
facesse solo perché era il Re o perché davvero ci
tenesse alle sue condizioni non seppe dirlo.
-Ve ne sarei molto
grato.-
la accompagnò verso bordo pista, lasciandola con un inchino
e rinnovando le scuse ma internamente sollevato. Ora avrebbe potuto
avvicinarsi a quella sconosciuta senza dover inventare qualche scusa.
Si ritrovò a
guardare tra la folla, ricercando quel contatto
che tanto lo aveva scombussolato nell'ultimo punto in cui l'aveva
lasciato, ma non trovando nessuno sguardo ad attenderlo. Si
avvicinò a passo svelto a quel punto della sala, guardandosi
spasmodicamente intorno, invano.
Finché non se li
trovò di nuovo davanti agli occhi in un modo così
inaspettato che lo fece sussultare sul posto.
La ragazza gli diede le
spalle nel giro di qualche secondo e scomparve in mezzo alla folla, non
lasciandogli il tempo di fare nulla.
Non la rivide mai
più.
***
Peter
si
fermò sulla soglia dell'entrata ad osservare la figura di
sua sorella affiancata da Caspian.
Aveva ancora in testa la
conversazione con Dhemetrya e quel ricordo che era tornato a galla
più vivido di quanto avesse creduto possibile, ma non poteva
che pensare che la ragazza avesse ragione.
Sicuramente si stava
confondendo o i ricordi gli stavano facendo un brutto scherzo, non era
possibile che una ragazza di vent'anni avesse vissuto con le stesse
sembianze per più di un millennio, nessuna creatura magica o
della foresta possedeva tale longevità - che lui sapesse.
Inoltre era sicuro
che avrebbe riconosciuto quello sguardo in mezzo ad altri mille se lo
avesse rivisto, ma con il tempo il ricordo si era cancellato, finendo
dimenticato in un angolo della sua mente, e lui aveva smesso di cercare
tra le invitate, arrendendosi. Era stato qualcosa di intenso e fugace
senza possibilità di un futuro.
Fece dardeggiare gli occhi
per la radura, individuando le figure di Evelyn e del Principe insieme
a qualche arciere davanti ai bersagli per allenarsi al tiro con l'arco.
Il biondo sospirò, sollevato, vedendo Eve ridere e scherzare
indicando qualcosa che aveva a che fare con il tiro che aveva appena
fatto, non potendo fare a meno di sentirsi coinvolto da quei sorrisi.
Sicuramente Caspian aveva notato quanto poco portata fosse la minore
rispetto a Susan e la stava prendendo in giro, come talvolta era
capitato a loro quando facevano a gara a Cair Paravel ed Evelyn perdeva
quasi sempre – per quanto fosse testarda nel riprovarci ogni
volta per migliorare. Non era un caso se l'arco era stato dato solo
alla Dolce secoli prima. Erano cose che erano già state
scritte nella storia, forse prima ancora che nascessero.
-Sembra stare
bene.-
Il Re Supremo non ebbe bisogno di voltarsi, riconoscendo nel
suono che gli arrivò alle orecchie la voce delicata e
rassicurante di Susan. Sua sorella lo affiancò, non
distogliendo lo sguardo dalla scena che lui stesso stava guardando da
qualche minuto con così tanta attenzione.
Si
limitò ad annuire, beandosi di quel momentaneo sprazzo di
pace che gli veniva offerto senza l'intenzione di romperlo. L'aria era
fresca, complice il cambio del tempo di qualche giorno prima e la fine
della stagione estiva, l'erba verde si muoveva al tempo delle leggere
folate di vento, ma nonostante ciò il sole aveva ancora il
potere di rilassare i muscoli sotto il tepore che sprigionava.
-E'
vero.- Si voltò leggermente verso Susan, posandole una mano
sul braccio: la sorella lo fissò in viso qualche attimo,
specchiandosi nel suo sguardo rilassato, domandandosi per quanto ancora
avrebbe mantenuto quella serenità che anche solo con il suo
tocco riusciva a trasmetterle.
Peter era fatto per le battaglie, per
regnare, era sempre stato pronto a battersi per proteggerli, eppure in
quel momento Susan si rese conto di quanto il non doversi preoccupare
– seppur momentaneamente – di niente lo rendesse
ancora più raggiante, di come quegli occhi azzurri liberi
dai tormenti la facessero sentire più tranquilla senza
bisogno di parole.
Era sempre stato il suo punto di riferimento e
niente avrebbe cambiato ciò: nemmeno le decisioni sbagliate
che aveva preso, o le sconfitte che avevano subito, o le litigate date
dalla divergenza di opinioni. Avrebbe sempre trovato il modo di tornare
a credere in lui, perché erano sempre stati loro due, fin da
ragazzini, e non poteva ignorare il fatto che se lui era tranquillo
automaticamente si sentiva anche lei più sicura.
La Pevensie
si schiarì la voce, rendendosi conto che le proprie
riflessioni le stavano facendo diventare gli occhi lucidi riportandole
alla mente tutto ciò che avevano passato, sia a Narnia che a
Londra. La guerra, i bombardamenti, il dover fare praticamente da
genitori per Edmund, Lucy ed Evelyn... tutti quei compiti troppo grandi
per due ragazzini senza nessuno se non loro stessi.
-Tutto bene?- Peter
aggrottò la fronte, vedendo come Susan non avesse
più detto niente per vari minuti. Quella sbatté
le palpebre un paio di volte, cercando di trovare la forza di
ricacciare indietro quei pensieri ormai a briglia sciolta per la sua
mente.
-Si, scusami. Riflettevo sugli ultimi avvenimenti.-
mentì. Sperò che il fratello non la guardasse in
faccia e la sua voce non risultasse troppo tremula – la
conosceva troppo bene perché riuscisse a nascondergli
qualcosa.
Il Pevensie le circondò le spalle con un braccio,
facendo scorrere lo sguardo per la radura, individuando Lucy ed Edmund
con Trumpkin che si avvicinavano ai soggetti delle loro attenzioni di
poco prima.
Non seppe dire se non capì davvero o se fece
solo finta di essersi bevuto quella spiegazione per non pressarla
troppo.
-Ti capisco. Ma bisogna concentrarsi sul futuro ora. Ci aspetta
una guerra, e dobbiamo vincerla.-
***
-Credo
mi abbia
riconosciuto.-
Lia sospirò pesantemente, lanciando delle
occhiate in giro per essere sicura che non ci fosse nessuno nei
paraggi.
-Sei sicura? E' quello che ha detto?- Antares le si
avvicinò, allungando il collo verso il ramo su cui Dhemetrya
continuava ostinatamente a restare ormai da giorni. Non era sfuggito a
nessuno come il prendere una posizione elevata la facesse sentire
più sicura.
Un lieve movimento di foglie scosse la chioma
del grande albero secolare e la testa della riccia fece capitolino tra
i rami.
-Non ha detto proprio così.- disse, individuando le
due figure sotto di lei.
Lia storse leggermente il muso. Forse
Dhemetrya si stava preoccupando troppo. In risposta a quei pensieri la
ragazza le lanciò un'occhiataccia, poi sospirò.
-Mi ha solo chiesto se ci fossimo mai incontrati, perché gli
sembrava di aver già visto i miei occhi.-
mormorò, con un filo di voce. Quella confessione che le
aveva fatto il Re la metteva in imbarazzo, per quanto le sue intenzioni
fossero mosse solo da sincera curiosità.
Nessuno le aveva
mai detto una cosa simile.
Anche se non lo avrebbe mai detto ad alta
voce, anche se era una cosa che nemmeno avrebbe dovuto pensare, da
qualche parte recondita di sé aveva trovato gratificante che
qualcuno avesse riconosciuto la sua figura dopo millenni –
seppur per un motivo che le sembrava così futile.
Lei che
era sempre stata condannata ad essere uno spirito della foresta, una
presenza di sottofondo ad eventi più importanti e
incontrollati, per la prima volta nella propria esistenza aveva
lasciato la propria presenza nella vita di qualcuno.
Sorrise
inconsapevolmente e Lia tossì per rompere il silenzio e
riprenderla.
-Ti avevo detto di non andare a quella festa.- le
ricordò, memore della litigata che avevano avuto. Non era
ancora il loro tempo e non potevano immischiarsi negli affari altrui
rischiando di far alterare l'equilibrio degli eventi, per quanto
pesante potesse risultare dover vivere come ombre.
-Si, si, lo so.-
minimizzò la ragazza, irritata. Ormai era andata, che
bisogno c'era di ricordarle ancora che non era stata d'accordo con la
sua decisione?
Antares le lanciò un'occhiata eloquente e
quella gonfiò le guance, irritata, voltando lo sguardo al
cielo.
-Volevo solo vederli un po' più da vicino.-
borbottò, incrociando le braccia al petto. Lia le diede le
spalle, non intenzionata a riprendere quel discorso. Il fatto che Peter
avesse dei dubbi le dava già ampiamente ragione e tanto le
bastava.
-Comunque sia, non sembrava molto convinto di quello che
diceva.- riprese la mora, pensierosa, ricordando gli sguardi incerti
che le aveva lanciato.
Era normale che il ragazzo pensasse fosse
impossibile che una persona potesse vivere per così tanti
anni senza cambiare aspetto – e lei non aveva mai specificato
a nessuno che non era umana, o che non era una elementale.
Tutti quelli
che aveva conosciuto nella sua epoca d'oro erano morti, quindi anche
quella ragazza misteriosa che tanto gli era rimasta in testa pur
avendola vista di sfuggita se ne sarebbe ormai essere dovuta andare da
tempo. Lei era andata la solo per spiarli un po', non pensava che
quello scambio di sguardi fosse rimasto così impresso nella
mente del Re.
-Cerca di stare attenta a quello che dici e avere ancora
un po' di pazienza.- le suggerì Antares, dolce. La ragazza
annuì, guardandolo con un misto di rassegnazione e
stanchezza.
Il vento le accarezzò i capelli e lei prese a
torturarsi le mani, occhieggiando Caspian insieme ai Sovrani del
passato. Automaticamente il suo sguardo si fermò sulla
figura di Peter e sbatté gli occhi, sorpresa, come se lo
vedesse davvero per la prima volta.
L'Alto Re di Narnia era sempre
stato affascinante a modo suo nel corso degli anni, ma vederlo in quel
frangente, che rideva genuinamente, con il sole che gli illuminava il
viso e gli occhi azzurri che spiccavano in contrasto con i capelli
biondi, sembrava quasi una persona nuova. Una persona diversa.
Si perse
vari minuti a fissarlo, inculcandosi negli occhi ogni gesto o
espressione, tanto che sia Lia che Antares si schiarirono la voce per
distoglierla da quella sua fissazione.
Dhemetrya arrossì
d'imbarazzo sotto gli sguardi eloquenti dei due Narniani e si
voltò, dando loro le spalle. Incrociò le braccia
al petto e si rimise nella sua solita posizione, mordendosi un labbro
per il nervoso.
A che diamine stava pensando?
***
La
mattinata era
passata in fretta, più veloce di quanto non fosse abituata a
ricordare scorresse il tempo.
Evelyn non ricordava di essersi mai
sentita così felice e sollevata negli ultimi giorni li a
Narnia. Passare delle ore in compagnia dei fratelli e dei Narniani era
stata la cura più buona e potente che avesse potuto prendere
dopo quei giorni costretta a letto.
Si era anche sorpresa di come Peter
si fosse unito a loro, lasciando perdere per un paio d'ore i doveri che
tanto gli affollavano la testa. Aveva apprezzato sinceramente quel
tempo che il fratello le aveva dedicato con gli altri, quasi fosse
stato un regalo per la sua guarigione.
Eve si diresse all'interno del
rifugio decisa a passare dei momenti in solitudine nella stanza della
tavola di pietra lasciando scorrere liberamente le proprie riflessioni.
Era come se le si fosse inculcato quel rituale e ora non potesse farne
a meno.
Si incamminò verso il tunnel, quando una folata di
vento la costrinse a coprirsi gli occhi per l'improvviso cambio di
direzione della fiamma che ardeva sulla fiaccola che stava usando per
illuminare la strada.
La luce del fuoco le portò
all'attenzione i graffiti incisi nel muro e che tanto li avevano
lasciati perplessi la prima volta che li avevano visti.
Evelyn
posò una mano sulla pietra fredda, percependo il ruvido
sotto
i polpastrelli, facendola scorrere fino a quando non arrivò
a passare le dita sulle figure di lei ed i fratelli all'incoronazione.
Si morse un labbro, riportando alla mente lo stato di rovina in cui si
trovava Cair Paravel, sentendo una fitta al cuore che la costrinse a
chiudere gli occhi per ricacciare indietro le lacrime che infide glieli
stavano già facendo diventare lucidi.
Passò poi a
cercare la figura di Tumnus sotto il lampione, sorridendo vedendolo
disegnato con l'ombrello: quello stesso ombrello che gli era sfuggito
di mano per lo spavento finendo in mezzo alla neve quando si era
ritrovato faccia a faccia con lei e Lucy.
Certe volte dimenticava tutto
ciò che si erano lasciati dietro, presa dai serrati ritmi di
ciò che li aspettava ed i cambiamenti a cui si erano dovuti
adattare, ma quando i ricordi ritornavano prepotentemente a galla come
in quell'istante a sconvolgerle la mente, Evelyn aveva la netta
sensazione che prima o poi si sarebbe lasciata andare per la troppa
nostalgia.
Era come sentirsi annientata sotto il peso di quella vita
che le aveva lasciato un grande vuoto, sentirsi sommersa da un
mare in tempesta a cui non trovava le forze per opporsi.
Sospirò pesantemente, passandosi il dorso di una mano sulle
guance per asciugarsele e cancellando le prove di quel momento di
debolezza.
Occhieggiò solo di sfuggita il disegno di Aslan
con in groppa Susan e Lucy, decisa a non volersi soffermare
maggiormente davanti a quei ricordi.
Un'ennesima ventata d'aria fece
tremare la fiamma tanto che Evelyn credette si sarebbe spenta e
sbuffò, non capendo da dove venissero quelle folate di vento
che non le sembrava ci fossero mai state all'interno del rifugio. E
poi... da quando aveva iniziato a sentire freddo?
Una sensazione
sinistra la fece mettere sull'attenti e si guardò intorno,
sospettosa, constatando però di trovarsi da sola nel tunnel.
Percepiva chiaramente che la temperatura si era abbassata e non ne
capiva il motivo. Forse i fuochi si erano spenti a causa dell'aria
improvvisa?
La Pevensie decise di muoversi, incuriosita nel cercare di
trovare una risposta, percependo la temperatura scendere mano a mano
che si avvicinava alla sala della tavola spezzata.
Un brivido le corse
lungo la schiena, trovando quell'aria pungente e quasi rarefatta
anormale per il periodo ed il luogo in cui si trovava. Le ricordava
quasi il gelo che l'aveva accolta a Narnia la prima volta che...
-Oh
no.- Evelyn si portò una mano alla bocca, sconvolta dai suoi
stessi pensieri.
Possibile... ? No... impossibile. Era impossibile.
Istintivamente si spiaccicò più che
poté contro il muro, strisciando nel modo più
silenzioso possibile verso la stanza ed abbandonando la torcia
esattamente dove si trovava. Si mosse tra i giochi di ombre e luci
creati dai pochi fuochi ancora accesi, percependo il freddo penetrarle
sempre più nelle ossa e congelarle il respiro.
Quando fu
abbastanza vicina all'entrata iniziò a sentire delle voci e
si bloccò, immobile, non riuscendo però a capire
ciò che veniva detto. Percepiva i propri muscoli tesi come
la corda di un violino e il cuore batterle all'impazzata nel petto
tanto da farle male.
-Merda.- Cercò di sporgersi per vedere
all'interno senza farsi vedere e restò imbambolata.
Sbatté le palpebre un paio di volte, per capire se stesse
sognando, mentre la paura iniziò a diffondersi in lei
esattamente come il ghiaccio congelava sempre di più
l'ambiente.
-...Jadis.-
Ciao
a tutti e ben
ritrovati!
In anticipo di qualche giorno vi porto questo capitolo.
Avrebbe dovuto essere di passaggio, ma in realtà ci sono
dentro anche qui tante cosine carine. Evelyn l'ho lasciata un po' da
parte, cosa che succederà anche in alcuni punti dei prossimi
capitoli, dando modo di uscire anche ad altri personaggi - Dhemetrya si
è praticamente presa da sola gran parte della scena,
maledetta -,
anche se il fatto che fosse lei ad accorgersi di Jadis era una cosa che
da anni aspettava di venire scritta.
Nel prossimo capitolo capirete
perché io non sono adatta a scrivere dei combattimenti xD
Anche se giuro ci ho messo il massimo impegno!
Sperando che nel
frattempo questo sia stato di vostro gradimento e magari di sapere che ne pensate, vi ringrazio
immensamente per tutto (recensioni, seguite, preferite, ricordate) e vi
do appuntamento a fine mese per il prossimo capitolo. :)
Baci
D <3
PS: Dal momento
che i primi 28 capitoli di questa li sto mano a mano
rivedendo tutti sottoponendoli a una ristesura abbastanza profonda - e
non sommaria come quella di qualche mese fa -, potete sapere
a che punto sono nella mia pagina autore, dove sono presenti anche le
notizie riguardanti le altre mie storie.
|
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Capitolo 31 *** Ombre dal passato. ***
Narnia's
Spirits
Ombre
dal passato.
Eve
continuò a restare nascosta nell'ombra, cercando di dare una
spiegazione logica a ciò che stavano registrando i suoi
occhi.
Non era possibile.
Fece scorrere lo sguardo lungo la lastra di
ghiaccio, analizzando con spasmodica attenzione ogni più
piccola parte dell'algida figura della Strega Bianca.
Non era
possibile.
Quella donna, quella pericolosa figura portatrice di morte e
assetata di potere... sarebbe dovuta essere morta. Morta.
Era morta,
dannazione!
Cosa ci faceva li? Evelyn non aveva mai pensato che ci
sarebbe stata la concreta occasione di ritornare a provare la
sensazione angosciante che le trasmetteva osservare quegli occhi
gelidi. A volte aveva avuto degli incubi a riguardo, ma la
realtà di quel momento era infinite volte peggiore.
Com'era
possibile?
Fece scorrere lo sguardo per la stanza, per quel poco che
riusciva a vedere rispetto all'angolazione in cui si trovava, cercando
di ignorare il battito furioso del cuore e la voglia di prendere e
scapparsene lontano facendo finta che si trattasse solo di
un'allucinazione.
Notò principalmente Caspian davanti alla
lastra di ghiaccio, imbambolato, che le tendeva la mano. Stava
stringendo un patto con la Strega? Cornelius non gli aveva spiegato
niente di come era stato difficile batterla, delle vite che si erano
sacrificate affinché ritornasse la primavera, di come aveva
provato a raggirare Aslan e tutti loro?
Sentì una fitta di
rabbia, Evelyn, davanti all'evenienza che il ragazzo potesse starli
tradendo con quella che era conosciuta come la principale nemica di
quella stessa terra che aveva proclamato di voler liberare. Un'emozione
che la sorprese per la violenza con cui le scoppiò nel cuore
tanto che si costrinse a prendere un respiro profondo per cercare di
restare lucida.
Chiuse gli occhi cercando di inspirare profondamente,
percependo l'aria pungente grattarle la gola.
Sicuramente c'era
un'altra spiegazione...
-Vieni, mio Re. Esaudirò i tuoi
desideri. Sconfiggerò Miraz.-
Tornò ad osservare
la scena nella stanza, Eve, vedendo come la mano del Principe fosse
sempre più vicina a quella di Jadis, la quale osservava il
ragazzo non nascondendo un ghigno di soddisfazione. Il suo corpo si
mosse prima della propria ragione, scattando come quando in guerra
vedeva uno dei propri fratelli in difficoltà.
-Non farlo,
Caspian!-
Era stata lei a parlare
a casaccio?
Senza che se ne rendesse
conto si ritrovò vicino alla tavola di pietra, fissata da
svariati paia di occhi che le riservarono delle note di astio e
sospetto, ma lei non li ricambiò più di tanto,
tenendo lo sguardo incatenato in quello della Strega Bianca –
o era Jadis ad averla come ammaliata, riuscendo ad imporsi con la sola
presenza?
La fredda indifferenza con cui la donna la stava studiando,
senza un minimo di turbamento a irrigidirle i lineamenti del viso, le
fece venire il dubbio che avesse percepito il suo arrivo fin quando
aveva iniziato a spiarla, forse perfino prima che iniziasse a guardare
i disegni sul muro e la prima ventata di aria gelida l'aveva colpita.
-Evelyn, cara, da quanto tempo. Beh, visto che a quanto pare sei
sopravvissuta nel bosco unisciti a noi, stavamo giusto per arrivare al
momento importante.-
La ragazza digrignò i denti,
restituendo uno sguardo in cagnesco al tono suadente che la donna aveva
usato nei suoi confronti. Nel bosco? Era stata lei ad attentare alla
sua vita? Occhieggiò Caspian, cercando di reprimere le
domande che le stavano nascendo e chiedendosi perché invece
il moro non sembrava essere stato toccato dal suo arrivo e le
continuava a dare le spalle.
Ma non aveva importanza... l'unica cosa
che doveva fare era trovare una soluzione per cercare di uscire da
quella situazione pericolosa.
-Ti piacerebbe, strega... ma non credo mi
interessi.- mormorò, alzando il mento e guardandola con
sufficienza, cercando di trasmettere una sicurezza che non possedeva.
Sentiva le gambe molli, il freddo che le si posava sulla pelle come una
carezza fintamente rassicurante, provocandole la pelle d'oca e una
terribile voglia di sfregarsi le braccia per cercare di farsi un po' di
calore.
Jadis sorrise, sinceramente divertita, sicura e tranquilla come
quando il gatto sa di poter vincere con il topo e perde tempo a
giocarci solo per prolungarne le sofferenze.
Evelyn fece appena in
tempo a vedere la Strega fare un cenno. Si ritrovò
intrappolata in una morsa prima ancora di percepire arrivare qualcuno
alle spalle: due braccia le bloccarono il corpo e la strinsero talmente
tanto con quelle che sembrarono delle unghie affilate che le
sembrò di avere degli spilli che le si conficcavano nella
carne.
Cercò istintivamente di portare la mano verso l'elsa
della spada, spalancando gli occhi di sgomento quando si accorse che
non aveva nessuna arma con sé e ad accogliere le proprie
dita trovò il nulla. Era stata così impulsiva da
non accorgersi di non avere niente per difendersi. Si mise a calciare
all'aria, mentre veniva trascinata sempre più vicina alla
figura di Jadis, cercando di ritardare quel momento il più
possibile.
Doveva chiamare aiuto. Doveva cercare il modo di chiamare
aiuto.
Venne spintonata malamente un paio di volte e
inciampò in una pietra, perdendo l'equilibrio, restando
senza parole quando i palmi delle mani cozzarono contro il pavimento di
pietra provocandole vari graffi e pestò un ginocchio contro
un sasso ghiacciato.
Si voltò, trattenendo il fiato per il
dolore, decisa a rimettersi in piedi per fronteggiare il proprio
aggressore. Prima ancora che si fosse alzata uno schiaffo la
colpì con una violenza che nemmeno in battaglia ricordava di
aver mai sentito, facendola cadere nuovamente al suolo. Ci mise qualche
secondo a riprendersi e mettersi in ginocchio.
Sentì la
guancia bruciare tremendamente, Evelyn, bruciare di dolore ed
umiliazione per la situazione in cui si era cacciata – per
l'ennesima volta in pochi giorni, si ritrovava in balia dei nemici. Si
portò una mano al viso, sentendo la guancia pulsare sotto il
proprio tocco e percependo gli occhi farsi lucidi di frustrazione ed
impotenza.
Era una buona a nulla... Cosa pensava di fare senza nessuna
arma?
Alzò lo sguardo con titubanza, trovando la figura di
un lupo mannaro che si ergeva imponente sopra di lei, percependo il
freddo dell'acciaio della spada che le puntava contro sfiorarle la
gola. Analizzò l'ambiente con estrema cautela, rendendosi
conto di come oltre a Jadis fossero presenti altre quattro –
o forse cinque? – figure incappucciate.
-Evelyn...
Avresti dovuto accettare il mio invito.-
La Strega Bianca la
guardò scuotendo la testa con finta delusione e la Pevensie
ruotò leggermente il corpo per poterla osservare in faccia.
Ora che si trovava ai suoi piedi le sembrò di essere
completamente sotto il suo volere – nonostante praticamente
non fosse nemmeno lì in carne ed ossa.
Se quello era stato
solo l'inizio, non poté fare a meno di domandarsi quanto
ancora avrebbe potuto umiliarla. Pregò che qualcun altro si
accorgesse di ciò che stava accadendo prima che fosse troppo
tardi.
-Ti ho detto che non mi interessa.- le sibilò
nuovamente, riservandole uno sguardo carico di tutto l'astio che
riuscì a racimolare e portando la sua attenzione su
Caspian: il ragazzo in tutto quel tempo non sembrava aver mai distolto
gli occhi dalla figura che eterea fluttuava nel ghiaccio.
Aggrottò la fronte, provando a muoversi verso di lui per
scuoterlo da quel torpore, ma il ringhio che le arrivò alle
orecchie le ricordò veloce come un fulmine che si abbatte su
un albero di essere praticamente in trappola.
-Caspian... Caspian,
riprenditi! Non farti ingannare!- provò allora, rivolta al
ragazzo. Lo vide sussultare leggermente, senza trovare però
la forza necessaria per smuoversi da quella posizione.
-Non... non
riesco... Lei ha promesso...- lo sentì dire, in un soffio
spezzato. La poca volontà che mostrò le
ricordò di quanto anche Edmund si fosse fatto soggiogare.
Jadis riusciva sempre a capire in che modo penetrare nella mente umana
approfittando delle debolezze del momento.
Una leggera risata
sfuggì dalla Strega Bianca, che la guardò con
finta compassione.
-Non puoi fare niente per cambiare ciò
che sta succedendo, Evelyn.- le spiegò, quasi come se
parlasse con una bambina, tornando ad allungare la mano verso il
Telmarino.
-Perché?- Jadis si bloccò, incapace di
dare un significato a quella domanda e riportando lo sguardo sulla
Pevensie con una studiata lentezza.
-Perché cosa, cara?-
Alzò un sopracciglio, sbattendo le palpebre per mascherare
con la sorpresa quanto quell'ennesima interruzione l'avesse
infastidita. Ogni minuto che passava era prezioso e quella ragazzina le
stava facendo perdere tempo rischiando di mandare all'aria il suo
piano.
-Hai cercato di uccidermi.- Eve si morse un labbro, guardando
con malcelata curiosità la donna. Perché aveva
attaccato solo lei?
Jadis rimase qualche attimo a fissarla, pensierosa,
poi stirò le labbra in un sorriso compiaciuto.
-Vedo che la
tua conoscenza delle cose è sempre limitata. Tanto meglio.-
decretò, pungente, tornando a guardare Caspian che fece
qualche passo verso di lei, incerto.
Evelyn provò nuovamente
a parlare per distrarla ancora, ma una presenza alle sue spalle
bloccò sul nascere qualsiasi sua protesta, facendogliela
morire in gola con la stessa velocità con cui le era nata.
-Ora stai zitta e osserva per bene.-
La Pevensie si voltò,
chiedendosi se avesse sentito male. Fece dardeggiare lo sguardo per la
stanza, notando gli sguardi assetati e spiritati che le restituirono
quelle creature che per millenni non avevano fatto altro che tramare
alle loro spalle, piantandolo poi sulla nuova figura che le era
comparsa vicino e la osservava, ghignando.
A Lucy e Trumpkin non
sarebbe piaciuto...
Evelyn sentì una stretta al cuore,
incapace di provare la rabbia che invece le sarebbe dovuta nascere
appena aveva posato gli occhi sul nano.
-Nicabrik...-
Sarebbero andate
così le cose? Con Caspian imbambolato come un fantoccio per
colpa del potere delle malie di Jadis e lei a terra, ad osservare
impotente la liberazione della più grande disgrazia per
Narnia?
***
Dhemetrya
sospirò, abbassando l'arco ed incamminandosi per
raggiungere il bersaglio e riprendere le frecce che vi spiccavano al
centro.
Aveva approfittato della momentanea pausa che tutti sembravano
essersi messi d'accordo di fare, dopo aver passato la mattinata tra
scherzi ed allenamenti non troppo duri, per poter fare qualche tiro.
Temeva che quella prolungata lontananza dai propri doveri l'avesse
messa fuori gioco, ma a quanto pareva si era fatta problemi per niente.
La sua mira era sempre eccellente, i suoi tiri puliti, veloci
– proprio come ci si aspetterebbe da una persona che ha
passato tutti i giorni per più di mille anni ad addestrarsi
per spingersi sempre al limite delle proprie capacità.
I
tormenti della sera prima sembravano aver abbandonato la sua mente, ma
la conversazione con Peter ancora le ronzava fastidiosa tra i ricordi:
le aveva riportato alla memoria un passato pieni di dettagli che aveva
sepolto per il proprio bene e per preservare un equilibrio mentale,
limitando a lasciarsi guidare da ciò che sarebbe dovuto
succedere.
Ed ogni giorno era succeduto ad un altro, ogni giorno sempre
così simile al precedente ed al successivo. Ed i giorni
erano diventati mesi, ed i mesi anni. Centinaia di anni passati a
vagare per la foresta di Narnia come lo spirito come era, anni passati
tra il dolore e la solitudine, figlia di una leggenda troppo lontana
perché fosse ricordata.
Non aveva nemmeno finto di volere
troppo la vicinanza di Lia o Antares. Loro stavano insieme da sempre,
si completavano, lei... lei era sola.
Aveva sempre percepito di non
combaciare come avrebbe dovuto con quei due compagni di vita, e tutto
ciò che era successo sentiva che le aveva solo dato ragione.
L'unica persona che avrebbe potuta comprenderla era sparita nel nulla
da un giorno all'altro. Aveva deciso di scomparire, di annullarsi,
troppo pressata dalla prospettiva di una vita immortale in quella terra
fiabesca.
Se ne era andata e a lei non aveva minimamente pensato
– e aveva fatto male, come una pugnalata che per tutto quel
tempo non aveva mai smesso di sanguinare.
Tirò fuori con
forza le frecce dal bersaglio, riponendole nella faretra con un gesto
di stizza, facendo finta di non sentire la voragine di angosciante
disperazione che le si era aperta alla bocca dello stomaco.
Non le
capitava quasi mai di pensare a lungo, cercava di evitarlo il
più possibile, perché si conosceva troppo bene ed
era consapevole delle conseguenze che portava.
Inspirò
profondamente per calmarsi, occhieggiando la figura di Lia con la
osservava con attenzione, sentendo quegli occhi azzurri farle
un'analisi fin troppo attenta. Non la sopportava quando la guardava
così – in realtà, talvolta non
ricordava nemmeno bene perché non si sopportassero.
Era
passato troppo tempo.
“Sono
così interessante da
studiare?” Dhemetrya le lanciò
un'occhiataccia,
alzando le sopracciglia in una muta domanda.
“Ho visto cose
più interessanti.” Fu la piccata
risposta della
lupa. Dhem la vide ruotare leggermente il capo di lato e non
poté fare a meno di trovarla buffa, nonostante tutto.
“Come
no...” Lasciò la frase in sospeso,
dandole le spalle e tornando ad punto di partenza. Strinse l'arco,
facendovi passare sopra le dita, percependo con i polpastrelli i
particolati ghirigori arabeschi che erano incisi sulla superficie.
Quel
minimo contatto bastò a rassicurarla per poterle permettere
di calmarsi e aiutarla a far tornare la quiete necessaria per
riprendere la concentrazione. Si preparò a tirare di nuovo
una serie di dardi, ma si bloccò a metà del
movimento, rimanendo immobile.
Qualcosa non andava.
C'era stato un
cambiamento minimo nell'ambiente attorno a lei, qualcosa da poter
essere accomunato ad una goccia di pioggia che cade nel posto
sbagliato, ma che a lei, nonostante il poco potere che possedeva, non
era sfuggito... qualcosa non andava.
Qualcosa in Narnia era cambiato.
Si tirò ritta, chiudendo gli occhi e concentrandosi:
saggiò l'aria attorno a lei, percependo la
sofficità del terreno sotto i calzari, ascoltando il
vento tra le fronde degli alberi ed il sole posarsi sulla sua pelle.
Ma
nonostante l'apparente quiete e il paesaggio silenzioso in cui era
avvolta sentiva che qualcosa di brutto – un potere
estremamente maligno e che avrebbe riconosciuto anche se fossero
passati mille e mille anni ancora – stava nascendo li vicino,
facendole tendere i muscoli come una corda di violino.
Tutto vibrava di
allarme. Tutto intorno alla casa di Aslan, in un modo fin troppo vicino
a tutti loro perché non potesse provare la sinistra
sensazione della paura che ti striscia addosso.
Pericolo.
La terra
sotto i suoi piedi tremò appena come scossa da un brivido,
l'aria si era fatta più secca e pesante. Dhemetrya ebbe la
sensazione di ritornare indietro di centinaia d'anni, percependo quel
passato a fatica sepolto tornare a stendere i suoi lunghi artigli su
tutti loro.
Pericolo.
Si voltò verso Lia, con la
preoccupazione mal celata nello sguardo, e la trovò che
annusava l'aria, le orecchie dritte e gli occhi puntati verso la casa
di Aslan. E Dhemetrya ne ebbe la conferma, per l'ennesima volta, che il
legame con tutto ciò che la circondava e faceva parte di
Narnia era qualcosa che andava oltre ogni immaginazione, oltre ogni
possibile spiegazione.
Stava succedendo qualcosa.
***
-Fermi!-
Peter quasi
si lanciò addosso alla prima figura
incappucciata che trovò sulla propria traiettoria, la quale
andò a sbattere contro un mucchio di rocce sporgenti. Fece
ruotare Rhindon per aria, costringendo i nemici a disperdersi per
evitare di essere colpiti.
Possibile che nessuno li avesse visti
entrare? Possibile che
lui non avesse visto niente di tutto
ciò che stava succedendo, che non avesse potuto prevederlo,
nonostante i dubbi che sapeva circolavano tra l'esercito?
Strinse la
mascella fino a sentire i denti stridere tra loro per il nervoso,
avvicinandosi con passo deciso a quelle che sembravano essere due
fattucchiere dagli occhi strabici ed ingaggiandole in un combattimento.
Cercò di ignorare la sensazione di avere addosso lo sguardo,
pronto a captare ogni sua minima reazione o emozione, di Jadis.
Percepì un brivido lungo la schiena senza il coraggio di
guardare verso la lastra di ghiaccio che svettava tra due colonne di
pietra.
Se quella donna...
Cercò di colpire le due
avversarie con una forza tale che quelle furono costrette a dividersi
per evitare il suo affondo, rotolando di lato e rimettendosi in piedi
nel giro di qualche istante. Estrassero entrambe un pugnale, mettendosi
in posizione d'attacco e iniziando a girare in tondo studiando Peter,
che rinsaldò la presa sull'elsa di Rhindon, in attesa.
Trattenne il fiato, il biondo, percependo il tempo stringere quando
lanciò uno sguardo veloce in direzione di Caspian.
...se si
fosse liberata non se lo sarebbe mai perdonato.
Appena entrò
nella stanza e la visuale fu libera dalla schiena del fratello gli
occhi di Edmund dardeggiarono ansiosi per l'ambiente.
S'immobilizzò quando le sue pupille agitate si posarono
sulla figura fluttuante nel ghiaccio.
Sentì la gola
diventargli immediatamente secca e le gambe pesanti, incapace di
distogliere lo sguardo da quello seccato che gli stava restituendo la
strega.
Jadis.
La mente era come se gli fosse improvvisamente spenta,
persa in un oblio di tormenti ed incubi senza fine. Sentì
una fitta bruciante al cuore, Edmund, – la fitta bruciante
del tradimento – che quasi gli fece mancare il respiro, tanto
che si portò una mano alla gola.
Jadis.
Un senso
angosciante, come di mani gelate che gli si chiudevano sul petto,
pressandolo talmente pesantemente che pensò sarebbe
soffocato sul posto. Percepì le spire del gelo insinuarsi
sotto i vestiti in modo quasi graffiante, lambendogli le membra con la
finta benevolenza che tanto lo aveva ammaliato tempo addietro
– una sensazione per cui mai aveva trovato parole per poterla
descrivere.
Il moro chiuse gli occhi, cercando di scacciare dalla mente
la miriade di emozioni che si susseguivano in modo talmente brusco da
farlo sentire profondamente spaesato, cacciando via il ricordo di
quegli occhi spietati in cerca di potere che avevano sempre letto
troppo bene il suo animo di ragazzino ribelle.
Cercò di
trovare fin nel profondo la forza per calmare il proprio respiro,
stringendo l'elsa della spada come se fosse l'unica cosa che potesse
tenerlo ancorato alla realtà evitandogli di lasciarsi andare
alla profonda voragine che il terrore e quel senso di colpa mai del
tutto sparito stavano scavando nel suo animo.
E quando si decise ad
aprire gli occhi dopo un tempo che gli sembrò infinito,
deciso ad affrontare le proprie paure, la vide.
Fu come se in mezzo a
quel turbinio di emozioni e figure fosse l'unica cosa che i suoi occhi
fossero riusciti a cogliere davvero. Più di Peter che menava
fendenti all'aria, più di Caspian imbambolato,
più di Lucy in mezzo ad una lotta che non le sarebbe dovuta
appartenere.
Evelyn.
Edmund si mosse in automatico, rendendosi conto si
trovava in difficoltà, a terra e con gli occhi spiritati che
riflettevano l'espressione più sconvolta che le avesse mai
visto dipinta in faccia negli ultimi tempi.
Senza darsi nemmeno il
tempo di riflettere o appurare che nessuno lo stesse per attaccare
corse verso il lupo mannaro che la teneva sotto tiro, ferendogli una
delle zampe posteriori con la spada per attirarne l'attenzione.
L'animale ululò di dolore, spalancando gli occhi di sorpresa
per quell'interruzione inaspettata, e si voltò per osservare
in faccia il proprio avversario, ringhiando di indignazione.
Il
Pevensie indietreggiò, evitando per pura fortuna una zampata
diretta allo stomaco, per allontanare ancora di più il
nemico dalla sorella. Il lupo gli ringhiò contro di
insoddisfazione per quel gesto andato a vuoto, mostrando i denti
affilati e giallastri, e si accovacciò per prepararsi con
uno slancio a saltargli addosso.
***
Evelyn
sbatté le palpebre un paio di volte, guardandosi
intorno con il fiato bloccato in gola per l'ansia, incapace di dare un
senso alle scene che stavano scorrendo davanti ai suoi occhi.
Si
tirò in ginocchio quasi a fatica, percependo una fastidiosa
fitta al punto della gamba che aveva urtato poco prima, non potendo
fare a meno di sentirsi sollevata nel vedere le figure di Peter ed
Edmund che si destreggiavano in quei combattimenti poco lontani da lei.
Quella leggerezza durò poco però, sentendo un
grido provenire da poco più lontano, riconoscendo quella
voce tra i mille ringhi e clangori di spade e metallo.
Lucy.
Lucy non
era fatta per la guerra, Lucy non era fatta per uccidere e quella ne
era solo l'ennesima dimostrazione.
Eve spalancò gli occhi di
terrore, vedendo che alla sua sorellina veniva girato un braccio dietro
la schiena in una posizione quasi innaturale, osservando con
apprensione Trumpkin che le andava in soccorso.
Voltò lo
sguardo allarmato verso Caspian, immobile dentro il cerchio di
ghiaccio, consapevole che Jadis era sempre più vicina a
prendere la mano del ragazzo e che l'unica persona che rimaneva per
poterla fermare prima che si liberasse era lei. Fu allora che lo
notò.
Un lupo mannaro.
L'animale era nascosto dietro le
rocce, scivolava accompagnato dalle ombre, pronto ad attaccare la prima
persona che sarebbe risultata più debole tra quelle
presenti. Eve sentì il cuore dividersi in mille pezzettini
alla sola idea di ciò che l'istinto aveva capito prima
ancora della ragione.
Avrebbe dovuto scegliere, perché non
c'era abbastanza tempo.
Salvare Narnia... o la sua famiglia?
***
Peter
evitò
un coltello lanciato nella sua direzione
riparandosi dietro una roccia, per poi tornare allo scoperto e correre
in direzione della nemica che glielo aveva lanciato contro. La Narniana
indietreggiò, e in suo soccorso arrivò la
compagna, che si frappose fra lei ed il Re.
La seconda cercò
di pugnalare il Pevensie un paio di volte, ma i suoi colpi andarono a
vuoto grazie a Rhindon che usò per fermare l'avanzata della
lama. Per allontanarla da sé il biondo le tirò un
calcio e menò un fendente in avanti, e quella istintivamente
si allontanò con un movimento così rapido che
Peter non avrebbe creduto possibile ad una figura tanto trasandata.
Deciso a non lasciarle tempo per riprendersi le andò
incontro, facendo un paio di affondi che quella parò con la
sua arma. La nemica ghignò, e a Peter sembrò
tanto una presa in giro. La cosa gli diede fastidio tanto che
sentì il nervoso fargli tremare la presa su Rhindon. Cosa
aveva da ridere? Non c'era niente di divertente.
I suoi occhi chiari
lampeggiarono di rabbia per quell'affronto, tanto che si
buttò contro la sua avversaria quasi senza pensarci, deciso
a porre fine a quella storia il prima possibile.
Un ululato si
elevò per la stanza e Peter in automatico si
voltò
per cercare la figura di Edmund, trovandolo a qualche metro da lui con
il lupo mannaro che lo stava lentamente mettendo all'angolo.
Istintivamente cercò di correre in aiuto del moro, ma si
ritrovò ad inciampare in qualcosa e cadere per terra,
percependo subito una fitta alla tempia.
Si voltò,
rendendosi conto che mentre era distratto le due nemiche ne avevano
approfittato per avvicinarsi e fargli lo sgambetto, colpendolo poi alla
nuca con l'elsa di un pugnale. Si ritrovò inchiodato a
terra, con Rhindon a qualche metro di distanza e una dei nemici che lo
stava soffocando a mani nude.
Nell'agitazione data dalla progressiva
mancanza d'aria, Peter riuscì a formulare il pensiero che
nonostante fossero più basse e sembrassero più
anziane, la loro forza sembrava superare di gran lunga quella di un
soldato. E puzzavano, di marciume e fogna...
Aveva bisogno d'aria.
Provò a levarsi di dosso
quella creatura, sentendone il peso sullo stomaco, dimenando le gambe e
provando a girarsi di lato con colpi di reni.
-Peter!-
Le
graffiò il viso e le braccia, sentendo le proprie unghie
penetrare
nella pelle unta, ma quella non sembrava toccata e lo guardava con gli
occhi ghignanti di chi sa di avere la vittoria in pugno. L'adrenalina
probabilmente le pompava così prepotentemente il sangue
nelle vene da renderla quasi immune al dolore.
Peter sentiva le braccia
iniziare a formicolare, la vista diventargli appannata, le forze
venirgli meno.
Aria...
***
Evelyn
guardò allarmata Edmund messo all'angolo dai due lupi
mannari e Peter disteso a terra che veniva soffocato. Sentì
gli occhi farsi lucidi di frustrazione, mentre osservava le vite dei
suoi fratelli in pericolo e senza sapere cosa fare.
Il panico e la
paura si impossessarono di lei come poche volte gli aveva permesso e si
sentì sperduta, impaurita come la bambina che di notte
piangeva in braccio alla mamma sentendo le bombe esplodere vicino a
casa.
Si odiò Evelyn, si odiò talmente tanto da
sentire una tremenda rabbia accecarle la mente per non sapere cosa
fare, sentendosi pressata da tutto ciò che sarebbe potuto
succedere a causa di una sua decisione sbagliata. Per la prima volta
nella propria vita Evelyn si sentì inchiodata a terra,
incapace di muoversi e ragionare, dimentica di tutte le volte che si
era impegnata per mantenere la calma in battaglia.
Aslan... Aslan,
aiutaci, ti prego.
-Arrenditi, Figlia di Eva, e guardami mentre
anniento i tuoi fratelli.-
La Pevensie sentì quella frase
entrarle in modo ovattato nel cervello e a fatica staccò gli
occhi dai Pevensie, posandoli sulla figura di Jadis con il braccio
fuori dal ghiaccio che la guardava, vittoriosa e sicura come una
cacciatrice che sa di avere in pugno la preda.
Eve strinse i pugni
tanto da sentire male, sentendo nascere dentro di sé i
germogli della rabbia e della vendetta per ciò che aveva
cercato di fare loro in passato. Per come aveva tradito Aslan, per come
aveva cercato di far rivoltare Edmund contro Peter, per come aveva
trattato i Narniani e congelato Narnia.
Per tutto.
Senza pensarci con
un movimento che perfino lei si sorprese per la velocità con
cui l'aveva effettuato fu vicino alla lastra e con uno spintone fece
cadere Caspian fuori dal cerchio. Jadis sgranò gli occhi,
oltraggiata da quella reazione, occhieggiando il Principe ormai fuori
dalla sua malia ed Evelyn che ne aveva preso il posto all'interno del
cerchio.
Storse il naso, Jadis, in modo così impercettibile
che nessuno lo notò. Evelyn non andava bene per il suo
piano...
***
Edmund
evitò il balzo del suo avversario rotolando di lato,
rialzandosi immediatamente e rimettendosi in una posizione di difesa.
Quello slittò sul lastricato, producendo un fastidioso
stridio quando cercò con l'aiuto dei lunghi artigli di
fermare la propria scivolata.
Il moro sorrise, preparandosi a colpire
il lupo alle spalle, ma un colpo alla schiena lo fece volare di qualche
metro, facendogli perdere l'equilibrio e rotolare a terra. Senza
perdere la presa sull'elsa della spada Edmund
cercò di tirarsi in piedi, portando l'arma davanti a
sé e muovendola all'aria per precauzione, non capendo chi lo
avesse colpito con così tanta forza.
Fece dardeggiare gli
occhi per la stanza, sentendo il fiato mancargli per la botta,
rendendosi
conto tra la confusione nella propria mente della figura animalesca che
era appena uscita dall'ombra. Si morse un labbro, nervoso, vedendo il
nuovo nemico coalizzarsi con l'altro che si era rimesso in piedi e lo
stava osservando, rabbioso e con la bava alla bocca.
Istintivamente
fece qualche passo indietro, studiando la situazione e cercando di non
far capire quando gli facesse male il fianco che aveva pestato contro
la pietra. Probabilmente gli sarebbe venuto un livido. Uno dei due fece
per dargli una zampata, costringendolo ad indietreggiare.
Non andava
bene. Lo stavano mettendo all'angolo.
Edmund cercò
freneticamente di pensare ad una soluzione, sapendo benissimo che
nessuno probabilmente sarebbe venuto in suo soccorso.
Percepì la presenza del fuoco dietro di sé e
capì che non avrebbe potuto indietreggiare maggiormente. I
due lupi si accovacciarono per prepararsi a saltargli addosso, tirando
indietro le orecchie e mostrando i denti, ringhiando.
Si
preparò ad approfittare della prima via di fuga che gli si
sarebbe prospettata davanti, rendendosi conto che non aveva altra
scelta. Affrontarli entrambi senza potersi muovere liberamente e con
solo un'arma era praticamente un suicidio. Doveva essere veloce e
sperare che i due gli lasciassero dello spazio per poter rotolare via.
Ci furono attimi di tensione, poi i due nemici si scambiarono
un'occhiata, decidendo di balzare in avanti quasi all'unisono. Edmund
si preparò al contatto, percependo già addosso le
unghiate ed i morsi che probabilmente avrebbe subito, preparandosi al
bruciore lancinante che gli avrebbero provocato le ferite.
Ma un'ombra
saltò addosso ai due, scaraventandoli contro le rocce e
strappandogli degli ululati di dolore.
Il Pevensie sgranò
gli occhi, sorpreso, mettendoci qualche attimo nel riconoscere nella
figura che si era frapposta fra lui ed i due nemici Lia.
Lia.
-Lia!-
La lupa
ringhiò, un ringhio così basso ed animalesco che
Edmund non le aveva mai sentito fare se non quando Evelyn era stata
attaccata. I due lupi mannari sembrarono incerti sul da farsi,
osservando la figura della Narniana con il pelo gonfio e gli occhi che
non si staccavano dalle loro figure come se potesse leggergli l'anima,
i denti ben in vista.
Senza nemmeno dar loro il tempo di reagire si
lanciò all'attacco, in una lotta fatta di morsi, graffi e
ululati strozzati. Edmund non poté nascondere dei brividi
lungo la schiena, percependo la violenza delle fauci quando
schioccavano a vuoto ed osservando le figure ammassarsi in un groviglio
di peli e ringhi.
***
Aria.
Il biondo cercò, con l'ultimo
barlume di ragione e di forze che gli rimanevano, di capire dove fosse
finita Rhindon, tastando il pavimento roccioso alla cieca e senza
trovare niente di utile. Anche una pietra gli sarebbe stata d'aiuto...
-Peter!-
Forse qualcuno lo stava perfino chiamando, ma i suoni stavano
diventando così attutiti che non sapeva dire se si trattasse
di allucinazioni... E improvvisamente si sentì libero dal
peso che gli gravava sul petto, dalla stretta alla gola che gli rendeva
sempre più difficoltoso respirare, percependo l'aria
arrivargli improvvisamente ai polmoni in modo quasi graffiante.
Il Re tossì un
po' di volte, prima di riuscire a tirarsi in piedi e notare la sua
nemica a terra con un paio di frecce conficcate nel petto. Frecce
bianche.
Dhemetrya.
Sbatté le palpebre, sorpreso, cercando
la ragazza tra la confusione degli eventi che troppo velocemente si
stavano susseguendo in quei pochi metri di spazio. La trovò
che combatteva contro l'altra avversaria in un corpo a corpo.
Cercò Edmund con lo sguardo, trovandolo affiancato a Lia, e
sorrise, sollevato nel vedere il fratello stare bene.
Un
campanello d'allarme iniziò a trillargli nella testa
così forte da dargli quasi fastidio.
Caspian.
Si
voltò in modo tanto brusco da sentire male al collo,
fissando lo sguardo sulla lastra di ghiaccio e spalancando gli occhi.
Jadis.
La Strega conservava l'espressione algida ed altezzosa che mai
la abbandonava, ma Peter aveva imparato a vedere oltre quelle iridi
spietate che frenetiche si muovevano per osservare l'ambiente
circostante.
Fretta. Jadis aveva fretta di concludere qualsiasi cosa
stesse facendo per liberarsi. Fu allora che vide Evelyn correre verso
Caspian e finire lei stessa davanti alla Strega.
No.
Non avrebbe
permesso che si avvicinasse a qualcun altro dei suoi fratelli. Mai
più.
Cercò disperatamente Rhindon, impugnandola e
correndo verso la sorella. La spinse via in modo talmente impulsivo che
quella cadde addosso ad un Caspian ancora confuso.
-Peter, no!- La
sentì gridare, dal basso. Il Pevensie alzò la
spada verso Jadis, minaccioso.
-Stai lontana da loro.-
sibilò, puntandole l'arma contro. La Strega Bianca sorrise,
quasi intenerita.
-Peter caro... era da tanto che aspettavo di
rivederti.- gli disse, con tono materno, come se gli fosse davvero
mancato. Il Pevensie chiuse gli occhi, percependo quella voce suadente
soffiargli nelle orecchie come un sussurro lontano e reprimendo un
brivido. Sentì il corpo farsi pesante e si morse un labbro,
rendendosi conto della corruzione che la donna stava cercando di
infilargli in testa.
-Vuoi vincere, vero? Io posso aiutarti.-
continuò Jadis, cercando di volgere in suo favore il modo in
cui le cose si erano complicate.
Alle spalle del ragazzo, Dhemetrya
stava lottando con Edmund contro uno dei lupi mannari e Trumpkin aveva
ucciso Nicabrik, Lia stava sbranando l'altro mannaro.
Peter si
ritrovò a fissare il viso impassibile della donna,
ricordando quanto con un semplice gesto fosse potente e temuta. La
Strega tornò a sporgersi con il braccio e mezzo viso fuori
dalla lastra di ghiaccio, non smettendo di fissare il Pevensie negli
occhi, inchiodandolo sul posto con la propria magia.
-Vieni, una goccia
basterà.- Peter tentennò, iniziando ad abbassare
la spada, percependo la propria volontà venire meno ed i
dubbi inondargli la testa. Forse era davvero l'unica speranza per
Narnia...
Per quanto avrebbe voluto gridare di no, il Pevensie si
sentiva immobilizzato, costretto ad allungare la mano verso quella che
rappresentava uno dei suoi più profondi incubi. Era lei che
per notti intere aveva sognato che ridendo gli portava via i fratelli,
uno ad uno... era lei che aveva formato in Edmund un senso di colpa
perenne.
Perché non riusciva a reagire, allora?
-Peter!-
Evelyn si alzò con uno scatto, andando vicino al fratello e
prendendogli il braccio, quasi ancorandovisi addosso prima che si
avvicinasse troppo alla lastra. Poi puntò lo sguardo
incattivito su Jadis che la osservò, sbattendo le palpebre,
rendendosi conto che la ragazza era all'interno del cerchio senza
subire la sua influenza.
La Strega assottigliò lo sguardo, inviperita.
-Tu...- Prima che potesse dire altro l'espressione della donna
mutò. Tutti non capirono il motivo di un cambiamento tanto
repentino fino a che non seguirono dove stava guardando.
Al centro del
ventre la punta di una spada fuoriusciva dal ghiaccio. Jadis
urlò di dolore e disperazione, cercando inutilmente di
afferrare l'oggetto metallico che stava inesorabilmente crepando il
ghiaccio che usava come portale sul mondo.
Peter aggrottò la
fronte, riprendendo il controllo di se stesso, Evelyn si
portò una mano alla bocca sconvolta nell'osservare la donna
come in preda alle convulsioni, gli occhi rivolti all'indietro e la
bocca spalancata. Con un ultimo grido la lastra si ruppe in mille
pezzi nel giro di pochi secondi.
-...Edmund.-
Evelyn era ancora attaccata al braccio di Peter ed
osservava il fratello con la spada a mezz'aria, nel punto in cui prima
era presente il corpo della Strega Bianca. Il moro fece passare lo
sguardo da lei agli altri presenti nella stanza, provando un immediato
sollievo nel vederli stare bene.
Inchiodò poi gli occhi su
Peter, riservandogli una punta di risentimento, ancora sconvolto per
ciò che rivedere Jadis gli aveva provocato e osservando come
il Pevensie lo stesse guardando con un'espressione quasi allucinata.
-Lo so. Era tutto sotto controllo.-
Ciao
a tutti! Eccomi
di ritorno con questo capitolo che... beh, ora capite perché
dicevo che scrivere dei combattimenti non fa molto per me? ^^''' Mi
è stato molto "pesante" mettere giù questo pezzo,
infatti credo si percepisca che la mia introspezione deve esserci un
po' ovunque, ho cercato di dare il massimo cambiando anche qualcosina
nonostante l'azione non sia
un genere che mi appartiene e spero possiate apprezzare il mio sforzo.
Piccola spiegazione: il fatto che Jadis
pensi che "Evelyn non va bene per il suo piano" è dato
perché la formula dice "del sangue di Adamo basta una
goccia", quindi io ho liberamente dedotto che per liberarsi
serve un figlio di Adamo (e quindi Eve, femmina, non va
bene e non
subisce l'influenza dell'incantesimo anche se entra nel cerchio).
Inoltre viene fuori che Evelyn davanti alla reale figura di Jadis si
impanica totalmente. Non vi veniva voglia di gridarle "muoviti,
stupida,
cosa aspetti?!" - a me si lol. Rivederla davvero con tutto
ciò che stava succedendo l'ha mandata un po' in panne.
Nel prossimo capitolo, che vi porterò per Natale, ci
sarà un mini pezzo che la riguarda con Edmund e che spero
possa piacervi e che personalmente ho trovato molto tenero scrivere, e
un pezzetto su Lia,
Dhem e Antares che spero troverete interessante. Purtroppo in queste
settimane non sono stata molto bene quindi non ho più
sistemato nessuno dei capitoli vecchi o scritto nulla di nuovo,
cercherò di recuperare piano piano.
Nel frattempo spero di avervi portato una lettura gradita, vi ringrazio
dell'attenzione, dei preferiti, ricordate, seguite e di coloro che si
fermano a lasciarmi un parere. Ci tengo a dire che ogni
commento, anche
solo un paio di righe, è sempre ben accetto e aiuta la
motivazione.
Grazie a tutti,
D. <3
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Capitolo 32 *** Il silenzio del dolore. ***
Narnia's
Spirits
Il silenzio del
dolore.
Edmund
quasi si
ritrovò a correre, per poter uscire il prima possibile da
quel posto.
Aria.
Aveva un bisogno profondo di allontanarsi
da quella stanza dalla temperatura troppo bassa per i suoi gusti.
Aveva
sempre immaginato nei propri sogni la possibilità di poter
rincontrare Jadis, della soddisfazione di poter finalmente avere
l'occasione di fargliela pagare per tutto ciò che gli aveva
fatto penare in passato e della pugnalata che gli aveva riservato
durante la guerra.
Una parte di sé aveva forse sempre
bramato la possibilità di vendicarsi, ripagandola con la
stessa moneta.
Vendetta.
Jadis aveva inciso in lui, nel profondo del
suo animo, cicatrici più profonde di una spada piantata
nello stomaco durante una battaglia. Gli aveva instillato il seme del
dubbio, il germoglio del tradimento, era riuscita ad insinuarsi nella
sua mente come un serpente rivoltandolo contro i fratelli. Gli aveva
fatto perdere del tutto l'innocenza di ragazzino incompreso,
spingendolo a mettere in pericolo la cosa che più amava al
mondo.
La sua famiglia.
E lui, come uno stupido, ci era cascato.
Aveva
sempre pensato che si sarebbe sentito meglio, più leggero,
ma ciò che provava dopo quel gesto che – per
volere del destino? Della sua buona stella? – aveva sempre
bramato, consapevole che non sarebbe mai riuscito a compiere
perché era morta, era solo un gran senso di vuoto.
Una
sensazione sgradevole che gli lasciava l'amaro in bocca.
Rivedere Jadis
aveva riaperto quella ferita mai totalmente richiusa e che ora
sanguinava di nuovo, tornando a pungolargli la mente e tormentarlo con
quel senso di colpa che invano negli anni aveva convinto se stesso di
aver sepolto.
No, non era stato per niente liberatorio come aveva
creduto, soprattutto considerando le circostanze.
Edmund quasi
andò addosso a Susan, preso com'era dalla fretta di lasciare
quel posto, rischiando di darle una spallata. La sorella gli
lanciò un'occhiata, percependo il disagio dal suo volto
sempre così posato in quel momento indecifrabile, decidendo
di lasciarlo andare senza fargli domande ed immaginando le possibili
emozioni che poteva star provando.
Si voltò poi verso Peter
e Caspian, riservando loro uno sguardo ben più piccato e
deluso.
Il Principe non riuscì a sostenere la sua
espressione di rimprovero a lungo, non sapendo cosa dire per scusarsi e
sentendosi tremendamente responsabile per quella situazione che avrebbe
potuto trasformarsi in un disastro. Forse, non c'erano nemmeno le
parole adatte.
Aveva rischiato di far ammazzare tutti e liberare la
più grande nemica di Narnia.
Sospirò, rendendosi
conto che Evelyn lo stava guardando con una muta domanda negli occhi.
Il moro si sforzò di sorriderle tra le emozioni che facevano
a gara per emergere, poi lanciò uno sguardo ai resti della
lastra e dei pezzi di ghiaccio sparsi in giro.
Si portò una
mano alla nuca, grattandosela pensieroso, ragionando sul fatto che
probabilmente sistemare quelli e far sparire i corpi dei nemici era la
soluzione migliore per tenere la sua mente tormentata impegnata.
Eve si
staccò da Peter, andando vicino a Lia, posandole una carezza
sul pelo, ed osservando Dhemetrya raccogliere le proprie frecce dai
cadaveri. Poi andò da Lucy, inginocchiata davanti al corpo
di Nicabrik in religioso silenzio, aspettando che Trumpkin dicesse
qualcosa.
Evelyn si limitò a posare una mano sulla spalla del
Narniano in gesto di vicinanza, percependone la tensione, che
però non alzò lo sguardo per guardarla,
continuando a tenerlo fisso sul compagno.
Perché?
Trumpkin
abbassò il capo se possibile ancor di più,
sentendo la sconfitta affossargli il cuore insieme alla sensazione di
perdita.
Perché Nicabrik li aveva traditi?
Rinfoderò il pugnale, cercando di non lasciarsi andare alle
lacrime di frustrazione e alla rabbia per le azioni dell'amico.
-Mi
dispiace.-
Lucy si alzò in piedi, congiungendo le mani in
grembo e osservando il nano con i suoi occhioni pieni di tristezza.
Trumpkin si limitò a farle un cenno del capo, senza il
coraggio di guardarla in faccia, ricordando nella mente solo il momento
in cui aveva affondato il pugnale nella schiena di quello che
considerava uno dei pochi amici che aveva avuto nel corso della vita.
Perché l'hai fatto, Nicabrik?
-Si... anche a me.-
Evelyn
osservò critica Lucy, constatando che stava bene e facendole
cenno di uscire con lei dalla stanza. Ma la ragazzina negò
con la testa, palesando l'intenzione di rimanere accanto al nano,
ancora in veglia davanti all'amico a cui era stato costretto a togliere
la vita.
L'aveva salvata.
Lucy chiuse gli occhi, cercando di calmarsi,
percependo la temperatura della stanza iniziare ad alzarsi.
Trumpkin
l'aveva salvata, si... ma a quale prezzo?
Peter continuò ad
osservare Susan senza sapere cosa dirle, fino a che la sorella non gli
scoccò un'ultima occhiata di fuoco e gli diede le spalle,
lasciando lui e Caspian nel loro pesante silenzio.
I due si guardarono
ed il biondo strinse un pugno, reprimendo un urlo di frustrazione e
voltandosi verso il punto in cui pochi minuti prima c'era Jadis e in
cui ora, al suo posto, svettava l'immagine di Aslan.
Peter
osservò la figura nella pietra, pentendosi immediatamente
della debolezza che aveva dimostrato nei confronti della Strega. Si era
lasciato incantare. Aveva quasi reso vano tutto ciò che
avevano fatto, tutto ciò per cui avevano combattuto,
milletrecento anni prima.
Era imperdonabile.
Caspian andò
verso le ragazze, chiedendo loro se stessero bene, lasciando Peter ai
suoi pensieri. Il biondo continuò ad osservare Aslan, la
testa piena di domande.
Era stato debole. Quando era stato il momento
in cui aveva smesso di avere fiducia nel leone che aveva salvato lui e
la sua famiglia? Quando aveva commesso un errore così
grosso?
Peter si morse un labbro, rinfoderando Rhindon per avere un
motivo valido per distogliere lo sguardo da Aslan, sentendosi troppo in
difetto nei suoi confronti per sostenere il suo sguardo anche solo
attraverso una rappresentazione.
Si voltò, incontrando le
figure di Dhemetrya e Lia ed andando loro incontro, notando solo
distrattamente l'assenza di Evelyn e Caspian. Quei passi gli
risultarono tremendamente pesanti da fare, tanto che si
domandò se non fosse ancora legato a qualche cosa che lo
teneva fissavo al terreno.
-Vi ringrazio per essere intervenute.-
disse, senza reale entusiasmo. L'unica cosa che voleva in quel momento
era sistemare il prima possibile quel posto per potersene restare da
solo con i propri pensieri.
-Non ti ci abituare.- gli fece Dhem, dandogli una pacca sul braccio.
Nonostante il pessimo tempismo di quel gesto ironico, Peter non
poté fare a meno di farsi scappare un mezzo sorriso.
In quel
momento Glenstorm entrò nella stanza seguito da qualche
Narniano, mandati su ordine di Caspian che gli aveva spiegato vagamente
la situazione. Se rimase spiazzato da ciò che si
trovò davanti nessuno seppe dirlo, perché con
estrema calma e con il suo tono neutrale ordinò ai suoi
subordinati di fare sparire i corpi dei nemici.
-Se mi è
concesso... Vorrei occuparmi io di Nicabrik.- s'intromise Trumpkin,
voltandosi a guardare in faccia direttamente l'antico sovrano. Tutti
gli occhi si fissarono su Peter, in attesa della sua decisione.
Nicabrik li aveva traditi, magari avrebbe voluto bruciarne il corpo
come sarebbe stato per gli altri.
Lucy attese con il cuore in gola, ben
consapevole di quanto Jadis o chiunque collegato e lei fosse un punto
dolente per il Pevensie e sapendo anche quanto Trumpkin ci tenesse.
Contrariamente alle sue aspettative, il fratello annuì,
strappandole un sospiro di sollievo.
-Miei Signori, e questo?-
Istintivamente gli sguardi di tutti si fissarono su un fauno che aveva
parlato alle loro spalle. Ciò che catturò la loro
attenzione, però, fu quello che teneva tra le mani.
Peter
sentì improvvisamente la gola secca, osservando l'oggetto
dalla forma arabesca e dai riflessi ghiacciati, mentre Lucy si
portò le mani alla bocca, sorpresa da quella visione.
Lo
scettro di Jadis.
***
Caspian
percorse i
lunghi e tortuosi cunicoli del rifugio di Aslan, scavati nella pietra
nel corso dei secoli, in cerca di un luogo in cui pensare in
solitudine.
All'esterno aveva scorto Susan scaricare la tensione
– o la voglia di usare lui e Peter come bersagli –
allenandosi con l'arco, e per quanto avrebbe voluto raggiungerla, il
senso di colpa e l'imbarazzo per la situazione che aveva
involontariamente creato l'avevano bloccato dall'andare a parlarle e
fatto dimenticare di ogni proposito di aiutare a sistemare
ciò che era rimasto di quell'incontro spiacevole.
Aveva
capito dallo sguardo che la Regina gli aveva rivolto alla tavola
spezzata che il possibile ritorno di Jadis le aveva fatto provare un
profondo senso di delusione e rabbia nei suoi confronti, e non aveva
potuto fare a meno di sentirsi tremendamente deluso da se stesso.
Sospirò, cercando di far lavorare la mente per cercare una
soluzione a quella patina di tensione che era scesa su tutti loro.
Obbiettivamente era consapevole di essere stato ingannato, che non
aveva fatto niente, eppure... eppure essere stato così
debole da farsi soggiogare da Jadis, da aver quasi creduto alle sue
parole, consapevole dai racconti che era una bugiarda fin nelle ossa...
No.
Caspian scosse la testa vigorosamente, stringendo la torcia fino a
farsi sbiancare le nocche. No, non si sarebbe mai perdonato quel
momento di debolezza.
Percorse ancora una manciata di metri, arrivando
alla fine di quel cunicolo incavato nella pietra, deciso a cercare di
lasciarsi alle spalle quella storia il prima possibile. La luce del
sole lo accecò per un istante e Caspian si
bloccò, lasciando ai propri occhi il tempo di adattarsi
all'esterno. Si osservò intorno, notando di aver raggiunto
uno dei punti di vedetta in quel momento deserto.
Ringraziò
di essersi fermato, perché se avesse fatto anche solo un
metro in più sarebbe finito con il cadere di sotto
– il che, forse, considerando come stavano le cose sembrava
il minore dei mali.
Si sedette su delle pietre, osservando dall'alto la
figura slanciata di Susan che centrava un bersaglio dopo l'altro.
Passò lo sguardo sulle fitte chiome degli alberi della
foresta che li isolava dal resto del mondo e li divideva
momentaneamente dai Telmarini, facendo scorrere gli occhi fino ai
profili delle montagne che si scorgevano in lontananza tra gli sbuffi
di nuvole bianche che, placide e silenziose, passavano nel cielo
azzurro del primo pomeriggio.
Se qualcuno gli avesse raccontato che
avrebbe passato più di un giorno in quella terra che per
millenni era stata maledetta dai suoi avi e dalle leggende non ci
avrebbe creduto.
Ancor più se gli avessero detto che avrebbe
aiutato i suoi abitanti a riprenderne il controllo, combattendo con
loro, mangiando con loro, soffrendo con loro... - diventando, quasi,
uno di loro, affezionato a Narnia ed ai suoi molteplici abitanti.
No,
l'avrebbe definitivamente preso per pazzo.
-Ecco dov'eravate nascosto,
mio Principe.-
Caspian sussultò, voltandosi quasi di scatto
tanto che sentì il collo scricchiolare pericolosamente
provocandogli un leggero fastidio.
-Maestro...- fu tutto ciò
che riuscì a dire, osservando il precettore prendere posto
accanto a lui. Il moro abbassò il capo, imbarazzato,
rivolgendolo nuovamente a quel paesaggio in cui ogni volta gli sembrava
di notare dei dettagli nuovi.
I due stettero così vari
minuti, senza bisogno di parlare, beandosi della presenza reciproca e
della complicità che avevano sviluppato negli anni.
Caspian
percepiva su di sé i velati sguardi del maestro, il quale
attendeva pazientemente che si aprisse con lui. Avrebbe scommesso senza
problemi che già sapesse ciò che era successo
poco prima, ma gli stava dando tempo per rimettere in ordine i pensieri
sparsi per la sua testa.
Tutto ciò che riusciva a formulare
la mente del Principe, però, era irrimediabilmente collegato
al senso di colpa che vibrante gli affossava il cuore.
-Vi ho deluso.-
Esalò, rompendo quella quiete quasi surreale, torturandosi
le mani. Aveva deluso i Pevensie, aveva deluso i Narniani, aveva deluso
l'uomo che per tanti anni gli era stato dietro, aiutandolo a crescere e
maturare affinché diventasse un Re degno di possedere tale
titolo e verso cui provava maggiore stima ed ammirazione.
Caspian
corrugò la fronte, riflettendo sulla possibilità
che quei sentimenti di confusione e rimprovero verso se stesso non
fossero collegati solo all'incontro con Jadis, ma li stesse covando da
molto prima, fin da quando, scoperta la verità su suo padre,
si era lasciato guidare dall'impulsività.
-Non sono io la
persona verso cui avete dei doveri, mio Sovrano.- Cornelius
sospirò pesantemente, posizionando meglio gli occhiali sul
naso e lanciando un'occhiata vispa in direzione di Caspian,
intercettandone lo sguardo sconfitto che gli lanciò. Si
ritrovò quasi a sorridere sotto la folta barba, notando lo
sguardo del ragazzo virare verso una ben più rosea figura di
un anziano con la pancia.
-E nemmeno i Sovrani di un tempo.-
Tossì un paio di volte, per far ritornare l'attenzione su di
sé. Il moro si voltò completamente verso di lui,
interessato su dove volesse andare a finire con quel discorso il
Precettore e alzando un sopracciglio in una muta domanda.
-L'unica
persona a cui dovete rendere conto per prima siete voi stesso.- Caspian
prese a torturarsi le mani, abbassando il capo. La tensione creata
dalla miriadi di domande con cui avrebbe voluto investire l'anziano
sembrò permeare l'aria.
-Perché non mi avete mai
detto di mio padre?- domandò, in un sospiro. Accettare di
crescere senza i genitori era una questione difficile, ma scoprire che
uno di questi era stato strappato via da una persona che invece avrebbe
dovuto guardargli le spalle gli faceva ribollire il sangue nelle vene
di collera.
Traditore.
Caspian strinse i pugni attorno alla stoffa
pesante dei calzari, osservando ostinatamente il paesaggio per non
incrociare gli occhi del suo maestro. Non voleva che vedesse l'uragano
di emozioni che lo stavano scuotendo direttamente dall'interno.
-Mia
madre discendeva dai nani delle terre del Nord.- Cornelius vide il
ragazzo sussultare a quelle parole, come pungolato da una spada. Era
sicuro che avrebbe compreso le sue ragioni oltre quelle parole senza
bisogno che si perdesse in troppe spiegazioni.
Il Principe era un
ragazzo sveglio ed intuitivo, doveva solo racimolare la fiducia in se
stesso per diventare quel grande uomo che, secondo lui, era destinato
ad essere.
-Tutto ciò che ho detto, o che non ho detto, l'ho
fatto solo per una ragione. Perché sono certo che voi sarete
un Re migliore di tutti i vostri predecessori. Sarete diverso, mio
Principe.-
Il Precettore dovette soffocare un sorrisino compiaciuto
osservando come gli occhi di Caspian avessero iniziato ad ardere a
quelle parole, mostrando l'animo determinato che aveva spinto quel
ragazzo a dare la propria parola d'onore alle creature di Narnia notti
addietro.
-Diverso?- domandò, osservando con circospezione
l'uomo accanto a lui, mostrando confusione. Gli occhi vispi del maestro
luccicarono da sotto gli occhiali, come se conoscessero una
verità già decisa da tempo.
-Sarete l'uomo di
Telmar che ha salvato Narnia.-
***
Evelyn
aumentò il passo, in modo da poter uscire da quel posto il
prima possibile, seguendo l'esempio di Edmund e Caspian, spariti
chissà dove già da vari minuti. Percepiva dietro
di sé ancora le spire del gelo che le aveva ghermito
l'anima, ma cercò di non farci caso, catalogando tutto
ciò come frutto della sua fantasia.
Sospirò,
evitando per un soffio un fauno che batteva il ferro, uscendo fuori
senza degnare nessuno di uno sguardo, ignorando le fitte al ginocchio o
il bruciore alle mani.
Respirò appieno l'aria esterna non
appena varcò la soglia di quel posto che fino a quel momento
l'aveva fatta sempre sentire al sicuro, ma che, dopo quell'incontro con
il passato, non le riusciva più a trasmettere quella
sensazione – seppur lieve – di casa.
Eve scosse la
testa, portandosi una mano tra i capelli, permettendo allo
sconvolgimento di venire a galla.
Jadis. Era davvero stata Jadis ad
attaccarla nel bosco, giorni prima, come i suoi fratelli avevano
ipotizzato.
Perché?
Non ne capiva la ragione. Ed era davvero
stata Jadis quella che aveva riprovato a corromperli, approfittando
della situazione di disperazione in cui si trovavano gli animi di
Caspian e suo fratello, per cercare di tornare alla vita.
Evelyn
strinse un pugno, reprimendo la frustrazione e pestando i
piedi, tremando visibilmente per tutte quelle risposte mancanti.
Si
incamminò senza nemmeno rendersi conto verso il prato dietro
la casa di Aslan in cui era stata con Edmund, afflitta dai suoi stessi
pensieri, camminando stancamente tra l'erba.
Non pensava che la Strega
Bianca fosse ancora viva, intrappolata nel suo mondo di ghiaccio
– in qualche modo a lei inspiegabile. Tutti loro avevano
sempre creduto che Aslan l'avesse uccisa, divorandola durante la grande
battaglia.
Ciò voleva dire che, se era davvero viva, ci
sarebbe sempre stato il rischio che tramasse nell'ombra per riuscire a
tornare?
Evelyn sbatté le palpebre, sconvolta, non riuscendo
a frenare la sensazione di pericolo imminente che
quell'eventualità le creò. Appena avrebbe avuto
modo di vedere il leone era sicura che sarebbe stata una delle prime
cose che gli avrebbe chiesto. Non era possibile che su Narnia vagasse
ancora la possibilità che quella donna tornasse,
sconvolgendo l'equilibrio già fin troppo fragile di quel
mondo e rischiando di far tornare a galla tutti i problemi che avevano
affrontato con estrema fatica con...
-Edmund-
Si
congelò sul posto, incontrando la figura del fratello
appoggiata ad un tronco caduto in quel luogo dove l'aveva guidata
l'inconscio.
Il moro aveva gli occhi chiusi, ma le fu chiaro il
tormento che doveva provare a causa di quell'incontro con il passato
dai tratti rigidi del suo volto, la fronte aggrottata, un piede che
dondolava ritmicamente... e ne ebbe la conferma quando Edmund le rese
visibili quei baratri castani, fissandoli stancamente su di lei.
Evelyn
si bagnò le labbra, indecisa su cosa fare e valutando la
possibilità di tornare indietro e trovare un altro posto in
cui rimuginare, lasciandolo solo con i propri pensieri. Per quanto
immaginasse i tormenti del fratello, per quanto desiderasse solo
abbracciarlo per fargli passare l'ombra che vedeva nei suoi occhi, in
quella circostanza non fu sicura che avvicinarsi fosse la scelta
migliore.
Ma il Pevensie interruppe quei suoi ragionamenti, indicandole
con la mano il posto accanto a lui, senza però sforzarsi di
sorridere.
La ragazza rilassò le spalle, avvicinandosi
lentamente, non del tutto convinta. Si sedette, incapace assumere una
posa rilassata e iniziando a torturarsi le mani, evitando di guardare
Edmund negli occhi. Iniziava a sentire il groppo della
responsabilità e del senso di colpa dilaniarla.
-Mi
dispiace.-
Il Pevensie si girò verso di lei, alzando un
sopracciglio in una muta domanda.
-Cosa? Perché?- si
preoccupò, corrugando la fronte. Il pensiero che Evelyn
potesse aver accettato qualcosa da Jadis prima che intervenissero gli
passò come un flash nella mente.
-Se avessi reagito prima
che arrivaste, se l'avessi sconfitta o avessi agito diversamente, tu...
t-tu...- gli occhi della ragazza dardeggiarono per la radura, inquieti
come poche volte Edmund li aveva visti.
Scattò sull'attenti
automaticamente, allarmato, percependo il cambio nel tono di voce di
Eve e voltandosi del tutto per guardarla in faccia. Quella non
ricambiò lo sguardo, vergognandosi della frustrazione che
l'aveva improvvisamente investita come un treno lasciandola senza
fiato, restando con lo sguardo lucido puntato sulla foresta.
-Io cosa,
Evelyn?- le domandò, posandole una mano sul braccio per
obbligarla a guardarlo, non comprendendo il motivo della sua
sofferenza. La vide sospirare pesantemente, voltandosi poi nella sua
direzione, facendolo specchiare nei suoi occhi sull'orlo delle lacrime.
Sentì qualcosa dentro di sé spezzarsi a quella
visione, percependo il tormento di Eve terribilmente famigliare. Era lo
stesso che aveva provato lui per molto, molto tempo, quando aveva
realizzato la sofferenza causata ai suoi fratelli.
-Tu non l'avresti
vista.- si decise a confessare lei, in un sussurro. Abbassò
lo sguardo, permettendo ai capelli di nasconderle il viso. Se non si
fosse lasciata prendere come una stupida Edmund non avrebbe dovuto
rifare i conti con quel passato che, lei sapeva benissimo, gli faceva
così male.
Si morse un labbro, nervosa.
Non voleva che lui
si ritrovasse braccato nuovamente da quel senso di colpa che per troppo
tempo l'aveva accompagnato, non voleva vederlo pensieroso o insonne per
notti intere. Non era giusto. Non se lo meritava.
Edmund le mise un
braccio intorno alle spalle in un modo talmente naturale e veloce che
rimase con il fiato sospeso quando si rese conto di avere la testa
appoggiata alla spalla di suo fratello.
-Non dire più certe
cose, stupida.-
Chiuse gli occhi, lasciandosi scappare una lacrima,
percependo le mani gelide del senso di colpa abbandonarla lentamente.
***
Susan
incoccò l'ennesima freccia, tendendo la corda dell'arco il
più possibile fino a sentire le piume del sottile bastoncino
di legno a contatto con la pelle del viso. Si prese qualche secondo per
respirare, recuperando tutta la concentrazione di cui disponeva per
prendere la mira.
A vari metri da lei, il bersaglio che aveva scelto
per sfogare la frustrazione sembrava guardarla contrariato, spiccando
nella radura con vari dardi piantati nel centro a distanza ravvicinata
l'uno dall'altro.
Mollò il tutto e nel giro di un battito di
ciglia anche quello andò a conficcarsi senza remore verso
l'obbiettivo.
Susan sospirò, percependo la tensione nelle
spalle renderla troppo rigida tanto da darle quasi dolore alla schiena,
tastando con la mano a caso alle proprie spalle per cercare di prendere
un'altra freccia dalla faretra, accorgendosi con una veloce occhiata
che le aveva finite.
Si voltò, puntando lo sguardo davanti a
lei ed incamminandosi lentamente verso il bersaglio, scrutandosi
intorno con disappunto. Tirò fuori le frecce con forza,
senza preoccuparsi di nascondere la collera che l'aveva assalita o del
rischio di far rimanere la punta di ferro incastrata dentro.
Jadis.
Non
pensava l'avrebbe mai rivista, e non pensava che, composta e padrona
delle proprie emozioni come era sempre stata, la cosa l'avrebbe
sconvolta in quel modo.
Si era ritrovata a piantare i propri occhi su
quella figura algida ed eterea dal viso che non era stato schiavo del
tempo, ad osservare il ghigno soddisfatto e lo sguardo compiaciuto
nell'avere davanti Peter tenderle la mano. Era stata una frazione di
secondo, il tempo di un respiro prima che Edmund trafiggesse la lastra
da cui stava tentando di uscire, ma era bastato per far si che si
facesse un'idea ben chiara su ciò che stava succedendo.
Susan si passò una mano tra i capelli, spostando delle
ciocche ribelli dietro l'orecchio e togliendosi la faretra dalla
schiena per poter mettere dentro le frecce appena recuperate.
Sbuffò, mordendosi un labbro, incapace di capire da dove
provenisse tutto quel nervoso che sentiva scalpitare sotto la pelle,
sentendosi quasi affogare da come quel turbine di emozioni le stesse
mettendo a dura prova i nervi. Chiuse gli occhi, alzando il viso verso
il cielo per poter sentire i raggi del sole sulla pelle, provando ad
immergersi nella pace che trasmetteva la natura che le stava intorno e
che un tempo conosceva alla perfezione.
Scosse la testa, cercando di
cancellare dalla mente l'immagine di suo fratello e di Caspian ai piedi
della Strega Bianca, scacciando violentemente la voglia di prenderli a
schiaffi e il senso di tradimento che l'assaliva ogni volta che ci
ripensava ed immaginava quelle che sarebbero potute essere le
conseguenze.
Doveva calmarsi. Non era da lei lasciarsi trasportare
così dalle emozioni.
Cercò di liberarsi da tutta
la negatività che sentiva crescerle alla bocca dello stomaco
in modo tanto pressante da darle quasi la nausea, domandando a se
stessa perché non avesse notato nulla nei giorni precedenti
che la avvisasse su ciò che sarebbe successo.
Non accettava
l'idea che i suoi occhi sempre abituati a scrutare tutto in maniera fin
troppo eccessiva e la sua mente intuitiva ed attenta non avessero colto
dei gesti, degli sguardi, delle parole... qualsiasi cosa che potesse
essere anche solo lontanamente un indizio che la mettesse in guardia su
ciò che stava venendo tramato alle loro spalle.
Non poteva
accettare di aver avuto quella debolezza, Susan, di aver abbassato la
guardia in quel modo dopo ciò che era successo ad Evelyn.
Non voleva piegarsi all'idea che tutto quello avrebbe solo dovuto
metterla maggiormente sull'attenti su ciò che circondava lei
ed i fratelli, che sarebbe stato compito suo assicurarsi che tutto
procedesse al meglio – che avrebbe dovuto avere maggiore
controllo, quello stesso controllo che le stava mancando in quel
momento, lasciandola in balia di quei pensieri ed emozioni.
Lanciò uno sguardo verso il rifugio, lasciando che i suoi
occhi tormentati incontrassero la figura di Caspian che con passo lento
camminava nella sua direzione, scorgendo la titubanza nel suo sguardo
ed il viso contratto.
Susan ingoiò il rospo amaro della
delusione, appigliandosi a quella visione come se fosse l'unico punto
che le potesse dare un po' di pace in quel momento. Si sentì
confusa, trovandosi spiazzata per il modo in cui la visione del
Principe di Telmar avesse appianato un poco l'oceano in tempesta che si
stava abbattendo nel suo animo.
Se Caspian e Peter si stavano facendo
soggiogare le colpa era stata anche sua, che non era stata capace di
stargli accanto come forse avrebbe dovuto, consapevole di quanto le
ombre aspettino i momenti in cui la luce si fa più fioca per
farsi avanti. Era stata una sprovveduta.
***
Lucy
entrò
a passo leggero nella cripta di Aslan, tanto da che quasi non fece
rumore, cercando con lo sguardo la figura di suo fratello che sapeva
esservi all'interno.
Peter aveva aiutato gli uomini più
fidati di Glenstorm a portare via i resti di quello scontro cercando di
far trapelare il meno possibile ai Narniani, per evitare che si
agitassero, buttando i resti del ghiaccio nel fiume che settimane prima
avevano incontrato durante il giro di perlustrazione della zona e
bruciandovi li vicino i cadaveri.
I suoi occhi dardeggiarono per quella
stanza immersa in un silenzio quasi innaturale, trovando la sagoma
immobile di suo fratello adagiata su alcune rocce vicino alla tavola
spezzata. La Pevensie fece passare lo sguardo da lui a ciò
su cui era fissato, trovandolo in contemplazione della figura di Aslan
incisa nella pietra.
Lo conosceva così bene che non le fu
per niente difficoltoso percepire a pelle le motivazione dietro il
mutismo in cui si era ostinatamente chiuso.
Si avvicinò con
passo leggero, aggirando la tavola spezzata e posando una mano sulla
pietra ruvida, notando la veloce occhiata che il biondo le
lanciò per segnalarle di averla sentita. Lucy
sospirò, accomodandosi accanto al fratello e prendendo a
guardare nella sua stessa direzione.
Aslan li osservava, imponente
nemmeno la metà di come le era apparso nel sogno, in quel
varco dove fino a poco prima la Strega Bianca ne copriva la vista. Non
ebbe problemi a sostenere lo sguardo di pietra, Lucy, riuscendo quasi a
sovrapporvi il ricordo degli occhi dorati, sapendo nella parte
più istintiva di sé che da qualche parte Aslan li
stava osservando, aspettando un gesto da parte loro per tornare ad
aiutarli.
-Sei fortunata, Lu.- Peter abbassò lo sguardo,
sospirando, lanciando una profonda occhiata alla sorella minore accanto
a lui.
-Perché?- Lucy studiò il profilo del
Pevensie, che sospirò appena, con una nota di confusione
negli occhi chiari, trovando il suo viso particolarmente stanco.
-Tu
l'hai visto. Vorrei avere avuto anche io qualche tipo di segno da parte
sua.- Il Pevensie tornò a fissare la figura di Aslan,
sentendo la mano di Lucy accarezzargli il braccio per cercare di
confortarlo. Si morse l'interno di una guancia, percependo addosso
tutta la frustrazione per non essere riuscito ad agire diversamente
affossargli il cuore per la prima volta da quando era tornato.
Era
sicuro che se Aslan lo avesse visto in quel momento gli avrebbe
riservato una profonda occhiata di disapprovazione per tutto
ciò che aveva combinato, uno di quei suoi sguardi penetranti
capaci di rendere al silenzio chiunque.
Da quando era li, mai come in
quel momento Peter, sotto lo sguardo silenzioso del padre di Narnia,
permise ai dubbi di inondargli la mente, facendogli vacillare quella
sicurezza in se stesso che aveva sempre sbandierato senza problemi.
Jadis lo stava
convincendo così facilmente...
Nascose gli
occhi dietro le palpebre, cercando di ritrovare un punto fermo nel
vortice di emozioni che lo stava travolgendo.
-Forse siamo noi a
dovergli dimostrare qualcosa questa volta.-
Peter voltò il
viso, posando lo sguardo su Lucy, trovando, a dispetto delle proprie
aspettative, il viso sereno della sorella che lo guardava,
incoraggiante. Il Pevensie non poté evitare di sentirsi
rasserenato da quella visione, dal modo in cui, nonostante tutto, Lu
gli stesse vicino, scaldandogli il cuore con la sola presenza quando
avrebbe avuto tutte le ragioni per fargli qualche ramanzina.
Peter
sfoggiò un'espressione pensierosa per qualche attimo,
ripensando a tutto ciò che era successo, sentendo una
fiammella di speranza riaccendersi nel vedere come la sorella
sorridesse a quella che era solo una figura incisa nella pietra.
-Credo
tu abbia ragione.-
***
-Ormai
non dovrebbe
mancare molto, giusto?-
Dhemetrya si rigirò lo scettro tra
le mani, studiando quegli arabeschi ghiacciati incisi sulla superficie
che le ricordavano vagamente gli stessi disegni che decoravano il suo
arco. Quell'oggetto doveva essere sparito da anni, ma evidentemente,
con il passare del tempo ed a furia di cercare, aveva avuto modo di
tornare alla luce e finire nelle mani sbagliate.
Percepiva ancora
dell'alone di magia provenire da quel bastone, le spire di freddo che
cercavano di congelarle la mano pungendole il braccio come tanti
spilli. Cercò conforto nel calore del corpo di Antares,
immergendo la mano libera nella criniera e lasciandogli delle carezze
sul collo.
Cedere al freddo che sprigionava era solo uno dei tanti modi
per finire dalla parte del male. Se fosse stato impugnato da qualcuno
di debole o corrotto, quell'oggetto maledetto che racchiudeva i
rimasugli di volontà della Strega Bianca gli avrebbe fatto
fare esattamente tutto ciò che voleva.
-No, siamo quasi
arrivati.-
Lia saltò su un masso, annusando l'aria, sentendo
l'odore di salsedine solleticarle l'olfatto. Stavano percorrendo a
ritroso il cammino che i Pevensie avevano fatto per raggiungere il
rifugio di Aslan, percorrendo quella distanza molto più
brevemente di quanto i ragazzi non avessero fatto, nascosti tra la
vegetazione e trasportati dal vento.
L'unico modo per disfarsi di
quello scettro era consegnarlo nelle sapienti mani della Grande Magia.
***
-Noi
possiamo
occuparcene.-
Lia osservò lo scettro nelle mani del fauno,
lanciando poi un'intensa occhiata a Dhemetrya, che si
affrettò a raggiungere il Narniano con un paio di balzi. Gli
prese l'oggetto dalle mani senza aspettare una sua risposta o quella di
chiunque altro, tornando vicino alla lupa.
Si prese qualche secondo per
osservare l'oggetto che aveva davanti agli occhi, provando una profonda
sensazione di disagio e amarezza che le bloccarono il respiro in gola.
Quello scettro era stato usato per creare così tanta
sofferenza, così tante morti...
-Possiamo farlo sparire. Per
sempre.-
Dhemetrya tornò a posare lo sguardo su Peter,
trovandolo con i lineamenti contratti e gli occhi che non si staccavano
dallo scettro, pensierosi. Effettivamente dire che potevano farlo
“sparire per sempre” era una promessa fatta con
parole dal peso non indifferente.
Vide il Pevensie sospirare,
immaginando che stesse valutando la situazione, e lanciare una profonda
occhiata a Lia senza preoccuparsi di nascondere una nota di
scetticismo.
-Per sempre?- confermò i suoi pensieri Peter, e
Dhem lanciò un'occhiata alla lupa, la quale
sembrò perfettamente a suo agio nonostante le remore del Re.
-E' l'unico modo per non farla più tornare. Se non ci credi
potrai chiedere ad Aslan... quando tornerà.-
Peter
sembrò arrendersi all'idea di affidare a quei tre Narniani
una cosa così importante, memore delle varie volte che li
avevano aiutati nei momenti di difficoltà e della profonda
conoscenza che Lia sembrava avere di Narnia, della pacatezza che
sprigionava sempre intorno a sé, perfino in quel momento per
un discorso così importante.
Sospirò
pesantemente, fissando gli occhi azzurri in quelli di Dhemetrya che
ancora reggeva lo scettro.
-Va bene.-
***
Antares
fermò la propria marcia sulle sponde di una delle tante
ramificazioni che andavano a formare il fiume che i Pevensie avevano
percorso con la barca rubata ai Telmarini. Il manto nero faceva un
bellissimo contrasto con la natura, facendo risaltare ancora di
più la vividità dei colori che la ornavano.
Dhemetrya scese con un movimento veloce, non creando nessun rumore con
i calzari quando sfiorò il terreno. Mosse qualche passo
incerto, facendo scorrere lo sguardo su quell'ambiente che le smosse
sotto la pelle un'incredibile senso di familiarità.
Era uno
dei tanti luoghi in cui aveva passato quei lunghi anni immersa nel
silenzio, abbastanza lontano dai confini di Telmar perché
gli uomini fossero un pericolo e nelle vicinanze di Cair Paravel, tanto
che spesso per nostalgia aveva raggiunto le rovine del castello e si
era fermata ad osservare il mare dai ciò che rimaneva delle
grandi balconate.
Dhemetrya sospirò, posando lo sguardo sul
fiume che scorreva davanti a loro, ricordando quando le sue acque
risplendevano delle risate delle naiadi e le driadi suonavano melodie
rilassanti sedute sui rami di quegli stessi alberi ora chiusi nel
silenzio. Osservò il proprio riflesso nello specchio
d'acqua, facendo quasi fatica a immedesimarsi con la figura che vi
vedeva all'interno.
Quella ragazza dal volto scavato, lo sguardo
spento, la pelle così pallida da sembrare grigia e una
speranza ormai gettata alle ortiche... non era lei. La lucente Figlia
del Cielo.
Lucente...
Dhem chiuse gli occhi, irrigidendo i tratti di un
viso che ricordava molto più delicato ed armandolo di un
sorriso amaro, stanco come lo era il suo spirito, stringendo lo scettro
che teneva in mano con così tanta forza che le nocche le
sbiancarono.
Cosa le era rimasto di
lucente?
“Figlia
mia.”
Dhemetrya si irrigidì, aprendo gli occhi di
scatto come se si fosse scottata, rimanendo abbagliata per qualche
secondo dalla luce del sole riflessa sull'acqua. Rimase immobile,
incapace di darsi una spiegazione sul motivo per cui le era sembrato
che la voce sentita nella testa provenisse in qualche modo dall'acqua,
studiando la superficie calma restituirle l'immagine di una ragazza
dagli occhi agitati e pieni di confusione.
Si voltò verso
Lia ed Antares, rimasti in disparte per decidere la strada migliore da
percorrere, indecisi se avrebbero avuto più fortuna con il
luogo in cui erano comparsi i Pevensie o in cui Dhemetrya aveva visto
la Grande Magia.
I due Narniani la guardarono, sentendosi osservati,
lanciandole degli sguardi interrogativi per la tensione che stava
spargendo intorno a sé e che percepirono irradiarsi nel
silenzio in cui erano immersi. La mora scosse la testa, non capendo,
continuando a tenere gli occhi puntati sui due. Stava forse diventando
pazza?
“Figli miei...”
Quando quella stessa voce
per la seconda volta le penetrò nella testa come un sussurro
leggero, con quella nota di dolcezza inconfondibile, Dhemetrya stava
ancora osservando Lia ed Antares. Li vide irrigidirsi e tendere le
orecchie, riuscendo a riconoscere nei loro sguardi la stessa miriade di
emozioni che avevano preso a tormentarla.
Nessuno dei tre
osò parlare, facendo calare tra di loro un silenzio carico
di aspettativa.
“Figli miei, sono qui.”
Dhem
voltò il viso, puntando gli occhi pieni di stupore nel fiume
e trovando al posto del proprio riflesso il volto della Grande Magia
che la guardava, sorridendo appena, i lineamenti eterei come li
ricordava.
Sembrava galleggiare al di sotto della superficie, i lunghi
capelli argentei che si fondevano in leggeri arabeschi con l'acqua.
“Madre? Cosa...”
La donna puntò gli
occhi sapienti accanto a Dhemetrya, permettendosi qualche secondo per
studiare quei visi che l'avevano affiancata ed a cui da troppo tempo
non si era mostrata.
“So che avete bisogno di me.”
Si limitò a dire, sfoggiando un sorriso mentre scrutava
oltre l'apparenza, notando lo stupore che si dipinse sui visi dei tre
ragazzi che la guardavano dalla sponda del fiume.
Dhemetrya
portò avanti lo scettro, mostrandoglielo apertamente. Lo
avvicinò all'acqua e degli arabeschi di luce e gocce si
allungarono verso l'oggetto, inglobandolo in una bolla fatta di magia
impalpabile che lo trascinò nelle mani della donna che stava
sotto la superficie – oltre quel mondo che loro conoscevano,
trascinandolo in una dimensione da cui nessuno sarebbe più
riuscito a strapparlo via.
“Mi dispiace non potere fare di
più per aiutarvi, Figli Miei...” Gli occhi della
Magia si oscurarono di tristezza, osservando come quelle creature che
erano così profondamente parte di lei fossero sciupate,
stanche e deboli.
“Non preoccupatevi. Vi stavamo cercando
proprio per questo motivo.”
Dhemetrya si voltò per
osservare l'espressione che Lia poteva aver assunto, incuriosita dalla
voce suonata leggermente diversa, strabuzzando gli occhi quando si
trovò davanti il motivo per cui la donna riflessa nell'acqua
sorrideva.
Trovò al posto della lupa la figura formosa di
una ragazza dai lunghissimi e ricci capelli castani e gli occhi
smeraldini.
Non è possibile...
Rimase a bocca aperta qualche
secondo, incapace di sapere cosa dire ed ignorando il dialogo tra le
due, girandosi poi di scatto dalla parte opposta, sentendo una stretta
alla bocca dello stomaco. Si portò una mano alla bocca,
sentendo il respiro che le si mozzava in gola, ricevendo in risposta
un'ammiccante occhiata dai due profondi occhi nocciola, talmente chiari
e vividi da sembrare quasi ambrati, che spiccavano sul volto del
giovane uomo accanto a lei.
Quanto tempo era che non
vedeva quei volti?
Sentì la testa vorticare, Dhem, tanto che dovette appoggiare
una mano sul terreno per sostenersi.
“Figlia mia.”
La ragazza si sforzò di puntare lo sguardo nell'acqua,
cercando di trovare in quella voce un appiglio per evitare di annegare
nella marea che le stava sconvolgendo l'animo.
“Co-come
è possibile?” Domandò, facendo passare
lo sguardo sui due ragazzi accanto a lei. Temeva che li avrebbe
dimenticati a furia dei secoli passati senza vederli.
Il ragazzo le
mise una mano sulla spalla, ma ciò che vide nel profondo
dell'occhiata rassicurante che le stava dando, Dhemetrya, fu solo una
profonda tristezza. Una tristezza data dalla consapevolezza di essere
rilegato in una forma che non gli apparteneva.
“Purtroppo la
poca magia rimasta mi permette di farvi solo questo regalo. Appena me
ne sarò andata... tutto tornerà come
prima.”
La mora vide gli occhi della donna passare in
rassegna i loro volti, riservandogli un'occhiata di scuse, notando
l'immagine che iniziava a sbiadire e la stanchezza che ne segnava i
tratti. In qual modo strano che era il legame tra loro sentì
come se le forze venissero meno anche a lei.
“Non fatevene
una colpa. Dovete rimanere fiduciosa, come ci avete sempre
detto.” Il ragazzo si allungò verso l'acqua,
immergendovi una mano come se volesse accarezzare il viso al di sotto
di essa – senza riuscire, però, a toccarlo
davvero. La donna sorrise nella sua direzione, divenendo sempre
più confusa sotto i loro sguardi.
Avrebbero voluto riempirla
di domande, sapere perché era successo tutto ciò,
perché si era arrivati al punto in cui la magia in Narnia
stava scomparendo, ma erano troppo consapevoli del fatto che non c'era
tempo.
Essersi mostrata per quei pochi minuti doveva esserle costato un
immenso sforzo, e l'acqua sempre più torbida davanti a loro
era la prova di quanto rapidamente la sua presenza in quel pezzo di
fiume stesse scomparendo senza la delicatezza a cui erano sempre stati
abituati, rigettata indietro come se fosse fuori luogo.
Dhemetrya
continuò a fissare gli occhi nel ruscello, incapace di
muoversi, sentendosi ancora addosso il calore sprigionato da quegli
occhi sapienti.
“Arrivederci, Madre.”
Tadadadannn!
Ciao
a tutti :)
Non ho molto da dire in realtà su questo
capitolo, credo sia abbastanza esplicativo da sé. Era
necessario per me sondare i vari pensieri che prendono i Pevensie dopo
Jadis, quindi mi scuso se potrebbe essere risultato un po' pesante da
sopportare. La scena tra Eve ed Edmund se la sono gestita praticamente
da soli e io li ho trovati teneriii... e li ho lasciati fare xD
Da dopo
il prossimo capitolo inizierà un arco di almeno 4/6 capitoli
che riveleranno parte della trama, quindi mi prenderò tutto
il tempo necessario per sciogliere le varie situazioni che si andranno
a creare. Nel frattempo spero che questo vi sia piaciuto. :)
Il
prossimo aggiornamento sarà verso fine gennaio, se riesco un
pochino prima. Nel frattempo vi ringrazio per aver letto e vi auguro
buone feste.
Love,
D <3
|
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Capitolo 33 *** I cuori sotto la superficie. ***
Narnia's
Spirits
I
cuori sotto la superficie.
L'alba che
annunciò
quel giorno era particolarmente delicata, un susseguirsi di tenui tinte
pastello che andavano via via a rischiare un cielo che fino ad appena
un paio di ore prima era stato costellato dalle stelle della notte che,
buia e silenziosa, era calata su Narnia.
Dhemetrya sospirò
palesemente, scrutando l'orizzonte dalla piccola altura su cui si
trovava, facendo scorrere lo sguardo sui profili dei boschi e delle
montagne ancora immersi nella nebbia mattutina.
Il tempo stava
cambiando. Le giornate iniziavano ad accorciarsi, l'aria ad essere
più umida, a tratti perfino pungente, il cielo meno
splendente... la natura che formava quel mondo sembrava stesse mutando
espressione, assumendo delle note quasi malinconiche che riuscivano a
farle nascere un grosso sentimento di nostalgia.
Presto, Dhemetrya lo
sapeva bene, avrebbe cambiato i colori, assumendo quelle tinte in
armonia con i tramonti infuocati di cui spesso era stata testimone.
Presto sarebbe arrivato
l'autunno.
L'ennesimo autunno a cui avrebbe
assistito, l'ennesimo passaggio di testimone tra una stagione e
l'altra.
Dhemetrya spostò il peso del corpo da una gamba
all'altra, godendosi il silenzio in cui era avvolta la foresta,
assaporando quel momento di quiete assoluta che precede un nuovo giorno
e in cui il tempo sembra fermarsi, come congelato, in cui si era
trovata in mezzo.
Era passata un'altra manciata di giorni da quando
Jadis aveva tentato di tornare in vita. Quell'evento, le cui voci si
erano diffuse tra le truppe Narniane, aveva messo a dura prova
l'equilibrio ancora neonato che si era appena ristabilito.
I soldati si
erano guardati con rinnovato sospetto, lanciando occhiate di disprezzo
sopratutto verso i nani, domandandosi se per caso non potesse esserci
qualcun altro che stava tramando nell'ombra. Era risaputo che durante
gli anni d'inverno in cui aveva governato la Strega Bianca i primi ad
essere passati dalla sua parte erano stati proprio loro, per puro
istinto egoistico di sopravvivenza.
I Pevensie avevano passato ogni
momento di quelle giornate cercando di far tornare quelle creature
coese verso quell'obbiettivo comune che sembrava sempre più
vicino, evitando – lei l'aveva capito benissimo –
il più possibile di far trapelare quanto fossero rimasti
scombussolati da quell'incontro, incitandole a non perdere la speranza.
I Telmarini erano oltre la metà nella costruzione del ponte
che gli avrebbe permesso di raggiungerli e la battaglia finale si
sarebbe combattuta entro un paio di settimane, forse tre se erano un
po' più fortunati.
A zittire i borbottii ed appianare gli
animi sfiduciati l'intervento della pacifica e ammirata figura di
Glenstorm era stato ciò che di più proverbiale
Peter ed i fratelli avrebbero potuto desiderare.
Il centauro era
rispettato, le sue spiegazioni e la profonda conoscenza degli eventi
sia presenti che futuri riuscivano ad incantare anche la creatura
più tormentata. Vederlo riporre, per l'ennesima volta, la
piena fiducia negli antichi Re e in Caspian aveva agito da specchio,
facendo si che anche tutti gli altri ne seguissero le orme –
esattamente come quando, settimane prima, aveva giurato
fedeltà al Principe di Telmar.
Le cose, quindi, con calma
erano tornare ad appianarsi. Non sapevano altrimenti in che modo
avrebbero potuto arginare il problema di un'eventuale rifiuto da parte
dei Narniani di battersi al loro fianco in un momento così
cruciale per un eventuale senso di tradimento che avrebbero potuto
provare.
La ragazza chiuse gli occhi, nascondendo alla vista della
foresta ancora addormentata gli assonati occhi blu, muovendo il collo
per cercare di rilassare le spalle in tensione.
Allo stesso modo, il
tempo anche per lei era tornato lentamente a scorrere.
Dopo l'incontro
con la Grande Magia, dopo che li aveva degnati della sua presenza, dopo
che aveva ricordato a Lia ed Antares che avevano una vita oltre quella
in cui si trovavano, non avevano più parlato molto
– soprattutto, non avevano più parlato del
destino, della magia, o dei loro compiti. I due sembravano essersi
chiusi in un silenzio malinconico, forse perfino rassegnato, un
silenzio così pesante che Dhemetrya lo sentiva penetrarle
fin dentro le ossa anche se non c'entrava nulla.
Una bolla di vuoto,
come svuotati si erano ritrovati loro stessi quando erano ritornati al
campo.
Non era da loro farsi abbattere, ma Dhem immaginò che
essere messi davanti alla consapevolezza di tutto il tempo che avevano
passato separati non dovesse essere piacevole. Per la
verità, lo trovava triste. Immensamente. Le loro vite
un'utopia, il loro legame proibito sospeso nei secoli... e forse senza
occasione di riaverli indietro.
Erano passati anni da quando erano
stati felici e spensierati, loro tre, ma mai si erano soffermati a
pensare che le loro vite sarebbero potute giungere ad una fine,
scomparire così come erano nati nel giro di un soffio di
vento. Avevano sempre cercato di mantenersi neutrali, in attesa,
cercando di conservare quella fiducia che non gli permetteva di lasciar
andare tutto in malora.
Un richiamo istintivo, qualcosa a cui non
potevano sottrarsi nemmeno con l'evidenza di tutto ciò che
era successo perché più forte di qualsiasi altra
emozione, una vocina che in testa gridava di tenere duro.
Dannazione,
quelle cose pesavano.
Occhieggiò i borsoni che le
penzolavano ai fianchi, passando le mani sotto le tracolle che aveva
incrociate sopra il seno per dare sollievo alla pelle che sentiva
tirata dal loro peso. Restò ferma qualche secondo, fissando
quelle sacche senza vederle davvero, permettendosi di rilassarsi
approfittando di quell'oasi di pace e cercando di scacciare la
stanchezza che iniziava a percepire.
Avrebbe solo voluto chiudere gli
occhi per qualche minuto. Era stata in giro tutta notte, ma
finché non tornava alla casa di Aslan non poteva permettersi
debolezze o perdite di tempo. Si trovava in una zona lontana dal guado
di Beruna in cui sostavano i soldati, ma era ancora troppo vicina
all'entrata della foresta per sentirsi totalmente al sicuro.
Si
portò gli indici alle tempie, sentendo delle fitte alla
testa, maledicendo se stessa e sentendosi tremendamente sconvolta per
il modo in cui emozioni a cui non avrebbe dovuto dare ascolto le
stavano da giorni scuotendo l'anima.
Chi glielo aveva fatto fare?
***
-Biscotti?-
Susan
alzò un sopracciglio, smettendo di ripiegare la coperta che
stava svogliatamente sistemando e voltandosi, puntando lo sguardo sulla
sorella. Gli occhi chiari non nascosero una vena di scetticismo per
quelle parole, ma si limitò ad osservare la minore delle
sorelle senza concedere altre espressioni che facessero intuirne i
pensieri.
-Si.- Lucy mimò un sorriso, consapevole di quanto
potesse sembrare strana quella sua richiesta, sbattendo le palpebre e
rimanendo seduta su una sporgenza di pietra che si trovava
in quella che era stata la loro camera appena arrivate.
-Non mi pare il
caso, Lu...- mormorò la Dolce, lanciando un'occhiata ad
Evelyn, ferma a farsi allacciare i lacci del corsetto da Dhemetrya e
notando lo sguardo perplesso che le stava rimandando e che, era sicura,
avesse assunto anche lei.
La Narniana, invece, rimase a fissare il
lavoro che stavano svolgendo le proprie dita, senza dare segno di
volersi intromettere in quella discussione tra Regine ma sentendosi, in
realtà, profondamente curiosa per quell'uscita particolare.
-Lucy, come può venirti in mente un'idea simile proprio
ora?- sbottò Eve, con un moto di stizza, lanciandole
un'occhiata palese e allargando le braccia indicando la stanza in cui
si trovavano ma intendendo, in realtà, tutta la casa di
Aslan
e la situazione precaria in cui erano coinvolti. Certe volte non
riusciva proprio a capirla.
-Io penso che se facciamo dei biscotti i
soldati potrebbero apprezzare. Li aiuterà anche a migliorare
l'umore.- Lucy si alzò in piedi, avvicinandosi alle sorelle
senza paura di sostenere i loro sguardi.
Da quando era successo il
fatto di Jadis i suoi fratelli erano tutti rigidi, sospettosi ed in
allerta, e questo non aiutava né loro né i
Narniani che dovevano guidare. Non era stupida, aveva capito che le
cose non erano ancora tornate al loro posto, anche se non glielo
avrebbero mai detto direttamente per non preoccuparla.
Lucy riusciva a
leggere dietro i silenzi e i sorrisi della sua famiglia, sentendo il
peso dei loro tormenti come se fossero suoi.
Voleva fare qualcosa per
far tornare un po' di leggerezza, voleva riuscire a trasmettere un poco
del calore della speranza che sentiva ruggirle nel petto, e quella le
era sembrata la cosa più semplice e veloce da poter attuare
tra tutte le idee che le erano balzate per la mente e che, sicuramente,
non sarebbe stato possibile fare.
Era consapevole che non avrebbero di
certo potuto mangiare come se fossero ad un banchetto, o ballare per
ore, ma i fuochi c'erano, alcuni cibi anche, solo... mancavano alcuni
ingredienti – e di altri se ne poteva fare a meno, viste le
circostanze.
Perché no? Perché non rischiare, per
portare un po' di spensieratezza? Non c'erano già state
troppe cose brutte a cui assistere, troppo dolore da sopportare? Voleva
solo avere dei pensierini da distribuire tra quella gente, come i
sorrisi che non si era mai risparmiata di fare ma che, in quei giorni,
nessuno sembrava vedere realmente, facendola sentire ancora
più piccola rispetto all'età che dimostrava e a
ciò che le era permesso fare.
Con quel corpo di ragazzina non poteva combattere, i
fratelli glielo avevano evitato il più possibile anche durante
l'Età d'Oro nononostante se la sapesse cavare egregiamente, non era adatta come compagna di allenamento perché se la situazione non lo richiedeva non riusciva a fare sul serio... l'unica cosa che le era sempre venuta bene e
spontanea era regalare un po' della positività che sempre
l'aveva accompagnata. E se quello era il compito che Aslan sembrava
averle lasciato, se doveva riuscire a non far perdere la speranza nella
prospettiva di un riscatto per Narnia e nel ritorno del leone, lo
avrebbe fatto.
Avrebbe fatto tutto ciò che era necessario.
Lucy si morse un labbro, incerta, seguendo il filo dei propri pensieri.
Aveva già controllato, ed era sicura che soprattutto non
bastasse la farina.
-Non abbiamo abbastanza riserve di cibo. Come pensi
di farli? Con l'aria?- la punzecchiò Evelyn, senza reale
cattiveria. Già si immaginava dove Lucy sarebbe andata a
parare e poteva benissimo sentire nella testa le risposte e gli
assoluti divieti che sarebbero usciti dalla bocca di Peter, i lampi che
avrebbero mandati i suoi occhi.
-Li prendiamo alla cittadella.- fu
infatti la risposta della Pevensie. Eve si portò una mano
alla tempia scuotendo la testa, per nulla sorpresa, e Susan
aprì la bocca aggrottando elegantemente le sopracciglia,
sfoggiando un'espressione d'indignazione che strappò un
mezzo sorriso divertito a Dhemetrya.
-Assolutamente no. Sei matta? Lo
sai che se ci scoprono è la fine? Sia per noi che per
Narnia.-
Lucy strinse le labbra, consapevole nonostante tutto della
verità intrisa tra le parole della maggiore.
Abbassò lo sguardo a terra, sentendo l'impotenza strisciarle
stancamente addosso.
Sapeva che Susan ed Evelyn avevano ragione, che
sicuramente il villaggio era in allerta e pieno di soldati,
però... però voleva fare qualcosa.
***
-Andate
da qualche
parte?-
Lucy s'immobilizzò sul posto, sussultando di
sorpresa per non essersi accorta di non essere sola. Strinse le redini
del cavallo che stava finendo di sellare, voltandosi, raccogliendo
tutta la sicurezza di cui sapeva poteva disporre.
Faticò a
mettere a fuoco la figura che la guardava a qualche metro di distanza
avvolta dal buio della sera e dalla vegetazione. Per non farsi vedere
dai suoi fratelli e per evitare che occhi indiscreti si intromettessero
in ciò che stava facendo si era allontanata con una scusa
dal rifugio, fingendo di voler far fare un giro al cavallo che avevano
portato via dalle scuderie la notte dell'attacco a Miraz.
La Pevensie
si rilassò, sfoggiando suo malgrado un sorriso, riconoscendo
nella figura che aveva fatto qualche passo nella sua direzione la
pacata persona di Dhemetrya. Non se lo spiegava, ma sapere di non
essere più sola in quel bosco un po' troppo vicino alle
truppe di Telmar un po' la rassicurava, anche se mentre raggiungeva
quello spiazzo non aveva mai pensato alla possibilità di
rischiare un'imboscata dai soldati nemici.
-E anche se fosse?- le
domandò, alzando il mento in un'espressione che di arroganza
aveva ben poco – se non nulla. Vide Dhem aprirsi in un
sorriso compiaciuto, passandosi la lingua sulle labbra.
-Non credo i
tuoi fratelli saranno contenti.- le disse, mettendosi le mani sui
fianchi e calciando un sassolino. L'arco che portava
ondeggiò per quel movimento, riflettendo sul legno lucido il
chiarore della luna.
Non c'era bisogno che la Pevensie le desse troppe
spiegazioni: a fronte di ciò che aveva sentito quella
mattina, del luccichio di determinazione che le aveva visto nello
sguardo nonostante il divieto, era ovvio ciò che stesse
facendo senza dire niente a nessuno.
La ragazzina sospirò,
accarezzando il cavallo senza rispondere.
-Devo farlo.- disse, dopo
qualche minuto, senza guardare la Narniana in faccia. Non se lo
spiegava, ma sapeva che era la cosa giusta da fare. Come sapeva che
aveva visto davvero Aslan al burrone e non ne aveva dubitato nemmeno
per mezzo secondo.
Seguirono dei minuti di silenzio, in cui si
sentì addosso lo sguardo penetrante di Dhemetrya mentre
tornava a sistemare le redini.
-Ti prego... di restarne fuori.- Lucy
tornò a voltarsi verso la ragazza, specchiandosi nei suoi
occhi rilassati. Ci mancava solo che facesse la spia e andasse a dirlo
ai suoi fratelli e già sapeva cosa le avrebbe detto Peter.
Non aveva voglia che lui pensasse di doverle anche fare da balia, con
tutto il resto delle cose che doveva gestire. In realtà, non
voleva pesare sui suoi fratelli. Lucy si pentì di averne
anche parlato con Susan ed Eve quella mattina, riflettendo sulla
possibilità che poteva aver messo loro in testa
che avrebbe fatto qualche gesto azzardato.
Dhem sospirò,
modellando un lieve sorriso e chiudendo per qualche secondo gli occhi,
rilassando le spalle, sapendo già in che modo si sarebbe
concluso quel discorso.
Sicuramente
era una faccenda che non la
riguardava. Però...
Tornò a puntare lo sguardo sulla Pevensie,
ancora ferma ad osservarla. Lucy era, in qualche modo, sempre stata la
prediletta di Aslan. Era l'unica che ancora credeva fermamente in lui
ed era l'unica a cui si era – apparentemente –
mostrato settimane prima.
Perché?
Perché a
un'umana e non a lei?
La mora sospirò, posando una mano sul
fianco, riflettendo di come la figura della Pevensie l'avesse sempre,
in
qualche strano modo, attirata. Tanto da salvarle la vita con l'orso
senza pensarci due volte. Lucy rifletteva quella parte di giovane
speranza a cui lei aveva dovuto rinunciare, un'innocenza e
spensieratezza che ormai erano solo dei brandelli di ricordi a cui ogni
tanto si attaccava.
Forse un po' la invidiava. Invidiava la
caparbietà con cui non si faceva soggiogare a ciò
che dicevano o pensavano agli altri, la sicurezza con cui faceva
ciò che le diceva il cuore.
Se fosse andata davvero via, e
le fosse successo qualcosa... non se lo sarebbe perdonato. Non poteva
permettere che le succedesse qualcosa. Per Evelyn, per Aslan, per
Narnia... perfino per se stessa.
-Andrò io.-
***
-Sicuro
che fosse qui,
Edmund?-
Eve si voltò per occhieggiare il fratello,
sforzandosi di non alzare un sopracciglio con fare scettico.
Intercettò la figura del moro a qualche metro di distanza da
lei, intento ad osservare con cipiglio critico il terreno attorno a
loro.
-Io...- provò a mormorare, senza nemmeno guardarla in
faccia e mordendosi il labbro inferiore. Evelyn sospirò,
osservando il circondario senza sforzarsi di vedere davvero
ciò che incontravano i propri occhi.
Era impossibile che
quella dannatissima collana fosse ancora integra, ma Edmund sembrava
così deciso a volerla ritrovare che non osava dirglielo ad
alta voce.
Erano passate
più di due settimane! Ed aveva
anche piovuto...
Non capiva perché improvvisamente, un paio
d'ore prima, Edmund si fosse svegliato con di nuovo in mente quella
collana e motivato a ritrovarla. Suo fratello non era stupido
– anzi, era il più lungimirante e concreto di
tutti loro –, sapeva benissimo che, con i giorni che erano
trascorsi, se anche fossero riusciti a distinguerla da quel terreno
immenso si sarebbero trovati davanti solo a dei rimasugli ormai
appassiti di steli e petali rovinati.
Quindi
perché? Cosa
c'era nel comportamento di Edmund che le sfuggiva?
Eve
riportò lo sguardo sul Pevensie, osservandolo ciondolare per
il prato con fare assorto e riservando un'occhiata preoccupata alla
schiena che le stava rivolgendo.
Forse c'entrava ancora
Jadis?
La
Pevensie scosse lievemente la testa, cercando di scacciare quel nome
dalla testa senza staccare gli occhi da Edmund come se fosse potuto
sparire da un momento all'altro. Sospirò nuovamente,
rivolgendo lo sguardo all'erba e cercando d'ignorare la sensazione
sinistra che rievocare quel nome le aveva procurato.
Sperava che,
qualsiasi fosse il motivo che sembrava tediarlo, gliene avrebbe
parlato.
Dannazione. Dannazione.
Doveva esserci, doveva trovarla,
voleva trovarla...
Si passò nervosamente una mano tra i
capelli, Edmund, stringendo appena le ciocche tra le dita ed ignorando
il lieve fastidio che si procurò con quel gesto.
Da qualche
parte nella sua mente la parte più ragionevole di se stesso
gli sussurrò che era passato troppo tempo perché
quel regalo che non aveva mai visto indossato da sua sorella fosse
ancora integro.
Chiuse gli occhi, assaporando i raggi del sole
mattutino accarezzargli la pelle del viso e cercando di calmarsi,
ritrovandosi a dar ragione alla propria coscienza. Avrebbe dovuto
trovarla quel pomeriggio in cui poi si era perso nei ricordi, o se
Evelyn
non fosse stata in pericolo.
Forse, in quel modo...
Eve lo guardava, a
qualche metro di distanza, senza preoccuparsi di nascondere la nota di
apprensione che le luccicava nello sguardo e le sopracciglia lievemente
aggrottate, i capelli appena smossi dall'aria settembrina.
Edmund si
sforzò di sorriderle, inspirando profondamente ed
avvicinandosi di qualche passo senza interrompere il contatto visivo.
Gli sembrò come se tutto il resto intorno a lui fosse
diventato sfocato, come se non riuscisse a vedere altro che il suo viso
circondato da quella cascata mogano e gli occhi chiari.
Si
ritrovò attirato dalla sua figura dimenticando per un breve
lasso di tempo tutto il resto, lasciando fuori dalla mente ogni
pensiero che non fosse quello d'imprimersi più dettagli
possibili di Evelyn che lo guardava.
-Ed...- gli mormorò,
quando fu a qualche passo di distanza da lei. Gli lanciò
un'occhiata incerta, e lui annuì, capendo cosa si celasse
dietro il silenzio paziente con cui la Pevensie l'aveva sopportato per
quel tempo di ricerca vana e sforzandosi di ingoiare il boccone amaro
della delusione.
-Lo so Eve, lo so.- confessò, arrendendosi
e lasciando andare stancamente le braccia lungo il corpo.
Avrebbe
voluto farle riavere quella collana che era stata uno degli ultimi
momenti di gioia che avevano condiviso prima che tutto andasse a rotoli
anche in quel mondo, avrebbe voluto vedergliela indossata, ammirare il
bianco delle margherite in contrasto con il caldo castano dei suoi
capelli eppure tremendamente simile al candore della sua pelle.
Le
margherite non c'erano più in quel prato che era stato
testimone dell'ennesimo momento segreto che Edmund avrebbe custodito
negli antri del proprio cuore, spazzate via dal cambio del tempo. Tutto
ciò gli procurava un senso di dispiacere talmente forte da
fargli
quasi venire la nausea, mentre osservava gli occhi di sua sorella
guardarlo con un malcelato tormento.
Sapeva che Evelyn si era sentita
in colpa per Jadis e che un abbraccio non avrebbe potuto
fare niente. Lui lo sapeva bene, quanto le parole possano suonare vuote
se non ci si crede quando le si ascolta.
Avrebbe voluto farle un regalo
per tirarle su il morale, l'unico che quella situazione poteva
concedergli – e invece quel regalo non c'era. Ed era stato
stupido ad aver pensato di poter avere anche solo la minima
possibilità di ritrovarlo dopo tutto il tempo che era
passato.
Ma lui, per Evelyn,
avrebbe tentato anche l'impossibile...
Edmund voleva renderla felice per quanto gli era possibile e invece in
quel momento si sentiva inutile. Perché anche se non glielo
diceva Eve era triste e lui lo sapeva, e lui odiava sapere che stava
soffrendo senza poter fare nulla.
-Dai, siediti un po'.-
Qualcosa si
riscosse nel ragazzo a sentire quelle parole. Il Pevensie
sbatté le palpebre un paio di volte, intimandosi di darsi
una svegliata e cercando la figura di Evelyn che, si rese conto, non si
trovava più davanti a lui.
Ci mise qualche attimo a
processare che la Scaltra si era allontanata da lui per avvicinarsi
allo stesso tronco al quale lo aveva trovato appoggiato un paio di
giorni prima e gli stava indicando il posto accanto a lei, battendo
leggermente la mano sull'erba e guardandolo, in attesa.
Edmund
sospirò, forse per l'ennesima volta in poco tempo tanto che
si trovò infastidito da se stesso per quel gesto, ma
occhieggiando Eve non la vide cambiare espressione: la sorella
continuava ad osservarlo, silenziosa e con le labbra tirare in un
sorriso, mentre seguiva con lo sguardo i suoi movimenti. Ad Edmund
sembrò molto una bambina che attende qualcosa con
curiosità e la cosa lo fece sorridere, ricordandosi di
quando da piccola aspettava che Peter le mostrasse qualche trucchetto
di strada che aveva imparato.
-La rifaremo.- disse lei, come per
rassicurarlo, quando le si sedette accanto. Edmund accennò
un sorriso amaro, senza guardarla, ed Evelyn trovò quel
comportamento particolarmente strano.
Non era da Ed accanirsi
così tanto per qualcosa che non poteva dipendere da nessuno.
Lui era sempre stato quello che prendeva le cose come venivano,
specialmente se poco c'era da fare per poterle cambiare. Era bravo a
ragionare, elaborare piani e strategie, ma era anche abbastanza sveglio
da capire quando valeva la pena sprecare sforzi per qualcosa.
Per
l'ennesima volta in quella mattinata, ebbe la sensazione che qualcosa
d'importante riguardante suo fratello le stesse sfuggendo e si
ritrovasse davanti un muro che la teneva lontana. Non capirne il motivo
la mandava in bestia, perché non si era accorta di nulla di
diverso la sera precedente. E invece, ora, Ed era scostante e a stento
parlava...
-Edmund.- riprovò, toccandogli un braccio,
ignorando l'irritazione che sentiva iniziare a premere per uscire.
Catturò subito l'attenzione del moro, che si girò
a guardarla di scatto, bloccandosi nel trovarla più vicino
di quanto pensasse. Le punte dei loro nasi quasi si sfioravano. Eve si
ritrovò incatenata nel castano dei suoi occhi tanto che ebbe
quasi la sensazione di starci annegando dentro, e senza rendersene
conto smise di respirare.
Una piacevole sensazione di oblio.
Tutto
ciò che riusciva a percepire era il prepotente battito del
cuore nelle orecchie e l'intensità dello sguardo che Edmund
le stava rivolgendo, come se le stesse guardando fin dentro l'anima.
Percepì un nodo alla bocca dello stomaco per
l'intensità di quelle emozioni.
Edmund fu il primo a
riprendersi, imponendosi un autocontrollo che non credeva sarebbe
riuscito a racimolare un attimo prima di cedere alla tentazione di
allungare un braccio verso di lei.
Nessuno dei azzardò a
dire qualcosa riguardo quel momento di stasi che li aveva avvolti,
troppo sconvolti ad analizzare ciò che avevano sentito in
quei secondi per concentrarsi sull'altro.
-Hai ragione, la rifaremo.-
ruppe il silenzio il Pevensie, distogliendo lo sguardo e cercando di
scacciare dalla mente e dal corpo la voglia prepotente di protendersi
per baciarla che l'aveva assalito. Evelyn era rimasta immobile a
fissarlo... come se si aspettasse qualcosa?
O forse era lui che aveva
assunto un'espressione che poteva averlo tradito?
Si morse una guancia,
socchiudendo gli occhi, riportandosi alla mente l'espressione di sua
sorella mentre lo guardava e provando un brivido lungo la schiena.
Quella situazione lo stava facendo diventare matto.
-Tutto bene?
Qualcosa ti preoccupa?- si sentì domandare. Edmund si
irrigidì, rendendosi conto che probabilmente stava avendo
uno strano comportamento ai suoi occhi. Si sforzò di
rilassarsi, cercando di ritrovare la calma appoggiandosi al tronco
dietro di lui e fissando lo sguardo sul cielo, fingendo di non sentire
i battiti accelerati del proprio cuore ed i dubbi tartassargli la
mente.
-No, no... va tutto bene.- mentì, sforzandosi ad accennare
un
sorriso e schiarendosi la gola. Sentì su di sé lo
sguardo di Eve che lo studiava e cercò di ignorarlo per non
mostrare i propri turbamenti.
Non poteva permettersi di fare errori.
Non poteva cedere... non doveva. Dannazione, perché da
quando erano tornati gli risultava sempre più difficile
comportarsi normalmente? Perché pochi momenti prima gli era
sembrato che Evelyn... no, no. No. Era la sua mente che gli stava
facendo
brutti scherzi facendogli immaginare cose che non c'erano.
Sussultò sentendo l'inconfondibile suono del ferro di quando
viene estratta un'arma e tese i muscoli, in allerta, portando
istintivamente la mano all'elsa della propria e puntando lo sguardo
sulla foresta circostante.
-Che stai facendo?- si sentì
domandare, nuovamente, nel giro di pochi minuti. Edmund si
voltò verso la sorella, credendo di essersi immaginato tutto
e supponendo di star perdendo definitivamente la ragione.
-Eh?- biascicò, confuso. Eve gli fece dondolare
innocentemente davanti al viso la propria arma.
-Volevo affilarla.
Edmund, sicuro di stare bene? Mi sembri distratto.- fece quella,
rispondendo al suo sguardo interrogativo e tirando fuori da un
sacchetto una pietra.
-Ah, si. Va bene.- Il Pevensie mandò
giù sonoramente la saliva, sentendosi particolarmente
spaesato e poco padrone di se stesso tanto da darsi dello stupido.
Osservò Eve portarsi la spada davanti al corpo, esaminandola
con sguardo serio per una manciata di secondi prima di puntare verso il
terreno la punta, iniziando a far scorrere la pietra lungo la lama.
Per
un po' ad avvolgerli ci fu solo il silenzio, rotto dal vibrare del
ferro contro la pietra o dal suono di qualche cinguettio in lontananza.
Se non ci fosse stato il perenne pensiero della guerra imminente poteva
quasi sembrare che si trovavano nella Narnia di milletrecento anni
prima.
-Sai, non capisco perché stamattina ti sei fissato
con la collana.- Ruppe quel momento Eve, continuando con il proprio
lavoro senza guardare il fratello in faccia. Ci stava pensando da vari
minuti e non riusciva più a contenere la
curiosità che la stava assalendo.
-Come?- domandò lui, interrompendo i propri pensieri per
concentrare la propria
attenzione su di lei. La vide bloccarsi e roteare gli occhi.
-Si,
insomma... sai anche tu che sono passati troppi giorni.
Perché ti ci sei fissato? Hai combinato qualcosa?-
indagò lei, alzando le spalle come per minimizzare ma
lanciandogli, di sottecchi, una lunga occhiata. Voleva sapere. Era
sicura che ci fosse qualcosa che non le stava dicendo e moriva dalla
voglia di capire cosa fosse. Il tergiversare ed il
silenzio dietro cui il ragazzo sembrava rifugiarsi le stavano
dando solo conferma.
Edmund le nascondeva qualcosa.
-Non ho combinato
niente.- iniziò lui, cercando di sfuggire allo sguardo
indagatore che Eve gli stava riservando e portandosi le mani al petto
in un vano gesto di innocenza.
-Oggi sei strano, Ed.- fu la piccata
risposta che gli riservò sua sorella – ed Edmund
in quel momento trovò particolarmente difficoltoso
trattenersi dal risponderle che era lei, con la sua sola vicinanza, a
renderlo strano.
-Da che pulpito.- cercò di sviare,
sollevando un sopracciglio con fare scettico e guardandola con
divertimento. Eve aprì la bocca un paio di volte senza
però dire nulla, indispettita, osservando come il Pevensie
stesse trattenendo una risata.
-Ehi! Io non sono strana!- Si sentì
immediatamente più sollevata e si permise di dargli un
leggero schiaffo sul braccio.
-Convinta tu...-
borbottò il fratello, senza togliersi il ghigno che gli era
spuntato sul viso e fingendo di massaggiare il punto offeso.
-Edmund
non prender__-
-Zitta.-
Evelyn si bloccò all'istante,
colpita dal sibilo brusco con cui le si era rivolto e sentendo una
lieve fitta di sofferenza al petto. Ma osservando come il suo corpo si
fosse irrigidito, il modo in cui repentinamente ogni forma di allegria
era scomparsa dal suo viso, capì che qualcosa doveva aver
attirato la sua attenzione.
Qualcosa di cui lei non si era accorta... forse
dei Telmarini nelle vicinanze? Le sfuggivano parecchie cose, quel
giorno.
Vide i suoi occhi dardeggiare per la
foresta, analizzando un punto imprecisato della vegetazione, la mano
già corsa all'elsa della spada. La Pevensie si mise in
allerta di riflesso, vedendo con quanta serietà il moro
fosse attento a ciò che li circondava, impugnando
più saldamente la propria arma ed accennando una vaga
posizione di difesa.
-Edmund...- provò, in un sussurro,
lanciando occhiate al circondario. Non le sembrava ci fosse qualcosa di
diverso. Quello non si voltò a guardarla, continuando a
tenere gli occhi incollati alla foresta, limitandosi a fare un cenno
del capo per farle capire di averla sentita.
-C'è qualcuno.-
fu il basso mormorio che le diede come spiegazione. Eve trattenne il
fiato, cercando di farsi attenta ai suoni circostanti ma senza sentire,
però, nulla di insolito. Si domandò se non fosse
così distratta da non accorgersi di qualcosa di palese o se
Edmund non stesse dando di matto, quel giorno, visto il comportamento
che stava tenendo.
Forse rivedere Jadis l'aveva allarmato
più di quanto lasciasse intendere ed ora vedeva pericoli
ovunque... Fu in quel momento, in cui si stava perdendo nei propri
pensieri, che lo sentì.
Un fruscio.
Eve sbatté le
palpebre, sorpresa, rivolgendo lo sguardo alle proprie spalle pensando
di esserselo immaginata. Ma il modo in cui Edmund si era voltato a
spada sguainata e le si era messo davanti le fece svanire ogni dubbio.
Qualcuno si stava avvicinando.
***
Il
sole del mattino
filtrava attraverso le grandi chiome degli alberi donando vari giochi
di luce ed ombre, i rami sembravano sempre pronti a protendersi per
accoglierla dolcemente ogni volta che saltava da un tronco all'altro
evitandole di cadere.
Sotto il suo sguardo la foresta era silenziosa ed
immobile, chiusa nel proprio dolore, eppure Dhemetrya non poteva che
percepire quanto ancora vi fosse vita all'interno di essa, al modo
materno con cui sembrava indicarle la via più veloce per
raggiungere i luoghi che desiderava e a come le foglie sembrassero
accarezzarla durante la notte.
Probabilmente era un'impressione, nessun
ramo si allungava realmente verso di lei e nessun sospiro di vento la
manteneva in aria quel tanto che le bastava per saltare agilmente tra
una roccia ed un albero senza sentire la fatica.
Eppure, in quel
momento, mentre tornava al campo con le borse piene di ingredienti
rubati, le piaceva pensare che Narnia fosse tornata ad essere quella
terra in cui era nata per proteggerla ed amarla.
Forse era colpa di
Lucy, del modo in cui si ostinava a non lasciarsi abbattere, a farle
credere che ci fosse ancora qualcosa in cui credere. Forse era stato
aver rivisto la Grande Magia, forse era il modo in cui nonostante tutto
quel mondo aveva continuato la sua vita a dispetto delle tragedie di
cui era stata testimone.
Gli alberi si erano chiusi, gli elementali si
erano nascosti, gli animali avevano perso la parola... eppure, c'era
chi aveva continuato a vivere senza spegnere la fiammella di speranza.
Narnia era cambiata, si... ma non si era lasciata morire del tutto.
Piuttosto, quel giorno Dhemetrya avrebbe detto che si era come
congelata nel tempo, in attesa di un nuovo risveglio, di qualcosa che
la facesse tornare allo splendore che la contraddistingueva e che
rompesse quella barriera di silenzio dietro cui si era nascosta. Come
milletrecento anni prima.
Non sapeva perché le fosse venuto
in mente quel pensiero, Dhem, non sapeva cosa le fosse passato per la
mente.
Le era sempre capitato di pensare che la magia nella sua terra
stesse scomparendo come stava scomparendo la speranza, lentamente
divorare dalle crudeltà che gli uomini di Telmar avevano
portato, spingendo Narnia e le sue creature a nascondersi ed a lei di
vivere di stenti. Aveva osservato gli alberi rimanere immobili sotto il
suo tocco, l'aria diventare gelida, le acque scorrere senza fare da
specchio al suo animo o deformarsi in arabeschi allegri.
Eppure,
osservando l'alba che aveva dato vita a quel giorno, le erano tornati
alla mente tutte le cose che erano accadute da quando i Pevensie erano
tornati. La Grande Magia si era palesata ben due volte nel giro di
poche settimane, Antares era tornato da loro, i Narniani si erano
riuniti e anche le sconfitte non li avevano abbattuti...
Non aveva
potuto fare a meno di provare un poco di sollievo, Dhemetrya, come da
tempo non succedeva, in mezzo al caos ed al dolore che l'aveva
accompagnata per tutto quel tempo come una seconda pelle.
Perché dal modo prepotente con cui il sole aveva spazzato
via la nebbia del mattino aveva sentito qualcosa germogliarle
all'altezza del cuore – qualcosa che sembrava tanto simile
alla felicità, ma dal sapore agrodolce, a cui non riusciva
dare un nome.
In qualunque modo sarebbe andata a finire quella storia,
andava bene, fintanto che avrebbero combattuto seguendo il disegno che
era stato scritto per loro dall'alba dei tempi.
E, mentre aveva osservato con
rinnovato interesse i raggi del sole mattutino illuminare la sua terra,
aveva pianto.
***
-Ci
hai spaventato.-
Evelyn rilassò i muscoli non appena riconobbe la figura di
Dhemetrya sbucare dagli alberi. Osservò il viso della
Narniana rivolgere loro un sorriso stanco, gli occhi lievemente lucidi
ed arrossati – dimenticava l'ultima volta che non li aveva
visti in quel modo, ma a quel punto non seppe dirsi se fosse per la
mancanza di sonno o per il pianto o se, invece, era normale li avesse
così.
-Ho notato, non volevo.- si scusò la
ragazza, accennando alle spade che i due Pevensie ancora reggevano tra
le mani e notando i tratti dei loro visi ancora rigidi.
Aveva
riconosciuto subito le loro figure non appena aveva scorto la radura,
ed era stata costretta ad annunciarsi per evitare che facessero mosse
azzardate. Per lei, da sempre abituata a muoversi nel silenzio, era
stato strano dover palesare la propria presenza, ma vederli guardarsi
intorno come degli animali braccati le aveva fatto un po' pena.
Edmund le rivolse un
sorriso imbarazzato, rinfoderando la spada con un gesto fluido e
tornando a guardare la mora, cercando di capire cosa ci fosse nella sua
figura che gli stesse procurando fastidio. Fu allora che
notò i due borsoni che portava ai fianchi e che avevano
l'aria che si sarebbero lasciati andare sotto il peso del contenuto.
-Cosa sono?- domandò, indicandoli con un cenno del capo ed
avvicinandosi per alleggerirla del peso, ottenendo uno sguardo di
ringraziamento.
Dhemetrya si occhieggiò intorno, cercando le
figure di Lia ed Antares in quella radura nascosta, invano. Aveva
capito che quello era una sorta di posto segreto in cui nessun altro,
se non quei due ragazzi, si recava.
Non si spiegava nemmeno come si
fosse ritrovata a tornare al rifugio sbucandogli dietro, convinta che
invece se lo sarebbe trovato a lato. Forse si era persa troppo nei
propri pensieri mentre vagava per la foresta.
Evelyn, avvicinatasi ad
Edmund, storse la bocca in una smorfia quando la mora le
lanciò un'occhiata incerta, facendole un mezzo sorriso,
sviando lo sguardo della Regina per concentrarsi nuovamente
sull'ambiente circostante. Decise che assicurarsi non ci fossero
intrusi e che nessuno l'avesse seguita fosse la cosa migliore che
potesse fare per evitare di sostenere lo sguardo indagatore della
Pevensie.
Non ci mise molto, Eve, a dare un nome per il comportamento
tenuto dalla Narniana.
-Lucy.- fece la ragazza, facendo suonare il nome
della sorella più come una constatazione che come una
domanda. L'occhiata colpevole con cui Dhemetrya non poté
fare a meno di guardarla fu solo una conferma alle proprie
supposizioni.
La minore delle sorelle si era alzata particolarmente
presto, quel giorno, dopo essersi coricata più tardi del
solito... e ora ne capiva il motivo.
-Cosa?- domandò Edmund,
voltandosi a guardarla senza riuscire a decifrare il tono della sua
voce, con un sopracciglio alzato. Fece passare lo sguardo dall'una
all'altra, puntandolo poi sulla borsa che aveva preso e osservando la
Pevensie con una muta domanda negli occhi.
Eve fece un gesto con la
mano, alzando le spalle e rinfoderando Asterius, sospirando
pesantemente per mantenere la calma e per nulla contenta di
ciò che, era sicura, avrebbe comportato il gesto di
Dhemetrya.
-Lascia stare.-
Ciao
a tutti e ben ritrovati! Prima di tutto buon anno nuovo a tutti, anche
se con un mese di ritardo! Spero ve la stiate passando bene. :)
Passando al capitolo: ho dovuto dividerlo perché altrimenti
sarebbe risultato davvero troppo lungo, ma giuro che nel prossimo
sarà presente quel benedetto bacio che ho promesso! Per
questo motivo il presente capitolo è finito per risultare
quasi di
"passaggio", eppure spero di aver reso bene i pensieri di questi tre
poveretti che sono finiti per esserne i soli
protagonisti.
Soprattutto, spero che anche le motivazioni di
Lucy siano abbastanza chiare: da sempre avevo pensato a questo
espediente dei biscotti (che poi capirete è una scusa per
far nascere un'altra scena abbastanza decisiva), ho cercato di limare
un po' la cosa cercando di renderla fattibile per la situazione in cui
si ritrovano.
Che altro dire... penso di aggiornare tra un mesetto, ma
tra un paio di settimane inizierò a ristrutturare casa,
quindi io sarò praticamente sfrattata fino a quando non
sarà posato il pavimento, imbiancato e riarredato almeno la
camera. Ergo, non avrò il mio "angolino di pace" e
sarò presa a fare altro, quindi potrei essere latitante per
un paio di mesi per questo motivo. Cercherò di evitare
questa cosa, comunque, ma non si sa mai.
Nel frattempo vi ringrazio delle letture, recensioni, preferite,
seguite e ricordate e vi do appuntamento al prossimo capitolo!
Love, D. <3
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Capitolo 34 *** Biscotti al sapore di bacio. ***
Narnia's
Spirits
Biscotti
al
sapore di bacio.
I
sibili delle frecce
sferzarono l'aria mattutina per l'ennesima volta, prima che i dardi
andassero a conficcarsi nei bersagli producendo una serie di suoni
attutiti dall'imbottitura di paglia. Sotto lo sguardo attento di Susan,
gli esili bastoncini di legno rifletterono la luce del sole.
-Va bene,
può bastare. Siete stati bravi.-
La Pevensie vide le
espressioni degli arcieri distendersi alle sue parole, rincuorati da
quell'apprezzamento. Sapevano benissimo quanto la Regina e tutti gli
altri si aspettassero da loro e quanto, in quelle settimane, avevano
dovuto imparare sotto i suoi rigidi insegnamenti: alcuni di loro, fino
a qualche tempo prima, nemmeno avevano mai tenuto in mano un arco.
Con
dei brevi cenni del capo il gruppo di Narniani iniziò a
disperdersi, lasciando, nel giro di qualche minuto, Susan da sola
davanti alla file di bersagli. La Pevensie soppesò ancora
per qualche secondo le frecce ancora conficcatevi all'interno,
rimuginando.
La situazione sembrava essersi appianata, i compiti di
ognuno erano ripresi come sempre, lo scettro di Jadis era stato fatto
sparire – ancora si domandava come fosse possibile, ma Lia
aveva detto in un tono fin troppo sicuro che avrebbero potuto chiedere
conferma ad Aslan, e sicuramente l'avrebbe fatto non appena il leone si
fosse palesato –, tra Peter e Caspian andava tutto bene,
ma...
Susan si morse un labbro, frustrata. C'era qualcosa che la
tormentava e non le faceva passare le notti tranquilla – per
quanto tranquilla potesse definirsi quella situazione.
Non capiva se
dipendesse ancora dall'essersi sentita in difetto per non essere
riuscita a prevedere quello che stava accadendo, per aver abbassato la
guardia e permesso al nemico di agire sotto i suoi occhi. Non sapeva se
l'agitazione dipendesse dalla strana richiesta che Lucy aveva fatto il
giorno prima, conoscendo la testardaggine di cui era capace e che
l'aveva costretta ad osservarla con maggiore attenzione. Non capiva da
cosa le nascesse la fastidiosa sensazione che qualcosa, intorno a lei,
non fosse al proprio posto, causandole un nodo allo stomaco...
Caspian.
Susan chiuse gli occhi, intimandosi di respirare lentamente e
ritrovandosi ad ascoltare il suggerimento che le diede una vocina
fastidiosa nella sua mente.
Già, Caspian. Da dopo Jadis
sembrava che tra loro si fosse costruito una sorta di muro, un
silenzioso imbarazzo che non riuscivano a rompere se non con delle
frasi di circostanza che stavano piano piano sgretolando quella strana
confidenza che con non poche difficoltà erano riusciti a
creare.
La Pevensie poteva immaginare la tensione che il Principe
probabilmente provava nei suoi confronti – dopotutto, aveva
messo a rischio l'incolumità di tutti – ma non
sapeva cosa potesse fare. Non era brava ad aiutare persone che non
fossero la sua famiglia o gli amici più stretti,
perché per loro era pronta a dedicare ogni più
piccola fibra della sua attenzione e del suo tempo mettendo da parte la
propria persona. Ma Caspian... cos'era Caspian?
Susan avanzò
pensierosa verso i bersagli, carezzando le piume delle frecce, persa
nei propri pensieri senza rendersi conto che il soggetto dei propri
tormenti la stesse osservando da lontano, indeciso se avvicinarsi.
Cos'era... o chi era, per lei? Perché sembrava avere tutta
quella rilevanza nei suoi ragionamenti?
Come se lo avesse chiamato,
scorse il protagonista dei propri pensieri tormentati poco lontano da
lei, e rimase per qualche attimo interdetta, senza riuscire a camuffare
la sorpresa che le brillò negli occhi nel vederlo e il breve
sfarfallio che le si mosse nel petto. Susan si irritò con se
stessa per quella reazione incontrollata, sperando di non aver assunto
qualche smorfia strana.
-Come vanno? Mi sembrano migliorati
molto.- ruppe il ghiaccio il Principe, soppesando i bersagli ed
iniziando a togliere le frecce ancora conficcatevi all'interno con
gesti decisi. La mira dei Narniani era sicuramente migliorata, rispetto
agli inizi, dove gran parte dei dardi finiva persa nel prato o in
qualche corteccia. La casacca
gli aderiva al petto in un modo che Sue trovò fin troppo
perfetto ed il sole gli illuminava il viso,
facendo brillare gli occhi scuri.
-Mh.-
si limitò a commentare la Pevensie,
ricordando la sensazione di sconfitta che l'aveva accompagnata per gran
parte del tempo le prime settimane. Aveva cercato di non farci caso ma,
riflettendoci a mente fredda, aveva dovuto fare un grande sforzo per
cercare di racimolare quel poco che di positivo la faceva andare
avanti.
Sicuramente la presenza di Caspian e l'impegno dei suoi
fratelli nell'organizzare gli allenamenti erano stati una grande fonte
di sostegno ed ispirazione. Non era stata da sola, a mettere insieme
delle truppe decenti. Non era stata sola.
Quindi ritornava di fronte
alla domanda che le girava nella testa: chi era Caspian, per lei? Solo
un ragazzo che le aveva fatto compagnia? Da cui era riuscita a trarre
un po' di forza e speranza per andare avanti? Un amico?
Solo un amico,
Susan? Ne sei sicura?
La Regina scosse la testa, scocciata per quella
domanda rivolta a se stessa con un tono che assomigliava fin troppo a
quello di Evelyn. Quasi poteva vedersela davanti, mentre si scambiava
delle occhiate palesi con Lucy – cosa che negli ultimi tempi
avevano fatto parecchie volte, quando la vedevano insieme al Principe.
Ma Susan non avrebbe mai parlato apertamente dei propri sentimenti.
Parlare di qualcosa finisce con il renderlo reale e lei... lei non
voleva. Una parte di sé era bloccata, per quanto desiderasse
il confronto con qualcuno che non fosse se stessa.
Caspian viveva
letteralmente in un altro mondo, un mondo che già una volta
li aveva fatti andare via senza provare a fermarli. Un mondo di cui
facevano parte, ma per quanto? Narnia li avrebbe tenuti con
sé, quella volta? No, decisamente non c'era tempo per
abbandonarsi al romanticismo. Troppe cose ben più importanti
erano in sospeso.
-Susan, stai ascoltando? C'è qualche
problema?- La ragazza riportò lo sguardo su Caspian, notando
l'espressione interrogativa che gli si era formata in viso. Il ragazzo
non si era avvicinato molto da quando l'aveva raggiunta, ma gli occhi
penetranti ed il modo apprensivo con cui la stavano scrutando gli
davano un'aria quasi ansiosa.
La Pevensie si sentì un po' in
colpa per essersi persa nuovamente nei propri pensieri e per non
riuscire più ad abbandonare la rigidità che
l'accompagnava. Caspian non se lo meritava, e a lei dispiaceva avere
perso la spontaneità che aveva fatto si che il loro rapporto
crescesse.
-Si... si, va tutto bene. Stavo solo riflettendo su quello
che hai detto.- provò a giustificarsi, rimuovendo anch'essa
alcune frecce dai bersagli ed andandogli incontro. Il vestito
seguì docilmente i suoi movimenti strisciando leggermente a
terra.
Il Principe non disse niente, limitandosi a lanciarle una lunga
occhiata, ma capì che c'era dell'altro che non voleva
dirgli. Tuttavia, nonostante si sentisse osservata, Susan lo
ringraziò mentalmente per non cercare d'indagare oltre e si
rilassò un poco, sentendosi accettata anche nei propri
silenzi. Il ragazzo era stato in grado di farle abbattere i muri che
aveva attorno semplicemente capendo che facevano parte di lei. E la
Pevensie aveva apprezzato tutto ciò, perché non
aveva bisogno di fingere sorrisi o frasi di circostanza.
Ed era stato
proprio quello che aveva affascinato Caspian, di Susan: oltre
all'eleganza dei suoi gesti e l'intelligenza dei discorsi, agli occhi
determinati, e
tutte le belle qualità che si potevano scorgere all'esterno,
c'era una parte nascosta di sentimenti e pensieri che non mostrava a
nessuno. E che lo intrigava, lo intrigava moltissimo.
-Sono stati dei
giorni... difficili.- provò a continuare il discorso, deciso
a non lasciare che il silenzio che già
troppe volte era calato tra loro prendesse nuovamente il sopravvento.
Doveva parlare con Susan. Ne aveva bisogno. Voleva recuperare quel
rapporto che avevano prima che avesse mandato quasi tutto a rotoli per
colpa di Jadis. Perché Susan era diventata importante.
Perché gli piaceva parlare con lei e stare in sua compagnia.
E gli mancava, molto. Si era stancanto di starla a guardare da lontano
e scambiarsi giusto dei monosillabi di circostanza.
-Si, molto.- gli
rispose la Regina, lanciando un'occhiata alle proprie spalle. Il suo
sguardo si fermò sui Narniani sparsi per la radura.
-Siamo
stati fortunati che non ci siano state... conseguenze.-
continuò, posando gli occhi su Caspian. Non c'era bisogno di
approfondire il discorso, entrambi sapevano bene a cosa si riferisse la
ragazza.
Molte volte nei giorni precedenti se ne era discusso a
riguardo tra i regnanti ed i principali comandanti, cercando di evitare
di farsi sentire da orecchie indiscrete. Gli era andata molto bene,
perché se le cose avessero prego una piega negativa durante
la battaglia nella cripta avrebbero potuto subire delle perdite o delle
rivolte, trovandosi a dover fronteggiare un'altra situazione critica.
Come se la guerra contro Telmar che era ormai alle porte non fosse
sufficiente.
Caspian abbassò leggermente il capo, colpevole.
-Mi dispiace, sono stato uno sciocco. Non era mia intenzione...- ormai
lo aveva ripetuto talmente tante volte quel discorso che gli sembrava
di risuonare sempre più falso alle proprie orecchie. E ogni
volta gli era stato detto di non preoccuparsi, che non avrebbe potuto
prevedere le intenzioni di Nicabrik – come nessun altro di
loro lo aveva fatto.
Ma il senso di colpa e l'umiliazione per essersi
lasciato soggiogare non volevano allentare la presa sul suo animo,
rendendolo inquieto e cercando, per quanto possibile, un contatto umano
con l'unica persona che in quel periodo era riuscita a fargli
dimenticare – o, per lo meno, pesare un pochino meno
– tutte le cose che erano successe da quando era dovuto
fuggire da Telmar.
Susan era diventata forse più importante
di quanto aveva immaginato inizialmente e per quello ne cercava la
presenza appena possibile. Con lei tutto assumeva un tono
più leggero, facendogli vedere le cose meno negativamente.
Così, la loro lontananza, l'indifferenza apparente con cui
parlavano gli lasciava l'amaro in bocca e una fastidiosa sensazione di
sconfitta.
Quella consapevolezza lo colpì così
repentinamente da lasciarlo spaesato per qualche secondo di fronte
all'evidenza dei fatti.
Susan...
Perché era stato tanto
stupido da non averlo capito prima? Alzò gli occhi verso la
ragazza, fissandola intensamente e socchiudendo leggermente le labbra
di sorpresa.
Si era innamorato di
Susan.
-Non è colpa tua.
Jadis è sempre stata capace di infiltrarsi nella mente
umana, riuscendo a tirarne fuori le debolezze per poterle usare a suo
vantaggio.- Caspian ci mise qualche attimo a riprendere il filo di
quello pseudo discorso che stava tenendo con la Pevensie, ma si
mostrò subito interessato a ciò che gli stava
dicendo.
-Ti riferisci a...?- provò, non sapendo se fosse il
caso di continuare. Susan annuì, semplicemente, finendo di
raccogliere le ultime frecce e facendosi più vicina al
ragazzo. Ora gli stava praticamente di fronte e Caspian
cercò di non farsi vedere irrigidito.
-Si, ad Edmund. Ma era
un periodo difficile e particolare. Per lui, come per tutti noi.- La
ragazza sospirò, memore di tutti gli eventi che li avevano
poi portati a scoprire Narnia. Alle litigate di Peter ed Edmund, allo
scappare in campagna, ai piagnistei di Lucy, il mutismo di Eve.
Jadis
si era solo approfittata di una situazione delicata, in passato
così come una decina di giorni prima.
-Nessuno di noi gliene
ha mai fatto una colpa. E nemmeno a te.- lo guardò,
accennando un sorriso e porgendogli i dardi raccolti. Caspian li prese,
indugiando quando con le dita sfiorò la mano della Pevensie,
che, con cui sorpresa, non si spostò come credeva avrebbe
fatto. Prese quel gesto come un segno di rinnovata pace e si
sentì più leggero.
-Grazie.-
***
Lucy
si era svegliata
particolarmente presto quel giorno, elettrizzata e un poco ansiosa per
ciò che quella giornata avrebbe riservato. Aveva passato il
tempo sistemando i giacigli e ciò che poteva essere messo a
posto in giro per la Casa di Aslan, parlando amabilmente con Trumpkin e
lanciando, più e più volte ed appena le era
possibile, delle occhiate impazienti verso la radura.
Il nano aveva
passato qualche giorno più taciturno del solito, ma nessuno
glielo aveva fatto notare ed avevano sopportato pazientemente le sue
frasi brusche e stizzite.
Il tradimento e l'essere stato costretto ad
uccidere Nicabrik bruciavano ancora.
Aveva seppellito il nano vicino ad
una grande quercia, molto simile a quella che condividevano come casa
con Trufflehunter. Ma, da quel giorno, nessuno dei due era
più tornato a fare visita alla tomba. Lucy immaginava che
dovesse costar loro un grande sforzo.
Quando il sole era ormai sorto da
qualche ora illuminando a giorno la valle qualcosa, in Lucy,
iniziò a vibrare d'inquietudine. Si affacciò
all'entrata di pietra, camminando lentamente verso l'esterno, venendo
investita in piena faccia dal sole settembrino.
E se qualcosa era
andato storto? La Pevensie si morse un labbro, occhieggiando la vasta
prateria dall'entrata del rifugio.
Di Edmund ed Evelyn non c'era
l'ombra, Peter era impegnato con le truppe, Susan e Caspian erano
invece presi a parlare accanto ai bersagli. Nonostante quella visione
le facesse molto piacere – per giorni aveva osservato gli
sguardi mogi che il Principe riservava a sua sorella –, Lu si
ritrovò a sorridere tra sé solo per un brevissimo
lasso di tempo, tornando poi a concentrarsi su ciò che la
circondava.
Forse non era stata una buona idea, quella che aveva avuto.
Le sue sorelle l'avevano avvertita che era pericoloso addentrarsi nella
cittadella e probabilmente avevano ragione. Accettare che andasse
Dhemetrya era stata una pessima scelta. E se le fosse accaduto
qualcosa? Se l'avevano catturata? O peggio, uccisa? Lucy non si sarebbe
mai perdonata di avere sulla coscienza la morte di quella ragazza per
colpa di un'idea che aveva avuto lei stessa.
Eppure, Dhem l'aveva
guardata così tranquilla, così disposta e decisa
a farle quel favore, che aveva accettato il suo aiuto. Sicuramente
aveva avuto modo di conoscere Telmar meglio di lei, che era
mancata per più di un secolo, senza contare
l'agilità che possedeva quella ragazza.
La Pevensie si morse
l'interno di una guancia, riflessiva: sarebbe stato più
semplice se si fosse infiltrata a Telmar di giorno, per compare il
necessario. Sarebbe stato forse meno sospetto, perché non ci
aveva pensato?
Qualcosa nella mente di Lucy le ricordò che
non avevano denaro, né i suoi fratelli l'avrebbero fatta
allontanare volutamente per quell'impresa. Per quello aveva deciso di
andare di notte. Senza contare le guardie che sorvegliavano il fiume o
la possibilità che le entrate fossero sorvegliate e qualcuno
la riconoscesse come nemica.
Lucy sospirò pesantemente,
puntando lo sguardo crucciato sul bosco attorno a lei e stringendosi
una mano al petto.
Dhemetrya... torna
presto.
***
-Allora,
mi volete
spiegare? E cosa c'entra Lucy?-
Edmund si voltò a mezzo
busto verso Eve e Dhem, che camminavano poco più dietro di
lui. Si era offerto di liberare la Narniana dal peso di uno dei
borsoni, ma ancora non aveva capito cosa ci fosse al loro interno.
All'inizio aveva ipotizzato delle armi, ma non proveniva nessun
tintinnio mentre si muoveva, quindi aveva scartato quell'ipotesi quasi
subito. Non riusciva proprio a capire cosa avesse a che fare, poi, la
minore delle sorelle.
Evelyn lanciò un'occhiata di
sott'occhio a Dhemetrya, sospirando.
-E' un'idea di Lucy. Appena
arriviamo al rifugio ti spiego tutto.- Più che altro, era
curiosa di sapere come sarebbe stato spiegato il tutto a Peter. Eve
lanciò uno sguardo al cielo che si intravedeva tra le fronde
degli alberi, pregando di non finire in mezzo a discussioni che non
avevano niente a che vedere con lei. Aveva già abbastanza
pensieri.
-E' stata una mia scelta, vostra sorella non c'entra.-
provò a spiegare Dhem, pacatamente, seguendo i due fratelli
nella radura. A differenza dei suoni prodotti dai passi dei due,
sembrava che lei appena sfiorasse il terreno, tanto che un paio di
volte Ed provò a lanciarsi un'occhiata alle spalle per
assicurarsi della sua presenza.
Quasi si stupì di averla
percepita arrivare poco prima mentre stava parlando con Evelyn. Forse
era stata solo questione di fortuna.
La Pevensie liquidò la
Narniana con un gesto della mano, più perché
ormai erano quasi all'entrata della Casa di Aslan che per disinteresse
o perché fosse stizzita.
In realtà, l'interesse
per come Dhemetrya fosse finita coinvolta in quella faccenda era
abbastanza presente... era stata così spavalda Lucy da
andarle a chiedere aiuto, consapevole che loro gli avrebbero detto di
no se lo avesse chiesto? O Dhemetrya si era ficcata volutamente in
quella situazione, come aveva provato a spiegare? E se si,
perché?
Eve scosse la testa, non capendo le ragioni di quel
gesto – probabilmente non le avrebbe mai nemmeno sapute.
Dhem era troppo sfuggente, alle volte, perché le sue
intenzioni fossero chiare. Ancora faticava a capirne l'essenza.
-Dhemetrya!
Ce l'hai fatta!-
Edmund fece appena in tempo a spostarsi prima che un
uragano dai capelli castani gli passasse accanto, alzando una lieve
corrente d'aria e fiondandosi sulla mora che procedeva a poca distanza
da lui.
-Ero così in pensiero, iniziavo a preoccuparmi.- La
Narniana rimase immobile, irrigidendosi quando capì che Lucy
la stava stringendo in un abbraccio piuttosto stretto. Rimase perplessa
per qualche attimo, percependo il lieve tremolio che la Pevensie
cercava di contrastare.
Evidentemente si
aspettava di vederla tornare
molto prima...
Optò
per posarle le mani sulle spalle,
allontanandola gentilmente da sé e sfoggiando un'espressione
serena.
-Ovviamente.- La calma della Narniana riuscì a
strappare a Lucy un sorriso, la quale occhieggiò il borsone
che ancora portava. La Pevensie si morse un labbro, esibendo uno
sguardo apprensivo.
-E'... è andato tutto bene? Non hai
dovuto...?- provò ad indagare, senza terminare la frase. La
ragazza negò con la testa.
-No, è andato tutto
bene.- la rassicurò, provando un moto di tenerezza di fronte
alla ragazzina. Il giorno prima sembrava così fiera e decisa
della propria idea che vederla in quello stato le fece domandare se
fosse la stessa persona. Probabilmente a mente fredda aveva pensato
fosse stata una cattiva idea.
Ma non lo era. Non era una cattiva idea
voler provare a portare un po' di pace e serenità.
Dhemetrya
avrebbe voluto dirglielo apertamente, ma qualcosa la trattenne dal dare
sfogo ai propri pensieri.
-Lucy.-
La Pevensie smise all'istante di
sorridere non appena la voce tagliente di Evelyn s'intromise tra loro.
Cercò di recuperare tutta la sicurezza che sapeva di
possedere, prima di girarsi per fronteggiare la sorella. Sapeva che non
sarebbe stata contenta, lei e Susan erano state abbastanza eloquenti il
giorno prima.
Non si sorprese, quindi, di trovarsi di fronte un'Evelyn
spazientita e con le braccia incrociate al petto. Le occhiate eloquenti
ed il sopracciglio alzato non avevano bisogno di altre parole per farle
capire cosa volesse dirle – ed a Lu ricordò
terribilmente Susan.
-Mi dispiace, ma dovevo farlo, io...-
-Aspettate,
aspettate: fare cosa?- s'intromise Edmund, senza preoccuparsi di celare
l'impazienza e occhieggiando le tre. Non ci stava capendo niente ed
iniziava ad allarmarsi. Evelyn aveva un cipiglio di rimprovero e questo
l'aveva messo sull'attenti, facendolo preoccupare. Temeva fosse
successo qualcosa di grave e non riusciva a capire cosa fosse. Sentirsi
escluso dalla conversazione non lo stava aiutando per niente.
Eve mosse
una mano in aria e scoccò la lingua contro il palato,
spazientita, lanciando un'occhiata eloquente verso Lucy e Dhemetrya,
attenendo che rispondessero alla domanda. Edmund continuava ad avere
un'aria interrogativa in volto e tra i quattro s'intromise un silenzio
pesante.
-Cosa state combinando?-
Fu quando Dhemetrya provò
a rompere il ghiaccio, dopo aver preso un profondo sospiro, che venne
interrotta da una voce esterna al quartetto.
Susan.
La Narniana si
morse un labbro, incerta. Quello che aveva fatto lo aveva fatto per
Lucy ed era sicura non ci fosse nulla di male, ma era ben consapevole
che la Dolce avrebbe avuto da ridire e, onestamente, non aveva voglia
di discutere o rendere conto a qualcuno di ciò che faceva.
-Bella domanda.- esclamò ironico Edmund, ancora all'oscuro
di tutto, scrutando la sorella farsi sempre più vicina con
Caspian affianco. La vide occhieggiare i borsoni che portavano e
corrugare la fronte, perplessa, mentre il Principe si limitò
ad accennare un saluto ai presenti.
Lucy sospirò, quasi
esasperata da quella situazione che sembrava iniziare ad essere troppo
ridicola.
-Dhemetrya ha procurato il necessario per fare i biscotti.-
disse con un filo di voce e tenendo lo sguardo fisso sulla sorella
maggiore. Non vide l'occhiata interrogativa che il fratello fece verso
Evelyn o il sopracciglio alzato di Caspian.
Susan rimase in silenzio,
come assorta nei propri pensieri, tanto da attirare l'attenzione di
tutti su di sé. Lu la guardò con una nota
implorante nello sguardo, ma la Pevensie sembrava decisa a non far
trapelare ciò che stava provando.
-Prima che diciate
qualsiasi cosa, volevo avvisare che l'idea è stata mia. Mi
sono offerta io di andare dopo avervi ascoltato... ieri mattina. Ho
pensato fosse una buona idea.- Susan arricciò il naso,
seria, soppesando le parole della Narniana.
-Avevamo detto che era
pericoloso.- fu la semplice constatazione che fece, rendendosi conto di
aver sottovalutato le intenzioni della sorella e che, nonostante i suoi
propositi, non era stata abbastanza attenta.
Avrebbe dovuto
conoscerla abbastanza bene da intuire che non avrebbe lasciato perdere
facilmente. E Dhemetrya si era offerta di aiutarla perché
sicuramente stava per combinare qualcosa da sola. Qualcosa di stupido e
pericoloso. Dubitava fosse stata Lucy a chiedere a Dhemetrya di
aiutarla, mettendola in una posizione poco piacevole o facendole
rischiare la vita. Non sarebbe stata capace di arrivare a quel punto.
La Pevensie rimproverò se stessa per la poca attenzione che
stava mostrando in quel periodo. Si rese conto, con amarezza, che se
Dhem non fosse intervenuta Lucy avrebbe provato ad infiltrarsi a Telmar
da sola.
Susan
sospirò cercando di scacciare la sensazione di difetto che
le pungeva nel petto, percependo che Caspian le aveva posato una mano
sulla spalla, come per calmarla.
-Biscotti?- domandò Edmund,
spaesato. Era pronto alla peggiore delle ipotesi, ma tutto si era
aspettato meno che quello.
-Si! Non credi che possano aiutare a
riportare il buonumore?- domandò la più piccola
delle Pevensie, come rianimata. I suoi occhioni luccicarono,
immaginando già le facce sorprese dei Narniani nel sentire
il profumo di biscotti spargersi nell'aria.
Edmund ci mise qualche
attimo a rispondere, annuendo semplicemente, ancora confuso per quella
situazione e non sapendo esattamente cosa risponderle. Come aveva fatto
Lucy a pensare ad un'idea simile?
-Peter lo sa?- domandò
semplicemente, ma immaginando già da sé la
risposta. Evelyn si morse il labbro, mentre Dhemetrya e Lucy si
scambiarono un'occhiata.
-No.- fu la semplice risposta che diede la
sorella. Sapeva che avrebbe dovuto raccontarglielo, né era
mai stata sua intenzione mentire ai fratelli.
-Non c'è
bisogno che lo sappia. Non subito, almeno.- in suo soccorso venne la
Narniana, ma si corresse, vedendo l'occhiata fulminante che le
lanciò Susan, ancora intenta ad osservarle.
-Potrà dirglielo Lucy con calma più tardi. Per il
momento faremo finta che ho trovato queste cose in giro.-
provò ad intercedere per la ragazza. La minore delle
Pevensie annuì per quell'idea, sorridendo ampiamente in
direzione di Dhemetrya.
Susan sospirò, non sapendo bene che dire. Era inutile farle
una ramanzina, arrivati a quel punto. Alla fine, Lucy voleva solo fare
del bene per quella che considerava ancora la sua gente, il suo popolo.
Il loro popolo.
Alzò gli occhi al cielo, cercando di accantonare tutto
ciò che avrebbe voluto dirle e quasi stordita dalle sue
stesse emozioni.
-Va bene.- concesse la Dolce, rilassandosi ed
accennando un sorriso. Caspian si allontanò da lei per
prendere il borsone a Dhemetrya, avviandosi verso il rifugio con Edmund
ed Eve. Lucy li precedeva con rinnovato entusiasmo, sollevata che tutto
si fosse risolto per il meglio e sicura che Peter avrebbe capito le sue
ragioni.
-Ehi, Dhemetrya.- La Narniana si sentì toccare un
braccio e si fermò, trovandosi di fronte Susan che la
osservava. Alzò le sopracciglia, in attesa, percependo
l'imbarazzo che la Regina cercava di camuffare dietro i suoi occhi
chiari e l'atteggiamento composto. Quasi le fece tenerezza, capendo
quanto fosse difficile per lei abbassarsi ad aprirsi con una quasi
sconosciuta.
-Ti ringrazio, per... beh, per aver aiutato mia sorella.
So che le sue intenzioni sono buone, ma a volte sembra non capire che
la situazione è davvero grave e non possiamo permetterci
errori.- provò a spiegare le proprie ragioni. Dhem
annuì, capendo il discorso che stava facendo la Pevensie.
-Si, capisco cosa intendi. Ma proprio perché è
grave abbiamo bisogno anche di questi momenti di leggerezza. Per questo
l'ho aiutata. Non avrei mai fatto qualcosa che io stessa ritengo
stupido o sbagliato.- disse, pacata. Susan sembrò
rassicurata da quelle parole, tuttavia alzò il mento, un
poco indispettita dal comportamento nascosto che aveva tenuto.
-Eppure
sapevi che non eravamo d'accordo. Avresti dovuto parlarcene.- la
rimproverò, senza reale cattiveria, ricordando che fosse
presente durante quella conversazione.
-Senza offesa, Vostra Grazia...
sappiamo benissimo dove avrebbe portato parlarvene. Inoltre, non
è nel mio stile fare la spia.- Susan rimase qualche attimo
in silenzio, pensierosa, dopodiché si portò una
mano alla bocca per camuffare un sorriso.
Una spia era proprio
ciò che temeva fosse Dhem all'inizio, anche se non lo aveva
detto a nessuno, ma quella ragazza tutto sembrava meno che avere le
qualità da spia. Certo era discreta, ma parlava troppo
quando non doveva e spesso spariva per degli intervalli di tempo non
indifferenti. Una spia avrebbe dovuto stare attenta a qualunque cosa
che potesse essere importante da riportare.
Tornò composta,
congiungendo le mani in grembo e riprendendo a camminare verso il
rifugio. L'importante, alla fine, era che fosse andato tutto bene.
Si
voltò indietro, rendendosi conto che Dhemetrya era rimasta
ferma.
-Vieni? Ci sono dei biscotti da fare.-
***
La
giornata,
nonostante il risveglio un po' brusco e confuso, era passata in modo
tranquillo. Il caldo torrido dell'estate si stava affievolendo,
lasciando spazio a quella piacevole brezza dal sapore un po' nostalgico
che precede l'arrivo del freddo pungente. Anche stare distesi al sole,
per quel poco di tempo che ce lo si poteva concedere, era piacevole, in
quanto il calore non era così asfissiante da farti mancare
il respiro o bruciare la pelle.
Come per molte delle giornate che
l'avevano preceduta anche quella dava la falsa sensazione che tutto
fosse a posto, se si riusciva a togliersi dalla testa la guerra.
I ragazzi avevano portato i borsoni nello spazio adibito alle cucine e
le
ragazze, dopo averli ringraziati per l'aiuto, li avevano mandati ad
aiutare Peter, impegnato insieme a Glenstom ad organizzare gli
allenamenti e controllare come procedeva la produzione di armi nuove.
Avevano anche pensato di organizzare delle brevi spedizioni per Narnia,
in modo da cercare eventuali superstiti e sperando che questi volessero
unirsi in battaglia: la possibilità che ci fossero altri
Narniani era molto scarsa, specialmente perché il centauro
credeva che chiunque avesse ormai saputo del loro ritorno e tutto
ciò che lo aveva seguito. Se avessero voluto farsi avanti,
si sarebbero già presentati giorni addietro. Tuttavia, non
era mai detta l'ultima parola e qualsiasi aiuto trovato poteva essere
decisivo, così si era ritrovato d'accordo con Peter.
Il
Pevensie era talmente preso dal proprio lavoro da non essersi accorto
di nulla che non lo riguardasse, e Lucy ne fu felice. In quel modo,
sperava, quando i biscotti sarebbero stati pronti per il dopo cena
sarebbe potuta essere una piacevole sorpresa anche per lui.
Susan, con
sorpresa di tutti, si era fatta aiutare da Dhemetrya a sistemare e
mettere insieme gli ingredienti mentre Lucy creava le forme con un
coltellino – Sue le aveva detto di farle abbastanza piccole
in modo da creare più biscotti possibili – mentre
Evelyn, decisamente meno avvezza alla dote della cucina, era sgusciata
via appena possibile, finendo con l'allenarsi nel corpo a corpo insieme
a Caspian per gran parte del pomeriggio.
Fu solo quando il sole si
apprestava ad oltrepassare l'orizzonte, che tutti fecero caso al
piacevole odore che si stava spargendo nell'aria.
Peter si
avvicinò con fare incuriosito alle cucine, sudato e stanco
dalla giornata intensa che aveva passato, attirato come gli altri ed
intenzionato a capirne la provenienza.
-Cos'è questo odore?-
domandò senza troppi giri di parole, affacciandosi sulla
soglia di pietra. Ora poteva sentire bene quel profumo inconfondibile
di cibo. No. Di dolce. Sbatté per un paio di volte le
palpebre, intento a processare ciò che i suoi occhi stavano
vedendo.
Susan e Dhemetrya, insieme, che sistemavano su dei vassoi
qualcosa. Peter ci mise qualche attimo a capire che si trattava di
biscotti. Ma, ciò che lo stava lasciando basito in quel
momento, era proprio la vicinanza delle due ragazze. Avrebbe giurato
settimane addietro che non si sarebbero mai sopportate.
-Ti piacciono?
Ho fatto io le forme.- gli si avvicinò Lucy, festosa,
mostrando due biscotti a forma di cuore. Peter rimase interdetto a
guardarla, rendendosi conto solo in quel momento che per quasi tutto il
giorno non aveva incontrato nessuno dei fratelli. Preso com'era, non ci
aveva fatto troppo caso.
-Quindi è questo che combinate
mentre io lavoro?- domandò retorico, scompigliando i capelli
della sorellina ed avvicinandosi al tavolo. Susan alzò gli
occhi al cielo, mentre Dhem gli sorrise, distogliendo poi lo sguardo e
finendo di sistemare i biscotti. Lucy la guardò divertita
senza che se ne accorgesse.
-Non è stato facile, sai? Non
è come avere a disposizione una vera cucina.- gli
spiegò la Pevensie, passandosi una mano sulla fronte. Con i
fuochi che andavano da tutto il giorno faceva parecchio caldo
all'interno della stanza.
Avevano dovuto mettere più
volte i vassoi sopra i fuochi, aiutandosi con delle assi, e per capire
come poter fare il tutto senza rischiare di bruciarli o farli cadere
c'era voluto del tempo. Non era stato facile come avevano pensato. Se
c'era stata una cosa che aveva rimpianto quel pomeriggio di Londra,
Susan, era stato il forno.
Peter osservò le ragazze, poi il
suo viso assunse un'aria dubbiosa.
-Non sapevo avessimo ingredienti a
sufficienza.- constatò. A Narnia non mancava la selvaggina,
quindi trovare del cibo per tutti non era troppo difficile, ma
raccattare degli ingredienti specifici per fare un impasto... Gli occhi
di Peter si assottigliarono, indagatori, riflettendo i ragionamenti che
stava compiendo la sua mente.
-E' stata una mia idea.- interruppe i
suoi pensieri Lucy. Conosceva abbastanza bene il fratello maggiore da
sapere a cosa stesse pensando e che era inutile mentirgli –
né era mai stata sua intenzione farlo. Il biondo la
guardò, spaesato, lanciando poi un'occhiata verso Susan, la
quale si limitò ad alzare le spalle.
Lucy? Come...?
-Ho
detto ad Eve e Sue che potevamo fare dei biscotti per cercare di fare
contenti i Narniani. Ma alcuni ingredienti andavano rubati dalla
cittadina di Telmar, cosa che volevo fare ieri notte.- Lu vide il
fratello maggiore serrare le labbra ed irrigidirsi a quelle parole. Non
c'era bisogno che le dicesse a cosa stesse pensando, la ragazzina
poteva già sentire i rimproveri di suo fratello,
così si affrettò a continuare.
Cercò
di esibire l'espressione più convincente che possedeva.
-Ma
Dhemetrya si è offerta di andare al posto mio.-
soffiò fuori, semplicemente. Ci furono degli attimi di
silenzio, in cui Peter fece passare lo sguardo tra le tre ragazze ed i
vassoi con i biscotti che si stavano raffreddando. Improvvisamente
faceva troppo caldo, li dentro.
-Siete matte? Hai idea del pericolo che
hai corso, Dhemetrya? E tu, Lucy, come ti è venuto anche
solo in mente di pensare di andare da sola a Telmar?!- le
additò, più sconvolto all'ipotesi di quello che
sarebbe potuto succedere che realmente arrabbiato.
I suoi occhi azzurri
scintillarono, scoccando alle due delle occhiatacce ben assestate. Si
morse un labbro rimproverandosi internamente per essere stato talmente
preso dai suoi doveri da non essersi accorto di ciò che lo
circondava.
-Dovevi ascoltare Susan ed Evelyn.- si rivolse poi alla
più giovane.
-Beh Peter, ormai è fatta. E'
inutile pensarci ancora.- intervenne la Dolce, cercando di calmare il
maggiore. Non era propriamente arrabbiato, ma sapeva che per scatenare
una tempesta nel Pevensie ci voleva davvero poco, quindi poteva
già immaginarsi la sfuriata che ne sarebbe derivata se
nessuno lo avesse fermato dal covare la collera. Anche se capiva
perfettamente i suoi motivi.
Forse fu la pacatezza di Susan, o lo
sguardo colpevole di Lucy, che fece desistere Peter dall'andare avanti
a sgridare le due, consapevole che non avrebbe portato a nulla.
Il
Pevensie rilassò le spalle, cercando di inspirare l'odore
familiare di quei biscotti. Quante volte a Cair Paravel Sue li aveva
cucinati insieme alla Signora Castoro e Tumnus...
-Non fate mai
più una cosa simile. Sono stato chiaro?- inchiodò
sul posto Lucy e Dhemetrya con lo sguardo, strappandosi bruscamente a
quei ricordi. Le due si limitarono ad annuire, accennando a delle
scuse, ma l'espressione di Peter era talmente seria e determinata che
ebbero la sensazione di sentirsi come messe a nudo.
La Narniana si
morse la lingua per evitare di rispondergli male, ritenendo fuori luogo
specificare in quel momento che lei prendeva ordini solo da Aslan o
dalla Grande Magia.
Susan gli si avvicinò, catturando la sua
attenzione e facendogli interrompere il contatto visivo: gli mise tra
le mani un vassoio, ignorando lo sguardo confuso che le
lanciò il fratello.
-Forza, aiutaci a portarli nella sala
comune.-
***
Dhemetrya
cercò di sgusciare fuori dalla sala comune senza dare troppo
nell'occhio. Le presenza all'interno del rifugio erano più
del solito e il calore sprigionato dai fuochi era ancora troppo per
quella stagione – non faceva poi così freddo,
nonostante fosse ormai sera.
Gran parte dei Narniani si era radunata
intorno ai tavoli per cenare e, effettivamente, le previsioni di Lucy
non si erano rivelate del tutto sbagliate.
Quando le creature di Narnia
avevano visto i vassoio ricolmi di biscotti sui loro visi erano
comparse delle espressioni che Dhem avrebbe definito stupore e
felicità di fronte a quella sorpresa. Qualcuno si era anche
scambiato delle occhiate perplesse, come a domandarsi cosa fossero
quelle cose e per chi.
Ci aveva pensato Susan a chiarire le domande di
tutti, prendendo in mano la situazione e spiegando le cose con poche e
semplici parole.
-La Regina Lucy ha pensato fosse una buona idea farvi
questo regalo per ringraziarvi dell'impegno e della fiducia riposte nei
nostri confronti.- Aveva iniziato, ed accanto a lei si erano avvicinati
anche gli altri Pevensie.
-Sappiamo che non è molto, e che
non vi ripaga dalle perdite subite recentemente, ma speriamo vi faccia
capire quanto è importante l'aiuto di ognuno di voi in un
momento cruciale come questo.-
Alcuni visi si erano rattristati,
ricordando la battaglia al castello di Miraz, ma nessuno aveva osato
obiettare alle parole della Regina. Lucy aveva ringraziato la sorella
per quel discorso con un'occhiata.
I dolci erano stati distribuiti da
qualche fauna al termine della cena, cercando di non dimenticare
nessuno e di farli bastare per tutti. Una piacevole atmosfera di
serenità era calata sull'ambiente, rischiarato dalle torce e
riscaldato dai fuochi che, allegri, scoppiettavano alle pareti. I
Narniani parlavano tra loro con pacatezza, talvolta erano perfino
scoppiati a ridere.
Dhemetrya aveva osservato con attenzione come quel
semplice pensierino che aveva aiutato a realizzare avesse potuto creare
quell'effetto, e si sentì felice. Si sentì
pienamente felice di aver reso reale tutto quello che quasi le
salì in nodo in gola per la commozione.
Ma c'era qualcosa,
in tutta quella felicità momentanea, che le stonava. C'era
qualcosa che non andava bene, che non la faceva sentire tranquilla come
avrebbe dovuto.
Si osservò in giro, lanciando un'occhiata
quasi ansiosa ai Narniani che si stava lasciando alle spalle e sentendo
la gola secca. Si stava sentendo quasi una ladra per il modo in cui, di
soppiatto, stava cercando di andarsene. Strinse tra le mani il
fazzolettino di stoffa dove aveva riposto con cura qualche biscotto,
dandosi della stupida per non averci pensato prima.
Dov'erano Lia e
Antares?
-Te ne vai?-
-Edmund! Brutta testa di rapa, se ti prendo vedi
cosa ti faccio!-
-Sei troppo lenta!-
Dhemetrya fece appena in tempo ad
irrigidirsi per essere stata interrotta in quella che assomigliava
tanto ad una fuga – anche se, in realtà, non c'era
niente da cui scappare – prima che due ventate di aria fredda
le passassero accanto con poca grazia. Fece qualche passo di lato per
non essere colpita, rischiando di inciampare su una pietra sporgente e
battere la schiena contro il muro, ma si ritrovò avvolta da
una stretta piuttosto decisa.
-Non correte!-
Ci mise qualche attimo di
troppo a rendersi conto che colui che l'aveva fermata – sia
dall'uscire dal rifugio, che dal farsi male – era stato
Peter, tanto che quando focalizzò la sua attenzione sul
ragazzo questi già l'aveva lasciata andare, allontanandosi
di un passo da lei.
-Stai bene?- le domandò, vedendola che
continuava a non parlare e si limitava a fissarlo senza una reale
espressione. Dhem si umettò le labbra, cercando di
recuperare il controllo del proprio corpo e sforzandosi di sorridere.
-Si, grazie. Ma erano...?- provò a domandare, guardandosi
alle spalle e osservando il corridoio che conduceva all'uscita e da cui
i ragazzi erano appena corsi via.
-Evelyn ed Edmund. Le avrà
fatto qualche scherzo.- le confermò Peter, quasi rassegnato
e ricordando i punzecchiamenti che avevano iniziato a farsi a tavola
poca prima. Probabilmente dopo li avrebbe raggiunti per riprenderli,
non potevano permettersi di comportarsi come se fossero in giro da
soli. Ogni tanto si domandava che cosa passasse nella testa dei suoi
fratelli per comportarsi come bambini.
Dhemetrya sorrise un po' di
più, addolcendo lo sguardo.
-E' bello che qualcuno si
diverta. Lucy voleva proprio questo, sai?- gli disse, stringendosi
nelle spalle. Osservò il viso del Pevensie, gli occhi chiari
che avevano perso la durezza espressa quel pomeriggio e ora la
guardavano, sereni. Le ricordò molto il colore del cielo in
primavera. Abbassò lo sguardo, imbarazzata per quel suo
pensiero, ma la lieve risata di Peter la sorprese tanto da farglielo
rialzare immediatamente.
-Lucy, Lucy... è sempre stata
quella più fantasiosa di tutti. All'inizio pensavamo che
Narnia fosse solo una sua invenzione, sai?- le confessò,
grattandosi la nuca, quasi imbarazzato. Dhemetrya rimase sorpresa da
quell'affermazione, tanto che sbatté le palpebre un paio di
volte.
-Oh...- Gli occhi blu luccicarono di stupore e un poco di
amarezza.
Solo un'invenzione...
Evidentemente il mondo da cui
provenivano era molto diverso da quello, come più volte
Aslan aveva provato a spiegarle, talmente diverso che un luogo come
Narnia, con le sue creature, non era qualcosa di facile da accettare.
Anzi, non era nemmeno concepibile potesse esistere realmente.
E quanto
doveva essere triste il mondo da cui provenivano i Pevensie?
Più volte ci aveva pensato, o aveva ascoltato i discorsi
impregnati dai loro ricordi portatele dal vento, ma mai ci si era
soffermata più del necessario. L''importante era che loro
fossero li, tutto il resto era secondario.
-Beh, immagino che il vostro
mondo sia molto diverso.- provò a dar voce ai propri
pensieri.
Dhemetrya non sapeva bene come immaginarsi un'altra terra,
perché lei era nata da Narnia e mai avrebbe potuto
immaginare di vivere da qualche altra parte. Ed osservando la reazione
di Peter, il quale si limitò a tirare le labbra in un mezzo
sorriso e sospirare, fu ancora più certa che non avrebbe mai
rinunciato alla terra a cui apparteneva.
Gli occhi di Peter
si velarono di frustrazione al ricordo di quegli ultimi anni passati
sempre in compagnia della frustrazione per quel mondo troppo diverso da
quello che aveva imparato ad amare.
-Si, molto. Troppo.-
***
-Edmund!
Edmund!
Fermati!-
Evelyn si fermò quasi di botto, portandosi una
mano allo stomaco ed inspirando pesantemente. Mettersi a correre dietro
a suo fratello appena finito di mangiare non era stata una buona idea.
Le era salita una grande nausea ed aveva seriamente paura che avrebbe
finito con il vomitare.
Cercò di rilassarsi e si accorse,
con una veloce occhiata, di trovarsi nel solito spiazzo dietro la Casa
di Aslan.
-Ti arrendi?- le gridò Edmund, da lontano. Eve lo
vedeva solo grazie alla luna che ne illuminava in parte al profilo e al
cielo, che non aveva ancora assunto le tonalità scure e buie
tipiche delle notti invernali. Aveva anche notato, però, che
le giornate sembravano iniziare a farsi più corte e l'aria
ad essere più fresca.
Da una parte sperava che la resa dei
conti arrivasse in fretta, perché non poteva immaginare
quali sarebbero state le condizioni con cui avrebbero passato l'inverno
se fossero stati costretti a rimanere in quel rifugio d'emergenza.
-Quindi?- la incalzò lui, senza essersi ancora avvicinato.
Eve scorse il suo petto alzarsi velocemente e dedusse si fosse stancato
di cercare di scapparle. Tuttavia, sapeva quanto Eve fosse vendicativa
e per questo, probabilmente, voleva prima sincerarsi che non gli
avrebbe fatto niente.
Si portò una mano al braccio,
accarezzandosi da sopra l'abito il punto in cui Edmund le aveva fatto
un pizzicotto. E, dannazione, le aveva fatto parecchio male quella
volta. Evelyn sorrise amabilmente.
-Si, si. Mi arrendo.- gli disse,
rilassando le spalle e guardandolo negli occhi. Lo vide assottigliare
lo sguardo, studiandola, e cercò con tutto l'autocontrollo
che possedeva di non fare smorfie strane.
Il Pevensie si
umettò le labbra, come indeciso.
-Prometti?-
indagò, attento. Vide la sorella alzare gli occhi al cielo e
sbuffare, spazientita.
-Si Edmund, prometto. Sono stanca.- fu la
lapidaria risposta che gli diede, prima di mettersi a cercare qualcosa
per terra. Ed rimase qualche attimo a studiarla, cercando di capire
cosa stesse facendo, prima di iniziare ad avvicinarsi.
La ragazza si
mosse per qualche minuto nella piccola radura, finendo per ritrovarsi
vicina al tronco caduto: era stanca e voleva sedersi per riprendere
fiato, ma la voglia di farla pagare a suo fratello ancora non l'aveva
abbandonata del tutto.
Si finse interessata al terreno, approfittando
per riflettere mentre Edmund la raggiungeva.
Era stata sollevata di non
aver dovuto dare troppe spiegazioni a Peter e che questo, soprattutto,
non si fosse arrabbiato come pensava. In realtà, l'aveva
visto parecchio rilassato durante la cena e la cosa – a lei
come ai fratelli – aveva fatto piacere. Evelyn non sapeva
nemmeno come la sorella gli avesse spiegato la situazione, ma poco le
importava, in quel momento.
Lucy era stata ringraziata più
volte per il pensiero che aveva avuto dai Narniani, ringraziamenti a
cui aveva risposto con molti dei suoi sorrisi e gli occhioni trepidanti
di felicità e soddisfazione – ed i biscotti,
nonostante mancassero alcuni ingredienti, non erano venuti poi
così male.
A Eve era bastato quello per capire che andava
tutto bene.
Ed era andato tutto bene finché Edmund non aveva
iniziato a punzecchiarla, rubandole i biscotti di mano e facendole
pizzicotti ai fianchi. Aveva provato a rispondergli, ma l'evidente
differenza di forza fisica aveva fatto si che ogni suo tentativo di
attacco fosse parecchio inutile.
La Pevensie cercò di
mantenere la calma, percependo che ormai il ragazzo era alle proprie
spalle. Doveva agire d'astuzia.
-Che cosa fai?- provò a
domandarle lui, incuriosito. Evelyn poteva immaginarsi lo sguardo
perplesso con cui la stava guardando mentre restava li, in piedi, ad
aspettare non si sapeva cosa – a giudicare dal suo tono di
voce.
-Io...- sussurrò, umettandosi le labbra e iniziando a
voltarsi con un lento e studiato movimento verso Edmund. Fece
schioccare la lingua contro il palato e poi fece uno scatto in avanti,
afferrandolo per la casacca.
-Pensavi che avrei lasciato perdere
così?!-
Il moro si sorprese di quel movimento repentino e
provò a tirarsi indietro istintivamente, tuttavia Evelyn era
stata abbastanza agile da riuscire a prenderlo, bloccando in quel modo
il suo tentativo di fuga. Vide distrattamente gli occhi di sua sorella
luccicare di vittoria e sentì la mano tirargli la casacca
verso il basso, prima di capire che stava perdendo l'equilibrio per il
peso improvviso che si era sentito addosso e rischiando di cadere
entrambi.
Fece qualche passo scomposto, ma fu inutile. Si
ritrovò semi seduto a terra, provando un dolore fastidioso
alla schiena per il contraccolpo, con Eve che gli era caduta addosso.
-Ma sei matta? Che diavolo ti è saltato in mente?!-
sbottò, d'istinto. Si portò una mano a
massaggiarsi le cosce doloranti, cercando di ignorare la presenza della
Pevensie così vicina – così tanto
vicina, in così poco tempo. Praticamente gli era caduta tra
le braccia.
Si ritrovò a pensare che decisamente sembrava
che qualcuno ce l'avesse con lui e provasse a metterlo alla prova.
Non
ricevendo nessuna risposta né un'occhiataccia
iniziò a preoccuparsi.
-Ohi, stai
bene?- provò a chiederle, posandole una mano sulla spalla e
scuotendola leggermente. I capelli ondeggiarono nel vuoto per quel
movimento, ma Edmund iniziava ad essere troppo in pensiero per
soffermarcisi. Eve continuava a tenere lo sguardo rivolto in basso,
verso la mano che era restata ancorata alla casacca.
Il Pevensie
deglutì, mordendosi un labbro senza capire la piega che
stava prendendo quella situazione e percependo un formicolio al basso
ventre.
-Edmund... hai un pessimo senso dell'equilibrio.-
Il moro ci
mise qualche attimo a capire che era stata sua sorella, a parlare. La
sua voce aveva un'intonazione strana, forse perché attutita
o forse perché... sembrava quasi che...
-Stai ridendo? Stai
ridendo di me?- Edmund allontanò la mano come scottato,
irrigidendo il busto. Evelyn si stava prendendo gioco di lui! Si
sentì quasi offeso ed arricciò le labbra, come
indignato.
-E' stata colpa tua, sei tu che mi hai fatto cadere. E
comunque senti chi parla.- Il Pevensie incrociò le braccia
al petto, voltando lo sguardo e posandolo sul bosco circostante.
Se
stavano in silenzio quasi si potevano sentire le voce dei Narniani
provenire da poco lontano. Ma, a parte ciò, per il resto
sembrava che ci fossero solo loro due. Era un qualcosa a cui aveva
imparato a fare caso per evitare che ci fosse la possibilità
di venire fraintesi ad occhi esterni.
Fu a quell'ennesima presa in giro
che Evelyn alzò di scatto la testa, gli occhi che
scintillavano per quanto quella frase l'avesse colpita. Tutta la
possibile ilarità che stava provando pochi secondi prima
sembrava scomparsa.
-Non è vero!- provò a
difendersi, spalancando la bocca in un'espressione di sdegno. Edmund
alzò un sopracciglio, scettico, cercando di non fare troppo
caso al viso della ragazza: gli occhi lo stavano fulminando, i capelli
erano vagamente scomposti e ricadevano lungo le spalle, la fronte era
aggrottata.
Anche in quel modo, lui la trovava comunque bellissima. Non
c'era espressione di Eve che non avesse imparato ad amare con il
passare degli anni.
-Si, si.- fu la semplice risposta che la sua mente,
persa in altri pensieri, gli permise di concepire. Esasperata ed offesa
nell'orgoglio, pur sapendo che aveva ragione, Evelyn gli diede un
pizzicotto sul fianco e sul braccio. Edmund si limitò a
toccarsi le parti lese lamentandosi apertamente, mentre la Pevensie,
soddisfatta, incrociò le braccia al petto e si
fermò a fissarlo, in silenzio.
-Dovresti chiedermi scusa.-
la rimproverò il moro, dopo qualche attimo, guardandola di
sbieco.
-Io? Sei tu che hai iniziato!- Edmund si pentì di
quelle parole non appena il tono di voce più alto del
normale di sua sorella gli trapanò le orecchie senza
pietà.
-Va bene, va bene, ho capito!- gridò,
esasperato, mostrando i palmi in segno di resa. Vide Evelyn sorridere
soddisfatta e, nonostante tutto, qualcosa dentro di lui si mosse di
contentezza. Eve continuava a fissarlo, come in attesa.
In attesa di
cosa?
Sentì il cuore rimbombargli nelle orecchie e
avvertì un
improvviso nodo allo stomaco. Percepì la gola
improvvisamente secca e una vampata di calore gli diede quasi i
giramenti di testa.
Tutto ciò che riusciva a focalizzare era
il viso di Eve. Il viso di Eve sempre più vicino.
Vicino?
Sbatté le palpebre un paio di volte, accorgendosi che
involontariamente si stava protendendo verso la sorella. E quella,
ancora una volta, non si stava spostando.
-Beh, io direi che
possiamo and__- iniziò, ma le parole gli morirono in gola.
Tossì per schiarirsi la voce e fece un movimento per
iniziare ad alzarsi.
-Edmund.- quasi sussultò quando
sentì la mano della Pevensie trattenerlo per il polso.
Questa continuava a guardarlo intensamente – iniziava a
chiedersi se non si trattasse tutto di un grande scherzo.
Sospirò, cercando di buttare fuori la tensione e tornando a
rivolgerle la propria attenzione.
-Non devi dirmi qualcosa?- Edmund
socchiuse le labbra, pensieroso. Qualcosa? Cosa poteva mai volersi
sentire? Percepì un brivido gelido corrergli lungo la
colonna vertebrale. Possibile che Eve avesse capito? Aveva sbagliato
qualcosa?
Si morse una guancia quasi a sangue, nervoso, provando a
ragionare nel modo più veloce possibile. Doveva mantenere la
calma.
Ma Evelyn continuava a guardarlo con quegli occhi chiari
così particolari, e la sua mano era ancora attorno al suo
polso e non riusciva a tirarla via, e lei gli era praticamente seduta
quasi addosso tanto che poteva sentirne l'odore...
Fu più
forte di lui.
Il suo corpo si mosse praticamente da solo, come se
conoscesse a memoria ciò che doveva fare. Prima ancora che
se ne rendesse conto. Prima ancora di riuscire a fermarsi. Prima di
trovare una buona scusa per quello che stava per fare.
La
baciò.
La Pevensie
rimase immobile, strabuzzando gli occhi senza tuttavia avere il
coraggio di compiere alcun movimento. Edmund...
Edmund la stava
baciando.
La stava baciando sul serio, non come in uno di quei sogni ad
occhi aperti che era solita fare. Com'era possibile? Perché?
Così tante domande senza risposta le si stavano affollando
nella mente che la paralizzarono sul posto. Aveva desiderato per tanto,
troppo tempo quel momento, che viverlo le stava procurando quasi dolore
fisico.
Era un sogno, un sogno che si avverava... un sogno che poteva
diventare presto un incubo. Qualcosa nella testa di Eve le
gridò era sbagliato, ma era una vocina lontana, a cui decise
di non fare caso.
Ed la stava baciando e non c'era nient'altro che
contasse in quel momento.
Chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi ed
ispirando. Il profumo del Pevensie le stordì la testa tanto
da darle le vertigini.
Il contatto durò giusto una manciata
di secondi prima che Edmund si tirasse indietro, come scottato. Aveva
le guance rosse e gli occhi febbricitanti di imbarazzo. Fissava le sue
mani, in cerca delle parole adatte per... per cosa? Come avrebbe
spiegato quello che aveva appena fatto?
Si portò un mano tra
i capelli e li strinse, nervoso ed a disagio.
Aveva combinato un
disastro. Aveva rovinato tutto.
Non seppe
dove trovò il coraggio di lanciare un'occhiata ad Eve. La
osservò sfiorarsi le labbra con le dita e, quando
guardò
meglio il suo viso, vide che aveva gli occhi lucidi e le guance
arrossate. Tuttavia, la gentilezza con cui ricambiò il suo
sguardo lo lasciò spiazzato.
E capì.
Fu come se
un macigno lo colpisse in pieno.
Evelyn... Evelyn, lei...
possibile?
Tuttavia la
sensazione di sollievo durò poco, perché non
appena fece per dire qualcosa si sentì improvvisamente in
difetto. Edmund ebbe la fastidiosa senzazione di sentirsi trapassare da
parte a parte e
voltò il viso di lato, sentendo qualcosa di sinistro
salirgli lungo la schiena. Deglutì a forza, cercando di
ricordarsi come si facesse a respirare.
Evelyn seguì il suo esempio,
notando l'improvviso cambiamento nel fratello, e si sentì
mancare la terra sotto i piedi. Improvvisamente, fu come se fosse
finita dal paradiso all'inferno.
Anche nella penombra, avrebbero
riconosciuto quella figura ovunque.
Quel viso affilato, quello sguardo
in tempesta. L'espressione di delusione che traspariva dai lineamenti
del volto, le labbra tirate in una smorfia di profonda amarezza.
-Peter.-
Ciao
a tutti cari e
care e bentornati in questa storia!
Probabilmente
non ci speravate più - e nemmeno io, lol. Ma non vi
libererete facilmente di me. Sono stati dei mesi abbastanza difficili,
pensavo sarei mancata per molto meno tempo ma in realtà non
è stato così. Purtroppo ho ancora delle cose in
sospeso nella rl, casa non è totalmente a posto e anche sul
piano lavorativo sono un po' sull'incerto andante. Questo sicuramente
non ha giovato e tutt'ora non giova alla mia ispirazione, che solo
ultimamente ha deciso di tornare.
Ma ho voluto provare a ributtarmi e,
quindi, eccomi qui, con questo capitolo molto sospirato. Era dal 2010
che aspettava di prendere forma, fate voi. ^^''' Alla fine è
venuto pure più lunghetto di quello che credevo ma spero che
la cosa non vi dispiaccia. :)
Piccola nota: tenete conto che sono otto
mesi che non scrivo, quindi qualche frase o passaggio potrebbero
risultare un po' meccanici. Mi scuso in anticipo, posso solo dirvi che
ho in mente appena possibile una revisione totale sul piano stilistico
della storia (un'altra volta, si), quindi anche questo
subirà delle
revisioni. In ogni caso, non volevo farvi aspettare ancora e quindi...
eccolo qui! Allora, che ne pensate?
Edmund ed Evelyn si sono baciati, ve lo aspettavate in questo modo? E
cosa avrà visto Peter? Da qui, come vi anticipavo, ci
saranno dei capitoli abbastanza importanti per la trama... stay tuned!
Spero di tornare presto con un altro aggiornamento, ma non so dirvi le
tempistiche. In ogni caso siete tutti nel mio cuore e vi ringrazio per
la pazienza che state portando, in particolare ringrazio chi, anche a
distanza di tempo, mi lascia una piccola recensione o mette la storia
in una delle tre liste. Per me è sempre una motivazione in
più sapere che i miei sforzi vengono apprezzati.
Grazie
mille a tutti.
Love, D.
PS: Qualche anima pia può dirmi dei siti da cui poter
ricaricare le immagini?
|
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Capitolo 35 *** Collana di sentimenti. ***
-Peter.-
Evelyn
sbatté le palpebre cercando di mettere a fuoco la figura del
Pevensie, cercando di cogliere, tra le ombre della sera, ogni
particolare di quell'espressione contrita che gli si era dipinta in
faccia. Cercò, inconsciamente, una qualsiasi dimostrazione
di affetto su quel volto che conosceva fin troppo.
Uno spiraglio di
comprensione, un segno – qualcosa che fungesse da ancora in
quel mare di caos che si stava abbattendo senza pietà su di
loro.
Ma Peter era rimasto fermo immobile nello stesso punto in cui lo
avevano visto, le braccia molli lasciate cadere lungo il corpo
– ed Eve scorse, tra il vorticoso appannamento che stavano
diventando i propri pensieri ed i propri sentimenti e la penombra della
sera, come le sue mani fossero strette a pugno.
Due pugni rabbiosamente
serrati, come rabbioso era il modo in cui la mascella gli si era
contratta, gli occhi che, se avessero potuto, i due Pevensie erano
certi avrebbero lanciato fulmini per poterli folgorare sul posto.
Avevano commesso un
errore. Un errore enorme.
Non ci sarebbe stato
nessun sorriso d'incoraggiamento, nessuno sguardo di comprensione, per
loro, quella volta. Niente.
Peter.
Si sentì montare l'ansia,
Eve, percependo i battiti del proprio cuore accelerare per il panico
esattamente come il proprio respiro, così tanto
violentemente che boccheggiò, portandosi una mano al petto,
angosciata. Cosa aveva visto, Peter?
Incapace di fare qualsiasi cosa
rimase lì, immobile nell'erba ancora tra le gambe di Edmund,
come congelata sul posto. Strinse in modo spasmodico il corsetto,
aggrappandosi al tessuto come se potesse essere l'unica fonte a poterle
dare del sostegno in quel momento.
Peter.
Si morse un labbro, la
Pevensie, per cercare tramite il dolore di riportare ordine nella
propria mente tormentata. Le sembrava di stare annegando, trascinata
inesorabilmente a fondo dall'improvviso macigno che le si era posato
crudelmente sul cuore.
E fu come se un treno la investisse quando
realizzò ciò che era successo, quando
captò l'ironia di quel tempismo che molte volte l'aveva
tirata fuori dai guai ma che, in quella circostanza, stava mandando a
monte tutto. Lo capì osservando per l'ennesima volta gli
occhi rabbiosi e delusi di suo fratello, nello scorgere nel viso di
Edmund, nei suoi occhi sgranati, lo stesso sconcerto che doveva essere
specchio del suo.
Edmund l'aveva
baciata... e Peter li aveva visti.
Le
cose non sarebbero potute andare in modo peggiore.
Silenzioso com'era
arrivato, il Pevensie diede loro la schiena e se ne andò.
Edmund rimase attonito ancora qualche minuto, incapace di ragionare
lucidamente esattamente come Evelyn. Le emozioni ed i pensieri da
processare erano troppi, troppi e troppo diversi tra loro, e venirne a
capo si stava rivelando parecchio difficoltoso. Un attimo prima era
felice per essersi finalmente tolto un peso, quello dopo si sentiva
completamente soggiogato dalla piega che aveva assunto il tutto.
Non
sarebbe dovuta andare così.
Sapeva che non sarebbe stato
facile, sapeva che ci sarebbero state conseguenze e per anni aveva
immaginato di affrontarle nella propria testa, in mille e
più modi differenti.
Ma credeva che il problema principale
sarebbe stata Evelyn, doverle spiegare le motivazioni consapevole che
avrebbe dovuto mettersi completamente a nudo, che avrebbe dovuto dare
voce a quella parte di sentimenti che aveva custodito sempre
gelosamente dentro di sé, non... non Peter.
Deglutì
rumorosamente, tenendo gli occhi sbarrati nel punto esatto in cui il
biondo era sparito, inghiottito dalla fitta e sempre più
buia vegetazione che l'aveva sputato fuori così
improvvisamente – e così crudelmente.
Dannazione,
perché Peter li aveva raggiunti proprio in quel momento?
Perché?
Si schiarì la gola, prendendo coraggio e
spostando lo sguardo su sua sorella. Quel gesto gli costò
uno sforzo che non si aspettava, il corpo sembrava non volerlo
ascoltare, improvvisamente troppo pesante per fare anche solo un gesto
così semplice.
Evelyn era attonita quanto lui, bianca in
volto e con le labbra tremanti, e il modo in cui lo guardava... il modo
in cui lo guardava, lo sguardo spaesato che gli stava rivolgendo, la
muta richiesta di aiuto che vi scorse all'interno lo lasciarono
totalmente inerme. Edmund si sentì svuotato anche
dell'ultima briciola di sollievo che aveva provato capendo che a Eve,
probabilmente, il bacio che si erano dati non aveva fatto del tutto
schifo.
Era tutta colpa sua. Era
solo colpa sua.
Evelyn si stava
trattenendo in tutti i modi ma lui aveva capito che avrebbe voluto
scoppiare in lacrime nell'esatto momento in cui aveva posato gli occhi
lucidi su di lui.
Si allungò verso di lei consapevole che, a
quel punto, qualsiasi suo gesto non avrebbe potuto venire frainteso. La
vide osservare con particolare attenzione i suoi movimenti, studiarlo
mentre si allungava per prenderle una mano tra le sue. Evelyn non si
mosse: il suo corpo era lì, vedeva cosa stava facendo
Edmund, sentiva il pollice che le accarezzava il dorso della mano in un
impacciato gesto di conforto, eppure era come se non si sentisse
totalmente presente.
Era una cosa che aveva sempre desiderato, eppure
quel momento era troppo sbagliato perché potesse apprezzare
quei gesti. Troppe cose insieme si stavano accavallando. Troppe.
L'aria
sembrava trafiggerle i polmoni ad ogni respiro.
Aveva bisogno di
riflettere. Di stare del tempo da sola per poter fare chiarezza con se
stessa. Aveva bisogno di aria. Di poter sfogare tutta la frustrazione
senza essere giudicata, senza sentirsi osservata, senza che Edmund
continuasse a rivolgerle imperterrito quello sguardo colpevole che le
si stava scolpendo nella testa.
Voleva stare da sola.
Sola.
-Vado a
parlare con Peter. Andrà tutto bene, vedrai.- Evelyn nemmeno
gli annuì, quando le strinse maggiormente la mano prima di
lasciarla, a malincuore, per andare a parlare con il fratello maggiore.
Perfino a se stesso era chiaro quanto fossero intrise di
dubbiosità e spavento quelle poche sillabe.
Edmund iniziò
a preoccuparsi di quell'assenza che stava dimostrando ma si impose di
non pensarci troppo, raccogliendo le briciole di coraggio che ancora
possedeva ed alzandosi. Fece quasi violenza su se stesso per non
restare li, in quella radura, a stringere Evelyn in un abbraccio
– per cullarla, e forse egoisticamente per trovare del
conforto per se stesso.
In quel momento era più importante
che agisse e c'era solo una cosa che poteva fare. Arrivati a quel punto
i nodi andavano sciolti. Tutti.
Doveva parlare con Peter.
***
Fu
solo quando anche
la figura di Edmund venne inghiottita da bosco che ad Evelyn
sembrò che il tempo riprendesse il proprio corso e lei
tornasse a respirare.
I passi del fratello erano risuonati attutiti sul
terreno e, una volta che anche il fruscio provocato dal contatto con i
cespugli più bassi si fu allontanato del tutto, nella radura
già silente calò un silenzio quasi innaturale.
L'unico rumore che lo spezzava era il suo respiro. Un suono affannoso,
agitato, che rispecchiava perfettamente come si stesse sentendo: in
panico, spaesata, con l'opprimente sensazione che il mondo fosse pronto
a crollarle addosso.
Tra i fiumi di pensieri odiò se stessa
per il poco autocontrollo che sentiva di possedere in quegli istanti.
Eve sbatté le palpebre, facendo cadere un paio di lacrime
dal bordo degli occhi e portandosi le mani in grembo. Le
sentì quasi bruciare mentre scorrevano lungo le guance
secche.
Cosa era accaduto?
Con un gesto seccato si passò la
manica del vestito sulla faccia, cercando di riprendere
lucidità e cancellando le tracce di quel pianto pieno di
frustrazione che stava prendendo forma. Avrebbe voluto urlare, eppure
stava annegando nel silenzio dei suoi tormenti.
Edmund l'aveva baciata.
Senza volerlo Evelyn sentì uno sfarfallio al petto, colpita
in pieno da dei flashback: il suo viso improvvisamente vicino, il suo
profumo, le sue labbra che gentili, quasi paurose, la sfioravano
appena... Sentì le guance andare a fuoco, la Pevensie, e
nascose il sorrisino d'imbarazzo dietro una mano che, inconsciamente,
si portò a coprire la bocca.
Molte volte aveva immaginato
quel momento ma... averlo vissuto era stata una cosa completamente
diversa.
Edmund l'aveva baciata.
Si sentì spiazzata, Evelyn,
da quella constatazione che sembrava non volesse lasciarle la mente.
Perché aveva fatto una cosa simile? Si trattenne dal tirarsi
un pizzicotto per cercare di allontanare la sensazione di torpore che
la stava avvolgendo.
Edmund l'aveva baciata...
Aggrottò la
fronte, cercando di afferrare quella consapevolezza che sembrava
continuasse a sgusciarle via fra il turbine di pensieri che era
diventata la sua mente. Non riusciva ad afferrarla. Aveva avuto la
verità davanti agli occhi per tutti quei minuti e ancora non
ci era arrivata.
L'aveva baciata… perché provava
qualcosa per lei?
Sbatté le palpebre, Eve, sentendo gli
occhi tornarle lucidi per lo strano sentimento di commozione che
sentì nascerle nel petto, portandosi meccanicamente una mano
al ciondolo.
Fu come se una luce di speranza si fosse fatta spazio tra
il buio opprimente che l'aveva assalita in quegli istanti.
Ripensò ad Edmund, a tutte le volte che aveva sperato ci
fosse un doppio significato per certi suoi comportamenti, a tutte
quelle situazioni fraintendibili che avevano vissuto. Le tornarono in
mente i segreti, le risate, i pianti e le litigate. Ripensò
allo sguardo di suo fratello poco prima.
Evelyn lasciò
cadere la mano in grembo fissando un punto davanti a sé
senza vederlo davvero, completamente immersa in un mondo tutto suo,
l'espressione indecifrabile.
Perché
provava qualcosa per
lei.
***
-...Evelyn.-
Mh...
?
-Eve! Alzati!-
Chi diavolo era che la chiamava così
insistentemente a notte fonda?
-Dai, svegliati!-
Dalle coperte
arruffate provenne uno sbuffo mal celato e dei lievi movimenti, poi
tutto tornò immobile. Ci aveva messo pochi secondi, la
Pevensie, a capire chi l'aveva svegliata. Aveva socchiuso gli occhi
quel tanto per permettersi di capire che no, probabilmente non era
piena notte come credeva, ma semplicemente aveva le coperte tirate fin
sopra la testa. Doveva aver avuto freddo durante le ore notturne, per
essersi raggomitolata in quel modo nel letto.
No che non aveva
intenzione di alzarsi, si stava così bene li...
-Evelyn,
vuoi tirarti su o no?- Lucy si avvicinò alla
grande finestra della stanza, impaziente, tirando senza
pietà le tende che fino a quel momento avevano nascosto la
luce del sole come potevano. I raggi mattutini inondarono l'ambiente.
-Oh insomma, Lu! Che diamine...- la Pevensie non fece caso alle
maledizioni che sua sorella aveva iniziato a mandarle contro
borbottando, avvicinandosi invece al letto in cui si ostinava a
rimanere rifugiata.
-Lo sai che giorno è?- domandò retorica,
afferrando le coperte per poterle tirare
indietro. Si bloccò a metà di quel movimento
rischiando di perdere la presa, perché Evelyn era stata
più furba: nonostante il corpo ancora addormentato aveva
artigliato le lenzuola con tutte le forze che era riuscita a
raccogliere.
-Dai Lucy, lasciami dormire.- fu il lamento implorante che
le uscì. Tuttavia, ormai la sua mente era abbastanza sveglia
ed aveva già iniziato a lavorare e pensare. Alzò
gli occhi al cielo, abbassando lievemente le coperte e mostrando parte
del viso, arrendendosi. La Pevensie sorrise, portandosi le mani sui
fianchi e sospirando.
-Sei sempre la più pigra di tutti.- la
prese in giro, immaginando la smorfia imbronciata che sicuramente
nascondeva sotto le lenzuola. Eve sospirò, iniziando ad
abbassare le coperte. L'aria fresca - anzi, fredda - che aleggiava per
la stanza le fece
venire dei brividi.
-Visto che è il mio giorno potevi
lasciarmi dormire di più.- si limitò a dire,
occhieggiando la figura di Lucy ancora in piedi accanto al letto per
nulla toccata dai suoi lamenti. Come tutte le volte che si soffermava a
guardarla, si rese conto di quanto fosse cresciuta. Il viso le si era
fatto più affilato, era diventata più alta, i
corpetti degli abiti avevano iniziato a modellarle maggiormente la vita
ed i fianchi.
Lu aveva iniziato ad abbandonare le forme di bambina
dando inizio al cambiamento che l'avrebbe portata a diventare una
donna. Se avesse ricordato anche solo lontanamente Susan, come
già era capitato qualche volta, Evelyn era certa che sua
sorella sarebbe diventata bellissima senza niente da
invidiarle. Anche
se la sorella maggiore era quella che riscuoteva ancora maggiore
successo nei Regni limitrofi – e a ragione.
Susan era una
figura da cui prendere ispirazione, ma con la consapevolezza che non la
si sarebbe mai potuta raggiungere.
Non che a lei importasse
più di tanto, in ogni caso.
Sospirò, iniziando a
sistemarsi aiutata dalla sorella. Erano passati tre anni da quando
erano arrivati a Narnia. Tre lunghi e bellissimi anni.
Le stagioni si
erano susseguite lente ed equilibrate – c'era stata un po'
d'ansia tra i Narniani durante il primo inverno dopo la sconfitta della
Strega Bianca, in realtà, ma il freddo era durato giusto il
necessario.
Evelyn si perse nei propri pensieri mentre Lucy le
raccoglieva i capelli in una treccia laterale e l'aiutava a vestirsi.
E
mentre Narnia rinasceva ogni giorno più forte, loro erano
cresciuti, maturati, cambiati... avevano imparato le strategie di
guerra, le musiche, le tradizioni, gli abitanti, i cibi e tutto
ciò che faceva parte di quel regno di cui si erano ritrovati
Sovrani quasi per caso. Un caso fortuito... o destino, come diceva la
leggenda? Due figli di Adamo e due figlie di Eva... C'era qualcosa che
non le era mai stato ben chiaro in quelle parole. Perché
quattro? Forse c'era qualcosa di sbagliato nella predizione?
Aslan non
ne aveva mai parlato e lei non aveva mai avuto possibilità
di domandare, dal momento che era sparito.
-Sei silenziosa. E'
perché sei emozionata?- commentò ad un certo
punto Lucy, mentre le stringeva il corsetto. Evelyn si
ridestò da quei pensieri, voltando il viso quel tanto che
bastava per scorgere la figura della sorella dietro di lei. Qualche
centimetro e l'avrebbe raggiunta in altezza.
Evelyn sospirò,
socchiudendo gli occhi, indagatrice. Tutti erano cresciuti, ma lei era
rimasta bassa. Bassa.
-Mi ero distratta.- le confessò,
sbadigliando. La risatina di Lucy la strappò definitivamente
dai propri dubbi ed Eve fece spallucce con se stessa.
-Dovresti
esserlo... emozionata intendo. Dopotutto è il tuo
compleanno! Ho finito, girati.-
Un giorno come un altro.
Si prese il
viso tra le mani mentre roteava su se stessa, mostrando teatralmente
una smorfia angosciata.
-Non è bello sapere di stare
invecchiando!- Lucy roteò gli occhi al cielo, sorridendo suo
malgrado e prendendo qualcosa che aveva lasciato sul comò li
vicino sotto lo sguardo scrutatore di sua sorella. Evelyn non l'aveva
vista portare niente in mano, probabilmente perché era
rimasta ostinatamente nascosta sotto le coperte a lamentarsi. La vide
nascondere qualcosa dietro la schiena ed alzò un
sopracciglio, indagatrice.
-Manca l'ultimo tocco.- fu la sola
spiegazione che le diede, prima di avvicinarsi nuovamente. La Pevensie
non capì cosa avesse fatto ma attese pazientemente
finché sua sorella non
le piazzò uno specchio davanti al viso.
Tra la treccia
spuntavano dei fiorellini azzurri e all'orecchio le aveva messo una
margherita.
Si sfiorò l'acconciatura, emozionata per quei
piccoli dettagli che Lucy le aveva riservato, reprimendo un lieve nodo
di commozione e specchiandosi nel riflesso di una giovane ragazza che
non immaginava potesse appartenerle. Si era sempre soffermata sui
cambiamenti dei suoi fratelli, raramente sui propri.
-Buon diciassettesimo compleanno,
Evelyn.-
***
Si
diede un leggero
slancio quel tanto che bastava per riuscire a smontare da cavallo. Le
foglie sotto i calzari scricchiolarono leggermente, quando le
calpestò, eppure era riuscita ad essere abbastanza
aggraziata da non disturbare troppo la natura che la circondava con
quel gesto.
In autunno, con il terriccio secco, era decisamente
più rumorosa, tanto che i suoi fratelli più volte
l'avevano rimproverata perché aveva fatto scappare qualche
preda – non che le importasse più di tanto, in
realtà, dal momento che cacciare lo trovava una perdita di
tempo. Non capiva perché gli uomini fossero così
fissati. Non era più emozionante leggere qualche bel libro
davanti al camino acceso o nel giardino del castello?
Accarezzò il collo del destriero, assorta, allungando poi
una mano verso la bisaccia che pendeva dalla sella. L'animale
sembrò capire le sue intenzioni, perché
girò il muso e nitrì leggermente, dandole un
colpetto sul braccio.
-Si, si. Tieni. Bravo ragazzo...- lo
lodò, allungandogli un pezzo di carota. Gli diede un altro
paio di carezze mentre l'animale iniziava a brucare l'erba, poi gli
voltò le spalle, osservando con attenzione lo spiazzo di
radura che le stava davanti, soppesando se ci fosse qualcun'altro.
Una
leggera brezza le scompigliò i capelli ed Evelyn
rabbrividì, cercando di coprirsi maggiormente le spalle con
il mantello che indossava. Non era ancora piena estate, non si sorprese
quindi che ogni tanto potesse fare freddo anche in pieno giorno.
Inoltre, nelle giornate precedenti aveva anche piovuto e le temperature
si erano abbassate.
Sospirò, iniziando a camminare,
allontanandosi dal bordo della foresta da cui era spuntata ed
avvicinandosi con passo lento verso il cumulo di rocce abbandonato in
mezzo alla piana.
Ad avvolgerla c'era solo il silenzio, rotto talvolta
dai suoni della natura. Nonostante tutto, però, quel luogo
rimaneva comunque il più silenzioso di Narnia, come se
perfino i suoi abitanti non volessero disturbare la quiete che vi
regnava.
Anche in mezzo
al nulla però l'unica cosa che provava era una sensazione di
serenità. Narnia non le faceva paura. Non avrebbe mai
potuto. E la solitudine che l'avvolgeva non le dava fastidio,
accogliendo i suoi pensieri portandola come in una bolla personale.
Sfiorò la roccia quando fu abbastanza vicina, soppesando le
crepe che ne frastagliavano la superficie con sguardo malinconico,
osservando per l'ennesima volta la spaccatura che l'aveva divisa come
se fosse ancora la prima volta. La tavola su cui si era sacrificato
Aslan. Il luogo in cui era morto... e risorto.
La mattina della
battaglia lei ed i suoi fratelli avevano saputo della morte del leone
tramite i messaggi portati dagli alberi. Lo sgomento per quell'evento
era stato troppo perché potesse dargli una voce.
Solo molti
giorni dopo, e facendosi coraggio per soddisfare quella punta di
curiosità che la stava tediando da tempo, aveva raccolto
quel poco di forza per andare a domandare a Lucy e Susan come fossero
andate le cose e cosa avevano visto. Aveva osservato gli occhi delle
sorelle rattristarsi ricordando quella che a detta loro era stato un
tentativo brutale di umiliare il Re di Narnia, ed Eve si era sentita
trafiggere dal senso di colpa per aver riportato loro a galla quelle
immagini.
Era sicura che ogni tanto le tormentassero ancora nei sogni. Non
erano cose che si potevano dimenticare facilmente.
Tuttavia, lo sguardo
della minore si era illuminato nuovamente in quel modo particolare che
le veniva solo quando pensava ad
Aslan, raccontandole come fosse riapparso dopo il boato che aveva fatto
la pietra
spezzandosi.
Evelyn si morse un labbro, pensierosa, sedendosi su uno
dei sassi che formavano i resti di quello strano altare e fissando lo
sguardo davanti a sé ed iniziando a torturarsi le mani.
Aslan...
Non sapeva bene perché fosse andata nuovamente in
quel luogo, Eve. Ogni tanto le era capitato di tornare in quell'angolo
di mondo che avevano volutamente lasciato intoccato, come a ricordare e
testimoniare tutti gli eventi che dal loro arrivo a Narnia si erano
susseguiti e che sarebbero, poi, diventati racconti e leggende.
Non poteva immaginare che quel posto più di mille anni dopo
sarebbe diventato testimone degli eventi che avrebbero cambiato per
sempre la sua vita.
Forse
era perché nessuno vi si avvicinava senza una valida
motivazione. Forse era per cercare di immergersi in quello che avevano
potuto provare le sue sorelle quella terribile notte, sentendosi in
difetto per non essersi accorta di quello che stava accadendo. Forse
perché quello era diventato un luogo sacro, e sperava in
qualche modo che vi aleggiasse la presenza di Aslan pronta a darle un
qualche tipo di conforto. O, magari, era il luogo in cui sarebbe
finalmente riapparso... quanto tempo era passato da quando era sparito?
Sospirò, spostando lo sguardo sul cielo che la sovrastava.
Più di quattro anni, ormai. Non era un po' troppo per farsi
una vacanza? Forse gli era capitato qualcosa.
Avevano provato a
cercarlo, ovviamente senza risultati. Lucy era quella più
ottimista: secondo lei sarebbe tornato quando meno se lo aspettavano, e
nessuno dei fratelli aveva osato alzare dei dubbi a quelle
affermazioni.
Evelyn alzò le braccia al cielo, socchiudendo
gli occhi per via del sole e cercando di allontanare quei pensieri con
poca convinzione.
Scavando un po' più a fondo ed
ammettendolo a se stessa senza troppi problemi, seppe darsi la risposta
che cercava: si sentiva inquieta. E non sapeva spiegarsi il motivo.
Egoisticamente aveva pensato che raggiungere quel posto le infondesse
una qualche sorta di pace interiore come succedeva tutte le volte che
rimaneva da sola a riflettere. Tuttavia, in quelle giornate, affrontare
se stessa e la sua mente non stava portando i buoni risultati che
avrebbe voluto e non ne capiva il motivo.
C'era qualcosa che le
sfuggiva e non riusciva ad afferrarla, dandole la stessa percezione di
quando non viene in mente una parola ma con la brutta sensazione che ci
fosse dietro qualcosa di molto peggiore.
Perché?
Evelyn si
grattò la nuca ed allontanò una mosca,
occhieggiando velocemente il cavallo poco distante come per sincerarsi
fosse ancora nei paraggi. Usò un ginocchio come appoggio per
il gomito e poggiò il viso su una mano, concedendosi
nuovamente di lasciare andare i propri pensieri ed il proprio sguardo.
Si perse ad osservare la vasta vallata che si estendeva ai piedi di
quell'altura senza mostrare un interesse particolare, conoscendola
ormai a memoria, quasi accartocciata su se stessa per la posizione
assunta.
Fu forse il tintinnio che stavano facendo le briglie del suo
destriero, ormai poco distante da lei, o forse l'osservarne di sfuggita
il manto castano scuro, che ad Eve balenò in testa un solo
pensiero incontrollato.
Edmund.
Una singola parola – no, un
singolo nome, il nome di
suo fratello
– capace di
ghiacciarle il sangue nelle vene all'istante. Evelyn sentì
il proprio corpo irrigidirsi in modo innaturale e quasi si
spaventò per quella reazione tanto che smise di respirare.
Che cosa stava succedendo? Cosa le stava succedendo?
Scosse
violentemente la testa cercando di scacciare il malessere che sentiva
crescerle dentro, portando una mano al ciondolo che portava al collo.
Sicuramente era colpa di quello che era successo. Non c'era altra
spiegazione.
Per i suoi diciassette anni Edmund le aveva regalato una
collana.
Ricordava di esserne rimasta sorpresa perché
già ne portava una – quella stessa collana che
portava anche in quel momento – regalatagli per
l'incoronazione dal popolo di Narnia. Tutti loro avevano ricevuto
qualcosa che, secondo i Narniani, li rappresentava: Lucy una sciarpa
vellutata, Susan un bracciale, Edmund una spada dagli intarsi
particolari e Peter un elmo nuovo che ricordava il pomo di Rhindon. E,
salvo rare occasioni, non se ne era mai separata.
Per quel motivo era
rimasta un po' spiazzata davanti al regalo che il Pevensie le aveva
riservato per il suo penultimo compleanno – in
realtà, ricordava di aver sentito una punta di amarezza per
quell'idea che sapeva di riciclato, sentendosi in colpa subito dopo per
quel sentimenti di ingratitudine.
Nonostante quei pensieri aveva iniziato ad indossarla sempre
più spesso, le aveva tenute perfino nella festa che le
avevano organizzato un paio di mesi prima per i diciotto anni.
Le due E
spiccavano appena sopra l'incavo dei seni, talvolta attirando anche le
attenzioni di qualche nobile particolarmente curioso. Eve aveva
imparato a leggere negli sguardi che le venivano rivolti il lieve
disorientamento che li trapassava quando si posavano su quei due
gioielli giudicati probabilmente così tanto anonimi
per una
Regina.
La Pevensie sorrise senza allegria, ricordando distrattamente
anche i loro tentativi di non soffermarsi troppo palesemente ad
osservarle il seno.
Eppure...
La bocca di Evelyn s'increspò
in una smorfia e delle rughe le si formarono in mezzo alla fronte,
rendendo la sua espressione improvvisamente tirata, gli occhi che,
amareggiati, continuavano a sondare l'orizzonte.
Eppure, non aveva
potuto nascondere il dispiace quando, qualche giorno prima, le si era
rotta. In realtà, era stata una brutta coincidenza.
Stava
combattendo nel giardino insieme a Peter, dopo averlo portato
all'esasperazione per fare un po' di esercizio con lei. Aveva da fare,
il Supremo Re di Narnia, era pieno di impegni come sempre ma alla fine
aveva accettato: Edmund non c'era quel pomeriggio e Susan preferiva di
gran lunga l'arco, e a Lucy, ad Evelyn, nemmeno passava per
l'anticamera del cervello di chiedere.
Dopo pochi minuti si era
ritrovata contro la serie di cespugli ed aiuole che dividevano quello
sprazzo di prato dal giardino in cui le ragazze si trovavano spesso per
rilassarsi. Avevano continuato come se niente fosse, perché
entrambi cercavano di rendere quei duelli il più reali
possibile.
Imparare ad aprirsi dei varchi quando ci si ritrovava con le
spalle al muro era importante tanto quanto saper attaccare per poter
sopravvivere.
Non si era accorta dei rami che in qualche modo le si
erano incastrati tra i capelli e sul collo fino a quando non si era
abbassata di scatto per cercare di sgusciare via: aveva sentito un
dolore alla gola e per un attimo le era mancato il respiro, finendo poi
a terra di botto.
Peter aveva lasciato cadere la spada all'istante,
chinandosi e mettendole una mano sulla schiena mentre tossiva e
aiutandola a tirarsi su un po' su. Evelyn si era sentita i suoi occhi
indagatori addosso mentre si ripuliva la bocca dalla saliva ed
inspirava grandi boccate d'aria, percependo sotto il palmo della mano
con cui si stava sostenendo il terreno ancora umido di pioggia.
-Tutto
bene?- le aveva domandato dopo qualche minuto, senza staccarle lo
sguardo di dosso. La Pevensie aveva alzato gli occhi verso di lui,
ancora incapace di realizzare cosa fosse accaduto e sentendo i capelli
scompigliati sulle spalle.
-Si... si, credo. Cosa è
successo?- si portò una mano alla gola, percependo un lieve
bruciore sulla pelle. Rivolse a Peter uno sguardo spaesato mentre si
rimetteva in piedi, in cerca di risposte.
Lo vide sospirare ed
osservarla criticamente, probabilmente ricordando la scena di pochi
minuti prima, poi lo sguardo del biondo virò drasticamente
verso il terreno, nascondendo quell'alone di preoccupazione che ancora
vi si leggeva. Aveva preso un infarto.
-Te lo avevamo detto di non
metterle in queste circostanze.- Evelyn non capì quelle sue
parole fino a quando non lo vide chinarsi e raccogliere qualcosa da
terra che, all'istante, rifletté la luce del sole che
animava quella giornata.
Oh...
Automaticamente si portò
nuovamente la mano al petto, in un gesto involontario per sincerarsi
della presenza delle collane come ogni tanto faceva quando le veniva il
dubbio di non averle indossate, con una sensazione sgradevole alla
bocca dello stomaco.
Le
sue dita ne strinsero soltanto una.
***
Edmund
ci aveva messo
poco a capire che la persona che stava cercando non si trovava
all'interno di Cair Paravel: una volta attraversata la sala con i troni
il suo corpo si era mosso in automatico verso la biblioteca, il
giardino e la stanza di Evelyn, convinto di poterla scovare in uno di
questi tre luoghi in cui spesso si rintanava, senza successo.
Passò accanto allo studio di Peter e rallentò il
passo solo per qualche secondo, sentendo la voce del fratello
borbottare qualcosa con qualcuno e suoni di pagine girate di tanto in
tanto. La porta rigorosamente chiusa, però,
non gli permise di sentire altro se non delle frasi confuse.
Edmund
proseguì la sua ricerca cercando di scacciare il senso di
colpa che sentiva all'altezza dello stomaco per aver lasciato il biondo
a svolgere i propri doveri da solo, in quella giornata, nonostante le
sue richieste. L'aveva fatto per un buon motivo. Peter stesso l'aveva
lasciato andare quando gli aveva spiegato la sua motivazione sul
perché quel pomeriggio proprio non potesse restare.
Non c'era motivo che si sentisse
in difetto.
Serrò la mascella, promettendosi che appena
possibile sarebbe tornato a dare una mano al Pevensie
nell'organizzazione delle trattative che stavano portando avanti,
stringendo la scatolina che portava in una mano.
Il suo istinto lo
portò, pochi minuti dopo, alla balconata che dava sulla
spiaggia, iniziando ad avere il dubbio che anche Eve potesse essere
andata chissà dove e non fosse ancora rientrata.
Edmund si
concesse qualche attimo per osservare il mare estendersi in maniera
infinita poco sotto di lui. Le onde si infrangevano delicatamente sulla
sabbia, riflettendo i raggi del sole che, splendente nel cielo, aveva
iniziato a calare verso la linea dell'orizzonte.
Ogni tanto si
immaginava cosa dovesse aver provato Lucy il giorno in cui aveva
osservato Aslan allontanarsi. Un attimo prima c'era... e quello dopo
era sparito - aveva detto.
Immaginò la scia delle impronte sul
bagnasciuga, il profilo regale della sua figura farsi sempre
più piccolo, la criniera al vento, i raggi che
accompagnavano il suo percorso... fu facendo scorrere lo sguardo sulla
porzione di spiaggia poco distante che gli occhi di Edmund incontrarono
una figura.
Oh.
Non ci mise che qualche secondo, la mente del Pevensie,
nel riconoscere il profilo di Evelyn nella sagoma accovacciata sulla
sabbia. Strizzò gli occhi per metterla a fuoco, incuriosito,
ma per quanto la vista fosse buona l'unica cosa che riuscì a
capire era che la sorella stesse osservando il mare, probabilmente
pensierosa.
Si morse l'interno di una guancia, indeciso, soppesando se
andarla a disturbare fosse una buona idea. Quando era partito qualche
ora prima per raggiungere il villaggio di fabbri che gli era stato
consigliato le aveva rifilato una scusa, sperando in quel modo di farle
una sorpresa gradita – o, se le cose fossero andate male, di
non deludere delle eventuali aspettative.
Già che c'era,
mentre attendeva, aveva davvero fatto limare anche la propria spada,
approfittando di quei momenti di attesa per fare un giro per quella
piccola – piccolissima, molti abitanti ancora vivevano
distanti gli uno dagli altri, nelle cave degli alberi o nascosti tra le
montagne ed i boschi – cittadella e soppesare l'umore dei
Narniani. Per lui e le sue sorelle era importante che non ci fossero
malcontenti tra la popolazione.
-Sei tornato prima di quanto pensassi.
E' andato tutto bene?-
Edmund si girò, colto di sorpresa. Si
ritrovò davanti la figura di Susan, le mani congiunte in
grembo e le labbra piegate in un sorriso. Indossava un elegante vestito
azzurro con ricami argentati. Gli occhi della Pevensie lo scrutarono
velocemente, come a sincerarsi che nelle condizioni del fratello non ci
fosse nulla di anomalo, poi
tornò ad osservarlo con quella nota di silenziosa
aspettativa con cui l'aveva accolto.
Edmund le diede la sua totale
attenzione, strappato ormai dai propri pensieri.
-Ah si, tutto bene.
Grazie.- mosse la mano in cui teneva la scatolina davanti al viso di
Sue e dall'interno provenne un lieve tintinnio metallico. Sorrise
compiaciuto, osservando gli occhi della maggiore brillare.
-Non era una
tragedia, come le avevamo detto.- fu la constatazione che fece,
avvicinandosi di qualche passo alla Dolce. La ragazza annuì,
ricordando lo sguardo mortificato che Evelyn si era trascinata dietro
quella manciata di giorni. Sembrava che avesse commesso un crimine
imperdonabile.
-Dai, vai a dargliela, nel frattempo cerco Lucy e Peter.
Mangiamo qualcosa insieme, ti va? Sarai stanco ed è quasi
ora di cena.- spezzò il silenzio lei, dopo qualche attimo,
mettendo in risalto le proprie capacità di osservazione. Lo
sguardo che gli stava rivolgendo era quello di una persona che
già sapeva perfettamente quale sarebbe stata la risposta
senza bisogno di sentirsela dire.
Edmund, semplicemente,
annuì.
Impiegò
pochi minuti a fare il giro a ritroso del castello, scendere le
scalinate e raggiungere la spiaggia tramite il sentiero che la
collegava al giardino. Sperò di non essere risultato
troppo impaziente di uscire agli occhi dei servitori che aveva
incrociato suscitando loro dei dubbi – o, peggio ancora, in
Susan.
La brezza che lo accolse quando si affacciò sul mare
gli fece venire una lieve pelle d'oca, insinuandosi sotto la casacca e
percorrendogli il profilo della schiena. Non era ancora piena estate e,
quando arrivava la sera, se c'era il vento dava fastidio.
Senza
starsene troppo a rimuginare aveva raggiunto Eve, imprecando
silenziosamente per i calzari che affondavano nella sabbia bianca e
sentendosi particolarmente impacciato nei movimenti. Soppesò
la figura della Pevensie in silenzio, rimanendo a qualche metro di
distanza e trovandola esattamente come l'aveva vista dalla balconata.
Non si accorse di aver trattenuto il respiro fino a quando l'acqua non
gli raggiunse gli scarponi.
Maledizione.
Lanciò un'occhiata
a Eve, avvicinandosi leggermente, rendendosi conto che non si era
accorta della sua presenza e continuava ad osservare il mare persa in
chissà quali pensieri, l'aria abbattuta e gli occhi
socchiusi.
Edmund si permise di osservarne il profilo solo per qualche
attimo ancora, stringendo la scatoletta che teneva in mano in maniera
quasi spasmodica per sfogare la tensione che percepiva. Il sole che
tramontava le illuminava il volto, donando ai capelli quei riflessi
più chiari che a lui piaceva tanto osservare – gli
piacevano così tanto da volerli toccare con mano.
Si morse
un labbro, nervoso, cercando di scacciare quel pensiero dalla testa con
tutta la volontà di cui era capace.
Maledizione.
Le si
avvicinò ancora di qualche passo, cercando di cancellare dal
proprio viso qualsiasi traccia di turbamento che potesse farle sorgere
qualche domanda. Evelyn lo stava imparando a conoscere sempre di
più, ma in quella circostanza non poteva permettersi che gli
leggesse dentro scoprendo il suo segreto.
Non poteva.
La vide sussultare quando la
sovrastò con la propria figura, pentendosi di non averle
annunciato la propria presenza, spaventandola – ma fu solo
una frazione di secondo, perché nel momento in cui Evelyn
alzò il viso per capire chi fosse l'intruso che aveva rotto
la sua quiete lui percepì il respiro venirgli a mancare
quando incontrò i suoi occhi chiari.
Si trattenne dal
leccarsi le labbra secche, percependo le parole morirgli in gola
insieme a tutta l'indifferenza che aveva raccolto. Non andava bene
così. Doveva stare calmo.
-Dove sei stato?- gli
domandò, senza guardarlo in faccia. Edmund le si sedette
accanto, smuovendo la sabbia con i calzari ancora bagnati e lanciandole
una fugace occhiata, ringraziando mentalmente che fosse più
interessata al mare. Non seppe decifrare il tono di voce con cui gli
aveva posto quella domanda, chiedendosi se quello che aveva percepito
tra le parole fosse un principio di stizza.
-In giro.- fu la laconica
risposta che si permise di darle, cercando di fare spallucce per
dissimulare. Non voleva che Evelyn percepisse quanto lo rendesse
orgoglioso di se stesso quello che aveva fatto quel pomeriggio. In
realtà, non aveva nemmeno molto senso ciò che
stava provando in quel momento, alla fine non era nulla di che.
Chissà che faccia avrebbe fatto, sua sorella...
-Tieni.- si
decise ad allungarle la scatoletta, non facendo caso al silenzio in cui
Eve era rimasta immersa per tutti quei minuti. Era troppo curioso di
vedere la sua reazione.
La Pevensie prese la scatoletta dalla sua mano
dopo averla soppesata per qualche secondo, lanciandogli delle occhiate
interrogative di sottecchi a cui volutamente non fece caso, limitandosi
ad indicarle con un gesto eloquente di aprire la confezione.
Edmund
sentiva la trepidazione bruciargli nelle vene, ansiosa, iniziando a
percepire la paura di un possibile fallimento ogni secondo che passava.
Ma di cosa si preoccupava, poi? Evelyn sarebbe di sicuro stata
contenta.
Vide la faccia spiazzata di sua sorella, gli occhi che per
qualche attimo si strabuzzavano, sorpresi, per poi posarsi su di lui in
una muta richiesta di spiegazioni.
Ad Edmund ricordò fin
troppo la scena che si era svolta quando si era trovata di fronte
quello stesso ciondolo la mattina del suo compleanno. L'aveva trovata
bellissima, con gli occhi chiari sgranati di stupore e il volto
incorniciato dalle ciocche volutamente lasciate libere da Lucy quando
le aveva fatto la treccia. Eppure, i lineamenti che aveva assunto il
suo viso l'attimo subito dopo l'avevano lasciato stranamente spiazzato.
Una sensazione di inquietudine gli chiuse lo stomaco in una morsa
esattamente come era capitato quel giorno.
Forse era stato troppo
ottimista. Forse si sarebbe arrabbiata perché era andato a
ficcare il naso tra le sue cose – in realtà, non
aveva nemmeno dovuto cercare troppo. La collana rotta era in bella
vista sulla cassettiera e una volta presa era filato via dalla camera
per paura di essere visto. Forse aveva capito male il muso che aveva
piantato in quei giorni e non le fregava niente che si fosse rotta, o
di rimetterla.
Era esattamente la sensazione che l'aveva colto l'anno
precedente. Di aver sbagliato qualcosa, di aver fatto un errore.
Edmund
deglutì, cercando di non lasciar trapelare l'insicurezza che
iniziava a tediarlo.
-L'ho fatta riparare.- si decise a dirle, quando
fissò lo sguardo su di lui per l'ennesima volta e
protendendosi per afferrare il ciondolo. Egoisticamente, voleva che
Evelyn tornasse a rimettere quella collana. La collana che lui le aveva
regalato. La collana con la sua lettera. La E di Evelyn. Ma anche la E
di Edmund.
Era un sentimento ingiusto, che un fratello non avrebbe
dovuto provare – non in quel modo, ne era fin troppo
consapevole. Eppure tutto nella sua testa si era azzerato, svuotandola
da ogni ragionamento logico come ormai sempre più spesso
capitava.
Edmund aveva in fretta capito come convivere con quelle
emozioni, cercando di dargli un freno per quanto possibile ed imparando
a simulare una tranquillità che in realtà non
possedeva. Un po' come quando doveva strappare qualche accordo durante
una trattativa e sfoggiava quel suo sguardo distaccato pronto a captare
ogni possibile bluff o inganno.
Ma Evelyn non era un nobile qualunque o
un pezzo di contratto ed i sentimenti che provava per lei non potevano
contenere menzogne.
Si sforzò di concentrarsi
sull'agganciare la collana stando ben attento a non appoggiarsi a lei o
toccarle la pelle. Era invitante, la porzione di pelle liscia
candida che aveva lasciato scoperta quando aveva tirato di lato i
capelli, tanto che Edmund fece quasi violenza su se stesso per non
soffermarcisi con gli occhi o le dita. Chissà se era morbida
come quella delle mani che ogni tanto aveva sfiorato per sbaglio...
Se
fosse stato meno preso dai propri pensieri avrebbe anche notato che Eve
stava parlando con una voce più acuta del solito,
balbettando ed incapace
di guardarlo in faccia per più di qualche secondo.
La
Pevensie sospirò leggermente e le mani di Edmund tremarono,
mentre il dubbio che si stesse spazientendo per il tempo che stava
impiegando ad agganciare un semplice anello gli attanagliò
le viscere di agitazione.
No, doveva stare calmo. C'era quasi. In
verità pensava sarebbe stato più semplice, dann_
Ah!
-Finito!- esultò senza trattenersi, allontanandosi come
scottato da quella vicinanza troppo prolungata. Cercò di far
riprendere al proprio cuore un ritmo sostenibile.
-Non dici niente?-
domandò dopo qualche attimo rivolto alla sorella,
accorgendosi che lo fissava. Per il disagio si alzò in
piedi. Quella sembrò riscuotersi, sbattendo le palpebre e
voltando lo sguardo.
-Grazie.- disse, mentre sorrideva ed osservava la
mano che gli porgeva. Edmund le fece un segno di vittoria, sollevato
che non avesse mosso obiezioni sulla sua decisione di rimetterle il
ciondolo senza interpellarla, dandole
le spalle ed incamminandosi verso il castello.
Non vedeva l'ora di
togliersi le scarpe umide e farsi un bagno.
Occhieggiò il
mare, il sole ormai a metà sulla linea dell'orizzonte ed il
suo riflesso arancione che si rifletteva sull'acqua, il
cielo tendente verso un forte colorito rosato.
Un bel tramonto...
chissà quanto tempo era passato da quando era tornato a Cair
Paravel. Non gli sembrava fossero trascorsi più di una
decina di minuti. Accanto ad Evelyn il tempo sembrava passare fin
troppo velocemente.
Edmund corrugò la fronte,
improvvisamente pensieroso.
Tempo... ?
Il ricordo della discussione con
Susan lo trapassò da parte a parte come un fulmine,
esattamente come era sicuro avrebbe fatto il suo sguardo se li avessero
fatti aspettare per troppo tempo.
Si voltò alla ricerca di Evelyn,
trovandola inaspettatamente dove l'aveva lasciata. Iniziò a
sbracciarsi per attirarne l'attenzione.
-Eve, muoviti! Gli altri ci
staranno sicuramente aspettando!-
***
Evelyn
sospirò, circondandosi le ginocchia con le mani ed
appoggiandovi sopra il mento. Perché proprio in quel momento
le tornavano in mente quei ricordi? Era sicura che quello era solo il
primo di una lunga serie di coincidenze che si sarebbe messa a guardare
con occhi diversi – e non sapeva bene se potesse
permetterselo o meno.
Dannazione.
Continuò a fissare il
punto in cui Peter ed Edmund erano spariti non sapeva nemmeno quanto
tempo prima, immobile, nascondendo gli occhi lucidi dietro le palpebre
per qualche istante.
Una sensazione di gelo l'avvolse dandole i
brividi, eppure era sicura che non facesse freddo.
Si sentiva sperduta.
Travolta da quello che stava succedendo. Angosciata per le conseguenze.
Eppure, da qualche parte dentro di lei, era come se il grosso peso che
l'aveva sempre accompagnata si fosse un po' dissolto. Solo un po'.
Non
era sola.
Era stato Edmund a baciarla per primo. Non era da sola. Non
era solo lei. Non era solo lei a essere la difettosa della famiglia.
Eppure non andava bene lo stesso. Eppure avevano fatto qualcosa che non
avrebbero dovuto. Non era giusto provare quella sensazione di sollievo
che ogni tanto sentiva affiorare.
-Andrà tutto
bene,
vedrai.-
Eve aggrottò la fronte, riaprendo gli occhi e
tirando la bocca in una smorfia amareggiata, mettendosi a fissare il
cielo stellato sopra la sua testa e sentendo un magone in gola.
No, che
non sarebbe andato tutto bene.
Benritrovati
a tutti
cari e care! Come state? Visto il periodo, spero vi stia andando tutto
bene.
Personalmente con la scusa della quarantena mi sono messa a
recuperare un bel po' di roba, molti anime in primis. Poi, come potete
vedere, ho cercato di far tornare anche l'ispirazione. Spero che vi sia
gradita come cosa e di avervi fatto un pochino di compagnia in questo
periodo un po' pesante e un po' infelice.
Note sulla storia: questo capitolo da come avete potuto leggere
è il primo che si collega a uno degli spin off a cui ho
voluto dare un'anticipazione - ormai molti anni fa. La one shot l'ho
revisionata
perché altrimenti non mi sarei trovata con alcuni dettagli
sulle tempistiche - che spero vi siano chiari -, e vi consiglio di
leggerla nel caso non l'abbiate
fatto, in quanto tratta l'ultima parte degli eventi dal punto di vista
di Evelyn. Per il resto, credo sia tutto chiaro, mi scuso se
è molto riflessivo come capitolo ma come avrete letto dal
titolo la collana la fa da padrona e veniamo a sapere che il primo ad
innamorarsi è stato Edmund. Ricordo inoltre che Eve
è nata a fine gennaio, quindi siamo ambientati verso
metà aprile, stagione ancora non troppo calda.
Nota inutile: dato che la maggior
parte degli eventi che avrebbero dovuto arrivare alla conclusione con
il finale che avevo in mente - non questo, mannaggia -, li ho
già scritti qui, potrebbe essere che il prossimo sia un
pochino più corto rispetto alla media per raggiungere quel
punto nella storia - non vorrei sembrasse che lo butto li
così tanto per aggiornare, ecco.
Vi ringrazio per le recensioni, i preferiti, le ricordate ed i seguiti
e l'immensa pazienza che dimostrate.
Spero di tornare presto. <3
D.
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Capitolo 36 *** La distruzione di un mondo. ***
Narnia's
Spirits
La
distruzione di
un mondo.
-Peter!-
Il
ragazzo strinse i
pugni, ignorando il richiamo che in quel momento stava avendo solo
l'effetto di fargli salire maggiormente l'irritazione che gli
serpeggiava prepotentemente sotto la pelle. Sentì le mani
tremare e
accelerò il passo.
-Peter, aspetta!-
In quel momento aveva
una moltitudine di pensieri che gli giravano per la testa, ma la
sensazione che spiccava maggiormente era quella di mettere
più distanza possibile tra lui e la figura che lo stava
inseguendo.
Edmund, un po' trafelato, cercava in tutti i modi di
raggiungere il fratello consapevole che catturarne l'attenzione sarebbe
stata un'impresa ardua. Quando era arrabbiato – e Peter in
quel momento lo era davvero molto – l'unica cosa che potevano
fare era lasciarlo sbollire in solitaria prima di cercare di
approcciarlo nuovamente. Eppure il Pevensie sentiva l'impellente
bisogno di parlare. Di spiegare. Non poteva aspettare ancora, anche
perché temeva che, se fosse passato del tempo, quel poco di
coraggio che era riuscito a raccogliere per poter affrontare il
fratello maggiore sarebbe scomparso.
-Peter, per favore!-
provò ancora, invano, e la sua voce suonò
particolarmente rotta e implorante esponendo quell'ultima preghiera nel
silenzio della sera che era calata su Narnia. Come il lamento di una
bestia ferita, ma Edmund non era completamente sicuro di chi tra lui e
Peter fosse effettivamente la vittima della situazione.
Ormai la figura
del biondo era a pochi metri da lui. Sperava di fermarlo prima, Edmund,
in modo da poter avere una conversazione in privato e senza orecchie
indiscrete ad ascoltarli, ma con un picco di panico si rese conto che
Peter si stava dirigendo nel luogo che riteneva meno adatto per quella
circostanza.
La casa di Aslan.
Dove stavano i Narniani, dove stava
Caspian. Dove stavano le loro sorelle.
Ad Edmund mancò il
fiato tanto che si strinse una mano sulla casacca all'altezza del
cuore, mentre percepiva sempre più pesantemente il germoglio
del pentimento spingere per uscire.
-Dobbiamo parlare!- lo
esortò per l'ennesima volta, allungando una mano verso il
fratello in un gesto inconscio. Come se lo avesse davvero toccato
dentro il Pevensie si fermò di scatto, voltandosi nella sua
direzione. Edmund sentì un brivido lungo la schiena vedendo
la sua espressione distorta, gli occhi rabbiosi che sembravano volerlo
trapassare da parte a parte.
-Si. Dobbiamo.-
***
-E'
successo
qualcosa.-
-...Mh?-
Dhemetrya si sporse dal ramo su cui era accucciata,
puntando lo sguardo mezzo assonnato verso il basso. Solitamente
l'avrebbe presa a male parole per averla strappata dal torpore in cui
si stava lasciando andare, ma il tono grave che aveva percepito
permeare le parole di Lia l'avevano in qualche modo messa in allerta.
Osservò la figura della lupa ai piedi della grande quercia
che da giorni condividevano come riparo per la notte, soppesandone i
movimenti. Lia aveva le orecchie alzate puntate in avanti,
un'espressione – per quel che riusciva a scorgere nella
penombra della notte – indagatrice che le induriva i
lineamenti lupoidi. Rimase in silenzio qualche attimo.
-Io non
percepisco nulla.- osservò calma, soppesando i dintorni. Gli
alberi e la natura di Narnia non stavano comunicando niente –
niente più del solito dolore che ormai si era abituata a
sentire, quantomeno – quindi non riuscì a capire a
cosa si riferisse la Narniana.
-Lia?- si intromise Antares, altrettanto
spaesato. La lupa si limitò a indicare un punto imprecisato
nella radura con un gesto secco del muso, e gli occhi brillarono nella
penombra per quel movimento.
Facendo scorrere lo sguardo verso la
direzione che gli era stata indicata, i due scorsero un paio di figure
che tornavano in direzione del rifugio.
-Sono... Re Peter e Re Edmund?-
domandò Dhemetrya, strizzando gli occhi. Il buio che era
ormai calato e la luna semi nascosta dalle nubi non aiutavano la sua
vista in quell'impresa, ma non c'erano molti uomini che passeggiassero
in giro per Narnia, quindi non potevano che essere loro.
Eppure, anche da quella distanza, le fu
abbastanza chiaro cosa avesse turbato Lia dalla quiete in cui si
trovavano quel giorno.
I due avevano delle espressioni che non gli
aveva mai visto, in volto. Le trovò indecifrabili da quella
distanza. E a giudicare dai movimenti, dal modo in cui camminavano,
sembrava quasi che Peter stesse lasciando indietro apposta il fratello,
come a volerlo a tutti i costi tenere lontano da sé.
Avevano
litigato?
Dhem sentì un nodo alla bocca dello stomaco. Aveva
una brutta sensazione.
***
Cercò
di
ignorare gli sguardi spaesati che gli vennero rivolti quando
entrò nel rifugio con passo accelerato, il suono dei calzari
che venivano pesantemente pestati a terra ad ogni passo che rimbombava
tra le pareti del cunicolo che conduceva alla stanza con la tavola di
pietra.
Chiunque gli avesse rivolto un'occhiata avrebbe capito da quel
semplice comportamento di sfogo che era successo qualcosa.
Qualcosa
aveva turbato Re Peter, facendogli mutare l'espressione solitamente
sempre calma e fiera che portava, facendogli assumere quei movimenti
stizziti di chi cerca in ogni modo di trattenersi per non esplodere.
Qualcosa lo aveva fatto arrabbiare profondamente.
Bastò
un'occhiata a Susan e Lucy, ancora in compagnia di alcuni Narniani e
Caspian mentre finivano di sistemare i rimasugli di quella che era
stata una serata più riuscita di quello che immaginavano,
per capire che c'era qualcosa che non andava.
Il Pevensie non le
degnò di uno sguardo mentre scompariva nello stretto
cunicolo fulminando chiunque gli capitasse sotto gli occhi. Nessuno
ebbe il coraggio di domandare nulla, semplicemente le due sorelle si
scambiarono uno sguardo preoccupato, indecise se raggiungerlo o
lasciare che fosse lui ad andare da loro per renderle partecipi.
Come
avevano potuto?
Peter sbatté rabbiosamente un pugno sulla
pietra spaccata, ignorando il dolore per essersi graffiato a sangue le
nocche e la sensazione di calore che iniziò a pulsargli
nelle dita.
Come avevano osato?
Prese a calci dei sassi sparsi sul
pavimento, facendoli volare contro il muro, cercando di dare sfogo in
qualche modo a tutta la rabbia che sentiva ribollirgli nelle vene.
Non
ci credeva. Non voleva crederci. Non era possibile.
Eppure, quella
dannata scena continuava a ripresentarsi davanti ai suoi occhi senza
che lui potesse farci nulla, inesorabilmente. Il cervello gliela
riproponeva ancora e ancora, in una lenta tortura che gli stava
annebbiando la mente come un veleno.
Edmund ed Evelyn...
loro...
Si
portò una mano alla bocca, sentendo l'aria venirgli meno,
percependo il nodo allo stomaco stringersi in una morsa e procurandogli
un fastidioso spasmo all'altezza del cuore tanto che per un attimo
pensò di stare avendo un principio di infarto. Forse sarebbe
stato meglio così, morire subito, invece di doversi
ritrovare ad affrontare quella situazione che mai avrebbe immaginato.
Lo avevano tradito. Lo
avevano deluso.
Il biondo si morse un labbro,
appoggiando i palmi alla tavola di pietra come per cercare un appiglio
nel mare in tempesta che erano diventati la sua mente e il suo cuore.
Chiuse gli occhi, cercando di inspirare profondamente, provando
– inutilmente – a recepire un po' di quella
familiare sicurezza che la presenza di Aslan gli avrebbe sicuramente
dato.
Ma Aslan non c'era da decenni, non ci sarebbe stato per lui in
quel momento, e Peter si ritrovava tra le mani una situazione
così complessa che non sapeva nemmeno quale emozione fosse
più prepotente, in quel momento.
Sentiva la rabbia, una
rabbia feroce annebbiargli i sensi, scoppiettare nella pancia, fargli
tremare le gambe e le mani per la voglia di prendere la prima cosa che
gli capitava tra le mani e spaccarla. Quella sensazione così
simile a quella che aveva provato nei confronti di Jadis quando l'aveva
vista pugnalare Edmund. Solo che, in quel momento, quella furia
così potente era rivolta verso i suoi fratelli. Nei
confronti della sua stessa famiglia, sangue del suo sangue.
Ma c'era
qualcos'altro che lo disturbava, che gli faceva mancare l'aria come se
non stesse respirando abbastanza. In realtà,
realizzò Peter, c'erano molte altre cose – molte
altre emozioni inspiegabili che si accavallavano.
Percepiva la morsa
del tradimento, consapevole che loro avevano mentito, che avevano
tenuto nascosta a lui
– lui, il fratello maggiore, quello
sempre pronto a tendergli una mano in ogni situazione, il punto
più fermo della famiglia – una cosa
così importante.
Non si erano fidati. Gli avevano mentito.
E
se da una parte in fondo al suo cuore – molto in fondo, in
quel momento – Peter poteva cercare di capire le ragioni del
perché non fosse stato un argomento da poter affrontare con
semplicità, dall'altra non poteva evitare di sentirsi
raggirato, di sentirsi bellamente preso per il culo su tutta la linea.
In qualsiasi modo la guardava, con tutte le giustificazioni che avrebbe
potuto trovare... loro avevano tradito la sua fiducia.
Il Pevensie
realizzò che, qualunque cosa avessero fatto, a lui non
sarebbe andata bene. Né parlargliene, né
tenerglielo nascosto.
Strinse nuovamente le mani a pugno, conficcandosi
le unghie nei palmi tanto era il nervoso che provava. Sentì
qualcosa spezzarsi dentro di lui, una consapevolezza che lo
lasciò cristallizzato per vari secondi in quella posizione,
un lampo di lucidità che gli animava i burrascosi occhi
azzurri.
Possibile che lui era stato così cieco da non accorgersi di
nulla? Da quanto andava avanti quella situazione? Quante cose non aveva
visto, in tutto quel tempo, quante cose gli erano sfuggite da davanti
agli occhi?
-Maledizione!-
-Peter...-
Si costrinse a respirare, il
Pevensie, tuttavia non poté impedire alle proprie spalle di
irrigidirsi nuovamente. Sentì che le unghie stavano
nuovamente spingendo contro la carne tanta era la forza che vi
stava
mettendo nello stringere i pugni. Ed era meglio così,
altrimenti non era sicuro di garantire l'incolumità di suo
fratello, in quel momento, forse per la prima volta nella sua vita.
Nemmeno quando faceva la pecora nera da piccolo aveva provato una tale
voglia di prenderlo a schiaffi e gridargli in faccia che cosa gli fosse
saltato in mente.
Lui ed Evelyn non
potevano... e lei, lei...
Non si
voltò e non diede una risposta, percependo la figura del
minore dei Pevensie fare qualche passo – non lo vedeva, ma
era sicuro gli si fosse avvicinato un minimo per cercare di parlargli.
-Mi dispiace.- Edmund ebbe l'improvvisa voglia di posare una mano sulla
spalla del maggiore per farlo girare e guardarlo così in
faccia, ma non trovò il coraggio per quel gesto. Era
già difficile cercare di spiegare – spiegare cosa,
poi? Non c'era né più né meno di
ciò che aveva visto. Solo in quel momento il moro si rese
conto della possibilità che chissà quali pensieri
potevano star tormentando il fratello maggiore, le emozioni che poteva
stare provando, le domande che lo assillavano.
La sola idea gli fece
venire la nausea.
-Posso spiegare.- si affrettò ad
aggiungere in un sussurro. Si umettò le labbra, sperando che
Susan e Lucy, che aveva visto appena era entrato, rimanessero ancora
per un po' impegnate in ciò che stavano facendo e
trattenessero la curiosità e la preoccupazione per quella
situazione anomala che sicuramente avevano percepito.
Era sicuro che
fosse solo questione di minuti prima che le sorelle li raggiungessero,
per cercare di capire se fosse tutto a posto. Edmund doveva
approfittarne, parlare con Peter prima di quel momento... altrimenti
non sapeva con quale coraggio avrebbe affrontato anche loro due, con
quale faccia tosta avrebbe potuto guardarle in faccia mentre diceva
apertamente di essere innamorato di loro sorella.
Il suo pensiero corse
ad Evelyn, lasciata sola, e si sentì in colpa per la
situazione in cui l'aveva trascinata. Per colpa sua, per colpa dei suo
egoismo. Perché non era riuscito a trattenersi.
-Dubito che
qualsiasi spiegazione potrà essere sufficiente.- fu il
lapidario commento di Peter.
Edmund percepì l'astio intriso
in ogni parola, tuttavia cercò di non farsi abbattere. Lo
sapeva che sarebbe andata così. Ogni volta che aveva
immaginato le conseguenze di quella verità scomoda raramente
aveva previsto che la sua famiglia sarebbe stata semplicemente
comprensiva. Era molto più facile e coerente pensare che
avrebbero reagito con la stessa forza di una bomba che scoppia dopo
anni di immobilità – e non si era sbagliato,
specialmente su Peter.
-Da quanto?-
Il moro venne riscosso dalle
proprie riflessioni e tornò a puntare lo sguardo sulla
schiena del fratello. Non aveva intenzione di girarsi e lui non lo
avrebbe preteso. Immaginò che il biondo facesse anche solo
fatica a reggere la sua presenza, in quel momento, trovandola
disgustosa. Come biasimarlo?
-Cosa?- domandò, pur avendo
sulla punta della lingua già la consapevolezza di cosa fosse
sottinteso in quella domanda.
-Da quanto tempo va avanti?-
incalzò il Pevensie, senza esitazione. La sua voce suonava
come una lama ghiacciata per la stanza, un sussurro che Peter cercava
di tenere ben controllato, consapevole che, altrimenti, si sarebbe
messo ad urlare.
-Non abbiamo una relazione, se è questo che
pensi.- si affrettò a spiegare il moro, portando le mani in
avanti come per difesa. Peter non rispose né si mosse dalla
sua postazione, ed Edmund deglutì, capendo che stava
aspettando che continuasse.
-E' stata... la prima volta. Non so cosa mi
sia preso, non sono riuscito a trattenermi. Lei mi è sempre
piaciuta. Sono anni che mi piace.-
Non ci credeva di stare dando voce a
quei sentimenti che aveva sempre cercato di reprimere. Non ci credeva
che era, alla fine, arrivato davvero quel momento. Forse era un bene
che Peter non potesse guardarlo in viso, perché Edmund non
poté evitare di percepire un lieve imbarazzo nell'affrontare
quel discorso. Ed era sicuro che quella fosse l'ultima cosa da provare,
in quel momento.
I suoi occhi si abbassarono verso il terreno,
colpevoli, mentre cercava le parole per continuare. Voleva evitare di
sconvolgere il Pevensie ancora di più... per quanto ormai
gli fosse possibile. Dubitava che ci sarebbe riuscito.
-Sono innamorato
di Evelyn, Peter.-
***
-Sono innamorato di
Evelyn, Peter.-
-Ho
sentito bene? Non
me lo sono immaginato?- Antares grattò uno zoccolo contro il
terreno, nervoso. Sbuffò leggermente, percependo le figure
di
Dhemetrya e Lia come congelate sul posto.
-Non... non me lo aspettavo.-
sussurrò la ragazza, con le guance stranamente in fiamme. Il
cuore le batteva all'impazzata e per un attimo le sembrò di
perdere la presa dal ramo, tanto che grattò le unghie contro
la corteccia per rinsaldare la presa.
In quel momento si sentiva una
ladra per aver utilizzato l'aria per far trasportare cosa stesse
accadendo all'interno delle mura. Ed in imbarazzo. Insomma, i
sentimenti erano cosa privata, non immaginava che avrebbe ascoltato
quella che era, a tutti gli effetti, una confessione - per quanto non
le fosse nuova.
Lia strinse la mascella, riflettendo e dimostrandosi
come sempre la più obiettiva.
-Deve essere successo qualcosa
per spingere Re Edmund ad esporsi.- ragionò, immaginando i
possibili scenari che avrebbero potuto prendere vita da quella svolta
inaspettata. Tuttavia, non riuscì ad immaginarsene molti, se
non che Evelyn c'entrava qualcosa e questo avrebbe potuto essere un
problema.
Intimamente, Dhemetrya ed Antares concordarono con quei suoi
sentimenti consapevoli che avrebbero dovuto controllare di persona cosa
stesse succedendo. Era loro dovere.
Ancor prima che si muovessero dalle
loro posizioni in un silenzioso assenso, però, una figura
fece capolino dal bosco. Si muoveva con passo incerto e teneva una mano
stretta al petto, i capelli un po' arruffati e gli occhi lucidi.
Ai tre
Narniani fu chiaro, pur senza poterla vedere da vicino, il tormento che
si agitava intorno ad Eve mentre, ciondolante, si dirigeva verso la
Casa di Aslan.
***
-...
Cosa?-
Peter si
girò lentamente, incrociando le braccia al petto ampio. I
muscoli del suo viso erano ancora contratti, le sopracciglia
aggrottate, lo sguardo arrabbiato ed un po' spiritato – come
se non fosse totalmente presente con i pensieri. Ma ciò che
fece gelare il sangue nelle vene ad Edmund nuovamente, nel giro di
pochi minuti, era la voce che, titubante, si era introdotta in quella
conversazione spinosa.
Il Pevensie non ebbe il coraggio di girarsi,
osservando Peter puntare lo sguardo poco dietro di lui. Ed
percepì la gola seccarsi terribilmente.
Susan.
-Che cosa
sta... succedendo?- fu la domanda spaesata che gli sopraggiunse alle
orecchie, percependo i passi incerti della sorella affiancarlo. La
Pevensie fece vagare lo sguardo tra i due fratelli, cercando di
carpire, per quanto le fosse possibile, la scena che si trovava davanti
e le parole – doveva aver sentito male, per forza –
che le si erano conficcate nel cervello come coltelli.
Vagò
con lo sguardo sul viso del fratello minore, indagatrice e con la bocca
socchiusa in un'espressione sorpresa, un sopracciglio elegantemente
alzato.
-Hai sentito bene, Susan.- fu la lapidaria sentenza che
uscì dalle labbra di Peter, probabilmente vedendo il volto
della sorella mutare lineamenti di fronte a quella che era stata, a
tutti gli effetti, una confessione. Lui aveva visto abbastanza per
prendere quelle parole come veritiere, ma immaginava benissimo le
domande che di li a poco avrebbero preso vita da Sue.
-Tu... cosa?
Come?- Susan si sentì mancare la terra sotto i piedi, come
se improvvisamente fosse stata catapultata in un altro universo. Non
capiva cosa stava succedendo. Come si era arrivati a quel punto?
Perché?
Edmund si infossò nelle spalle,
sentendosi improvvisamente sporco fin dentro l'anima. Una parte di lui
avrebbe voluto scappare da quell'interrogatorio, dalle accuse che gli
sarebbero sicuramente piovute addosso seduta stante.
Anche venire inghiottito dal terreno e tornare sulla terra in quel
momento sembrava una possibilità molto più
liberatoria che doversi trovare ad affrontare Susan e Peter –
e Lucy. Sarebbe sicuramente arrivata anche lei, lo sapeva. Sempre che
non stesse già ascoltando accovacciata da qualche parte.
Edmund s'immaginò quegli occhioni lucidi scrutarlo con
indignazione e sentì una fitta potente al petto. Era
difficile farsi effettivamente odiare da Lucy, ma era sicuro che lui ci
sarebbe riuscito, dopo quella sera.
Scosse lievemente la testa,
stringendo i pugni e respirando pesantemente. Ormai era fatta. Peggio
non poteva andare.
-Sono innamorato di Evelyn, da... molto tempo.-
Peter serrò la
mascella a quelle parole ed immaginò l'irritazione
– e sicuramente molto altro – che poteva star
provando dai brividi che gli vide scuotergli le spalle, come se gli
avesse infilato il coltello nella piaga. Susan, al suo fianco,
trattenne il fiato in un mezzo singhiozzo e si portò la mano
alla bocca, strabuzzando gli occhi chiari pieni di sconvolgimento.
-Non
potete impedirmi di provare ciò che sento.-
continuò, vedendo che dopo vari minuti i fratelli non
avevano ancora parlato. Si limitavano a guardarlo, probabilmente troppo
surclassati dalle emozioni che stavano provando per poter riuscire a
dar loro una voce concreta.
Fu a quel punto che con un colpo di reni
Peter si diede la spinta necessaria per staccarsi dalla tavola a cui
era stato appoggiato fino a quel momento, rompendo la rigida posizione
in cui si era stato come cristallizzato.
-Tu non...
come... quando?- furono i sussurri confusi di Susan, che ancora cercava
di processare quello che aveva ascoltato.
Peter le lanciò
uno sguardo comprensivo, capendo appieno ciò che poteva
stare provando in quel momento e sentendosi un po' in colpa –
in colpa, lui! Non era mica stato lui a volere quella situazione
– per come aveva appresso quella notizia. Poi i suoi occhi
tornarono su Edmund, mutando nuovamente. Il fratello non riusciva a
reggere il suo sguardo per più di qualche secondo, eppure,
quelle poche volte che provava ad alzare il proprio su di lui, Peter
aveva scorto quel lampo di determinazione che animava tutti loro quando
avevano un obbiettivo da raggiungere.
Al Magnifico fu chiaro che,
dentro di sé, Edmund avesse già compiuto la sua
scelta.
-E'... è difficile.- provò a spiegarle il
moro, ma Peter lo bloccò prima che potesse dire altro.
-Non
puoi! Non puoi, Edmund! E' nostra sorella! E' tua sorella!-
sputò fuori, improvvisamente, tanto che sia lui che Susan
trasalirono sul posto per la veemenza intrisa in quelle parole. Ed
serrò le labbra, respirando nervosamente e mordendosi
l'interno di una guancia.
-Che cazzo stai dicendo?- sputò
fuori, alzando il volto e fronteggiandolo. Lo fulminò con lo
sguardo, assottigliandolo quel tanto che bastava per assumere
un'espressione vagamente minacciosa.
-Siete cresciuti insieme!-
continuò Peter, ignorando la domanda retorica che gli era
stata rivolta e la verità che sapeva essere nascosta dietro
di essa. Edmund ed Evelyn erano fratelli. Erano suoi fratelli, e
nessuna spiegazione avrebbe potuto fargli cambiare quella visione delle
cose. E il fatto che fossero innamorati... non andava bene, non andava
bene per niente.
-Siete fratelli!- tuonò per l'ennesima
volta, e si sentì tanto un disco rotto che ripete sempre lo
stesso pezzo di canzone. La rabbia stava lasciando lentamente posto
alla consapevolezza a tutto ciò che sarebbe potuto accadere
di lì in avanti.
Tutto rischiava di andare in pezzi. Troppe
cose rischiavano di essere cambiate – e forse già
lo erano, a cominciare proprio da loro stessi. La famiglia Pevensie
rischiava di rompersi, sfaldarsi, andare in frantumi in un modo che non
era
mai capitato prima. Non poteva permetterlo... ma non sapeva esattamente
cosa fare per evitarlo.
Edmund sentì qualcosa animarlo dalla
punta dei piedi fino all'ultima fibra capillare che non
riuscì a trattenere.
-Non è nostra sorella di
sangue, e tu più di tutti lo sai benissimo, Peter! Aslan ti
aveva spiegato le sue origini, o sbaglio a ricordare?!-
Susan
trasalì a quelle parole, ricordando fin troppo bene il peso
che quel segreto aveva comportato a tutti loro. Alla fine, negli anni,
non erano mai riusciti a trovare il momento adatto per poterlo
affrontare. Avevano troppa paura di sconvolgerla, di rompere il
bellissimo rapporto che avevano instaurato tra di loro quando la
minaccia di Jadis era sparita e avevano fatto pace.
Evelyn aveva sempre
fatto parte della loro vita, fin da che ne avevano memoria.
Era stato
Aslan a rivelare a Peter, dopo l'incoronazione, che i loro genitori
l'avevano trovata appena nata mentre erano di ritorno verso casa, una
sera,
e l'avevano tenuta con loro dopo alcune pratiche burocratiche. Forse
c'era stato persino qualche zampino per rendere il tutto più
facile da attuare, questo non avrebbe mai saputo dirlo ma l'istinto le
suggeriva che era stato così.
Ma il fatto che l'avesse
trovata la famiglia Pevensie non era stato un caso. Eve era destinata a
Narnia quanto – e forse più – di loro.
-Non parlar___-
-Cosa vorrebbe dire le
mie origini?-
Il maggiore
spostò lo sguardo ancora furibondo oltre le figure dei due
fratelli, incontrando, con una nota prepotente di orrore che gli
strinse lo stomaco nella ferrea morsa della paura, la sagoma
dell'ultima persona che avrebbe voluto partecipasse a quel discorso.
Percepì un nodo in gola mentre specchiava i propri occhi
nello sguardo vacuo che gli stava rivolgendo la sorella. Aveva una
delle espressioni più tetre che le avesse visto indosso.
-Evelyn...-
Edmund si scambiò uno sguardo spaventato con
Sue, mentre entrambi si giravano verso quella nuova presenza
inaspettata, non senza qualche incertezza. Quanto aveva sentito? Cosa
aveva sentito? A giudicare dallo sguardo lucido che gli stava
rivolgendo, le mani strette a pugno e le guance gonfie, abbastanza.
Aveva ascoltato abbastanza per farsi un'idea.
I tre sentirono il fiato
mancargli, accorgendosi dell'errore che avevano fatto nell'affrontare
quel discorso in quel modo così superficiale, ed Edmund e
Peter si pentirono della semplicità con cui avevano permesso
alle parole di fuoriuscire e finire per essere ascoltate da orecchie
che non avrebbero dovuto.
Evelyn fece saettare lo sguardo tra tutti e
tre, fulminandoli sul posto, per poi posarsi sul moro con astio.
-Cosa
significa, Edmund?- la sua voce suonò particolarmente
indifferente, improvvisamente dimentica di tutti i pensieri precedenti
che l'avevano accompagnata mentre raggiungeva il rifugio.
Voleva solo
sapere. Voleva solo capire. Di cosa parlavano? Perché lei
non ne sapeva nulla? I suoi fratelli non potevano averle tenuto
nascosto qualcosa che la riguardava direttamente. Si fidava, non
l'avrebbero mai fatto, tra loro c'era assoluta sincerità...
giusto?
Improvvisamente, scrutando Edmund boccheggiare per cercare di
trovare le parole, il suo sguardo indirizzarsi verso un Peter
altrettanto immobilizzato sul posto, si rese conto che, forse... forse
c'era qualcosa che le avevano tenuto nascosto.
Evelyn sentì
qualcosa dentro di sé spezzarsi,
osservando Susan guardarla
con gli occhi lucidi di colpevolezza e torturarsi le mani in grembo,
percepì come un velo frapporsi tra lei e quelli che fino a
quel momento aveva considerato la sua famiglia. Inconsciamente fece
qualche passo indietro, incespicando, allontanandosi da loro come se
potesse, in quel modo, cacciare via anche il dolore che sentiva farsi
strada dentro di lei scavandole fin dentro l'anima.
Le avevano mentito.
-Eve, aspetta! Possiamo spiegare!- provò Edmund, allungando
un braccio verso di lei. Peter gli mise una mano sulla spalla forse
capendo, dallo sguardo che la sorella gli stava rivolgendo, che
probabilmente non era la persona adatta per cercare di farla ragionare
in quel momento.
-Ascolta...- provò, superando il
minore, cercando di lasciare da parte il motivo principale per cui era
successo tutto quello e le sensazioni che ancora albergavano in lui. Ma
ciò che ottenne fu solo uno sguardo di disapprovazione e due
occhi furibondi che lo trapassarono sul posto.
-Cosa? Cosa vuoi?! Mi
avete mentito, vero?!- Peter distinse perfettamente la nota di
disperazione che animava quelle parole e si sentì colpito
profondamente. Evelyn lo guardava sconvolta, con gli occhi pieni di
lacrime, la tensione le faceva tremare la voce e le spalle. I capelli
arruffati ed il volto contratto in una smorfia per non scoppiare a
piangere le davano un'espressione ancora più spiritata e
iniziò a temere che avrebbe avuto un crollo proprio davanti
a loro.
Susan sentì una stretta al cuore, non sapendo cosa
dire. Era sicura che qualsiasi parola, qualsiasi tentativo di conforto,
in quel momento, non sarebbero andati bene. Era una storia troppo
complicata... e ne mancava un pezzo.
-Avete tradito la mia fiducia.-
Evelyn tirò su con il naso, passandosi nervosamente una
manica sugli occhi per cacciare via le tracce di lacrime che premevano
per uscire. Sentì la rabbia scemare improvvisamente,
lasciando posto ad un enorme sconforto e alla sensazione opprimente di
aver subito una coltellata alla schiena.
Si sentiva presa in giro. E
bruciava, qualcosa dentro di lei bruciava tremendamente, consumando la
poca lucidità che ancora possedeva.
Senza degnarli di un
altro sguardo diede loro la schiena e corse via.
Edmund
vide Evelyn
andarsene senza avere il tempo di dirle nulla di tutto ciò
che sentiva di dover buttare fuori. Le scuse, le giustificazioni, la
verità che sentiva premere sulla punta della lingua. La
osservò evitare per un soffio Lucy e Dhemetrya, ferme
all'entrata della sala di pietra, e sparire nelle ombre del cunicolo
con sguardo basso e passo veloce.
I fuochi continuavano a scoppiettare
inclementi di ciò che accadeva attorno a loro.
Per parecchi
minuti, un'aria pesante si posò tra i ragazzi, rendendo
l'ambiente silenzioso in modo inverosimile. La tensione che vi
aleggiava si sarebbe potuta tagliare con un coltello. Nessuno di loro
sapeva cosa dire, come rompere quella bolla in cui erano caduti.
Si sentivano strani, senza forze, prosciugati, come se
fossero stati sballottati da un luogo all'altro senza sosta. Eppure non
si erano mossi dallo stesso punto in cui erano rimasti immobilizzati.
Ciò di cui erano sicuri, però, era che le cose
non sarebbero dovute andare in quel modo. Evelyn non avrebbe dovuto
venire a conoscenza di quel piccolo ma significativo dettaglio sulla
sua vita in quella maniera brusca ed improvvisa.
Peter
percepì il sapore amaro del rimorso risalirgli lungo la gola
per tutto il tempo che aveva passato a rimandare quel momento. Per
cosa, poi? Strinse le labbra, sentendo il senso di colpa per il proprio
egoismo pungolarlo. Gli scoppiava la testa.
Lucy sospirò,
rilasciando il fiato che aveva trattenuto fino a quel momento e
voltandosi verso il punto in cui aveva visto sparire sua sorella,
intuendo ciò che poteva essere successo. Sentì
una fitta di preoccupazione darle un brivido lungo la schiena
immaginando come si potesse sentire in quel momento la Pevensie, ed
ebbe l'impulso di volerla seguire per farle sentire la propria
vicinanza. Prima che potesse muoversi, però, scorse con la
coda dell'occhio Edmund e Peter fare lo stesso.
-No, meglio di no.-
Dhemetrya si mise in mezzo, frapponendosi tra loro e il cunicolo. Il
biondo serrò la mascella, irritato, ma la Narniana non lo
stava guardando più di tanto, per nulla toccata dai lampi di
indignazione che le stava lanciando con gli occhi per quell'intrusione.
Il suo sguardo era posato sul fratello minore, in un tacito ordine di
lasciare perdere tutto ciò che avrebbe voluto fare in quel
momento.
La situazione era troppo tesa e i sentimenti che Edmund ed
Evelyn provavano non potevano che peggiorare le cose se si fossero
scontrati nuovamente.
La mora lanciò ad entrambi un'occhiata
eloquente, come a voler comunicare loro qualcosa – ma erano
troppo presi a far fronte con i propri pensieri, per poter cogliere il
messaggio che Dhemetrya stava cercando di dargli.
La ragazza mise una
mano sulla testa di Lucy, in un vago gesto di conforto, prima di
abbandonare la stanza.
Edmund non potè evitare di sentirsi trafitto da quegli
occhi blu così calmi – eppure così
lontani, così spietati e decisi, per come l'avevano guardato
ed inchiodato sul posto – che sentì tutto il poco
coraggio che aveva raccolto scemare via. Il senso di colpa
tornò prepotentemente a tormentarlo, sovrapponendosi allo
sguardo sconvolto e tradito che Evelyn gli aveva rivolto mentre gli
domandava di rivelarle quella verità scomoda che per troppo
tempo le aveva tenuto nascosta.
Gli si stava piantando nel cervello
secondo dopo secondo. Il loro rapporto era sempre stato molto complice
– fin troppo, e forse ora ne capiva maggiormente il motivo
– eppure le aveva taciuto una cosa così
importante... Serrò gli occhi, Ed, cercando di scacciare il
malessere che sentiva crescergli in corpo e trovando la forza di
occhieggiare i fratelli accanto a lui.
Lucy lo guardava con gli occhi
sbarrati e le labbra tremule, Sue era sbiancata all'inverosimile tanto
che si domandò come facesse a non essere ancora svenuta, e
Peter... Peter aveva l'espressione più indecifrabile che gli
avesse mai visto in viso, mentre probabilmente cercava di domare il
mare di emozioni che vedeva riflesso nei suoi occhi chiari ancora
piantati verso il corridoio.
Il Giusto deglutì un boccone
amaro di saliva, mentre una consapevolezza più affilata
rispetto alla precedente gli strisciava addosso come un predatore.
Aveva fatto un errore, forse più di uno.
Si era lasciato andare alla debolezza facendosi
sopraffare dai sentimenti e da quel gesto, da quell'azione egoista che
non era riuscito a trattenere, aveva messo in pericolo tutti loro.
Aveva rovinato l'unica cosa che era sempre stata un punto fermo nella
sua vita, aveva rotto gli equilibri della sua famiglia tenendo nascosto
quell'amore che non avrebbe dovuto provare, aveva bruciato la fiducia
incondizionata che Eve nutriva nei suoi confronti.
Lo seppe dopo aver
osservato i fratelli, nel riportarsi davanti agli occhi lo sguardo che
Dhemetrya gli aveva rivolto, nel sentirsi esattamente come quando era
poco più che ragazzino e aveva incrociato il cammino con la
Strega Bianca, come se tutti quegli anni non fossero mai passati.
Edmund
sentì il pavimento mancargli sotto ai piedi e dovette
appoggiarsi al muro per non cadere, mentre sentiva bloccarsi in gola un
urlo silenzioso. Percepì le lacrime della disperazione
salirgli agli occhi e le guance andare in fiamme.
Sentiva di averli traditi. Di
nuovo.
Ciao
a tutti e ben
ritrovati! Allora, come state? Spero vada tutto bene... Io ho ripreso a
lavorare, ma dopo più di un mese di fermo è un
po' dura stare dietro agli orari. ^^''
Passando al capitolo: avrei
voluto pubblicarlo il 16, per festeggiare i miei 11 anni su Efp - anche
se ho iniziato a scrivere proprio questa storia solo nel luglio 2010 -,
ma purtroppo sono stata poco bene... In ogni caso, visto il periodo, ci
tenevo a portarvi questo capitolo abbastanza importante - come avrete
notato, ve lo aspettavate? cosa pensate succederà ora? -
perché immagino che lo scorso potrebbe avervi lasciato un
po' così dato che non c'era niente di particolare.
Come
potete vedere anche questo non è un capitolo proprio corto,
alla fine, e unirlo al precedente non mi avrebbe permesso di dedicargli
lo spazio che secondo me meritava ogni scena. Vista la situazione in
cui si trovano ora i Pevensie per me sarà estremamente
importante prendere i prossimi 2-3 capitoli per sviscerare questo
gruzzolo di cose che si andranno a sovrapporre e darvi finalmente
qualche risposta più concreta al tutto. Ho immaginato una
reazione per ogni Pevensie e spero di averla azzeccata, senza contare
la presenza non indifferente di Caspian, Lia, Dhemetrya e Antares. Ci
sta volendo un
po', ne sono consapevole, e vi ringrazio per la pazienza promettendovi
che entro la fine della storia ogni cosa andrà al proprio
posto.
Ringraziandovi per essere arrivati fino a qui, per le letture, i
preferiti, i seguiti e le ricordate vi do appuntamento al prossimo
capitolo - che spero di portarvi altrettanto presto.
Love,
Dhi. <3
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Capitolo 37 *** Lacrime dal cielo. ***
Narnia's
Spirits
Lacrime
dal cielo.
-Avete
combinato un
bel casino.-
I Pevensie, rimasti all'interno della stanza a crogiolarsi
nei propri pensieri, si voltarono quasi in contemporanea verso la
provenienza di quella voce che, celando una lieve ironia nelle parole,
irruppe nel silenzio che si era creato tra loro.
Da quando Eve era
sparita non avevano osato fare ancora nulla, troppo terrorizzati
– terrorizzati, colpevoli, delusi, non sapevano nemmeno bene
loro cosa provassero di preciso, ognuno preso a far fronte alle proprie
emozioni ed i proprio ragionamenti – dalle conseguenze che
anche solo muovere un muscolo o dire qualsiasi cosa avrebbero potuto
portare.
Le cose erano precipitate in un modo così veloce e
inesorabile che temevano che, qualsiasi cosa avessero fatto, non
sarebbe andata che peggio.
L'aria si era fatta pesante e tetra, i
fuochi che, incuranti della disgrazia che si stava abbattendo su di
loro, continuavano a scoppiettare lungo il perimetro della sala. Per
loro parere, iniziava a fare troppo caldo e quell'ambiente stava
diventando troppo stretto, troppo piccolo, troppo soffocante.
Incontrarono la figura di Lia, in quello stesso punto che fino a pochi
minuti prima era occupato dal corpo di Dhemetrya. La lupa li scrutava
dal basso della sua statura, gli occhi che restituivano loro uno
sguardo compassionevole mentre li scrutava in viso, soppesandoli.
Eh
si, avevano complicato un bel po' le cose.
-Cosa... cosa è
successo?-
Lucy si permise di rompere quel mutismo dietro cui si erano
trincerati i fratelli, lanciando loro delle occhiate alla ricerca di
spiegazioni. Percepiva il cuore sfarfallarle nel petto per
l'agitazione. Era stata l'ultima a raggiungere la stanza di Aslan e
aveva colto solo l'ultima parte della conversazione. Come si era
arrivati a quel punto le mancava totalmente.
Vide Peter aprirsi in un
ghigno amareggiato, passandosi una mano sul viso e sospirare
pesantemente, dandole le spalle per nascondersi al suo sguardo. Con uno
sforzo che trovò immane in quel momento, il maggiore si
morse la lingua, per evitare di dire qualcosa di cui si sarebbe potuto
pentire.
Susan si limitò a cercare appoggio su un masso,
lasciando che il suo corpo tremante ci cadesse sopra con poca grazia.
Il pallore della sua carnagione era fin troppo pallido. Sentiva il
fiato mancarle, la vista appannata e la fronte sudata ed ebbe il dubbio
di avere una crisi di ansia – o forse un principio di
svenimento.
Vedendo il muro dietro cui si ostinavano a restare i due
fratelli maggiori, Lucy rivolse l'attenzione ad Edmund, ancora
appoggiato al muro e con lo sguardo ostinatamente puntato in basso. Era
come se la sua domanda, lui, non l'avesse sentita nemmeno per sbaglio.
-Ed?- provò, cercando di avvicinarsi di qualche passo e
posandogli una mano sulla spalla. Il moro trasalì a quel
contatto improvviso, scostandosi più bruscamente di quanto
avesse voluto e facendo impallidire Lucy. La ragazza si
portò le mani al petto, sbattendo le palpebre per quella
reazione inaspettata.
Tuttavia, vedendo l'espressione spiritata e gli
occhi lucidi del ragazzo di fronte a lei, non se la sentì di
fargliene una colpa. Tentò di sorridere per quel che
riusciva – anche se, in quel momento, non c'era proprio
niente per cui farlo.
-Scusa.- fu la risposta tra i denti che le diede
il moro, scostando il suo sguardo altrove. Non riusciva a sostenere gli
occhi di Lu, non riusciva a vedere quell'alone di comprensione che vi
aleggiava, quell'innata speranza che vi scorgeva brillare. Sapeva cosa
pensava la sorella minore, aveva imparato a conoscere come ragionava.
Poteva immaginare perfino le frasi che avrebbe potuto dirgli.
Che
sarebbe andato tutto bene. Che le cose si sarebbero risolte. Che
avrebbero affrontato anche quello.
Eppure, Edmund ebbe il sospetto che
ciò che sapeva Lucy non era ciò che avevano
sentito anche Peter e Susan poco prima.
-L'ha scoperto?- fu la semplice
domanda che gli fece, senza staccargli gli occhi di dosso. Edmund
aprì la bocca secca per parlare, ma dalla gola non
risalì nessun suono.
-Si.-
Lucy si voltò
leggermente, facendo dardeggiare lo sguardo per la stanza prima di
posarlo su Peter. Lesse nei suoi lineamenti contratti, nella forza con
cui le braccia si erano nuovamente incrociate al petto, nel modo in cui
li stava guardando, così tante emozioni che non seppe
decidere quale fosse quella che primeggiava.
Lu fu certa,
però, di percepire la sgradevole sensazione che qualcosa le
stesse sfuggendo da sotto gli occhi e riportò l'attenzione
sul moro vicino a lei. C'era qualcosa che non riusciva a carpire, nel
modo in cui Peter continuava ad inchiodare Edmund sul posto con lo
sguardo, nel respiro che si faceva pesante ogni qualvolta i suoi occhi
si posassero sulla sua figura.
Ed era certa che non fosse per la frase
che si era lasciato sfuggire, dal momento che tutti loro erano
colpevoli allo stesso modo del peccato di omertà e Peter,
per quanto arrabbiato, non era così stupido da non essere
consapevole di essere colpevole quanto lui – quanto tutti
loro.
Quindi, cosa... ?
Si fece coraggio, ingoiando il nodo che sentiva
in gola.
-C'è altro, vero?-
***
Corse.
Corse nel modo
più veloce che conosceva, con gli occhi appannati di
lacrime, senza una destinazione. Corse finché non
sentì più la fatica, finché le gambe
non cedettero per lo sforzo. Corse anche se sentiva il fiato mancarle,
la milza lanciarle delle fitte al fianco.
Non si fermò
nemmeno quando inciampò in varie radici, cadendo e pestando
le mani, o quando i rami più bassi le tagliarono le guance.
Si mischiò al buio della foresta, scorrendo tra la fitta
vegetazione come un animale selvatico scappa da un predatore, forse
sperando di perdercisi dentro per non fare più ritorno.
Non
le sarebbe importato. Tutto ciò che voleva era andarsene.
Scappare. Non tornare più.
Inciampò di nuovo,
sentì una fitta alle dita dei piedi ed emise un lamento
strozzato che si perse nel silenzio. Rotolò lungo il pendio
del sentiero che stava percorrendo alla cieca, scontrandosi con legni e
sassi che le cozzarono contro la pelle, percepì gli arbusti
frustarle le mani e sentì il fiato mancarle per il
contraccolpo contro il terreno duro. Il terriccio le andò
negli occhi, nel naso, ne sentì il sapore in bocca e
tossì convulsamente, mentre tutto il suo corpo protestava
per il dolore.
Evelyn rimase sdraiata sul fianco su cui si era fermata
per un tempo che le parve infinito, socchiudendo gli occhi ed
ascoltando il proprio respiro accelerato, i muscoli tirati e tremanti
per lo sforzo. Attorno a lei, solo il silenzio pesante della
vegetazione chiusa in un sonno profondo e millenario che nemmeno le
creature notturne osavano disturbare.
L'aria si era fatta
più gelida e le fece venire i brividi. Percepì il
viso accaldato, umidiccio, polveroso e non seppe dire se fosse per il
sudore o le lacrime mischiati al terriccio che si ritrovava addosso
– o tutto insieme.
In alcuni punti la pelle bruciava,
soprattutto uno zigomo e la fronte. Il polso le faceva male se provava
a ruotarlo, forse l'aveva slogato. Respirare era doloroso, sentiva
l'aria vibrare in gola, e sicuramente era per i sassi che le si erano
conficcati inclementi nella schiena e i legni che le avevano colpito
l'addome e le gambe – sperò comunque, con un lampo
di lucidità, di non avere niente di rotto.
Evelyn
cercò di calmarsi per abituarsi al dolore che sentiva
pulsarle per il corpo, rimanendo immobile in posizione fetale,
impaurita che qualsiasi movimento avesse fatto sarebbe tornata a
sentire le fitte lacerarle i muscoli.
Chiuse gli occhi, percependo la
marea di emozioni incalzare, travolgendola in ogni più
piccola cellula che possedeva. Il dolore che provava fisicamente era
solo lontanamente paragonabile a quello straziante che la dilaniava
all'interno, aggrappandosi senza riserve fino alla sua anima per
frantumargliela pezzo dopo pezzo.
Strinse i pugni, torturandosi le dita
ed ispirando l'odore della terra fredda. Percepì un pesante
groppo in gola che le fece venire la nausea e la testa, inclemente, le
riformulò nelle orecchie quelle frasi che avrebbe voluto
tanto dimenticare.
-Non è nostra sorella di sangue.-
Perché? Perché non glielo avevano mai detto?
Perché glielo avevano tenuto nascosto?
Evelyn
tremò, non riuscendo a reprimere un singhiozzo. Ebbe la
terribile sensazione che si vergognassero di lei, che non le avessero
mai detto niente perché non la consideravano abbastanza
importante da meritarsi di sapere la verità. Eppure, quella
parte che aveva sempre vissuto con i Pevensie, quella che voleva loro
bene, quella che l'avrebbe spinta a sacrificare la vita se necessario,
le gridò aspramente che non era così.
Non era
così, loro non erano cattivi. Non le avrebbero mai tenuto
nascosto qualcosa che la riguardava. Qualcosa di così
importante, così fondamentale.
Sicura?
Eve sentì
la rabbia accumularsi nel petto, addensarsi sottopelle dandole tanti
piccoli brividi di irritazione.
Eppure, lo avevano fatto. Le avevano
mentito. Per molti, molti anni.
Per lei fu come se le si conficcasse
una spada nella schiena ogni volta che ricordava quelle parole.
-Aslan
te lo aveva spiegato...-
-... le sue origini!-
Socchiuse le palpebre,
guardando senza emozioni la vegetazione che aveva davanti attraverso
gli occhi appannati di lacrime e confusione. Respirare le costava
fatica e ogni tanto l'aria la sentiva così graffiante che le
provocava dei rantoli. Le palpebre pesanti, la testa una massa
informe di pensieri. Aveva freddo? Si, aveva freddo, l'aria le si
infilava sotto la schiena sfiorandole la pelle come una mano ghiacciata
e lei tremava.
Evelyn si aggrappò al dolore che sentiva come
una disperata per non perdere conoscenza. Sentì un tuono in
lontananza, il vento spirare in modo sempre più forte
facendole arrivare in faccia qualche foglia caduta. Stava per piovere?
Le sue origini...
Strabuzzò gli occhi quanto
riuscì, sentendo il tempo attorno a lei cambiare
repentinamente, condensarsi e dilatarsi e non capì se
fossero passati parecchi minuti o solo pochi secondi. Se possibile, le
sembrò che il buio si fosse infittito ancora di
più, agglomerando tutto in una massa distorta di ombre e
suoni confusi che a mente fredda avrebbe trovato inquietanti.
Ma in
quel momento avrebbe solo voluto confondercisi insieme, venire
inghiottita e sparire.
Evelyn si sentì sprofondare in un
abisso per la domanda che le spaccò la mente,
squarciandogliela in modo definitivo e facendola cadere in un incubo da
cui era sicura non si sarebbe – ne avrebbe voluto –
risvegliarsi. Dopo aver conosciuto Narnia non si sorprendeva
più di niente. Se Aslan si era messo in mezzo...
Percepì scivolarle sulla pelle le prime gocce di pioggia
mischiate alle lacrime e le sembrò che la terra sotto di lei avesse vibrato nello stesso istante in cui il suo cuore
mancò un battito.
… voleva dire
che non era umana?
***
-...Cosa?-
Sgranò gli occhi, Lucy, senza avere il coraggio di staccarli
dalla figura di Edmund a pochi metri di distanza. Si lasciò
cadere stancamente sul primo sasso che trovò ed
improvvisamente capì perché Susan avesse avuto la
stessa idea. Le tremavano le gambe.
-Sono innamorato... di
Evelyn...-
Lucy chiuse gli occhi passando una mano tra i capelli.
Ricordò come Peter si fosse irrigidito a quella frase e il
silenzio sembrava essersi agglomerato in una condensa ghiacciata che
era calata tra loro. Nessuno aveva detto nulla dopo quelle parole e lei
pensò tanto di essersele sognate.
Ma poi Edmund aveva
stretto i pugni, facendosi sbiancare le nocche, e lo aveva ripetuto.
-Sono innamorato di
Evelyn. E credo mi ricambi.-
Fece scorrere lo
sguardo sulla pietra spezzata, pensierosa e angosciata. Quello non se
lo aspettava proprio... o forse un pochino si?
Strinse la labbra,
corrugando le sopracciglia e passandosi nuovamente una mano tra i
capelli. Aveva
sempre avuto sotto gli occhi il rapporto quasi simbiotico che avevano
Evelyn ed Edmund. Senza contare che lui aveva sempre saputo non fosse
davvero loro sorella
Avrebbe mentito a se stessa dicendo che quel
pensiero, quel sospetto, non le aveva mai sfiorato la mente. Lo aveva
fatto. Molte volte. Specialmente, le era rimasta in testa la storia di
Simon, il gelo improvviso che aveva diviso per qualche tempo i due
Pevensie. Ricordava lo sguardo di Edmund, quando lo aveva raggiunto nel
giardino di casa per dirgli che l'aveva invitata ad uscire.
Ricordava
molti dettagli e molti puntini le si stavano unendo come tasselli nella
sua testa. Era come se un raggio di luce avesse fatto breccia in una
coltre di nubi.
E intuì perché Peter fosse
così arrabbiato. Così offeso. Così
indignato. Lo capiva, ma non sapeva dirsi se riuscisse anche a
comprenderlo.
Lucy sospirò, sfiorando la pietra fredda,
osservandola con sguardo sconsolato. Una parte di lei si
domandò cosa avrebbe pensato Aslan di quella situazione,
cosa gli avrebbe detto, cosa avrebbe fatto.
-Non è
importante quello, ora. Non così tanto... almeno.-
Come se
fosse stato colpito da un fulmine Peter si voltò, di scatto,
serrando la mascella.
-Come sarebbe a dire non è
importante?- sbottò rabbioso, in direzione della lupa che si
era intromessa nel silenzio. Come poteva dire che non era importante?
Come poteva non rendersi conto di ciò che avevano appena
scoperto?
Susan trasalì senza il coraggio di dire nulla,
portandosi la testa tra le mani e fissando ostinatamente a terra per
nascondere gli occhi lucidi.
Lia mosse qualche passo in direzione del
Pevensie, soppesandolo con sguardo piatto. Sospirò, sentendo
un tuono squarciare la quiete che aleggiava per l'accampamento e fu
costretta a reprimere l'impellente istinto di uscire da lì.
Si
stavano mischiando troppe cose insieme e immaginò che i
Pevensie non sapessero da che parte girarsi.
-Pensa a ciò
che ha invece appena scoperto Evelyn.- ribatté la lupa,
gelida, incatenandolo con lo sguardo sul posto. Peter la
fulminò, tuttavia lo vide scuotere la testa in un gesto di
esasperazione e rinchiudersi nuovamente in se stesso, a fare i conti
con i propri pensieri e sentimenti. Non era un idiota, lui. Lia lo
sapeva bene. Intuì che probabilmente si stava mangiando i
gomiti perché tutto si stava sgretolando e non sapeva come
fare per sistemare le cose, anche se non lo avrebbe mai ammesso.
Lasciandosi dietro quelle supposizioni dietro cui immaginava si fosse
trincerato il Pevensie, soppesò Edmund velocemente,
riservandogli un'occhiata di comprensione, vedendolo irrigidito
e bianco come un lenzuolo ancora attaccato al muro in cerca di
sostegno.
-Cosa ne puoi sapere tu? Non sono comunque affari tuoi.-
Lia
tornò a fissare lo sguardo su Peter, accigliata per quel
mormorio senza tono che le era stato dedicato. Se avesse avuto le
sopracciglia le avrebbe alzate elegantemente mostrandogli una smorfia
di compassione davanti alla sua ignoranza degli eventi.
Cercò tuttavia di non farci caso e non prendersela, data la
situazione stressante.
-Invece credo siano anche affari miei.- Lucy le
dedicò un'occhiata stralunata e Susan alzò la
testa quel tanto che bastava per occhieggiarla di sbieco,
improvvisamente risvegliata dal suo stato catatonico.
-Che
intendi?- le domandò Edmund, dedicandole la propria
attenzione. Peter aveva assottigliato lo sguardo, sospettoso.
Lei
sospirò, facendo dardeggiare lo sguardo per la stanza.
Sentì che stava iniziando a piovere.
-Credo sia giunto il
momento di darvi delle spiegazioni. Ricordate ciò che vi ha
detto Aslan?-
***
Lia
uscì
dalla Casa di Aslan e si sentì subito investita dall'acqua
che stava cadendo dal cielo. Annusò l'odore di terra ed erba
bagnata, percependo le gocce di pioggia picchiettarle sul capo e sulla
schiena infradiciandole il pelo.
Fece dardeggiare lo sguardo per la
radura ed individuò la figura di Antares sotto la chioma di
un albero. Non appena la scorse, il Narniano avanzò verso di
lei, raggiungendola.
-Glielo hai detto?- le domandò, quando
le fu abbastanza vicino per farsi sentire. Quella gli dedicò
un'occhiata, limitandosi ad annuire.
-Sarà dura, da ora in
poi.- lo sentì commentare. Lia affilò lo sguardo
in un vano tentativo di proteggere gli occhi dalla pioggia, mentre
iniziava ad avanzare nella radura guidata dall'istinto.
-Doveva succedere, ma non me
l'aspettavo in questo modo. Non pensavo si sarebbero accavallate le due
situazioni, sono già difficili se prese singolarmente.-
Sentì Antares sbuffare al suo fianco mentre la seguiva
pazientemente verso la foresta. La pioggia cadeva e saltuariamente si
alzavano delle folate di vento. L'erba ed il terreno erano ormai zuppi
e Lia percepì le zampe affondarle nel fango.
-Come l'hanno
presa? Male, eh?- La lupa si voltò verso il compagno,
schioccando la
lingua contro il palato e abbassando le orecchie. Non ebbe bisogno di
dire nulla.
***
-Mi
aveva parlato dopo
l'incoronazione.- Peter si era fatto avanti, incrociando le braccia al
petto e mettendo momentaneamente da parte l'immagine di Edmund ed
Evelyn che si baciavano.
I fratelli si scambiarono delle occhiate
incerte, puntando poi lo sguardo su Lia che era rimasta ferma, in
attesa di avere la loro attenzione.
-Ti aveva detto che era stata
adottata.- Lucy sentì la gola secca, riportando a galla i
ricordi di quella conversazione. Lo vide mordersi un labbro e annuire.
-E che non era nata sulla terra, ma a Narnia.- Lu ebbe l'istinto di
alzarsi per sfogare la tensione, ma si trattenne e si limitò
a ripuntare lo sguardo sgranato su Lia esattamente come stavano facendo
i suoi fratelli. La lupa annuì.
-Non vi ha spiegato tutto
nei dettagli, però.- I Pevensie sentirono come una doccia
ghiacciata riempirli da capo a piedi. Peter corrugò le
sopracciglia, sospettoso, ed affilò lo sguardo. Aveva la
sensazione che non gli sarebbe piaciuto ciò che avrebbe
sentito uscire dalla bocca della Narniana di lì a poco.
Aveva la sensazione che non gli sarebbe piaciuto niente, di quella
serata, ne fu immediatamente certo non appena vide la sua espressione.
-Disse che avremmo saputo a tempo debito.- intervenne Susan, sollevando
lo sguardo incavato e prendendosi a torturare le dita. Edmund,
lanciandole uno sguardo, sentì una fitta di senso di colpa
attanagliargli lo stomaco per le condizioni in cui versava.
-Si, credo
sia ora.- Lia si sedette, circondandosi le zampe con la coda.
Cercò nella propria mente le parole adatte, ma si rese
presto conto che non ce n'erano.
-Evelyn è nata sulla terra,
in realtà. Nel vostro mondo.- capì di aver
confuso i Pevensie dalle espressioni dubbiose con cui la iniziarono a
guardare. Vide Peter aprire bocca per parlare ma gli scoccò
un'occhiata che lo fece stranamente stare in silenzio.
-È la
sua anima che è nata a Narnia.- precisò.
-Che
significa?-
Lia si domandò se Aslan fosse stato vago apposta
nelle spiegazioni, seppellendo un passato che sapeva prima o poi
sarebbe tornato a galla per quanto gli fosse stato possibile. Decise di
non pensarci e cercò la soluzione più rapida per
spiegarsi. Non era facile e c'erano tante, davvero tante cose da
raccontare, ma qualcosa dentro di lei le suggerì che non era
il momento adatto. Forse sarebbe stato proprio Aslan, con il suo
ritorno, a spazzare definitivamente le nubi di quella storia.
E poi,
doveva raggiungere Evelyn il prima possibile. Il temporale che si stava
riversando su Narnia non le piaceva per niente e delle sgradevoli
sensaizoni le si stavano aggrovigliando nel petto, iniziando a
diventare insistenti e difficili da ignorare.
-Vostra sorella
è... no, sarebbe più corretto dire che nella sua
anima si sono reincarnati gli spiriti delle Guardiane di Narnia. In
particolare dell'ultima, che a sua volta conteneva già
quelli delle Guardiane che l'avevano preceduta. Come sapete, la magia
è qualcosa su cui Narnia si è sempre fondata.
È complicato da spiegare, e mi dispiace se risulto
confusionaria.- Lia si prese un momento per ordinare nuovamente i
pensieri.
-Millenni fa la Grande Magia permise all'essenza degli
elementi di incarnarsi in creature che avrebbero avuto il compito di
guidare Narnia. Nacquero così le Guardiane, legate fin nel
profondo a questo mondo perché ne incarnavano gli spiriti
degli elementi che l'hanno sempre mantenuto in equilibrio.-
-Stai
scherzando.- la interruppe Peter, aggrappandosi
all'assurdità di quella cosa che aveva appena sentito. Si
rifiutava di credere ad una sola parola di ciò che gli stava
tartassando le orecchie.
-Lasciala finire.- intervenne Edmund, che
stava ascoltando come si trovasse davanti ad un oracolo. Quella storia
non la sapevano, non l'avevano mai saputa, non era scritta nemmeno nei
libri più antichi.
Susan e Lucy si portarono una mano alla
bocca e sgranarono gli occhi, spaesate.
-Le Guardiane avevano il
compito di vegliare su Narnia, ne erano figlie e madri al tempo stesso.
Tuttavia, le cose non andarono come previsto. La Grande Magia non tenne
conto che Narnia era viva, e di conseguenza le creature a cui aveva
dato origine provavano sentimenti ed emozioni. E fu la loro rovina.-
Magia? Guardiane? Reincarnazioni? Evelyn era Evelyn e basta, sorella di
sangue o meno. Ai Pevensie sembrò tanto di stare
sprofondando in un incubo e Peter sentì vacillare quel poco
di sanità mentale e calma che ancora riusciva a mantenere in
apparenza.
-Sei seria?-
La lupa gli concesse un'occhiata sbieca.
-Mai
stata più seria, Peter Pevensie.-
-Come sai queste cose?-
Ci
fu qualche attimo di silenzio, poi Lia distolse lo sguardo da Lucy,
colpita dai
ricordi.
-Perché sono lo spirito madre che avrebbe dovuto
guidare l'ultima Guardiana nel suo compito.-
-E... e chi era?-
-Si chiamava Ahislyn.-
***
Dhemetrya
scoccò la lingua contro il palato, calcandosi il mantello
sulla testa per cerca di sfuggire alle gocce di pioggia che avevano
iniziato, inclementi, a inzupparla qualche minuto prima. Dandosi una
piccola spinta balzò giù dal ramo su cui si era
fermata, atterrando con i calzari sul sentiero in cui la terra era
ormai diventata un miscuglio di fango e foglie secche.
Occhieggiò con sguardo dubbioso la vegetazione che le stava
intorno: la foresta si era rabbuiata, le nubi avevano coperto la luna
che sembrava essere stata inghiottita dal cielo. Il ticchettio
incessante dell'acqua che s'infrangeva contro la terra e le foglie dei
grandi alberi che la circondavano era l'unico suono che fosse rimasto a
spezzare il silenzio della foresta altrimenti silente, conficcandosi
con ritmo incessante nelle sue orecchie come tanti piccoli spilli.
In
un'altra occasione, Dhem avrebbe trovato quel momento quasi
confortevole, perché dopotutto l'acqua era sempre stata
parte di lei.
C'era stato un tempo in cui la rinvigoriva donandole
forza, in cui le accarezzava la pelle anche se scendeva con violenza
dal cielo, tempi passati in cui le lambiva le membra in quella che le
aveva sempre ricordato una dolce carezza in cui perdersi e confondersi.
In cui lasciarsi andare per sempre senza mai perdersi davvero.
Dhem
affilò lo sguardo, avvicinandosi ad una serie di rami
spezzati e terriccio smosso e sospirò, osservando con
cipiglio critico il percorso addentrarsi nella foresta in un miscuglio
di cespugli, sassi e radici. I suoi piedi si mossero da soli, come
attirati da una calamita, un richiamo a cui il suo corpo non poteva
resistere mentre nella sua mente si formulavano accozzaglie di
ragionamenti intrecciati e malmessi.
Ma non era più
così.
Nel corso dell'ultimo millennio la pioggia di Narnia
sembrava essere diventata il riflesso delle lacrime che non aveva
più avuto la forza di versare. E mai come in quel momento,
mentre seguiva le tracce di rami spezzati e impronte infangate che
Evelyn si era lasciata dietro, il suo cuore le ricordò con
una dolorosa fitta che le spezzò il fiato quei momenti che
avrebbe tanto voluto seppellire.
Dhemetrya accelerò il
passo, per non rischiare di perdere i segni che stava seguendo,
percependo l'ansia che venissero cancellati dall'acqua
salirle come un groppo in gola. Le fischiavano le orecchie e
le mancava il fiato e per un attimo si sentì stordita,
quando una nuova ondata di emozioni la travolse come un treno in corsa
costringendola a fermarsi e tenersi il petto.
Era insopportabile.
Sentiva tutto. Stava sentendo tutto. Tutto il dolore di Narnia, la
terra che vibrava d'indignazione, le gocce come pugnali gelati che
sembrava voler cancellare ogni cosa su cui si conficcavano.
Non poteva
permetterlo. Doveva trovarla, non aveva tempo da perdere.
Quella
pioggia di dolore le stava fracassando l'anima fin nel profondo, era
come se si fosse rotto l'argine di un fiume che non sapeva come
fermarsi e travolgeva tutto, e Dhemetrya sentiva di stare soffocando
sotto quel peso ad ogni secondo che passava.
Batté le
palpebre, percependo gli occhi umidi, guardandosi intorno e sentendosi
mancare per qualche attimo. Un tuono le rombò nelle orecchie
ronzanti e osservò il cielo, posando una mano sulla
corteccia dell'albero vicino cui si era fermata per reggersi in piedi,
respirando con il cuore che batteva nella gabbia toracica in modo
così fremente da farle male.
Gli occhi blu pieni di
preoccupazione e angoscia si scontrarono con l'inesorabile macchia di
nero che era ormai diventata la distesa che fino a poco prima era
brillante di stelle.
Nero.
Nero come l'oblio che sentiva annebbiarle la
mente ad ogni minuto che passava.
Dhemetrya si morse un labbro,
cercando di trovare un appiglio in quella marea di emozioni che le si
stavano ammassando dentro e strizzò gli occhi più
che poté, tornando a guardarsi intorno.
Calma. Doveva stare
calma e concentrarsi.
Si umettò le labbra secche,
riprendendo la sua ricerca e cercando di scacciare la vocina che nella
sua testa le gridava che ci stava mettendo troppo. Non doveva farsi
distrarre dalla pressione. Non doveva lasciarsi distrarre dalle
emozioni.
Percorse con passo incerto quella strada nella foresta,
addentrandosi in quello che si rese conto non era un vero e proprio
sentiero, cercando di analizzare ogni più piccolo
particolare che riusciva a catturare facendo dardeggiare lo sguardo
attorno a sé. I rami bassi le graffiarono le guance e il
mantello varie volte s'impigliò negli arbusti, tanto che con
uno strattone ne ruppe un pezzo, i calzari si erano infradiciati
d'acqua e fango.
La pioggia e il buio non la stavano aiutando, rendendo
un'azione che aveva ritenuto sempre semplice da fare come seguire le
tracce una lotta contro la propria pazienza ed esperienza. Dhemetrya
dovette richiamare a sé tutti i ricordi e gli insegnamenti
che aveva imparato negli anni a suon di sbagli e sgridate per
districarsi in quella situazione senza rischiare di confondersi o
perdere l'orientamento.
L'aria ogni tanto si condensava in forti
raffiche di vento che le facevano sbattere contro la pelle del viso
terriccio e rami vaganti. Si calò maggiormente il cappuccio
in testa, Dhem, sentendo gli occhi bruciare e lacrimare, osservando le
tracce confondersi davanti al suo sguardo smarrito.
Ma dove si era
cacciata? Non doveva essere lontana, ormai...
-Evelyn!-
Percepì la propria voce uscire come un grido roco,
perdendosi tra il rumore della pioggia e delle chiome vibranti. Si
morse la lingua, frustrata, prendendo un respiro profondo e cacciando
via a forza il nodo che sentiva comprimerle la gola.
-Evelyn!-
A quel
secondo tentativo la voce le uscì più squillante
e si guardò intorno, quasi sperando che la ragazza
rispondesse subito al suo richiamo. Irrigidì il corpo,
pronta a scattare, e tese le orecchie per poter cogliere ogni
più piccola traccia di rumore che potesse darle qualche
indizio su dove fosse.
Silenzio.
Rimase in attesa per un tempo che le
sembrò infinito, ansiosa che se si fosse distratta avrebbe
perso l'occasione di sentire ciò che cercava, prima di
infossarsi nelle spalle e battere un pugno contro l'albero a cui si
stava reggendo, amareggiata. Sentì l'insoddisfazione
accumularsi nel petto insieme a un calore che le ricordò
molto la rabbia.
Dannazione. Non ci voleva.
Dhemetrya
abbassò lo sguardo, socchiudendo le palpebre.
Sentì la stanchezza mischiarsi alla delusione e
lasciò che della sue labbra scappasse un ennesimo sospiro
spezzato, percependo un tremito salirle dalle gambe.
Crack.
La Narniana
sentì il corpo congelarsi immediatamente sul posto. Quasi
smise di respirare, mentre assumeva una posizione di difesa e tutto
ciò che la circondava diventava sempre più
sfuocato. Socchiuse gli occhi, concentrandosi su quell'unico rumore che
era sicura, era sicura
di aver sentito provenire da qualche parte
attorno a lei.
Telmarini?
Dhem scosse leggermente la testa, portando
tuttavia con un gesto automatico la mano al pugnale che teneva legato
in vita, sentendo la pioggia continuare a picchiettarle sulla testa e
scivolarle lungo la pelle. Saggiò la consistenza dell'elsa
umida sfiorarle il palmo della mano, riflettendo. Solo degli idioti si
sarebbero addentrati nella foresta con quel tempo.
Tirò le
labbra in una smorfia, irrigidendo i muscoli e appiattendosi contro la
corteccia dell'albero come se avesse potuto diventarci un tutt'uno.
Fu
mentre si osservava intorno per essere sicura di non essere in
compagnia che lo sentì. Riconobbe il suono che le
arrivò alle orecchie come se improvvisamente il resto del
mondo si fosse fermato, sospeso nel tempo.
Un singhiozzo.
Dhem si
osservò intorno, sgranando gli occhi, lasciandosi guidare da
quei suoni che le si stavano inchiodando nella testa e che avevano
cancellato tutto il resto.
Dei singhiozzi.
Arrancò tra la
vegetazione, evitando le radici ed i sassi che spuntavano dal terreno,
sentendo i calzari infossarsi nel fango e notando i cespugli spezzati,
fino a che sotto i propri occhi spaesati la terra piana non si
modificò all'improvviso, trasformandosi in una ripida
discesa che terminava in uno spiazzo su cui si chiudevano i rami degli
alberi e dei cespugli.
Dhemetrya sgranò gli occhi,
sconvolta, quando li fece dardeggiare con agitazione per quella piccola
radura nascosta tra tronchi e arbusti, riconoscendo immediatamente,
anche tra la confusione dell'ambiente che la circondava e tutto
ciò che stava percependo, la figura distesa a terra.
Evelyn.
Sentì il fiato spezzarsi in gola, Dhem, e il cuore saltarle
vari battiti. Si sentì sprofondare in un vortice di paura
che le diede dei brividi lungo tutto il corpo.
Senza nemmeno
rifletterci iniziò a correre, quasi tuffandosi
giù per la collinetta, cercando di non cadere, inciampando e
accompagnandosi con i rami degli alberi per fare più veloce,
per riuscire nel minor tempo possibile ad azzerare quella distanza che
improvvisamente le sembrava troppo grande.
-Eve!-
La vide sussultare,
cercandola con lo sguardo. Le lacrime le impastavano il viso sporco di
sangue e terriccio, la pioggia le aveva inzuppato l'abito e
notò che in alcuni punti era anche strappato. Dhemetrya
tirò le labbra in una smorfia e corrugò la
fronte, sentendosi impotente davanti allo sguardo vacuo che le stava
rivolgendo la Pevensie.
La stava guardando, ma non la vedeva davvero. I
suoi occhi erano persi in chissà quali ragionamenti e
pensieri.
-Perché?-
Per Dhemetrya fu come ricevere
l'ennesima coltellata dritta nel cuore, un sussurro appena accennato ma
che ebbe la forza di farle male come se l'avessero pugnalata.
Tentò qualche passo, avvicinandosi, incerta, portando un
braccio in avanti. Qualcosa nel suo stomaco vibrò e
ricacciò indietro il conato di vomito che sentì
risalirle la gola.
Cosa avrebbe dovuto dire?
-Perché?-
Evelyn tremava e singhiozzava e tutto in lei trasudava dolore e
sofferenza, Dhemetrya lo sentiva posarsi sulla sua pelle e aleggiare
nell'aria più di quella stessa pioggia che cadeva dal cielo.
Tutto era dolore, tutto
era sofferenza.
La vide puntellarsi su un
gomito, fare forza per alzarsi e mordersi un labbro tanto da farlo
sanguinare. I capelli le si erano appiccicati al viso e notò
che aveva i lineamenti contratti in un'espressione insofferente. Le
ricordò una creatura sputata direttamente dagli inferi
più profondi, mentre cercava di raccogliere la tenacia che
ancora sentiva scorrerle nelle vene per provare a non arrendersi.
-Perché mi hanno mentito? Cosa c'è di diverso in
me?-
Dhemetrya mosse qualche passo, arrivandole di fronte e lasciandosi
cadere sulle ginocchia. Sentì il bagnato che spurgava dalla
terra attraversare i pantaloni e l'aria fredda schiaffeggiarle il viso,
facendole cadere il mantello scoprendole la faccia, ma in quel momento
non le importò di rimetterlo a posto.
Tutta la sua
attenzione era catalizzata sul viso di Evelyn, sullo sguardo che le
stava rivolgendo e in cui vi scorgeva accavallarsi troppi sentimenti
per poterli percepire tutti. Li sentiva provenire da Eve, provenire da
Narnia.
Era insopportabile.
Strinse i denti, affrontando quello sguardo
accusatorio e leggendovi all'interno l'incorreggibile amarezza e
delusione di un'anima tremendamente offesa e ferita e alla ricerca di
risposte.
Dhemetrya si sentì trapassare da quelle emozioni e
quello stesso sguardo le si conficcò nel cervello e
nell'anima con crudeltà, facendo riemergere ricordi che non
aveva mai davvero dimenticato e trasportandola indietro nel tempo. In
un'altra vita, un altro dolore, un'altra sofferenza.
Ed era colpa sua,
perché non era stata in grado di alleviare la frustrazione
di
quella creatura che invece avrebbe dovuto proteggere e guidare e che
aveva sempre considerato una sorella.
Che stata era sua sorella.
-Scusami,
scusami...-
L'abbracciò, incapace di trattenere le lacrime,
immergendo le mani tra i suoi capelli e portandosela più
vicino che poté per farle sentire la sua presenza. Evelyn
s'irrigidì e mugugnò un lamento per staccarsi, ma
non la lasciò andare. Non l'avrebbe lasciata andare ancora.
Sentì distintamente che si era spezzato qualcosa nella
ragazza che stringeva tra le braccia, era una sensazione a cui non
avrebbe saputo dare una spiegazione ma di cui non si sarebbe mai posta
il dubbio, perché l'avrebbe riconosciuta ad occhi chiusi e
la sentiva, la sentiva talmente bene che non avrebbe potuto sbagliarsi.
L'argine rotto, l'anima spezzata, il cuore frantumato.
Narnia vibrò nuovamente di sofferenza e sentì
riflettersi nella propria anima l'origine di quei lamenti.
Eve...
La
sentì tremare e scoppiare in un pianto disperato che le
squarciò le orecchie, conficcandosi nel suo cuore con la
stessa prepotenza con cui la Pevensie le si stava aggrappando alle
spalle, con la stessa disperazione implacabile con cui il cielo stava
riversando secchiate di pioggia su di loro e tutt'attorno.
E non poteva
fare niente, niente, per alleviare quella sofferenza.
Dhemetrya
sentì l'angoscia aggrovigliarle lo stomaco e
percepì gli occhi pizzicare. Immerse il viso nella spalla di
Eve, lasciando che il mare di emozioni che le si agitavano addosso
– addosso, dentro, intorno, che le mozzavano il respiro
– e che aveva cercato di contenere si potessero, finalmente,
liberare.
Fu come se un'esplosione la investisse da capo a piedi e
iniziò a piangere in silenzio, sentendosi improvvisamente
spossata,
accompagnata dai singhiozzi della ragazza che le stringeva gli abiti
come se fosse il suo unico appiglio. Sentì la terra tremare
e un tuono più forte squarciare la quiete del cielo che le
sovrastava, riflettendo sulla terra il loro stesso dolore.
Pioveva. A
dirotto. A Narnia non pioveva mai in quel modo, la pioggia era sempre
stata una dolce melodia che accompagnava soprattutto le giornate delle
mezze stagioni, ma era sempre stata magica, nella sua malinconica
tristezza.
Quella, invece, ogni singola goccia era il riflesso della
sofferenza, del dolore, dell'amarezza, del senso di colpa che scuoteva
le anime tormentate di Evelyn e Dhemetrya e che Narnia riusciva a
sentire come se fossero proprie.
Un legame indissolubile, un legame
scritto dal destino fin dalla notte dei tempi e che niente avrebbe
potuto spezzare.
Eve e Dhem piangevano e Narnia piangeva con loro.
*ZanZanZaaan!*
Ehilà a tutti e ben tornati! Come state? Spero tutto bene!
Che dire, capitolo piuttosto frizzantino, non trovate? Per questo vi
avvertivo che le cose si complicheranno leggermente, è una
situazione spinosa e Evelyn non ha ancora sentito tutta la
verità, quindi vi lascio immaginare, senza contare la
situazione con Edmund. A tal proposito, spero
che per il momento sia tutto chiaro in ciò che ha detto Lia,
poi approfondirò nel
prossimo capitolo con qualche dettaglio in più, insomma sono
stata vaga apposta per non scrivere troppe volte le stesse cose.
Non ho
molto da dire stavolta, sono capitoli abbastanza importanti e credo di
avere un po' di ansia da prestazione. ^^'' In ogni caso spero di
rivedervi presto,
Ringrazio chi legge, commenta, preferisce, segue e
ricorda.
See yaa
D <3
|
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Capitolo 38 *** Legami scritti dal destino. ***
Narnia's
Spirits
Legami
scritti
dal destino.
Erano
le prime ore del
mattino, ma il sole non accennava a voler fare la sua comparsa
attraverso le nubi grigiastre che ancora costellavano il cielo plumbeo.
L'odore di terra ed erba bagnata impregnava l'aria fredda e l'unico
rumore che rompeva il silenzio che lambiva la vegetazione attorno alla
radura erano le gocce di pioggia che, lentamente, cadevano a terra,
scivolando lungo le foglie e gli arbusti con lenti ticchettii.
Era
stata una notte burrascosa, di quelle che accadono raramente, che
ancora si trascinava dietro i rimasugli della tempesta che si era
abbattuta senza pietà intorno alla Casa di Aslan e nei
boschi circostanti.
I Narniani avevano osservato il cielo riversarsi
sulla terra con sguardi quasi attoniti, spiazzati per quell'improvviso
cambio di tempo in un mondo solitamente sempre pacifico, e i
più superstiziosi avevano interpretato quell'evento come un
segno del destino, il simbolo di una possibile catastrofe imminente. I
Pevensie avevano potuto giurare di aver sentito talvolta mormorii
sommessi invocare Aslan ed il suo aiuto in preghiere che si erano perse
tra i rombi dei tuoni e le mura di pietra.
Il temporale era andato
avanti per varie ore prima di quietarsi alle prime ore del mattino,
divenendo una pioggia sempre più leggera fino a scomparire.
Tuttavia, il grigiore di quella giornata non sembrava volersene andare,
rendendo l'ambiente tetro e spento.
Edmund si appoggiò allo
stipite di pietra all'entrata della Casa di Aslan, osservando la natura
senza reale interesse: i suoi occhi dardeggiarono lungo i confini del
bosco, in una ricerca infruttuosa delle figure che fin dalla notte
precedente erano scomparse e non avevano ancora fatto ritorno.
Più di tutte, il suo istinto gli faceva cercare
spasmodicamente Evelyn, come se avesse potuto sbucare fuori dal nulla
ad una sua minima distrazione.
Il cuore di Edmund sussultava ogni volta
che vedeva qualche movimento che alla fine si rivelava un Narniano
qualunque che tornava dalla ronda, facendogli tirare le labbra in una
smorfia amareggiata che non riusciva a trattenere.
Evelyn.
-Non
seguiteci. Sarebbe solo peggio.-
Lia era stata chiara. Poche parole ma
concise che avevano freddato sul posto qualsiasi loro tentativo di
ribattere o anche solo muovere un muscolo, congelati come se dagli
occhi color ghiaccio della lupa fosse uscito un qualche strano
incantesimo che li aveva resi obbedienti dopo il discorso sulle
Guardiane.
O forse semplicemente dei codardi, perché
sapevano di aver sbagliato nei confronti di Eve e non avevano il
coraggio di affrontarla di persona.
Non che ci fosse stato bisogno di
convincerli, comunque. Susan era stata portata di peso a sdraiarsi da
Peter ed era stata poi raggiunta da un Caspian alquanto confuso, Lucy
si era limitata a lanciare delle occhiate preoccupate sia a lui che al
fratello maggiore prima di raggiungere la sorella spiegando a bocconi
la situazione al Principe.
Il biondo aveva passato la notte seduto
sulla tavola spezzata, un fascio di nervi unico con lo sguardo piantato
nella pietra come se avesse potuto scavarci attraverso solo con il
pensiero facendosi comparire Aslan davanti. Aveva un sacco di domande,
Peter, e altrettanto rabbia repressa che gorgogliava per esplodere
verso chiunque gli fosse capitato a tiro.
Edmund aveva passato le ore a
rigirarsi nelle coperte, sentendo il peso al cuore farsi sempre
più opprimente mano a mano che il temporale incalzava.
Nessuno di loro aveva chiuso occhio, persi nei propri ragionamenti e
tormenti che li avevano costretti a farsi vari esami di coscienza alla
luce di ciò che avevano scoperto, i pensieri che gli
rimbalzavano in testa come palline da tennis portandosi dietro i
repentini cambi di umore a cui erano stati sottoposti. Avrebbero potuto
evitare tutto quello? No. Forse era già passato fin troppo
tempo senza che saltasse fuori e alla fine era stato inevitabile.
Inevitabile.
Come il bacio che le aveva dato. Edmund aveva sentito il
tempo accorciarsi ogni giorno di più e il suo sesto senso
gli aveva fatto capire di stare arrivando al punto limite. Starle
lontano e comportarsi normalmente era diventato sempre più
difficile e per quello aveva pensato settimane prima di doversi dare
una mossa per parlare.
Perché sapeva che avrebbe fatto
qualche errore, che era una situazione delicata e che andava presa con
le pinze, mentre veniva sempre più attirato verso Eve
lasciandosi andare a comportamenti fraintendibili. Non aveva potuto
farci nulla.
E, adesso, era tutto un casino.
Una grandissima montagna
di detriti che non sapeva come rimettere insieme.
-Come stai, Ed?-
Il
moro rilasciò un breve sospiro, continuando a tenere puntata
l'attenzione davanti a sé senza il coraggio di spostare lo
sguardo per incrociare il volto di Lucy.
Lucy.
Sempre così
buona, sempre così comprensiva, sempre pronta a tendere una
mano anche nelle situazione più complicate, alle creature
meno meritevoli. Il tono basso e dolce con cui gli aveva parlato
sentiva di non meritarselo, Edmund. Scrollò le spalle,
incrociando le braccia al petto ostentando un'indifferenza che non gli
apparteneva, rivolgendo lo sguardo il più lontano possibile.
Quel gesto, tuttavia, la rese solo più determinata a voler
penetrare nella corazza di silenzio che si era costruito attorno,
vedendone gli occhi persi ed i tratti rigidi. Lucy non riusciva a
vedere i suoi fratelli così spenti, così vuoti,
senza provare a fare nulla.
La sentì avvicinarsi e posargli
una mano sul braccio per richiamare la sua attenzione, le dita che
stringevano leggermente la stoffa della casacca in una muta preghiera
di guardarla. Anche solo per un attimo, anche solo per dirle di
andarsene e lasciarlo in pace – cosa che non avrebbe comunque
fatto, lo sapeva, lo sapevano entrambi.
Edmund, però, non ce
la faceva. Non poteva. Non ne aveva il coraggio. Perché Lucy
stava li da lui, quando era l'ultimo che avrebbe avuto bisogno di
sostegno? Quando era stata colpa sua, quando era lui che aveva dato
inizio a tutto, creando quella frattura nella loro famiglia?
-Sto
bene.- mormorò dopo qualche attimo, stanco di sentirsi
trafiggere dagli occhi di sua sorella e cedendo sotto il peso che gli
mettevano addosso. Lucy ritrasse la mano, avvicinandosi maggiormente e
cercando di infilarsi tra le braccia che teneva ancora incrociate come
da bambina faceva con Peter quando litigavano per qualcosa e voleva
tornare a farlo sorridere.
Edmund provò a divincolarsi,
rifuggendo quel calore che stava provando a dargli nonostante le
proprie proteste senza averne la reale intenzione.
Un abbraccio, solo
un abbraccio.
-Lo so che non è vero. Non si dicono le
bugie.- Edmund ingoiò un groppo in gola sentendo la bocca
improvvisamente secca, lasciando cadere le braccia lungo il corpo e
facendo si che Lucy l'avesse vinta in quella lotta a senso unico.
Qualcosa lo pungolò nello stomaco mentre sua sorella lo
abbracciava. Bugie, solo bugie.
Era quello tutto ciò che gli
usciva dalla bocca?
Bugie.
Era quella la sua reale natura?
Un
traditore.
-Mi dispiace, Lu. Ho fatto un casino.- bisbigliò,
appoggiando la guancia sulla testa della Pevensie ed inspirandone
l'odore familiare con un lungo respiro mentre le passava stancamente
una mano tra i capelli. Sentì gli occhi pizzicare e
sbatté le palpebre varie volte per scacciare quella
sensazione, ricacciando indietro il magone che gli bloccava la voce e
ricambiando la stretta.
Lucy chiuse gli occhi, ascoltando per vari
secondi il battito del cuore che le arrivava alle orecchie, immaginando
lo sfarfallio agitato che lo stava accompagnando da varie ore. Si morse
un labbro, addolorata di non poter far nulla più che
dimostrare la propria vicinanza.
-Non è solo colpa tua.
Tutti abbiamo taciuto.- Edmund puntò nuovamente lo sguardo
sulla radura che si trovava davanti, perso nei propri pensieri mentre
sentiva la stretta di Lu farsi più forte intorno alla sua
vita e lasciando che quella gli si spalmasse contro come se volesse
dargli tutto il sostegno che riusciva.
Un abbraccio.
Si morse un
labbro, sentendo il calore di quel gesto quietare il nodo agitato che
gli si dibatteva nello stomaco. Un gesto silenzioso, ma che in quel
momento per lui valeva più di mille parole.
-No, io
intendevo... per l'altra cosa.- disse, sospirando pesantemente,
immaginando già di dover rinunciare a quel momento di stasi
che si era creata. Lucy si staccò leggermente puntando lo
sguardo in alto e senza volerlo Edmund si ritrovò inchiodato
dalla sua espressione. Per un attimo si ritrovò perso e fu
come se avesse ricevuto una pugnalata. Sentì il respiro
spezzarsi osservando la serietà che sprigionava, la bocca
tirata e gli occhi che gli scandagliavano il viso con movimenti veloci.
-Si, è un po' strano.- la Pevensie interruppe il contatto
visivo per un breve attimo, immaginandosi la scena e sentendosi
leggermente imbarazzata. Edmund vide le sue guance arrossarsi
lievemente e non poté impedirsi di sentire la nuca pizzicare
per l'ansia e la vergogna. Avrebbe voluto gridarle di non pensare certe
cose, ma non riuscì a dire niente e ingoiò a
vuoto.
-Però io... ecco, lo immaginavo.- Edmund
aggrottò le sopracciglia, allontanandosi maggiormente dalla
Pevensie per poterla osservare meglio mentre si staccava del tutto e
iniziava a torturarsi le dita delle mani.
-Tu... cosa?-
domandò, spalancando leggermente gli occhi e riservando
un'occhiata stralunata al suo viso rivolto altrove. Il cuore
iniziò a battergli più velocemente,
inesorabilmente divorato dall'ansia. Cosa voleva dire che lo
immaginava? Che cosa immaginava, Lucy?
Edmund sentì le
domande accavallarsi in testa e correre verso la punta della lingua
come tante onde che si infrangono contro gli scogli allo stesso tempo.
-Che voi due... insomma... che c'era qualcosa tra voi. Avete sempre
avuto un rapporto particolare, quindi...- sputò fuori, in un
mormorio sommesso e lasciando la frase in sospeso. Si morse il labbro,
non sapendo bene come dare vita a quei pensieri che si era sempre
tenuta per sé senza mai dar loro una vera e propria voce.
Aveva sempre avuto quel sospetto, Lu, soprattutto considerando il fatto
che il moro sapeva benissimo che Eve non era loro sorella di sangue. Li
aveva osservati, aveva visto il loro rapporto mutare, crescere e
solidificarsi, ma ne aveva anche scorto la fragilità con cui
in certe circostanze ne veniva messo alla prova senza una reale
motivazione.
All'inizio non ci aveva dato peso, perché erano
sempre stati loro cinque, un po' di gelosia verso Peter la provava
anche lei perché era il suo fratello preferito quindi
immaginava di capire cosa Evelyn sentisse, quando si chiudeva in se
stessa lanciando occhiate brucianti a qualsiasi donna si presentasse
alle serate di ballo per tentare di avvicinare i due Pevensie. Narnia
era praticamente il loro segreto ed Eve era sempre stata abbastanza
possessiva verso le cose che riteneva proprie. Una sconosciuta che
provava ad infilarsi nel quadro perfetto che considerava la propria
famiglia e il proprio regno era un elemento di disturbo di cui non
riusciva a nascondere la mal sopportazione.
Lucy non si era mai fatta
troppe domande in quei quindici anni, persa a vivere la propria vita
circondata da amici e animali parlanti danzando a tempo di flauto con
gli alberi del mondo da lei stessa scoperto.
Ma poi qualcosa era
mutato. Quando erano tornati a casa. Quando era comparso Simon. Era
stata in quella circostanza che Lucy aveva iniziato ad osservare con
occhi diversi i due ragazzi che aveva per fratelli e i loro
comportamenti. Li aveva trovati sempre più fraintendibili.
Ed occhieggiò i dintorni per assicurarsi che nessuno li
stesse sentendo, percependo un brivido lungo la schiena,
riavvicinandosi alla sorella con una falcata desideroso di saperne di
più. Lucy sapeva.
Non capì cosa quella
constatazione gli lasciò addosso, troppo preso da quella
confessione per dare ascolto allo sconcerto che sentiva mischiarsi al
sollievo in un miscuglio letale che gli fece venire le vertigini. La
sua testa si svuotò di tutto, improvvisamente, mentre
continuava a ripetersi quelle parole come se si fosse bloccata su di
esse.
-Perché non hai detto niente?- chiese alla fine,
incapace di darsi una spiegazione. Cosa pensava Lucy? Lo aveva sempre
schifato senza farlo trasparire? O gli faceva pena? Per quello non lo
guardava? Non poteva certo darle torto. Se avesse potuto si sarebbe
preso a sberle da solo, ma era troppo provato anche per avercela con se
stesso. Si sentiva solo vuoto, perso. Non sapeva cosa fare e sapeva di
non poter contare su nessuno.
-Beh, non ero sicura.- Lucy lo
occhieggiò dal basso, mordendosi l'interno di una guancia
per scaricare la tensione. Non capì perché, ma
davanti al volto allucinato di Edmund si sentì tanto come
una spia che deve confessare di aver origliato qualcosa che non doveva.
Si sentì in colpa nei confronti dei suoi fratelli,
domandandosi se non avrebbe potuto fare di più. Provare a
capire di più, parlargli di più, ascoltarli di
più.
-Scusami.- gettò fuori, picchiettando un
piede a terra e provando a sorridere. Il suo stiramento di labbra
durò giusto un battito di ciglia, prima che scomparisse
così come le era venuto naturale farlo sommerso dalla
sofferenza che sentiva stringerle il cuore in una morsa.
Edmund
alzò un sopracciglio e negò con la testa,
posandole le mani sulle spalle costringendola a guardarlo dritto negli
occhi.
-No, scusami tu. Avrei dovuto essere più sincero.-
forse avrebbero evitato di finire in quel casino se lui fosse stato
abbastanza acuto da rendersi conto che Lucy era sempre stata parecchio
empatica nei confronti altrui, forse non avrebbe dovuto sottovalutarla
fino a quel punto. Forse avrebbe solo dovuto fidarsi della Valorosa,
dei gesti cortesi e di quelle mani sempre tese verso gli altri, gli
occhi rivolti verso un futuro radioso che vedeva solo lei.
Ma la paura
era sempre stata più grande.
-Immagino ti farò
schifo, comunque…- borbottò, passandosi una
mano tra i capelli e tornando ad allontanarsi. Una parte di lui non
voleva saperne niente di ciò che pensavano gli altri,
consapevole che non avrebbero potuto provare altro che risentimento e
disgusto nei suoi confronti. Sarebbe stato logico, naturale, come gli
sguardi infuocati di Peter ogni volta che lo incrociava anche solo per
sbaglio. Era qualcosa che non aveva nemmeno bisogno di essere spiegato
a parole.
Una piccola parte, però, sperava che tutto andasse
come l'abbraccio che Lucy gli aveva dato poco prima. Inaspettato,
caldo, confortevole. Anche se sentiva di non meritarlo. La parte
più irrazionale ed emotiva desiderava comprensione. Solo
comprensione. Quella che per tutti quegli anni sapeva non essergli
dovuta. Non per quel sentimento.
-Non dirlo nemmeno per scherzo!-
Edmund trasalì per la potenza con cui quelle parole gli si
conficcarono nei timpani. Scosse la testa, distogliendo l'attenzione
dai propri pensieri e puntando lo sguardo su Lucy. Aveva stretto le
mani a pugno, le guance leggermente gonfie, e l'espressione offesa con
cui lo stava guardando lo lasciò qualche attimo spiazzato
con il respiro bloccato in gola.
-Come puoi anche solo immaginare che
io possa pensare una cosa simile?- continuò, inchiodandolo
con gli occhioni sgranati per l'indignazione. Edmund aprì e
chiuse la bocca un paio di volte, incapace di dire qualsiasi cosa, le
parole portate via dalla brezza che s'infilò nel cunicolo
portandosi dietro il freddo di quel mattino grigio e cupo.
-Ti fidi
così poco di me?- Il moro sentì come se un pugno
lo avesse colpito direttamente nello stomaco. Si portò una
mano al petto, percependo il peso acuirsi mentre quelle parole gli si
inchiodavano nella mente insieme all'occhiata angosciata con cui lo
stava guardando Lucy.
Lucy che aveva sempre saputo. Lucy che aveva
sempre fatto finta di niente, continuando a parlargli e comportarsi
come se tutto fosse normale senza giudicarlo.
-No, certo che no.- le
sorrise leggermente, sicuro che gli fosse uscita più una
smorfia che altro, prima di ritirarsela addosso per ricambiare la
gentilezza che gli stava offrendo. La sentì sospirare di
sollievo e fu contagiato da quella leggerezza, confortato di averla
vicino e sentendo un nodo di commozione incastrarsi in gola. Gli occhi
tornarono a pizzicare.
-Ti voglio bene, Ed. Te ne vorrò
sempre, non importano le circostanze.-
Non avrebbe potuto aspettarsi
nient'altro, da lei.
***
-Fa male, sorella.
Perché fa così male?- Dhem si morse un labbro,
osservando il viso della ragazza di fronte a lei completamente
angosciato.
Aveva gli occhi lucidi e i capelli scompigliati, il rosso
di cui erano colorati che si confondeva con il tramonto che si
stagliava all'orizzonte donando riflessi aranciati alla carnagione
pallida. Gli occhi azzurri si chiusero di botto, mentre si portava una
mano alla testa con espressione sofferente.
-Aspetta! Dove vai?-
gridò, vedendola incespicare nei propri piedi mentre le dava
le spalle.
Azzardò qualche passo, non capendo cosa stesse
succedendo, sentendo la terra vibrare sotto di lei e l'aria darle una
sferzata violenta alle braccia. Dhem sentì quasi male,
esterrefatta per quella crudezza che non apparteneva al vento di Narnia
e provando una profonda angoscia che le strinse il cuore in una morsa.
Sua sorella non stava bene, lo sapeva. Ma quel giorno... quel giorno
c'era qualcosa di diverso.
-Ahislyn! Che ne sarà di Narnia?-
provò a chiamarla, vedendola allontanarsi, il tono
più alto del normale che fremette sotto il peso della
preoccupazione. La figura davanti a lei sussultò,
infossandosi nelle spalle e voltandosi leggermente.
Aveva l'espressione
più tetra che le avesse mai visto in viso e Dhemetrya, per
la prima volta nella sua vita, ebbe paura, mentre ne osservava gli
occhi vacui guardarla con rammarico.
Una paura folle, reale, sinistra,
che le mozzò il respiro in gola e le diede un brivido di
freddo lungo tutto il corpo. Fu come una scossa che la mise di fronte a
una delle verità più crudeli, a una di quelle che
aveva cercato di ignorare per molto, troppo tempo.
Lo sapeva.
Lo
sapevano entrambe, come una realtà taciuta ma sempre stata
presente, visibile, sotto gli occhi di tutti.
Dhemetrya si morse il
labbro percependo gli occhi pizzicare e si portò una mano
alla bocca per reprimere un singhiozzo.
-Non voglio più
sentire niente, non ce la faccio. È troppo da sopportare.-
La realtà che Ahislyn si stava lasciando morire.
-Mi scoppia
la testa.-
Dhemetrya sbatté le palpebre, fissando gli occhi sul cielo
nuvoloso che si riusciva ad intravedere dalle fronde degli alberi e
provando una fitta di fastidio per la luce improvvisa. Una leggera
folata di vento le accarezzò la pelle e percepì
distrattamente qualche goccia trasportata dall'aria caderle sulle
guance.
Provò a muovere un braccio, sentendolo
particolarmente pesante, le dita che accarezzarono il terriccio ancora
umido passandoselo tra i polpastrelli per riprendere contatto con la
realtà. Sentiva tutto il corpo addormentato, spossato. Gli
occhi le bruciavano e aveva sete. E quel sogno... no, quel ricordo.
Faceva male, come se vi fosse ancora completamente immersa.
-Sarebbe strano il contrario.-
Dhem voltò leggermente la
testa, accorgendosi della figura di Antares dietro di lei che le aveva
fatto da appoggio durante la notte, Evelyn seduta poco distante con una
mano sulla tempia. Lia era accoccolata davanti a loro, come se insieme
al Narniano avessero costruito un bozzolo che le aveva circondate le
ore precedenti per cercare di proteggerle da ciò che stava
intorno a loro.
Sentì i vestiti appiccicati alla pelle e un
brivido le diede la pelle d'oca per il freddo che le stavano lasciando
addosso. La mora lo percepiva penetrarle fin dentro le ossa, ora che
aveva riacquistato abbastanza lucidità, congelandole le
membra in una morsa inclemente a cui non era più abituata. A
nulla era valso tentare di coprirsi con il mantello.
Evelyn non si era
voluta muovere, andando avanti a piangere tutta la notte, e lei non
aveva potuto fare altro che seguirla in quelle ore di tormento, troppo
confusa anche solo per provare a pensare che sarebbe stato meglio
trovare un posto coperto.
Si tirò leggermente seduta,
appoggiandosi meglio al fianco che l'animale le stava offrendo e
attirando l'attenzione di Lia che si limitò a lanciare
un'occhiata, prima di tornare a osservare la Pevensie.
-Ciao.- la
salutò la ragazza, lanciandole uno sguardo veloce
accorgendosi che si fosse svegliata seguendo la direzione in cui stava
guardando la lupa. Tornò a massaggiarsi la
fronte, per alleviare il fastidio pressante che le pulsava a
intermittenza.
-Mh... ciao.-
mugugnò, poco convinta, tirandosi addosso il mantello
fradicio. Scosse le spalle, cercando di scacciare la sensazione di
angoscia che sentiva ancora serpeggiarle sotto la pelle se ripensava ai
propri sogni.
Fece dardeggiare lo sguardo lungo la piccola radura,
ispirando l'odore di terra bagnata e fogliame, per cercare di
riacquistare una mera apparenza di equilibrio in mezzo al caos che
erano le sue emozioni e il contatto con Narnia. Sentiva il legame
più vivo che mai, e più sofferente che mai.
Narnia soffriva, era stanca, la magia scomparsa. Ma più di
tutto sentiva anche un senso di tradimento, l'aria fitta che tagliava i
polmoni e qualcosa di anomalo nell'atmosfera, qualcosa di pesante che
si posava su di lei rendendo il tutto angustio.
Giusto, sbagliato, non
sapeva dargli un termine.
Forse c'entrava che Evelyn fosse venuta a
conoscenza della cosa, come se in qualche modo il suo spirito si fosse
risvegliato toccato dalla consapevolezza che la terra che aveva sempre
conosciuto non era la sua casa. Come sorta di richiamo a cui aveva
risposto inconsciamente.
Insomma, Aslan non era mai stato chiaro su
come quel tornare alle origini dovesse avvenire e le conseguenze che ne
sarebbero scaturite, si era limitato a metterli al corrente delle cose
e che tutto avrebbe avuto una sua strada da percorrere. Non che ne
fosse sorpresa. A lui interessavano gli equilibri di un mondo che
però molte volte si era lasciato alle spalle.
Un
controsenso.
E loro ne pagavano le conseguenze. Lo avevano sempre
fatto.
Dhemetrya iniziò a domandarsi quanto ci fosse di
giusto nella propria esistenza millenaria, nel disegno che la grande
magia aveva tessuto per lei dall'alba dei tempi.
Scosse la testa per
cercare di scacciare quei pensieri traditori, alzandosi in piedi con
non poca fatica. Stirò le braccia e salutò
Antares con un cenno del capo, tornando poi a rivolgere l'attenzione
alla Pevensie, tenuta pazientemente sotto osservazione dalla lupa.
Lia
non aveva dormito, quella notte, e aveva passato il tempo sentendo la
pioggia infradiciarle il pelo mentre concedeva a se stessa di perdersi
nei ricordi.
-Mi fa male tutto.-
La mora occhieggiò Eve,
sentendo la gola secca e accovacciandosi nuovamente da parte a lei per
osservarla più da vicino. Aveva i vestiti zuppi, come lei,
vari tagli sul viso e le escoriazioni sulle mani erano ancora
arrossate.
-Dovremmo tornare, almeno per cambiarci e medicarti.- forse
sarebbe stato meglio portarla da Lucy e farle prendere la sua medicina
per evitarle ulteriori dolori e possibili malanni.
-No!- Dhem
bloccò a mezz'aria la mano che le stava offrendo come
appoggio, congelata dal tono rabbioso con cui quelle parole lasciarono
la bocca di Eve come se fossero rivolte direttamente a lei.
-Non voglio
tornare! Non voglio vedere nessuno!- incalzò la Pevensie, e
il ringhio intriso in quelle frasi si espanse nell'aria come un tuono
mentre incrociava le mani al petto per sottrarsi ad un eventuale
contatto. La Narniana si umettò le labbra, turbata.
Giusto... Evelyn non sapeva ancora tutto.
-Va... va bene, possiamo
rimanere qui.- mormorò, lanciando un'occhiata implorante a
Lia chiedendole tacitamente aiuto. Era sempre stata quella che
ascoltava di più.
Eve socchiuse gli occhi, nascondendo il
viso tra le ginocchia che si portò al petto. I muscoli del
corpo le dolevano incredibilmente come se avesse passato le ultime
giornate a combattere senza sosta, la caviglia si era ingrossata.
Strinse i denti, ignorando le fitte alle tempie sempre più
frequenti e i lampi di luce che ogni tanto le scoppiavano davanti agli
occhi, lasciandola stordita.
Doveva calmarsi. Doveva solo calmarsi e il
dolore sarebbe passato.
Respirò profondamente,
concentrandosi sui rimasugli di pioggia che cadevano attorno. Tutto il
resto della foresta era silenzioso, chiuso in quel mutismo ermetico che
ormai aveva imparato a conoscere fin troppo bene. Avrebbe voluto
sparire insieme a quel vuoto, inghiottita dal peso che sentiva sul
cuore pur di non doverlo più sentire. Appena aveva ripreso
contatto con la realtà era stato lì, pronto a
toglierle il respiro e farla ribollire di rabbia e delusione.
Perché le avevano mentito? Quante cose le avevano tenuto
nascoste?
Evelyn strinse i pugni, domandandosi come avesse fatto a non
accorgersi che c'era qualcosa che non andava tra di loro. Come erano
riusciti a mantenere così bene quel segreto?
Il segreto che
lei non era una Pevensie. Non era una di loro.
Non era nemmeno nata in
quel mondo che non aveva mai sentito totalmente proprio, troppo
rumoroso, pericoloso e violento, ma che era l'unico che avesse mai
conosciuto – almeno, prima di Narnia. Quella sensazione,
almeno, adesso sembrava aver trovato una motivazione valida.
Lei non
era... cosa non era? Chi era? Se non era una Pevensie, chi era?
Evelyn
si sentì vuota, persa nei propri pensieri e in balia
dell'insicurezza che prendeva lentamente il sopravvento su tutta la
tormenta di emozioni che l'avevano scossa senza tregua le ore
precedenti. Tutto ciò che conosceva era una bugia. Non era
più sicura di nulla. Nemmeno di se stessa.
-Perché? Perché mentirmi?- si lasciò
sfuggire insieme ad un sospiro, gli occhi socchiusi che osservavano il
terreno ai suoi piedi ed il vestito sporco. Gonfiò
leggermente le guance, inclinando il viso senza staccare lo sguardo dal
terreno.
-Se non sono una Pevensie, chi sono?- non vide i tre che la
circondavano guardarsi per vari secondi mentre era intenta a smuovere
il terreno con un piede.
Dhemetrya si morse un labbro, aprendo la bocca
per parlare ma sentendo le parole bloccarsi in gola insieme al poco
coraggio che era riuscita a raccogliere. Si schiarì la voce,
distogliendo lo sguardo per puntarlo sul cielo plumbeo. Temeva come
avrebbe reagito Evelyn una volta che le avessero raccontato tutto.
-Noi... possiamo aiutarti. Possiamo spiegarti.- la Pevensie
voltò leggermente il viso, fissandolo su Antares senza
cambiare espressione. Osservò il Narniano con sguardo perso,
aggrottando le sopracciglia per un breve attimo, rimanendo in silenzio
mentre questi la osservava, serio.
-Cioè?- soffiò
fuori, dopo un po', affilando leggermente lo sguardo con sospetto.
Dilatò le narici per respirare ed Antares fu certo si fosse
messa sulla difensiva da come si immobilizzò sul posto, come
se le sue parole l'avessero colpita solo dopo interi attimi e temesse
di poter ricevere altro dolore.
-Ciò di cui parlavano i tuoi
fratelli, noi lo sappiamo. Non è colpa loro...-
provò ad intercedere il Narniano, ma la vide tirare le
labbra a quell'ultima frase e si fermò, smorzando
ciò che stava per dire.
Che avrebbe dovuto perdonarli.
Evelyn non l'avrebbe mai accettato, non con quella ferita ancora vivida
e sanguinante che le tediava la testa e il cuore. Certo che lei pensava
fosse colpa loro. Erano loro ad aver taciuto.
La Pevensie
scoccò un paio di sguardi a Dhemetrya e Lia, forse cercando
di captarne i pensieri, prima di tornare a guardare Antares di
sottecchi dopo aver analizzato brevemente la natura circostante. Si
morse il labbro, guardinga, sentendo la brama di conoscenza accendersi
come una piccola fiammella tra i cocci che erano il suo cuore e la sua
anima.
-Spiegati, per favore.-
Se qualcuno poteva darle delle risposte
le avrebbe ascoltate. Non aveva senso che si nascondesse ancora dietro
delle bugie. Più male del tradimento dei propri fratelli non
ci poteva essere nient'altro, potevano pure dirle che fosse un alieno e
non le sarebbe importato.
Lia sospirò, occhieggiando il
compagno e annuendo, lasciando che fosse lui a parlare, quella volta.
-Perché mentirmi? Perché non dirmi nulla?-
incalzò nuovamente, sembrando tanto un disco rotto. Sembrava
che la sua mente si fosse fermata a quel particolare, incapace di
formulare altri pensieri al di fuori di esso; probabilmente era ancora
sotto shock.
-Immagino avessero... paura della tua reazione.-
azzardò Antares, cercando di infonderle un po' di calma con
il suo tono di voce neutro. Non era sicuramente una situazione facile
essere divisi tra sapere la verità e nasconderla dietro una
facciata di quotidianità sperando non saltasse mai fuori.
Evelyn s'infossò nelle spalle, non potendogli dare torto. In
ogni caso non avrebbe reagito bene, ma avrebbe preferito saperlo anni
prima. Molti anni prima. Avevano passato quindici anni a Narnia. Le
cose con Edmund non gli avevano insegnato niente? Pensava che la
trasparenza fosse un aspetto fondamentale della loro vita dopo mesi e
mesi di discorsi mal interpretati e sentimenti repressi che li avevano
messi tutti in pericolo quando erano ancora bambini.
Eve
sospirò, socchiudendo gli occhi ed appoggiando nuovamente il
viso sulle ginocchia. Nemmeno lei era stata sincera con loro, se la
metteva sotto quel piano. Aveva taciuto un sentimento per anni ed era
come se avesse sempre mentito in faccia ad ognuno di loro ogni volta
che gli rivolgeva parola.
Scosse la testa, percependo l'abito umido
procurarle dei brividi e i capelli appiccicati alle spalle.
No.
No,
erano due cose completamente diverse. Non si potevano nemmeno
paragonare.
Evelyn tornò ad osservare i tre Narniani,
mugugnando un assenso tra i denti.
-Quindi, cosa sapete su di me?-
domandò, prendendo coraggio e affilando lo sguardo.
Dhemetrya fremette davanti a quel cambio di comportamento, percependo
l'aria farsi più elettrica attorno a loro. Le
sembrò di sentire la terra vibrare leggermente, ma fu un
pensiero talmente veloce che pensò di esserselo immaginata.
-Sei la reincarnazione delle Guardiane di Narnia.- tagliò
corto il Narniano, senza girarci troppo intorno. Evelyn
ammutolì, boccheggiando a vuoto varie volte mentre
processava quelle parole. Si rese presto conto di capirci meno di
prima, mentre una strana sensazione di angoscia e agitazione prendevano
piede dentro di lei. Che diavolo voleva dire? Che storia era?
-Antares!- fu il richiamo allarmato di Lia che ruppe il silenzio che li
circondava. La lupa sospirò esasperata, ricordandosi come
mai fosse sempre stata lei quella che portava le notizie in giro,
mentre scoccava un'occhiata bruciante al compagno a cui questi non fece
caso.
“Un po' di
tatto era chiedere troppo?”
“Non vale la pena girarci intorno ancora.”
Lia
sbuffò, tirando indietro le orecchie e sbattendo la coda
contro il terreno con nervosismo, puntando lo sguardo su Eve che si
passò una mano tra i capelli per togliere i ciuffi da
davanti agli occhi.
-C__Cosa... che intendi?- soffiò fuori,
la bocca semi aperta in un'espressione che sembrava tanto stupore.
-Prima del lungo Inverno, quando Narnia era ancora alle origini, Aslan
e la Grande Magia diedero la possibilità agli elementi che
mantengono questo mondo in equilibrio d'incarnarsi. Diedero vita alle
Guardiane, nate dall'essenza più pura di un elemento e della
magia.-
Evelyn aggrottò le sopracciglia, non capendo quella
storia assurda ma sentendosene suo malgrado irrimediabilmente rapita.
Si permise di lasciare da parte i tormenti per ascoltare.
-Le
Guardiane? Nessuno ne ha mai parlato.- constatò, cercando di
ricordare tra i meandri della propria mente se fosse effettivamente la
prima volta che sentiva quell'argomento. Le sembrava come se si fosse
aperta una porta che la collegasse direttamente a millenni prima.
-Sono
ormai leggende, dubito ci sia ancora qualcuno che ricordi le fondamenta
su cui si basa l'equilibrio di Narnia fin dall'alba dei tempi. Le
Guardiane avevano l'ingrato compito di sorvegliare questo mondo,
mantenerne intatto l'equilibrio preservando la loro stessa purezza di
animo, perché erano nate da esso e dagli elementi che lo
costituiscono ed erano irrimediabilmente collegate. Una vita... non
vita.- provò a spiegare Lia, persa nei propri ricordi.
Il
legame che univa quegli spiriti sempre erranti alla terra a cui
appartenevano era qualcosa di simbiotico. I loro pensieri, le loro
emozioni, i loro turbamenti... tutto era collegato. E per questo doveva
essere sempre tutto equilibrato, al fine di mantenere Narnia sempre
viva e pulsante.
La Pevensie formulò un'espressione dubbiosa
che non riuscì a reprimere.
-Ancora non capisco... cosa
c'entro io?- chiese, in un mormorio sommesso e scuotendo la testa. I
suoi occhi brillarono in cerca di risposte, spaesati.
-Tutto a Narnia
è collegato.- interruppe Dhemetrya, con la voce roca.
Toccava a lei dire quella parte, lo sapeva. Era compito suo.
Tossì un paio di volte per schiarirsi la gola, ma la voce le
uscì graffiante allo stesso modo.
-La fine non è
mai una vera fine e anche quando le Guardiane scomparvero non... non
morirono. I loro spiriti tornarono a collegarsi all'elemento da cui
avevano avuto origine. Come un cerchio, ecco. Tu immagina un cerchio.-
le disse, puntando un dito a mezz'aria per facilitarsi. Eve
seguì la punta del dito davanti al proprio viso,
concentrandosi per quanto possibile.
Dhemetrya chiuse gli occhi,
riportando a galla la propria storia e iniziando a raccontare.
-La
prima Guardiana a prendere vita fu quella nata dalla Terra. Quando
scomparve si riunì al proprio elemento. La Grande Magia li
fece passare tutti e quattro, ma nessuna di loro fu immune dai problemi
e prima o poi finirono tutte con il fallire, rischiando di mandare
Narnia nel caos. Pensò fosse perché un elemento
singolo fosse instabile per un carico così pesante da
sopportare. Quindi raccolse le essenze di tutti e quattro,
reincarnandoli in una quinta Protettrice.- Dhem deglutì,
sentendo la voce venire meno, lo sguardo perso a millenni prima.
Ricordava la prima volta che aveva aperto gli occhi e la prima cosa che
aveva potuto vedere era stata la mano che le veniva offerta, il viso
etereo che le sorrideva magnanimo. Scosse la testa, rimandando quelle
memorie a un altro momento.
-Ma fu inutile. Era una vita di sofferenze,
e avere delle guide vicino non alleviava la solitudine e la sofferenza
che sentivano quelle anime. Senza contare che, essendo tutto collegato,
nello spirito della quinta Guardiana erano conservate le essenze di
quelle che l'avevano preceduta, come dei ricordi andati a male che ne
intaccavo l'anima che invece doveva restare pura. Quando scomparve
lasciò Narnia in balia del gelo... e di Jadis.-
-Un circolo
vizioso.- mormorò Evelyn, ancora scossa per quel racconto.
Voleva saperne di più. Che fine avevano fatto le Guardiane?
Perché se ne erano andate lasciando il posto che gli aveva
dato la vita a sé stesso? Se tutto ciò che
dovevano fare era proteggere Narnia, perché non ci erano
riuscite? Lia annuì, grave.
-Dal momento che è
tutto un grande cerchio... anche lo spirito dell'ultima Guardiana ha
dovuto reincarnarsi... in te. Per continuare il compito che le era
stato dato. È stato qualcosa di inaspettato, ma si
è andato a mischiare con la profezia dei tuoi fratelli.- La
Pevensie si ritrovò a riflettere, suo malgrado.
-Un po' come
se fossi stata creata per questo momento?- chiese, titubante. Dhemetrya
aggrottò le sopracciglia, non capendo subito a cosa si
riferisse Evelyn. La osservò mentre si teneva il mento tra
indici e pollice, i graffi che iniziavano a fare le prime crosticine.
-Può darsi. La Grande Magia ha sempre mosso le cose che
poteva a piacimento, il resto... credo sia una storia già
scritta che nessuno di noi sa come deve andare.- I quattro si
ritrovarono in silenzio, persi nei propri ragionamenti.
Le Guardiane
avevano sempre fallito, per un motivo o per l'altro. E millenni dopo
Narnia aveva bisogno di aiuto, esattamente come lo aveva avuto per
sconfiggere Jadis. Era come se il destino avesse fatto in modo che ci
fosse nuovamente la presenza di quelle che erano state le sue guide in
quei periodi di profonda crisi.
-Quindi... non sono umana
perché sono una Guardiana?- provò Eve, ancora
frastornata, sentendo la voce cedere sotto il peso di quella domanda.
Antares scosse lievemente la testa, sbuffando leggermente.
-No... non
proprio. Il tuo spirito, indubbiamente. Ma prima di tutto tu resti
Evelyn.-
Dhemetrya si morse il labbro, sentendo una fitta al cuore a
quelle parole. Si passò una mano sugli occhi con stizza per
scacciare il principio di lacrime che percepiva iniziare ad offuscarle
la vista.
Già... Eve era semplicemente Eve.
Aveva sempre
creduto che avrebbe ritrovato la sorella, una volta che tutto fosse
venuto alla luce, ma mai come in quel momento, mentre la vedeva
osservarsi in giro con occhi spaesati raggomitolata su se stessa,
l'abito infradiciato e l'espressione ancora mezza spiritata, Dhem
capì di essersi sbagliata.
Per tutti quegli anni, si era
sbagliata, attendendo qualcosa che non sarebbe mai arrivato.
Poteva
anche essere tutto collegato, poteva anche condividerne lo spirito...
ma Evelyn non sarebbe mai stata Ahislyn.
Ahislyn se n'era andata. Molto
tempo prima.
-Mi
dispiace, Figlia
mia. Speravo sarebbe andata diversamente, questa volta.-
Dhemetrya
tirò su con il naso, puntando lo sguardo pieno di lacrime
sulla figura eterea che le era comparsa davanti. Non avrebbero dovuto
provare niente, avrebbero dovuto essere immuni alle sensazioni per
evitare di complicare le cose, eppure... poteva il dolore della
mancanza essere così letale?
La Grande Magia la
osservò per un lungo istante, studiandone i tratti distorti
dalla sofferenza e gli occhi arrossati, le labbra tumefatte per i morsi
che si era data pur di ricacciare indietro le urla di frustrazione che
avrebbe voluto fare esplodere.
La donna tirò le labbra
esibendo per una rara manciata di secondi un'espressione tesa, indecisa
se muovere un passo verso la figura inginocchiata di fronte al piccolo
stagno da cui aveva preso vita, totalmente incapace di fare qualsiasi
cosa dinanzi a quella visione.
L'acqua del lago si increspava in onde
agitate in simbiosi con il tormento che percepiva provenire dalla
Narniana e candidi fiocchi di neve iniziarono a scendere dal cielo
coperto di nuvole bianche.
Eppure era piena estate.
Dhem li
osservò posarsi su Narnia in modo sempre più
fitto e sentì quello stesso gelo lambirle il cuore, l'anima,
congelarla fin nella parte più profonda che aveva allo
stesso modo in cui prepotentemente prendeva il sopravvento su quel
mondo.
La Grande Magia congiunse le mani in una preghiera che avrebbe
dovuto concedere ancora un po' tempo prima di quel nuovo capitolo per
Narnia, allungandone poi una verso la ragazza per costringerla a
guardarla negli occhi.
Non seppe bene cosa dire, incapace di provare
reali sentimenti e tutto ciò che riuscì a
rivolgerle fu un mezzo sguardo compassionevole.
-Fatti forza, Dhemetrya
Selenya. Vederti così mi spezza il cuore, e Narnia soffre.-
-Eve?-
I quattro si
girarono contemporaneamente verso un angolo del piccolo spiazzo in cui
erano rifugiati ormai da ore. Evelyn si irrigidì di colpo,
sbiancando visibilmente, mentre Dhem scattò in piedi come se
fosse stata
punta da qualcosa. Si mise di fronte alla ragazza, nascondendola
leggermente dietro le proprie gambe esili e puntando lo sguardo
improvvisamente attento sul ragazzo sbucato fuori dal nulla.
Edmund.
Come aveva fatto a trovarli? Li aveva cercati?
-Ed...- sentì
dire da Evelyn, e ne captò la poca convinzione con cui il
nome del fratello le era uscito dalle labbra. La Narniana strinse i
pugni, percependo una chiara irritazione gorgogliarle nel petto. Non
erano stati chiari a dire di lasciarli stare? Che cosa volevano
combinare, ancora?
-Vattene, Edmund.- ringhiò improvvisamente Eve,
ritraendosi inconsciamente ancor di più contro Antares per
cercarne il calore. La Pevensie interruppe il contatto visivo,
rivolgendo l'attenzione altrove, lasciando che per vari secondi un
silenzio esterrefatto si annidasse tra le tre figure che le stavano
vicino.
Dell'espressione pensierosa e quasi
tranquilla di poco prima non era rimasto nulla. I tratti le si erano
irrigiditi e si potevano sentire i denti sfregare tra loro per il
nervoso, le mani strette a pugno sulla gonna del vestito e gli occhi
gelidi.
-Volevo solo sapere come st__-
-Cosa non hai capito del fatto
che te ne devi andare?- incalzò nuovamente, scoccando la
lingua contro il palato palesemente scocciata e parlando più
veloce del solito. Lia notò che le tremava il labbro
inferiore ed era sicura si stesse trattenendo pur di non scoppiare a
piangere, improvvisamente turbata da tutto ciò che per un
attimo aveva lasciato da parte e che la comparsa del fratello aveva
riportato a galla.
Edmund abbassò lo sguardo, colpevole,
sentendosi trafitto da sei paia di occhi – e nessuno di loro
era lo sguardo che invece stava cercando e che si era preparato ad
affrontare. Voleva solo sapere se stesse bene.
Si ritrasse,
infossandosi nelle spalle e domandandosi perché mai avesse
tentato di avvicinarsi. Evelyn era arrabbiata con loro. Con tutti loro.
Lui non faceva eccezione. Poteva comprenderlo, ma il suo rifuto gli
faceva male comunque. Dannatamente.
-Mi dispiace.- mormorò, mordendosi
un labbro. La sua mente gli urlava di girarsi e andare via, di non
farsi ancora più male, ma non ci riusciva. Alzò
lo sguardo, sentendo il respiro mozzarsi e sgranando gli occhi, colpito
dall'angoscia.
Era come se stesse guardando la scena dall'esterno. Lui
da una parte, diviso irrimediabilmente dai quattro poco distanti come
se vi fosse appena calato un muro insormontabile. Ebbe l'inconfondibile
impressione di non essere il benvenuto e cercò nuovamente lo
sguardo di Evelyn per cercare di scacciare quella sensazione, contatto
visivo a cui questa volta lei non si sottrasse.
Forse avrebbe preferito
avesse continuato a farlo, Ed, lasciandolo beato nella sua ignoranza.
Perché l'espressione che gli stava relegando gli fece gelare
il sangue nelle vene e piuttosto avrebbe preferito morire, invece che
essere guardato con quegli occhi che gli diedero la sensazione di
volerlo annientare sul posto.
-Vattene, Edmund.-
Holaa! Benvenuti o bentornati! Come vi procedono le cose? Spero tutto
bene!
Allora, che dire... ho fatto un pochino fatica con questo capitolo,
spero che la spiegazione sia più chiara ma non temete, la
storia delle Guardiane tornerà fuori e verrà
approfondita per capire bene cosa sia successo. Per il resto... ve la
aspettavate la reazione di Lucy? Spero risulti abbastanza IC con il
personaggio, ecco.
Ringrazio le persone che leggono, preferiscono, ricordano, seguono e un
grazie anche a coloro che ogni tanto si fermano a lasciarmi qualche
parere! Fa sempre piacere sapere che nonostante il tempo trascorso
questa storia riesca ancora ad interessare qualcuno. :)
Alla prossima,
D. <3
|
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Capitolo 39 *** Verso il cielo da una folata di vento. ***
Narnia's
Spirits
Verso
il cielo da
una folata di vento.
La
giornata era passata senza altri eventi particolari, in un susseguirsi
di silenzi troppo lunghi ed allenamenti rattoppati insieme senza la
concentrazione necessaria.
Caspian aveva dovuto prendere in mano la
situazione ed aveva sostituito Peter nell'elargire ordini e fare il
punto della situazione, in quanto il Re Supremo era stato impegnato
tutto il giorno a prendersela con i manichini che gli arcieri usavano
come bersagli, scaricandogli addosso tutto il nervoso che aveva
raccolto senza un minimo di pietà sotto gli sguardi attoniti
dei Narniani.
Il cielo plumbeo era stato spazzato via da una leggera
brezza innalzatasi sempre più gradualmente solo verso il
primo pomeriggio, e il sole aveva fatto il suo capolino dietro un paio
di nubi, venendo accolto con sospiri di gioia: molti si erano
infradiciati, colti alla sprovvista dal temporale mentre erano di
ronda, e speravano di mettere i propri vestiti ad asciugare al vento
senza dover utilizzare i fuochi all'interno della Casa di Aslan in modo
da poterli lasciare liberi per i fabbri.
La luce aveva avvolto Narnia
illuminandola completamente, ma il freddo lasciato dalla notte prima
era più persistente e ancora aleggiava nell'aria rendendola
più tagliente del solito. Il sole splendeva, ma non sembrava
averne realmente voglia, mentre all'orizzonte era ancora visibile il
grigiore cupo che si allontanava.
L'arrivo imminente dell'autunno
sicuramente influiva in tutto ciò: la temperatura calava ed
i giorni si accorciavano visibilmente, la natura iniziava ad adattarsi
a quel cambiamento chiudendosi sempre più in se stessa.
Susan sospirò, passando una mano tra le piume rubino delle
sue frecce per lisciarle con cura cullata dallo scoppiettare del fuoco
che si trovava davanti e in cui si era rifugiata per alleviare il
freddo che le tediava le ossa. Era stanca. No, era esausta. Sentiva
gli
occhi pesanti e le palpebre calare sempre più spesso,
oscurandole la vista, ma non voleva cedere.
Non voleva dormire.
Non ne
sarebbe neppure stata in grado. Aveva passato la notte prima preda di
incubi, continuando a svegliarsi troppo spesso in balìa del
proprio animo tormentato e delle parole che per troppi anni aveva
taciuto. Il temporale non aveva fatto altro che aumentarle la
sensazione sinistra che sentiva percorrerle la schiena senza darle un
attimo di tregua, facendole credere nel dormiveglia di essere tornata
sotto i bombardamenti di Londra.
Sue si era alzata di soprassalto varie
volte, pronta a tendere una mano in direzione di Lucy con il cuore in
gola e la fronte imperlata di sudore per svegliarla in modo da poterla
portare nel bunker insieme agli altri fratelli e alla madre. Ma erano
solo sogni. E lei era a Narnia. E fuori c'era solo il temporale.
Uno
dei temporali più violenti che avesse mai visto abbattersi
su quella terra.
La Pevensie si lasciò scappare un altro
sospiro, umettandosi le labbra ed alzando lo sguardo per osservare
senza interesse l'ambiente che la circondava. I fuochi erano accessi e
qualche Narniano stava finendo di limare le spade, altri stavano
iniziando a coricarsi per riposare in modo da prepararsi alla ronda
notturna.
Si allungò verso la faretra, appoggiata su un
masso da parte a lei, rendendosi conto fosse ormai passato il tramonto
dal cielo violetto che riuscì a scorgere da un'apertura
nella roccia poco lontana e che le dava modo di scorgere un pezzo di
paesaggio esterno.
Quante ore aveva passato, lì?
Quando era
entrata, rifugiandosi in quella nicchia con la scusa di sistemare le
punte dei propri dardi già perfettamente conservati, era
poco più che tardo pomeriggio. Forse qualcuno le aveva
offerto da mangiare, ma aveva semplicemente negato con la testa senza
nemmeno alzare lo sguardo da ciò che stava facendo per
vedere chi fosse, totalmente estraniata da qualsiasi cosa le stesse
succedendo intorno ed intrappolata nella propria mente.
Aveva lo
stomaco chiuso, rigirato su se stesso, ed era sicura che avrebbe
vomitato se avesse ingoiato qualsiasi cosa che non fosse acqua.
Susan
non aveva pace, preda di una lenta agonia che la stava divorando
dall'interno. Come aveva fatto ad essere così stupida?
Lei,
che solitamente era sempre quella più attenta ai dettagli e
riusciva a tenere tutto sotto controllo, come aveva fatto a farsi
sfuggire non una, ma ben due situazioni da sotto mano?
Come se non
fosse bastato l'evento di Jadis.
Sembrava che tutta la la sua prontezza
di spirito si fosse lentamente sciolta fino a scomparire, rendendola
solo un fantoccio che si limita a seguire il corso degli eventi senza
fare nulla per fermarlo. Susan si sentiva tanto un involucro vuoto,
incapace di afferrare il lento scorrere del tempo per inserirsi e
lasciare la propria impronta.
Evelyn era scappata, Edmund era l'ombra
di se stesso e Peter era inavvicinabile. Come si era arrivati a quel
punto? Come aveva potuto lasciare che si arrivasse a quel punto? Per
non parlare di Ed, che... che... non riusciva nemmeno a formulare quel
pensiero, Sue, sentendo il sangue congelarsi nelle vene ogni volta che
ci provava. Come aveva fatto a non accorgersi di nulla?
-Come stai?-
La
Pevensie si morse un labbro, strizzando gli occhi quasi fino a farsi
male e stringendo la faretra con un tremolio di rabbia.
Era una buona a
nulla.
Non era riuscita a fare niente per nessuno e la frustrazione la
stava soffocando, accusandola subdolamente di essere un'egoista. Era
stata troppo concentrata su se stessa tanto da non accorgersi di
ciò che le accadeva intorno, aveva sprecato la giornata a
piangersi addosso invece di fare qualcosa per cercare di rimettere a
posto le cose.
Ma c'era qualcosa che poteva essere riportato com'era?
-Susan?-
Evelyn molto probabilmente li odiava, per averle taciuto la
verità. Susan si era sentita trapassare dai suoi occhi e
dall'espressione di delusione che le aveva rivolto fino allo
sfinimento, e l'incubo che più volte l'aveva tormentata
tempo addietro sembrava aver improvvisamente preso vita. Lo aveva
detto, lei, che dovevano dirglielo subito altrimenti sarebbe stato solo
peggio.
Lo sapeva, l'istinto glielo aveva gridato, con quella vocina
che accompagnava sempre le sue azioni giudicandogliele senza
pietà e facendole scattare il sesto senso sempre
sull'attenti non appena Peter li aveva messi al corrente della
questione. Era una cosa troppo grande perché potessero
affrontarla da soli, fare finta di niente e continuare come se niente
fosse. E, infatti, non si era sbagliata.
-Susan?-
Sue
sussultò, rendendosi conto della mano che le si era posata
sulla spalla e la stava scuotendo leggermente per attirare la sua
attenzione. Vagò qualche attimo con lo sguardo, mettendo a
fuoco la persona che l'aveva affiancata con non poca
difficoltà e sentendo la testa preda di una vertigine.
-Caspian...- mormorò, spiazzata dalla sua presenza e
percependo il cuore saltarle un battito. Ingoiò a vuoto,
distogliendo lo sguardo per concentrarlo nuovamente sulle armi che
teneva tra le mani.
-Stai bene?- domandò quello, sedendosi
dove poco prima aveva lasciato la faretra senza smettere di fissarla.
Susan aveva l'espressione persa, le sopracciglia perennemente crucciate
su quel viso altrimenti sempre fiero e imperturbabile. Caspian non
l'aveva mai vista in quello stato, nemmeno dopo l'attacco al castello
di Miraz. E la cosa lo preoccupava da morire.
Odiava vederla in quel
modo e non poter fare nulla, sentiva il cuore stringersi in una morsa e
avrebbe solo voluto prenderla tra le braccia per rassicurarla. Ma le
sue parole sembravano non raggiungerla. Non del tutto, non nel modo in
cui avrebbe desiderato.
-Maestro,
avete visto
i Pevensie?-
Caspian si avvicinò a
Cornelius, seduto su una roccia in mezzo alla radura a fissare il cielo
plumbeo con aria assorta. L'uomo si portò una delle mani che
teneva in grembo a riposizionare gli occhiali sul ponte del naso,
donando un'occhiata vispa al ragazzo che gli si era appena avvicinato.
-Tutti o ne cercate uno in particolare?- gli domandò,
nascondendo un sorriso sotto i baffi e la lunga barba. Il moro si mosse
sul posto, passandosi una mano sui capelli e facendo dardeggiare lo
sguardo verso la casa di Aslan. L'aria fredda gli solleticò
il collo e sospirò, prendendo posto accanto al suo Maestro
sulle rocce ancora umide.
-Penso sia successo qualcosa.
Cioè, è successo qualcosa, ma non so cosa. Vorrei
aiutare.- disse, guardando l'erba ai propri piedi. Ricordava di aver
visto Eve correre via e gli sembrava stesse piangendo, Peter ed Edmund
con le espressioni più truci e sconvolte che gli avesse mai
letto addosso circondati da una tensione visibile anche per lui che era
un estraneo e non li conosceva. Lucy bianca come un cadavere, e
Susan... Susan gli aveva fatto paura, gli occhi spiritati mentre
mormorava parole sconnesse che non era riuscito a capire. L'aveva
accompagnata a dormire perché temeva che gli sarebbe svenuta
davanti da un momento all'altro ma non era riuscito a chiudere occhio.
Era successo qualcosa tra i Pevensie, ma non sapeva cosa. Non li aveva
mai visti in quel modo, ognuno per i fatti propri, che non guardavano
nessuno. Il loro cambio di umore era stato palpabile e repentino, un
cambiamento che gli sembrava si sarebbe perfino potuto toccare se solo
avesse allungato un braccio.
Caspian si morse l'interno di una guancia,
massaggiandosi la fronte per cercare di sciogliere la tensione che
percepiva irrigidirgli i nervi e sentendosi addosso il peso del sonno
agitato della notte appena trascorsa.
-La Regina Susan è
andata da quella parte. Prima però, fareste meglio a
rassicurare le truppe, mio Principe.- Cornelius non lo
guardò quando alzò di colpo il viso da terra per
fissarlo con occhi sgranati, le parole morte in gola, limitandosi a
rivolgere il volto verso la direzione che gli stava indicando senza
aggiungere altro. Gruppi di Narniani mormoravano tra loro lanciandosi
occhiate e alzamenti di spalle, mentre Glenstorm passava tra loro
cercando di trovargli un'occupazione ignorando volutamente i Sovrani
per non far percepire il velo di perplessità che altrimenti
gli si sarebbe letto negli occhi.
Il centauro era bravo a dissimulare,
ma non avrebbe potuto fare miracoli contro una folla di Narniani che
prima o poi avrebbe chiesto spiegazioni su ciò che stava
succedendo.
Il ragazzo si lasciò sfuggire un piccolo sorriso
mentre si alzava, posando una mano sulla spalla del vecchio Precettore.
Cornelius lo conosceva meglio di quanto pensasse e lo sapeva, ma ogni
volta ne rimaneva sorpreso.
-Vi ringrazio, Maestro.-
Caspian ci aveva
messo poco, a dispetto di quello che credeva, ad organizzare le
attività di quella giornata e dividere i compiti dei
Narniani sotto lo sguardo attento di Peter che, però, non si
era mai intromesso, limitandosi a fissarlo con la braccia incrociate al
petto.
Varie volte gli aveva lanciato delle occhiate, presupponendo che
prima o poi avrebbe avuto da ridire su qualcosa come suo solito, ma il
Pevensie non aveva mai cambiato espressione. In altre circostanze
avrebbe reagito sentendosi orgoglioso del suo operato, ma quel giorno
non aveva dato modo a quel sentimento di prendere vita più
di quanto fosse minimamente necessario.
La preoccupazione sovrastava
tutto il resto.
Peter fissava davanti a sé, la schiena
rigida e la mascella serrata tanto duramente da poter scorgere la vena
sul collo pulsare, ma era come se non fosse realmente lì,
perso in chissà quali pensieri. Caspian lo aveva capito
quando tutti se ne erano andati e lui non aveva nemmeno sbattuto le
palpebre per accennare un saluto.
Fortunatamente i Narniani si fidavano
abbastanza anche di lui da averlo ascoltato senza porsi troppi quesiti,
complici quelle giornate che condividevano da ormai più di
un mese e che avevano cambiato radicalmente il modo in cui la pensavano
sulla sua persona e gli avevano permesso di farsi esperienza concreta.
Se avesse dovuto rapportarsi con gli abitanti di Narnia che aveva
incontrato la prima volta non era sicuro di come sarebbe riuscito a
gestire quella situazione.
Le persone sospettose, pronte a linciarlo,
che gli riservavano sguardi pieni di odio e rancore che l'avevano
accolto con dubbiosità avevano lasciato spazio a delle
creature amabili, coraggiose e rispettose che non avrebbe mai creduto
di poter incontrare prima di quel momento. Non capiva come i suoi
antenati avessero potuto compiere atti osceni come dargli la caccia
senza tregua arrivando a farli quasi estinguere.
Scosse la testa,
Caspian, aiutandosi con un braccio a scostare i rami più
bassi che gli ostacolavano la vista del sentiero che stava percorrendo
e che Cornelius gli aveva indicato poco prima.
Il suo corpo era come
scattato, pungolato dalla sensazione sinistra che potessero esserci dei
pericoli, ma quando aveva riconosciuto la direzione verso cui si era
diretta Susan si era istintivamente rilassato, ricordando dove portasse
quella strada che di poco si allontanava dalla Casa di Aslan ed
intuendo volesse passare del tempo da sola.
Proseguì lungo
la strada incespicando tra qualche radice, accompagnato dallo
scricchiolio del fogliame sotto i calzari e qualche goccia solitaria
che gli finiva sul viso cadendo dagli alberi.
Con le fronde che si
aggrovigliavano tra loro la giornata sembrava più scura di
quello che era in realtà, donando un aspetto fortemente
malinconico alla foresta che lo circondava non lasciando passare la
luce già flebile. Caspian preferiva di gran lunga le
giornate soleggiate, dove il verde della vegetazione risplendeva sotto
il sole e si poteva passare il tempo all'aria aperta senza preoccuparsi
del maltempo.
In quei momenti si rilassava allenandosi con la balestra
o cavalcando con Destriero insieme a quelli che un tempo riteneva
fossero i suoi fidati Comandanti, prima che tentassero di ucciderlo
rivoltandoglisi contro senza alcun rimorso.
Il Principe
calciò un sassolino, scuotendo la testa amareggiato a quel
pensiero e tornando a concentrarsi sul presente.
Non aveva senso che
rimuginasse ancora su quella storia, aveva già avuto modo di
buttare fuori il rancore e l'incredulità che gli aveva
lasciato con il proprio Maestro dopo averlo salvato dalle prigioni,
esplodendo in una serie di insulti e gesti stizziti che Cornelius si
era guardato bene dal rimproverare.
-Susan?-
La vegetazione si diradava
attorno a lui sempre più frequentemente, facendolo sbucare
davanti a quel fiume che settimane prima era stato testimone di una
delle loro prime conversazioni. Ricordava come la ragazza si fosse
immersa nella quiete di quel posto assaporando con malinconia la Narnia
che aveva conosciuto millenni addietro.
Non gli fu strano, quindi, che
fosse tornata lì in cerca di solitudine.
-Susan?-
riprovò, scostando uno degli ultimi rami e piantando lo
sguardo sguardo sul piccolo spiazzo in cui era finito. L'erba incolta
portava ancora in segni della pioggia, inumidendogli le punte degli
stivali mano a mano che vi camminava attraverso, l'acqua del fiume
scorreva placida ma Caspian notò di come fosse visibilmente
ingrossato in certi punti e del fango lungo la riva. Probabilmente
spesso usciva dagli argini quando pioveva troppo.
-Che ci fai qui?-
Il
Principe si voltò di scatto, interrotto nei propri
ragionamenti, facendo dardeggiare lo sguardo finché non si
scontrò con la figura della Pevensie. Era seduta sul tronco
di un albero a vari metri di distanza, leggermente nascosto dalla vista
altrui grazie a dei cespugli che gli erano cresciuti tutt'attorno
formando una fitta rete di fogliame e rami più o meno
filiformi.
Sue lo guardava con la fronte crucciata, lo sguardo
particolarmente spaesato che lo raggiungeva attraversando le ultime
diramazioni coperte da foglie ancora acerbe e una mano tenuta sopra il
seno che stringeva quel poco di stoffa che riusciva a trattenere, il
petto che si muoveva più veloce del solito.
Si era
spaventata.
Caspian sentì la gola seccarsi immediatamente al
pensiero, un profondo senso di disagio che gli diede la consapevolezza
di aver fatto una cavolata a raggiungerla dal cenno del capo che lei
gli fece per invitarlo a parlare. Boccheggiò un paio di
volte, azzardando alcuni passi particolarmente misurati per colmare il
vuoto lasciato dalla domanda a cui non aveva ancora risposto.
Sospirò, raggiungendola, senza il reale coraggio di prendere
posto accanto a lei. Solo in quel momento si rese conto di poter essere
di troppo. Di non essere gradito.
Susan continuava a guardarlo con
occhi sgranati senza staccargli gli occhi di dosso, come se volesse
trapassarlo da parte a parte, lasciandogli la strana sensazione che la
stesse turbando.
Caspian evitò di ricambiare, tirando le
labbra e lanciando un'occhiata ai dintorni per sincerarsi non ci fosse
alcun pericolo – in realtà, le pattuglie avevano
già passato quella zona per assicurarsi che nessun Telmarino
si avvicinasse al loro rifugio, anche se era improbabile riuscissero a
passare il fiume prima di aver terminato il ponte. Specialmente dopo il
temporale della notte prima.
Tornò a fissare la Pevensie,
stringendo i pugni, deciso a non cedere di fronte all'evidente
riluttanza che vi leggeva nei suoi confronti.
-Sono venuto a cercarti.
Cosa c'è che non va?- domandò, imponendosi di
dare un tono neutrale alla propria voce. Moriva dalla voglia di sapere
cosa fosse successo tra quei ragazzi sempre uniti, ma ancor
più sentiva il bisogno di dimostrare la propria vicinanza a
quella ragazza che gli aveva lentamente rubato il cuore, ricambiando il
sostegno che gli aveva offerto quando lui stesso si era trovato in
preda ai propri problemi.
Si rese conto che gli avrebbe dimostrato
anche più di quello, Caspian, se solo lei glielo avesse
permesso.
Era pronto a fare di tutto per Susan, tutto ciò
che riteneva necessario per aiutarla, sostenerla, confortarla e starle
vicino, non importava la situazione. Tutto ciò che riteneva
necessario per poterla amare, perché mai si era sentito
così legato ad una persona e desiderava dimostrarle quanto
anche la sua sola presenza lo facesse stare bene, calmandolo nel
profondo
senza fargli sentire la necessità di cercare altro
– come se avesse tutto, anche se non aveva proprio niente.
Il
moro respirò pesantemente, colpito dalla potenza dei propri
pensieri e sedendosi accanto a Sue in un gesto impulsivo che non
riuscì ad evitare. La vide mordersi un labbro, distogliendo
lo sguardo da lui per puntarlo ai propri piedi.
Qualcosa nella sua
espressione era cambiata, facendola tendere come una corda di violino.
-Io... non sono nella posizione, forse, per entrare così nel
privato. Però sai che poi parlare con me. Di qualsiasi
cosa.- buttò fuori, cercando di imprimerci tutta la
sincerità che riuscisse a tirare fuori esortandola ad
aprirsi con lui. Susan annuì distrattamente, lanciandogli
un'occhiata così veloce che pensò di essersela
immaginata.
Restarono in silenzio per vari minuti, Caspian osservando
il lento scorrere del fiume mentre percepiva con la coda dell'occhio
Susan torturarsi le dita delle mani trattenendo la voglia di parlare
nuovamente imponendoselo con la forza. L'unica cosa che poteva fare era
aspettare, dimostrandole con pazienza che di lui si poteva fidare.
-È successa... ieri sera è successa una cosa.-
quello di Sue fu solo un mormorio borbottato senza reale intenzione di
farsi sentire, forse più per la voglia di buttare fuori a
voce quello che continuava a girarle per la testa che per volerne
effettivamente parlare con qualcuno. Caspian lo intuì da
come non lo stesse guardando, continuando ad osservarsi le mani come se
stesse ragionando da sola, gli occhi persi in qualcosa che gli era
ancora negato e di cui aveva sentito solo delle frasi confuse.
Fece per
dire qualcosa, ma s'interruppe vedendo le spalle della Pevensie scosse
da un tremito, rimanendo congelato sul posto con un terrore che gli si
annidò nello stomaco.
Stava piangendo?
-Io e i miei fratelli
abbiamo litigato... per una questi__ no, per due questioni.- Susan
tirò su con il naso, percependo gli occhi pizzicare ed
odiando se stessa. Non avrebbe dovuto cedere, non avrebbe dovuto
lasciarsi andare. Non così, non davanti a Caspian, con cui
cercava di mantenere sempre un'immagine formale e rispettabile... era
per quello che se n'era andata, in modo da potersi permettere di
riversarsi addosso tutte le sensazioni che sentiva, tutte le colpe che
le pesavano sul cuore senza preoccuparsi dei giudizi altrui, di
risultare una povera ragazzina da compatire.
In modo che la fragile
Susan, la spaventata Susan potesse emergere, travolgendola con il mare
di emozioni che si agitavano sotto la superficie e lasciando che la
lasciassero stravolta, stanca, vuota. In modo da non sentire
più nulla, come il silenzio spettrale lasciato dopo lo
scoppio di una bomba.
-Litigare è normale...-
provò a dire Caspian, mordendosi la lingua quando la vide
roteare gli occhi al cielo. No, di sicuro dalle reazioni di tutti non
era un litigio normale, lo poteva dire pure lui che era figlio unico e
non ne sapeva nulla dei rapporti tra fratelli e sorelle.
Represse un
brivido, non sapendo bene cosa aspettarsi.
-Per quello Evelyn
è scappata?- azzardò, rilassandosi sul tronco per
cercare di alleviare la tensione che percepiva avvolgerlo. Per
l'ennesima volta la Pevensie si limitò ad annuire,
esprimendo un'espressione amareggiata che le increspò la
bocca in una smorfia.
-Sei preoccupata?- Susan sospirò,
battendo le palpebre un paio di volte e passandosi una mano tra i
capelli, cercando di cullarsi con il rumore dell'acqua poco distante.
-Si... e no. Con lei ci sono Dhemetrya, Lia e Antares.- e la
sentì, la propria voce, vibrare di risentimento a quei tre
nomi che articolò con un groppo in gola mentre ne ricordava
l'aspetto. Le costava ammetterlo, ma loro, in quel momento, erano molto
più vicini ad Evelyn di quanto avrebbero potuto esserlo lei
e i suoi fratelli, e la cosa la lasciava con l'amaro in bocca e
qualcosa che le pungolava nell'anima, rendendola inquieta.
La Pevensie
si ritrovò divisa, consapevole dell'ambivalenza di emozioni
che stava provando. Se non altro, Evelyn non era da sola, consapevole
che né le né nessun altro di loro avrebbe potuto
fare qualcosa, probabilmente. Non Peter, troppo preso dalla propria
rabbia, non Lucy... nemmeno Edmund, nonostante il sentimento che diceva
di provare, probabilmente sarebbe stato in grado di raggiungerla.
Il
respiro di Susan tremò a quel pensiero, congelandola sul
posto come se si fosse trovata di fronte un nemico da affrontare.
Edmund
ed Eve...
Chiuse gli occhi, turbata, scuotendo la testa e
percependo una sensazione di disagio.
Nemmeno lei sarebbe stata in
grado di trovare le parole adatte per farsi ascoltare, nelle condizioni
in cui era, perché oltre al senso di colpa che la stava
tartassando non avrebbe potuto impedirsi di guardare sua sorella in
faccia risentendo nella testa le parole di Edmund.
Susan
s'infossò nelle spalle, sentendosi sperduta senza la propria
lucidità che l'aveva sempre aiutata a ragionare mantenendo
il sangue freddo.
Troppe cose, erano successe troppe cose.
Lei li aveva
visti crescere, insieme, li aveva sempre avuti sotto gli occhi... e non
si era mai accorta di niente. Che stupida. Che stupida che era stata. E
quanto dolore dovevano aver subito, prima di quel momento? Da quanto
andava avanti quella storia? Tutto ciò che sarebbe stato
diverso, se avessero detto ad Eve la verità fin dal
principio?
Strinse le mani a pugno, mordendosi l'interno di una guancia
per cercare di dare una calmata ai propri pensieri. Non sarebbe
cambiato niente, probabilmente. Ne sarebbe stata scossa allo stesso
modo.
Che Edmund ed Evelyn provassero dei sentimenti l'uno per
l'altra... non sapeva se fosse una cosa che avrebbe mai potuto
accettare.
-Eve ha scoperto che non è nostra sorella di
sangue.- spiegò, intercettando l'occhiata che le stava
ancora rivolgendo Caspian. Lo vide aprire la bocca con stupore, per poi
annuire come se avesse intuito la portata di quella verità e
perché la ragazza si fosse arrabbiata tanto da scappare.
Non
era una cosa da poco, effettivamente.
-Questo però non
cambia le cose per voi, giusto?- Susan annuì, tornando a
guardarlo per un breve istante e indurendo lievemente i tratti.
-Ovviamente. È cresciuta con noi, le vogliamo bene e non ci
importa. Siamo una famiglia.- avrebbe desiderato che anche Evelyn
sentisse quelle parole che non era riuscita a dirle. Che non importava.
Non importava da dove venisse, o la storia che aveva raccontato Lia la
sera prima, le sue fantomatiche origini.
Non aveva mai avuto
importanza, per nessuno di loro.
Ma per Evelyn? Per Evelyn importava,
eccome. Dopotutto si trattava della sua persona e loro tacendo era come
se avessero deciso per lei, relegando la cosa lontano come se fosse di
poca utilità quando, guardando in faccia la
realtà, non era poi così. La presenza di Lia,
Antares e Dhemetrya ne era una prova. Era una cosa più
vicina di quanto avessero potuto immaginare e ormai li stava colpendo
senza che potessero impedirlo.
Erano stati stupidi a sottovalutarla
solo per il sentimento che provavano nei suoi confronti, pensando che
fosse più forte di qualsiasi altra cosa e avrebbe potuto
superare qualsiasi situazione. Che avrebbe potuto combattere il
destino.
-C'è dell'altro?- domandò il moro,
inclinando leggermente la testa e rivolgendole un breve accenno di
sorriso per cercare di regalarle un po' conforto. Susan tirò
le labbra, non sentendosi contagiata da quella serenità
fittizia.
-È una storia complicata, ma sembra che Eve sia in
qualche modo collegata a Narnia e a degli spiriti chiamati Guardiane...
che ne sia una sorta di incarnazione. Cornelius ti ha mai detto nulla a
riguardo?- domandò, improvvisamente incuriosita, ricordando
di come il Maestro sembrasse ben informato sulla storia di quelle
terre.
Caspian rimase un attimo spaesato, soppesando quelle parole
senza capirne appieno il collegamento con la Pevensie.
Reincarnazione?
-Non che io ricordi, ma posso chiedere.- il Principe provò
un moto di curiosità a quella storia, suo malgrado attirato
come tutte le volte in cui il suo Precettore gli apriva davanti un
libro colmo di leggende e si prestava a raccontarne gli aneddoti e a
rispondere alle sue domande. Quella era, effettivamente, una storia
nuova.
Arricciò il naso, non capendo da dove saltasse fuori
e osservando la ragazza di fronte a sé che si era nuovamente
rinchiusa nel suo mutismo. Susan era ancora bianca in viso, con gli
occhi lucidi per le lacrime che faticava a trattenere circondati da
profonde occhiaie e l'aspetto scompigliato di chi non ha passato delle
ore serene.
Allungò una mano, prendendogliene una e
passandole il pollice sul dorso, in una mero gesto di consolazione che
la lasciò per un qualche secondo immobile. La vide mordersi
un labbro e strinse la presa, impaurito che decidesse di allontanarsi
per nulla intenzionato a interrompere il contatto.
-Sono certo che per
lei sia stato un duro colpo.- fu la sua semplice constatazione,
immaginando come dovesse essersi sentita Eve e capendo
perché tutti i Pevensie fossero come alienati da
ciò che gli stava accadendo intorno.
-Ma... come ha fatto a
scoprirlo? Avete deciso di dirglielo?- domandò, corrugando
le sopracciglia e domandandosi interiormente il perché di
quel gesto. Perché far saltare fuori la verità in
un momento così delicato, con una guerra alle porte? Non
aveva senso. Peter la pensava meglio di così, non se lo
immaginava rischiare di buttare all'aria tutto intraprendendo un
discorso così delicato senza che pensasse alle conseguenze
che avrebbe comportato.
Susan s'irrigidì visibilmente,
allontanandosi di qualche centimetro dal corpo del
Principe. Giocherellò con i capelli, attorcigliando
una ciocca intorno
ad un dito, soppesando la situazione e percependo nuovamente un
fastidio alla bocca dello stomaco.
-Beh, ecco...- non sapeva quanto
avrebbe potuto dire a Caspian, quanto quella verità di cui
era venuta a conoscenza solo da poche ore avrebbe influito sul suo
giudizio nei loro confronti. Non voleva che il ragazzo che le stava
accanto iniziasse a pensare male dei suoi fratelli, solo
perché lei non riusciva ad affrontare la situazione da sola
senza sentire il bisogno di aprirsi con lui, che la guardava in quel
modo così dolce che le faceva suo malgrado sciogliere il
cuore.
-Non fare così, dai. Puoi dirmi tutto, sono qui per
te.- Susan si accorse di avere iniziato a piangere solo quando la prima
lacrima le scivolò lungo il viso fino a finirle sul dorso
della mano. Sbatté gli occhi, osservando l'ambiente
circostante divenire sempre più offuscato e un nodo in gola
bloccarle qualsiasi tentativo di scuse che volesse dire.
-Peter ha
visto Edmund ed Evelyn che... che si... si ba_ baciavano.-
singhiozzò un paio di volte, passandosi la mano libera sugli
occhi per cercare di ritrovare un minimo di contegno. Ebbe solo il
potere di iniziare a piangere più forte.
-Ah.- fu tutto
ciò che uscì dalle labbra di Caspian, e Susan tra
la sofferenza che le stava procurando tutta la situazione,
sentì pizzicare il germoglio del pentimento per averglielo
raccontato.
Il moro rimase in silenzio, guardandola cercare di fermare
le lacrime e tirare su con il naso, provando a nascondere il viso
arrossato alla sua vista voltandolo il più possibile
dall'altra parte per non dover incontrare i suoi occhi.
-Immagino si
sia arrabbiato, e poi... sia saltata fuori la storia di Eve?-
azzardò, ricordando di aver sentito Edmund e Peter urlare
nella sala della tavola spezzata. Le cose iniziavano ad avere un loro
senso.
Susan represse un brivido, riportando a galla le espressioni dei
due fratelli e le frasi che erano volate senza riflettere.
-Non so cosa
fare.- mormorò, e un ennesimo tremito le scosse il corpo. Si
portò entrambe le mani al viso, tremando visibilmente per i
singhiozzi, spezzandosi sotto il peso del dolore.
-Non so cosa devo fare...- ripeté, sentendosi
totalmente incapace di far fronte a quella cosa. La stava distruggendo.
La stava annientando. L'idea che Eve non volesse più
parlarle, l'idea che avrebbe dovuto rinunciare a un componente della
sua famiglia... era qualcosa che la terrorizzava, che le prendeva il
cuore sbatacchiandolo da tutte le parti senza ritegno.
Lei viveva per i
suoi fratelli.
Caspian l'abbracciò, spiazzato da quel pianto
sommesso e reprimendo la sofferenza che vederla in quello
stato gli stava procurando, la vista della ragazza chinata su se stessa
che gli s'imprimeva con crudezza nella mente.
Troppo presa dai propri
pensieri per cercare di mantenere quella distanza necessaria che aveva
sempre cercato di imporre tra loro non s'irrigidì nemmeno
né ebbe alcuna reazione.
Tirò le labbra espirando
pesantemente, sentendola tremare tra le proprie braccia, rivolgendo uno
sguardo al cielo ancora plumbeo.
-Andrà tutto bene...
andrà tutto bene, vedrai.-
-Mi
spiace per
stamattina, non volevo tediarti con i miei problemi.-
Caspian strinse le labbra per cercare di scacciare il senso di
impotenza che percepiva, occhieggiando i dintorni e notando Lucy
insieme al suo Maestro e scorgendo distrattamente Dhemetrya che correva
fuori dal rifugio senza guardare nessuno.
Non ci aveva capito molto, di
quello che era successo, e ancora faticava a dare un senso concreto
alle spiegazioni che gli aveva dato Susan – ma, a giudicare
da come stava, non era solo un suo problema.
-Non dirlo nemmeno, lo sai
che non devi preoccuparti.- disse, tornando a fissarla e sedendosi
accanto. Tirò fuori la sua spada e una pietra da un
sacchettino che portava attaccato alla cinta dei pantaloni, mettendosi
a lisciare la lama per passare il tempo.
Restarono in silenzio per un
po', ognuno perso nei propri pensieri, senza la presunzione di parlare
di nulla. Sarebbero state solo parole sterili, inutili, e lo sapevano
benissimo entrambi.
La Pevensie finì di sistemare le ultime
frecce, ascoltando le vibrazioni stridenti provenire dal ferro che
sfregava contro il sasso e scorgendo il moro concentrato sul proprio
lavoro, la fronte crucciata, lo sguardo penetrante sulla spada che
teneva tra le mani e il corpo leggermente protesto in avanti,
i muscoli tesi per lo sforzo.
Il Principe non le aveva più
detto nulla dopo il suo sfogo, limitandosi ad accompagnarla al rifugio
quando si era calmata nuovamente e non ritirando più fuori
quella storia né facendo domande scomode o imbarazzanti,
immergendosi negli allenamenti delle truppe. La discrezione che aveva
mostrato era qualcosa che l'aveva colpita profondamente, facendole
intuire quanto di buon cuore fosse il Telmarino che le stava affianco a
dispetto dei pregiudizi che si potevano avere sulle sue origini e che
per vari giorni dopo averlo conosciuto le erano sempre tornati in
mente.
Sorrise leggermente, sentendo uno strano calore all'altezza del
cuore alleviarle il magone che sentiva.
-Grazie, Caspian.-
***
“Ma
dove sei
finita?”
Dhemetrya
s'inerpicò su un ramo, saltando tra un albero e l'altro con
dei movimenti precisi e veloci e finendo con il saltellare sulle radici
nodose che uscivano dal terreno come se fosse un'equilibrista. La sua
sagoma esile e longilinea coperta dagli abiti scuri si mimetizzava
perfettamente con il fitto della vegetazione, se non fosse stato per il
bagliore degli occhi blu che si sarebbe distinto anche
nell'oscurità più nera.
Erano sempre stati
magici, velati da una luce che li faceva brillare come se fossero due
fiamme di fuoco fatui, ma nelle ultime ore Dhem li sentiva cambiati,
più vispi ed attenti ai movimenti della foresta mentre
saettavano da una parte all'altra con trepidazione. Piccoli segnali del
cambiamento che si era messo in moto.
“Sto
arrivando, quante storie per un
po' di freddo.”
Scosse la testa, tirando le labbra in un
sorrisino che si costrinse a non fare e scendendo dai rami cambiando
direzione drasticamente per essere sicura di non venire seguita.
Verso
sera avevano convinto Eve a cambiare posto ed erano già un
paio di volte che faceva avanti e indietro dal rifugio per andare a
prendere vestiti puliti, qualcosa da mangiare e con cui bendarle le
ferite, evitando accuratamente di incrociare qualcuno dei Pevensie e
sentendosi tanto una ladra, mentre rovistava tra i bauli e le scorte
mediche raggruppate su un piccolo scaffale trafugando ciò di
cui aveva bisogno.
Non era stato un compito facile, comunque,
trascinarsi dietro la Regina: Evelyn si era rifiutata molte volte prima
che la convincessero, passando dalla rabbia al pianto e tutta un'altra
gradazione di emozioni che non erano riusciti a fermare insieme alla
sequela di domande ed obiezioni a cui non sempre erano stati in grado
di dare delle risposte soddisfacenti.
Più di tutte, era
stato difficile spiegarle il loro collegamento con Ahislyn,
perché se davvero ci tenevano così tanto per Eve,
cresciuta in una famiglia così unita dove nessuno veniva
lasciato indietro e si faceva quanto più possibile per
aiutarsi, era impensabile che l'avessero lasciata andare senza fare
nulla, loro che ne ne erano sorella e guide, nati con lo scopo di
aiutare e sostenere e vivere un'eternità serena in quel
mondo a cui erano profondamente legati.
E invece era successo.
Perché se Ahislyn avesse continuato a vivere
profondamente sofferente e turbata Narnia avrebbe finito con il pagarne
il prezzo. E la Guardiana lo sapeva bene, quel dettaglio su cui si
basava tutta la sua esistenza.
Ma era successo anche qualcosa di
diverso. Loro non erano scomparsi con lei, finendo relegati in una vita
di attesa, come se dovessero scontare la pena per aver fallito nel loro
compito. Ed erano passati più di mille anni.
Non sapendo
cosa dirle e come riuscire a fare breccia nella corazza di sospetto con
cui si metteva a guardarli in quei momenti avevano finito sempre con il
cedere, lasciandola sbollire senza insistere troppo e limitandosi a
scambiarsi delle occhiate mentre si perdeva nei propri pensieri e
probabilmente rimuginava sulle informazioni avute nelle ultime ore.
Non
potevano permettersi che si rendesse inavvicinabile anche a loro, non
in quello stato sbilanciato in cui versava.
Dhemetrya percorse gli
ultimi metri che la dividevano dal luogo designato camminando,
stringendo la borsa che portava a tracolla a sé ed
osservando la piccola radura aprirsi davanti ai suoi occhi. Al centro
vi stava un grosso albero secolare e dietro di esso una serie di
cespugli cresciuti su un cumulo di rocce, occludendo alla vista di
estranei l'entrata per una piccola nicchia probabilmente usata come
rifugio anni addietro e che avevano deciso di sfruttare per
quell'occasione.
Posò la mano sulla corteccia, lasciandosi cullare
dalla ventata di aria che la salutò passando tra le fronde e
rivelandole il cielo della sera ormai inoltrata distinguibile tra le
foglie che vennero smosse. Dhem osservò il tappeto blu scuro
sempre più fitto di puntini luminosi, così
diverso da quello della sera precedente da darle un sollievo che le
fece quasi male al cuore.
Narnia...
“Dove siete?”
La ragazza si guardò intorno, provando a scorgere le due
figure che stava cercando affilando lo sguardo per metterle a fuoco tra
la foresta illuminata dal chiaro bagliore lunare, portando
istintivamente una mano al pugnale che le pendeva al fianco con un
gesto automatico.
“Girati.”
Vide un fruscio tra i
rami e lanciò la sacca con un movimento deciso, facendola
volare fin oltre il bordo dello spiazzo e finendo per incastrarla tra
alcuni rami.
Sospirò, incrociando le mani al petto ed
attendendo con le braccia incrociate, appoggiata mollemente al tronco
dell'albero secolare, perdendosi ad osservare il cielo ed incanalando
la calma che percepiva provenire da quel luogo accarezzarle la mente.
Era come se avessero trovato un pezzo di terra racchiuso in una bolla
– e dopo la notte prima era quasi un miracolo.
Chissà se era
perché...
-Dhemetrya... dove sono
Lia e Antares?- la Narniana staccò la schiena dal tronco,
occhieggiando Eve e poi i dintorni, non sapendo cosa rispondere e
torturandosi le dita nascoste dietro la schiena. Ne studiò
il viso ancora emaciato e gli occhi arrossati, i graffi che iniziavano
ad essere meno visibili e i capelli raccolti in una mezza coda.
Dhem si
umettò le labbra, sentendosi trapassare dal tono indagatore
con cui le aveva parlato, non riuscendo a sostenere lo sguardo spaesato
che le stava rivolgendo e lanciando una veloce occhiata di lato.
-Sono... ecco, loro...-
-Non sono andati a chiamare qualcuno dei miei
fratelli, vero?- la mora portò le mani in avanti,
staccandosi del tutto dall'albero per fronteggiare Evelyn e
l'espressione a metà tra l'indignato e l'offeso che stava
rapidamente mettendo su.
-No! No, figurati, non lo faremmo mai.- con
tutta la fatica che avevano fatto per non far cacciare via anche loro
l'ultima cosa che volevano era farle qualche torto. Sapevano benissimo
quanto volesse rimanere da sola e non potevano far altro che rispettare
quel desiderio. Anche se quella situazione sarebbe dovuta essere
risolta il prima possibile. Ma potevano aspettare ancora un po'.
-Siamo
qui.-
Evelyn sguainò istintivamente la spada, facendo un
paio di passi indietro tirandosi dietro Dhemetrya dopo averla affettata
brutalmente per una manica e puntando l'arma verso le due figure
sbucate dal nulla. Non si era nemmeno accorta della loro presenza.
Che
cosa ci facevano due umani nel fitto della foresta di notte?
-Chi
siete? Cosa volete?- sbraitò, gli occhi ridotti a due
fessure, mettendosi davanti alla ragazza e sventolando la lama per non
farli avvicinare maggiormente in gesti sconnessi. Il suo sguardo
mutò rapidamente, passando dallo frastornato al sospettoso
nel giro di qualche attimo, relegando i pensieri che l'accompagnavano
in un angolo della mente per riacquistare la lucidità
necessaria.
-Calma, calma!- portò le mani avanti l'uomo,
mettendosi di fronte alla compagna come se dovesse difenderla. Eve
ringhiò tra i denti notando il cipiglio divertito con cui la
stava guardando, sentendosi profondamente frustrata dinanzi a quella
sfrontatezza e al sorriso sghembo che le stava rivolgendo.
-Aspetta!-
si mise in mezzo Dhemetrya, ignorando il pizzicore al braccio che le
aveva lasciato la Pevensie. La vide scuotere leggermente il capo,
stizzita, non capendo quel suo comportamento e continuando a lanciare
delle occhiate palesemente contrariate alle spalle della Narniana. Dhem
posò la mano sulla lama, in un tacito ordine di abbassarla,
ricanalizzando l'attenzione di Eve su di sé.
-Sono... loro
sono Lia e Antares.- sussurrò, spostandosi leggermente per
permetterle di osservarli meglio. Evelyn corrugò la fronte,
analizzando le due figure appena sbucate dal bosco strizzando
lievemente gli occhi per la fatica. Sentiva la testa scoppiare.
No, non
era possibile.
-Tu menti.- fu la sua constatazione, lanciando
un'occhiata di sbieco alla ragazza accanto a lei per tastare la sua
reazione. Quante cose le stavano tenendo nascoste ancora?
Dhemetrya
sussultò a quelle parole, roteando gli occhi al cielo e
costringendosi a non farci troppo caso, mordendosi un labbro per la
fitta di sofferenza che le diede sapere che non si fidava abbastanza da
crederle sulla parola. Ci mancava solo quello.
-Siamo noi, Eve.
Davvero.- la Pevensie tornò a guardare la ragazza che aveva
appena parlato, riconoscendo nel tono pacato di voce con cui le si era
rivolta qualcosa di estremamente famigliare.
Ne studiò la
figura formosa, il seno coperto da un pezzo di stoffa che le lasciava
pancia e spalle scoperte e la gonna che dai fianchi le arrivava ai
piedi scalzi, i capelli ricci lunghi oltre la vita e il viso
rotondeggiante, fissandosi poi sugli occhi. Smeraldi che brillavano su
un viso diafano e che le ricordarono terribilmente il verde delle calde
giornate primaverili.
L'essenza più pura della terra.
-Lia?- domandò, sentendo la gola secca
e il fiato venirle meno. Com'era possibile? Cosa stava succedendo?
Evelyn si ritrovò a fissare la ragazza – Lia.
Quella era Lia? – senza riuscire a muovere un muscolo,
riconoscendo nel fondo dell'occhiata penetrante che le stava
restituendo la silenziosa sicurezza che le aveva sempre comunicato con
la sola presenza fin dalla prima volta che si erano incontrate.
-Deve
essere per quello che è successo ieri. In qualche modo la
magia di Narnia deve aver reagito facendoci tornare normali.-
soppesò l'uomo, portandosi una mano al mento e sfoggiando
un'espressione pensierosa che gli indurì i tratti
già marcati.
La Pevensie si ritrovò suo malgrado
a studiarlo, soffermandosi sul petto scoperto e passando poi ad
osservargli il viso reprimendo un brivido per l'imbarazzo. Aveva gli
occhi chiari, le sembravano castani, ma brillavano di una luce diversa
che non riusciva a mettere a fuoco da quella distanza a causa
dell'oscurità, la mascella ben delineata come i muscoli
delle braccia ed i pettorali.
Eve si domandò tacitamente se
non avessero freddo, semi nudi nella notte settembrina con i primi
venti autunnali che iniziavano a muoversi per Narnia.
Fece passare lo
sguardo sulle tre figure che le stavano davanti, analizzandoli con
cipiglio critico e sentendo qualcosa di strano invaderle la cassa
toracica. Le sembrava di essere lì, ma non essere
effettivamente lì, come se guardasse la scena dall'esterno.
Tre ragazzi, tre... Narniani?
-Certo che potevi trovarci qualcosa di
meglio.- borbottò l'uomo – Antares, era
Antares
–, ed Eve si accorse con uno sguardo più attento
al suo viso che in realtà non dimostrava più di
una trentina d'anni. Lo vide portarsi le mani a stringere la stoffa dei
pantaloni strappati che indossava, tastandone il tessuto rigido
invitando Dhemetrya a fare lo stesso in una tacita lamentela.
-Ho
cercato di fare prima che potevo. La prossima volta ti lascio nudo.-
commentò, acida, alzando un sopracciglio con stizza e
posando una mano sul fianco, per nulla intenzionata a dargli corda.
-Per Aslan, anche no.- la mora lanciò un'occhiata sbieca
verso la riccia, che aveva strabuzzato gli occhi. A Eve
sembrò fosse arrossita e la trovò tenera senza
nemmeno riuscire a capirne il motivo. Sembrava una bambola, con i
capelli che le ammorbidivano i tratti già pieni e gli occhi
grandi, come se all'interno vi fossero incastonate due pietre preziose,
salvo poi avere un corpo florido e decisamente femminile coperto da una
stoffa che le ricordava quella dei sacchi in cui ci mettevano le scorte
di cibo e che ne sottolineava le curve.
Accanto a Dhemetrya quella
differenza abissale di corporatura tra le due si notava ancora di
più, donando a Lia un aspetto decisamente più
maturo, trasposizione fedele della sua personalità.
Eve fece
un paio di passi in avanti, cercando d'ignorare la soggezione che le
metteva addosso essere osservata da due volti nuovi.
Era abituata agli
occhi freddi di Lia, azzurri come il ghiaccio che si formava sui rami
degli alberi in inverno, e vederla con quei due smeraldi che sembravano
sprizzare vitalità da ogni parte la lasciava sconcertata,
non riuscendo ad attribuirla ai modi posati con cui si esprimeva.
Per
non parlare del perenne ghigno sul volto di Antares. Era quello stato
sempre più taciturno, con cui aveva avuto modo di
confrontarsi meno, ma così... Evelyn si morse un labbro,
lanciandogli una breve occhiata mentre incrociava le braccia
al petto, assumendo una posa ben piantata nel terreno e marcando i
muscoli delle braccia.
Tutto in lui gridava sfrontatezza,
esplosività, forza. Sembrava tutt'altra persona,
così diversa dall'animale mansueto in cui era stato
relegato.
Nel giro di una giornata tutto sembrava cambiato, esattamente
come repentino era stato lo sconvolgimento che in poche ore le aveva
ribaltato la vita, spazzando via tutte le certezze che aveva avuto per
anni.
Per quanto Eve avesse cercato di aggrapparsi come una disperata
ai rimasugli di quella quotidianità che era rimasta, ai
pochi volti che per lei erano l'ultima certezza, ai sentimenti che
provava ancora per i suoi fratelli – nonostante tutto,
nonostante la ferita del tradimento –, vedere Lia ed Antares
in forma umana le diede l'improvvisa consapevolezza che niente sarebbe
stato più come prima, che qualcosa si era irrimediabilmente
spezzato, esattamente come si era sentita rompere qualcosa direttamente
nell'anima la sera precedente.
Sentì una stretta allo
stomaco che le diede degli spasmi dolorosi.
Niente sarebbe stato
più come prima. Nemmeno lei.
Ciao
a tutti. :)
Ad
ogni capitolo ce n'è una nuova, eh? Come potete notare, sto
cercando di tirare le fila di un po' tutte le reazioni, nel prossimo
capitolo si faranno un paio di punti della situazione. Se riesco
cercherò di mantenere gli aggiornamenti nella prima
settimana del mese. In base alla scaletta, inoltre, mancano una
quindicina di capitoli alla fine - massimo venti. La strada
è ancora lunga ma inizia a intravedersi una fine - spero!
Se
avete voglia fatemi sapere cosa ne pensate di come sta procedendo il
tutto, sono sempre aperta a nuovi pareri. Ringrazio chi legge, segue,
preferisce e ricorda e chi è ancora qui dopo tanti anni.
Love, D. <3
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Capitolo 40 *** Sotto lo scintillio delle stelle. ***
Narnia's
Spirits
Sotto
lo scintillio delle stelle.
-Dorme?-
Antares
spostò lo sguardo dal bosco verso il terreno, sporgendosi
quel tanto che bastava con il busto per poter osservare in faccia la
causa dell'interruzione dei suoi pensieri dal grosso ramo su cui stava
provando a rilassarsi, invano, ormai da parecchi minuti.
Dhem lo
raggiunse con l'agilità di una gatta nel giro di pochi
secondi e gli si sedette accanto, i suoi movimenti accompagnati solo da
una leggera brezza che sentì sfiorargli la pelle nuda.
Chiunque non l'avrebbe sentita arrivare, ed era in quel modo sfuggente
che era sempre riuscita a defilarsi dai Telmarini –
specialmente quando, proprio sotto i loro nasi, si intrufolava nella
cittadella per cercare qualcosa da mangiare durante gli inverni
più rigidi.
Dhemetrya, con il corpo esile e slanciato ed i
capelli neri come le piume dei corvi, riusciva a confondersi nelle
ombre con la stessa facilità con cui il resto del mondo
respirava.
Ma Antares era abituato da millenni alla sua presenza da
riconoscerla ormai anche ad occhi chiusi negli impercettibili
cambiamenti di ciò che gli stava intorno: una brezza
leggera, l'increspatura di uno stagno, un tremore leggero del
sottosuolo... tutti modi in cui Narnia aveva sempre accolto la loro
presenza.
-Non credo, però è insieme a Lia.
Immagino che il tuo giro di ronda sia andato bene invece.-
constatò, tornando ad osservare il bosco circostante e
lasciandosi dietro quei ricordi veloce tanto quanto li aveva evocati,
quando si accorse di come Dhem lo stesse osservando per quel silenzio
prolungato.
Se ci fosse stato qualche pericolo l'avrebbe sicuramente
sentito.
Era vero che Narnia era come morta nel suo silenzio, chiusa in
uno stato catatonico come mai l'avevano vissuta prima, ma la stessa
presenza degli ultimi Narniani parlanti era l'unica prova di cui
necessitava per credere che ci fosse ancora speranza. Una tenue
fiammella, tenuta a bada dalla rigida crudezza oggettiva degli eventi
che si erano susseguiti durante quei secoli, ma che non riusciva a far
spegnere – esattamente come l'essenza del fuoco che gli
scorreva ancora tra le vene.
Due facce della stessa medaglia: se ne
fosse mancata una, se la speranza per una Narnia dei tempi d'oro e
delle Guardiane si fosse spenta, anche la sua stessa esistenza si
sarebbe accartocciata come carta bruciata.
Antares non riusciva a togliersi dalla mente che, forse, non tutto era
davvero perduto come invece sembrava averlo sempre creduto Dhemetrya.
Altrimenti, sarebbe stata la fine. Per Narnia. Per loro. E non voleva
nemmeno vagliare quell'ipotesi, per quanto vicina alla
realtà fosse: immaginare di tornare a fondersi con l'essenza
di quel mondo, per quanto pacifico sarebbe stato, rinunciando a tutto
ciò a cui era abituato, a tutto ciò che lo
rendeva lui... lui,
era un pensiero angosciante.
Non voleva rinunciare
alla propria esistenza, non voleva lasciarsi andare come successo ai
loro antenati, Antares. Non era pronto, perché...
perché voleva
continuare a vivere.
E desiderava che lo
facessero anche Lia e Dhemetrya, insieme a lui, compagne di una vita
che potenzialmente poteva essere eterna.
La ragazza si passò
una mano tra i capelli per sciogliere qualche nodo, lanciandogli
l'ennesima occhiata da quando l'aveva raggiunto per soppesare il velo
di tensione che sentì improvvisamente provenire dall'amico e
che la mise istintivamente in allerta.
-Sembra che non ci sia nessuno
in giro.- sussurrò, ripercorrendo con la mente i propri
spostamenti. Socchiuse gli occhi per mettere a fuoco la vegetazione
circostante, ad accogliere quel gesto solo la penombra. Erano
abbastanza distanti dal fiume dove i Telmarini avevano quasi terminato
il ponte, ma allo stesso modo erano lontani dalla Casa di Aslan e dalla
sicurezza delle sentinelle appostate nei dintorni di essa pronte a
segnalare eventuali pericoli. La foresta era troppo silente
perché li potesse avvertire in anticipo e con sicurezza se
arrivava qualcuno di sgradito, secondo il suo giudizio, quindi aveva
smesso di farci affidamento da svariato tempo.
Dhemetrya si era quindi
dovuta spingere fino al limite della foresta, osservando da una piccola
sporgenza sopra una cascata l'accampamento delle truppe di Telmar
cadere progressivamente preda del sonno. Solo le poche torce che si
muovevano nel buio segnalavano i movimenti dei soldati che ne
controllavano il perimetro, qualche frase spezzata dei loro discorsi
portatale da dei soffi di vento: Dhem li aveva ascoltati con quel poco
di interesse che era riuscita a racimolare nel caso potesse trattarsi
di informazioni preziose, ma la sua espressione si era presto mutata in
una smorfia di disgusto mista a noia e disprezzo. I soldati
già pensavano di avere la vittoria in pugno, decantando i
loro piani futuri una volta sconfitte “quelle creature del
demonio inutili anche ad essere esposte come trofei”.
-Dovresti riposare.- constatò Antares, attirando nuovamente
la sua attenzione. Dhem socchiuse la bocca, senza ribattere,
lanciandogli solo una breve occhiata prima di fissare lo sguardo al
cielo scuro ed accorgendosi di aver iniziato a digrignare i denti per
il nervoso che ripensare a quelle frasi le aveva inevitabilmente
portato.
Come osavano...?
Qualche timida stella faceva capolino tra le
nubi sparse, dei fari che provavano a ravvivare con scarso successo
quelle notti particolarmente pesanti.
-Sono stati giorni intensi.-
percepì uno spasmo nella zona del petto che le chiuse la
gola e si costrinse a prendere un profondo respiro. Poteva ancora
rimembrare le emozioni che aveva provato, sentendole vibrare
sottopelle, pronte ad esplodere al minimo cambio d'umore –
segnale inconfondibile di quanto Eve fosse ancora scossa, nonostante
non avesse più ritirato fuori ciò che era
accaduto e preferendo isolarsi nei propri pensieri.
Dhemetrya si
umettò le labbra, cercando di mettere un muro tra il suo
animo e quello di Narnia in cui a sua volta vi veniva riflesso quello
della Pevensie. Era qualcosa di leggero, un legame – Dhem
aveva dovuto ammetterlo a se stessa ingoiando un boccone parecchio
amaro – per niente paragonabile a quello che per millenni
aveva condiviso con sua sorella e i due Narniani, eppure abbastanza
solido da farla rimanere sconvolta ad ogni cambiamento che investiva
l'umore della Pevensie e che rischiava di mischiarsi con i suoi
sentimenti.
Si chiese come facessero Lia e Antares ad essere
così tranquilli quando avrebbero dovuto attingere a quello
stesso bacino di emozioni e magia.
Chiuse per brevi attimi gli occhi,
espirando pesantemente, e riposandoli poi sul Narniano per scrutarne il
volto.
No, c'era qualcosa nel
modo in cui era seduto, nelle braccia
tese e l'espressione impassibile...
Antares era sempre stato bravo a
nascondere ciò che provava dietro una leggerezza palesemente
esagerata e dei silenzi troppo alti da poter essere superati. Era stato
così fin dai tempi che furono, da quando Ahislyn li aveva
abbandonati e quella sorta di maledizione era ricaduta su lui e Lia
relegandoli a forma animale – perché senza la
presenza della Guardiana le Guide, gli elementi che dovevano fungere da
madre e padre, non avevano motivo di esistere...
Quanti muri aveva
retto Antares, trasformando in cenere quello che provava, per farle da
spalla sicura in cui andare a rifugiarsi, quando Narnia era in balia
del gelo sempre più inespugnabile e il dolore per la perdita
della sorella la mangiava viva?
Dhemetrya si rese conto, con una fitta
al cuore, di quanto dolore la circondasse da secoli. Cosa avevano fatto
per meritarsi delle sofferenze simili?
Provando dolore, dolore, dolore,
solo dolore.
Cos'era rimasto di bello nella sua esistenza, se nemmeno
ne capiva più la ragione dietro essa?
-Sai...-
iniziò, e nel giro di un battito di ciglia si
ritrovò gli occhi del ragazzo puntati addosso. Nel profondo
delle sue iridi di un nocciola talmente chiaro che ricordava l'oro, le
parve di vedere il fuoco che lo animava riversarsi all'interno della
pupilla.
Piccole pagliuzze che
scintillavano e scoppiettavano come le
fiamme di un falò.
Dhemetrya restò qualche attimo
a fissarlo, la bocca semiaperta in un'espressione di puro stupore. Le
sembrò di essere ricatapultata a millenni prima, quando ogni
fibra di loro stessi ricordava l'animo elementale da cui avevano avuto
origine. Allungò le braccia prendendogli una mano tra le
proprie. La trovò calda, esattamente come ricordava, e si
sorprese di come gli occhi le diventarono lucidi senza preavviso quando
si rese conto, tra le ombre della notte, che la sua espressione si era
addolcita, avvolgendole il cuore con lo stesso calore del fuoco da cui
era nato e che le era sempre rimasto accanto come lo spirito
protettore che era.
-Nonostante le circostanze... è bello
rivedervi.-
***
-Quindi... mi
spiegate?- Eve si sedette appoggiando la schiena al tronco del grande
albero che fino a pochi istanti prima aveva sorretto Dhemetrya,
sentendo una fitta di dolore partire dalla caviglia che la Narniana le
aveva bendato dopo averci messo dell'unguento. Qualche escoriazione le
bruciava e faceva fatica a muovere alcune dita delle mani, respirare le
dava delle lievi coltellate e la consapevolezza di non essere
totalmente padrona del proprio corpo e la sensazione di
vulnerabilità che ciò le provocava non la faceva
stare tranquilla.
Dubitava di riuscire a tenere in mano una spada, in
quelle condizioni, figurarsi sostenere una battaglia contro dei
soldati.
Per ironia, tutto ciò le ricordava le conseguenze
di un paio di battaglie particolarmente tediose che si erano ritrovati
ad affrontare durante il loro regno. Un po' come la guerra che sentiva
essere iniziata giusto un paio di giorni prima, i nemici invisibili del
tradimento e del dolore che continuavano a pungolarla affondando senza
sosta lì dove sapevano si trovasse il suo punto debole. Il
cuore.
Sospirò profondamente, cercando di non fare caso alla
pesantezza delle palpebre e la lentezza con cui il suo corpo
eseguì il semplice gesto di mettersi seduta. Si sentiva
spossata. Totalmente svuotata di ogni energia. Piangere e rimuginare
guardando il vuoto erano state le uniche cose che aveva fatto in quelle
ore ed aveva la sensazione che non fosse ancora finita, sentiva
l'istinto che molte volte l'aveva guidata sussurrarle che un'ombra
scura troneggiava su di lei, come una catastrofe che ancora deve
prendere vita.
Occhieggiò i dintorni velocemente, posando
poi nuovamente l'attenzione sulle tre figure che le si erano
avvicinate. Dal basso della sua visuale indagò ancora per
qualche secondo sui corpi di Lia e Antares.
-Solo se la smetti di
guardarci male.- ironizzò il secondo, alzando un
sopracciglio. Lia gli diede una gomitata nelle costole a cui il
Narniano volutamente non si sottrasse, limitandosi a lanciarle
un'occhiata per nulla turbato.
-Scusatemi, avete ragione... solo
che...- Eve abbassò lo sguardo per un breve momento,
rilasciando un grosso sospiro e stringendosi nelle spalle per cercare
di darsi un conforto che non provava davvero.
-Cercate di capire.-
mormorò, studiandoli di sott'occhio. Era tutto
così inspiegabile. Narnia era sempre stata magica, strana ed
incredibile nel suo modo di essere praticamente unico, un
connubio perfetto tra elementi reali e fantasiosi che nel
mondo in cui era cresciuta erano trattati solo nei libri. Non era
quindi illogico che degli animali potessero trasformarsi in esseri
umani – o il contrario? Ma nei quindici anni di regno un
evento simile non era mai capitato, ed era sicura che se fosse stato un
evento abitudinario l'avrebbe scoperto durante quel periodo. Come le
Naiadi, o le Driadi.
Ma questo era diverso.
La mente metodica di Eve
iniziò a ragionare, alienandosi dalla realtà.
C'era quindi da supporre la possibilità che non fosse,
forse, una particolarità diffusa in Narnia
– e quello spiegava come mai né a lei
né ai suoi fratelli fosse mai giunta voce o fossero stati
testimoni di qualunque cosa fosse successa a Lia e Antares, negli anni
in cui erano Sovrani. Si, era piuttosto sicura che tutti gli animali
parlassero, ma nessuno aveva mai detto potessero prendere sembianze
umane.
Forse c'entrava il discorso delle Guardiane?
Strinse la mascella
a quel pensiero tanto da sentire i denti scricchiolare. In quel caso
era tutta un'altra storia. Una storia di cui faceva parte e di cui non
conosceva assolutamente nulla. Cercò di non fare caso a come
le mancasse il fiato ogni volta che tornava con i propri pensieri su
quell'argomento.
E se invece i suoi fratelli le avessero nascosto anche
quello?
Eve assottigliò gli occhi, mordendosi un labbro
finché non lo percepì pizzicare per l'irritazione
che si stava procurando con quel gesto. Era un'ipotesi che non aveva
senso, ma quante cose potevano averle tenuto segrete?
-È
normale se ti senti spaesata.- la rassicurò Lia, pacata,
percependo i dubbi di Eve insinuarsi tra loro. La Pevensie
sospirò nuovamente, fissandola profondamente per una
manciata di secondi imprimendosi meglio che poteva l'espressione
pacifica che aveva nello sguardo.
-Ammetto di non capire come sia
possibile.- Era stanca di non sapere. Di non capire. Le sembrava che il
mondo si fosse improvvisamente capovolto facendola cadere in un
universo parallelo. Ogni fibra di se stessa si tendeva e gridava per
avere giustizia per quello che considerava un enorme torto alla sua
persona.
Chi era lei? Evelyn Pevensie – o non più
Pevensie? O mai stata Pevensie?
Le scappò un mezzo ghigno
isterico a quel pensiero. E come se non fosse bastato l'aver scoperto
di essere stata praticamente adottata da un altro mondo, c'era anche la
questione Edmund. ù
Evelyn non capiva cosa provasse, un miscuglio di
rabbia e mancanza, fiducia ed orgoglio feriti che puntualmente la
trascinavano nell'oblio della solitudine e della tristezza. Mandarlo
via era stata la cosa più naturale che le fosse venuta fare,
perché era arrabbiata, tremendamente arrabbiata e delusa, e
tutto ciò che desiderava era proteggersi dal dolore che
sentiva inciderle il cuore, mettendo più distanza possibile
tra lei e uno dei motivi delle sue sofferenze.
Nemmeno il labile
ricordo del loro bacio aveva avuto il potere di ammorbidirla
– in realtà, aveva fatto finta non fosse mai
successo nulla, perché se oltre a tutto aggiungeva anche il
dettaglio del bacio con Edmund, e Peter che li aveva visti, e tutto
quello che ne era scaturito... Tutto era nato per uno stupido bacio.
Quello che nella sua testa aveva sempre immaginato e sognato, non
dovendosi mai preoccupare delle conseguenze.
Edmund...
Eve si
sfiorò inconsapevolmente le labbra, percependo gli occhi
pizzicare e una morsa allo stomaco. Difendersi dalle emozioni che la
stavano travolgendo l'aveva fatta scattare prima ancora di pensare a
tutto ciò che quel gesto avrebbe comportato.
E se Ed non le
avesse più voluto parlare? Se non fosse più
tornato, per lei, decidendo che fosse tempo perso, che era meglio
provare a rabbonire Peter e le sorelle? Perché lei non era
mai stata veramente parte di quella famiglia – Eve sapeva che
in fondo non era vero, che probabilmente se non fosse successo nulla
non avrebbe mai sospettano niente, ma l'orgoglio ferito era troppo
forte in quel momento perché potesse ignorarlo.
Ed era stata
una mossa codarda, andarsene senza dare a nessuno la
possibilità di spiegare.
Ma la rabbia, la delusione,
l'incredulità, il senso di vuoto, tutto le si era appeso
addosso, infiltrandosi come veleno, e lei... lei era semplicemente
scappata, perché sentiva che ne stava venendo avvelenata. Se
le fosse stato possibile, avrebbe voluto arrivare nella parte
più recondita di Narnia senza guardarsi più
indietro, fermare il tempo e cadere in un sonno lungo dei secoli.
Era
incazzata, incazzata nera con ognuno di loro e il ricordo di
ciò che aveva sentito le faceva venire voglia di spaccare
qualunque cosa le capitasse a tiro – ma il pensiero di essere
improvvisamente sola, e di aver allontanato l'unica persona che aveva
provato a parlarle, l'unica che nel profondo sapeva avrebbe potuto
aiutarla ad alleviare tutti i sentimenti negativi, che le era sempre
stata vicino, iniziava a pesare terribilmente.
Perché, a
quanto pareva, condividevano lo stesso peccato...
Evelyn
sentì una punta di incertezza far vacillare lo scudo di
malumore e rancore che la stava accompagnando da quella fatidica sera,
così come ogni volta che si trattava di Edmund si ritrovava
a provare delle emozioni contrastanti, il peso dei suoi sentimenti che
inevitabilmente le offuscava i giudizi.
Se con gli altri riusciva ad
arrabbiarsi per molto tempo, se voleva isolarsi perché non
necessitava la vicinanza di nessuno, con Ed la sua testardaggine non
riusciva fare presa: in qualche modo finiva sempre per cedere,
sconfitta dalla necessità di volerlo sentire vicino per
quanto poteva, piegata dalla sensazione della mancanza che finiva per
toglierle il fiato. Edmund era il suo punto debole, ma anche colui che
le aveva sempre dato la forza necessaria per andare avanti. E l'aveva
mandato via, ritrovandosi completamente sola. Ad affrontare qualcosa di
cui non conosceva praticamente nulla se non ciò che le
stavano raccontando quelli che, a tutti gli effetti, erano praticamente
degli sconosciuti.
Poteva andare peggio? Era abbastanza sicura di no.
Amava Edmund. Da anni. E amava i suoi fratelli, in un modo che qualcuno
avrebbe potuto definire quasi morboso. Eppure le avevano nascosto forse
la cosa più importante della sua vita.
Perché?
Perché farle vivere una menzogna?
Evelyn si prese la testa
fra le mani, massaggiandosi le tempie per cercare di non perdere il
poco di lucidità che era riuscita a raccattare. Si
concentrò sul proprio respiro per evitare che le emozioni
prendessero nuovamente il sopravvento sulla sua mente.
Forse c'era un
motivo. Evelyn ammise a se stessa che sapeva che tra di loro ognuno
voleva il bene dell'altro. Erano sempre stati così. Non
avevano mai avuto altri se non loro stessi, erano scappati dalla
guerra, avevano combattuto battaglie, avevano rischiato di perdersi a
causa di Jadis, condividevano l'aver vissuto in un mondo tutto loro, un
racconto che ad orecchie esterne gli avrebbe fatto guadagnare un posto
eterno in manicomio.
In una parte nel profondo del cuore ancora
dolente, Eve era consapevole che non le avrebbero tenuto nascosto
qualcosa così alla leggera, perché probabilmente
anche lei avrebbe fatto lo stesso se il rischio di dire la
verità era troppo grande e rischiava di mandare all'aria la
sua famiglia. Ma era un pensiero così debole,
così leggero e veloce, da venire irrimediabilmente annegato
da tutto il resto, una voce soffocata senza possibilità di
appello.
Evelyn si stropicciò gli occhi, stanca di tutti
quei pensieri che iniziavano a farle pulsare la testa già
appesantita. Sentendosi praticamente divisa in più
pezzettini tra i sentimenti che si alternavano dentro di lei come onde
che si annientano tra loro alzò gli occhi verso i tre
Narniani che le stavano di fronte, consapevole di dover prendere una
decisione.
Un passo alla volta, un tassello alla volta
Fu dalla
scintilla che le aveva animato lo sguardo per un breve istante che Lia
capì le intenzioni della Pevensie. Si sedette nel prato,
anticipando qualsiasi domanda.
-Cosa vuoi sapere?- L'erba le
solleticò le gambe nude e si beò di quella
sensazione che per troppi anni le era mancata. I fili erbosi tra le
mani, il vento che spirava lungo la schiena dandole la pelle d'oca, i
capelli che le solleticavano le braccia... poteva sentire quei pochi
rimasugli di magia provenire da ogni singola cellula che le stava
attorno in modo nettamente migliore, in forma umana, per quanto deboli
e solitari fossero.
Dhemetrya saltò su un ramo, sentendosi
più a suo agio a controllare i dintorni mano a mano che
calava la notte, rimanendo tuttavia visibile e a portata d'orecchio.
-Siete umani? O animali?- Domandò Eve, indicando i due
Narniani con un cenno del capo. Antares si appoggiò al
tronco, incrociando le braccia al petto nudo e sospirando. La risposta
di Lia, tuttavia, fu qualcosa che nessuno di loro si aspettava.
-Siamo
Narniani.-
Eve storse il naso, osservandola passare il palmo tra gli
steli verdi come se ci stesse giocando, lo sguardo distante. Il
dettaglio della collana che le aveva dato le tornò sotto gli
occhi quando la vide ondeggiare all'altezza dell'incavo dei seni,
riflettendo pigramente la luce della luna. Eve rimase spiazzata qualche
attimo, riflettendo tra sé. Come aveva fatto a non notarla
prima?
-Beh, questo mi sembra scontato.- obbiettò,
grattandosi una guancia e riservandole uno sguardo risentito. Tutti
coloro che abitavano Narnia erano Narniani. Era sempre stato
così, li avevano sempre chiamati in quel modo.
-Perdonami,
forse non mi sono spiegata bene.- la interruppe Lia, tornando a
guardarla. Evelyn la osservò mentre si portava i lunghi
ricchi dietro le spalle per non avere ostacolata la visuale. Gli
smeraldi che aveva al posto degli occhi la piantarono sul posto come se
fosse sotto incantesimo. Anche nelle ombre della notte luccicavano in
modo innaturale, decretando senza dubbi che non erano occhi umani. Come
quando aveva incontrato Dhemetrya la prima volta, gli zaffiri che aveva
per iridi l'avevano ammaliata all'istante, perché era un
colore così innaturale da sembrare finto, eppure... eppure
le comunicavano qualcosa.
Eve trovò i due incontri molto
simili ed ebbe la stessa sensazione di quando, una volta tornata a
Londra, quel mondo non le appartenesse per niente. La sensazione che le
mancasse un pezzo fondamentale per potersi sentire completa, un dolore
pungolante e familiare.
Quindi era lo spirito di Ahislyn dentro di lei
che aveva riconosciuto Lia quando l'aveva incontrata settimane prima?
Era Ahislyn il motivo per cui aveva passato due anni a struggersi per
Narnia, preda della frustrazione non per il Quando come Peter, quanto
piuttosto del Perché?
-Quando dico che siamo Narniani,
intendo dire che siamo nati da Narnia.- la Pevensie scosse la testa,
continuando a non capire dove volesse andare a finire con quel discorso
e domandandosi inevitabilmente quanto di ciò che provava,
quanto della sua persona, fosse influenzato dallo spirito di cui era la
reincarnazione.
-Ti ricordi il discorso sulle Guardiane?- Intervenne
Antares, inginocchiandosi di fronte a lei. Evelyn
indietreggiò con il busto finendo contro il tronco
dell'albero, a disagio per la vicinanza improvvisa e deviando lo
sguardo intenso che le stava rivolgendo. Le sembrava che dal suo corpo
provenisse del leggero calore e cercò in tutti i modi di non
guardargli i pettorali, puntando lo sguardo sul suo viso.
Annuì.
-Le Guardiane nacquero da un elemento, tranne
l'ultima. Scomparvero tutte.- mormorò, non capendo. A
disagio, cercò nuovamente lo sguardo di Lia.
-Forse eri
ancora troppo sconvolta ed è comprensibile. Comunque abbiamo
accennato a delle guide che avevano il compito di alleggerire il peso
di una vita di solitudine.- Eve socchiuse gli occhi, cercando di
ripescare tra i ricordi le informazioni necessarie.
"-La prima Guardiana a
prendere vita fu quella nata dalla Terra. Quando scomparve si
riunì al proprio elemento. La Grande Magia li fece passare
tutti e quattro, ma nessuna di loro fu immune dai problemi e prima o
poi finirono tutte con il fallire, rischiando di mandare Narnia nel
caos. Pensò fosse perché un elemento singolo
fosse instabile per un carico così pesante da sopportare.
Quindi raccolse le essenze di tutti e quattro, reincarnandoli in una
quinta Protettrice.-
-Ma fu inutile. Era una vita di sofferenze, e
avere delle guide vicino non alleviava la solitudine e la sofferenza
che sentivano quelle anime.-"
Le
Guide...
Evelyn
smise di respirare per quelli che le parvero minuti interi, passando lo
sguardo sui volti dei due Narniani di fronte a lei. Attorno sentiva il
silenzio che li circondava diventare sempre più opprimente,
portatore di una verità taciuta per fin troppo tempo e che
faticava a prendere suono.
Deglutì un paio di volte,
percependo un brivido che le diede la pelle d'oca correrle lungo la
schiena. Si tese sul posto, attonita, accorgendosi di essersi persa per
strada dei pezzi di verità che le erano sempre stati davanti
agli occhi.
-Siete voi.- sembrò che nello spiazzo fosse
improvvisamente esplosa una bomba. Tutto le fu improvvisamente
più chiaro: il racconto, i comportamenti, quegli occhi
così innaturali che tanto avevano catturato la sua
attenzione e che sembravano suscitarle delle emozioni che non sentiva
appartenerle.
-Siete le Guide.-
A quella constatazione susseguirono
vari minuti di silenzio: Dhemetrya guardò ostinatamente
verso la foresta, mordicchiandosi le labbra senza il coraggio di
infilarsi in quel discorso. Il solo sentirlo le provocava dei brividi
di emozioni non ben identificate e che avrebbe volentieri affogato
nell'apatia. Antares si grattò il collo, tirando le labbra
in un finto sorriso e avvicinandosi di più a Lia,
ancora inginocchiata di fronte ad Eve. La lupa gli lanciò un
breve sguardo di ringraziamento percependo la sua mano sulla spalla, in
un muto supporto incoraggiante.
Lia sembrava sempre imperscrutabile,
vigile e saggia, la più matura tra tutti loro, salda come la
terra e ben ancorata come gli alberi con le loro radici, riflesso quasi
perfetto dell'elemento che le aveva dato la vita – tuttavia,
qualche volta c'erano i terremoti. Quei minuti erano uno di quei
momenti, ed Antares la conosceva troppo bene per non notarlo.
-Già. Eravamo gli spiriti guida di Ahislyn... e Dhemetrya.-
mormorò la riccia, stirando le labbra in un sorriso che
svanì con la stessa rapidità di un battito d'ali
di farfalla. Per qualche istante, il suo sguardo si
adombrò, mentre si perdeva in una manciata di ricordi che
quel discorso stava inevitabilmente riportando a galla.
Aveva fallito
nel suo compito... non era stata una buona madre.
Lia socchiuse le
palpebre, le lunghe ciglia che con quel gesto s'inumidirono delle
lacrime che le si erano formate agli angoli degli occhi.
Percepì Eve irrigidirsi di fronte a sé e si
costrinse a ricacciare indietro il groppo di sofferenza che le aveva
chiuso la gola.
-Quindi... Dhem non è come voi? Per quello
era già... umana?- domandò la Pevensie,
titubante, cercando la figura della mora tra gli alberi. I suoi occhi
blu catturarono il suo sguardo ed Evelyn intuì si fosse
voltata di scatto dopo quella domanda. La sentirono borbottare qualcosa
di indecifrabile e strizzando gli occhi Evelyn intuì si
fosse nuovamente voltata, dando loro le spalle. Lia e Antares
ridacchiarono.
-No, esatto. In realtà anche noi siamo sempre
stati umani. Ma le prime Guide erano animali.-
La lupa
osservò come Eve stesse ascoltando avidamente ciò
che diceva, le poche frasi che la rendevano partecipe di un mondo che
aveva sempre ignorato che venivano accolte dallo sguardo ridotto a due
fessure indagatrici e la bocca leggermente aperta per lo stupore.
-Quindi... come mai siete diventati... beh...- provò la
Pevensie, non capendo. Se non era una Guida, Dhemetrya era quindi una
Guardiana? Antares sospirò stanco, prendendo il ponte del
naso tra indice e pollice e corrugando la fronte. Percepì lo
sguardo di Lia su di sé.
-Quando Ahislyn è
scomparsa parte del potere di Narnia è sparito con lei.
È complicato da spiegare ma come avrai intuito è
un legame molto particolare, quello tra noi, le Guardiane e Narnia
stessa.- cacciò fuori il ragazzo, muovendosi lentamente
avanti e indietro di fronte alle due ed ottenendo da Eve un cenno del
capo.
Lia si alzò per prendere posto contro la corteccia
dell'albero, approfittando dell'intervento del compagno per calmare le
sensazioni che sentiva scorrerle sottopelle. Stava diventando difficile
riuscire a rimanere neutra con quel discorso, ma Antares era sempre
stato bravo ad essere per tutte loro la luce nei momenti di buio.
-Non
sappiamo bene perché, ma è come se fosse mancato
anche a noi parte di quel potere. O almeno, questa è
l'ipotesi.- Di motivazioni, in realtà, ne avevano ipotizzate
molte: da una sorta di maledizione, per non essere stati in grado di
portare a termine il loro compito, a una cosa più semplice
come il fatto che senza la Guardiana le Guide non avevano senso di
esistere, alla sofferenza di Narnia che in qualche modo doveva
manifestarsi, al semplice scorrere del destino già deciso
prima della loro nascita. Tutte cause papabili e per niente
improponibili.
-Quindi adesso siete tornati normali?
Perché?-
Antares scoccò la lingua contro il
palato, facendo dardeggiare lo sguardo lungo il perimetro dei cespugli,
nervoso. Si osservò poi le mani, stringendole a pugno come
da tempo non avevano potuto fare.
-Probabilmente è colpa
tua.- mormorò, perso nei propri pensieri. Evelyn si
grattò la testa, non capendo, cercando una spiegazione da
parte di Lia e percependo un lieve senso di colpa darle le vertigini.
-Crediamo sia stata colpa di ciò che è successo
l'altra sera. Mi spiace per il modo in cui sei venuta a conoscenza di
tutta questa storia, ma era qualcosa in cui non potevamo intervenire.
Dovevamo attendere che il destino facesse il suo corso, Aslan
è stato chiaro su questo.- La Pevensie si umettò
le labbra, processando quelle parole. Aveva la sensazione che la
Narniana si stesse trattenendo dal raccontarle proprio tutto, ma non
disse nulla – non aveva proprio voglia di discutere,
né di pensare al leone di cui tanto si agognava il ritorno e
che, capì tra la nebbia che le offuscava i ragionamenti, era
la ragione dietro quella situazione di cui ne stavano soffrendo lei e
la sua famiglia.
Continuò ad osservarla, alzando un
sopracciglio per farle capire di continuare quel discorso quando la
vide scrutarla per vari attimi.
-Tutto è stato un grande
shock e la magia e Narnia devono aver risposto a ciò che
stavi provando. Probabilmente tra qualche ora torneremo come prima, non
appena ti sarai calmata.- Lia si sedette a terra, alzando lo sguardo
verso il cielo scuro e trattenendo un sospiro. Quella situazione era
destinata a durare per poco, lo sapeva benissimo. Non c'era nemmeno
bisogno di discuterne con Antares.
Era una gioia passeggera, come lo
era stata quando avevano incontrato la Grande Magia lungo il fiume dopo
lo scontro con Jadis.
Ma per quanto fosse consapevole di meritarselo, per
quanto si fosse adattata alla sua versione lupoide senza lamentarsene
mai, il pensiero di doverci ritornare sotto quella che era praticamente
una costrizione imposta dall'alto le stringeva lo stomaco in una morsa.
Si morse un labbro, socchiudendo gli occhi e tornando ad osservare la
Pevensie, trovandola pensierosa come tutte le volte che l'aveva
guardata in quelle ultime ore. Così giovane, imprigionata in
un qualcosa che le aveva spezzato l'anima e il cuore.
Lia si
rattristò a quel pensiero, empatizzando con la motivazione
che aveva
spinto Dhem ad isolarsi da tutto durante quegli anni.
-Sappiamo che
è molto da capire, ma... non so nemmeno io come spiegarti al
meglio le cose.- mormorò la Narniana, catturando
l'attenzione di Eve. La ragazza le sorrise leggermente, ma negli occhi
non c'era felicità. Solo una profonda stanchezza e un'ultima
questione in sospeso, più un dubbio che una reale domanda.
Era andata ad intuizione e non sapeva se si sarebbe pentita di
ciò che stava per dire, ma la tentazione fu troppo forte per
resisterle.
-Se Dhemetrya non era una Guida, chi era per Ahislyn?-
Nella foresta silente fu come se il tempo si fosse fermato per vari
minuti. Antares si umettò le labbra e Lia si
preparò a rispondere, ma Evelyn si ritrovò a
fissare due occhi blu oceano che inglobarono completamente la sua
attenzione. Con il fiato corto per quella presenza inaspettata e le
mani rigide per la tensione, si rese conto che la punta della lingua
ancora formicolava, dopo che quel nome per anni taciuto le aveva
graffiato la gola per prendere vita, prendere suono proprio da lei.
Dhemetrya la osservò
intensamente con un'espressione indecifrabile, come un cacciatore
studia la sua preda senza tuttavia avere voglia davvero di farle del
male.
-Era mia sorella.-
***
-Vado a dare il cambio
a Lia.- Dhem si alzò in piedi e, senza aspettare una
risposta, scese dall'albero scomparendo in un manciata di secondi nel
sentiero da cui era arrivata poco prima.
Antares poteva ancora sentire
sulla pelle della mano il fresco che gli aveva lasciato il contatto con
i palmi della ragazza. Aveva sempre avuto le mani fredde, Dhemetrya,
gelide come le acque che nascono direttamente dalle fonti
più pure e nascoste delle montagne, e uno spirito
così cristallino da lasciare intravedere qualsiasi
sentimento gli germogliasse all'interno.
Sorrise tristemente,
consapevole che l'acqua pura a cui era sempre stata associata si era
fatta sempre più torbida con il passare del tempo. Dhemetrya
poteva provare a nasconderlo, ma basta davvero poco perché
anche la fonte più limpida venga sporcata.
Antares non si
sarebbe mai sognato di considerarla debole, ma indubbiamente era la
più fragile tra tutti loro, colei che di tutta quella storia
ne aveva risentito di più.
E il legame che condividevano non
mentiva – la sua sofferenza trascinata nei decenni era
qualcosa che l'aveva consumato vivo, tanto quanto la propria. Ricordava
bene i momenti in cui si era sentito spossato, come se avesse
passato giorni insonni, la voglia di chiudere gli occhi per cercare di
cancellare il pungolìo costante all'altezza del cuore. Aveva
provato a fare ciò che riusciva meglio, cercando di
infondere un po' del suo calore per equilibrare il più
possibile quella sofferenza a cui, però, non c'era mai stato
un vero rimedio.
Antares ci aveva provato, ci aveva provato davvero a
tenere insieme i pezzi, ma dubitava che Dhemetrya sarebbe mai tornata
limpida come un tempo e Narnia rigogliosa come millenni prima.
Da quando Ahislyn se n'era andata, da quando Narnia aveva iniziato a
rinchiudersi nel silenzio del gelo perenne, era come se un grande buco
nero fosse nato nei loro spiriti, pronto ad inghiottire tutto
ciò che di buono e positivo potevano provare e riversare su
quella terra che era la loro casa.
La scomparsa della quinta
Protettrice era la prova dell'ennesimo fallimento della Grande Magia.
Perfino lui era la prova di come le cose fossero sbagliate, consapevole
di provare un sentimento di cui non avrebbe dovuto nemmeno sapere
l'esistenza.
Una leggera brezza gli portò sotto il naso
l'odore tipico di selvatico misto ad erba bagnata, un profumo che
sentiva spesso risalire dal terreno dopo un temporale.
Antares
assottigliò gli occhi, puntando lo sguardo sulla vegetazione
da dove proveniva quel misto di aromi che gli annebbiò
l'olfatto, un richiamo a cui non riuscì a resistere e che
trovò particolarmente coincidente con le proprie
riflessioni.
Lia.
La figura della Narniana spuntò al
limitare dei cespugli qualche attimo dopo, il riflesso delle iridi
smeraldine che saettava per sondare i dintorni come lo sguardo di un
predatore. Fu quando lo scorse sopra il ramo che fermò il
girovagare dei suoi occhi, rimanendo ferma a fissarlo come se avesse
trovato la sua preda. Antares sentì un brivido corrergli
lungo la schiena e strinse la presa sulla corteccia su cui era seduto,
risucchiando l'aria e percependo le narici pizzicare per l'odore
fattosi più pungente.
Percepì l'aria diventare
improvvisamente elettrica attorno a loro.
Aveva cercato tutta sera di
non farci caso, ma erano secoli che non la vedeva... eppure, Lia era
proprio come la ricordava. Bella, circondata da quell'alone di distacco
che la rendeva imperscrutabile proprio come il suo sguardo, le movenze
naturali e senza malizia che catturavano inevitabilmente l'attenzione.
Ricordava quando, prima di Jadis, degli esploratori provenienti da sud
provarono a rapirla per cavarle gli occhi e rivenderli
perché secondo loro erano gemme frutto di qualche
incantesimo. Strega,
l'avevano chiamata. Quando era ciò che
di più diverso si potesse definire la sua persona, uno
spirito pacifico che aveva il compito di aiutare la terra a germogliare
assicurandosi che la vita facesse il suo corso.
La osservò restare in piedi a qualche metro
di distanza, ammutolendo di fronte all'evidenza di come la sua figura
si posasse perfettamente con ciò che la circondava, la
presenza leggiadra che si riprendeva una piccola parte del posto a cui
apparteneva. Ne sondò la pelle nuda della vita circondata
dai ricci lunghissimi, i fianchi formosi, i vestiti di emergenza che
indossava che le stavano irritando la pelle dove sfregavano i bordi,
procurandole delle chiazze rossastre, i fili d'erba che le
accarezzavano i piedi nudi come per salutarla.
Balzò
giù con un movimento fluido e le fu davanti nel giro di
pochi secondi.
Lia arrossì sotto il suo sguardo, ritenendolo
particolarmente intenso e fuori luogo, e alzò la testa per
poterlo osservare in viso nonostante la differenza di altezza. Si
costrinse a reprimere i brividi che sentì nascerle lungo le
braccia, evitando volutamente di ascoltare quell'istinto primordiale
che le gridò di come i propri sentimenti nei confronti del
ragazzo fossero ancora vividi nonostante i millenni di separazione.
-Non poss...- Antares la tirò contro di sé
facendole morire ogni protesta, sentendosi immediatamente
più leggero quando, immergendo il naso nei suoi capelli,
percepì il corpo formoso della lupa adattarsi al suo.
-Mi
sei mancata... amore mio.-
***
Era calata la notte sull'accampamento di
Narnia, una pausa dalle attività ormai svolte
quotidianamente ma che i Pevensie avevano aspettato con particolare
impazienza.
Per quanto lo scorrere del tempo fosse sempre stato causa
di preoccupazione e dubbi, dal momento che il confronto con Telmar era
sempre più vicino, quando il sole di quella giornata
particolarmente pallida e fiacca era iniziato a calare lasciando posto
alla sera avevano tirato tutti un sospiro di sollievo. Nessuno di loro
si sentiva in grado di reggere le aspettative dei Narniani nei loro
confronti, ognuno ancora perso nei propri pensieri e tormenti.
Se gli
abitanti di Narnia avessero percepito qualcosa di diverso, la patina di
tensione improvvisamente scesa tra i quattro Sovrani che di punto in
bianco non comunicavano più tra loro, non ne avevano dato
segno, continuando ad addestrarsi sotto la guida pacifica di Caspian
– dimostrando quanto, durante quelle settimane insieme, il
Principe fuggiasco fosse stato effettivamente accettato nonostante le
rimostranze dei primi incontri.
Con la sera settembrina resa ancora
più pungente dalle piogge dei giorni precedenti, Caspian si
strofinò le braccia per cercare di farsi un po' di calore
con il tessuto della casacca, lasciandosi alle spalle gli ultimi fuochi
mentre usciva nella prateria che fronteggiava la Casa di Aslan.
Si era
congedato da Susan, dopo averla aiutata a riporre le armi che stava
ricontrollando e lasciandola davanti alla stanza che utilizzava come
camera provvisoria, intuendo dalle poche sillabe che era riuscito a
strapparle che non fosse propriamente in vena di parlare – e
come darle torto? Caspian l'aveva accompagnata mentre stancamente si
trascinava lungo i cunicoli con la pazienza che solo per altre poche
persone si era ritrovato in grado di avere, osservandone le labbra
screpolate per averle torturate troppo e l'espressione spaesata di chi
è perso nel proprio mondo: solo quando le aveva dato la
buonanotte una volta raggiunta la soglia la Regina aveva alzato lo
sguardo, sbattendo le palpebre sugli occhi circondati da pesanti
occhiaie che non le aveva mai visto addosso e che, per l'ennesima volta
in quella giornata, gli avevano procurato una fitta al cuore.
A Caspian
vedere Susan in quelle condizioni non piaceva per niente. Ma
ciò che gli pesava maggiormente era la consapevolezza di non
poter fare niente per migliorare quella situazione che le dava il
tormento.
Il ragazzo sospirò, ravvivandosi i capelli e
mettendo a fuoco la natura circostante: il cambio turno era appena
stato fatto e scorse dei fauni addentrarsi nel bosco, dei nani
appostati su dei massi rialzati ed era sicuro, inoltre, che se avesse
alzato lo sguardo dietro di sé avrebbe trovato dei minotauri
nella parte più alta del rifugio. Poche torce illuminavano
il perimetro, ma era ancora abbastanza chiaro perché non vi
fosse un buio profondo ed i contorni della vegetazione fossero ancora
visibili con un minimo di sforzo – la differenza con le
giornate estive di pieno agosto, però, iniziava a farsi
sentire.
Caspian ripensò al freddo che l'aveva accolto
appena messo piede all'esterno e l'idea di dover passare l'inverno in
quelle condizioni gli diede un brivido lungo la schiena. Con tutta la
buona volontà, non erano attrezzati per
un'eventualità simile. Dubitava anche che i Telmarini li
avrebbero lasciati andare se si fossero ritirati negli antri
più lontani della foresta, ora che sapevano che le leggende
non facevano più così tanta paura.
Si
addentrò nella radura di qualche passo, sentendo il proprio
corpo abituarsi al cambio di temperatura, cercando di cogliere, tra le
ombre della sera e la calma che lo circondava, l'occasione per provare
a rilassarsi un po' e togliersi di dosso la stanchezza per la giornata
appena passata.
Si morse internamente una guancia, incrociando le
braccia al petto e respirando pesantemente con naso: Peter era stato
inavvicinabile e forse, consapevole di poter dire cose di troppo e non
essere dell'umore, si era isolato per buona parte della giornata,
Edmund e Susan avevano passato buona parte delle ore lontani
dall'accampamento. Solo Lucy era rimasta, cercando di comportarsi il
più naturale possibile, ma era palese che ci fosse qualcosa
che non la lasciava totalmente serena.
Caspian non poteva dire di
conoscerli tutti alla perfezione, ma ci aveva passato insieme ogni
giorno degli ultimi due mesi, ed era abbastanza sicuro di poter intuire
se qualcosa fosse fuori posto – e, dopo il discorso di Susan,
di cose fuori posto ce n'erano parecchie.
La cosa lo preoccupava,
perché per quanto lui potesse essere ormai in armonia con i
Narniani era stata la presenza decisiva dei Re di un tempo a convertire
anche i più restii a partecipare alla rivolta contro Telmar.
Non poteva che sperare che il tutto si risolvesse il prima –
e il più positivamente – possibile.
Facendo
dardeggiare lo sguardo per l'ennesima volta lungo lo spiazzo erboso,
notò una figura seduta sopra dei massi poco lontani.
Caspian
strizzò gli occhi quel tanto che bastava per riconoscere,
nel buio nella sera, la casacca blu scuro di Edmund. Il ragazzo gli
dava le spalle, muovendo la testa di tanto in tanto verso l'alto, forse
per osservare il cielo o perdendosi nei propri pensieri.
Vederlo
lì, solo in mezzo alla radura, ricurvo su se stesso, gli
fece tornare alla mente l'espressione addolorata di Susan.
Prima ancora di essersene reso conto, il Principe
aveva iniziato a muoversi verso la figura del Pevensie che gli stava di
fronte, ignaro della presenza che stava per rompere la sua bolla di
solitudine. Caspian si fermò solo quando gli fu a un paio di
metri di distanza, mordendosi l'interno di una guancia e domandandosi
se effettivamente potesse fare qualcosa, consapevole che, in tutta
quella storia, lui non c'entrava assolutamente nulla.
Socchiuse gli
occhi, guardando dietro di sé la Casa di Aslan, studiandone
i contorni illuminati dalle torce e le sentinelle appostate sulle mura.
Ricordò i Narniani rimasti imprigionati al castello, il
senso di rabbia e disperazione che per giorni lo aveva accompagnato, la
sofferenza sui volti di quella gente per troppo, davvero troppo tempo
maltrattata ed esiliata.
Una scarica di adrenalina gli fece muovere un
ennesimo passo.
Quelli erano affari suoi.
Se poteva anche solo dare una spinta per una eventuale riconciliazione
non si sarebbe tirato indietro. Non
avrebbe permesso che una faida famigliare fosse il motivo della loro
sconfitta, avrebbe provato a fare tutto ciò che poteva per
preservare più vite possibili.
E se ciò voleva dire immischiarsi negli affari dei Re di un
tempo, l'avrebbe fatto ad occhi chiusi. Narnia e i suoi abitanti
avevano estremo bisogno che i
Pevensie tornassero ad organizzare le truppe e le guidassero nella
battaglia contro Telmar, e lui aveva fatto una promessa a quel popolo
che aveva intenzione di mantenere con tutto se stesso.
Ne andava della vita di tutti.
FINALMENTE CE L'HO FATTA!
Allora ragazzi, è davvero passato troppo tempo dall'ultimo
aggiornamento. Sono imperdonabile, come sempre. A mia discolpa, mi
sento di dire che questo è stato il capitolo più
difficile che io abbia mai scritto e gli impegni della vita vera mi
stanno uccidendo (Sono le tre e mezza di notte e ho la sveglia alle
sette, piango).
Davvero, ci sono dietro da marzo, ma aveva preso una piega che mi ha
lasciato un po' perplessa perché, nonostante accada
esattamente ciò che mi ero prefissata, non è
scritto come l'avevo immaginato. L'ho letto e riletto moltissime volte,
cambiato e sistemato, perché comunque non me la sentivo di
cancellarlo totalmente. E' parecchio pesante, tra l'altro,
perché concentrato molto sui pensieri di Lia e Antares, cosa
che fino ad ora non era mai successa.
Spero di portarvi presto il prossimo capitolo e di aver superato questo
blocco che mi era venuto, ma non so darvi delle tempistiche: in ogni
caso, spero che la storia continui a piacervi e posso anticiparvi che
nel prossimo torneranno i Pevensie - ed i Telmarini. La battaglia
finale si avvicina!
Ringrazio chi ha la pazienza di leggermi ancora, chi mi lascia un
pensierino (cercherò di rispondere il prima possibile ma
sono un po' impegnata in questi giorni!)
Love
D. <3
|
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Capitolo 41 *** Cuori a confronto. ***
Narnia's
Spirits
Cuori
a confronto.
Edmund
sospirò, torturandosi le dita delle mani e percependo gli
occhi pizzicare per la secchezza ogni qualvolta sbattesse le palpebre.
Le rare correnti d'aria serale che puntualmente si alzavano per la
pianura Narniana erano abbastanza fredde da graffiargli le guance
pallide e le occhiaie profonde sopra di esse.
Ad uno sguardo esterno,
sembrava un cadavere da poco tornato alla vita a causa di qualche
maledizione.
Non aveva chiuso occhio da quando Evelyn era scappata e il
mal di testa che gli pulsava sotto le tempie stava diventando sempre
più insopportabile. Avrebbe potuto chiedere a Lucy di dargli
una goccia della pozione regalatale da Babbo Natale –
sicuramente lo avrebbe rimesso a nuovo, almeno fisicamente –
ma una parte di sé era convinta che quella sofferenza se la
fosse meritata – e non aveva nessuna intenzione di evitarla.
Il Pevensie sospirò pesantemente, sentendo il macigno che da
ormai più di ventiquattr'ore aveva preso posto nel suo petto
mandargli una fitta di sofferenza. Istintivamente si portò
una mano al cuore, percependo vagamente il profilo di qualche costola
attraverso la casacca, lì poco sotto a dove aveva iniziato a
sentire quello strano fastidio. Forse erano i segni di un infarto? Che
Aslan o chi per lui glielo mandasse in fretta, allora, così
poneva fine a quel dolore e toglieva il disturbo dopo il casino che
aveva combinato e a cui non aveva idea di come porvi rimedio.
Scosse
impercettibilmente la testa, grattandosi i capelli e voltando lo
sguardo in alto, cercando in qualche modo di trovare un conforto in
quella distesa scura che non sembrava intenzionata a rilasciare non
più che una manciata di stelle sul tappeto nero che era
diventato il cielo.
Edmund molte volte vi aveva trovato consolazione,
specialmente quando aveva bisogno di pensare a dei piani mentre era in
guerra e c'era bisogno di qualche mossa inaspettata per vincere o era
lontano da casa con Peter per qualche visita. Pensare che anche Eve
osservasse lo stesso cielo che vedeva lui rendeva la mancanza da Cair
Paravel e dalla sorella un po' più agrodolce e sopportabile.
Evelyn... vedeva anche
lei ciò che vedeva lui in quel momento?
Edmund si
torturò nuovamente le pellicine delle dita, mordendosi il
labbro inferiore senza staccare lo sguardo dal nero. Se ne sentiva
sempre più inglobato e avrebbe desiderato perdervisi dentro
per non tornare più, intrappolato in quel buco oscuro senza
dover più pensare a nulla.
-Posso?-
Il Pevensie
trasalì all'istante senza preoccuparsi minimamente di
nascondere il tremito che gli aveva percorso l'intero corpo per
quell'interruzione, percependo il seme dell'imbarazzo fargli
formicolare la pelle come se fosse stato colto a fare qualcosa che non
doveva. Voltò il busto quel tanto che bastava per osservare
in faccia la presenza che si era intrufolata nella sua bolla di
solitaria autocommiserazione.
-Caspian?- domandò
retoricamente, sbattendo le palpebre ancora in stato confusionale.
Notò in quell'istante che, effettivamente, era da un po' di
tempo che non parlava con il Principe – più
precisamente, dalla serata dei biscotti.
-Scusami, non volevo
spaventarti, ma non pensavo che davvero non mi avessi sentito
arrivare.- mormorò il Telmarino, avvicinandoglisi
maggiormente ed osservando il posto vuoto sul sasso accanto al
Pevensie. Sapeva che il moro era perso nei propri pensieri, ma credeva
che i sensi di guerriero lo avrebbero avvisato che non era
più da solo.
A quanto pareva, invece,
si sbagliava...
Caspian sospirò mentre ripensava anche al modo in cui Susan
non l'aveva visto arrivare al fiume. Era una fortuna che non fossero in
giro per la foresta da soli in quelle condizioni, altrimenti non
immaginava in che guai sarebbero potuti finire, persi in loro stessi da
rischiare di incappare in qualche nemico senza accorgersene.
-Oh...-
Edmund osservò il punto in cui il Principe stava guardando e
in quell'istante si rese conto che stava pazientemente aspettando una
risposta alla sua domanda.
-Siediti pure.- mormorò,
picchiettando la pietra e studiando le mosse del ragazzo. Si
umettò le labbra, non capendo il motivo per cui il Principe
avrebbe dovuto cercare la sua presenza. Sperò non fosse per
fargli qualche discorso, ma aveva la sensazione che, da come si era
posto nei suoi riguardi, dal silenzio protratto che li stava
circondando e la poca capacità di guardarlo in faccia per
più di qualche istante, Caspian sapesse.
Caspian sapeva, ed
Edmund non fu del tutto sorpreso da quella constatazione: dopotutto,
l'aveva visto stare appiccicato a Susan tutto il giorno, andandole
dietro con quello sguardo apprensivo e il volto impensierito non appena
ne aveva occasione. Era facile giungere alle conclusioni.
Edmund
distolse lo sguardo dalla sua figura, tornando ad osservare i propri
piedi giocare con il terreno e sentendo l'angoscia risalirgli lo
stomaco, stringendoglielo in una morsa che diede nuovamente vita a una
fitta allo sterno. Forse avrebbe dovuto prendere qualche erba per fare
una tisana per cercare di rilassarsi...
-Allora... cosa
c'è?- ruppe il silenzio, cercando di concentrarsi su un
eventuale discorso, non sapendo bene come porsi nei confronti del
ragazzo. Il Principe al suo fianco sospirò, dondolando
ritmicamente una gamba e portando le mani poco dietro di sé,
in modo da fare leva sui palmi e sulle braccia per osservare quello
stesso cielo che fino a pochi minuti prima aveva catturato
così tanto la sua attenzione.
-Ho saputo quello che
è successo.- mormorò con tono basso, senza
guardarlo in faccia direttamente ma lanciandogli delle continue
occhiate con la coda dell'occhio. Contrariamente a quanto aveva
pensato, Edmund si limitò ad annuire senza dimostrare
nessuna emozione particolare e il maggiore si ritrovò a
soffocare il dispiacere che vederlo in quelle condizioni gli stava
portando a galla. Però, doveva ricordarsi il motivo per cui
gli era andato a parlare.
-Immaginavo...- gli rispose quello, tirando
le labbra senza tuttavia cambiare espressione. Si grattò gli
occhi per scacciare la pesantezza che percepiva sulle palpebre,
consapevole che tanto non sarebbe riuscito a riposare nemmeno se il suo
corpo avesse implorato pietà.
-Cosa... ? Come... ?-
biascicò Caspian, tendendosi lievemente senza preoccuparsi
di nascondere lo stupore. La lungimiranza del re Giusto lo colse sul
vivo.
Edmund alzò semplicemente le spalle, indicando con un
cenno del capo la casa di Aslan poco dietro di loro prima di osservarlo
palesemente in volto senza alcun segno di imbarazzo.
-Ti ho visto con
Susan.- a quella constatazione il Principe si chiuse nel mutismo per
quelli che gli sembrarono minuti interi. Guardò il volto
scavato di Ed, come nel suo sguardo spento e stanco non vi fosse
nessun segno di accusa di fronte a quella verità che non
riusciva più a celare. Si era innamorato di Susan, e non
riusciva a starle lontano – specialmente se aveva bisogno di
aiuto per non stare sola, o una persona amica con cui sfogarsi.
Caspian
avrebbe fatto tutto il possibile per starle vicino ed Edmund non era
così ottuso da non avere capito la sincerità
dietro le azioni del Principe.
A dire la verità, era grato
della sua presenza, sicuramente più stabile di lui o Peter
in quel momento, a cui era sicuro avrebbero potuto rivolgersi le sue
sorelle per qualsiasi evenienza.
-Beh si, ecco, io...-
mormorò il Telmarino, cercando di riprendersi e cacciare
fuori qualche frase che avesse un senso. S'imbarazzò al
ricordo di come l'aveva seguita nel bosco e decise che, forse, quel
dettaglio fosse meglio tenerlo per sé, prima che il Pevensie
pensasse che aveva qualche inclinazione ossessiva.
-Vi ho sentiti
litigare, poi non siete più stati, come dire... voi stessi.-
si giustificò, non sapendo bene quanto esporsi. Era vero che
voleva mettere una buona parola con tutti per cercare di appianare le
cose, ma allo stesso tempo si rendeva conto di quanto fosse delicata la
situazione e di come, in realtà, lui non avesse
effettivamente nessun diritto d'immischiarsi. Aveva anche voglia di
chiedere dove fosse Evelyn, ma dubitava che sarebbe stato proprio con
Edmund di riuscire a parlare della ragazza.
-Susan mi ha raccontato
cosa è successo. Sappi che non è mia intenzione
giudicarvi.- tagliò corto alla fine, tornando a guardare il
Pevensie dritto negli occhi per riprendere il discorso lasciato in
sospeso. Quello annuì leggermente, infossandosi nelle spalle
e tirando leggermente le labbra in un'espressione rassegnata.
Spostò lo sguardo nuovamente verso il terreno e
sospirò, sentendo la gola seccarsi per il disagio.
-Capisco.
Ti ringrazio per esserle stato vicino.- Ed gli mise una mano sulla
spalla, stringendogliela e inchiodandolo con quegli occhi spiritati che
luccicavano tra le ombre notturne. Ci volle qualche attimo, a Caspian,
per rendersi conto del gesto del Re Giusto nei suoi confronti e della
tacita richiesta impressa nel fondo di quello sguardo fino a pochi
attimi prima completamente vacuo.
Un messaggio che solo due persone che
tengono particolarmente a qualcuno potevano scambiarsi senza bisogno di
parole.
Non lasciarla sola.
Caspian strinse la mascella, posando la
propria mano su quella del moro al suo fianco per cercare di
infondergli un po' di sostegno.
Capiva perché Peter e Susan
fossero rimasti così sconvolti, ma lui veniva da un'epoca
diversa... lui era abituato ai matrimoni tra parenti stretti per
evitare di disperdere il sangue reale e preservare il potere. Era quasi
abitudine. Gli ci era voluto qualche attimo per processare quello che
gli aveva raccontato la Pevensie, ma in cuor suo aveva dovuto ammettere
che non lo trovava poi così strano, una volta abituatosi
all'idea. E poi, non erano parenti di sangue...
-Spero che le cose si
risolvano in fretta tra voi, e che Evelyn ritorni presto.-
mormorò, più a stesso che al Pevensie che aveva
accanto. Saperla dispersa per la foresta da sola gli stringeva il
cuore. Li conosceva solo da un paio di mesi, ma non aveva potuto fare a
meno di affezionarsi a quella bizzarra famiglia, complice forse
l'ammirazione che da sempre provava nei loro confronti quando Cornelius
gli raccontava le leggende.
-Non so se deciderà mai di
perdonarci.-
Di perdonarmi.
Edmund si massaggiò le tempie,
sentendo una fitta alla testa particolarmente pesante dagli un senso di
vertigine e nausea nel ricordare di come lo avesse guardato,
completamente indignata e angosciata, prima di cacciarlo via.
Ripensarsi gli faceva male, terribilmente. Aveva bisogno di stendersi,
ma la spossatezza era più forte di qualsiasi motivazione ad
alzarsi per camminare fino alla Casa di Aslan per riposare. Inoltre,
non era ancora pronto all'ipotesi di incontrare Peter... Sapeva che
prima o poi avrebbe dovuto intavolare nuovamente un discorso con il
fratello, eppure... eppure non aveva il coraggio di andare a cercarlo e
il fatto che Peter stesso si fosse isolato lo aveva, in qualche modo,
tranquillizzato.
Non aveva avuto nemmeno il coraggio di provare a
parlare con Susan, solitamente molto più pacata e riflessiva
del maggiore e incline al dialogo. Ricordava troppo vividamente il modo
sconvolto con cui lo avevano guardato quando aveva confessato
apertamente di essersi innamorato di Evelyn – la malcelata
accusa nascosta dietro l'espressione sconvolta gli si era incisa a
sangue dietro le palpebre.
Sapere di averli delusi pesava come un
macigno che gli faceva affondare il cuore nell'oblio più
profondo e la consapevolezza che sarebbe andato a mettere il dito nella
piaga riprendendo in mano quel discorso lasciato a metà lo
congelava sul posto prima che potesse anche solo provare a fare un
passo in direzione dei fratelli.
-Sono sicura che prima o poi lo
farà...-
Caspian ed Edmund si girarono all'unisono, non
nascondendo la sorpresa di trovarsi a incrociare lo sguardo con la
più piccola di casa Pevensie.
-Lu...- mormorò Ed,
sbattendo le palpebre per scacciare la sensazione di secchezza agli
occhi e i ricordi dei visi dei fratelli che puntualmente gli davano il
tormento.
Lucy li raggiunse in poche falcate, girando intorno
alle rocce e andando a sedersi tra i due ragazzi, lì dove
Caspian aveva avuto l'accortezza di farle spazio in modo che potesse
mettersi vicino al fratello. La Pevensie sospirò
pesantemente, prima di tornare a guardare Edmund direttamente negli
occhi.
-Eve è testona, ma non stupida. Sono sicura che
capirà e tornerà da noi.- disse, inchiodandolo
con lo sguardo. Gli prese una mano tra le proprie, stringendogliela per
dargli un tacito conforto, e si voltò verso Caspian.
-Tu non
credi?- domandò retoricamente, ma il Principe
capì che Lucy non aspettava una vera risposta, quanto
più un supporto per cercare di calmare l'animo del Re
Giusto. Tuttavia, non fu difficile per lui annuire in modo abbastanza
vigoroso: era sicuro anche lui, come aveva detto a Susan, che le cose
si sarebbero sistemate – sperava nel modo più
indolore per tutti.
-Sono convinto che troverete il modo per
chiarirvi.-
Edmund sospirò, stropicciandosi gli occhi con la
mano libera ed infossandosi nelle spalle, sentendosi in difetto: Lu era
sempre buona con tutti, quindi ragionando a mente fredda non si sarebbe
dovuto sorprendere del suo discorso di quella mattina e di come non
l'avesse giudicato, ma non si aspettava la stessa comprensione da
Caspian e quella consapevolezza fu come un balsamo per il suo animo
tormentato. Gli lanciò un'occhiata, sforzandosi di fare un
mezzo sorriso per mostrargli la propria gratitudine.
-Quello che sto
per dire non ti piacerà, Edmund.- interruppe quel momento
Lucy, e i due ragazzi tornarono a fissarla. La Pevensie
osservò il paesaggio che li circondava per qualche secondo,
mordendosi il labbro inferiore prima di alzarsi in piedi per sciogliere
la tensione che le aveva attanagliato le viscere. Respirò
profondamente, facendo qualche passo.
-Cosa?- ebbe il coraggio di
domandare Caspian, dopo aver lanciato uno sguardo ad Edmund e averlo
trovato teso come una corda di violino. Il Pevensie sembrava come
congelato sul posto e per un attimo gli venne il dubbio che non stesse
respirando, lo sguardo nuovamente spiritato fisso sulla sorella che si
muoveva di fronte a loro.
Lu si grattò la nuca, sbattendo le
palpebre sui grandi occhioni e senza preoccuparsi di mostrarsi meno
apprensiva di quello che era. No, ad Edmund non sarebbe piaciuto quello
che stava per dire... ma era una cosa che andava fatta e se nessuno di
loro aveva il coraggio di mettere da parte l'orgoglio, la rabbia ed il
dispiacere allora li avrebbe costretti a farlo.
Odiava vedere i suoi
fratelli in quello stato e voleva che Evelyn tornasse da loro il prima
possibile, e la cosa non sarebbe stata possibile se non iniziavano a
risolvere le cose in qualche modo: solo una volta che sarebbero stati
di nuovo tutti insieme avrebbero potuto discutere e capirsi –
e cercare di far capire ad Eve che non avevano mai avuto cattive
intenzioni nel tenerle nascosta la verità.
A costo di
passare per egoista, per una persona che non rispetta le tempistiche o
i sentimenti altrui, in quel momento non le importava. Rivoleva
indietro la sua famiglia e niente le avrebbe potuto far cambiare idea.
-Bisogna parlare con Peter.-
***
-Non
ho intenzione di
parlare con te.-
Edmund sospirò
pesantemente, sedendosi su una roccia che stava ai piedi dei resti
della tavola di pietra e lanciando uno sguardo sconsolato alla sagoma
del leone scolpita nella roccia. Non era sorpreso per nulla della cosa,
quindi si limitò a stare in silenzio raggomitolandosi in se
stesso più che poteva, consapevole che non avrebbe potuto
dire niente per far cambiare idea al fratello.
Lucy era stata troppo
convincente, con quel suo sguardo da cucciolo abbandonato pieno di
speranza e la convinzione che alla fine Peter avrebbe ceduto vinto
dall'affetto che provava per loro. Forse, quella volta, si era
sbagliata...
-Peter... ti prego.- provò la più piccola,
avvicinandoglisi di qualche passo e mettendogli una mano sul braccio in
modo da farsi guardare e cercando di implorarlo con quello sguardo che,
era sicura, sarebbe riuscito a fare breccia nella corazza che si era
costruito addosso.
Ma l'attenzione del Pevensie era tutta per Edmund,
chino su se stesso con Caspian a qualche passo di distanza. Peter non
aveva nemmeno la voglia di domandare cosa ci facesse lì o
ribadire il concetto che non c'entrava nulla con quella storia, quindi
si limitò a scoccargli un'occhiata ammonitrice a cui il
Telmarino non rispose per quieto vivere
Se gli sguardi avessero avuto
potere di uccidere, chiunque lo conoscesse era sicuro che il Re Supremo
avrebbe combinato un casino, in quelle ore. Per fortuna aveva trovato
un mezzo di sfogo nei manichini con cui si allenavano, unico metodo che
aveva trovato utile per tenere a freno i propri istinti.
Caspian si
umettò le labbra, faticando a trovare negli occhi del
Pevensie traccia di quel ragazzo che con determinazione aveva
organizzato le truppe degli ultimi Narniani e gli aveva tenuto testa
nei primi giorni della loro conoscenza: colui che si trovava davanti
era la figura sconvolta e pregna di rabbia e sdegno di una persona che
non avrebbe accettato nessun'altra opinione al di fuori della propria,
qualcuno che difficilmente avrebbe lasciato andare le proprie ragioni
per amor del prossimo.
Peter era arrabbiato. Molto arrabbiato. Furibondo.
Caspian
si domandò se cercare un dialogo dopo così poco
tempo fosse stata una mossa saggia e fu in qualche modo sollevato di
non avere provato a fare quel passo da solo, perché non
avrebbe saputo come comportarsi. Forse il Pevensie avrebbe avuto
bisogno di più tempo per sbollire.
Però...
Lucy
lo conosceva sicuramente più di lui, e lei stessa la sera
prima aveva proposto di provare a intavolare un discorso, quindi
l'unica cosa che poteva fare era stare a guardare come si mettevano le
cose e sperare che la più piccola dei Sovrani fosse una
motivazione abbastanza forte affinché Peter non perdesse
completamente la pazienza nei loro confronti. In ogni caso, lui sarebbe
stato pronto ad intervenire in caso di problemi... anche se sperava non
ci fossero.
Caspian si osservò intorno, sentendo la tensione
che aleggiava nella stanza appiccicarglisi addosso come una seconda
pelle facendolo rabbrividire internamente.
Immaginò Susan
ancora a letto, ignara di ciò che stava succedendo a pochi
metri di distanza e si sentì in difetto nei suoi confronti.
Era convinto che avrebbe voluto partecipare anche lei a quella
discussione, ma tacitamente avevano tutti deciso che non fosse il caso
di coinvolgerla.
Era ancora troppo sconvolta, e già Peter da
solo era un avversario ostico con cui avere a che fare. Di Susan, che
sicuramente gli avrebbe dato ragione e ne avrebbe condiviso i pensieri,
in quel momento non c'era bisogno.
Così Edmund quella
mattina si era convinto a seguire Lucy nel cercare Peter all'interno
del rifugio, nonostante la controvoglia che provava. Non era riuscito
a dirle di no, forse perché involontariamente la presenza
della sorella fungeva da appiglio di salvataggio da cui trarre la forza
necessaria per provare a fare qualche passo avanti e durante la notte
aveva cercato di raccogliere quel poco di coraggio che aveva trovato
per compiere quel gesto.
Ed si era vergognato profondamente di se
stesso, una volta resosi conto che stava provando a nascondersi dietro
la figura della piccola Pevensie per sentirsi meno solo.
-Peter...-
riprovò Lucy, stringendo maggiormente il braccio del
fratello maggiore. Il biondo strinse la mascella, spostando finalmente
lo sguardo dalla figura del moro alla ragazzina che gli stava di
fronte. Suo malgrado, sospirò, cercando di calmarsi per non
essere troppo brusco nei suoi confronti quando vide l'apprensione con
cui lo stava guardando. Fu una questione di attimi, però,
appena il tempo di rendersi conto di ciò che celava il gesto
di Lu. L'espressione del Pevensie divenne nuovamente imperscrutabile.
-No, Lucy.- fu la lapidaria risposta che le diede, allontanandosi di
qualche passo e costringendola in quel modo a mollare la presa sulla
sua casacca. Peter incrociò le braccia al petto, incapace di
trovare un angolo in cui rilassarsi e sentendosi braccato come un
animale in trappola, mentre lanciava occhiate ai tre che non si erano
mossi dai loro posti e che lo scrutavano con i volti angosciati.
Sapeva
cosa stavano cercando di fare.
L'idea lo indispettì e
sentì la rabbia pervaderlo.
-Mi credete stupido forse?-
domandò retoricamente, sentendo la gola raschiare per
cercare di mantenere un tono di voce pacato. Per quanto si sentisse
implodere, non aveva voglia di allarmare il resto dei Narniani. La
situazione era già abbastanza disastrata da sé.
-Cosa... no, perché?- domandò in un sussurro
Lucy, corrugando le sopracciglia e sbattendo le palpebre perplessa.
Ciò che ottenne da Peter fu solo uno stiramento di labbra e
sentì una punta di disagio pizzicarle la nuca, tuttavia non
si mosse dal proprio posto e continuò a fissare il fratello
dritto negli occhi.
-Lo so cosa state cercando di fare.- disse, e fu
chiaro il veleno dell'accusa intriso in quelle parole.
Edmund
sollevò il viso, racimolando il coraggio necessario per
osservare il fratello in viso. Ciò che vi trovò
fu la stessa maschera di disprezzo e freddezza con cui l'aveva guardato
fin da quando l'aveva visto nel bosco con Evelyn. Difficile sapere
quale fosse l'emozione principale che stesse provando il Pevensie.
Conoscendolo, il suo animo era un maremoto di sentimenti e si
meravigliò di come non lo avesse ancora preso a pugni.
-Vogliamo solo parlare.- riprovò Lucy, catalizzando
l'attenzione del biondo su di sé, ma ottenne solo uno
sguardo indignato. Peter dilatò visibilmente le narici,
aggrottando la fronte ed espirando pesantemente per il nervoso. Strinse
le mani in pugni talmente stretti che le nocche gli sbiancarono e tutti
pensarono che avrebbe finito per rompersele, talmente tanta era la
forza che stava imprimendo in quel gesto.
-Non c'è niente di
cui parlare.- tagliò corto, ostico, voltando le spalle ai
tre interlocutori con cui stava condividendo lo spazio in quella sala
che, improvvisamente, gli sembrò troppo piccola e
soffocante. Si morse
l'interno di una guancia, socchiudendo gli occhi e percependo la
tensione attanagliargli le viscere facendolo tremare da capo a piedi.
Aveva cercato di sfogarsi tutto il giorno... per tutto il santo giorno
aveva accuratamente evitato di entrare in contatto con qualsiasi
persona che potesse fargli perdere la pazienza, si era impegnato a fare
forza su se stesso per restarsene da solo a smaltire la rabbia e
l'indignazione che sentiva ribollirgli nel sangue e a darsi dell'idiota
per aver permesso che Evelyn venisse a conoscenza di quella maledetta
storia di cui ci capiva ancora poco.
Ci aveva provato davvero, Peter, a fare ordine nella confusione che gli
appannava i pensieri per
cercare di trovare un modo che potesse calmarlo riportando la pace nel
suo animo sempre pronto a scattare per qualsiasi evenienza e che
continuava a dargli il tormento perché non c'era
più niente al proprio posto.
Susan era un fantasma, Lucy
aveva girato tra loro come una trottola apprensiva, di Eve non c'era
traccia... ed Edmund, la causa di tutta quella situazione, era venuto a
cercarlo, buttandosi direttamente nella fossa dei leoni.
Peter
s'infossò nelle spalle, digrignando i denti e restando
impalato nel punto in cui era come un chiodo battuto nel legno.
A
malapena riusciva a guardarlo in faccia, in quel momento: ogni volta
che ne incrociava lo sguardo, in ogni frangente in cui ne scorgeva
l'espressione addolorata, non riusciva a fare a meno di sovrapporre
quell'immagine a quella di quel ragazzo che solo diverse ore prima
l'aveva guardato dritto negli occhi dicendogli chiaramente che...
che... Non riusciva nemmeno a pensarlo, Peter.
Non ci riusciva.
L'unica
cosa di cui si preoccupava era il non sapere dove fosse scappata
Evelyn, ma la parte di lui prepotentemente offesa per quello che
considerava un tradimento verso la sua persona faceva si che anche quel
pensiero si assopisse, soffocato dal risentimento. Glielo avevano
tenuto nascosto. Una cosa così importante.
Come avevano
potuto?
-So che non c'entro nulla, ma... forse dovresti ascoltarli.-
Peter si girò con uno scatto così fulmineo che
gli diede le vertigini, tuttavia non gli sfuggì la mano di
Caspian posata sulla spalla del fratello in segno di conforto. I suoi
occhi mandarono scintille per quell'intromissione, tuttavia s'impose un
autocontrollo che non possedeva per non retrocedere di un passo dalla
propria posizione.
Era sicuro che se avesse iniziato a parlare o a
muoversi si sarebbe lasciato trasportare dai sentimenti, e non voleva.
Era arrabbiato, e tanto doveva bastare ai suoi fratelli come
spiegazione per non testare troppo i suoi nervi scoperti.
Tuttavia,
incrociò lo sguardo di Lucy, e tanto bastò per
farlo sospirare di rassegnazione nello scorgere la punta di
determinazione che le luccicava in fondo agli occhi. La
osservò per una manciata di attimi, studiandone il viso
scavato e stanco per la mancanza di sonno. Non era ai livelli di quello
di Edmund, che sembrava molto l'ombra di se stesso, ma era chiaro che
anche lei stesse passando delle brutte nottate.
Spinto da un moto di
pietà nei suoi confronti, con un cenno del capo le fece
intendere che l'avrebbe ascoltata.
Lu socchiuse gli occhi,
trattenendosi dal sorridere e sentendosi immediatamente sollevata per
quella piccola vittoria – se non altro, era un inizio. Capiva
perché Peter fosse così restio all'idea di avere
a che fare con Edmund, in fondo al cuore lo capiva davvero e non
riusciva a fargliene una colpa, ma il suo obbiettivo in quel momento
era solo quello che facessero pace con Evelyn.
-Avanti, parla.-
esortò Peter, stanco di quel silenzio e senza nascondere una
punta di stizza per quell'imboscata in cui si era, suo malgrado,
ritrovato.
-Dobbiamo trovare Eve.- mormorò,
guardandolo dal basso della sua altezza, tuttavia alzò il
mento quanto bastava per fargli intuire quanto fosse seria. Peter emise
un piccolo ghigno, lanciando un'occhiata verso i due ragazzi e
leccandosi le labbra come un predatore di fronte alla preda.
-Mi pare
di aver capito che voglia essere lasciata in pace. Giusto, Ed?-
sputò, lapidario e più velenoso di quanto in
realtà avrebbe voluto essere. Per quanto quella
consapevolezza lo ferisse, dimostrando quanta distanza avesse messo la
Pevensie tra loro, sapere che aveva rifiutato anche la presenza del
fratello preferito in qualche modo lo ammansiva.
Lo considerava il
prezzo che i due dovevano pagare per averlo tenuto all'oscuro di
ciò che stava accadendo sotto il suo tetto.
Edmund
strabuzzò gli occhi, sorpreso, sentendo il cuore fare una
capriola. Quindi sapeva che aveva provato a cercarla? Lo aveva sentito
confidarsi con Lucy quando era tornato?
-Peter!- lo riprese la
più piccola, portandosi le mani alla bocca e sentendosi
offesa lei stessa per la cattiveria con cui il maggiore stava parlando.
Si voltò giusto in tempo per vedere Caspian sussurrare
qualcosa all'orecchio del Giusto, riservando al biondo uno sguardo
palesemente ostile.
-No, ha ragione, Lu.- parlare costò un
grande sforzo, ad Edmund. La voce gli uscì raschiante e gli
mancò il fiato per qualche attimo. Si concentrò a
contare le crepe nel terreno ai suoi piedi.
-Mi ha cacciato via, te
l'ho detto.- mormorò, mordendosi l'interno di una guancia
senza il coraggio di guardare in faccia suoi fratelli.
-È
normale, è arrabbiata.- la giustificò Caspian,
allontanandosi dal moro di qualche passo e cercando di indorare la
pillola. Peter li osservò, trincerato dietro il suo muro di
mutismo, cercando di ignorare la fitta di dispiacere che sentiva
prendere vita mano a mano che osservava i volti dei due fratelli.
-Quindi bisogna andare da lei e spiegarle!- riprovò Lucy,
avvicinandosi alla tavola spezzata e carezzandola con la mano per
cercarvi conforto. Se solo ci fosse stato Aslan... come avrebbe agito?
Cosa avrebbe detto?
-Non è così facile, Lu. Non
credo cambierà idea in tempi brevi.- osservò
Peter. Ci aveva pensato a lungo, in quel paio di giorni. Evelyn era
testarda ed orgogliosa quasi quanto lui, sotto quell'aspetto gli
somigliava terribilmente. Non avrebbe lasciato scorrere quello sgarbo
– quell'immensa
bugia – molto facilmente.
Lucy
iniziò a girare in tondo, sentendo l'ansia crescerle dentro
come le onde sul mare e un brutto presentimento spazzare via tutta la
speranza che fino a quel momento aveva cercato di mantenere viva. Nel
giro di pochi secondi gli occhi le si riempirono di lacrime.
-Però dobbiamo fare qualcosa. Noi dobbiamo spiegarle, e... e
non può rimanere da sola nella fo__foresta, noi siamo la sua
famiglia! E ci sono i Telmarini, ci sarà una gue___-
-Lucy,
calmati, per l'amor di Aslan!- suo malgrado, Peter le fu accanto in
poche falcate e l'avvolse in un abbraccio, abbandonando repentinamente
tutta la facciata di freddezza che aveva continuato a mantenere in quei
minuti e sentendo una coltellata nel petto mano a mano che la vedeva
dare sfogo ai propri pensieri.
Non ce la faceva a vederla in quello
stato.
La sorella gli si aggrappò alla casacca in modo
febbrile, piangendo silenziosamente la frustrazione che aveva sentito
fino a quel momento e provando a calmarsi
concentrandosi sulla mano con aveva iniziato ad accarezzarle la nuca.
Il biondo sentì una nota di senso di colpa attanagliargli il
petto per non aver pensato ai sentimenti delle sorelle, a come quella
situazione doveva aver sconvolto anche loro. Era sicuro che anche Susan
non se la stesse passando bene – e lui, per loro, non c'era
stato.
Che razza di fratello era?
Lanciò uno sguardo ad
Edmund, il quale osservava ansiosamente la figura della Pevensie che
ancora
stringeva tra le braccia. Peter tirò le labbra, sentendo la
bile rimestarsi nello stomaco per la collera che ancora provava nei
suoi confronti, ma riuscì a trattenersi dal dire qualsiasi
cosa per non turbare nuovamente la sorella minore.
-Scusate, mi sono
fatta prendere dalle emozioni.- disse Lucy, dopo qualche minuto. Si
voltò verso Caspian ed Edmund, non rinunciando tuttavia al
calore ed al senso di sicurezza che stare attaccata al petto di Peter
le dava. Aveva gli occhi e le guance arrossate, ma l'ansia che l'aveva
sconvolta poco prima era completamente svanita, mentre sentiva le mani
del Pevensie stringerle le spalle, in un gesto che sapeva di casa e
quotidianità.
-Mi spiace Lu, è colpa mia. Tutto
è partito per causa mia.- mormorò Edmund,
guardandola con imbarazzo da sotto le palpebre pesanti e cercando di
scacciare il senso di colpa che vederla in quello stato gli aveva
provocato. Vide Peter lanciargli un'occhiata palese e Caspian
tossì per dissimulare la tensione che sentì
scaturire da quello scambio di sguardi.
-Non è vero. Avremmo
dovuto essere sinceri anni fa.- obbiettò quella, e
sentì il biondo dietro di lei trattenere il respiro. Gli
strinse una mano per cercare di farlo rilassare.
-In ogni caso, ormai
è andata così. Bisogna pensare a un modo per
risolvere le cose.- prese parola Caspian, prendendo posto su uno dei
massi vicino ad Edmund e lanciando uno sguardo a Peter in cerca di
approvazione. Lucy, contro il suo petto, mosse la testa vigorosamente
in segno affermativo. Tra i quattro calò il silenzio per una
manciata di attimi.
-Prima di andare avanti con questa conversazione,
devo dire una cosa.- disse il Re Supremo, distaccandosi leggermente da
Lucy in modo che anche lei potesse guardarlo in faccia. Le mise una
mano sulla testa e si sforzò di sorriderle per quanto
riuscisse a fare, tuttavia percepì che la sua espressione
era parecchio rigida ed era sicuro di non essere in grado di mascherare
ciò che provava sul serio.
-Per quanto mi scocci ammetterlo,
sono d'accordo sul fatto che dobbiamo convincere Eve a tornare
all'accampamento.- le espressioni di stupore che gli riservarono i tre
dopo quella frase lo indispettirono nel profondo: diavolo, era sua
sorella, parte della sua famiglia. Era ovvio che fosse preoccupato
anche lui su dove fosse e cosa diavolo stesse combinando – e
soprattutto cosa pensasse.
Non sopportava l'idea che li odiasse solo
perché avevano tentato di non far caso a ciò che
aveva detto loro Aslan, provando a continuare la loro vita come se non
fosse mai successo nulla, come una famiglia normale.
-Questo non vuol
dire che vi ho perdonato per... per...- Peter faticava a trovare le
parole adatte per riuscire a esprimere quel concetto che ancora
rifiutava di esporre palesemente. Istintivamente fulminò
Edmund con un'occhiataccia, così come tutte le volte in cui
gli occhi avevano mandato lampi ogni volta che ne aveva scorto la sua
figura sfuggente, e fu chiaro a cosa si stesse riferendo.
-Non l'ho mai
pensato.- disse il fratello cogliendo l'occasione per parlare,
alzandosi in piedi per poter guardare Peter in modo più
ravvicinato.
-Non lo accetterò mai. Non posso e non lo
farò, lo capisci?-
continuò il biondo, incisivo, portandosi le mani al petto
per cercare di allontanare quell'immagine che lo tormentava e tutti i
sentimenti che si portava dietro, un modo ormai spontaneo con il quale
cercava di creare una barriera invisibile che mettesse distanza tra
sé e ciò che gli creava un disturbo.
Il modo in
cui lo stava guardando Edmund lo spezzava dentro, perché si
rendeva conto di quanto quella situazione lo stesse facendo soffrire.
Ma non poteva, non riusciva davvero a provare a conciliare l'idea di
loro due insieme. La sola ipotesi gli faceva mancare il respiro.
-Lo
capisco Peter, davvero. Non preoccuparti.- Edmund si sforzò
di sorridere per quanto riuscisse, sentendo la pelle tirare per lo
sforzo e la secchezza e mettendo a tacere le voci che nella testa e nel
cuore gli urlavano contro per farsi dare ragione, per far sì
che Peter ascoltasse ciò che aveva da dire. Anche se Lucy
era convinta che ci voleva solo un po' di tempo ai fratelli maggiori
per accettare l'idea, il solo aver potuto scambiare delle parole con
lui e il pensiero che, forse, insieme sarebbero riusciti a convincere
Eve a tornare gli bastava per distogliere l'attenzione per qualche
momento da tutto ciò che lo aveva tormentato fino a quel
momento.
Non gli importava se Peter non avrebbe mai compreso. Non
importava. La cosa a cui teneva di più era trovare il modo
per farsi perdonare da Evelyn e saperla in salvo in mezzo a loro.
-Bene, sono felice.- mormorò Lucy,
abbracciando prima l'uno e poi l'altro, sollevata per quella tregua
momentanea.
-Dove si trova?- domandò poi al secondo. Edmund
deglutì, ripensando al percorso che aveva fatto nel fitto
della foresta e cercando di essere il più chiaro possibile
nella spiegazione. Non era complicato arrivarci e la luce del giorno
sicuramente avrebbe aiutato nell'orientamento.
-Non credo sia una buona
idea che io vada, comunque. Sicuramente ascolterà di
più te.- ragionò il moro, pensieroso. Per
quanto l'idea lo ferisse, dovette ammettere a se stesso che Lucy
avrebbe avuto più possibilità.
Eve aveva sempre avuto un debole per la sorella minore.
-Non
può andare da sola nella foresta. Vado con lei.-
obbiettò subito Peter, avvicinandosi, come se in quel modo
potesse proteggerla da eventuali pericoli. Edmund negò con
la testa.
-Come non vuole vedere me... credo non voglia vedere nemmeno
te...- provò a spiegargli, lanciandogli uno sguardo di scuse
ed ottenendo dal maggiore un'espressione improvvisamente ostile. Peter
tirò le labbra, pronto a rispondere e per nulla intenzionato
a lasciare cadere l'argomento o farsi mettere da parte.
-Ha ragione,
non possiamo rischiare di farla arrabbiare di più.-
catalizzò la sua attenzione Lucy, aggrappandosi nuovamente a
una manica per farsi guardare. Il biondo si passò la mano
libera tra i capelli, sospirando pesantemente per niente concorde
all'idea di lasciarla andare da sola nel bosco con il rischio che
incontrasse i Telmarini.
-Posso accompagnarla io.-
-Caspian? Sei
sicuro?-
Il Principe di Telmar si fece più vicino al gruppo
per la prima volta da quando si trovava in quella stanza,
intromettendosi attivamente nella conversazione. Sorrise a Lucy e le
scompigliò i capelli per cercare di sollevarle il morale.
-Sarebbe perfetto. Con Caspian non può arrabbiarsi, non ne
ha motivo.- ragionò la Pevensie, indicandolo ai fratelli.
Edmund e Peter si scambiarono uno sguardo e il moro annuì.
-Per quanto mi scocci ammetterlo, credo sia l'unica soluzione.- ammise
il più grande, arricciando le labbra e distogliendo lo
sguardo più volte per accettare l'idea di doversi mettere da
parte. Fissò lo sguardo su Caspian, in una muta ammonizione.
-Se le succede qualcosa, io...- iniziò, stringendo la
mascella e guardandolo male, non riuscendo a trattenere la parole per
sé.
-Non succederà nulla, tranquillo.-
tentò di rassicurarlo il Telmarino, costringendosi a non
roteare gli occhi al cielo per la scocciatura. Peter non sarebbe mai
cambiato. Quanto ci voleva perché si fidasse completamente
di lui?
-Cosa sta succedendo?-
All'unisono, i quattro si bloccarono,
scambiandosi delle occhiate stralunate e sentendosi punti sul vivo come
se stessero commettendo un reato. Con fatica, Edmund si
sforzò di non cedere all'impulso di abbassare lo sguardo,
puntandolo verso l'entrata della stanza come fecero gli altri.
-Susan!-
esclamò Lucy, ma aggrottò la fronte quando
notò che la sorella era in compagnia di due fauni e
Trumpkin. Sembrava ansiosa. Il cuore della piccola Pevensie ebbe uno
spasmo per l'agitazione che le saettò nelle viscere in modo
improvviso. Fu come se la presenza improvvisa di Sue le avesse fatto
accendere un campanello d'allarme impossibile da spegnere.
Peter e
Caspian si avvicinarono ai nuovi arrivati in poche falcate, intuendo
fosse successo qualcosa e cercando di non fare caso alla muta domanda
che aleggiava silenziosamente nelle occhiate che la Pevensie stava
riservando al biondo e al fratello minore ancora in disparte.
Decisamente, non si aspettava di trovarli tutti insieme... soprattutto
non si aspettava che Peter si sarebbe messo a conversare con Edmund
nella stessa stanza senza rischiare di commettere un omicidio.
Ricordava troppo bene la rabbia che aveva sprigionato quando Evelyn era
scappata e lo conosceva troppo bene per credere che gli fosse passata.
Susan sospirò, scuotendo la testa prima che i pensieri la
tartassassero nuovamente e tornando a concentrarsi. Non c'era tempo da
perdere.
-È successo qualcosa?- domandò il Re,
rivolto a quelle che riconobbe come le sentinelle del turno mattutino.
Era la prima volta che venivano a cercarlo da quando stava
lì, solitamente erano sempre lui o Caspian ad interessarsi
su come procedevano le cose perché non c'era mai stato nulla
da segnalare.
L'istinto gli diceva che si, doveva essere
successo qualcosa, e parte di lui corse con il pensiero ad Eve. Peter
strinse i pugni e trattenne il fiato, teso
come una coda di violino e percependo Lucy ed Edmund avvicinarsi alle
sue spalle per poter ascoltare meglio.
I due Narniani si scambiarono
uno sguardo carico di agitazione che mise i cinque in allerta, tuttavia
fu Trumpkin a parlare, riportandoli alla realtà che stavano
vivendo e di cui sembrava si fossero scordati fino a quel momento. Per
tutti fu come ricevere una doccia gelata in pieno inverno.
-Vostre Maestà... l'esercito di Telmar ha concluso il ponte.-
***
-Non
hai dormito
stanotte?-
Eve si rigirò nella coperta che
le aveva portato Dhemetrya, sbuffando e finendo con il guardare il
soffitto della piccola caverna in cui si erano rifugiati quando aveva
finalmente deciso di rimettersi in piedi e cercare un luogo dove
potersi riprendere e restare riparata dal maltempo. Lo scoppiettare
delle braci le aveva fatto compagnia tutta la notte, tuttavia non era
stato abbastanza perché la cullasse trasportandola nel mondo
dei sogni.
-Non prendevo sonno. Si è notato?-
domandò in un mormorio sommesso, posando un braccio sugli
occhi e sentendo le palpebre pesanti. C'era qualcosa che l'aveva resa
inquieta per tutta la notte, facendola risvegliare più volte
appena iniziava ad addormentarsi.
-Un pochino.- ridacchiò
Dhem, lanciandole uno sguardo veloce e ritrovandosi suo malgrado
vagamente intenerita. Anche se aveva cercato di non farsi sentire,
aveva percepito la tensione ansiosa provenire dalla ragazza per tutte
le ore in cui l'aveva vegliata in rigoroso silenzio.
-Mi dispiace.- fu
la risposta rassegnata che le diede la Pevensie.
-Non fa niente. Cosa
ti ha turbato?- domandò la mora, sedendosi a un paio di
metri di distanza e controllando la punta delle frecce per passare il
tempo mentre aspettava il momento buono per ravvivare il fuoco. Di
notte, ormai, iniziava a fare parecchio freddo. Senza contare la
pioggia dei giorni precedenti che aveva abbassato di parecchio la
temperatura. Erano le prime ore del mattino e il sole iniziava a
rischiarare il cielo, ma preferiva tenere il falò acceso
fino a mattina inoltrata per evitare fregature che il tempo ballerino
di quei giorni avrebbe potuto portare.
-Tutto, io... non ci capisco
più niente. La storia delle Guardiane, chi sono... la
situazione con i miei fratelli. È tutto un casino e mi sento
una trottola che gira senza meta.-
Dhem rischiò di pungersi
e per poco non le scappò il dardo che stava osservando con
cura quasi maniacale. Era la prima volta che Evelyn parlava
così apertamente, e suo malgrado fu contenta che si stesse
confidando proprio con lei. Non si aspettava che avrebbe dato realmente
una risposta alla sua domanda. Si umettò le labbra,
prendendosi del tempo per cercare le parole adatte.
-Non mi sorprende,
non è una situazione facile quella in cui vi siete
cacciati.- osservò, voltandosi suo malgrado verso la
Pevensie senza tuttavia volerla accusare di qualcosa. Eve non la stava
guardando, continuando a stare a pancia in su con un braccio a
schermare gli occhi e parte del viso. La mora poteva solo immaginare
che espressione potesse avere, ma a giudicare da come era stata in quei
giorni intuì che non fosse molto diversa da quella apatica
che aveva mostrato fino a poco prima.
Sospirò, ripensando
alle questioni in sospeso che gravavano tra i Sovrani
dell'Età d'Oro, e fu con sconsolazione che riprese ad
affilare la punta di una freccia secondo lei poco appuntita. Socchiuse
gli occhi lasciandosi cullare dal calore sprigionato dal fuoco,
percependo il tepore delle fiamme riscaldarle la pelle sotto i vestiti
e annidarle una sensazione di pacifica sonnolenza nello stomaco.
Evitò di domandarsi, per l'ennesima volta, il motivo per il
quale quel discorso non avesse potuto farglielo direttamente Aslan ai
tempi dell'incoronazione, allo stesso modo con cui aveva preso da parte
Peter per parlargliene. Era più importante che lo sapesse la
diretta interessata, no?
-Secondo te cosa dovrei fare?- Eve si
puntellò su un gomito e si ritrovò ad osservarla.
Si sistemò su un fianco, incuriosita. Anche senza guardarla
alla Narniana arrivò limpida la nota di interesse intrisa in
quel movimento e come fosse un modo per iniziare a cercare di fare
chiarezza in tutto quel casino.
Forse ci sarebbe voluto molto
più tempo, ma era un inizio.
Tuttavia, per quanto fosse
concorde con Antares sul fatto che avrebbe dovuto provare a
riavvicinarsi ai suoi fratelli, se non altro in vista di quella
battaglia maledetta ormai alle porte, decise di tenere quel pensiero
per sé per evitare di indispettirla ulteriormente.
-Non
posso darti una risposta precisa... devi fare quello che ti senti.-
mormorò, tornando concentrata sul proprio lavoro e restando
volutamente vaga e disinteressata. Le fu chiaro che Eve non fu
soddisfatta della sua risposta da come esalò un sospiro, ma
Dhemetrya non si fece toccare da quel sentimento: era una cosa che
doveva fare da sola. Accettare la storia delle Guardiane, accettare che
i suoi fratelli le avessero mentito, accettare che ora la sua famiglia
era a conoscenza di un sentimento che per anni aveva conservato
gelosamente... era un
percorso che doveva fare da sola.
Nessuno di loro
avrebbe potuto aiutarla, nemmeno le Guide, nonostante l'istinto di
protezione che provavano nei suoi confronti.
-Hai ragione...-
mormorò dopo qualche minuto di silenzio Evelyn, come se solo
in quel momento avesse davvero processato le parole della Narniana. Si
mise seduta, portandosi una mano alle tempie per massaggiarle e
pregando non le venisse un mal di testa a causa del poco riposo. Stanca
di aver perso tempo, si scostò la coperta con un gesto
deciso e si mise in piedi.
Aveva bisogno di prendere aria per cercare
di fare chiarezza nella sua mente. Non le piaceva l'idea di dover
andare a incontrare i suoi fratelli, ma una parte di sé
sapeva che prima o poi sarebbe dovuto succedere per avere le risposte
alle domande che da giorni la tormentavano.
Eve non capiva se si
sentisse più terrorizzata dagli eventuali giudizi che
avrebbero potuto darle per la storia con Edmund o arrabbiata all'idea
di tutto ciò che le avevano tenuto nascosto.
-Dove vai?- le
domandò Dhemetrya, improvvisamente in allerta. La vide
incamminarsi verso l'ingresso della caverna zoppicando leggermente e ne
seguì la figura finché le fu possibile.
-Fuori.-
***
La prima cosa che
percepì Evelyn non appena mise piede fuori
dalla piccola grotta fu l'aria settembrina stuzzicarle la pelle del
viso, dandole una serie di brividi da pelle d'oca lungo le braccia ed
il collo. Socchiuse gli occhi, infastidita dalla luce improvvisa che li
investì e che segnava quella che sicuramente sarebbe stata
una giornata particolarmente serena.
Osservandosi intorno,
notò che in alcuni punti la vegetazione iniziava ad
appassire su se stessa, preparandosi all'arrivo dell'autunno: l'erba
non era più brillante e rigogliosa e alcune foglie sulle
fronde degli alberi che la circondavano iniziavano a mostrare la tipica
sfumatura giallastra che segnava l'arrivo di quella stagione per lei
particolarmente malinconica – ma che sentiva così
tanto, adatta alla sua anima, che non poteva fare a meno di adorarla.
Evelyn sospirò, provando a stiracchiarsi leggermente per
godersi il sole sulla pelle ma percependo subito una fitta al fianco
che la fece immediatamente pentire per quell'idea. Si portò
una mano alla parte dolente, aggrottando le sopracciglia ed
osservandosi le dita attorno al vestito ancora escoriate per la caduta.
Sperò di non avere un aspetto troppo trasandato, ma era
consapevole che fosse una speranza vana.
Si portò una mano
alla fronte, rialzando lo sguardo appena in tempo per scorgere qualcosa
muoversi tra i cespugli. Eve aggrottò le sopracciglia,
paralizzandosi sul posto e seguendo febbrilmente il frusciare degli
arbusti.
-Buongiorno, Evelyn.- anticipò la sua presenza Lia,
uscendo alo scoperto una manciata di attimi dopo. La Pevensie
sospirò pesantemente, percependo la tensione che le aveva
irrigidito il corpo andarsene e guardando la figura della lupa
avvicinarsi seguita da Antares. Aprì la bocca per lo
stupore.
-Siete... tornati animali.- mormorò, prima ancora
di ricambiare il saluto, scorrendo con lo sguardo sulle loro figure. I
due si scambiarono un'occhiata, poi Lia fece un lieve cenno di assenso.
-Si. Sapevamo che era una transizione temporanea.- le
spiegò, andandosi a sedere accanto al grande albero. Lo
avevano sempre saputo, che non sarebbe durata. Era stata una bella
bolla in cui crogiolarsi per qualche ora destinata fin da subito,
però, a scoppiare. Ciò significava che Narnia e
la magia che ancora l'animava si erano assopite nuovamente, riflettendo
l'animo, in quella giornata decisamente più sotto controllo,
della Pevensie.
-Mi dispiace.- mormorò la ragazza, senza
saperne bene il motivo ma sentendosi, per qualche strana ragione che
andava oltre la sua logica, responsabile per quella situazione. Antares
nitrì leggermente, come a simulare una risata.
-Non fartene
un cruccio, non è colpa tua.- disse, ricordandosi di come,
in realtà, la sera prima le avesse detto il contrario. Era
vero che in qualche modo la causa era stata la Pevensie, ma non
intendeva davvero accusarla. Il legame tra Narnia e le Guardiane era
particolare, bastava un niente perché venisse sollecitato e,
probabilmente, tutto ciò che era successo aveva fatto si che
inconsciamente gli spiriti che si portava dietro rispondessero al
dolore che stava provando, cercando conforto nel mondo che aveva dato
loro vita.
Improvvisamente, gli occhi di Lia saettarono verso il
sentiero che s'inoltrava nel bosco. Antares pestò uno
zoccolo a terra, tendendo le orecchie.
-Cosa c'è?-
domandò Eve, percependo la tensione che li aveva avvolti
attanagliarle le viscere.
-Arriva qualcuno.- le mormorò la
lupa, alzandosi e raggiungendola istintivamente. Inconsciamente, Evelyn
le si fece più vicina mentre Antares si mise loro davanti,
schermandole parzialmente. Eve cercò di distinguere
qualcosa, ma
i rami e gli arbusti che s'intricavano tra loro non le permettevano di
vedere oltre una certa distanza.
La lupa tese nuovamente le orecchie,
annusando l'aria, poi si rivolse verso la Pevensie. Si prese qualche
attimo per riflettere.
-È qualcuno di pericoloso?- le
domandò la ragazza, intercettando la sua occhiata e alzando
le sopracciglia, perplessa.
-No.- le disse, sospirando, e la
osservò dritta negli occhi per qualche secondo come se
volesse comunicarle qualcosa solo con lo sguardo. Eve
aggrottò la fronte, cristallizzata nell'agitazione che
quella risposta le aveva provocato e l'espressione di rassegnazione che
vi leggeva in fondo a quel ghiaccio che la Narniana aveva per occhi.
Se
non era un nemico... Istintivamente, tutto il suo corpo si tese,
preparandosi a dare battaglia e non volendo ancora accettare
l'eventualità di quell'incontro.
-Evelyn! Evelyn! Sei qui?-
La Pevensie strabuzzò gli occhi, rilassando le spalle quando
la voce della sorella proveniente dal fitto degli alberi le
colpì i timpani come un tuono. Sembrava... preoccupata? A
Eve nacque un groppo in gola che si costrinse a soffocare prima che le
offuscasse i pensieri che fino a quel momento aveva portato avanti.
-Lucy? Lu!- rispose istintivamente, senza il coraggio di muovere un
passo. Si sporse quel tanto che bastava per avere la visuale
completamente libera sullo spiazzo di erba, sentendo l'aspettativa
montarle dentro senza che potesse fare nulla per fermarla.
-Finalmente
ti ho trovato!- rimarcò Lucy, uscendo finalmente dal bosco
Narniano seguita da Caspian. Eve fissò la figura del
Principe rimanendo interdetta per qualche secondo, faticando a capire
la motivazione dietro la sua presenza – si sarebbe aspettata
Peter, se doveva essere del tutto onesta.
-Ciao.- salutò il
Telmarino, facendo un cenno del capo verso i due Narniani al suo fianco
e seguendo Lucy come un'ombra. La più piccola di casa
Pevensie si osservò intorno, rivolgendo un sorriso verso Lia
ed Antares prima di tornare a guardarla con uno sguardo febbricitante.
La studiò qualche attimo, corrugando le sopracciglia e
sentendo il dispiacere darle una fitta al cuore nel notare le
condizioni pietose in cui riversava il suo viso ancora tumefatto sullo
zigomo e le occhiaie nate dal poco riposo.
La Scaltra storse il naso,
non riuscendo a capire cosa provasse in quel momento la sorella. Le
sembrava sollevata, ma c'era una punta di qualcosa che non riusciva a
definire. In ogni caso, non poté fare a meno di accigliarsi,
tornando sulla difensiva una volta appurata che entrambi stavano bene e
non sembravano essere in pericolo o seguiti da qualcuno.
-Cosa ci fate
qui?- sibilò, e percepì una corrente d'aria
dietro la schiena che le anticipò l'arrivo di Dhemetrya,
attirata dalla tensione che aveva sentito permeare l'atmosfera come una
nebbia soffocante.
-Devi tornare al campo.- disse Lucy, senza il
coraggio di avvicinarsi. Aveva notato il cambiamento di espressione di
Eve e non voleva fare nulla che la mettesse a disagio. Come immaginava,
la Pevensie la fulminò con lo sguardo senza troppe
cerimonie.
-No.- fu la lapidaria risposta che le riservò, e
a Lu parve di percepire l'offesa ed il risentimento che provava
pugnalarla come tanti spilli. Sentì Caspian posarle una mano
sulla spalla, lì come Peter aveva sempre fatto per darle
conforto.
-È davvero importante, Eve. Dovresti tornare.- il
ragazzo si sentì trapassare dall'occhiata furibonda con cui
Evelyn lo guardò come se gli avesse messo a nudo
direttamente l'anima. La vide irrigidirsi, la vena del collo che
iniziava a essere visibile sotto la pelle per la tensione che stava
provando a tenere sotto controllo e che gli ricordò quella
di Peter.
Evelyn sospirò visibilmente, scuotendo la testa e
mordendo a forza un labbro. Come osavano? Come potevano anche solo
pensare di presentarsi lì come se nulla fosse e chiederle di
tornare?
-Quasi quanto era importante non mentirmi, mh?-
sputò fuori, rancorosa. Strinse le mani a pugno varie volte,
percependo le dita tremare per la necessità di sfogarsi con
qualcosa. Non avrebbe ceduto. Inoltre, non aveva ancora fatto pace con
se stessa per poter essere in grado di provare ad ascoltare
ciò che i sui fratelli avevano da dirle.
Prima Edmund, ora
Lucy... non potevano imporle la loro presenza in quel modo. Dovevano
piantarla di decidere per lei.
-Hai ragione ad essere arrabbiata. Ci
dispiace moltissimo, noi... noi credevamo di fare del bene.-
sussurrò Lu, facendo dardeggiare lo sguardo da ogni parte
meno che sul suo viso.
-È tardi per chiedere scusa.-
mormorò Eve, guardandola di sottecchi. La vide mordersi un
labbro a sua volta, sbattendo le palpebre sui grandi occhi lucidi.
-Però è davvero importante che tu torni.-
rimarcò, ed Evelyn sentì il nervoso pervaderla
nuovamente senza che potesse fare qualcosa per fermarlo. Fu come se
fosse stata buttata benzina sulle ceneri di un fuoco non ancora
assopito.
-Perché? Perché ora?! Non vi
è mai importato cosa penso, altrimenti mi avreste raccontato
subito tutta la verità, quindi non venirmi a dire che ora
per voi è importante la mia presenza!- sbottò,
totalmente in preda alla collera, e Lucy sussultò per
quell'accesso di rabbia che non si aspettava le avrebbe riversato
contro.
La più piccola si strinse nelle spalle, sentendosi
ferita e guadagnandosi le occhiate compassionevoli dei tre Narniani che
stavano assistendo alla scena.
-Eve!- la riprese Caspian, parandosi di
fronte alla Regina in un moto di protezione. Trovava ingiusto che
Evelyn si stesse sfogando con Lucy, quando probabilmente quel discorso
avrebbe dovuto farlo a Peter, il primo ad aver saputo di quella storia
e il primo ad aver deciso di tenergliela nascosta per paura delle
conseguenze, e con cui sicuramente avrebbe avuto una discussione
più produttiva.
Evelyn socchiuse gli occhi, ricacciando
indietro le lacrime che sentiva iniziare a farle pizzicare gli occhi e
il groppo in gola che le spezzava il fiato.
-Perché
è così importante che torni? Non potete aspettare
i suoi tempi?- s'intromise Lia, pacata, cercando di capire come mai
fossero tanto ostinati ed intuendo ci fosse qualche ragione dietro quel
comportamento.
Lucy spuntò da dietro la schiena del
Telmarino che l'aveva accompagnata in quella missione che si era
rivelata particolarmente dolorosa, delle lacrime che le rigavano il
volto divenuto improvvisamente pallido: quella visione
s'inchiodò nella mente di Eve come incisa a fuoco e si
vergognò di aver perso la pazienza in quel modo, ma non ebbe
modo di rifletterci troppo perché Caspian attirò
nuovamente la sua attenzione. Era teso e serio come poche volte lo
aveva visto e intuì che dovesse essere successo qualcosa di
grave.
-Perché sono arrivati i Telmarini.-
Buongiorno a tutti :)
Allora, che dire... sono contenta di essere riuscita a portarvi questo
capitolo in tempi decenti. Rispetto al precedente, è stato
decisamente più facile da scrivere ed è anche
abbastanza corposo. In ogni caso, sono in degenza perché due
settimane fa sono stata operata d'urgenza di peritonite, quindi spero
che queste settimane di riposo mi portino abbastanza ispirazione per
continuare questa storia e non farvi aspettare troppo.
Spero anche che le reazioni di Peter, Lucy e Edmund siano capibili: non
hanno fatto pace, semplicemente è un quieto vivere
perché ci sono cose più importanti da affrontare
al momento. Peter è un testone, non abbandonerà
facilmente le proprie posizioni, mentre Lu poverina si è
ritrovata in mezzo a una cosa forse più grande di lei. Come
vi avevo avvisato, le cose da sviscerare erano molte e non sono ancora
del tutto finite, quindi sono stati capitoli con momenti di transizione
che hanno preso molto spazio e che stanno per avere una prima
conclusione in vista della battaglia.
In ogni caso, ringrazio chi continua a leggere e seguire questa storia,
spero di non deludere le vostre aspettative!
Baci
D <3
|
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Capitolo 42 *** Occhi che parlano. ***
Narnia's
Spirits
Occhi
che parlano.
Susan
uscì
dalla Casa di Aslan giusto in tempo per osservare i Narniani che
formavano le fila del loro esercito iniziare a radunarsi nella prateria
di fronte al rifugio, trepidanti di agitazione per l'imminente arrivo
dei Telmarini.
Erano così tanto impegnati a sistemare le loro cose e dare
direttive ai più piccoli che avrebbero dovuto inoltrarsi
nella foresta insieme agli anziani – i primi troppo giovani
per combattere e l'ultima speranza che le loro specie non scomparissero
del tutto, i secondi troppo deboli per poter partecipare e portatori di
esperienza –, che a lei nemmeno fecero caso, mentre vi
passeggiava in mezzo osservandoli iniziare a lavorare come formiche
impazzite sotto le direttive dei comandanti.
Sospirò, la
Pevensie, scuotendo la testa rassegnata e pensando che quella era
proprio la reazione che lei e i suoi fratelli avrebbero voluto evitare.
A nulla era valso il tentativo suo e di Peter di tenerli il
più possibile all'oscuro per cercare di prendere tempo e
iniziare ad ideare un piano da esporre, sicuri che prima o poi
sarebbero sorte delle domande su come avrebbero dovuto agire; i
mormorii sommessi, le occhiate angosciate che si scambiavano le madri e
il continuo osservare con spasmodica attenzione i confini della foresta
da parte delle sentinelle erano i segni inequivocabili che la notizia
che l'esercito di Telmar sarebbe arrivato – sarebbe arrivato
davvero, quel giorno – era diventata di
pubblico dominio, e i
Narniani avevano già iniziato a mettere in pratica
ciò che da tempo era stato deciso: salvare chi non poteva
effettivamente combattere, iniziare ad impugnare le armi ed indossare
le armature per essere pronti ad ogni evenienza.
Sue si
umettò le labbra, socchiudendo gli occhi per la luce del
sole ed appoggiandosi a peso morto sopra una delle tante rocce che
formavano il rifugio. Non poté impedire al proprio sguardo
di
soffermarsi nel punto in cui sapeva che erano andati Caspian
e Lucy, seguendo esattamente la direzione che Evelyn aveva preso giorni
addietro.
Percepì le le gambe molli per l'ansia che le era
tornata ad attanagliare le viscere a quel ricordo e non
riuscì a fermare il tremore continuo a cui erano sottoposte
le sue dita.
Come avrebbe fatto a combattere con l'arco se non fosse
più riuscita a tenerle ferme?
Susan fece un respiro
profondo, dardeggiando con lo sguardo assottigliato ed in attenzione
per la radura illuminata dal sole da non più di una manciata
di ore ed aspettandosi di vedere comparire da un momento all'altro le
divise dei soldati di Telmar.
Ancora le ricordava bene dalla notte in
cui avevano provato a prendere possesso del castello di Miraz. La
sensazione di impotenza ed annullamento che i soldati le avevano
provocato quando erano stati circondati dagli arcieri sulle mura era
stato il suo incubo per giorni.
Percependo l'ansia comprimerle il petto
per l'aspettativa che cresceva attorno a lei in modo palpabile,
realizzò di non potersi assolutamente concedere di dubitare
di se stessa in un momento così critico.
Non poteva
permettersi di crollare, di mollare proprio in quel momento, andando ad
alimentare il desiderio di ritornare alla tranquilla vita di Londra che
ogni tanto era venuto a farle visita in quelle notti insonni, solo
perché si ritrovava con il peso di una realtà che
non riusciva a gestire e sentiva scivolarle via dalle mani mano a mano
che il tempo scorreva.
Mancava così poco, ormai, per sapere
quale sarebbe stato il suo destino... il destino di tutti.
L'arco era
parte di lei, le frecce che scagliava il prolungamento delle sue
braccia, l'arma a cui il suo corpo e la sua mente si erano plasmati
crescendo in simbiosi per quindici lunghi anni e che le aveva sempre
permesso di proteggere da lontano i suoi fratelli ed il loro esercito.
Non aveva mai fallito e
non avrebbe di certo iniziato quel giorno.
Cullandosi in quei pensieri, Susan sentì la tensione
allentarsi leggermente, permettendole di tornare a respirare l'aria
frizzante del mattino e riuscendo, per un solo breve attimo, a
ritrovare la sensazione di essere nuovamente nella Narnia che aveva
amato, con le fronde degli alberi danzanti e i suoni dei flauti a
rallegrare il bosco.
L'illusione di essere nuovamente a casa le
sbocciò nel petto e non poté impedirsi di godere
di quell'emozione che, si rese conto, le mancava come l'aria.
Si stava
abituando a Londra, ma mai la sensazione di appartenenza che quel mondo
le aveva sempre donato avrebbe potuto venire eguagliata da qualsiasi
altro posto. Ora che l'aveva lì, che la percepiva addosso
come se facesse parte di lei, desiderava non perderla più.
Avrebbe
pagato oro pur di poter tornare alla vita vissuta nella Narnia di
milletrecento anni prima.
Occhieggiò nuovamente i
dintorni, soffermandosi in particolare sullo stesso punto di poco
prima, quello da dove aveva visto sparire sua sorella e il Principe di
Telmar.
Doveva essere fiduciosa.
Anche se la prospettiva di rivedere
Eve la metteva a disagio, facendole assorbire l'indignazione di Peter
per ciò che aveva visto e che lei poteva solo immaginare
come una spugna, avevano bisogno di tutto l'aiuto possibile: ed Evelyn
in battaglia era brava – forse non possedeva il carisma di
Peter o l'acume di Edmund – ma nessuno poteva negare che
fosse un aiuto prezioso, un alleato che avrebbe fatto il possibile per
coprirti le spalle.
E, dopotutto – Susan si arrese a quel
pensiero sospirando rassegnata tutta la frustrazione che le circolava
in corpo – per lei rimaneva pur sempre sua sorella.
***
-L'esercito
di Telmar
sta arrivando.-
Lucy si scambiò un'occhiata allarmata con
Edmund, mentre nel giro di un paio di falcate Caspian e Peter avevano
già raggiunto i nuovi arrivati appena entrati nella sala
della tavola di pietra.
Per qualche secondo sembrò che
l'atmosfera si fosse come congelata nel tempo, facendo calare un velo
di freddezza nonostante i fuochi che eterni ardevano lungo il perimetro
donando quella particolare sensazione di trovarsi in un ambiente
intimo.
-Davvero?- mormorò infine Edmund, incredulo,
sentendo il battito accelerare per l'agitazione. Non c'era
più tempo da perdere.
Trumpkin si limitò ad
annuire tirando le labbra, serio, lanciandogli uno sguardo che fece
pentire il Pevensie per aver fatto quella domanda, anche se non vi era
accusa nella sua espressione. Era ovvio che fosse vero, non avrebbero
mai scherzato su una cosa simile.
-Quando?- volle sapere Peter,
pratico, facendo distogliere l'attenzione dei fauni e del nano dal
fratello e catalizzandola su di sé: se non avevano terminato
il ponte da troppe ore, forse avevano ancora un po' tempo per
prepararsi prima che tutto l'esercito attraversasse il fiume.
-Questa
mattina presto, Mio Signore. Le prime truppe sono già sulle
nostre sponde.-
Il Pevensie, come tutti i presenti, spostò la
propria attenzione su Glenstorm, arrivato pochi secondi prima ed ancora
sulla soglia.
Aveva mandato delle sentinelle ad osservare a che punto
fosse la costruzione, ma quelle erano tornate prima del solito,
facendogli capire che qualcosa non andava – e non si era
sbagliato. I Telmarini si stavano già preparando per entrare
nella foresta e per evitare di essere scoperte le sentinelle erano
dovute tornare subito al campo. Sospettava, inoltre, che presto alcuni
soldati sarebbero arrivati al limitare del bosco, mandati in
avanscoperta per raccogliere informazioni sulla loro situazione.
Il suo
intervento colpì i Re come un dardo scoccato con feroce
maestria, adombrandogli i visi in un'espressione cupa.
Peter
cercò automaticamente lo sguardo di Caspian a quelle parole,
trovandolo già intento a fissarlo come se si aspettasse quel
gesto: gli indicò la porta con un cenno del capo, lanciando
una veloce occhiata a Lucy, che gli si era affiancata.
-Andate.- si
limitò a dire, distogliendo lo sguardo e sospirando
rassegnato. Non gli piaceva ancora, quell'idea, ma non c'era
più tempo ed era consapevole che se ne sarebbe dovuto fare
una ragione, che fosse d'accordo o meno.
I due si limitarono ad annuire
senza perdersi in chiacchiere, ma quando gli passarono accanto Peter
fermò la sorella prendendola per un polso, ottenendo solo
una stretta di mano ed un cenno di sorriso prima che si divincolasse
dalla presa per raggiungere il Principe di Telmar.
Temeva
l'eventualità che incontrassero l'esercito mentre erano nel
bosco da soli. Non avrebbero avuto scampo.
-Aspettate!- Susan
osservò la scena senza capire, seguendo con gli occhi le
figure dei due immettersi nel corridoio senza darle ascolto. Caspian la
guardò dispiaciuto mentre Lucy li salutò
lasciandosi alle spalle la promessa che sarebbero tornati presto.
Sue
sentì una punta di nervoso risalirle il corpo per non essere
ascoltata. Con un unico movimento si voltò verso il fratello
maggiore, gli occhi che mandavano lampi di rimprovero.
-Andate? Andate
dove?- domandò, con voce strozzata, indicando con un dito
l'uscita. Il volto le si contorse lievemente, dando vita ad
un'espressione angosciata che rese ancora più pallido il
viso già trasudante di stanchezza. Non capiva cosa stava
succedendo ed intuì che la cosa aveva a che fare con il
fatto di averli trovati tutti insieme a confabulare.
Si
sentì offesa per non essere stata resa partecipe di
qualsiasi cosa stessero decidendo senza di lei.
-È pericoloso, Peter! Ci
sono i Telmarini! Peter? Mi stai ascoltando?!- rincarò, come
un martello contro il ferro caldo, sbattendo le mani sulla pietra per
dare enfasi alle sue parole affinché la guardasse. Cosa
avevano in mente? Non avrebbe accettato l'idea che altre persone che
amava si mettessero in pericolo, come già Eve era persa
chissà dove e non sapeva se avrebbero avuto tempo per
cercarla.
I Narniani restarono perplessi per la sorpresa nel vederla
perdere la compostezza che si ostinava sempre a mantenere, tuttavia
Edmund non fu sorpreso della reazione. La sorella era terribile, se
perdeva seriamente la calma.
-Dannazione Sue, lo so!- sbottò
il Pevensie, stanco della pressione che Susan gli stava mettendo
addosso impedendogli di concentrarsi su un piano per non cadere vittime
della guerra.
Perché? Perché non capiva che
avevano altro a cui pensare, in quel momento?
La Pevensie
sussultò per quella rabbia improvvisa che vide gonfiargli le
vene del collo e arrossargli le guance, rimanendo con la bocca
spalancata per vari attimi, incapace di formulare una frase e
continuando a osservare il modo cagnesco con cui il fratello stava
ricambiando il suo sguardo carico di sgomento.
Si riprese,
accigliandosi per quei modi bruschi ed arricciando il naso, in quei
gesti particolari che precedevano sempre l'inizio di una discussione
che avrebbe portato quasi sicuramente ad una litigata. Non avrebbe
accettato di essere ancora messa da parte. Non si sarebbe accontentata
di stare a sentire.
Voleva sapere.
Fece il giro della pietra spezzata
per fronteggiare meglio Peter, e gli occhi ridotti a due fessure
sembrarono essersi oscurati di colpo, prendendo il colore plumbeo del
cielo che li aveva sovrastati i giorni precedenti. Susan
risucchiò l'aria pretendendo da se stessa di non perdere
completamente la pazienza, fumante di una collera che così
poco si adattava alla sua persona sempre controllata.
Era stufa, stufa
che decidesse sempre per tutti.
Se erano finiti in quella situazione
era anche colpa sua, che aveva taciuto convincendoli a stare zitti
– per poi essere il primo a pretendere di sapere sempre tutto
ciò che accadeva.
Susan odiò Peter per un breve
attimo, ritenendolo incoerente e percependo la rabbia per
ciò che la sua impulsività aveva causato farle
tremare le mani dalla voglia di tirargli uno schiaffo pur di sfogare
tutto il tormento a cui era stata sottoposta in quei giorni.
Afferrò i lembi della gonna per trattenersi.
-Stanno
andando a cercare Eve.- Edmund le si avvicinò di qualche
passo, entrando nel suo campo visivo e facendo in modo,
così, che la sorella arrestasse il passo, come se avesse
schiacciato un pulsante di spegnimento. La vide lanciare uno sguardo al
biondo, occhiata a cui il maggiore rispose alzando le sopracciglia come
se ciò che aveva sentito fosse tutta la spiegazione di cui
necessitava per calmarsi, per nulla turbato dalle reazioni della Regina
a cui ormai era abituato.
Susan scoccò la lingua contro il
palato, per nulla soddisfatta, rivolgendo la propria attenzione verso
Edmund, sopprimendo la perplessità che le dava il fatto che
le avesse rivolto la parola per primo, addirittura facendo in modo che
non litigasse con Peter. Le poche volte che l'aveva incrociato aveva
fatto sempre in modo di evitarla, dettaglio che non le era sfuggito e
che l'aveva mortificata, ma di cui non riusciva a fargliene una colpa.
-Cosa hai detto?- domandò, e fu chiaro che pretendeva delle
risposte un po' più articolate di cinque parole mormorate
con indecisione.
Edmund sussultò per l'imbarazzo, sentendo
le guance imporporarsi al pensiero che anche Sue sapeva ed odiando se
stesso per non riuscire a controllare quelle reazioni. Non era proprio
il momento di vergognarsi...
Susan continuò a fissarlo,
mordicchiandosi un labbro per il disagio che sentiva provenire dalla
figura del Giusto e che le stava facendo tendere i nervi, percependo
l'atmosfera farsi pesante. Occhieggiò Peter, trovandolo
preso a parlare con i Narniani, totalmente dimentico della sua presenza
e non si stupì della cosa: dopotutto era pur sempre il Re e
l'esercito necessitava di iniziare a prepararsi, senza contare che se
credeva di avere ragione era sordo a qualsiasi contestazione.
La
Pevensie ripuntò l'attenzione verso Edmund, dopo aver scosso
lievemente la testa, decidendo di cogliere l'occasione per parlarci.
Lo
vide sussultare per quel gesto improvviso che non si aspettava e
abbassare lo sguardo, e Sue sentì una fitta di senso di
colpa attanagliarle le viscere, dandole la sgradevole sensazione di
aver fatto qualcosa di sbagliato. Le diede l'impressione di un animale
messo in gabbia che cerca in ogni modo di scappare.
Povero Ed...
Gli si
avvicinò, cauta, guardandolo per esortarlo a parlare
cercando di addolcire lo sguardo più che poté.
-Caspian e Lucy sono andati a cercare Eve.- le spiegò,
calmo, grattandosi la nuca ed osservandosi intorno per evitare di dover
sostenere il suo sguardo. Sapeva che lei non gli stava domandando nulla
di quello che era successo, ma Edmund non riusciva comunque a sentirsi
in pace con se stesso, percependo l'agitazione pungolarlo poco sotto il
petto.
Il Pevensie socchiuse gli occhi e rilasciò un grosso
sospiro di frustrazione, raccogliendo il coraggio di guardare in faccia
sua sorella almeno per vedere con quale espressione lo stesse
osservando. Contro ogni sua peggiore prospettiva, vi lesse un sollievo
genuino raddolcirle i lineamenti.
-Sanno dove si trova? Per questo
eravate qui?- Susan sembrò rianimata per quelle parole, e
gli occhi le luccicarono per l'aspettativa di rivedere sua sorella e il
conforto nel sapere che non era dispersa come aveva sempre immaginato
nei suoi peggiori incubi. Edmund annuì, mordendosi un
labbro.
-Ho provato... ho provato a parlarci, ma mi ha cacciato via.-
mormorò, ricordando la sensazione di fallimento che l'aveva
investito quando era stato costretto a tornare al rifugio senza aver
potuto concludere nulla come se gli fosse stata incisa addosso.
La
consapevolezza di non essere stato in grado di poter risolvere la
situazione che aveva creato l'aveva tediato vivo per parecchie ore ed
accettare il fatto che Evelyn ce l'avesse a morte anche con lui era
stato un boccone amato con cui imparare a convivere.
-Oh...- Sue si
portò una mano alla bocca, schermando le labbra schiuse per
la sorpresa. Non sapeva che Ed avesse provato a raggiungere Eve... era
stata troppo intenta a piangersi addosso. Ancora una volta, non era
stata in grado di capire ciò che le succedeva intorno.
Stupida, stupida Susan...
Ingoiò il groppo di rimorso che le
bruciava in gola e si avvicinò al fratello ancora di
più, cercando di scacciare ciò che le aveva detto
Peter e percependo il dolore e la solitudine sprigionati dalla sua
figura come se fossero propri: Edmund era bianco come un cadavere, con
la voce roca di chi non riesce a parlare senza rischiare di spezzarsi
sotto il peso delle proprie parole e lo sguardo spiritato di chi sembra
aver visto il proprio peggior nemico.
A Susan ricordava i volti dei
bambini sconvolti dalla paura a causa dei bombardamenti notturni e le
si strinse il cuore per la tristezza nel riportare a galla quei
tormenti subiti.
Cercò di scacciare tutte le sensazioni
sgradevoli che aveva coltivato fino a quel momento.
-Sono certa che non
avrebbe ascoltato nessuno di noi. È una testona, lo sai.-
provò a rassicurarlo, cercando di infondergli un po' di
sollievo esattamente come Caspian aveva fatto con lei. In fondo, non
credeva nemmeno lei a ciò che diceva: Eve era sì
una testona impulsiva, ma ciò non cambiava il fatto che
fossero loro ad essere in torto nei suoi confronti ed avesse tutte le
ragioni del mondo per voler prendere le distanze.
Edmund
sospirò, stanco, percependo le palpebre pesanti per la
stanchezza. Mugugnò un assenso, stropicciandosi gli occhi,
facendo poi dardeggiare lo sguardo su Peter ancora impegnato a dare le
prime direttive ai Comandanti. Non si sforzò di capire cosa
gli stesse comunicando, troppo impegnato a rimuginare.
-Spero solo che
Lu e Caspian facciano in fretta e che accetti di tornare.-
commentò poco dopo, catalizzando l'attenzione di Susan
nuovamente su di sé e sondando la sua espressione con
un'occhiata in tralice.
La sorella rimase in silenzio qualche attimo,
torturandosi le dita delle mani e picchiettando un piede a terra,
nervosa, riflettendo sulle sue parole e percependo il disagio e l'ansia
che Edmund emanava con ogni fibra del suo corpo, il dispiacere
inchiodato in fondo allo sguardo che le dava una fitta al cuore ogni
volta che ne percepiva la presenza.
Avrebbe voluto dirgli che non ce
l'aveva con lui per ciò che era successo, che l'importante
era solo che fossero felici e tornassero uniti come prima, ma non ci
riuscì e preferì tacere, sentendo ancora acerbo
il seme dell'accettazione totale.
-Già...-
***
Susan
si riscosse da
quel ricordo percependo una mano sulla spalla. Sussultò per
la sorpresa, sbattendo la palpebre varie volte e mettendo a fuoco la
figura che le si era affiancata, riconoscendolo non senza una certa
fatica dovuta alla poca attenzione che stava riservando a
ciò che la circondava.
-Sue... ?- la chiamò
Edmund, accorgendosi dello sguardo spaesato che gli stava rivolgendo e
ritraendo la mano, come scottato dal suo stesso gesto.
-Si?-
domandò quella, non capendo il motivo di
quell'intromissione. Era convinta che fosse con Peter per vedere a che
punto fossero con la costruzione di armi, per essere sicuro ce ne
fossero abbastanza per tutti, e che non si sarebbe liberato tanto
presto dal compito di assicurarsi che le prime direttive del Re Supremo
venissero eseguite.
Peter aveva deciso con Glenstorm di far conteggiare
armi e armature, i viveri rimanenti in caso di un eventuale assedio, le
scorte di erbe medicinali per i feriti che ci sarebbero sicuramente
stati... e da quelle poche richieste i Narniani avevano capito che
c'era nell'aria qualcosa di diverso.
Susan sospirò. Non che
avrebbero potuto tenerglielo nascosto per molto...
-Peter chiede se
puoi andare da lui per discutere degli arcieri.- le disse, seguendo con
lo sguardo due minotauri sorpassarlo e raggiungere un gruppo di nani
per dar loro alcune asce. L'aria del mattino gli
schiaffeggiò il viso, dandogli la spiacevole sensazione
della pelle tirata per la troppa secchezza.
Edmund si grattò
una guancia, tornando a guardare Susan, che non aveva ancora parlato.
-Sue?- riprovò, notando come non desse cenni di volersi
spostare. La Pevensie sussultò sul posto, alzandosi di
scatto dal masso su cui stava seduta come punta da uno scorpione.
-Ah
si, si... ora vado.- mormorò, ravvivandosi i capelli ma
lanciando, tuttavia, un ultimo sguardo alla prateria.
-Stavo
controllando... per vedere se tornavano Lucy e Caspian...- si
giustificò, accorgendosi dell'apprensione che adombrava i
lineamenti del volto di Edmund. Il moro annuì, comprendendo
la sua agitazione, cullandosi nella certezza che non fosse l'unico a
nutrire la speranza di vederli ricomparire seguiti dalla figura di
Evelyn.
Si perse ad osservare il cielo azzurro, le chiome degli alberi
smosse dal lieve vento autunnale che davano vita al sibilo
inconfondibile dell'aria che faceva frusciare le foglie tra loro. In
un'altra circostanza, quella sarebbe stata una bella giornata di cui
godere, approfittando dell'ultimo calore estivo sprigionato dal mondo
che ancora tentava di resistere all'arrivo dell'inverno.
-Sai, Ed...-
lo richiamò Susan, rompendo la sua bolla di pensieri e
catalizzando tutta la sua attenzione in una manciata di attimi. La vice
mordersi un labbro e distogliere lo sguardo un paio di volte, in un
chiaro gesto di indecisione.
-Mi dispiace non aver capito che qualcosa
non andava.- borbottò sua sorella, mantenendo un filo di
voce basso per non farsi sentire da orecchie indiscrete e abbassando lo
sguardo sui suoi piedi. Edmund ci mise qualche attimo a recepire il
senso di quelle parole.
-Non che abbia accettato l'idea, o sia
d'accordo... la penso come Peter. Però mi spiace non esservi
stata d'aiuto e che le cose si siano scoperte in questo modo.-
tentò di spiegarsi, senza capire il motivo che l'aveva
spinta a tirare fuori quell'accozzaglia di giustificazioni e scuse che
suonò contorta perfino per lei.
Si malediva per non essere
stata in grado di recepire che qualcosa non andasse, proprio davanti ai
suoi occhi, e si malediva ancora di più per non essere stata
in grado di prendere la decisione di tirare fuori tutta la
verità non appena se ne presentava l'occasione, preferendo
cullarsi nella sua bolla di paradiso ignorando volutamente l'inferno
che avrebbe potuto scatenarsi al di fuori.
Finché con i suoi
fratelli era sempre andato tutto bene il resto non le era mai
importato. Ed era stato un errore enorme.
Era stata superficiale.
-Non
fa nulla. Non credo sarebbe cambiato molto, almeno per me, e conoscendo
Eve sono certo che pensi le stesse cose.- le disse il moro,
avvicinandosi leggermente per poter continuare a mantenere la voce
bassa. Susan corrugò la fronte, non capendo quella risposta.
-Ero convinta che tu e___- iniziò, ma Edmund la interruppe,
reprimendo un sorriso di ilarità prima di scoppiare a
riderle in faccia. Davvero Susan pensava che avessero mentito a tutti
loro volutamente?
-Io ed Evelyn non ci siamo mai avvicinati prima
dell'altra sera. Non avreste mai potuto sapere nulla perché
nemmeno noi sapevamo di essere ricambiati nei nostri sentimenti.
È stata una sorpresa.- le spiegò, e
sperò che capisse che, se avevano taciuto, era
perché fortemente consapevoli delle brutte conseguenze che
confessare quel segreto avrebbe comportato. Non volevano rovinare il
rapporto tra tutti loro, non volevano rischiare di perderli per una
cosa così intima che per molto tempo avevano sempre cercato
di confinare in un cassetto. Se aveva imparato a conoscere
Evelyn bene come credeva, era sicuro che anche lei aveva
avuto quei tipi di pensieri.
Edmund ebbe una fitta al cuore immaginando
quanto tormento doveva aver sopportato, se come aveva intuito provava
qualcosa che fosse anche solo un pizzico del suo sentimento per lei.
Evelyn...
-Io... non so cosa dire, Ed.- confessò Sue,
socchiudendo gli occhi e percependo una grande desolazione annientare
tutto ciò che aveva covato fino a quel momento. Si era
lasciata trasportare troppo dalla rabbia di Peter, senza nemmeno dare
la possibilità ai due di spiegarsi. Rimaneva sempre un
concetto di difficile digestione, qualcosa a cui la sua mente
rispondeva mandando tutto in cortocircuito quando vi ripensava, ma
aveva la sensazione di riuscire ad intuire la motivazione che li aveva
spinti alla segretezza, al perché erano giunti al momento
dello scoppio.
Se trattieni troppo qualcosa, alla fine esplodi. E loro
erano esplosi, attirati inesorabilmente come calamite. Era stata solo
questione di tempo.
Quanto? Quanto tempo in cui lei avrebbe potuto
mostrarsi più attenta nei loro confronti, in cui avrebbe
potuto fungere da appoggio per confidarsi?
Susan sospirò,
non capendo da che parte pendesse il suo giudizio, arrovellandosi la
mente per cercare di rimanere salda sulle convinzioni a cui si era
aggrappata fino a quel momento e che le avevano tolto il sonno e
annebbiato la mente. La convinzione che non sarebbe mai riuscita ad
accettare quella situazione. La convinzione che se fosse stata sincera
fin da subito Evelyn non ce l'avrebbe avuta con loro – e
forse anche quella storia dell'essere innamorati avrebbe avuto una
sfumatura diversa agli occhi di tutti.
La Pevensie si prese la testa
tra le mani, tirandosi alcune ciocche di capelli per la frustrazione.
Edmund le posò entrambe le mani sulle spalle, obbligandola
in quel modo a guardarlo negli occhi.
-Tranquilla, Sue. Non
è colpa tua.- la rassicurò, notando gli occhi
lucidi che tentava di nascondere dietro le palpebre e le guance
arrossate. La sorella sospirò lievemente, lottando contro la
vocina nella sua testa che le gridava di allontanarsi.
Abbracciò Edmund in uno slancio di dispiacere, cercando un
appiglio per sfogare la tristezza che la stava nuovamente investendo
come un treno in corsa e senza capire se quel gesto fosse
più per lei o per il fratello.
-Mi dispiace, mi dispiace...-
mormorò, sconnessa, travolta da tutta la marea di emozioni
che stava provando. La tensione aggiuntasi per la guerra imminente non
aiutava.
Aveva paura, una paura terribile che sarebbero morti senza
riuscire a perdonarsi a vicenda. Non voleva passare gli ultimi istanti
della propria vita con il rimorso di non aver fatto il possibile per
provare a sistemare le cose e con l'angosciante sensazione della rabbia
che le gorgogliava nello stomaco, incapace di provare a trasformarla in
un sentimento più pacifico. Non che improvvisamente fosse
tutto cancellato, ma non voleva nemmeno vivere con la certezza che
avrebbe potuto impegnarsi per provare a reagire in modo differente a
tutto quello.
Tra l'eventualità di dover scegliere tra
rischiare di perdere i suoi fratelli e dover accettare in futuro che
magari si sarebbero amati, era sicura che la prima le avrebbe portato
più dolore. Voleva loro troppo bene per sopportare l'idea di
non vederli più.
Edmund le picchiettò la mano
sulla schiena, cullandosi suo malgrado in quell'abbraccio che sapeva di
casa e sentendosi nuovamente in colpa per ciò che il suo
gesto avventato aveva causato. Non pensava che Susan sarebbe tornata a
parlargli in così poco tempo.
Sorrise tristemente,
nascondendo il viso contro la sua spalla e lasciandosi andare alle
carezze sui capelli ed i mormorii di scuse che Susan gli sussurrava
all'orecchio.
-Andrà tutto bene.-
***
Peter
uscì
dalla casa di Aslan non seppe bene dopo quanto tempo aver ricevuto la
notizia che i Telmarini stavano arrivando, ma rivedere la luce del sole
e l'azzurro del cielo dopo quella che gli era sembrata
un'eternità di tempo passata al buio con la compagnia dei
fuochi, sforzando la vista per colpa della penombra, gli diede
l'impressione di aver ricevuto un secchio di acqua gelida in pieno
viso.
Grazie all'aria fresca e pulita sentì immediatamente
le palpebre perdere il torpore a cui si stavano abbandonando ed i sensi
tornare in allerta, attenti ad ogni particolare di ciò che
gli succedeva attorno.
Si passò una mano tra i capelli arruffati e
bevve avidamente dell'acqua dalla borraccia che portava in vita,
percependo immediatamente il sollievo che gli diede la bevanda scorrere
lungo la gola secca. Gli sembrò di essere un disperso nel
deserto che trova da bere dopo giorni di digiuno.
Percepì in
viso i raggi del sole scaldargli la pelle e chiuse gli occhi,
prendendosi dei secondi per fare in modo che la tensione che sentiva
circolargli in corpo allentasse la sua morsa: non si era ancora fermato
un attimo ed aveva la sensazione di essere stato sballottato in giro
come una trottola, complice l'adrenalina che aveva iniziato a
scorrergli nelle vene rendendolo incapace di fermarsi. Aveva sempre
trovato qualcosa da fare, qualche cosa da controllare o di cui
accertarsi... non voleva tralasciare nulla.
I Narniani erano arrivati
ad un momento di stasi, dopo essersi dati da fare per sistemare le
ultime cose, ed il gruppo di coloro che non avrebbero combattuto aveva
già eseguito l'ordine di mettersi al sicuro.
Peter aveva
convenuto con Edmund e Glenstorm che sfruttassero ogni minuto
disponibile per mettere distanza tra loro ed i nemici, non senza
qualche remora da parte di quelli più inclini a voler
restare: era riuscito a convincerli a partire affidandogli il compito
di proteggere il resto del gruppo – anche se, contro un
esercito, non avrebbero avuto scampo.
Sospirò,
occhieggiando i propri piedi e smuovendo la terra con i calzari,
incapace di stare fermo nonostante la pausa che si era concesso prima
di rischiare di crollare da un momento all'altro: ora non gli rimaneva
che aspettare che Caspian tornasse, in modo da ideare un piano con gli
altri.
Aveva anche già vagliato l'ipotesi che Lucy e il
Telmarino potessero non
tornare in tempo, motivo per cui la sua mente
aveva iniziato a ragionare sulle possibili tattiche con cui avrebbero
potuto affrontare la guerra, ma era un'ipotesi a cui non aveva concesso
di prendere troppo spazio nella sua mente.
Dal momento che Caspian
sicuramente conosceva meglio di tutti loro i Telmarini grazie alla
posizione sociale che aveva ricoperto fino a pochi mesi prima,
sicuramente era a conoscenza anche delle tattiche utilizzate in guerra
– magari non aveva mai combattuto seriamente prima di allora,
ma di sicuro aveva studiato le strategie in vista di un futuro da
condottiero e si era allenato per anni.
Non pensava che sarebbe mai
arrivato a formulare un pensiero simile, Peter, ma dovette ammettere a
se stesso che quel ragazzo era la risorsa più importante che
avevano in quel momento così delicato per non lasciarsi
cogliere impreparati.
Non voleva ripetere l'errore fatto quando aveva
deciso di attaccare il castello.
Non si era ancora perdonato per
quell'eccesso di orgoglio che gli aveva annebbiato i giudizi, facendolo
entrare a gamba tesa in un mondo ormai completamente diverso da come
l'aveva lasciato, andando così incontro ad una strage che,
forse, poteva essere evitata. Il Pevensie sentiva ancora sulle spalle
il peso di tutte quelle vite spezzate e il ricordo dei pianti dei
sopravvissuti era risuonato nelle sue orecchie per giorni.
Narnia si
era evoluta, a suo modo, e con lei i suoi abitanti e coloro al di fuori
dei confini, ed era giunto alla conclusione che avrebbe dovuto imparare
a riscoprire quel mondo esattamente come aveva fatto milletrecento anni
prima, sotto la guida pacifica di Tumnus e dei Castori.
Peter
fissò lo sguardo al cielo, osservando le nuvole scorrere
placide nell'infinita distesa azzurra, ignare del caos che di
lì a poche ore si sarebbe consumato sotto di loro.
Con un ultimo respiro particolarmente profondo decise di tornare all'interno del
rifugio in modo da continuare ciò che aveva lasciato a
metà, ma un movimento a lato della radura lo
bloccò dal dare completamente le spalle al bosco che lo
circondava, attirando completamente il suo sguardo.
Il Pevensie rimase
immobile sulla soglia di pietra, strizzando gli occhi per osservare
meglio, riconoscendo all'istante le figure che si stavano avvicinando
nonostante la luce del sole che gli puntava dritta in faccia.
Caspian e
Lucy.
Non poté impedire alla propria bocca di farsi
secca per l'agitazione nel momento in cui, alle loro spalle, il suo
sguardo dardeggiò febbrilmente, carico di aspettativa,
incontrando nel giro di qualche attimo le sagome di Lia e Dhemetrya,
seguite da quelle che automaticamente capì fossero Antares
con Eve.
Evelyn.
Peter percepì il sollievo prendere il posto
dell'ansia, donandogli la sensazione di una pace statica che in quei
giorni gli era profondamente mancata: la consapevolezza che Eve fosse
tornata, che avesse accettato di rivederli, sapere di averla nuovamente
lì, dove poteva proteggerla in caso di pericoli, gli fece
sfarfallare lo stomaco di una felicità che non si sarebbe
aspettato di provare in modo così viscerale.
Deglutì a vuoto, incapace di fare qualsiasi cosa di diverso
dall'aspettare che il gruppo lo raggiungesse, consapevole di non
riuscire a staccargli gli occhi di dosso e non rendendosi conto di
essere stato raggiunto da Edmund e Susan fino a quando la sorella non
gli mise una mano sulla spalla, invitandolo con un cenno del capo a
seguirli per andare ad accoglierli.
Peter si grattò la nuca,
sentendosi spaesato come un bambino che perde la mamma e non capendo la
motivazione dietro quell'improvviso macigno che sentiva attanagliargli
lo stomaco in una morsa sempre più ferrea.
Aveva paura. Temeva
ciò che a mente fredda avrebbe potuto dire
Evelyn, perché sapeva di avere sbagliato a mentirle.
-Peter?-
lo richiamò Edmund, a un paio di metri di distanza,
riuscendo a controllare a stento la voglia di correre incontro ai nuovi
arrivati sfogando la tensione mordendosi il labbro. Il maggiore dei
Pevensie lo osservò in viso, notando le guance leggermente
imporporate per l'agitazione e frenando l'istinto di dirgli qualcosa a
riguardo quando intercettò l'occhiata truce con cui Susan lo
stava studiando.
Sue lo conosceva abbastanza profondamente da avere
intuito il cambio di emozioni solo dal modo in cui l'aveva visto
tendere il collo e dilatare le narici. Ma non avrebbe accettato che
Peter facesse altre scenate, non in un momento così
delicato.
Fu la prima a dargli le spalle, raccogliendo il coraggio e la
lucidità necessari per compiere quel gesto, iniziando ad
avanzare nella radura. Ingoiò il groppo che sentiva pesarle
in gola e si occhieggiò alle spalle, percependo i fratelli
raggiungerla nel giro di pochi secondi, avidi nel voler sapere come
avessero fatto Lucy e Caspian per farsi ascoltare da Eve e non sapendo
cosa la ragazza provasse nei loro confronti.
Era ancora arrabbiata? O
c'era la minima possibilità che la sua presenza significasse
che era pronta a perdonarli?
Non sapeva cosa aspettarsi, Susan, e nello
spazio sempre più ristretto che la separava dalla sorella
s'immaginò cosa avrebbe potuto dirle in centinaia di modi
diversi, facendo vagare la mente in scenari di ogni tipo.
Sentì Edmund bloccarsi di colpo, trattenendo il
respiro e mugugnando un verso strozzato in gola per la sorpresa.
Sbatté le palpebre varie volte, perplessa, non capendo il
motivo di quella reazione e preoccupandosi della possiblità
che si fosse fatto male contro qualche roccia sporgente.
Si voltò in cerca del viso del
fratello con una muta domanda negli occhi. Lo trovò intento
a fissare davanti a sé, la fronte crucciata e un'ombra ad
oscurargli il viso che fino a pochi istanti prima aveva ripreso un
aspetto più vitale. Susan strabuzzò gli occhi
sentendosi colpita come da un macigno, ed ebbe all'istante la brutta
sensazione che qualcosa non andasse.
Con il corpo teso come se fosse
stato punto da tanti spilli per l'improvvisa sensazione di pericolo che
le aveva fatto venire i brividi, seguì la direzione dello
sguardo di Edmund, ritrovando a specchiarsi nientemeno che direttamente
negli occhi di Eve.
Susan aprì la bocca per parlare,
accorgendosi di avere la gola secca e il fiato corto per l'ansia che le
strinse il cuore in una morsa.
Evelyn, ancora in groppa ad Antares, gli
stava dedicando una delle espressioni più truci che le
avesse mai visto in viso in tutti gli anni passati assieme. La collera
che provava sembrava venire sprigionata da ogni poro, posandosi tra
loro come una patina appiccicosa e impossibile da mandare via.
Una
folata di vento passò tra gli alberi e il fruscio tra le
foglie che ne scaturì andò a riempire il silenzio
con un suono che risultò particolarmente inquietante.
Come se avesse ricevuto una coltellata Sue si rese conto che in quel
lasso di tempo passato lontano dal campo la
Pevensie aveva solo covato ancora più risentimento nei loro
confronti.
Chissà quali pensieri le erano girati in testa
senza che potessero fare qualcosa per farglieli cambiare.
La Regina
chiuse la mani a pugno, conficcandosi le unghie fin dentro la carne per
sfogare la delusione a cui era andata a sbattere contro, rendendosi
conto che, probabilmente, avevano sottovalutato la situazione. Quanto
si erano sbagliati, a pensare che avrebbero finalmente avuto la
possibilità di potersi spiegare...
-Ho saputo che sta per
scoppiare la guerra.- Evelyn fece passare lo sguardo sui visi dei
fratelli, soffermandosi volutamente meno tempo su Edmund e decidendo,
infine, di fronteggiare Peter con la nuova consapevolezza di non essere
solo lei quella in difetto.
Aveva ascoltato Caspian e Lucy senza
potersi impedire che l'ansia per ciò che sarebbe successo di
lì a poco la mangiasse viva, tuttavia durante il tragitto
verso il rifugio aveva cercato di raccattare ogni fibra di freddezza
che sapeva di possedere per non lasciarsi troppo andare ai
sentimentalismi, ricordandosi che era ancora arrabbiata, e che se aveva
deciso di rispondere a quella chiamata era solo per il senso del dovere
radicato a fondo nella sua anima a causa dell'amore che nutriva per
quella terra.
Avrebbe fatto di tutto per non lasciare Narnia in mano ai
Telmarini.
Evelyn sentiva di essere ancora pericolosamente in bilico tra
l'irritazione e la
preoccupazione, e cercava in tutti i modi di conservare la
lucidità necessaria per affrontare quella battaglia a cui
aveva, alla fine, deciso di partecipare nonostante tutto il resto,
cercando di ignorare la disarmante sensazione di sentirsi spezzata a
metà proprio all'altezza del cuore, in un punto profondo
dell'anima che non ne voleva sapere di sanarsi nemmeno un po'.
Lucy
l'aveva pregata di tornare con le lacrime agli occhi, cercando di
scusarsi in ogni modo per ciò che era successo e finendo per
riuscire a farle aprire un minimo quella porta che aveva chiuso senza
possibilità di appello, esortandola a bere un po' della
bevanda che si portava sempre dietro per cercare di guarire le ferite
che ancora le davano dolore.
Aveva sempre avuto un debole, per Lu, e gli
occhioni affranti che non le staccava di dosso e la
sincerità con cui le parlava offrendole il cuore le avevano
smosso qualcosa nel profondo, una fiamma di affetto che non credeva si
sarebbe mai riaccesa. Forse era per quel motivo, sapendo bene quanto le
sue difese fossero nulle nei suoi confronti, che i suoi fratelli
l'avevano mandata a cercarla per cercare di rabbonirla.
Con non poca dubbiosità su come si
sarebbe comportata davanti al resto della famiglia, alla fine Eve aveva
accettato, percependo immediatamente il dolore alla caviglia e il
torpore alle dita passare mentre si alzava in piedi per montare su
Antares.
Si ripeteva da tutto il tempo che aveva deciso di farlo solo per
Narnia,
incapace di accettare il pensiero che in certi momenti la rabbia che
animava i suoi pensieri veniva completamente assorbita dall'amore che
ancora provava per i Pevensie e la voglia di tornare alla
serenità di tutti i giorni. Non le era mai piaciuto avere
conti aperti con qualcuno per troppo tempo.
-I Telmarini hanno terminato il ponte.
Dobbiamo prepararci e pensare ad un piano.- confermò Peter,
pratico, lanciando uno sguardo anche agli altri tre Narniani che
avevano fatto compagnia alla sorella in quei giorni. Il maggiore dei
Pevensie decise che non era tempo per perdersi in chiacchiere. Per
quanto sapeva che a mente fredda avrebbero dovuto sviscerare per bene
la cosa, la cosa più importante in quel momento era uscire
vivi dalla guerra. Altrimenti non avrebbero più potuto
parlare di nulla.
Dhemetrya lo guardò con angoscia,
portandosi una mano al petto, terrorizzata al pensiero di dover
risentire, per l'ennesima volta, la propria terra ed i suoi abitanti
soffrire per il dolore. Sapeva che sarebbe arrivato quel momento, prima
o poi, che il tempo scorreva inclemente e avrebbe dovuto scendere a
patti con il proprio tormento anche quella volta, ma sentirlo dire a
voce era stato come ricevere una doccia ghiacciata.
Si morse un labbro,
cercando il conforto di Lia tramite un'occhiata veloce al suo fianco.
Evelyn scoccò la lingua contro il palato, tirando le labbra
in un'espressione particolarmente cupa che fece congelare i fratelli e
incitando Antares ad avanzare verso la Casa di Aslan.
Dava
l'impressione di comportarsi come una persona che con loro non aveva
mai avuto nulla a che fare prima di quel momento. Fu chiaro che non
volesse perdere tempo parlando con i Pevensie più del
necessario.
-Allora direi che non c'è tempo da perdere.-
***
-No,
no e ancora no.-
Lucy posò una mano sulla spalla di Trumpkin, cercando, con
quel gesto, di confortarlo e farlo ragionare.
-Non mi
succederà niente.- tentò di convincerlo, ma lo
vide corrugare la fronte e guardarla con un'espressione implorante che
mai avrebbe pensato di vedergli in viso. Il nano era sempre stato
piuttosto distaccato, fin da quanto lo avevano salvato, eppure in
quelle settimane si era affezionato a loro più di quanto
pensava. Non avrebbe accettato che colei che gli aveva ridato la vita
la rischiasse a sua volta in una missione praticamente suicida.
-Non
abbiamo già perso troppo?- mormorò, e i Pevensie
capirono che si riferiva a Nicabrik, a cui era stato costretto a
togliere la vita perché vittima di una speranza ormai morta
e lasciatosi influenzare dalla magia nera, all'esercito dimezzato nel
castello di Miraz, alla manciata di sopravvissuti che ancora provavano
a resistere alle persecuzioni perpetrate nei secoli.
Un mormorio
serpeggiò tra i presenti in sala, rompendo il silenzio che
era calato pesante come il calore sprigionato dai fuochi. L'atmosfera
si fece tesa, i dubbi s'insinuarono tra i Narniani, in ansia tanto
quanto i Sovrani.
-È l'unica speranza che abbiamo per
vincere.- s'intromise Peter, scambiandosi uno sguardo con la sorella
minore, il volto rischiarato dalle fiamme dei fuochi che trasudava una
compostezza che cercava di convincersi di provare ad ogni costo. Come
tutte le volte
in cui si trattava di Lucy, non gli piaceva per niente l'idea di
lasciarla andare da sola incontro a possibili pericoli, ma sapeva di
non avere altra scelta.
Lu era l'unica a cui Aslan si era mostrato, la
sua diletta, colei che mai aveva dubitato della sua presenza adorandolo
quasi al pari di una divinità. Se c'era qualcuno che poteva
trovarlo, facendolo tornare per salvare Narnia, era solo lei.
Lucy
Pevensie portava sulle spalle il peso della speranza di un mondo
intero.
-Se posso permettermi, ci sarebbe un modo per prendere tempo.-
Nella sala della tavola di pietra calò nuovamente il
silenzio.
Trumpkin, ancora di fronte alla piccola ragazzina per cercare
di farla desistere con ogni mezzo dall'idea di andare nella foresta per
trovare il leone, si voltò. Il suo sguardo angosciato si
piantò sulla figura di Caspian, trovandolo in piedi vicino a
Peter.
-Cioè?- domandò Edmund, esortandolo a
continuare. Lanciò istintivamente un'occhiata in un angolo
della sala, cercando tra i Narniani presenti la figura di Eve, seduta
su un sasso accanto a Dhem, sondando l'eventuale reazione che il suo
commento avrebbe potuto provocare. La Pevensie non aveva ancora
fiatato, rimanendo
ad ascoltare pazientemente tutto ciò di cui avevano
discusso: del modo in cui avrebbero organizzato l'attacco, l'eventuale
ritirata, la disposizione degli arcieri... fino al fatto che Lucy
sarebbe andata a cercare Aslan.
Edmund era convinto che avrebbe
obiettato, Eve, consapevole di quanto fosse unita alla sorella e di
come si preoccupasse per lei. Invece era rimasta zitta, impassibile e
con gli occhi fissi sulla figura di Peter esattamente come aveva fatto
fin quegli ultimi istanti. Si accorse che la Pevensie
ricambiò il suo sguardo e il moro si affrettò a
distoglierlo, sentendosi troppo imbarazzato ed in colpa per riuscire a
sostenerlo.
Si morse un labbro, a disagio.
Da quando era tornata non
avevano ancora parlato. Edmund moriva dalla voglia di sapere cosa
avesse significato per lei il loro bacio, voleva capire se avesse
intuito giusto, ma sapeva benissimo che quello non era il momento
adatto e si ritrovò a pregare che dopo la guerra avrebbero
avuto tutto il tempo per confrontarsi.
Ingoiò il groppone
che gli bloccava il fiato, cercando di non fare caso al cuore che aveva
iniziato a battere impazzito ed obbligando se stesso a concentrarsi sul
presente, accorgendosi di essersi perso nei propri pensieri.
-Un
combattimento con Miraz?- sussurrò Susan, attirando su di
sé lo sguardo di Caspian, che annuì per
confermare le proprie parole.
-Se Peter è d'accordo,
ovviamente.- tentennò, guardando il Pevensie per cercare la
minima traccia di dubbio nella sua espressione. Non voleva che si
sentisse obbligato a rischiare la vita a causa di una sua idea. Visto
come erano andate le cose l'ultima volta, preferiva di gran lunga che
fossero tutti d'accordo su come agire. Era già abbastanza
critica la situazione tra i vecchi Sovrani, che a malapena riuscivano a
parlare tra loro, non aveva intenzione di far peggiorare la situazione.
-Lo farò.- rispose subito il biondo, stringendo un pugno, e
alle sue parole s'innalzarono altri mormorii per la sala. Alcuni erano
preoccupati dell'eventualità di perdere la figura del Re
Supremo, altri concordarono che era l'unica soluzione papabile per
provare ad evitare spargimenti di sangue inutili.
-Come Re non
può rifiutare, giusto?- continuò, serrando la
mascella e guardando il moro con un sopracciglio sollevato. Caspian
abbassò il capo, in una muta affermazione, cercando poi lo
sguardo di Cornelius come sostegno prima di continuare. Era stato
confrontandosi con il Precettore nei giorni precedenti che si era
ricordato di alcune tradizioni tramandate tra i Sovrani di Telmar.
-Come Re deve rispettare ciò che il popolo si aspetta da
lui.-
Lucy non poté impedirsi di lanciare al fratello
un'occhiata angosciata, preoccupata che si facesse male durante lo
scontro, ma il Pevensie non sembrò curarsi
dell'eventualità di poter perdere la vita. Avrebbe fatto il
possibile per limitare le perdite e chiudere il prima possibile quella
guerra e, se ciò significava che avrebbe dovuto
sacrificarsi, sarebbe stato lieto di accogliere il fato che era stato
scelto per lui ad occhi chiusi.
Lui e soltanto lui.
Non avrebbe
permesso che toccassero la sua famiglia.
Serrò le labbra in
un'espressione decisa e si voltò verso Dhemetrya, ignorando
volutamente di soffermarsi a guardare come avessero preso quella
decisione i suoi fratelli.
-Puoi accompagnare Lucy e Susan?- le chiese,
e la ragazza sussultò per quella richiesta inaspettata.
Sbatté le palpebre un paio di volte, incapace di formulare
una frase, percependo gli occhi dei Narniani fissi sulla sua persona.
Non voleva lasciare Evelyn da sola durante la battaglia...
Lanciò alla Pevensie un'occhiata di sottecchi, cercando di
non far trapelare i propri pensieri.
-Anche io mi sentirei
più tranquilla se andassi con loro.- le mormorò
il soggetto dei propri turbamenti, cogliendola di sorpresa.
Eve si
girò a guardarla, celando in fondo agli occhi la supplica di andare con le sorelle perché, dopotutto, ci teneva
al fatto che fossero al sicuro da eventuali pericoli, anche se in quelle circostanze non avrebbe mai accettato di dare voce a quel pensiero.
Dhem conosceva la
foresta a memoria, aveva vissuto giorno per giorno il cambiamento che
avevano fatto i boschi, era agile e silenziosa come uno spettro e si
sapeva difendere: Peter ci aveva visto lungo domandandole di
accompagnare le Regine ed Evelyn non poté che ritrovarsi
d'accordo con le conclusioni a cui era arrivato. Non potevano fare
altro che fidarsi.
-Si... si, certo.- accettò la Narniana,
ricevendo un sorriso di gratitudine da parte di Lucy. Non sapeva se era
la persona più adatta per accompagnarle a cercare Aslan, ma
se serviva per tenere tranquilla Evelyn lo avrebbe fatto, in ricordo di
un legame che a lei era stato negato secoli addietro.
Decise che si
sarebbe fatta accompagnare da Antares, mentre Lia sarebbe rimasta
accanto a Evelyn, decisamente più utile in guerra rispetto alla Guida relegata
in forma equina.
Si alzò, sistemandosi meglio l'arco in
spalla e avvicinandosi al centro della sala con passo leggero e
ispirando profondamente l'aria tiepida che riscaldava l'ambiente di un
tepore casalingo.
Non sapevano se Miraz avrebbe accettato
effettivamente l'incontro, c'era la possibilità che
rifiutasse di scendere a una trattativa con quelli che considerava
degli scherzi della natura da eliminare ad ogni costo. Ogni secondo era
prezioso.
Si rivolse direttamente a Susan e Lucy, prendendo in mano le
redini di quella piccola missione che le era stata affidata come un
fiore prezioso da proteggere ad ogni costo.
Tutto dipendeva da loro.
-Sarà meglio partire subito.-
Ciao a tutti e ben ritrovati! :)
Capitolo all'apparenza molto semplice e lineare ma in realtà
piuttosto complicato da scrivere: stare dietro alla coerenza delle
reazioni di tutti, dargli il giusto spazio perché non sembri
che abbiano risolto a tarallucci e vino e far proseguire anche la trama
non è così facile come sembra.
Spero di tirare le fila di tutto il discorso in modo abbastanza
decoroso senza dimenticare dettagli e che sia tutto abbastanza chiaro
delle dinamiche che si stanno svolgendo tra i protagonisti. Essendo un
po' tanti sto cercando di farli confrontare tra loro un po' alla volta,
vagliando il punto di vista ed i pensieri di ognuno in base agli eventi
che succedono. Ho provato anche a non perdere troppo tempo su
ciò che già si sa, insomma, lo sappiamo tutti
quale piano creano Peter e gli altri, quindi mi sembrava superfluo
soffermarcisi più del dovuto.
Ringrazio chi continua a leggere, seguire, ricordare, preferire e
commentare, mi fa sempre immensamente piacere!
Spero di portarvi presto un altro capitolo.
Love, D. <3
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