Narnia's Spirits.

di Dhialya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. Narra la Leggenda. ***
Capitolo 2: *** L'alba del giorno dopo. ***
Capitolo 3: *** Il sentimento che supera il tempo. ***
Capitolo 4: *** I ricordi che aleggiano tra le rovine. ***
Capitolo 5: *** Piume bruciate da purezza letale. ***
Capitolo 6: *** Incontri dettati da sogni. ***
Capitolo 7: *** Anime in subbuglio. ***
Capitolo 8: *** Principessa figlia del nulla. ***
Capitolo 9: *** Sempre insieme. Eternamente divisi. ***
Capitolo 10: *** Quello che nel detto - non - viene celato. ***
Capitolo 11: *** Bolle di parole pronte a scoppiare. ***
Capitolo 12: *** Ricordi fatti di margherite. ***
Capitolo 13: *** Sospetti nelle ombre d'un prato. ***
Capitolo 14: *** Increspature dietro occhi piatti. ***
Capitolo 15: *** Voci fuori dal coro di una pecora nera. ***
Capitolo 16: *** Rottura della notte. ***
Capitolo 17: *** Speranza di pietra. ***
Capitolo 18: *** Scie di decisioni. ***
Capitolo 19: *** Mortale silenzio di tomba. ***
Capitolo 20: *** Mondo di calma in pensieri di tempesta. ***
Capitolo 21: *** Errori al sapore di sangue. ***
Capitolo 22: *** Ricordo di una voce dispersa nel vento. ***
Capitolo 23: *** La musica incantatrice dei ricordi. ***
Capitolo 24: *** Il pericolo nascente da un segreto. ***
Capitolo 25: *** I sentimenti oltre le parole. ***
Capitolo 26: *** La voce dietro il silenzio delle note. ***
Capitolo 27: *** Il peso delle memorie. ***
Capitolo 28: *** Incontri con l'anima. ***
Capitolo 29: *** Figlia del Cielo. ***
Capitolo 30: *** Sguardi perduti in parole di gratitudine. ***
Capitolo 31: *** Ombre dal passato. ***
Capitolo 32: *** Il silenzio del dolore. ***
Capitolo 33: *** I cuori sotto la superficie. ***
Capitolo 34: *** Biscotti al sapore di bacio. ***
Capitolo 35: *** Collana di sentimenti. ***
Capitolo 36: *** La distruzione di un mondo. ***
Capitolo 37: *** Lacrime dal cielo. ***
Capitolo 38: *** Legami scritti dal destino. ***
Capitolo 39: *** Verso il cielo da una folata di vento. ***
Capitolo 40: *** Sotto lo scintillio delle stelle. ***
Capitolo 41: *** Cuori a confronto. ***
Capitolo 42: *** Occhi che parlano. ***



Capitolo 1
*** Prologo. Narra la Leggenda. ***


The Just and the Sly:
Narnia's Spirits

[Chapter First]









[Prologo – Narra la Leggenda]



Ci fu un tempo, tra la creazione di Narnia e prima dei lunghi cento anni d'Inverno,

In cui dallo spirito di ogni due elementi fusi insieme ne nacque un terzo.


Guidato dagli elementi da cui aveva avuto origine,
Il nuovo elemento stipulava un patto di purezza,
In cui univa la sua anima con quella della Grande Magia.


Ci fu un tempo, poco prima del lungo Inverno,
In cui il patto di purezza venne infranto.
Il colpevole e i suoi elementi guida scomparvero.


Ma altre cose accaddero, prima di ciò.
Altri vissero a Narnia, per poi scomparire.


Ma non tutto ciò che scompare è destinato a finire per sempre.
























































- Avviso importante:
Come scritto negli avvertimenti in questa storia è presente l'incesto (fratello-sorella). Ho cercato di trattarlo nel modo più delicato e profondo possibile, analizzando tutti gli aspetti che potrebbero essere toccati in modo da dargli la "serietà" che merita, mentre altre cose verranno spiegate con il proseguire della trama. Se non vi piace come tema e/o siete particolarmente "sensibili" vi invito a non continuare la lettura.


Ciao gente delle Cronache! sono tornata con la nuova versione, come avevo promesso ^^

Allora, per chi non stia capendo nulla, spiego brevemente le cose: ho deciso di rivisionare la vecchia versione della long The Just and The Sly - The Narnia's Spirits (pubblicata in data 25/08/2010 ed eliminata da efp il 03/04/2011), ripostandola in una maniera migliore e cancellando da efp la versione precedente. Le motivazioni che mi hanno spinto a fare ciò sono principalmente due:
1) me l'avevano plagiata - e di conseguenza non la sentivo più "mia" perchè era come se mi fosse stata rubata.
2) la trama stava prenedendo una piega che non sarei riuscita a portare avanti in quanto la storia non era stata scritta per svilupparsi in quel modo. Quindi ho preferito rifarla da capo, complice anche il cambio di stile che si notava mano a mano e l'evoluzione evidente - essendo stata la mia primissima storia -, in modo da renderla coerente e avere l'occasione di trattarla con "la serietà e l'importanza" che merita da parte mia, in quanto ci tengo davvero tanto a questa fic e voglio riuscire a darle il mio massimo impegno.

Allora, eccoci con il nuovo primo capitolo, anche se è solo il prologo. Spero comunque di continuare a sapere che ne pensate, e nel frattempo vi ringrazio anche solo per aver letto ^.^ Se volete leggere anche qualcos'altro ho pubblicato una one-shot "Necklace of Feeling" e la cara "vecchia" "Fragola e Limone", che ho lasciato online.

Se invece siete nuovi con immenso piacere vi accolgo a (The) Narnia's Spirits, la prima storia di una (tecnicamente, poi si vedrà se il tempo e gli impegni mi aiuteranno nell'impresa) serie che parte dal Principe Caspian. Spero che la storia vi piaccia e che i nuovi personaggi vi stiano simpatici - o antipatici, è possibile anche questo ^^ -
Al prossimo capitolo.
Love,
D.

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Capitolo 2
*** L'alba del giorno dopo. ***


Narnia's Spirits
L'alba del giorno dopo.










Osservò il paesaggio fuori dalla finestra della cucina, facendo arrivare lo sguardo impregnato di una nota di lontananza, come se non stesse realmente osservando ciò che si trovava di fronte e fosse immersa in tutt'altri pensieri, al giardino.

Posò gli occhi chiari, improvvisamente più presenti, sull'erba brillante, lucida delle prime gocce di rugiada che le notti di fine estate iniziavano a portare. Qualche fiore pareva avere ancora la forza di resistere ai cambi di temperatura che settembre aveva annunciato, stagliandosi con i propri colori sgargianti in quel mare smeraldino.

Fece scorrere lo sguardo di lato, con estrema lentezza, scontrandolo con l'imponente e nodosa corteccia del grande albero che silenzioso si ergeva in un angolo del giardino. I grandi rami e la folta chioma oltrepassavano in altezza il tetto della casa, donando ombra e riservatezza. Le foglie si mossero, tremando in una danza leggera a tempo di aria quando un delicato soffio di vento s'insinuò tra esse, creando degli strani sibili tutt'attorno.

La ragazza sorrise, ascoltando quei suoni che le arrivarono come una carezza alle orecchie e vedendo quei movimenti della natura, non potendo fermare i ricordi che le si palesarono come flash davanti agli occhi, sentì una profonda fitta di nostalgia al cuore.

Alzò maggiormente lo sguardo, specchiandosi nel cielo mattutino che sembrava riflettersi nel colore dei suoi occhi.

In lontananza era ancora scuro, di un delicato blu notturno, con qualche puntino luminoso che si scorgeva ancora brillare sereno, incapace di arrendersi allo spuntare del sole. Dal punto sopra la finestra attraverso cui stava osservando fuori, invece, era di un tenue azzurro rosato, segno che la giornata era appena all'inizio.

Sospirò affranta, distogliendo lo sguardo e voltandolo nella direzione opposta, studiando le nuvole scure che stavano facendo capolino e restando nel suo stato di riflessione.

Non era una novità che il tempo a Londra fosse più brutto che bello. Eppure si domandò perché, anche con la bella alba che aveva visto nascere quel giorno, il grigiore dovesse sempre cercare di avere la meglio anche su quella che sembrava avrebbe dovuto essere come la più solare delle giornate.

Percepì dietro di sé i movimenti dei fratelli, le correnti d'aria provocate dai loro spostamenti mentre sistemavano ciò che avevano usato per fare colazione.

I suoi pensieri cambiarono rotta, tornando a posarsi sul paesaggio.

C'era qualcosa di diverso, in quella mattina.

Era una sensazione strana, ma era come se sapesse che qualcosa, qualcosa d'importante, stava per succedere. Ad essere sincera con se stessa lo aveva sperato ogni giorno, quindi probabilmente si stava solo soggiogando da sola come tutte le volte già passate.

Forse voleva talmente tanto che arrivasse un'altra chiamata che non poteva fare a meno di sperarci ogni volta, creandosi aspettative solo perché il vento aveva soffiato in modo diverso o il treno era in ritardo.

Scosse impercettibilmente il capo, strizzando gli occhi e studiando qualche nuvola grigiastra, percependo un nodo allo stomaco che le fece quasi venire la nausea.

Era sicura, invece, che quel giorno non era come tutti quelli precedenti. Non avrebbe saputo spiegare come, ma lo sentiva, come un formicolio sottopelle.

-Eve, vieni o faremo tardi. Stiamo aspettando solo te.-

La voce di Peter arrivò chiara e limpida in mezzo a tutto il torpore che si era creata attorno con quel tono accomodante ma sicuro che aveva nei loro confronti.

Si voltò di scatto, apparentemente allarmata e sgranando gli occhi, scontrandosi con il volto sereno del maggiore. Era già pronto per uscire, e scorse allo stesso modo Lucy, Edmund e Susan, vicini alla soglia di casa a parlare tra di loro per ingannare l'attesa.

Si sforzò di sorridere a Peter, il quale le stava porgendo la borsa di scuola che prese dopo essersi specchiata nel forno per assicurarsi di essere presentabile.

Lanciò un'occhiata veloce al vetro, senza dare segni di volersi allontanare, come se si aspettasse qualcosa. All'ennesimo richiamo sul fatto che rischiavano di perdere seriamente il treno sussultò, affrettandosi ad uscire dalla cucina.

-Si, si, arrivo!-


***


Il cavallo dal manto nero correva, veloce e ritmico, sulla prateria che precedeva la foresta e le montagne. Il suo respiro formava delle nuvolette di condensa nell'aria fredda del mattino, e il terreno sul quale passava inevitabilmente veniva invaso dalla polvere alzata dagli zoccoli, che scattanti si muovevano in quella folle corsa.

Era ancora buio, ma il ragazzo che lo cavalcava sapeva benissimo che entro poco tempo l'alba avrebbe iniziato a farsi vedere, con le sue tinture tenui e delicate, e il sole sarebbe sorto in cielo, annunciando il nuovo giorno nel modo regale con cui quel cerchio dorato splendeva su quelle terre.

Ma in quel momento a lui della visione del nuovo giorno poco importava.

Si voltò indietro, scorgendo il gruppo di Telmarini che lo stava ancora seguendo. Incitò Destriero ad accelerare l'andatura, in modo da poter seminare il prima possibile gli uomini che lo stavano braccando.

Per ucciderlo.

Ancora non ci credeva, Caspian, anzi. Sperava fosse tutto frutto di un incubo da cui in realtà non si era ancora svegliato.

Si rese conto che il primo confine con la foresta era vicino, e non poté reprimere un fremito di titubanza, mentre Destriero continuava a galoppare e le urla dei soldati che stavano recuperando terreno gli arrivavano alle orecchie in modo sempre più pungente.

Correvano voci, sulle creature che abitavano la foresta. Il suo popolo li aveva combattuti, cacciati, a quanto sapeva, ma le leggende ancora si spargevano tra la popolazione in ricordo dei tempi di quando Telmar aveva invaso Narnia.

Leggende di creature mistiche, spiriti dei boschi e della natura, mezzi uomini e mezzi animali.

Ma, a quanto dicevano i Sovrani da anni, dovevano essere estinti.

-Dovete fuggire nella foresta.-

-Nella foresta?-

-Li non vi seguiranno.-


Le parole che il suo mentore gli aveva sussurrato poco prima che scappasse in groppa al cavallo gli tornarono in mente.

Si fece forza, confidando in tutta la fiducia e l'ammirazione che riponeva nell'uomo che gli aveva insegnato tutto ciò che sapeva, e che aveva sostituito suo padre nel compito di formare l'animo nobile del giovane uomo che era cresciuto sotto i suoi insegnamenti.

Si fidava di lui – dopotutto, gli aveva salvato la vita facendolo scappare.

Incitò nuovamente Destriero ad imboccare un sentiero, immergendosi tra il fitto degli alberi, non facendo caso ai rami bassi che gli graffiarono il viso.

Per vari minuti non sentì più nessuno dietro di sé, segno che i soldati si erano fermati, soggiogati dalle storie popolari su coloro che abitavano la foresta, ma nonostante il vantaggio l'istinto gli impose di continuare a scappare finché era in tempo per farlo.

Sbucò in riva ad un fiume, la spiaggetta e gli argini attorno ad esso fatti di sassolini e ghiaia così bianchi che in un'altra situazione si sarebbe fermato ad ammirarli.

Indicò al cavallo di attraversare il corso d'acqua, e si voltò rapidamente indietro, scorgendo che i soldati gli stavano nuovamente addosso.

S'inoltrò nuovamente nella foresta non appena Destriero ebbe superato il guardo e la restante spiaggetta, accorgendosi di come la vegetazione si fosse fatta più fitta – rendendosi conto, con stupore, che aveva raggiunto i confini con la vera foresta Narniana.

Non percepì più lo scapitare di zoccoli e le grida d'incitamento dei soldati alle sue spalle così, mentre Destriero continuava a correre seguendo il sentiero, Caspian iniziò a voltarsi indietro, la visuale spesso contaminata dai capelli mossi dall'aria che gli arrivava contro.

Il cavallo saltò un tronco caduto, e il ragazzo si girò nuovamente, per assicurarsi di aver seminato definitivamente i suoi inseguitori. Tirò un sospiro di sollievo, pensando che magari la paura li aveva fatti desistere dal continuare l'inseguimento e, dopo aver constato per l'ennesima volta che ciò che lo seguiva erano solo alberi e sterpaglie, si voltò per vedere in che direzione si stesse dirigendo il suo cavallo.

Ma, prima che potesse mettere a fuoco l'ambiente circostante, sentì una terribile fitta alla fronte. Caspian si ritrovò a terra con un dolore sordo alle tempie e alla schiena, la vista annebbiata, rendendosi vagamente conto di venire trascinato dal suo cavallo per via del piede che gli si era incastrato nella staffa.

Riuscì a liberarsi dopo vari minuti, sentendo il corpo tutto dolorante. Lo scapitare di Destriero divenne sempre più lontano e debole, fino a che non scomparì del tutto, inghiottito dal buio della foresta.

Caspian impiegò qualche minuto per riprendersi, mentre il respiro affannoso per la corsa e la miriade di sensazioni provate per tutto quel tempo iniziavano a scemare, lasciandogli solo un sordo buco vuoto e una forte confusione in testa.

La consapevolezza di essere scampato ad un attacco notturno e di essersi rifugiato nella foresta che tutta la sua gente temeva, rimanendo solo, lo assalì come uno schiaffo.

Solo, in un luogo a lui sconosciuto e tenebroso.

Si issò sui gomiti, guardandosi guardingo attorno e senza il coraggio di muoversi, attento al minimo rumore, facendo dardeggiare spasmodicamente gli occhi per quella vegetazione scura.

Sembrava tutto tranquillo.

Non percepiva che il frusciare del vento che muoveva le foglie ed il suo respiro. Il gruppo di Telmarini che lo inseguivano sembrava essersi arreso non appena lui era entrato nel folto della foresta, visto che non li aveva più visti alle sue spalle.

Caspian rilassò i muscoli, lasciandosi ricadere a peso morto sul terreno, non appena appurò che l'unica compagnia che aveva era il buio mattutino e la foresta.

Sospirò pesantemente, cercando di chiudere gli occhi per fare ordine nella sua mente, portandosi una mano alle tempie.

Un cigolio.


Caspian scattò sull'attenti come una molla, notando in tutte quelle ombre una luce. Si irrigidì. Da uno degli alberi poco lontani, le cui radici nodose spiccavano fuori dal terreno, notò un paio di figure in controluce.

Caspian arretrò, portando istintivamente la mano alla spada per potersi difendere.

-Ci ha visti.- Sussurrò una delle due sagome. Questi gli si avvicinò di corsa prima che potesse reagire, mettendo ben in vista la spada che impugnava e la sua altezza sotto la media. Il Principe sbattè le palpebre, incapace di reagire per la sorpresa.

Era un... nano?

Caspian vide lo sguardo dell'uomo – un nano! – posarsi sul corno riverso a terra e fuori dalla sua custodia di velluto, che Cornelius gli aveva consegnato, per poi rivolgerlo a lui non nascondendo un luccichio di stupore.

-Questo l'ho cercato per lunghi anni.-

Uno scalpitare di zoccoli distrasse i tre, e il nano davanti al Principe si rivolse alla figura che ancora non aveva abbandonato la soglia di casa.

-Occupati di lui, io li tengo occupati!-

Caspian si voltò nuovamente ad osservare il corno, poi la sua attenzione fu attirata dall'altro nano che velocemente gli si era avvicinato.

-Usatelo solo in caso di estrema necessità.-

Non ci pensò due volte ad ascoltare il consiglio del suo Maestro e afferrò l'oggetto.

-No!-

Caspian ci soffiò dentro senza remore, racimolando tutto il fiato che aveva in corpo. Il suono basso del corno che gli penetrava le orecchie, espandendosi per tutta Narnia e più, fu l'ultimo rumore che sentì.


***


Evelyn aveva fatto solo pochi passi dietro Peter, ma si fermò improvvisamente, senza nemmeno volerlo del tutto, quando un sibilo profondo le arrivò alle orecchie.

Si voltò di scatto verso la finestra, bloccandosi a guardare nuovamente un punto indefinito all'orizzonte, lo sguardo attento che cercava di mascherare lo stupore e la confusione. Si portò le mani alle orecchie, infastidita.

Puntò gli occhi nuovamente sul paesaggio circostante, concentrandolo soprattutto sul pezzo di cielo più lontano che riuscisse a scorgere, sentendo la morsa alla bocca dello stomaco darle improvvisamente più fastidio.

-Cosa c'è?-

A Peter, sempre attendo ad ogni suo fratello, non era sfuggito quel suo irrigidimento repentino. Quella si girò verso di lui, cercando di mascherare l'ansia che inspiegabilmente sentiva.

Non poteva dire niente, non poteva rischiare di toccare quell'argomento senza essere sicura di ciò che pensava. Già troppe volte ci erano rimasti male, tutti loro, pensando di aver colto dei segnali che invece si erano rivelati fasulli.

-Niente, mi sembrava di aver scorto… un'ombra strana.- mentì, iniziando ad avvicinarsi al fratello. Quello parve crederle, e le lanciò uno sguardo divertito, senza bisogno che le rispondesse a parole per farsi capire.

Evelyn si girò per l'ultima volta verso la finestra, le sensazioni di poco prima scomparse.

-Eve, dai, siamo in ritardo! Stai bene?- Si preoccupò allora Susan, trovando quel suo temporeggiare più strano del solito. Quella si sforzò di sorriderle, cacciando dalla mente l'idea di fingersi malata per stare a casa e raggiungendoli sul pianerottolo.

-Sto bene, grazie. Andiamo?-











































































Ehilà :)
Questa volta aggiorno in fretta. Ed è principalmente per due ragioni: una, il fatto che il primo capitolo fosse "solo" un prologo. L'altra che anche questo, come avrete intuito, è una spece di secondo prologo, inedito anche per i precedenti lettori, nato per far percepire qualcosa e far nascere forse ancora più dubbi. Quindi, tutto questo alone di calma e mistero, a volte descrizioni fin troppo dettagliate e lente - quasi irreali per il tempo che passa - sono volute. Soprattutto perché, come si sarà intuito, a me piace molto l'introspezione.

Evelyn è la nostra - mia - nuova co-protagonista di questa vecchia - nuova - storia. C'è chi la conosce già, chi invece avrà il piacere - ma anche no, mica deve stare simpatica a tutti - di capirla più avanti, man mano. Volutamente non è descritta per il momento.

Ringrazio tutti voi che avete letto e apprezzato, chi si è fermato a lasciarmi un parere, chi preferisce, segue e ricorda.

Spero che a tutti/e voi anche questo secondo capitolo sia piaciuto.
Un abbraccio
D
.

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Capitolo 3
*** Il sentimento che supera il tempo. ***


Narnia's Spirits
Il sentimento che supera il tempo.











L'aria che tirava quel giorno era fredda e pungente, in perfetta sincronia con l'uggiosità che aveva accolto Londra fin dal mattino.

Susan stava leggendo un quotidiano ad un'edicola per vedere se potesse esserci qualche notizia interessante di cui discutere con i fratelli, mentre aspettava l’orario in cui si sarebbero incontrati alla stazione per tornare a casa. Lanciò un'occhiata stralunata al cielo, constatando che era nuvoloso peggio della mattina, e che minacciava pesantemente pioggia. E pensare che sembrava avrebbe dovuto essere una giornata soleggiata...

Sospirò, tornando al giornale, ignorando palesemente il signore che la guardava attendendo se si decidesse o meno a comprarlo. Ormai erano mesi che si fermava a quel baracchino per passare il tempo e raramente si era portata a casa i notiziari che vendeva, eppure, forse complice il fascino della carne giovanile, non le aveva mai detto nulla per rimproverarla.

Da quando erano ritornati da Narnia tutto stava continuando a svolgersi nell'ormai quotidiana abitudine che aveva avvolto la vita della Pevensie da quasi due anni: il cielo grigiastro, il parlottare delle persone, l'aria fredda, i rumori della auto di città. Non era stato facile, tornare a quella vita che stava a tutti irrimediabilmente stretta, ma Sue era stata la prima che era riuscita a concentrarsi su se stessa per non pensare al dispiacere che le aveva trafitto il cuore nell'accorgersi di aver perso tutto ciò a cui aveva imparato ad affezionarsi.

Susan lanciò una veloce occhiata al ragazzo che le si era fatto vicino e la guardava, scorgendo la nota di indecisione nei suoi occhi senza capirne il motivo – e, in realtà, nemmeno le interessava. Si rifugiò nuovamente nei propri pensieri.

-Tu vai alla Sempting Bas?-

Il tono di voce esitante irruppe nelle sue orecchie come un elefante in un negozio di cristalli, strappandola dall'apparente lettura e dai suoi pensieri per l'ennesima volta e costringendola a voltarsi a guardarlo, per educazione. La voce apparteneva al ragazzo di poco prima.

Era poco più alto di lei, tanto che lo trovò quasi basso, se messo a confronto con i suoi fratelli o i vari corteggiatori che avevano provato a rubarle qualche attenzione. Portava gli occhiali, i capelli perfettamente pettinati, ed indossava la divisa della sua scuola. I lineamenti del viso conservavano ancora i lineamenti paffuti da adolescente ancora in crescita, e il tono con cui le si era rivolto aveva lasciato trapelare ansia e agitazione, probabilmente perché aveva attaccato bottone con la ragazza che gli piaceva da tempo.

A parte quella nota di coraggio e intraprendenza di cui la Pevensie gli fece internamente i complimenti, per il resto ai suoi occhi era un ragazzo normale. Perfino anonimo.

-Esatto.- lo guardò di traverso, leggermente scocciata, mascherando il disappunto per quella presenza sgradita con un breve sorriso di circostanza. Sperò che il suo sguardo ed il suo tono di voce indifferente l’avessero fatto desistere dall’andare avanti con il provare a parlarle, ma probabilmente il ragazzo non aveva inteso il messaggio sottinteso.

-Io vado all'Hendon House... è proprio di fronte.- Susan gli rivolse un’occhiata tra il sorpreso e l’imbarazzato, annuendo come per far capire che lo stesse ascoltando, interessata.

L'aveva spiata a tal punto?

Continuò quindi a rivolgere l’attenzione al mucchio di carte che aveva in mano, senza dargli corda e pregando che qualcuno andasse a salvarla, evitando di dirgli che era la stessa scuola che frequentavano i suoi fratelli e quindi sapeva benissimo dove si trovasse per non dargli motivo di attaccare nuovamente bottone.

-Ti ho visto, stai sempre da sola.-

La Pevensie sembrò vacillare qualche istante, come se quell'affermazione l'avesse colpita nel profondo, ma a quel punto parlò, scocciata e senza nascondere un lieve tono sgarbato per quella frase dolente.

-Si beh, mi piace stare da sola.- spiegò, brusca, girandosi verso la strada facendo intendere che per lei il discorso era chiuso.

-Anche a me.- Susan alzò gli occhi al cielo, esasperata per quella presenza che stava iniziando seriamente a scocciarla, senza preoccuparsi di nascondere quel gesto ed intuendo che probabilmente non sarebbe nemmeno stato recepito.

-Come ti chiami?- Susan ci pensò un attimo, ponderando i pro e contro sul svelargli la sua vera identità, poi rispose dicendo il primo nome che le passava per la testa, optando per la menzogna come poche volte in vita sua le era capitato - ma aveva davvero, davvero voglia di restarsene per i fatti suoi e non era sua intenzione fare amicizia con sconosciuti.

-Phillis.-

-Susan!-

Lucy stava correndo verso la stazione della metropolitana come se da ciò dipendesse la sua vita, cercando di evitare le varie persone che la guardavano male o incuriosite per tutta quella fretta. La borsa scolastica le pesava sul fianco e la tracolla le tagliava la gola, ma non aveva tempo da perdere.

Attraversò la strada, quando il suono di un clacson la fece voltare, bloccandola sul posto e irrigidendole i muscoli istintivamente.

-Attenta! Guarda dove cammini, ragazzina!-

Lucy non poté fare a meno di scusarsi, esibendo uno sguardo dispiaciuto a quel rimprovero, riprendendo poi la sua corsa. Aveva sentito da un gruppetto di ragazzi che le era passato accanto, senza volerlo, che un ragazzo stava facendo a botte con tre coetanei nella stazione, per l'ennesima volta. Lucy non era eternamente innocente, ed era riuscita subito a capire dal modo in cui parlavano che si trattava di Peter.

Scorse Susan all'edicola davanti alla stazione, dove spesso si fermava.

-Susan!- la chiamò, non appena evitò una signora, ritrovandosi a pochi passi dalla sorella. Questa voltò il viso verso di lei, lasciando perdere – Lucy se ne accorse solo in quel momento che sua sorella non era sola – il suo interlocutore.

-Devi venire subito.- continuò poi la piccola Pevensie, non curandosi della gente e cercando di riprendere fiato, guardando la sorella senza preoccuparsi di celare l'ansia nei propri occhi.

Susan osservò prima il viso di sua sorella, poi lanciò un'occhiata al ragazzo, confuso per quella brusca interruzione. Non se ne curò poi molto, alleggerita di potersene allontanare con quella scusa. Prese la sua cartella e seguì Lucy verso la stazione. Le due ragazze arrivarono alle metropolitane, notando subito la calca di ragazzi fermi sulle scale a gridare urla di incitamento.

Susan non si stupì affatto, quando al centro del cerchio vide Peter fare a botte con tre coetanei, la divisa trasandata ed il volto sudato, mentre Lucy si faceva largo tra gli studenti.

Raggiunsero Evelyn, che le aveva precedute già da svariati minuti ed osservava la scena, facendosi spazio tra la calca con non poche difficoltà. Quando questa se le ritrovò vicino circondò la vita della sorellina con un braccio, in modo da evitarle gli spintoni degli altri ragazzi troppo presi dall'impeto dello scontro. Le tre sorelle si scambiarono uno sguardo che esprimeva tutti i loro pensieri.

Susan guardò esasperata l'ennesima lite in cui era coinvolto, domandandosi da quando avesse perso la ragione e la serietà che per molti anni li avevano guidati negli anni d'oro di Narnia. Evelyn si ritrovò a stringere un pugno, cercando di incitare Peter a farsi valere evitando di farsi notare da Sue che, era sicura, altrimenti le avrebbe fatto una qualche ramanzina. Lucy, invece, era quella più preoccupata e in ansia. Erano tre contro uno, e Peter le stava prendendo alla grande.

Il ragazzo si voltò verso di loro come se queste lo avessero chiamato, prima di essere colpito di nuovo, e vide distintamente tra la miriade di volti attorno a lui le sorelle che lo osservavano.

Percepì una fitta di sconfitta piantarsi nella schiena. Ormai il danno era fatto. Essere consapevole che avessero visto lo stato pietoso in cui si trovava fu un duro colpo per lui. Aveva benissimo scorto la delusione di Susan, la preoccupazione di Lucy e il rimprovero di Evelyn.

Lui che per anni era stato acclamato dagli abitanti di Narnia, dal suo popolo insieme ai suoi fratelli. Lui che era stato chiamato il Magnifico ed era Sovrano di tutti i Re e le Regine. Lui che aveva governato e guidato eserciti, riportando la pace a Narnia, stretto alleanze, vinto battaglie... battuto da tre adolescenti londinesi come il primo fesso che passa per strada a cui viene fatto uno sgambetto.

Si ricordava ancora il giorno in cui erano stati incoronati Reali. Era stata una tale emozione, una tale gioia che il ricordo di quei momenti non lo aveva mai abbandonato. Era stato felice, aveva sentito di avere trovato il suo posto.


-In nome del Limpido Cielo del Nord ecco Re Peter, il Magnifico.-

Perso in quei ricordi si ridestò sentendo la voce agitata di Evelyn che chiamava Edmund. Non si era nemmeno reso conto di essere stato inchiodato al muro e che due lo tenevano fermo mentre il terzo continuava a dargli calci e pugni, il corpo ormai diventato insensibile alle botte.

Suo fratello venne in suo soccorso, liberandolo da uno dei ragazzi, ma nonostante il suo intervento era comunque quello che continuava ad avere la peggio tra tutti. Si sentiva stanco, così stanco di quella vita che non gli apparteneva...

Il fischio acuto dei fischietti delle guardie che accorrevano per interrompere la lite fece scattare Eve sull'attenti come un soldatino, ancora in pensiero per Edmund che non le aveva dato ascolto e si era buttato nella rissa, e fu costretta a seguire Susan e Lucy lontano dalle scale per evitare problemi, mentre il gruppo dei ragazzi che incitavano la lite si diradava.

La guardia staccò a forza un ragazzo che nonostante tutto continuava ad accanirsi su Peter preso dalla foga, e lo rimproverò per il suo comportamento infantile alla sua età. Gli lanciò un'occhiataccia e se ne andò dopo che si fu appurato di aver fatto finire il litigio.

Dopo essersi sistemato velocemente la divisa, Peter, l'aria altezzosa e superba che lo caratterizzava da sempre e un'espressione sicura di chi non ha fatto nulla di sbagliato, si decise a raggiungere i suoi fratelli, prendendo posto su una panchina poco lontana. Essendo i posti in quattro e loro in cinque, Evelyn rimase in piedi vicino a Edmund, un piede appoggiato al muro e le mani dietro la schiena. Il moro le lanciò un'occhiata che lei non colse, presa a pensare a chissà cosa, poi rivolse la parola al più grande.

-Grazie mille, eh.- lo canzonò, scocciato. Scocciato perché non era la prima volta che Peter si cacciava nei guai con dei ragazzi più grandi, e ogni volta lui doveva andare ad aiutalo, finendo col prenderle pure lui.

-Era tutto sotto controllo.- rispose quello, per nulla toccato, alzandosi per scaricare la tensione che gli era rimasta addosso.

-Cosa è successo questa volta?- domandò Susan, esasperata per quell'ennesimo casino in cui si era ficcato il fratello. Prima o poi temeva la possibilità che venisse segnalato a qualche autorità e finisse per essere prelevato e portato chissà dove. Possibile che non pensasse alle conseguenze delle proprie azioni?

-Uno spintone.- rispose il Pevensie, osservandola incrociare la braccia e lanciargli uno sguardo di rimprovero.

-Per questo l’hai colpito?- domandò Lucy innocentemente, non trovando dei motivi validi in quella motivazione che potessero scatenare una rissa.

-No. Dopo avermi spinto, pretendeva da me delle scuse. Così l'ho colpito.- spiegò, gli occhi che lanciavano lampi di rabbia. Susan roteò gli occhi e lo stesso fece Evelyn che osservava la scena in silenzio, ritrovandosi però a comprendere le motivazioni del Pevensie. Per loro cresciuti abituandosi alle buone maniere dei nobili, avere a che fare con l'arroganza di certi ragazzini era un vero test per i nervi.

-Hai fatto bene.- borbottò, rivolta a se stessa e stando attenta a non farsi sentire da Susan. Edmund, al suo fianco, trattenne una risata. 

-È così difficile per te lasciar correre?- rincarò la dose Sue, pur conoscendo già la risposta. Possibile che dovesse mettersi nei guai solo per delle sciocchezze? Non erano più a Narnia, dove se qualcuno lo trovava sulla sua strada gli cedeva il passo e faceva un inchino.

A quel punto gli occhi di Peter lampeggiarono ancor di più, se possibile, rabbiosi e frustrati. Lucy vide la tempesta che animava l'animo di suo fratello agitarsi in quei baratri azzurri solitamente calmi e rassicuranti.

-Perché avrei dovuto? Non sei stanca di essere trattata da ragazzina?- Susan non si sentì toccata dal tono sgarbato con cui le rispose, consapevole che il motivo della frustrazione di Peter non fosse lei.

Evelyn pensò che in effetti non avesse tutti i torti. Loro che erano stati grandi Re e Regine, che avevano sconfitto Jadis la Strega Bianca e riportato la pace a Narnia trattati come semplici ragazzini. Ancora non riusciva a capacitarsene. Voleva tornare a Narnia. Doveva tornare a Narnia. Alla sua casa, al suo castello.

Nel suo mondo.


-In nome del Brioso Vento di Narnia la Regina Evelyn, la Scaltra.-

Sorrise tra sé e sé al ricordo delle parole di Aslan e guardò automaticamente alla sua sinistra. Il suo sguardo si posò su Edmund, impegnato ancora a parlare con Peter per cercare sicuramente di calmarlo. Anche se lei non stava realmente ascoltando la conversazione.

I suoi occhi chiari cercavano di cogliere ogni più piccolo particolare della persona che ormai da tempo, tanto – troppo – occupava la sua mente ed i suoi pensieri. Osservò la pelle liscia, le labbra in carne e rosee, il mento, il collo, i capelli scuri in cui si divertiva sempre a mettere le mani con la scusa che erano in disordine.

Si vergognò di se stessa e voltò lo sguardo chiaro posandolo in basso, mettendosi ad osservare i suoi piedi, certamente molto meno interessanti. Come poteva fare certi pensieri su Edmund?

Su suo fratello?

Che poi, i pensieri di quel momento non erano paragonabili a quelli che a volte aveva provato a fare durante le giornate passate insieme, quando lo vedeva con una maglietta o un pantalone che gli stesse particolarmente bene. Oppure quando lui, da bravo fratello premuroso quale era le rivolgeva sorrisi dolci, occhiate lampanti, a volte preoccupate quando la vedeva distratta o triste. Nel modo in cui l'abbracciava e la consolava quando lei doveva piangere e sfogarsi per un motivo che lui non capiva ma che, nonostante i suoi silenzi, era sempre pronto a starle accanto.

Sospirò, rilassando le spalle e appoggiandosi maggiormente al muro dietro di lei, non curandosi che avrebbe potuto sporcare la divisa scolastica e chiudendo gli occhi.

Se solo Edmund avesse saputo o anche solo immaginato che il motivo di tante lacrime versate, davanti a lui o da sola, del dolore e del fardello che si portava dentro da quando aveva vissuto insieme ai suoi fratelli la prima adolescenza a Cair Paravel, fosse stato proprio lui… né lui né gli altri le avrebbero più rivolto la parola.

Era certa che se avessero saputo, lei, gli avrebbe fatto schifo.

Schifo.


Probabilmente non le avrebbero più rivolto la parola diseredandola e non riconoscendola più come una loro sorella.

Ricordava quando quel sentimento le era nato gradualmente. Lo aveva sentito nascere e crescere nel profondo delle viscere, del cuore, dell’anima, nella più profonda parte di lei che neanche conosceva. Era un sentimento piacevole, la faceva stare bene. Si emozionava per un niente, era felice se lui era felice, a volte sentiva un calore strano irradiarsi per tutto il corpo senza partire da qualche punto specifico.

Ma allo stesso tempo faceva anche male, molto. Sapeva che non avrebbe mai potuto averlo, che sarebbe sempre restata a guardarlo da lontano.

Quante volte le si era stretto il cuore o le era mancato il respiro quando qualche Re di terre confinanti con Narnia veniva a cercare di fare accordi dando in sposa la figlia per unire i regni? Quante volte si era ritrovata a cercare conforto nella notte che la osservava da lontano, mentre sentiva i sospiri provenire dalle dame invitate a qualche festa? Quante volte si era ritrovata a guardare la luna, per non vedere, per cercare di ignorare lui che ballava con le altre per fare buona presenza?

Quante volte?

Strinse gli occhi, scuotendo impercettibilmente la testa e allontanando bruscamente quei ricordi ancora vividi di emozioni.

Inoltre, era qualcosa di sbagliato, dei pensieri ignobili che nemmeno avrebbero dovuto sfiorarle il cervello.

Sbagliato
.

La cosa ancor più brutta era che non era riuscita a dimenticarlo negli anni. Aveva provato in vari modi, tutti quelli che conosceva e che, nella sua posizione, le erano possibili.

Inutile, visto che lui soffriva quando lei si allontanava perché non capiva il suo comportamento. Lo vedeva dagli occhi e dalle occhiate furtive che le lanciava in quei periodi, i sorrisi fintamente rassicuranti che rivolgeva agli altri fratelli o domandandole se avesse fatto qualcosa di male. Allora anche a lei si spezzava ulteriormente il cuore e finiva per ricadere nella trappola dei suoi occhi magnetici, del suo sorriso dolce, del suo corpo perfetto ai suoi occhi di ragazza e donna innamorata.

Inoltre, faceva preoccupare anche Peter, Susan e Lucy per colpa sua, solo sua. Loro non meritavano quello, e neanche Edmund, che di colpe non ne aveva se il destino aveva deciso di essere così crudele nei suoi confronti.

Così decideva di ritornare quella di sempre, scusandosi per il suo comportamento, campando in aria la scusa che era nervosa e confusa, pressata dalla responsabilità che le era stata affidata da Aslan. I fratelli le sorridevano, rassicurandola, dicendole che doveva dirlo e non tenersi tutto dentro, perché la famiglia serve a sostenersi a vicenda e loro ci sarebbero stati sempre l'uno per l'altro.

E in quei momenti, con quelle parole così semplici, si sentiva sempre una sciocca, una stupida dilaniata dai sensi di colpa.

E tutto tornava come prima, ricominciando quel circolo vizioso di pensieri ed emozioni.

Aveva sempre cercato di schiacciare quel suo sentimento immorale, di confinarlo in un angolo remoto del cervello, ignorando le sensazioni che la presenza di suo fratello le suscitava – ma era sempre più convinta che più reprimeva più rischiava di scoppiare. Più volte era stata sul punto di dirgli tutto, ma alla fine si era tirata indietro, troppo codarda per parlare, terrorizzata dalle conseguenze che sicuramente sarebbero state catastrofiche.

Non ce la faceva più, però, i nervi si stavano divorando tra di loro per tenere il controllo. Spesso doveva controllarsi per non imbarazzare al minimo tocco fraterno di lui o non restare imbambolata a fissarlo. Ma, per amore della sua famiglia, doveva resistere.

L'importanza che i suoi fratelli avevano per lei e la paura di perderli le avevano in qualche modo fatto sempre trovare la forza di non cedere a passi falsi. Per loro, ognuno di loro, avrebbe dato la vita senza pensarci due volte. Ma come tra Peter e Susan c’era un legame speciale, fatto di taciti sguardi e affetto mostrato sotto forma di ordini, questo si era creato anche tra lei ed Edmund – tralasciando il suo sentimento. Erano sempre stati uniti, loro due. E poi c'era Lucy.

Lucy.

Eve sorrise intenerita senza rendersene conto, ripensando al nome della sorellina. Era il suo raggio di sole anche nelle giornate più buie. Lucy racchiudeva in se stessa tutta l'innocenza e la positività che molto spesso invece lei ed i fratelli perdevano.

Evelyn ricadde nei suoi pensieri e nei suoi incubi, tornando al filo principale dei propri ragionamenti.

-Eve?-

Una domanda la tormentava: se le fosse sfuggita la verità, o l’avrebbero intuita, poi che avrebbe fatto?

Non ebbe tempo di darsi una risposta, perché improvvisamente il silenzio che si era creato intorno a lei mentre pensava sparì, e la voce di colui che aveva occupato i suoi pensieri, ancora una volta, si fece largo nella sua testa e nelle sue orecchie.

-Eve? Eve? Evelyn ci sei?-

La voce era dolce, ma poteva sentire una nota di preoccupazione e ne ebbe la conferma quando, alzando lo sguardo improvvisamente presente e attento, la Pevensie vide il suo volto e quello dei suoi fratelli leggermente preoccupato.

Edmund e Peter si erano alzati dalla panchina su cui erano seduti e ora stavano in piedi davanti a lei, studiandola. Ebbe un tuffo al cuore nel vedere la presenza e il volto del minore così vicini senza che si fosse preparata mentalmente. Credette di svenire poi, sentendo distintamente le gambe tremare e farsi improvvisamente deboli, quando si rese conto che Ed la teneva saldamente per le spalle, probabilmente perché l'aveva scossa per attirare la sua attenzione su di loro.

I due si fissarono per qualche istante negli occhi, ed Eve restò con il fiato sospeso, non sapendo cosa dire.

Le parve di scorgere una scintilla negli occhi castani del fratello, che la guardava con uno sguardo… strano. Era un qualcosa di lontano, che probabilmente tentava di celare, ma che Evelyn, così vicina, non poté fare a meno di notare.

Peter fu il primo che parlò, distraendola e facendole interrompere il contatto, ed Edmund ne approfittò per allontanarsi di qualche passo. I pensieri su quello sguardo scemarono in un angolo lontano e dimenticato della sua mente, pensando che fosse stata solo una sua impressione.

-Si può sapere a che stavi pensando di tanto importante da non sentire noi che ti chiamavamo?- la sorpresa iniziale andò via ed Evelyn cercò di esibire il migliore sorriso che poteva.

-Perché, mi stavate chiamando?- domandò, celando l'imbarazzo. Era talmente persa nei suoi pensieri che non si era accorta di nulla. Vuoto assoluto.

-Da almeno cinque minuti, Eve.- le spiegò Lucy, dolce, gli occhi un po' meno in ansia.

-Però il nostro discorso su Narnia era durato ben dieci senza che tu aprissi bocca.-

-Non sentendoti intervenire ci siamo zittiti ma tu non davi segni di vita, così ci siamo preoccupati.- Susan arricciò il naso, facendo intendere che si aspettavano si sarebbe intromessa in un discorso così importante per loro.

-E poi eccoci qui.- Edmund fece un gesto con le braccia indicando i fratelli, concludendo quel discorso con una nota di ovvietà.

-Mi dispiace di avervi fatto preoccupare inutilmente.- la Pevensie fece vagare lo sguardo sui fratelli, percependo una fitta di senso di colpa stringerle il cuore. L'ultima cosa che voleva era farli preoccupare più di quanto già non facesse normalmente. Poi si ricordò che loro stavano parlando di Narnia e sfruttò l’occasione in suo favore, celando così i suoi veri pensieri e nascondendoli per l'ennesima volta, dimostrando che la Scaltra non era un aggettivo che le era stato dato a casaccio.

-E’ solo che stavo ripensando a Narnia e a quanto tempo sia trascorso lì, come stanno tutte le persone che conoscevamo.- lo sguardo di Evelyn divenne triste, lontano e pensieroso, e con il suo quello dei fratelli e delle sorelle. Tra di loro si creò un silenzio che, per quanto fosse pesante, sembrava assordarli.

-Ragazzi, fate finta di parlare con me.- ruppe quel momento Susan, allarmata. Peter alzò un sopracciglio, non capendo quella foga, mentre Lucy si sporse per osservare cosa potesse aver visto la sorella.

-Noi stiamo parlando con te.- le fece notare Edmund pungente, il quale subito dopo si girò a scrutare la sorella minore in viso, non curandosi della smorfia che Sue gli rivolse a quelle parole. Durò poco però, ed Eve ringraziò mentalmente perché rischiava seriamente di crollare sotto quello sguardo indagatore.

L’attenzione di tutti venne rivolta a Lucy, la quale era saltata in piedi dalla panchina, come se questa l’avesse punta, lanciando un grido acuto e guardando sconvolta l'oggetto in lamiera.

-Non urlare, Lucy!- sibilò Susan, lanciando un'occhiata alle proprie spalle.

-Qualcosa mi ha pizzicato!- cercò di spiegare, indicando con fare accusatorio il suo posto libero.

-Ehi, smettila di tirare!- Peter si scostò dalla panchina come scottato, voltandosi verso Edmund con sguardo di rimprovero.

-Ma non ti ho toccato!- si difese quello, mostrando le mani fino a quel momento tenute in grembo.

Eve si staccò dal muro, trattenendo un urlo di paura e sussultando leggermente quando sentì una scossa percorrerle la schiena.

Dopo pochi secondi tutti e cinque erano in piedi, l'uno vicino all'altro, sconvolti per come stavano mutando in fretta gli eventi. Nella metropolitana l'aria si era alzata in modo innaturale, i pezzi di stazione si staccavano dalle pareti, volando via. I Pevensie si osservavano attorno, sentendo i loro cuori gonfiarsi di aspettativa.

-Teniamoci per mano, svelti!-

Evelyn sperò di aver sentito male, ma vedendo Susan dare la mano a Lucy e Peter prendere di forza quella di un riluttante Edmund, sussultò, sentendo quelle parole incidersi nella sua testa come marchiate a fuoco.

Sarebbe stato normale un fratello che ti tiene per mano in caso di pericolo o di eventi particolari, il problema era che lei era vicino a Edmund. Il suo problema.

Sebbene la tentazione di stringere fra la sua mano quella del fratello fosse forte e la voglia di approfittare della situazione la spingesse a fingere di essere più spaventata di quanto fosse in realtà, decise di accostarsi a lui, sperando con tutto il cuore che la mente di Ed fosse occupata da ben altri pensieri su ciò che stava succedendo.

Rifletté sul fatto che stesse andando tutto bene, impegnata ad osservarsi intorno, ma le prese un colpo quando avvertì la presa salda della mano di suo fratello sulla sua.

Istintivamente si girò verso di lui, trovandolo preso a guardare davanti a sé. Sospirò, riflettendo sul fatto che si sarebbe dovuta arrendere all'idea che era solo la sorella da proteggere. Tra la confusione dell'aria che tirava sempre più forte e i pezzi di mattone scardinati, pensò che erano quasi due vite che sopportava quel sentimento che aveva avuto il coraggio di superare le barriere temporali.

Nonostante poi fosse tornata ad essere una ragazzina di quattordici anni le cose non erano cambiate, anzi. Vederlo nuovamente crescere era stato uno strazio, e la sua speranza di trovare qualcun altro a cui rivolgere i pensieri non aveva sortito gli effetti sperati.

Si ridestò da quei pensieri volgendo poi lo sguardo oltre il treno che stava passando davanti a loro, come se una forza invisibile le avesse intimato di girarsi, strappandola da quei pensieri di sofferenza. Fu sorpresa e le mancò un battito nel vedere il panorama cambiare.

I pezzi di ferrovia che volavano via lasciavano spazio ad uno sfondo azzurro, ma c’era troppa confusione intorno per capire realmente ciò che stava succedendo. Nessuno di loro ebbe il reale coraggio di nominare ad alta voce il nome di quel luogo che da troppo tempo aspettavano di rivedere.

Narnia.


Evelyn non poté evitare di farsi spuntare un sorrisino, osservando l'azzurro terso che conosceva bene sovrapporsi ai buchi nel muro, percependo un calore familiare che le partiva dal centro petto.

Tutti i Pevensie sapevano che quella era la magia che li stava riportando finalmente al luogo a cui sentivano di appartenere dopo mesi e mesi di attesa. Finalmente era giunta la tanto attesa chiamata.

Stavano tornando a Narnia. Stavano tornando a casa.

































































































Il personaggio di Evelyn e gli altri originali che compariranno nel corso di questa storia sono di mia inventiva e proprietà, gli altri che invece conosciamo bene appartengono a Lewis, non scrivo a scopo di lucro.

Precisazioni su questo capitolo:
- Nel film è passato un anno, io per un discorso di età ho fatto passare più di un anno e mezzo (diciamo quasi due per arrotondare), in modo da avere una Evelyn "piccola" nel leone, strega e armadio (quasi quattordici) e una Eve abbastanza "grande" qui. Supponendo faccia gli anni a gennaio, colloco la storia ad almeno pieno agosto, quindi ha praticamente quasi sedici anni ed Edmund diciassette. Ricordo inoltre che in realtà tutti i pevensie sono già diventati adulti, quindi quando scrivo cerco di farli ragionare da "persone adulte" quali secondo me sono. Forse nell'opera originale sono tutti un pochino più piccoli.
- La frase d'incoronazione di Eve ha un suo significato che verrà trattato più avanti.

Ringrazio tutti coloro che leggono, preferiscono, seguono, ricordano e commentano.

Alla prossima
D.


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Capitolo 4
*** I ricordi che aleggiano tra le rovine. ***


Narnia's Spirits
I ricordi che aleggiano tra le rovine.











Il treno che stava arrivando a gran velocità era sparito in un varco di luce, da cui si intravedevano una sabbia bianca ed un mare dai riflessi blu e smeraldini.

I Pevensie accennarono qualche passo, ancora confusi per quel cambio repentino dell'ambiente, trovandosi all'interno di una piccola caverna che si era sostituita alla metro. Non appena furono fuori ci misero qualche secondo a far abituare gli occhi a quella luce improvvisamente più forte.

Si osservarono intorno, estasiati dalla bellezza del posto che magnifico si estendeva davanti a loro, incapaci ancora di formulare dei pensieri o immergersi completamente in quella natura immacolata. Come se avessero paura che il loro sogno, quello più desiderato e agognato, potesse sparirgli da un momento all'altro da davanti agli occhi. Sbriciolarsi prima che potessero afferrarlo, venire trasportato via come quegli stessi granelli di sabbia in cui affondavano i loro piedi che finivano trascinati via dal mare.

Studiarono quell'ambiente ai loro occhi tremendamente famigliare, assaporando i dettagli di quei paesaggi così surreali che gli erano mancati terribilmente, mentre i richiami dei gabbiani che si confondevano con le onde del mare che s'infrangevano contro gli scogli facevano da sottofondo.

Il cielo era terso, pulito, limpido come solo quello di Narnia poteva esserlo. E il sole splendeva, gaio e sorridente in quella splendida giornata senza nuvole, come a salutarli e dar loro il benvenuto per essere, finalmente, ritornati dopo tanto tempo. I loro occhi brillarono, felici di essere tornati finalmente a casa.

Perché, non avevano dubbi, si trovavano sicuramente a Narnia.

Lucy si scambiò uno sguardo carico di significato con Susan, consapevoli di condividere la stessa emozione, la stessa felicità sbocciata nel cuore come i fiori in primavera, e si misero a correre sulla spiaggia, attirate, insieme a Peter ed Edmund, verso l'acqua cristallina che placida lambiva la sabbia bianca e che sembrava chiamarli inesorabilmente verso di sé.

I quattro Pevensie persero ogni remora, abbandonandola alle loro spalle come gran parte dei vestiti e delle scarpe, abbracciando in modo totale quella spensieratezza che per troppo tempo gli era mancata. Narnia era mancata, terribilmente, a tutti loro.

Evelyn, alle loro spalle, aveva fatto solo pochi passi in più rispetto a dove si erano ritrovati qualche minuto prima. Per quanto sentisse il cuore sfarfallare, per quanto il desiderio di unirsi ai giochi dei fratelli fosse forte, non se la sentiva.

Qualcosa la bloccava, una strana sensazione all'altezza della bocca dello stomaco. Come il groviglio di agitazione che l'aveva accompagnata tutta mattina.

Si guardò intorno, attenta, cercando di capire se vi fosse una qualche fregatura in tutto ciò che stava vivendo, se fosse realmente tutto vero. Le sembrava surreale che dopo tutto il loro penare quel luogo li avesse richiamati indietro così, una mattina a caso di un settembre qualunque, rendendosi conto che stava facendo lavorare la mente in modo forse fin troppo elaborato.

Era successo qualcosa.

Eve fissò lo sguardo all'orizzonte, pensierosa, non riuscendo a godersi quel momento di pace per colpa del turbine di emozioni contrastanti che sentiva vorticarle tra la testa e il cuore.

Sospirò, camminando per il bagnasciuga quasi con noia, percependo la sabbia sotto i piedi e l'acqua rinfrescarle le caviglie.

La Pevensie fece scorrere lo sguardo passandolo dai fratelli che si stavano divertendo poco più avanti, al luogo in cui si trovavano, scorgendo i riflessi dell'acqua e il promontorio che si ergeva sopra di loro. Respirò l'aria, impregnata di salsedine, percependo il sole sulla pelle, non potendo fare a meno di sentirsi, contagiata anche dalle risate dei fratelli, finalmente felice.


Narnia. E
rano di nuovo a Narnia.

Eve abbassò lo sguardo, sorridendo verso il mare, mettendosi una mano sugli occhi per ripararli dalla luce.

Quel posto le era familiare. Senza dubbio era una delle spiagge su cui solitamente lei e i fratelli si riunivano per divertirsi, passando il tempo libero facendo picnic sulla spiaggia e osservando le sirene nuotare con i delfini o esibirsi in qualche canto.

Ma mancava di qualcosa.

Stranamente, nonostante tutta la felicità di essere nuovamente a Narnia, percepiva nell'aria qualcosa di diverso, come se il senso di completezza che quel posto aveva la caratteristica di offrirle non fosse più come una volta. Come se, per l'appunto, avesse perso qualcosa d'importante. Qualcosa di importante che lo caratterizzava, e che se mancava la magia di quel posto diminuiva.

I suoi occhi chiari e attenti, estraniati dall'allegria e la calma che la circondava si focalizzarono su un mucchio di rocce, sparse in alto al promontorio che dava sul mare. Sbatté le palpebre, sorpresa, corrugando la fronte.

Rovine?


Venne riscossa dalla voce di Lucy che ripetutamente le diceva di andare a giocare con loro. Evelyn la occhieggiò divertita, immersa nell'acqua con i vestiti ormai inzuppati e gli occhi che luccicavano come la prima volta che avevano attraversato l'armadio tutti insieme.

-C'è qualcosa che non va?-

La domanda di Peter la colse leggermente di sorpresa. Non sapeva perché, ma le sembrò strano che gli altri non si fossero resi conto che c'era qualcosa di diverso, o non si fossero soffermati a controllare su tutto fosse in ordine.

-Secondo te dove siamo?- domandò di rimando, dopo aver riordinato i pensieri e sperando in cuor suo che Peter le potesse dare una risposta che la calmasse.

Che le calmasse quel senso di agitazione e ansia – forse perfino paranoia – che la stava prendendo internamente, mentre continuava ad osservare insistentemente le rovine. Che la tranquillizzasse, mentre cercava in tutti i modi di farsi venire in mente qualcosa, qualche spiegazione sul perché qualcosa le stonava terribilmente nella bellezza mozzafiato che emanava quell'angolo di pace, come solo lui sapeva fare.

Peter la osservò un attimo, poi si guardò intorno, non capendo il motivo della domanda.

-Secondo te?- le sorrise, immergendo una mano nel mare azzurro come a dare enfasi a quello che per tutti era ovvio. I suoi capelli biondi brillarono sotto il sole dorato donandogli quel fascino regale che tanto lo faceva assomigliare ad un Principe.

Evelyn sbuffò, continuando a far passare lo sguardo da Peter alle rovine, cercando di spiegargli quei dubbi che la stavano tormentando ormai da svariati minuti.

Edmund, incuriosito dal suo strano comportamento, l'aveva affiancata, cercando di studiare cosa potesse esserci che non le desse pace. Si era aspettato che più di tutti Eve avrebbe fatto i salti di gioia, sapendo quanto era affezionata a quel posto, quanto avesse atteso quel momento tanto da arrivare a sognarlo di notte... invece aveva visto gli occhi agitati della sorella dardeggiare continuamente alla montagna sopra di loro, fissandosi insistentemente su quelle che sembravano a tutti gli effetti delle rovine.

E a Narnia, lo sapevano bene, non c'erano mai state.

L'unico luogo che presentava una serie di colonne e pietre tagliate era la zona dove Aslan si era sacrificato per lui.

Edmund sospirò, intuendo i pensieri della Pevensie e ciò che stava cercando di far capire a Peter, voltandosi a guardarla, perdendo il filo dei propri ragionamenti nel momento stesso in cui i suoi occhi si fissarono sul suo viso.

Gli occhi azzurri, che erano soliti avere riflessi grigi o verdi – quei giochi di colore dati dalla luce erano la cosa che più lo riuscivano a rapire. Avrebbe passato giorni a guardarli, se avesse potuto, perdendovisi dentro. La carnagione era molto chiara, i capelli castani dai caldi riflessi ramati, tendenti al riccio sulle punte, le erano cresciuti abbastanza da arrivarle a metà schiena. E poi c'erano le labbra, poco carnose, a cui avrebbe voluto aver l'onore di... bloccò i propri pensieri, distogliendo bruscamente lo sguardo come se si fosse scottato, rendendosi conto di ciò a cui stava pensando, in che modo, e soprattutto di chi.

Certo non era la prima volta che faceva pensieri simili, ma… ma lei. Come poteva, su di lei? Da qualche anno la guardava e vedeva con occhi diversi, ormai se n'era fatto una ragione tra il rifiuto e la confusione, però dannazione, avrebbe dovuto sapersi controllare.

Poi Eve. Sua sorella.


Quella che quando c'era il temporale andava di nascosto in camera sua nel pieno della notte in cerca di protezione e se la ritrovava nel letto senza che potesse aprire bocca. Quella che era solita issarsi a paladina della giustizia per poi andare in cerca d'aiuto inesorabilmente, correndo piangente da Peter per un litigio tra bambini di sei anni.

Sospirò. Evidentemente ci sono cose che non si possono comandare nemmeno volendo e, quello, era qualcosa che stava andando fuori dalla sua portata.

Scacciò quei pensieri di prepotenza, tornando a seguire il dialogo tra i suoi fratelli, ringraziando che nessuno avesse fatto caso a lui.

-Mi pare logico che siamo a Narnia, Peter.- Eve si mise le mani sui fianchi, inclinando il viso con fare esasperato. La gioia del biondo era così palese che le si strinse il cuore al pensiero di dover rovinare l'atmosfera.

-Non ricordavo ci fossero rovine.- Evelyn voltò lo sguardo verso Edmund, in una muta domanda sul perché non fosse intervenuto prima in suo aiuto, certa che la conoscesse abbastanza bene da sapere a cosa stesse pensando. Videro i fratelli osservare le rovine sopra di loro, trattenendo il fiato. Lucy sbatté gli occhi sorpresa, guardando preoccupata Susan, Peter si mise le mani sui fianchi, pensieroso, mentre un silenzio carico di tensione si insinuò vigliaccamente tra loro.

Si voltò nuovamente verso i fratelli, passandosi una mano tra i capelli umidi ed osservandoli con cipiglio serio uno ad uno.

-Andiamo a controllare.-


***


Raggiungere quel luogo non era stato facile: era presente un sentiero che partiva dalla spiaggia, s'inoltrava nel bosco circondato da alberi e saliva fino in cima, ma sembrava che nessuno ci passasse da vario tempo ed era abbastanza tortuoso, tanto che varie volte erano stati costretti a fermarsi per aprirsi dei varchi tra le sterpaglie che avevano bloccato la strada.

Arrivati in cima si ritrovarono in uno spiazzo piano, ricoperto da quelli che una volta dovevano essere dei pavimenti in cemento, e molta erba, cresciuta incolta tra i resti di colonne. Quel luogo doveva essere in quello stato da anni, visto gli alberi imponenti che erano cresciuti tra le rocce e l'edera che ricopriva gran parte dei massi sparsi in giro.

I Pevensie si aggirarono tra quei resti a cui non riuscivano a dare un nome, pensierosi e pieni di domande.

Lucy raggiunse ciò che rimaneva di una balconata, affacciandosi, immergendo lo sguardo nel mare che sconfinava all'orizzonte. Si perse a guardare quella pozza d'acqua infinita percependo una nota di nostalgia.

Evelyn, in quel momento la più vicina a lei, si fermò a sentire la brezza marina tra i capelli, percependo un nodo alla gola rendendosi conto di non aver visto ancora nessun petalo di fiore trasportato dal vento.

-Chissà chi viveva qui.- Lucy si voltò, attirando l'attenzione sua e di Susan. Una smorfia di lieve fastidio comparve sul volto della Dolce quando pestò qualcosa di duro e spigoloso con il piede. Si chinò e raccolse l'oggetto, rigirandoselo tra la mano e accorgendosi che era uno scacco d’oro. Quello le ricordava qualcosa di terribilmente famigliare. A lei, come a Eve e Lucy che la osservavano.

-Io penso... noi.- affermò, dubbiosa, osservando Lucy come in cerca di risposte. Le tre restarono in silenzio, senza il coraggio di dire altro dopo quell'affermazione, ma l’arrivo di Edmund che reclamava che lo scacco d’oro era sicuramente suo fece scendere un silenzio ancor più pesante tra i cinque.

-Non può essere...- Eve puntò lo sguardo su Lucy, la quale fissava un punto oltre la sorella.

-Lu?- provò a chiamarla, vedendo lo sguardo della minore con una nota di sofferenza. Quella la evitò, incamminandosi verso il centro di quello spiazzo.

-Lucy, dove vai?- le gridò dietro Peter, vedendola allontanarsi da loro a passo svelto. Quella tornò indietro, prendendo il Pevensie per mano e fissando i suoi occhi in quelli pieni di confusione del fratello.

-Ma non capite?- domandò, trascinandoselo dietro e facendosi seguire da Edmund e Susan. Un albero distrasse Eve, che si perse a guardare le foglie in controluce danzare al vento, gli occhi che non si volevano staccare da quella visione tanto semplice e apparentemente normale, i muscoli del corpo che si rifiutavano di seguire i fratelli.

Nonostante tutto, quel posto era silenzioso. Un silenzio di tomba, perfino i gabbiani se n'erano andati dopo il loro arrivo. Ed era strano, familiare. Accogliente, caldo, dispersivo e serio allo stesso tempo. Era una strana aura quella che circondava quel luogo.

-Immaginate delle mura.- Lucy posizionò Peter tra Edmund e Susan, tirando poi la sorella leggermente di lato.

-E delle colonne.- indicò un punto ai due lati più esterni, da cui erano visibili delle macerie in fila a poca distanza l'una dall'altra.

-E un tetto di vetro.- la descrizione di Lucy fu ben chiara a tutti, ma nessuno osò parlare, mentre mille e più domande affollavano le loro menti e gli agitavano gli animi.

Evelyn fece capolino da dietro degli alberi, dopo essersi accorta che era rimasta sola a guardare delle foglie, ed automaticamente il suo sguardo corse ai suoi fratelli. Sgranò gli occhi, allibita, mentre l'immagine di loro, vestiti con abiti sfarzosi, si sovrapponeva a quella degli adolescenti vestiti con le divise scolastiche.

Mancava solo lei, poi sarebbe stato tutto come a…

-Cair Paravel.-

Peter parlò per tutti, spezzando il silenzio, gli occhi azzurri velati da scura malinconia. Il suo fu poco più di un sussurro nostalgico e spezzato, ma nel silenzio che li avvolgeva con solo il rumore delle onde del mare di sottofondo fu udibile come l'esplosione di una bomba.

Quanto udibile era stato il respiro mozzato dei Pevensie nel riconoscere in quel luogo la loro casa dove, da quando Aslan li aveva incoronati - chissà quanto tempo fa - avevano governato come Re e Regine. Fino al giorno in cui si erano ritrovati nella stanza vuota del professor Kirkle, l’uno sopra l’altro fuori dall’armadio che li aveva condotti a Narnia, con il padrone di casa che li guardava con aria comprensiva da dietro gli occhiali.

-Catapulte.-

-Come?- domandò Peter, voltandosi ad osservare Edmund piegato su dei resti, a studiarli.

-Non è l’usura del tempo. Cair Paravel è stata attaccata.- disse, girandosi ad osservare il fratello maggiore e poi passare in rassegna tutti gli altri, non nascondendo la sorpresa per quella scoperta.

Chi poteva aver attaccato Cair Paravel?

Eve sospirò, gli occhi vacui rivolti verso il terreno.

Cair Paravel...

La loro casa, ridotta in rovina. Ecco perché le era familiare, ecco perché riconosceva quel posto. Ci era cresciuta, lì.

Una ventata di aria le passò accanto. Invece che darle conforto però, aprì maggiormente la cicatrice dei ricordi. E gli altri? Dov'erano gli altri? E Lui? Era morto, forse? Era l'unico, che
sapeva. Era l'unico, che la capiva...


-Chi sei?-

C'è scetticismo nella voce di donna poco più che ventenne, la lama della spada puntata contro la giugulare dello sconosciuto.


-Un vagabondo in cerca di fortuna, un cantastorie, un servitore.-

-E come ti dovrei chiamare?-

Presa incerta e mano che trema impercettibilmente, di fronte a tanta sicurezza e sfrontatezza.


-Ho molti nomi, mia Regina. Decidete voi, quale dei tanti.-

Sguardo ammaliante e voce suadente, ma che con lei non funziona.
Il suo cuore è già occupato.


Sospirò, affranta, poi alzò di scatto lo sguardo, allarmata e tesa, quando un mano si posò sul suo braccio. Incontrò gli occhi limpidi di Lucy che la scrutavano e si sforzò di tirare le labbra in un sorriso, cercando di apparire serena e tranquilla.

Entrambe si concentrarono sui fratelli, poco più avanti, che si erano avvicinati ad una parete di pietra che tutti i fratelli Pevensie ricordarono come quella che conduceva nella stanza dei tesori, dove venivano raccolte le loro cose. Ora che avevano capito dov'erano riuscivano ad orientarsi meglio, e riconoscere quel passaggio segreto quando se lo trovarono davanti non fu difficile.

Dopo essere riusciti a scendere grazie alla luce fatta dalla torcia di Edmund, ognuno raggiunse il proprio baule, mentre Peter raccoglieva da terra uno scudo ritraente un leone, ormai pieno di polvere. Ci soffiò sopra, mentre parte del muso dell'animale tornava a splendere, come ai vecchi tempi in cui luccicava d'oro.

-Ero così alta?- fu la domanda di Lucy nel tirare fuori dal baule un vestito dorato e argentato ben più grande rispetto alla sua costituzione, che spezzò il silenzio generale.

-Eri più grande, allora.- le fece notare Susan, mentre anche lei osservava dentro il baule per cercare qualcosa di familiare.

-Invece ora dopo varie centinaia d'anni sei più giovane.- provò a spezzare la tensione Edmund, mettendosi un elmo che gli stava decisamente largo. La scena strappò un sorriso alle sorelle Pevensie, mentre anche Evelyn controllava nel suo baule. C'erano dei vestiti, specialmente color rosso scuro o blu notte, dei gioielli e… sussultò, nel riconoscere uno scrigno. Piccolo, in ottone, in cui dentro Eve sapeva esserci del velluto rosso come fondo.

Senza pensarci lo prese, aprendolo, rivelando due collane, i cui pendoli erano ancora abbastanza lucenti perché protetti dalla polvere, a differenza del tessuto rosso, che ora tendeva al grigio scuro. Entrambe le collane avevano due ciondoli che raffiguravano una E, la sua iniziale.

Sorrise, sfiorando con le dita i due gioielli, poi si mise sotto braccio il cofanetto, riprendendo l'ispezione del recipiente dorato.

Peter decise di andare verso il suo baule, nel frattempo che Susan faceva notare che le mancava il suo corno con cui spesso era uscita dai guai. Nonostante tutto sembrava esserci tutto il resto, in quanto in mano teneva già arco, faretra e le frecce. Anche Lucy aveva già ritrovato la sua boccetta con dentro l’estratto del fiore di fuoco per curare le ferite e il suo pugnale.

Evelyn automaticamente sperò che non ne avrebbe mai fatto uso, a parte tagliare qualche corda, in quanto era sempre stata poco incline nel vedere la sorella combattere. Lucy non era fatta per stare in mezzo alle guerre, era qualcosa su cui tutti i fratelli maggiori avevano sempre concordato.

Forse era apprensiva anche più di Peter, Eve, nei confronti di Lu. Il fatto era che era così piccola e tenera, che ad Evelyn sembrava stonare terribilmente con la crudeltà della guerra.

Edmund estrasse dal baule un semplice scudo ritraente un leone rosso e una spada.

La penultima di casa Pevensie aveva ritrovato il suo fidato bastone lungo almeno un metro e mezzo, da portare sempre affianco a sé. Era in argento, un po' opaco e un po' lucido con rifiniture d’oro a spirale, e terminava da entrambi i lati con una punta simile a quella di un pugnale dalle fatture elfiche. Era leggero e maneggevole, sembrava quasi una lancia a due punte.

Mentre lo guardava, persa nei ricordi, nell’altra mano teneva una spada. Sull'elsa aveva incastonata una pietra azzurra, che variava i riflessi a seconda della luce. I contrasti più visibili era che da azzurro chiaro passasse al verde erba, oppure al violetto se prendeva la luce del tramonto. Le era stata regalata da Babbo Natale.

Le era capitato quando c’erano troppi nemici di combattere sia con il suo Artemis, che si era fatta fare lei stessa, che con Asterius, il nome che aveva dato alla spada.

Rimise il primo nel baule, coprendolo con un telo per evitare di farlo impolverare. Per il momento non le serviva, sarebbe sopravvissuta solo con la spada, sicuramente più facile da gestire.

Mentre tirava fuori un vestito rosso scuro con gli interni e i lacci del corsetto neri, la mano di Evelyn finì inevitabilmente per toccare qualcosa di rigido, circolare, conservato in un angolo del baule e immerso in uno strato di tessuti per proteggerlo dalla polvere. Lasciò stare l'abito e prese il fagotto.

Era circolare, vuoto e apparentemente fragile se lo si stringeva troppo. Sentiva dei ricami di motivi che si sovrapponevano l'uno all'altro, e dei punti spigolosi al di sotto del tessuto. Quando tolse definitivamente i panni, lasciandoli cadere tra il baule e il terreno, Evelyn si ritrovò a fissare la sua corona. Era un miscuglio tra quella di Lucy e quella di Susan, il motivo sempre floreale, i filamenti e qualche petalo in argento, gli altri in oro giallo o bianco.

L'oggetto aveva perso la sua lucidità, l'oro era su un colore tendente al bronzo rame e l'argento sul grigiastro scuro, opaco e spento.

Quell'oggetto, una volta brillante e lucente, sembrava un insieme di pezzi senza valore di rame e ferro andati a male con l'usura del tempo. Quanti anni erano passati per far andare un gioiello che aveva resistito per quindici anni in rovina così?


Evelyn osservò la sua corona, dispiaciuta, notando come fosse solo arrugginita. Per il resto sembrava quella di sempre. Immaginò che anche quelle degli altri non dovevano essere in condizioni migliori, e a giudicare dagli sguardo di Edmund e Lucy aveva fatto centro.

Le armi avevano le loro custodie in cui riporle, le corone no, a parte il loro capo o un cuscino in camera su cui metterle quando giungeva la sera e la fine degli impegni. Magari quando sarebbero riusciti a capirci qualcosa di tutta quella situazione avrebbero trovato qualcuno disposto a farle tornare allo splendore di un tempo.

Evelyn sospirò, voltando lo sguardo nel sentire i passi di Peter avvicinarsi. Il maggiore aprì il suo baule sotto gli sguardi attenti dei fratelli. La prima cosa che prese senza remore fu la spada, Rhindon, dove all’estremità dell’impugnatura c’era la testa di leone che raffigurava Aslan. Dopo averla tirata fuori dal fodero la fissò, lo sguardo improvvisamente serio e sicuro, fiero, come il Re che era sempre stato.

-Quando Aslan fa il suo ruggito, l’inverno è già finito.-

Ricordandosi bene quelle parole Evelyn ebbe un tuffo al cuore, sentendo la gola improvvisamente secca.

-Quando scuote la sua criniera, ritorna la primavera.-

Peter la fissò intensamente, e lei, per non far vedere gli occhi leggermente lucidi, chinò lo sguardo verso il basso per poi farlo arrivare all’interno del suo baule, come se le cose raggruppate dentro fossero diventate improvvisamente interessanti.

-Quelli che conoscevamo, il signor Tumnus non c'è più.- Lucy si morse un labbro, cercando di contrastare il dolore che quella consapevolezza le provocava.

-Né i castori.- soffiò, come se a dirlo a voce alza fosse troppo. Troppo difficoltoso, troppo doloroso. Scoprire d'un tratto che gli amici di una vita non c'erano più. Che i confidenti più fedeli erano scomparsi, e non sarebbero più tornati. Che tutto ciò che conoscevano era scomparso, e che loro non c'erano stati per evitarlo.

Susan la guardò dispiaciuta non sapendo cosa dire, così spostò lo sguardo su Peter che, dopo aver osservato attentamente i fratelli ed essersi scambiato un'occhiata con Edmund, riportò lo sguardo su Evelyn e Lucy. Vedere i loro occhi lucidi gli spezzò il cuore.

-Questo è il momento di scoprire che succede.-


***


Dopo aver indossato dei vestiti della loro taglia e raccattato delle cose che potevano ritornargli utili per il viaggio o la loro permanenza, Peter, Edmund, Lucy, Evelyn e Susan uscirono dalla stanza dei tesori, armati e pronti per andare a trovare qualche creatura di Narnia e farsi spiegare cosa fosse successo mentre loro non c’erano.

I due Pevensie erano indietro, decidendo il da farsi, Lucy era in in mezzo che ascoltava, in silenzio, limitandosi a stringere la mano del biondo per cercare conforto.

L’attenzione di Eve e Susan, più avanti, venne rivolta al fiume, dove vi avevano scorto distrattamente un puntino in mezzo alla superficie piatta tanto che, se non avessero visto del movimento, non ci avrebbero fatto caso. Le due strizzarono gli occhi, puntando lo sguardo sulla barca dove si stava svolgendo la scena inconfondibile di un nano, legato e imbavagliato, che stava per essere gettato in acqua da due uomini vestiti con armature similari.

Soldati?

Eve si sorprese, non riconducendo quelle uniformi a nessuno dei regni di sua conoscenza, ma capendo da come erano vestiti che non potevano essere due uomini a caso. Quelli erano sicuramente soldati...

-Mollatelo!-

Evelyn si riprese, osservando la freccia che Susan aveva scoccato come avvertimento conficcarsi sul fianco della barca e rendendosi conto che erano state raggiunte da Peter ed Edmund. I due soldati li osservarono, decidendo di lanciare lo stesso il loro prigioniero in acqua contro ogni aspettativa.

Susan scoccò la seconda freccia, che andò dritta nel petto del primo uomo, mentre l'altro vide nel lago la sua unica via di salvezza e ci si tuffò. Nel frattempo Edmund e Peter erano corsi in acqua, il primo per salvare il nano e il secondo per recuperare l’imbarcazione. Quando il biondo tornò con il prigioniero Lucy utilizzò il pugnale per tagliare le corde che lo tenevano legato.

Il nano ci mise qualche attimo a riprendersi, sputando acqua e tossendo.

-Mollatelo?!- i ragazzi sussultarono, sorpresi, osservando il nano buttare a terra il bavaglio che poco prima non gli permetteva di parlare e guardarli, rabbioso. Non avrebbe dovuto come minimo ringraziarli per avergli salvato la vita?

-Non ti è venuto in mente niente di meglio?- la maggiore tra le sorelle Pevensie si scambiò uno sguardo confuso con gli altri.

-Un semplice grazie basterebbe…- iniziò incerta. Chi si aspettava che i due sarebbero stati tanto temerari da lanciarlo in acqua anche mentre puntava loro una freccia?

-Quei due ci riuscivano anche da soli ad affogarmi!- continuò imperterrito il suo interlocutore, indicando il punto del lago in cui era poco prima.

-Avremmo dovuto lasciarli fare?- intervenne Peter, in difesa della sorella. Il nano lo guardò dal basso, non rispondendo.

-Ma perché volevano ucciderti?- domandò Lucy, con il tono più comprensivo di tutti. Il Narniano le lanciò un'occhiata, calmandosi un poco davanti alla ragazzina.

-Gli abitanti di Telmar... quello fanno.-

-Abitanti di Telmar? A Narnia?- Edmund si rivolse a Peter, non capendo, scambiandosi un'occhiata. Da quando altri regni si permettevano di far girare i propri soldati per le loro terre?

-Ma negli ultimi secoli voi dove siete stati?- il nano lo guardò male, prima lui e poi tutti gli altri. Se avesse potuto Susan era certa che li avrebbe inceneriti con il solo sguardo.

-E’ una lunga storia.- Evelyn passò la spada a Peter, non ancora certa di aver assimilato bene il senso delle parole del Narniano. Il nano li guardò dapprima spiazzato, facendo passare lo sguardo su Eve – che alzò un sopracciglio non capendo perché la fissasse, indispettita – poi guardò l'elsa di Rhindon e Peter, finendo in uno sguardo generale.

-Voi vi state prendendo gioco di me.- l'uomo scosse il capo, rifiutando in un primo momento la conclusione a cui era arrivato.

-Voi siete… i Re e le Regine di un tempo!-

-Sono Re Peter, il Magnifico.- si presentò Peter, dopo un attimo di silenzio, tendendo la mano verso il nano. Quello lo guardò, prima lui e poi la mano gli tendeva, sospettoso. Si trovava davanti cinque sconosciuti che dicevano di essere i Re di un tempo. Potevano davvero essere loro? Dopo tanti anni passati nell'ombra, braccati come animali, era possibile che i Re delle leggende fossero tornati per loro?

Vedendo la faccia del nano sconvolta e riluttante, Evelyn rimbeccò il fratello.

-Forse potevi evitare l’ultimo appellativo.- gli fece notare, accennando ai vestiti grondanti d'acqua e stropicciati. Non certo il modo migliore di presentarsi a qualcuno.

La sua frase scatenò una lieve ilarità generale dove, nel mentre di soffocare una risata, Edmund si girò dalla parte della sorella, per non farsi vedere da Peter che altrimenti era sicuro gliela avrebbe rinfacciata per vari giorni. Quando sia lui che Eve alzarono lo sguardo ritrovandosi faccia a faccia restarono immobili, a fissarsi, l'ilarità improvvisamente svanita. Evelyn fu la prima a riprendersi, rivolgendogli un’occhiata e scuotendo la testa, lanciando un'occhiata palese verso Peter per cercare di dissimulare la sorpresa che la vicinanza del fratello le aveva dato.

Edmund si limitò ad un cenno del capo come risposta, percependo i muscoli improvvisamente tesi per quegli attimi di silenzio che li avevano avvolti.

-Forse poteva.- la roca risata del nano li riportò alla realtà, strappandoli da quella situazione.

-Rimarrai sorpreso.- Peter estrasse Rhindon, volgendo l'elsa in direzione del Narniano che lo guardò, sospettoso.

-Non vorrai sfidarmi, ragazzo.-

-Non io... lui.- negò il Pevensie, indicando con un cenno della testa Edmund. Evelyn e Susan osservarono il fratello maggiore senza capire le sue intenzioni, mentre il moro estrasse la spada, fremendo per quell'incontro. Combattere gli era mancato così tanto, sentire le dita avvolgersi attorno all'elsa della spada in modo così naturale, che aveva intenzione di sfruttare bene quella prima occasione che di potersi risentire il guerriero di un tempo.

Peter stava porgendo la spada al nano, il quale la lasciò cadere a terra con un tonfo, facendo pensare ai presenti che fosse troppo pesante per lui. Vedendo nella distrazione di Edmund per quella recita il momento buono per attaccare sferrò un colpo, e Peter si mise davanti a Susan e Lucy spingendole indietro per evitare che venissero colpite, mentre Edmund indietreggiava, colto di sorpresa, cercando di evitare gli affondi del suo avversario.

Dopo i primi attimi di stupore iniziale il ragazzo evitò un fendente che lo obbligò ad abbassarsi, e il nano ne approfittò per tirargli un pugno sulla fronte. Sentì Lucy che lo chiamava, apprensiva, e il suo orgoglio gli ruggì nel petto. Si riprese, per nulla intenzionato a farsi battere. Si allontanò di qualche passo dal nano, riuscendo a riprendere la concentrazione e la posizione di difesa.

I due si studiarono qualche attimo, dopodiché Edmund iniziò ad attaccare, riuscendo con un paio di affondi a mettere in difficoltà il Narniano fino a che quello non perse la presa su Rhindon.

L'uomo cadde a terra, in ginocchio, guardando Edmund con ancora la spada puntata verso di lui e gli altri con una faccia incredula

-Fulmini e saette, potrebbe aver funzionato quel corno!-

-Quale corno?-


























































































Oilà, gente di Cronache ^^
Allora... che dire? Nel flashback che ha Evelyn si fa spazio una nuova conoscenza, anche per i precedenti lettori. Chi sarà mai, sto qui di cui non si sà nemmeno il nome? Mah, vedremo. Allora, rimane un pò meccanica la parte in cui ogni Pevensie estrae le proprie cose dal baule d'oro, perchè è molto simile alla versione precedente, quindi lo stile è un pò ballerino, così come il pezzo del combattimento tra Trumpkin ed Edmund. Era così, e non l'ho cambiato molto, credo che si noti - ma giuro che ho cercato di fare del mio meglio!
Inoltre, finalmente si sà com'è Evelyn! (Edit: a distanza di anni e correggendo il capitolo la descrizione è un po' cambiata. Ai tempi ero in fissa con i capelli rossi ^^'''ora ho cercato di renderla una sorta di "via di mezzo" tra Susan e Lucy.)


Spero che questo capitolo - per me ancora fin troppo corticino - vi sia piaciuto, nel prossimo ritornerà un certo Principe ^^
Ringrazio tutti voi che leggete in silenzio. Le persone che preferiscono, che seguono e coloro che hanno commentato i capitoli precedenti.
*Inchino* Grazie mille, davvero :)

Un bacione
Vostra, D.

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Capitolo 5
*** Piume bruciate da purezza letale. ***


Narnia's Spirits
Piume bruciate da purezza letale.















Caspian si svegliò e strizzò gli occhi, percependo il corpo indolenzito e un fastidioso ronzio nelle orecchie. Ci mise qualche secondo a mettere a fuoco l'ambiente circostante, notando, senza preoccuparsi di nascondere la confusione che gli aveva indurito i tratti del volto, di trovarsi in un letto che non era il suo, - in una stanza che non era la sua, in una casa che non era il suo castello.

Gli eventi della notte appena passata gli furono ricordati da una fitta alle tempie e si portò una mano alla nuca, sentendo il sangue pulsare dolorosamente sotto il suo tocco.

Nel giro di un paio di secondi si ritrovò seduto, immobile, percependo la tensione irrigidirgli i muscoli tanto da fargli quasi male e trovando il proprio respiro troppo pesante nel silenzio della camera in cui si trovava.

Distingueva dei rumori provenire oltre la porta – decisamente troppo piccola perché ci passasse senza problemi un essere umano – e si alzò dal letto per avvicinarvisi. Provava un misto di sospetto e curiosità per la situazione in cui si era cacciato. La testa gli pulsava ancora, ma nonostante tutto sembrava che il solo stare in piedi avesse attutito il dolore. Si tolse la fasciatura, confuso, cercando di capire cosa dovesse fare.

Non era morto.


Aggrottò la fronte, stringendo tra le dita la stoffa che fino a poco prima gli fasciava le tempie ed osservandola stralunato. Era stato soccorso e... curato?

Perché? Perché era ancora vivo?


-Questo pane è raffermo.-

La voce che interruppe quei suoi pensieri lo fece irrigidire nuovamente. Anche se attutita dalla porta fu chiara la nota d'insoddisfazione e scocciatura che aveva permeato quelle poche parole. Caspian si ritrovò a deglutire, mettendosi ad ascoltar
e.

-Vorrà dire che gli darò solo un po' di zuppa. Dovrebbe svegliarsi tra poco.- fece una seconda, decisamente più pacata e per nulla toccata dai toni bruschi della prima. Caspian ebbe l'inconfondibile sensazione che stesse parlando di lui.

Zuppa? E se dentro ci fosse stato veleno?


-Si, credo di non averlo colpito abbastanza forte.- interruppe di nuovo la prima, piccata, dando conferma ai suoi sospetti.

-Nicabrick! È solo un ragazzo.- riprese la seconda, con un tono di rimprovero.

-E' un abitante di Telmar, non un cucciolo smarrito.- a Caspian fu chiaro, anche senza vederlo in faccia, che quel tale... - Nicabrick? - era sicuramente contrariato del fatto che fosse ancora vivo. Probabilmente il compagno con cui sembrava condividere quell'abitazione doveva averlo fermato prima che potesse fargli altro.

Il ragazzo si appiattì contro la parete, cercando di capire cosa fosse meglio fare. La seconda voce aveva una nota pacata e calma, tanto da ispirargli quasi fiducia, ed il suo possessore sembrava più che propenso a lasciarlo vivere.

Ma questo Nicabrick...

-Hai detto che ti saresti sbarazzato di lui.-

-No. Ho detto che mi sarei occupato di lui.-

…lo voleva sicuramente morto.

Caspian si ritrovò a tremare e fremere allo stesso tempo, appiccicato alla parete, indeciso su cosa fare e notando l'assenza di finestre: andare o restare? E se fosse stata tutta una messa in scena? Anche rimanendo, poi, c'era sempre questo Nicabrick che non lo vedeva di buon occhio, ed erano persone che non conosceva, non sapeva quanto potesse fidarsi di loro...

E poi, insomma, Narniani!

A corte avevano sempre detto che erano estinti. A meno che suo zio e i lord non mentissero – ma erano troppo convinti di averli sterminati tutti, per essere una bugia.

-Secondo te i suoi amici come li trattano gli ospiti?-

Caspian si rese conto, tornando ad origliare, di aver perso il filo del discorso.

-Trumpkin sapeva quello che faceva.- proferì la seconda voce, con tono amareggiato.

Il Principe si sporse quel tanto che bastava per vedere che le proprie cose erano qualche metro davanti a lui, dopo il camino che, scoppiettante, emanava un calore che in un'altra circostanza avrebbe trovato piacevole.

Si mosse senza pensarci troppo, uscendo dal suo nascondiglio con uno scatto, inciampando in qualcosa. Si diresse senza nemmeno voltarsi a vedere cosa potesse aver urtato verso la sua spada, in bella vista su un mobiletto. Ma prima che potesse afferrarla qualcuno gli si parò davanti. Caspian riconobbe in quella minuta figura che gli puntava contro un pugnale la sagoma di colui che la notte prima lo aveva tramortito senza troppe cerimonie.

Prese velocemente un attizzatoio dal camino, parando tutti i colpi che il Narniano tentava di infliggergli e stando sull'attenti, i sensi all'erta e lo sguardo che correva anche all'altro abitante della casa che però non sembrava voler entrare in quel duello.

-Dovevamo ucciderlo prima, te lo avevo detto!- quello che dalla voce riconobbe dovesse essere Nicabrick provò a sferrargli un altro colpo, che parò per pura fortuna.

-Non si può e tu lo sai!- lo riprese l'amico – a Caspian sembrava tanto un tasso. Un tasso parlante.

-Chi si mette ai voti? Io sto con lui.- ironizzò, indicando il tasso con un cenno del capo, per nulla intenzionato a spargere sangue - nè a volere che fosse il proprio, quello che avrebbe sporcato il piccolo abitacolo che a malapena gli permetteva di stare in posizione eretta.

Stava parlando con due Narniani. Si trovava nella dimora di due Narniani. Le creature di cui tanto aveva sentito parlare e verso cui nutriva un certo timore, in quanto i racconti degli uomini di Telmar, Cornelius escluso, non facevano loro molto gloria e onore. Le leggende non erano mai state a favore di quei bizzarri esseri che si nascondevano nella foresta.

-Non si può lasciarlo andare. Ci ha visti!- Nicabrick, quasi con un tono di supplica, si rivolse a Trufflehunter, non senza prima provare a fare un altro affondo verso il ragazzo. Caspian arretrò, ritrovandosi con le spalle al muro.

-Ora basta, Nicabrick. O devo sedermi di nuovo sulla tua testa?- lo minacciò il compagno, stanco di quella situazione. Il nano fece una smorfia di disappunto, decidendo di lasciar perdere. Tornò a sedersi al suo posto, non senza lasciare il suo pugnare in bella vista sul tavolino come monito.

-E tu... guarda cosa mi hai fatto fare.- Caspian trasalì quando il tono minaccioso della creatura lo raggiunse indicandogli il pavimento. Il Narniano borbottò qualcosa sulla zuppa, la fatica e il tempo perso, e Caspian si perse ad osservare attorno a sé, mille e più pensieri che gli vorticavano in testa e un senso di dispiacere per il lavoro del tasso buttato al vento. Dispiacere poi, per cosa? Nemmeno lo conosceva!

-Tu che cosa sei?- chiese, incerto, tenendo d'occhio la reazione del nano, sicuramente meno propenso alle parole. Trufflehunter smise di armeggiare con una pentola e borbottare, voltandosi per osservare Caspian.

-E' buffo. Solitamente si riconosce un tasso quando lo si vede.- il Principe si ritrovò a scuotere la testa, corrugando la fronte.

-No, i Narniani... dovrebbero essere estinti.- la sua gente era convinta che i Narniani non ci fossero più. Che gli unici abitanti e sovrani di Narnia fossero loro uomini di Telmar, che erano riusciti a sterminarli nei secoli passati.

-Deluso? Spiacente!- Nicabrick proferì quella frase condendola il più possibile con la soddisfazione di potersi prendere una rivincita su quel ragazzo che tanto gli stava antipatico.

-Ecco qua, è ancora calda.- disse il tasso, comparendo al fianco di Caspian e posandogli davanti una ciotola con del liquido fumante. Quello tentennò, il pensiero di poco prima che tornava: e se fosse stata avvelenata? Magari era tutto uno stratagemma per far credere che lui, il tasso, fosse il più buono, quello di cui ci si poteva fidare, ma che poi era pronto a colpirti quando meno te lo aspettavi.

-Da quando abbiamo aperto un ostello per soldati di Telmar?- Nicabrick, rabbioso e quasi oltraggiato, si scagliò contro l'amico. L'idea di dividere il cibo di per sé difficile da procurarsi in quei tempi in cui non potevano andare dove volevano, con uno di Telmar, uno di quelli che avevano causato la loro rovina, non gli piaceva per niente. Secondo lui, avrebbero fatto meglio a disfarsi di quel ragazzo già dalla notte prima.

Il modo in cui Nicabrick si stava comportando fece venire il dubbio a Caspian che non stessero fingendo. A giudicare dalle sue reazioni, sembravano molto naturali e veritieri il rancore e la rabbia che provava nei suoi confronti. Che confusione. Non ci stava capendo più niente.

-Non sono un soldato.- proferì poi, correggendolo, qualcosa che si dibatteva alla bocca dello stomaco.

-Sono il Principe Caspian, decimo.- precisò, gonfiando leggermente il petto, orgoglioso del suo titolo. I due Narniani lo guardarono, una vena di stupore nei loro occhi.

-E cosa ci fai qui?- domandò poi il nano, senza nascondere una nota di curiosità.

-Sono scappato.- spiegò il Caspian, rilassando le spalle e mettendo l'accessorio che aveva usato per difendersi al suo posto vicino al camino.

-Mio zio ha sempre voluto il mio trono. Immagino di essere vissuto fino ad ora solo perché non aveva un suo erede.- disse, osservando il fuoco senza vederlo davvero e assimilando per l'ennesima volta la realtà dei fatti.

Miraz.

Una scintilla d'odio attraversò i suoi occhi. Avrebbe dovuto riconquistarsi il trono che gli spettava di diritto. Come minimo gli doveva una spiegazione sul perché avesse mandato dei soldati ad ucciderlo. Scosse la testa: in fondo sapeva il perché, ma non se lo capacitava appieno. Non poteva credere che il loro legame fosse stato tutta una sceneggiata per tenerlo buono e disfarsene appena possibile.

Un pensiero nella sua testa, il corpo che si mosse da solo guidato dall'istinto in direzione delle sue cose.

Doveva andare. Doveva sistemare le cose.



***


Pulsante è la Terra e sorridente il Cielo. Scalpitante il Fuoco e splendente il Sole. L'Acqua sfuggente e il Bosco danzante. Lucente il Mare e purificante L'Aria. Unicamente simili e opposti. Eternamente legati e divisi.

Era una vecchia leggenda che l'aveva accompagnata per tutta la vita. Non ricordava come l'avesse imparata, semplicemente, nello stesso momento in cui aveva aperto gli occhi sul magico mondo di Narnia, quelle frasi avevano iniziato a far parte di lei, come una promessa impressa nella sua anima e che mai doveva dimenticare.

Alzò gli occhi blu al cielo, osservando le nuvole fluttuare leggere e il sole splendente. L'aria le raccontava, allegra e spensierata come da tempo non la sentiva, che erano tornati. Le portava le loro voci, il rumore delle armi che si scontravano, i calzari che calpestavano il terreno.

La brezza proveniente dal mare le muoveva i capelli scuri e le accarezzava la pelle, come se insieme a lei danzassero ancora petali di fiore invisibili.

La terra pulsava debolmente sotto i suoi piedi, le fibre di ogni alone di Grande Magia che ancora aleggiava in giro, seppur meno intensa, le arrivava dritta nell'anima. La catturavano e l'attiravano, circondandola come la dolce carezza di una madre per poi disperdersi nuovamente e nascondersi nell'antro più buio della sua terra come da secoli non succedeva.

Quei pochi attimi bastavano per renderla partecipe di ciò che l'essenza di quella terra a lei profondamente cara stava vedendo, percependo e sentendo, in maniera intima e quasi innaturale.
Narnia stava facendo uno sforzo immenso, in quel momento, per avvertirla, e quel pensiero le riempì il cuore di una malinconia agrodolce.

Un filo sottile, sottilissimo, che ancora la collegava all'essenza più pura del suo mondo le ricordava che non era ancora arrivata la fine.

Troppi eventi brutti erano successi in quei secoli in cui la foresta si era sempre più chiusa in se stessa, troppo sangue era stato versato perché l'ottimismo non ne venisse intaccato. Le ribellioni erano cessate, la vita così come l'avevano conosciuta era finita. Narnia e tutto ciò che faceva parte di essa era stata costretta a scomparire, nascondendosi dietro un silente muro di apparenza.

Ma le cose sembrava che stessero per cambiare. Il sottosuolo batteva a ritmo emozionato, annunciando come ai vecchi tempi – milletrecento anni, una vita in cui non aveva fatto altro che girovagare come una vagabonda in attesa del tempo opportuno – le notizie importanti. E quella che le stava raccontando, in quel momento, era sicuramente una delle notizie più importanti che aveva sentito negli ultimi decenni.

Loro erano tornati.

Si rivolse nuovamente al cielo, permettendo alla speranza di germogliarle nell'animo facendole nascere un sorriso genuino, di quelli che per troppo tempo erano mancati a rallegrarle il viso e che, mentre iniziava a saltare di ramo in ramo per raggiungerli, non ebbe la forza di reprimere.

Avrebbe vegliato su di loro.

Al momento opportuno, poi, si sarebbe poi mostrata.


***


I Pevensie si presentarono del tutto quando Trumpkin diede segno di voler credere nella loro storia, di credere davvero che quelli che si era trovato davanti erano gli antichi Sovrani dell'età d'oro. Gli spiegò, non senza una nota di stizza nella voce, gli ultimi avvenimenti e quanto tempo fosse passato dalla loro scomparsa.

Milletrecento anni.


I Pevensie si erano guardati, in preda alla confusione più pura, l'angoscia sembrava come un pugno che gli era stato dato direttamente nello stomaco. Sapevano che a Narnia il tempo scorreva diversamente, era stato chiaro quando quindici anni erano stati racchiusi in una manciata di minuti nel loro mondo, ma non avrebbero mai immaginato un risvolto simile. Avevano intuito che la situazione fosse grave, vedendo Cair Paravel distrutta, ma... non pensavano così tanto.

Mano a mano che passavano il tempo li, in quella terra che era stata la loro casa e che faticavano a riconoscere, si rendevano sempre più conto che da quando erano tornati in Inghilterra, molte, moltissime cose erano cambiate da quel momento.

Narnia era stata invasa dai Telmarini, e nonostante i tentativi dei Narniani di opporsi e difendere le loro terre, alla fine si erano arresi, rifugiandosi nella foresta. L'esercito era troppo forte e privo di minimi segni di umanità. I Telmarini uccidevano, torturavano, giustiziavano i Narniani, visti come parassiti da eliminare e creature di cui non riuscivano a capirne la natura bizzarra, troppo diversi per provare a comprenderli.

Si erano presi il regno con la forza, risparmiando una parte di foresta per la paura delle leggende che circolavano riguardo essa e i suoi interni più nascosti – molte truppe si erano addentrate senza farne più ritorno. Gli raccontò anche della fuga del Principe Caspian, dicendo che era stato lui a suonare il corno appartenente alla Regina Susan e che, secondo le leggende, aveva il potere di riportare gli antichi sovrani a Narnia.

I Pevensie avevano ascoltato senza interrompere, mentre le cose si facevano più chiare mano a mano che venivano a conoscenza degli ultimi eventi.

Decisero di prendere l’imbarcazione per arrivare dagli abitanti di Narnia sotto la guida di Trumpkin, aiutandosi con il fiume per evitare di dover perdere tempo camminando. Non passò inosservato a nessuno dei Pevensie quanto il nano fosse diffidente nei loro confronti, e quanto probabilmente ce la dovesse avere con loro.

Avevano abbandonato il regno, i loro ruoli di Sovrani, facendo cadere Narnia in rovina e non aiutando il loro popolo contro le invasioni di Telmar. Non c'erano stati per provare a fare dei trattati, per organizzare l'esercito, per tenerli uniti. I Narniani si erano ritrovati senza Regnanti, senza qualcuno da seguire, spodestati dalle loro case e dovendo rinunciare a tutto ciò che di più caro avevano.

La cosa che Trumpkin non poteva sapere, di cui nessuno probabilmente era a conoscenza, però, era che stato un errore.

Uno sbaglio terribile.


Si erano ritrovati davanti al lampione e presi da una curiosità assurda e vaghi ricordi che incespicavano per tornare a galla si erano spinti fin dentro l'armadio guardaroba, ritornando a Londra prima che potessero capire ciò che stavano facendo. E prima che se ne rendessero conto quella magnifica avventura che comprendeva la loro vita era finita, spazzata via come foglie dal vento o distrutta come un castello di sabbia.

Forse, però, un lato positivo c'era: se avessero continuato a regnare alla fine sarebbero morti, e probabilmente Telmar avrebbe preso lo stesso il sopravvento su Narnia. Con la differenza che questa volta loro non sarebbero potuti andare ad aiutare la loro casa e il loro Regno.

I fratelli presero posto sulla barca, ognuno immerso nei propri pensieri, cercando di assimilare le varie notizie appena ricevute.

-Sono immobili.-

L’attenzione dei Pevensie e di Trumpkin venne attirata dal tono affranto di Lucy. La ragazzina continuava a fissare gli alberi, negli occhi un luccichio di nostalgia. Perché non l'accoglievano come avevano fatto un tempo? Dov'erano i petali di fiori che danzavano nell'aria?

-Sono alberi, che ti aspetti?- puntualizzò il nano, burbero, dopo aver dato un'occhiata veloce alla foresta intorno a loro e capendo a ciò che alludeva. Come poteva quella ragazzina sperare ancora di vedere Narnia come un tempo dopo tutto quello che era successo negli anni? Da dove trovava quella speranza?

-Una volta danzavano.- s'intromise Eve, guardandolo seria e convinta di ciò che diceva, intimandogli con sguardo tagliente di portare rispetto. Non le era piaciuto il tono con cui aveva risposto a sua sorella ed era scattata subito come una molla.

Si sporse poi in modo da poter toccare l’acqua cristallina del fiume, percependone il freddo farle venire la pelle d'oca al braccio, creando una leggera scia nello specchio apparentemente fermo. Non appena la punta dell'indice si immerse quasi totalmente sospirò, intimando a se stessa di calmarsi.

Trumpkin la osservò, pensieroso, lanciando un'occhiata dispiaciuta a lei e a Lucy, cercando di ignorare lo sguardo di rimprovero che gli stava rivolgendo Edmund.

-Quando voi ve ne siete andati gli abitanti di Telmar ci hanno invaso. I sopravvissuti si sono rifugiati nella foresta, e gli alberi si sono così in chiusi in loro stessi da non dare più segni di vita.- spiegò, sforzandosi di usare un tono meno brusco.

-Non capisco... Aslan come ha potuto permettere tutto questo?- domandò Lucy, confusa. Il leone teneva a loro, teneva a Narnia. Perché non mostrarsi e far fuggire gli intrusi?

Al nano fu chiaro, dove riponesse le sue speranze la Regina. Si sentì colto sul vivo.

-Aslan? Ci ha abbandonati. Come avete fatto voi.- accusò. Evelyn rialzò lo sguardo e si scambiò un occhiata con Peter che le stava davanti, poi lo spostò sul nano stupida dalle sue parole, non capendo: davvero Aslan non aveva fatto niente?

-Non volevamo andarcene, sai?- intervenne Peter, continuando a remare ma voltando leggermente la testa verso il Narniano, per tentare di scorgere la sua reazione.

-Ormai non ha importanza.- disse Trumpkin, alzando leggermente le spalle in un gesto di indifferenza. Peter strinse le mani intorno ai remi, sentendosi impotente di fronte al tono piatto con cui parlava il nano.

Senza speranza.


Ma Peter non era conosciuto per il poco orgoglio e il lasciare le cose a metà. Era forse il più testardo tra i cinque sovrani. E aveva tutta l'intenzione di riprendere in mano le redini di quel regno a lui tanto caro.

-Portaci dagli abitanti di Narnia, e l'avrà.-


***


Eccoli.

Sorrise inconsciamente, ma fu abbastanza perché la chioma dell'albero su cui si era appollaiata si scuotesse leggermente.

Si trovava sulla spiaggia opposta a quella su cui loro avevano attraccato, ma attraversare il fiume non sarebbe stato assolutamente un problema per lei. Una cosa, però, attirò prima che potesse fare qualcosa la sua attenzione, facendole tendere i sensi.


***


Avevano proseguito il resto della navigazione in silenzio – un silenzio pesante e carico di tensione, di cose non dette e ricordi troppo lontani da poter essere ripresi.

Gli unici ad aver conversato maggiormente erano stati Peter e Trumpkin, che discutevano sul tragitto da fare, palesando quanto già le loro idee fossero differenti. Fu subito chiaro quanto trovare dei punti d'incontro non sarebbe stata un'impresa facile.

Trumpkin scese per primo quando arrivarono alla spiaggia a cui avrebbero attraccato, fissando l'ancora al terreno, seguito da Peter che lo aiutò a tirare maggiormente la barca a riva per far scendere le sorelle. Lucy e Susan sbarcarono per prime, seguite da Evelyn che Edmund fece passare per poter sistemare meglio i remi nella barca.

Eve si guardò intorno, notando come la spiaggia su cui si trovavano fosse silenziosa e deserta. Nonostante ciò, la ragazza si immobilizzò pochi attimi dopo, come colta sul vivo, percependo un senso di angoscia e sospetto invaderla – qualcosa che le fece tendere tutti i sensi. Era una sensazione che conosceva troppo bene... l'inconfondibile sensazione di essere spiata.

Qualcuno li stava osservando.

Iniziò a guardarsi freneticamente intorno, cercando di scorgere quelli che potevano essere dei pericoli che li attendevano nell'ombra della foresta che, silente, si estendeva intorno a loro, non notando però niente di particolare. Osservò i fratelli, ancora intorno alla barca, sentendosi immediatamente rassicurata dalla loro tranquillità.

Forse se l'era sognato. Magari si stava soggiogando da sola per colpa di tutto ciò che era accaduto e che era venuta a sapere.

Nello stesso momento in cui Evelyn tornò dai fratelli Lucy iniziò a girare per la spiaggia, guardandosi intorno, notando senza problemi i cambiamenti che Narnia aveva subito. Nessuna presenza, se non la loro, sembrava trovarsi in quel luogo. Notò, poco lontano e nascosto da dei tronchi caduti, un orso: le dava le spalle ed era intento ad annusare per terra.

-Ciao.- sorrise, iniziando ad avvicinarsi. I fratelli osservarono la scena con occhio vigile, ma senza mostrare segni di preoccupazione.

A Narnia gli animali parlavano.


L'orso si alzò sulle zampe posteriori, annusando l'aria e studiando la Pevensie che continuava ad avvicinarsi a lui, amichevole e ignara di ciò a cui stava andando incontro.

-Stai tranquillo, siamo amici.- disse, rassicurante. Forse l'orso fingeva di comportarsi da animale per paura che fossero Telmarini.



***


Orso.

La sua mente processò la situazione che si stava creando prima di lei. Prese senza pensarci l'arco dalle intarsiature lattee, seguito da una freccia dalle piume color bianco, sperando che il suo intervento non fosse necessario ma sentendosi irrimediabilmente coinvolta in quella scena.

Il bianco di quelle piume si era già troppe volte macchiato di sangue.


***


Trumpkin aveva appena finito di sistemare burberamente e con i suoi soliti movimenti schivi l'ancora al terreno, cercando di evitare la vicinanza dei Pevensie appena gli era possibile. Alzò lo sguardo, inchiodandolo sulla figura di Lucy che camminava verso l'orso e sentendo il fiato mancargli nei polmoni. Chiunque avrebbe capito che l'animale non aveva un comportamento amichevole e stava prendendo la carica.

A cosa stava pensando quella ragazzina?

-Non ti muovere, Maestà.- disse, tornando verso la barca per prendere il proprio arco.

Lucy dapprima non capì cosa volesse dirle il nano, e scorse la stessa confusione nelle occhiate che i fratelli scoccarono al Narniano. Tutto fu più chiaro quando l'orso iniziò a correre, prendendo la carica nella sua direzione, ringhiando e sbavando.


***


Incoccò la freccia e tese la corda dell'arco, fino a portare le piume bianche del dardo vicino alla sua guancia, sentendole darle un leggero prurito. Prese la mira, strizzando leggermente un occhio e attese, silenziosa come una predatrice accoccolata sul ramo e semi nascosta grazie alla chioma dell'albero.

Svuotò la mente di tutti i suoi pensieri e le emozioni, gli occhi che non si staccavano dal suo obbiettivo e la scena a cui stava assistendo. Abbassare la guardia era qualcosa che poteva costarti la vita ed i Pevensie sembravano star capendo quella lezione in quel momento.


***


-Stai lontano da lei!- impose Susan, già con l'animale sotto tiro. C'era qualcosa, però, che la fermava dallo scoccare e uccidere.

Ricordi.

Gli animali parlanti, che rivelavano la loro natura anche dopo vario tempo. Ma questo, invece, non dava segno di aver capito che a parlare era stata l’antica Regina. Continuava a correre verso Lucy, caduta a terra, i ringhi animaleschi che uscivano dalla sua bocca e una ferocia che di antico e magico non aveva nulla. L'istinto lo guidava verso quella preda tanto facile, nessun tentennamento rivolto a coloro che gli puntavano le armi contro.

Peter ed Edmund sollecitarono Susan a tirare, mentre correvano verso Lucy con le spade sguainate, la paura che montava e un senso di perdita immediato che si stava irradiando in tutti loro.


***


Era una distanza lunga, molto lunga, e il suo dardo rischiava di non arrivare, risucchiato dallo specchio d'acqua che la separava dall'altra riva su cui sarebbe dovuta andare per seguirli.

Ma l'aria, un minimo accenno di vento, era a sua disposizione. Era uno sfrozo immane, ma poteva farcela. Avrebbe accompagnato la sua freccia, facendola arrivare proprio dove voleva lei.

Susan avrebbe potuto salvare Lucy in pochi attimi, ma non si decideva a lanciare la freccia e, per quanto le bruciasse lo stomaco al pensiero di dover uccidere, non poteva permettere che le cose iniziassero ad andare male già dopo poche ore dall'arrivo dei Pevensie. C'era in gioco molto di più.

-Mi dispiace.-


Un sibilo.

Un sibilo che passò accanto a tutti loro, evitandoli e procedendo verso un altro obbiettivo. Un dardo bianco che tagliò l'aria e insieme ad essa colpì l'animale, ferendolo a morte.

L'orso perse la vita, accasciandosi a terra disteso su un fianco, una posizione da cui non si sarebbe alzato più.


Sorrise. Un sorriso diverso rispetto a quello che l'aveva accompagnata per tutto il suo precedente tragitto. Un sorriso di circostanza, una triste mezzaluna nata per la felicità della loro salvezza e scemato per la vita che aveva dovuto strappare via, togliendo a Narnia l'ennesimo abitante delle sue terre.

Come se non fossero stati già in pochi.

Si nascose maggiormente nel fitto degli alberi, saltando su qualche ramo indietro incurante di aver rivelato in parte la sua presenza con quella mossa azzardata. La freccia che aveva appena tirato era inconsciamente impregnata dell'alone di Grande Magia che la circondava dalla nascita.

L'odore del sangue non fece a meno di raggiungerla, esprimendo tramite l'aria e i rumori della foresta tutta la rabbia sul suo gesto avventato. Le macchiò una parte di coscienza e quel bianco latteo che la distingueva, ma fece tacere tutto inglobandosi nel silenzio che spesso l'aveva accompagnata e che da anni era diventato suo compagno più fidato.

Lucente Dhemetrya. Lo era ancora?


***


La prima a ridestati fu Evelyn, che corse verso Lucy per vedere se stava bene. Rinfoderò Asterius mentre procedeva velocemente verso di lei, sentendo il cuore rimbombarle fin nel cervello per la paura di quello che sarebbe potuto succederle.

-Perché non si è fermato?- Susan abbassò l'arco, negli occhi una scintilla confusa, consapevole che il suo tentennamento poteva costare la vita ad una parte della sua famiglia. Cercò aiuto in Peter, che le mise una mano sulla spalla e le rivolse uno sguardo di conforto. Chiunque di loro avrebbe avuto i suoi stessi tentennamenti.

-Ho il sospetto che avesse fame.- Trumpkin la superò, incamminandosi verso la carcassa dell’orso con passo svelto.

Evelyn arrivò da Lucy con il fiatone, negli occhi un misto sollievo che stava prendendo il sopravvento sul panico che era dilagato dentro di lei pochi attimi prima. L'aiutò a tirarsi in piedi, appoggiandole le mani sulle spalle e guardandola dritta negli occhi, come per assicurarsi che non le fosse stata strappata via. Le sorrise, non nascondendo tutto il tumulto di emozioni che l'avevano assalita e che solitamente non lasciava trapelare.

I fratelli e Trumpkin le raggiunsero pochi attimi dopo, e il maggiore circondò con il suo braccio le spalle di Lucy, la quale si aggrappò al suo petto in cerca di protezione.

-Grazie.- sussurrò da contro la casacca di Peter. Trumpkin si limitò a corrugare la fronte.

-Era selvatico.- Edmund fece quella constatazione, non nascondendo un senso di stupore per la notizia nuova appena appresa. Aveva ancora in mano la spada rivolta verso l'orso.

-Penso non sapesse parlare.- spiegò Peter, serio, il braccio che cingeva ancore le spalle della sorella minore.

-Se ti trattano a lungo come una bestia finisci per diventarlo.- Trumpkin s'intromise nel discorso dei due Re, sottolineando loro per l'ennesima volta che erano passati centinaia d'anni e non qualche settimana dalla loro scomparsa.

-Scoprirete che Narnia è più selvaggia di come ricordavate.- affermò, alzando una zampa dell'animale e rivelando la freccia. Una freccia dalle piume bianco purezza.

-Io pensavo… che lo avessi colpito tu.- disse Eve in un sussurro, rivolta al nano ma senza guardarlo in faccia. Era ammaliata da quel bianco. Quel colore così candido da cui non riusciva a togliere gli occhi. Così diverso dal rosso sangue caratteristico delle frecce di Susan, eppure ugualmente mortale.

-No. Probabilmente è intervenuto qualcun altro prima che fosse troppo tardi.- quella spiegazione di Trumpkin lasciò vari dubbi ai Pevensie, che però si limitarono a restare nel silenzio senza esporre le loro domande, ancora scombussolati per ciò che era accaduto. Perché non rivelarsi, allora?

Evelyn non continuò a seguire il discorso, focalizzando la sua attenzione sul dardo conficcato nel cuore dell'orso. Aveva una strana sensazione di famigliarità.

-Voglio quella freccia.- la voce le uscì prima che potesse fermarla, più fredda di quello che avrebbe voluto. Un sibilo basso che s'immerse nel discorso delle persone intorno a lei senza il minimo tatto.

La freccia. Il suo unico obbiettivo era la freccia.

La freccia. Le suscitava emozioni lontane, ma che sentiva essere sue con tutta se stessa, delle sensazioni inspiegabili che sembravano stare ribollendo per tornare a galla.

-Ma certo, Milady.- Trumpkin le rispose semi ironico per il tono con cui Eve si era rivolta loro, estraendo l'arma e pulendola con un panno già di per se sporco. La porse poi ad Evelyn, che la prese mettendosi ad osservare il dardo in una maniera quasi malata.

Era qualcosa che le nasceva alla bocca dello stomaco, irradiandosi in tutta se stessa e annebbiandole la mente. Si dibatteva per uscire, ma c'era qualcosa che la fermava.



***


Sentì la forza magica nascere e provenire da quella direzione. Richiamò a se la Magia che impregnava il dardo che aveva tirato. Scosse che la raggiungevano, impercettibili fili di luce visibili solo a lei che s'irradiavano nel terreno fino a raggiungerla ed inglobarsi in lei, ridandole un po' della forza a cui aveva rinunciato per poter salvare Lucy.


***


Quando sentì una scossa interna invaderla sembrò rinsavire, e tutta la sua attenzione per quell'arma scemò via. La guardò, quasi stralunata, non riuscendo a dare una spiegazione a ciò che l'aveva colta in quei minuti.

Peter intimò a tutti loro di muoversi e seguirlo, desideroso di lasciare quel posto che gli stava riservando troppe sorprese inaspettate. Evelyn prese a camminare dietro gli altri, stringendo la freccia fino a rischiare di spezzarla, un unico pensiero che le girava per la mente.

Chiunque avesse salvato sua sorella avrebbe ricevuto i suoi ringraziamenti.


***


Peter si era messo in testa al gruppo, conducendo i suoi fratelli e Trumpkin attraverso un sentiero nella foresta che era sicuro li avrebbe portati verso il fitto della foresta. Non avevano immaginato che il tempo passato avesse cambiato l'ambiente ed i sentieri in quel modo quasi drastico. I Pevensie si resero conto di non riuscire a trovare dei punti di riferimento per orientarsi.

-Non mi ricordo questo sentiero.- mormorò Susan, affiancata da Lucy. Dietro di loro Evelyn le seguiva in silenzio, reggendo ancora la freccia, e a chiudere il gruppo c'erano Edmund e Trumpkin.

-L’orientamento è il vostro problema, ragazze.- le prese in giro il maggiore, voltandosi a guardarle.

-Ma noi almeno abbiamo un cervello.- lo rimbeccò Lucy, spontanea. Un sorriso si disegnò sui volti di Susan ed Eve, fiere di loro sorella, mentre Peter fece finta di non aver sentito quella frecciatina.

-Vorrei tanto che ascoltasse il nostro CPA per cominciare.- disse la Dolce, rivolgendosi alle sorelle. Peter era sempre il solito orgoglioso testardo.

-CPA?- domandò Edmund, intromettendosi. Dopo aver scambiato un'occhiata con le sorelle che si erano girate a guardarla Evelyn prese parola per tutte e tre.

-Caro Piccolo Amico.- spiegò, mentre girava leggermente il capo verso il fratello e fermandosi un attimo. Rivolse un'occhiata eloquente al nano, riprendendo poi a camminare dietro le sorelle che nel frattempo avevano continuato a seguire il maggiore.

-E' bello essere... trattati alla pari.- Edmund si fermò e guardò Trumpkin, leggendogli nello sguardo una scintilla di sorpresa.

Peter era rimasto immerso nei suoi pensieri, estraneo ai discorsi dei suoi fratelli e di Trumpkin, la mente concentrata che cercava di ricordare qualcosa di famigliare che potesse aiutarlo. Non aveva tempo da perdere. Saltò su un sasso, mettendosi le mani sui fianchi e riprendendo fiato, osservando con occhio critico i massi sporgenti e la vallata in cui si trovavano. La disposizione degli alberi sembrava sempre così uguale, sarebbe bastato il minimo segno familiare per... oh.

-Non mi sono perso.- esalò, gonfiando il petto e fissando un punto poco più avanti. Avrebbe riconosciuto quelle rocce anche se fossero passati altri mille anni. Avevano una forma troppo particolare.

-No. Stai solo andando nella direzione sbagliata.- lo riprese Trumpkin, interferendo nei suoi pensieri.

-Hai lasciato Caspian nella foresta tremante e la via più veloce per arrivarci è attraversare il fiume rapido.- decretò, girandosi e fulminando il CPA, per nulla contento.

-Però se non sbaglio non c'è nessun guado da queste parti.- gli fece notare Trumpkin, senza abbassare lo sguardo. Sicuramente non sarebbe stato un ragazzino che per secoli era mancato a fargli cambiare idea sul fatto che non c'era nessun fiume.

Peter strinse la mascella, non distogliendo gli occhi dal Narniano e senza preoccuparsi di non mostrarsi ostile.

-Mi pare chiaro: ti stai sbagliando.-


***


Sbuffò, scocciato ed irritato, quando il fiume che avrebbero dovuto attraversare faceva la sua bella figura a centinaia di metri sotto rispetto al promontorio su cui tutti loro si trovavano.

-Non mi ero sbagliato.- cercò di discolparsi, non facendo caso agli sguardi eloquenti che gli venivano lanciati. Odiava dover ammettere di essere in errore.

-C'è un modo per scendere?- domandò Edmund, senza perdere la calma.

-Si. Cadere.- fu la risposta piena di ironia che gli riservò il Narniano. Trumpkin sospirò, cercando di mandare giù l'irritazione per il tempo perso.

-Un guado è vicino a Beruna, che ne pensate di nuotare?- domandò, lanciando uno sguardo ai ragazzi. Peter osservava ancora il fiume con mal celato disappunto, Susan ed Edmund lo stavano ascoltando con attenzione.

-Meglio che camminare.- fece la maggiore delle sorelle, pronta a seguire il nano verso il fiume appena citato.

Evelyn sussultò, scorgendo un bagliore dorato nella foresta di fronte a loro e che avrebbe associato solo ad un nome.

-Aslan?- si fece sfuggire in un sussurro, bloccando tutti gli altri. Il tempo di un battito di ciglia e in quello stesso punto non riusciva a vedere più niente. Distolse lo sguardo, non capendo e corrugando la fronte: quella che aveva scorto sembrava tanto un'ombra dorata, più che una figura in carne ed ossa.

-E’ Aslan! Guardate c'è Aslan laggiù non lo vedete è proprio…- Lucy non poté fare a meno di trattenere l'entusiasmo, iniziando ad urlare per la foresta il nome del leone. Evelyn sorrise, inconsciamente rassicurata dalla sorella. Ma mentre Lu si girava pronta a salutarlo la voce le si mozzò in gola e il sorriso di entrambe sparì nel vedere che la parte opposta della rupe era vuota.

-…lì?- finì per lei Eve, sentendo la gola secca. Si scambiarono uno sguardo confuso, tornando poi a fissare la vegetazione oltre il burrone. Perché Aslan s'è ne era andato via?

-Lo vedete anche adesso?- mentre continuavano a fissare il bosco nella speranza di scorgere il protagonista dei loro dubbi tra la vegetazione, la voce di Trumpkin le riportò alla realtà con l'indelicatezza di uno schiaffo. Evelyn si accostò alla sorella, indispettita.

-Noi due non siamo pazze.- fece, fulminandolo con lo sguardo, sentendosi colta sul vivo.

-Era lì, voleva che noi lo seguissimo.- disse Lucy, rivolta a Peter, inchiodandolo con i suoi occhi speranzosi sul posto.

-Ci saranno di certo molti leoni in questa foresta, come quell’orso- iniziò Peter, esitante, rivolgendole uno sguardo di scuse.

-Penso che io ed Eve siamo capaci di distinguere Aslan se lo vediamo.- ribatté Lucy, arretrando un poco. Era sicura che Peter l'avrebbe ascoltata, invece sembrava concordare con Trumpkin.

-Non ho intenzione di buttarmi giù da una rupe per seguire uno che non esiste.- s'intromise il Narniano, che in Aslan e nella sua esistenza aveva smesso di credere da tempo.

-L'ultima volta che non ho creduto a Lucy ho fatto la figura dello stupido.- provò Edmund, sperando in qualche modo di aiutare le due sorelle minori. Le aveva osservate, aveva visto la scintilla di sicurezza che animava i loro sguardi, la posa di superiorità che aveva assunto Eve – quel modo di porsi che sempre le aveva visto assumere quando sapeva di averla vinta contro qualcuno.

-Perché io non l’ho visto?- domandò Peter, dopo qualche attimo di riflessione.

-Forse non stavi guardando.- ipotizzò Eve. Forse stava dando la schiena ad Aslan quando si era mostrato a lei e Lucy. Peter guardò un ultima volta la parte opposta, sospirando pesantemente e scambiandosi uno sguardo con Susan che ancora non aveva parlato. Non aveva voglia di fare ancora la figura dello stupido.

-Mi dispiace.- mormorò, facendo poi un cenno del capo verso Trumpkin. Eve fece per ribattere e allungò la mano verso la schiena del Magnifico, lasciando poi perdere capendo che non ne valeva la pena. Fissò le schiene dei due fratelli maggiori allontanarsi, iniziando a venire inghiottiti dalla foresta, portandosi le mani alle tempie per massaggiarle.

Nemmeno era passato un giorno e già le cose si stavano facendo strane.

Lucy si perse ancora qualche secondo per contemplare la parte opposta, dopodiché si girò verso Edmund, che le stava aspettando. Il moro le mise una mano sulla spalla, cercando di sorriderle, sentendosi in difetto per non aver provare ad essere più convincente e percependo lo sguardo afflitto di Lucy che gli si inchiodava nella mente. Sembrava tanto lo stesso di quando non le avevano creduto la prima volta che era stata a Narnia.

Evelyn si voltò un'ultima volta, cercando di osservare oltre il primo strato di foresta, ignorando gli altri più avanti.

-Eve, vieni?- sussultò, cercando di mascherare l’imbarazzo che la voce inaspettata di Edmund le aveva messo addosso, superandolo con uno scatto.

-Si, scusa.-

Edmund le si affiancò nel giro di qualche secondo, ignorando la voglia di prenderla per mano che l'aveva preso per cercare di confortarla. Per vari minuti nessuno dei due provò a rompere il silenzio che si era creato.

-Perché l'abbiamo visto solo noi?- domandò Eve, decidendo di dare voce ai propri pensieri.

-Non lo so, mi dispiace.- mormorò il fratello, non sapendo dare una spiegazione logica all'accaduto e facendo spallucce. Evelyn si bloccò di colpo, fraintendendo il tono apparentemente indifferente che aveva usato il Pevensie accanto a lei e sentendosi tradita da quel fratello che invece era sempre pronto a sostenerla.

-Anche tu non credi a me e Lucy? Credi che siamo diventate pazze?- insinuò, sgranando gli occhi, sentendosi più ferita di quanto si aspettasse. Vedendo lo sguardo di lei, Edmund sentì l'ansia fargli mancare il respiro.

-Non è questo il punto. Ti credo, vi credo. Solo dopo ciò che è successo prima e mentre eravamo qui a Narnia la prima volta ho capito che devo imparare ancora molto da Peter.- provò a spiegarle.

Evelyn si ritrovò a provare a ribattere, per nulla concorde con il discorso di Edmund. Molte volte avevano parlato di quanto Ed si sentisse ancora responsabile – fin troppo – di ciò che era successo tempo addietro.

Il loro discorso non andò avanti solo perché Peter, poco più avanti, li richiamò dandogli delle lumache.









































































































Ciao a tutti! Sono tornata, per vostra sfortuna xD
Allora, passo subito al capitolo, in cui ho lanciato molte esche nuove. Chissà chi è, questa nuova personaggia che sorveglia i Pevensie... chissà perchè la sua freccia ha ammaliato così tanto Eve, cosa c'è realmente dietro... Per la nuova personaggia dovrete aspettare, arriverà anche lei a far parte dei nostri tra non molti capitoli :) Altro? Ah si, la scena di Caspian: ho cercato di dare il meglio, ma non sono tanto sicura del risultato finale .____.
Non ho altro da dire, credo, se non che spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto. Ringrazio le persone che preferiscono e che seguono. Ed inoltre coloro che commentano i capitoli e leggono in silenzio <3 Sono molto, tanto, veramente felice che questa nuova versione stia avendo un maggiore successo, e di aver fatto bene a rivederla.
Vi lascio, ci si vede con il prossimo capitolo.
Love,
D

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Capitolo 6
*** Incontri dettati da sogni. ***


Narnia's Spirits
Incontri dettati da sogni.































Camminava per la foresta di Narnia da mattina inoltrata, quando, dopo essersi svegliato con un senso di confusione, aveva lasciato la dimora dei due Narniani che lo avevano accolto e curato.

Curat
o.

Modellò un sorriso sghembo, un angolo della bocca che si alzava senza che lo volesse del tutto, al pensiero di sapere d'essere sopravvissuto all'attacco notturno da parte delle guardie Telmarine e, sopratutto, vivo.

La luce del sole di mezzodì passato filtrava prepotentemente dalle fronte degli alberi, illuminando il sentiero di felci e arbusti che stava attraversando, abbagliandogli a tratti gli occhi e donandogli una sensazione di calore avvolgente tutt'attorno a sé, riscaldandogli la pelle sotto gli abiti; distendeva i muscoli e rilassava la mente, come quando si fa un bagno caldo con massaggi e oli profumati. Era come se lo stesse ricaricando, motivandolo ad andare avanti nella sua impresa di volersi riprendere il trono ed il proprio regno.

Si era messo in viaggio senza nemmeno mangiare la zuppa che Trufflehunter – aveva poi scoperto il nome del tasso parlante – gli aveva gentilmente offerto mentre con cura lucidava l'oggetto magico della Regina Susan, prima di riporlo con delicatezza in una sacca di velluto.

Fermò la mente al pensiero errato che stava facendo, correggendosi: un assaggio del cibo che il tasso e il nano avevano condiviso, non senza qualche lamentela da parte di Nicabrick, con lui, lo aveva fatto. Il liquido era abbastanza caldo e saporito, ma per Caspian era un sapore tutto nuovo. Probabilmente era fatto con legumi, arbusti, radici, e qualche ingrediente a lui sconosciuto. Una zuppa buona e gradevole, doveva ammettere, anche se non sapeva se fosse meglio rimanere all'oscuore di cosa avesse ingerito o meno.

Quando poi aveva appurato di star perdendo nuovamente del tempo prezioso si era alzato di scatto dal pavimento su cui si era seduto, poiché gli sgabelli erano veramente troppo piccoli e a misura di bambino perché ci stesse, rischiando di pestare la testa per il soffitto troppo basso – con grossa delusione di Nicabrick per l'evento mancato – ed aveva finito di prepararsi, questa seconda volta non interrotto da Trufflehunter.

Le uniche cose che si era premurato di prendere una volta pronto, poi, erano state le sue cose, tra cui la spada e il corno.

Il corno.

La sua mano corse alla borsa a tracolla che portava all'altezza del fianco e che conteneva l'oggetto tanto importante per il suo maestro. Tastò attraverso la barriera scamosciata il profilo ricurvo, percorrendone a grandi linee la forma, fino ad arrivare a toccarne l'estremità, a forma di testa di leone.

Aslan.

Il grande felino protettore e sovrano di Narnia. L'impronunciabile, colui che secondo Cornelius non si faceva sentire da secoli, dai tempi dell'Età D'oro, e che non era arrivato in aiuto della sua terra nemmeno durante le guerre tra Telmarini e Narniani.

Esisteva ancora?


Caspian sospirò: le domande che gli premevano erano altre in quel momento.

Come faceva il suo maestro ad avere quell'oggetto?

Non se lo capacitava appieno, nonostante sapesse la soluzione. Aveva intuito che il suo precettore tenesse moltissimo a quel corno antico, sopravvissuto durante secoli di guerre, ed era stato tanto impavido da andare cercarlo per la foresta di Narnia, indifferente al rischio che correva se a corte, o gli altri Narniani, lo avessero scoperto.

Il tutto basato sulla leggenda che il corno, se suonato, riportava indietro i Sovrani dell'Età D'oro.

Cornelius aveva trovato, ed affidato poi a lui, l'ultima salvezza che rimaneva per Narnia.

Con i vecchi Re molto probabilmente i Narniani rimanenti si sarebbero fatti vedere, e avrebbero potuto ingaggiare una guerra per riprendersi ciò che era loro di diritto e che Telmar gli aveva sottratto.

Caspian scosse la testa, intuendo che stava pensando troppo positivo: non c'era la certezza che il corno fosse magico. Non c'era la certezza che i Sovrani fossero ancora vivi e pronti ad aiutarli. Non c'era la certezza nemmeno che lui sarebbe riuscito a passare la notte senza che qualche creatura particolarmente vendicativa lo attaccasse. E non c'era la certezza che il suo precettore fosse al sicuro e al di sopra dei sospetti riguardanti la sua fuga.

Caspian serrò una mano a pugno, espirando pesantemente e pregando che Cornelius stesse bene e decidendo di non domandarsi come mai quel corno Narniano gli fosse tanto caro.

Gli doveva la vita... e ciò gli era più che sufficiente.


Si guardò intorno, leggermente impacciato e con una vaga nota di curiosità, mentre camminava evitando d'inciampare a causa degli arbusti insidiosi.

La foresta che si trovava intorno a lui non sembrava tanto maligna con la luce estiva. Era silenziosa, come svuotata di ogni fibra di vita, ma con il sole sembrava semplicemente ciò che appariva di essere. La notte prima aveva un alone misterioso, tetro e quasi innaturale, immersa in un silenzio perenne dove ogni piccolo rumore veniva percepito come se fosse a pochi passi di distanza.

Studiò nuovamente l'ambiente che stava attraversando, cercando di capire quale direzione fosse meglio scegliere ed ignorando i rumori che provenivano alle sue spalle.

Solo perchè proveniva da Telmar non significava che fosse tanto stupido da non sentire che lo stessero seguendo.

I Narniani.

Doveva trovarli, per poterli convincere a combattere al suo fianco: lui avrebbe spodestato Miraz e riottenuto il suo trono, e loro, in cambio, avrebbero riavuto ciò che gli apparteneva da secoli.

La libertà.

Il Principe pensò che fosse un compromesso accettabile, e sperò che anche gli abitanti di Narnia fossero d'accordo con lui quando gli avrebbe esposto il suo piano. Sempre se non lo uccidevano come voleva fare Nicabrik, e sempre se riusciva a trovarli...

Un ennesimo fruscio alle sue spalle lo ridestò, riportandolo al suo presente. Caspian sospirò esasperato, arrestando il passo e voltandosi.

-Vi ho sentiti.- fece notare, inclinando la testa leggermente di lato e guardando i tronchi di due alberi in particolare, con espressione seria. Un colpo di tosse imbarazzato provenne dalla sua sinistra, e Trufflehunter rivelò la sua presenza, uscendo dal suo momentaneo nascondiglio. Si scambiò uno sguardo con Nicabrick, indeciso se farsi vedere o meno.

-Io credo che sarebbe meglio aspettare i Re e le Regine.- consigliò, riponendo ancora fiducia in coloro che mancavano da milletrecento anni, mentre il nano lo affiancava, scocciato per essere stato scoperto. Caspian non rispose, limitandosi a fissarlo con espressione scettica e facendo trapelare ciò che pensava. Diede le spalle ai due Narniani, riprendendo a camminare.

-E va bene, allora vai! Vedremo se gli altri saranno comprensivi!- Trufflehunter si era alterato a quel gesto d'indifferenza, e la sua voce accigliata raggiunse Caspian, che serrò la mascella per non rispondergli a tono.

-Magari vengo con te.- Nicabrick, invece, sembrava divertito dalla situazione, come se sapesse già che era spacciato.

-Voglio proprio vedere come te la cavi con i minotauri.- insinuò con una vena ironica, il solito ghigno strafottente sul viso mentre cercava di star dietro al ragazzo.

Cosa?


-Minotauri?- Caspian si ritrovò a parlare senza volerlo, incerto ed indeciso se credere o meno a ciò che stava sentendo.

-Sono veri?- chiese in soffio, per conferma, avendone sentito parlare solo tramite leggende e libri come tutto il resto. Entrambi i Narniani annuirono, rincarando la dose.

-Hanno un pessimo carattere.- spiegò il tasso, serio, iniziando ad incamminarsi.

-E non sai come sono enormi.- proferì Nicabrick, subito seguito dal compagno, che lo corresse con il tono di chi la sa lunga.

-Immensi.- fece, cercando di dare enfasi a ciò che aveva detto mimando la grandezza con le zampe anteriori. I due lo superarono, come se ciò appena detto fosse un nonnulla. Caspian invece aveva la vaga impressione che lo avessero fatto apposta, per cercare di spaventarlo. Ma la sua voglia di sapere era aumentata, e la sua curiosità si stava facendo sentire.

-E i centauri? Esistono ancora?- sperò di saperne di più, e che i due abitanti di Narnia fossero in vena di spiegargli ancora ciò che per lui era una sconosciuta novità, continuando il discorso che loro stessi avevano iniziato poco prima.

-I centauri è probabile che si battano al tuo fianco, ma non si può prevedere che faranno gli altri.- ipotizzò Trufflehunter, mettendogli in chiaro che far mettere il resto dei Narniani dalla sua parte non sarebbe stato per niente semplice. Se gli abitanti di Narnia non erano estinti come fino al giorno prima credeva, probabilmente anche…

-E Aslan?-

Caspian si rese conto di aver messo un piede in fallo pronunciando quel nome dal modo in cui il nano e il tasso arrestarono il passo, di colpo. L'aria si era fatta improvvisamente tesa e fredda, l'atmosfera attorno a loro tre pesante. I due Narniani si scambiarono uno sguardo, poi Nicabrick prese parola, esponendo i dubbi suoi e del suo amico.

-Come fai a sapere tante cose di noi?- il suo tono si era fatto nuovamente sospettoso e duro, burbero per aver sentito il nome di colui che gli aveva abbandonati, e stava scrutando il Principe con cipiglio severo, gli occhi ridotti quasi a due fessure con un luccichio investigativo.

-Racconti.- proferì con un'alzata di spalle, apparentemente tranquillo. In realtà spostava il peso del corpo da un piede all'altro, nervoso, e stringeva l'elsa della spada, per scaricare la tensione. Aveva come la vaga impressione di sapere quale sarebbe stata la prossima domanda, a vedere gli sguardi dei due Narniani.

-Tuo padre ti ha raccontato la storia di Narnia?-

Trufflehunter e Nicabrik non si capacitavano come un Telmarino facesse a sapere tante cose di loro. Gli occhi di Caspian si rabbuiarono all'istante, mentre il vuoto della perdita si faceva sentire come ogni volta che si toccava quell'argomento.

-No, il mio Precettore.- concedette, voltando il capo e non guardando i due Narniani negli occhi.

-Mi scuserete, non è il genere di domande che gradisco.- tagliò corto, iniziando a camminare per evitare di ricevere altre domande riguardo suo padre e sfuggire da quel discorso spinoso. Il tasso e il nano si scambiarono uno sguardo, intuendo qualcosa dal repentino cambiamento di umore del Principe, e decisero di lasciar perdere per quel momento le domande che venivano loro spontanee da fare.

Un odore ben conosciuto raggiunse l'olfatto di Trufflehunter, che s'irrigidì, annusando continuamente l'aria per conferma, negli occhi un luccichio allarmato che non sfuggì al suo amico.

Non può essere...

-Che c'è?- gli domandò, la mano che correva inevitabilmente all'elsa della sua spada. Caspian arrestò il passo e si voltò, confuso, la stessa domanda di Nicabrick ferma nella sua mente.

-Umani.- fu la risposta secca che ricevettero, il tono grave e preoccupato.

Erano in tanti.

-Lui?- il nano accennò con la testa in direzione di Caspian, sperando che per una volta il naso di Trufflehunter si fosse sbagliato.

-No... loro!- lo contraddì, voltandosi dalla parte da cui erano venuti, allarmato e sgranando gli occhi alla vista del gruppo Telmarino che li aveva trovati e subito seguito da Caspian e Nicabrick.

-Correte!- ordinò il Principe, sapendo già che provare ad affrontarli sarebbe stata una battaglia persa in partenza.

Erano almeno una decina, e loro solo in tre.

Il trio iniziò a scappare, mentre i Telmarini caricavano le balestre di continuo e i dardi sferzavano l'aria diretti nella direzione dei fuggitivi. I rumori della foresta erano pieni dei sibili che facevano le frecce tirate, per poi conficcarsi con un rumore secco nei tronchi degli alberi, mancando i bersagli.

Caricare. Tirare. Avanzare. Caricare. Tirare. Avanzare.


Il gruppo dei soldati di Miraz continuava a seguire quel protocollo, nella speranza di riuscire a prendere il Principe.

Caspian continuava a correre cambiando continuamente direzione e proteggendosi con le cortecce degli alberi, abbassando spesso la testa e cercando di andare il più velocemente possibile, nella speranza che il suo andamento instabile fosse di difficile prevedibilità e di riuscire a schivare le frecce, come fino a quel momento aveva fatto.

Era il più veloce e il più avanti, e sperò che anche Nicabrick e Trufflehunter gli fossero subito dietro, salvi e senza dardi conficcati nella carne.

Sentì un peso rotolare tra le felci, seguito da dei gemiti di dolore mal trattenuti. Arrestò la sua corsa e si mise a scrutare tra la vegetazione, facendo vagare lo sguardo in più direzioni, e si accorse che ad essere stato colpito era stato il tasso.

-Oh no...-

Nicabrik fece per andare in soccorso dell'amico, ma Caspian lo fermò.

-Vado io.- si offrì, cercando di essere il più celere possibile e percorrendo a ritroso la strada già battuta. Quando arrivò dal Narniano gli si avvicinò delicatamente, studiandolo e accorgendosi che era stato colpito, fortunatamente, solo ad una zampa. Estrasse con un gesto secco la freccia, e con ansia crescente osservò il gruppo di Telmarini che si stava avvicinando.

Non aveva tempo da perdere.


Fece per prenderlo in braccio, ma Trufflehunter lo bloccò dopo aver osservato i soldati.

-Vattene. Questo è più importante di me.- gli indicò la sacca contenente il corno, già rassegnato all'idea di essere lasciato lì, ma con il tono di voce deciso e per nulla in rimorso. Il gesto che repentinamente fece il Principe senza pensarci troppo lo sorprese, ma fu in qualche modo contento e sollevato quando si rese conto che questi lo aveva preso in braccio, per poterlo portare in salvo.

Caspian corse nuovamente in direzione del nano, poco più avanti rispetto a dove lo aveva lasciato, e gli posò tra le braccia Trufflehunter.

-Portalo via.- intimò, con il fiatone, per poi girarsi verso i soldati con la spada in mano. Non gli passò inosservato il fatto che i Telmarini fossero diminuiti di numero, e che ne era rimasti solo…

Due?! Com'è possibile?


Uno dei due arcieri che si era preparato per scoccare cadde a terra quando qualcosa di veloce e mortale che si muoveva nell'erba, provocando solo un fruscio di foglie, lo raggiunse. L'uomo Telmarino fu preso dal panico, mentre Caspian osservava la scena basito e preoccupato, non capendo e non sapendo se quella… cosa, sarebbe stata clemente con lui e i due Narniani. L'ultimo dei soldati cadde a terra tra la vegetazione, e il Principe vide le foglie iniziare a muoversi nella sua direzione. Si mise sull'attenti, mentre sapeva di essere il prossimo bersaglio di quell'aiuto inaspettato. Una macchia grigia saltò fuori dalle felci con un grido di battaglia, e Caspian si ritrovò nuovamente a terra, la spada a poca distanza da lui e un peso che premeva sopra la cassa toracica.

-Scegli con cura le tue ultime parole abitante di Telmar.-

Di chi era quella voce?

Aprì lentamente gli occhi, mentre una fitta alla schiena si faceva nuovamente sentire per la botta e la testa tornava a dolere per il contraccolpo subito. Mise a fuoco la presenza sopra di lui, e sgranò lo sguardo quando riconobbe un topo. Un topo, Narniano probabilmente e con il dono della parola, che gli puntava alla gola la sua spada, di almeno una quindicina di centimetri.

Era lui che li aveva salvati, dunque?

-Ma sei un topo.- non si poté trattenere da fare quell'affermazione palese, Caspian, mentre studiava il suo avversario. Il Narniano non ne parve stupito, poiché abbassò le spalle e sospirò, scontento e affranto.

-Speravo in qualcosa di più originale.- ammise, abbassando per un attimo il suo stiletto dalla gola del Principe. Però si riprese subito, tornando al suo obbiettivo.

-Prendi la tua spada.- intimò, indicando al ragazzo la sua arma. Quello tentennò, lanciando uno sguardo alla spada dietro di lui, per poi negare gentilmente

-No, grazie.-

-Prendila ho detto! Non mi batterò con un uomo disarmato.-
s'acciglio l'altro, drizzando la coda e affilando lo sguardo, togliendo il suo spadino dalla traiettoria della giugulare del ragazzo sotto di lui. Caspian prese la situazione a suo vantaggio, pensando di darla vinta al topo.

-Ecco perchè potrei vivere più a lungo se decidessi di non incrociare la mia spada con te, nobile topo.- tentò di rabbonirlo, con scarsi risultati.

-Ho detto che non mi sarei battuto con te, non che ti avrei lasciato vivere!- ribatté difatti l'altro, tornando deciso e con il cipiglio pericoloso di poco prima, puntando nuovamente la spada alla gola di Caspian. Il Principe s'irrigidì, deglutendo pesantemente e cercando un modo per togliersi da quella situazione.

-Ripicì! Ferma la tua lama.- entrambi si girarono in direzione della voce che si era intromessa nel loro discorso, e il topo parve stupito.

Un Narniano che salva la vita ad un Telmarino?


-Trufflehunter! Mi auguro tu abbia una buona scusa per questa interruzione inopportuna!- sibilò, non contento di essere stato nuovamente interrotto.

-Non ce l'ha, procedi pure.- Nicabrick prese l'occasione a suo vantaggio rubando la parola al tasso, che aveva aperto bocca per parlare, ed esprimendo un'ennesima volta il suo disappunto verso Caspian. Il Narniano abbassò le orecchie e scosse la testa, lievemente indispettito per quell'intromissione, riprendendo poi parola.

-E' stato lui a suonare il corno.- confessò con enfasi, indicando il ragazzo ancora a terra.

-Cosa...?- Ripicì tentennò, non capendo.

Questo cambiava decisamente le cose.

-Ce lo faccia vedere, allora.- una voce profonda, nuova alle orecchie di Caspian s'intromise nel discorso, richiamando l'attenzione dei quattro su di sé. Il Principe si voltò come gli altri, accorgendosi di trovarsi davanti a dei veri centauri. Il ragazzo si rese conto che ciò che solitamente stava sui libri di storia e leggende si stava rivelando più vero e reale di quanto credesse e deglutì, osservando affascinato le creature appena uscite dal fitto della vegetazione. Minotauri, centauri, fauni...

Quante novità nel giro di una giornata.

-Questa è la ragione per cui siamo qui.-


***


Il giorno successivo arrivarono al guado indicato da Trumpkin poche ore dopo essersi svegliati e aver ripreso il cammino, seguendo il sentiero del giorno prima sotto la guida del nano. La sera prima si erano accampati in uno sprazzo d'erba con lo scoppiettare di un fuoco allegro che faceva loro da compagno, ma non avevano parlato molto se non riguardo i tempi e le distanze, o l'improbabile cambiamento di tempo, ognuno perso nei propri pensieri o stanco per il tanto viaggiare.

Eve si era tenuta stretta la freccia per tutta la giornata, fino quando Susan si era offerta di conservargliela nella faretra insieme ai suoi dardi. All'inizio era stata titubante, poi gliela aveva affidata quando la sorella maggiore le aveva promesso che non l'avrebbe usata in caso di bisogno, ricorrendo solo alle sue.

Però le rive del fiume, soprattutto quella che stava dalla parte della città di Telmar, erano piene di soldati impegnati a costruire un ponte per passare ed entrare nel bosco di Narnia, per conquistarla definitivamente. Lavoravano sotto il sole di continuo, da mattina presto a sera inoltrata sotto ordine di Miraz, da quando Caspian era scappato, e più il tempo passava più il ponte prendeva forma.

-Forse questa non era la via migliore per passare, dopotutto.- fece notare Susan a Peter, in un sussurro, osservando il fratello maggiore con una punta di rimprovero e un vago senso di colpa. Non avevano creduto a Lucy ed Eve, e ora dovevano tornare indietro, perdendo nuovamente tempo.

I due si rannicchiarono di più dietro i tronchi che avevano trovato quando un gruppo di soldati gli passò pericolosamente vicino, osservando gli uomini di Miraz: era impossibile attraversare il fiume sperando di non essere visti.

Si scambiarono delle occhiate significative, poi Peter iniziò a tornare verso la direzione da cui erano venuti.


***


-Allora? Dove vi è sembrato di aver visto Aslan?-

Peter aveva i lineamenti contratti, il tono di voce scocciato e una punta di nervosismo per l'errore che lui non aveva commesso. Cercò di essere comunque il più dolce possibile quando si rivolse alle due sorelle, con scarsi risultati e dando l'impressione di essere strafottente.

Lucy ed Evelyn si voltarono verso il fratello maggiore: la seconda si limitò a sbuffare vistosamente e alzare gli occhi al cielo, esasperata, conscia che Peter non sarebbe mai cambiato, mentre la prima s'indispettì, stanca per il modo con cui la stavano trattando, come se fosse ancora una bambina.

-Vorrei proprio che la smetteste di giocare a fare i grandi.- iniziò, ricordandogli tacitamente che non solo loro erano degli adulti in un corpo di ragazzi e fulminandoli con lo sguardo.

-Non ci era parso, noi l’abbiamo visto.- proferì, seria, osservando il promontorio su cui si trovava.

-Io sono grande però.- fece notare Trumpkin, sottolineando la sua età e il suo punto di vista. Aslan li aveva abbandonati, punto.

L'ultima Pevensie si avvicinò pericolosamente verso il bordo della rupe, studiandolo e cercando di ricordare, continuando a guardare a terra nella speranza di vedere un indizio per far vedere che aveva ragione.

Un indizio qualsiasi
.

-Era proprio questo il…ahh!- il terreno sul quale Lucy stava camminando cedette, gli arbusti e la terra si sgretolarono sotto i piedi della ragazzina, e la Pevensie scomparve alla vista del gruppo.

-No!-

-Lucy!-


Gli urli di Evelyn e Susan squarciarono l'aria in contemporanea, mentre Edmund e Peter trattennero il fiato per lo spavento. Il senso di perdita si fece sentire nuovamente in tutti loro nel giro di poco tempo, e si precipitarono in pochi secondi nel punto in cui Lucy era caduta, i muscoli delle gambe che erano scattati per istinto.

La trovarono seduta all’inizio di un sentiero che percorreva il profilo della montagna, mentre si guardava attorno per cercare di capire la situazione. Alzò lo sguardo verso gli altri, conscia di aver avuto ragione fin dall'inizio.

-Qui.- disse, guardando trionfante verso Peter e Trumpkin che in risposta sospirarono sollevati per il pericolo scampato. Cercò poi lo sguardo di Eve, che dovette ammettere a se stessa che quella che aveva visto non poteva essere una semplice ombra.

Scesero lungo un sentiero che gli fece attraversare la gola, e si ritrovarono nel letto del fiume. Lo percorsero a ritroso, con l'acqua fresca che arrivava al massimo alle caviglie, dando un misto di frescura e tranquillità per il suo zampillare giù dalle pareti, e per sera si accamparono attorno al falò in un piccolo sprazzo d'erba, molto simile a quello della sera prima.

Mentre Peter ed Edmund dormivano già e Trumpkin tentava di prendere sonno dando le spalle agli altri, Susan cercò l'attenzione delle sorelle.

-Lucy, Eve, siete sveglie?-

Le due mossero la testa in segno di assenso, ognuna persa nei propri pensieri sulla giornata appena trascorsa e ciò che avevano saputo dal loro ritorno.

-Perché secondo voi io non ho visto Aslan?- domandò la Dolce, mettendosi su un fianco per poter guardare le sorelle in viso e torturandosi nervosa le unghie delle mani.

-Allora ci credi?- Evelyn era stupita e pose quella domanda, continuando però a guardare il cielo sopra di lei e le fronde degli alberi che a volte si muovevano per l'aria notturna. Lanciò una fugace occhiata verso la sorella alla sua sinistra, mentre Lucy si mise anch’ella su un fianco, rivolta verso le altre due.

-Ci ha fatto attraversare la gola.- continuò incerta Susan, e constatando l'ovvietà della cosa, sempre in attesa di una risposta.

-Forse non lo volevi davvero.- ipotizzò Lucy dopo degli attimi di silenzio, come aveva fatto Eve con Peter.

-Avete sempre saputo che saremmo tornate, vero?- lo sapeva Susan, che le due come Peter non avevano mai accettato la vita a Londra. Lo capiva dai loro sguardi, da come Eve era diventata scostante e chiusa o Lucy che non poteva fare a meno di menzionare Narnia in ogni discorso con loro.

-L’abbiamo sempre sperato.- parlò per entrambe Evelyn, gli occhi fissi sul cielo stellato e l’aria assorta, dando fondo ai pensieri della maggiore.

-Ero riuscita ad accettare l’idea di vivere in Inghilterra.- confidò la Dolce in un sussurro, rimettendosi nella posizione iniziale. Era riuscita seppur con fatica a ritrovare una sorta di equilibrio interiore in quei due anni di attesa.

-Ma sei felice di essere qui, no?- cercò di rassicurarsi, Lucy, gli occhi sgranati e nel tono di voce una nota ansiosa, nel sentire che la sorella si stava abituando a vivere in quello che non era più il loro mondo.

-Finché dura.- mormorò l'altra, atona, come consapevole che prima o poi sarebbe tutto finito.

Di nuovo.

Che non bisognava illudersi, poiché quella che sarebbero vissuti nuovamente li, come ai tempi dell'Età D'oro, era solo un'effimera illusione.

Si stava abituando a vivere in Inghilterra... pensò Eve, leggermente dispiaciuta, continuando a ripetersi quella frase come se non ne capisse il reale significato.

I fruscii delle stoffe dei vestiti delle altre due, che si erano date le spalle a vicenda per poter trovare una posizione comoda per dormire le arrivarono ovattati, mentre la sua mente continuava a lavorare sul discorso appena finito. Ciò significava che se non fossero tornati a Narnia probabilmente Susan l'avrebbe catalogata nei ricordi, come un'avventura che però aveva avuto un termine, un mondo bellissimo ma non più raggiungibile.

-No! Lasciatemi, devo tornare di la!-


Serrò gli occhi, Evelyn, a quei ricordi che si portava dentro, raggomitolandosi su se stessa come per proteggersi.

-Ti prego Aslan, fammi tornare a casa!-


Aveva pianto.

Aveva pianto per un motivo che non fosse Edmund, l'unica ragione per cui aveva versato tante lacrime in poco tempo, gli occhi arrossati che bruciavano e una sensazione di vuoto e nero intorno a lei e dentro di lei che la stava lentamente divorando.

Casa.


L'aveva persa, la casa, un anno prima. Ed ora che era di nuovo li non la riconosceva più.

-Finché dura.-

Eve ebbe un tuffo al cuore.

Sarebbero dovuti ritornare in Inghilterra?

Un senso di panico l'avvolse, mentre le si formava un nodo in gola e gli occhi le si inumidivano.

"Per sempre. Ti prego, fa che sia per sempre."


***


Lucy si svegliò sentendo un lieve ruggito, che la strappò definitivamente dal dormiveglia. Guardò i componenti del gruppo sdraiati attorno a ciò che rimaneva del falò, i quali dormivano ancora. Li osservò, indecisa sul da farsi, e contemplando la possibilità di aver sentito male. Quando un secondo di questi le arrivò alle orecchie come ad invitarla si voltò repentinamente verso il sentiero che spariva dietro una roccia.

Si fece coraggio e si alzò, incamminandosi e cercando di fare meno rumore possibile, sicura che non fosse tutto frutto della sua mente e sperando che ciò che aveva sentito era chi sperava.

Percorse il sentiero circondato dagli alberi, dalle cui fronde faceva capolino il sole mattutino.Quel luogo aveva un'atmosfera magica, totalmente diversa dalla Narnia che aveva visto fino al giorno prima.

Sembrava quasi un sogno.

Continuò a camminare per il sentiero ben chiaro tra la vegetazione, mentre sotto ai suoi piedi scricchiolavano le foglie secche, che attutivano il rumore dei suoi passi con dei fruscii delicati e conosciuti. Attorno a lei avevano preso a danzare dei petali di fiore, che le segnavano la strada da percorrere e l'accompagnavano come sempre facevano nell'Età D'oro.

Lucy si fermò ad osservare un gruppo di questi prendere la forma di una driade, che rise e la salutò, finendo poi con il disperdersi ancora nell'aria li attorno, piena delle risate delicate di entrambi i due gruppi di petali di fiore. Lu sorrise, felice, osservandosi in giro, mentre dietro di sé dei rumori attirarono la sua attenzione. Voltandosi poté vedere gli alberi spostarsi ai due lati del sentiero per aprirle un varco tra la vegetazione. Muovevano impercettibilmente le chiome, come ad invitarla ad avanzare, cosa che già aveva preso a fare, titubante. Non sapeva dove la stesse conducendo quella strada…

-Lucy.-

La Pevensie si bloccò per un attimo, stupita. Era davvero chi credeva che fosse?

-Lucy.-

Non poté trattenere un sorriso, mentre affrettava il passo per raggiungere colui che la chiamava. Superò una roccia e lo cercò con lo sguardo, sperando che non si stesse immaginando tutto, e non poté trattenersi dal chiamarlo quando lo vide in mezzo agli alberi, vicino ad un raggio di sole che penetrava dalle fronde degli alti alberi.

-Aslan!-

Affrettò il passo per raggiungerlo il prima possibile, e arrivata gli accarezzò il muso, sollevata di vederlo.

-Mi sei mancato tanto.- gli confidò, continuando ad accarezzarlo con gli occhi chiusi, beandosi della sua presenza. Aprì lentamente gli occhi e s'allontanò leggermente, per poterlo osservare meglio.

-Sei più grande.- gli fece notare, sorridendo.

-Ogni anno tu diventi più grande, e anche io.- Aslan le rispose con la solita pacatezza che lo distingueva, la solita nota di saggezza che velava la sua voce e i suoi occhi. La piccola di casa Pevensie sorrise, per poi rabbuiarsi ed estraniare i suoi dubbi.

-Dove eri finito? E perché non sei venuto ad aiutarci?- gli domandò, aggrottando la fonte e non capendo. Il leone la guardò intensamente con i suoi occhi dorati, prima di risponderle enigmatico.

-Le cose non avvengono mai due volte allo stesso modo.- decretò, come se ciò che avesse appena detto fosse una regola sacra da non dimenticare mai. Il rumore di un rametto spezzato attirò l'attenzione di entrambi. Tutto scomparve e si fece improvvisamente buio, l'aura calda e magica che c'era scomparve e Lucy aprì gli occhi di scatto.

Era solo un sogno...

Affranta, constatando si essere sdraiata nel punto della sera prima, che la foresta conservata sempre una nota cupa e misteriosa e che gli alberi non danzavano Lucy si guardò intorno, dubbiosa.

Però il pensiero che quello che le era apparso in sogno era Aslan la rincuorò, distogliendola dalla tristezza che si stava facendo sentire, facendole tornare la speranza di prima.

-Susan, svegliati.- sussurrò alla sorella maggiore, sperando di svegliarla. Doveva raccontare a qualcuno del sogno.

-Si Lucy, tutto quello che vuoi.- fece quella accondiscendente, girandosi e continuando a dormire.

Il rumore di rametti spezzati in lontananza attirò l'attenzione della ragazzina, facendola voltare nella stessa direzione del sogno. Lucy scattò in piedi, consapevole che si stava svolgendo tutto come aveva sognato, ed iniziò ad incamminarsi, cercando di non svegliare gli altri.

-Lucy, dove stai andando?-

Aveva fatto appena pochi passi, ma la voce di Eve la costrinse a fermarsi. Lu si voltò verso Evelyn, che si stava stropicciando un occhio, ancora assonnata, il capo rivolto nella sua direzione in attesa di risposta.

-Ho sognato Aslan.- le disse senza preamboli, certa che le avrebbe dato ascolto.

-Davvero?- fu infatti la domanda sorpresa che sfuggì dalle labbra di Eve, sveglia del tutto e in pochi secondi in piedi.

-E quindi?- le domandò, curiosa e vogliosa di saperne di più, avvicinandosi alla sorella minore.

-Lo incontravo alla fine di questo sentiero. Credo che voglia dire qualcosa,- le spiegò Lucy, mordendosi il labbro inferiore e facendo saettare lo sguardo in vari punti della radura. Posò poi gli occhi su Evelyn, che era rimasta ferma e la stava osservando, attenta. La sorella poi le sorrise impercettibilmente, mentre le voltava le spalle avvicinandosi al suo posto accanto al falò. Lucy la guardò allarmata, pensando che quel sorriso fosse solo una presa in giro, ma si ricredette quando la vide prendere la sua spada e raggiungerla nuovamente. Eve le indicò il sentiero che stava prendendo con un gesto del capo, e Lucy capì che potevano andare. Esibì un sorriso, mentre prendeva la sorella per mano e la conduceva sugli stessi passi che aveva fatto nel sogno.

La minore delle Pevensie si rabbuiò quando, trovandosi nello stesso punto del sogno in cui le driadi danzavano e la salutavano, non trovò nessuno ad accogliere lei e sua sorella. Gli alberi erano immobili, e la foresta Narniana terribilmente silenziosa, come se fosse stata priva di vita.

Eve sentì distintamente un'aria fredda insinuarsi sotto il vestito, e la sensazione d'inquietudine che le diede non le piacque per niente, mentre si fregava le braccia per cercare di far passare il senso di gelo. Osservò Lucy avvicinarsi ad un albero, posargli una mano sulla corteccia e sussurrargli uno -svegliati- prima di girarsi e spiegarle che nel suo sogno gli alberi danzavano come quando erano Regine.

Evelyn la guardò con tenerezza, mentre una profonda tristezza si faceva largo dentro di lei.

Erano. In un passato lontano decenni.

Quando si è Re o Regina di Narnia, si è sempre, Re o Regina.


Sospirò, affranta, ricordando bene quella frase.

Poteva dire di essere ancora Regina di un regno che aveva abbandonato, anche se involontariamente?


-Vedrai che tutto si sistemerà.- si costrinse a dirle con finto sorriso, cercando di rincuorarla e riuscendo a celare la sua incertezza, dando a Lucy un vago senso di speranza. Ebbe però l'impressione che sua sorella avesse capito la sua finzione.

-Su forza, fammi strada.- le disse cercando di sorridere veramente, curiosa di sapere dove Lucy aveva visto Aslan e strappandola dalle sue riflessioni. Girarono dietro una roccia e quando sentirono un lieve ruggito si guardarono, intuendo l'una i pensieri dell'altra.

-Asl…- iniziò Lucy, sporgendosi oltre la collinetta che le bloccava la vista, per vedere. Non poté finire di dire il nome del leone, perchè sia lei che Eve vennero afferrate da dietro, la bocca tappata per non farle gridare e un corpo caldo che si scontrava con le loro schiene. Evelyn andò in panico e cercò di prendere Asterius, ma quando il braccio che la teneva ferma la obbligò a voltarsi si rilassò istintivamente, poiché incontrò i famigliari occhi azzurri di Peter. Doveva averlo svegliato quando era inciampata nel sasso che contornava il falò ormai spento…

Entrambe lo guardarono senza capire il motivo per cui le aveva fermate, e lui le rimproverò con lo sguardo per essersi allontanate senza avvertire.

Dei passi pesanti passarono vicino a loro, ed i tre si girarono verso la direzione da cui provenivano, guardando oltre la collinetta e protetti alla vista dello sconosciuto dalla vegetazione e dall'erba abbastanza alta. Colui che doveva essere Aslan era invece un minotauro armato con un’ascia, notarono con rammarico le due Pevensie. Camminava circospetto, guardandosi intorno.

Peter fece segno alle sorelle di non fare rumore e tacere, ed estratta la spada come arma di difesa uscì allo scoperto per arrivare alle spalle del Narniano.

I minotauri si erano arresi dopo la sconfitta di Jadis e durante il loro regno non avevano mai mostrato segni di ribellione, ma Peter ricordava troppo bene che erano stati loro, insieme principalmente ai nani, ad allearsi con la Strega Bianca. Aveva il vago sentore che dopo tutti quegli anni potessero essere tornati quelli di un tempo, pericolosi e letali.

Gli si avvicinò piano, silenzioso, concentrato e con i passi controllati per non farsi scoprire. Mancavano pochi metri, poi lo avrebbe raggiunto.

Qualcuno, però, s'intromise, bloccando il suo avanzare e distogliendo la sua attenzione dal minotauro. Con un grido battagliero e di sfida una massa di capelli scuri attaccò il Pevensie, che non ci mise molto a rispondere ai colpi. Il corpo di Peter si mosse da solo, tese i sensi e automaticamente si mise sulla difensiva, mentre una scarica di adrenalina lo percorse dalla testa ai piedi per il combattimento appena ingaggiato. Era come se non avesse mai smesso di allenarsi e la consapevolezza di avere vicino le due sorelle gli diede solo una motivazione in più per non voler perdere.

Doveva proteggerle da quella persona, e per farlo doveva vincere.

Il Pevensie riuscì a disarmare il suo avversario, facendogli perdere la presa sull'elsa della sua arma. Rhindon però si conficcò a fondo nella corteccia di un albero, e Peter perse la presa sulla spada. Per la distrazione ricevette un calcio in pieno stomaco, e si ritrovò a terra, mentre il suo avversario cercava di riprendersi la spada dalla corteccia. Afferrò un sasso, la prima cosa che vide come possibile arma, e s'avventò sul ragazzo, che a sua volta era riuscito a prendere Rhindon.

-No fermi!-

La voce di Lucy li fermò poco prima che si colpissero, ed i due si bloccarono, rendendosi conto della piega che stava prendendo il loro duello.

Assurda. Si sarebbero uccisi a vicenda.


Il gruppo fu circondato da dei Narniani, e Peter si guardò intorno, stralunato e sorpreso nel vedere coloro che un tempo erano il suo popolo. Lucy ed Eve si scambiarono uno sguardo carico di significato, mentre i loro cuori si riempivano a quella vista. Evelyn però non ci mise molto a capire che qualcosa non andava: gli abitanti di Narnia erano armati, sull'attenti, e guardavano lei, Lucy e Peter come se fossero state delle prede da agguantare.

Un fruscio alle sue spalle la fece scattare, ed Asterius si ritrovava già nella sua mano, puntato verso la presenza.

-Stai indietro.- sibilò tra i denti, avvicinandosi a Lucy e puntando la spada contro il fauno che era arrivato alle loro spalle. Quello indietreggiò leggermente di fronte allo sguardo che gli veniva rivolto, abbassando la sua arma. Peter si guardò intorno, focalizzando poi nuovamente la sua attenzione sul ragazzo che si trovava davanti.

-Principe Caspian?- domandò, come colto da un'illuminazione. Questo lo guardò studiandolo un attimo, per nulla contento dello sguardo sprezzante e superiore che gli stava rivolgendo il biondo davanti a lui e il tono di voce confidente e diretto con cui gli si era rivolto. Qualcosa vibrò dentro di lui al pensiero che quel ragazzo non gli aveva portato rispetto.

Era ovvio, che fosse il Principe Caspian.


-Si.- soffiò quella risposta tra i denti, infastidito dalla presenza davanti a lui che ancora non si era presentata e che aveva tentato di ucciderlo, mentre si chiedeva come facesse a conoscerlo.

-E tu chi sei?- chiese, sprezzante e sospettoso, curioso della risposta. Lanciò un fugace sguardo alle due ragazze che li stavano osservando, per poi tornare a sostenere lo sguardo del ragazzo davanti a lui. Chissà che ci faceva con due ragazzine nel bel mezzo della foresta...

-Peter!-

Una voce di donna più matura risuonò nel silenzio che si era creato tra loro, rispondendo prima del ragazzo che si trovava davanti a lui e che aveva aperto bocca per poter ribattere.

Caspian sussultò per la sorpresa, mentre Peter girava il volto verso il sentiero da cui erano arrivati, osservando i fratelli fare la loro comparsa seguiti da Trumpkin. Dei tasselli nella mente del Principe vennero messi al loro posto e sul suo volto si delineò una nota di stupore.

Il corno. I Sovrani di un tempo.

Aveva suonato il corno, ed i Sovrani di un tempo erano tornati.


-Sei Re Peter?- la domanda gli uscì spontanea dopo aver lanciato un veloce sguardo alla spada che teneva in mano, sulla cui lama era incisa la famosa iscrizione, e sull'estremità dell'elsa si ergeva la testa di un leone.

Aslan.


-Credo tu ci abbia chiamati.- tagliò corto il Re, orgoglioso di essere stato riconosciuto come chi doveva essere e con una nota di autorità, come se non dovesse dare spiegazioni in merito perchè la cosa era ovvia.

-Si ma... credevo foste più vecchi.- ammise, diretto. Il Pevensie aggrottò la fronte a quella frase.

-Se preferisci possiamo tornare tra qualche anno.- proferì indispettito, facendo il gesto di voltargli le spalle.

-No, io non volevo.- si scusò Caspian, imbarazzato. Peter si voltò nuovamente verso di lui, per ascoltarlo, osservando il suo sguardo saettare tra loro.

-Solo che... ecco, non siete come mi aspettavo.- mugugnò, spiegandosi meglio. Fece vagare lo sguardo dall'uno all'altra e li osservò, attento, cercando di riconoscerli tramite ciò che Cornelius gli aveva raccontato e ciò che aveva appreso grazie ai libri. La sua attenzione dopo che ebbe visto le due ragazze più piccole, venne totalmente catturata dalla maggiore. Caspian si ritrovò a guardarla dritta negli occhi, mentre vedeva lei sorridere di rimando imbarazzata da quelle attenzioni inattese, un velo di incertezza negli occhi chiari.

Lucy tirò una manica del vestito ad Eve, per richiamare la sua attenzione. Questa rinfoderò la sua spada, mentre seguiva con lo sguardo ciò la sorella le stava indicando con gesti e cenni della testa. Sorrise, notando gli sguardi d'interesse del Principe verso Susan e viceversa.

Oh si, si sarebbe divertita.


Voltò lo sguardo, quando un particolare le arrivò davanti agli occhi.

-Neanche tu.- Edmund prese finalmente parola, e guardò Peter cercando di capire cosa avrebbero fatto da quel momento. Cercò poi con lo sguardo Eve, e gli prese un vuoto alla bocca dello stomaco quando la vide avvicinarsi ad un lupo, non sapendo che reazioni avrebbe avuto quest'ultimo.

Per quanto ne sapevano, poteva essere selvatico come l'orso del giorno prima. L'animale era alto una quindicina di centimetri in meno di Aslan, la figura leggermente più snella. Aveva dei penetranti occhi azzurro ghiaccio e il manto grigio chiaro, molto vicino al bianco, fatta eccezione per una striscia lunga tutta la spina dorsale, che si scuriva fino diventare nero.

Uno degli animali più belli che la penultima Pevensie avesse mai visto.

Si ritrovò ammaliata da quegli occhi chiari color dell'acqua, che esprimevano calma e pacatezza, un luccichio però deciso che s'intravedeva in fondo ad essi. Aveva come l'impressione di averli già visti, di conoscere quello sguardo riflessivo, ma era consapevole che non poteva essere.

Quando Evelyn gli fu arrivata davanti il lupo s'inchinò leggermente, distogliendo lo sguardo.

-Qual è il tuo nome?- gli domandò, curiosa. Voleva sapere tutto, capire se poteva essere un possibile discendente di qualche sentinella fidata che avevano nell'Età D'oro. O, perché no, essere perfino imparentato con Maugrim, il lupo capo della polizia a servizio di Jadis.

-Lia, Maestà.- fu una risposta decisa quella che ricevette Eve, limpida e pulita come l'acqua, senza tentennamenti o indecisioni.

-E' un bel nome, mi piace.- le confessò, sorridendo appena.

-Ne sono felice.- altra risposta semplice, chiara e cristallina. Non sembrava ci fosse nessun sentimento negativo nei suoi confronti. Evelyn si sorprese delle reazioni differenti che avevano avuto la lupa che si trovava davanti e Trumpkin.

-Posso accarezzarti, Lia?- domandò Eve di fretta, buttando fuori il peso che l'aveva presa da quando l'aveva notata. Non sapeva perchè, ma se ne vergognava moltissimo di aver fatto quella domanda.

-Certamente, mia Signora.- acconsentì la Narniana, dopo averla studiata per qualche attimo. Eve sorrise contenta, come se le fosse stato concessa una delizia per aver fatto qualcosa di buono e allungò la mano per accarezzare la lupa.

E le sembrò quasi di ricevere una lieve scossa quando sfiorò il suo pelo.

-Eve, non è un giocattolo.- la richiamò a quel punto Peter. La ragazza si svegliò dallo stato di trans in cui era caduta e girandosi verso il fratello lo guardò confusa, la mano ancora sul morbido pelo della lupa che parlò per prima.

-Scusate l’intromissione, Maestà, per me non è un disturbo.- fece notare, calma. Peter guardò la lupa, ma prima che potesse ribattere u
n tasso prese parola, riportando gli interessati alla situazione presente e attuale.

-Un nemico comune unisce anche i più antichi nemici.- decretò, saggiamente, sollevato come Nicabrick di vedere Trumpkin stare bene.

-Abbiamo atteso con ansia il vostro ritorno, Sire.- s'intromise Ripicì, uscendo dalla vegetazione e inchinandosi in direzione di Peter.

-I nostri cuori e le nostre spade sono al vostro servizio.- finì sicuro, portandosi la spada al cuore come se quello che avesse appena finito di dire fosse un giuramento.

-Guarda, è così carino.- fece Lucy all’orecchio di Susan, indicando il topo.

-Chi ha parlato?- s'inalberò questo a sentirsi dare semplicemente del carino, estraendo la spada e guardandosi intorno, sull'attenti. Lucy si scusò, in colpa. Ripicì abbassò subito la spada.

-Vostra Maestà con il massimo rispetto... credo che coraggioso, cortese o cavalleresco si addicano di più a un cavaliere di Narnia- spiegò, rinfoderando il suo stiletto.

-Bene. Almeno voi sapete usare la spada.- disse Peter divertito, una chiara allusione a Caspian che era riuscito a disarmare con pochi colpi.

-Si, certo. E di recente ne ho fatto buon uso per procurare armi al vostro esercito.- ribatté Ripicì, orgoglioso del suo operato a favore di Narnia.

-Perfetto perché... tutte le spade disponibile ci saranno d’aiuto- decretò, mentre la sua testa lavorava già per dei piani di battaglia e tornando a guardare Caspian.

-Allora penso che tu rivoglia indietro la tua.- ribatté il Principe, porgendogli Rhindon che il Pevensie afferrò e rinfoderò. Peter guardò i fratelli facendo cenno loro di seguirlo per poi voltarsi e, affiancato da Caspian, dirigersi in testa al gruppo per arrivare al luogo in cui erano radunate il resto delle truppe. Susan e Lucy si mossero per prime, seguite da Edmund. Trumpkin fu affiancato dai suoi amici Nicabrik e Trufflehunter, che aveva iniziato a fargli una serie di domande su come si fosse salvato e sui Sovrani. Ed infine c'era Eve, affiancata da quella nuova presenza appena conosciuta.

Forse non proprio nuova...


***


-Dhemetrya.-

Cosa…?

Qualcuno la chiamava.

-Dhemetrya, svegliati.-

Si, qualcuno la stava chiamando. Una voce ovattata e lontana, ma contemporaneamente conosciuta e vicina, che le distese le membra, cullandola ed inglobandola in una bolla di luce e protezione.

-Svegliati.-

Dhem si costrinse ad aprire gli occhi a quell'ordine che sentì provenire con tutta se stessa da dentro di lei. Ciò a cui si trovò davanti fu una forte luce, che per un attimo le accecò la vista costringendola a sbattere più volte le palpebre per poter mettere a fuoco qualsiasi cosa in quell'ambiente neutro.

E magico.

Focalizzò la sua attenzione su una figura che stava davanti a lei, e che come Dhem era sospesa nel vuoto di luce.


Una donna dai lineamenti fini ed affilati, che non dimostrava gli anni che portava, dalla pelle nivea e all'apparenza fragile, che sembrava pronta a rompersi al minimo tocco. Dagli occhi grigio acciaio con pagliuzze azzurre e lunghi capelli biondi dai riflessi lunari e argentati, che trasudava aloni di magia con tutta se stessa, da tutta se stessa. Luccichii brillantinati provenivano dalla sua pelle, disperdendosi attorno a lei e ritornandoci pochi attimi dopo, attirati come una calamita.

-Siete voi.- sussurrò, sorridendo appena.

-Si, Dhemetrya.- fu la semplice risposta che ricevette, e che ridondò per qualche attimo nell'ambiente in cui si trovava sospesa.

Si sentiva così leggera...

-Cosa… cosa volete?- tentennò di fronte all'evidenza, sapendo che era inutile. Sapeva il perchè Lei era li.

-Si sono mossi, ma tu stai ancora dormendo.- le rispose pacata la donna.

-Come?- fu la domanda strozzata e dal tono acuto che le uscì, senza che potesse trattenerla.

Loro si erano mossi e lei stava ancora dormendo?


-Non puoi permetterti di perderli.- le fece notare la presenza magica davanti a lei, annuendo alla sua domanda precedente.

-Non li perdo. La magia che impregna Narnia stessa mi lega a…- iniziò, pronta con la sua spiegazione, ma fu bloccata.

-No.- risposta secca, eppure dolce.

Che significava, no?


-La magia che impregna Narnia è debole da ormai più di milletrecente anni. Io sono debole. Tu, sei debole.- la indicò con un cenno del capo, mettendole di fronte l'evidenza. Dhemetrya abbassò il capo a quell'affermazione, in colpa, non notando l'ombra che scurì il volto della presenza che l'aveva svegliata.

-Ma… è qui.- non capiva: non era giunto ormai il tempo dei grandi cambiamenti?

-Devi andare e raggiungerli, starle vicina. Lo sai il perché,- le spiegò semplicemente, e fu in quel momento che notò l'alone di tristezza che le oscurò per qualche secondo lo sguardo limpido e puro. Un guizzo che adombrò gli occhi chiari della donna, difficilmente percepibile, ma che Dhemetrya sentì chiaramente come se fosse proprio.

-Sarà fatto.- promise, con un cenno del capo.

La donna scomparì nella luce, che diventò sempre più forte. S'inglobò in una sfera immaginaria, finendo poi dritta intorno alla ragazza. Una sensazione di pace assoluta l'avvolse, il desiderio di chiudere gli occhi per non aprirli mai più che la invitava ad addormentarsi ancora.

Ma le cose non dovevano andare così.

Sbatté le palpebre più volte, fino a quando il buio che si era ritrovata davanti quando la luce era scomparsa del tutto si trasformò in vegetazione, schiarita dal sole mattutino. Si portò una mano alla fronte, i sensi più acuti e attenti, gli occhi blu di un colore più intenso.

Sua madre.


Non la vedeva da quando loro se ne erano andati via. Quella che l'aveva appena aiutata, era sua madre. Una forza a cui apparteneva dalla nascita, a cui era legata con tutta se stessa. Una di quelle a cui Narnia non credeva più da tempo, ma che lei aveva il potere di percepire, vedere e in alcuni casi usufruire.

Una magia che cospargeva ciò che di puro c'era ancora nel suo mondo.

Sua madre… era la Grande Magia.

























































































*So che il corno lo tiene Trufflehunter, ma ho voluto sottolineare un po' di più il rapporto tra Caspian e Cornelius calcandoci sopra: il fatto che il Principe vede nel corno tutta la fiducia che il Precettore ha in lui tanto da spingerlo a sacrificarsi per farlo scappare, è una motivazione in più che va a completare il quadro del rapporto che già abbiamo tra i due. Tuttavia il fatto che Miraz abbia Cornelius (nella mia storia) non è da fraintendere come principale motivo del Principe di voler spodestare lo zio. E' una motivazione “in più” tra le tante già presenti che spinge Caspian a prendere in mano la situazione.

*Si inginocchia con faccia a terra*
Mi dispiace ç____ç Non volevo far passare così tanto tempo dall'ultimo aggiornamento, ma ho avuto altre cose che mi hanno tenuta lontana da questa fic e, inoltre, alcune parti del capitolo non volevano venire fuori come dicevo io. Spero che l'attesa sia valsa la pena, e che il capitolo sia stato di vostro grandimento.
Ho lanciato due nuove esche qui, ma per il momento le cose sono destinate ad appianarsi per qualche capitolo.
La donna che impersona la grande magia per il momento non ha nome, poichè ho pensato che la Grande Magia non può essere catalogata (credo anche che la grande magia abbia più "volti" con cui palesarsi e non solo uno), quindi vedrò se dargliene uno più avanti o continuare così, anche se la cosa non mi attira molto.

Ringrazio coloro che leggono in silenzio, le persone che preferiscono, ricordano e seguono.
Inoltre un sentito ringraziamento per coloro che hanno commentato i capitoli precedenti. Grazie di cuore <3
Spero di tornare abbastanza presto con qualsiasi cosa >.<
D***

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Capitolo 7
*** Anime in subbuglio. ***


Narnia's Spirits
Anime in subbuglio.













Posò una mano sulla corteccia di un albero, apparentemente senza motivo, arrestando il passo già di per se lento, senza alcuna fretta di raggiungere il gruppo che aveva perso di vista.

Questi in risposta rimase immobile, non dando segno di vita, come i suoi fratelli che tappezzavano la foresta Narniana e che erano inglobati in un lungo sonno ormai perenne, quasi peggio di quello durante il regno della Strega Bianca. Jadis aveva congelato tutto non risparmiando nessuno, ma il cuore di Narnia, tutto ciò che la formava, sotto lo strato di ghiaccio formato anch'esso dalla Magia batteva ancora, aspettando i Re annunciati dalla leggenda e il ritorno di Aslan.

Alla situazione attuale, invece…

Gli alberi, quelli che più visibilmente testimoniavano il cambiamento di Narnia, si erano tutti inglobati in loro stessi, schivi e orripilati da tutto ciò che avevano visto e sentito, da ciò che le chiome narravano e le radici avevano assorbito come spugne.

Sangue.


Le foglie si scuotevano a tempo di vento, facendo vibrare sotto quell'apparente gesto naturale le grida dei compagni caduti in battaglia e che ancora riecheggiavano tra le foreste.

Avevano perso la speranza, facendo scorrere via da loro la magia che pulsava insieme alla linfa. Era scivolata via lenta ed inesorabile, invisibile agli occhi di coloro che ne erano la causa, come l'acqua su una superficie liscia, rifugiandosi nel centro di Narnia, un luogo chiuso a tutti e ormai dimenticato, in cui quasi nessuno credeva più.

Sospirò Dhem, un sospiro affranto e sconsolato, un velo di malinconia che oscurava i suoi espressivi occhi blu, posando lo sguardo sulle foglie verde brillante cresciute in primavera e cercando d'ignorare le voci dei Telmarini che lavoravano al fiume portatele dall'aria.

Il suo mondo.

Il suo mondo… era in bilico fra la vita e la morte.


-Tu, sei debole-.

Non poteva continuare a mentire a se stessa, nonostante avesse sempre cercato di rimanere sbarazzina come l'acqua che zampilla tra le rocce; Sua Madre aveva ragione.

Era stanca.


Stanca come vita stessa di Narnia, che percepiva sempre più debole. Stava affrontando l'ultima battaglia, quella definitiva e che ne avrebbe deciso definitamente la sorte.

Vita o morte.


Il suo mondo, lo spirito che costituiva ogni cosa in quella terra, era prossimo a spegnersi definitivamente, se avesse perso l'ultima battaglia.

E Lei con lui.


***


Le foglie e le sterpaglie che tappezzavano il sentiero scricchiolavano sotto i passi ogni volta che venivano calpestate, producendo un dolce rumore conosciuto in sottofondo al brusio dei discorsi che animavano il gruppo dei Narniani in marcia verso la casa di Aslan. Il tepore del sole si era fatto più forte ed intenso quando il tempo e le ore passate a camminare avevano iniziato ad annunciare che era arrivato giorno inoltrato, momento del ciclo giornaliero in cui la sfera di fuoco picchiava più forte.

Il gruppo si accingeva ad arrivare al luogo in cui erano radunate il resto delle creature di Narnia che si erano unite nella lotta contro Miraz, dopo aver marciato per tutta la mattina senza sosta, sotto la guida del Principe e del Re, che avevano discusso per tutto il viaggio sul modo migliore in cui formare l'esercito per la battaglia che ci sarebbe sicuramente stata.

Durante il viaggio Caspian aveva anche spiegato con maggiori dettagli il motivo per cui si trovavano li e la situazione di Narnia, rendendo chiari dei punti oscuri che erano sorti nel discorso di Trumpkin, che non era a conoscenza di tutti i fatti completi.

Parlò loro di suo zio Miraz, che gli era sempre stato vicino dopo la morte del padre solo perchè voleva il suo trono, allora governato da suo fratello. Parlò loro di Cornelius, di come il Precettore lo aveva sempre cresciuto come un figlio, raccontandogli le leggende di Narnia nonostante Miraz avesse vietato di toccare quel discorso. Di quanta fiducia l'uomo riponeva in lui e nei Sovrani, tanto da spingerlo a sacrificarsi qualche notte prima.

Quando i Pevensie si erano allontanati dal discorso spinoso sul Padre defunto e ciò che ne era conseguito alla sua morte per sapere qualcosa di più sul Principe, Caspian si era soffermato spesso ad osservare Susan di sottecchi, lanciandole degli sguardi per cercare d'imprimersi dentro la mente ogni particolare di quel volto che aveva suscitato il suo interesse.

Questo con grande irritazione di Peter e per il suo lato protettivo che ruggiva nel petto non appena il Principe si rivolgeva sua sorella. Per tenerli lontani si metteva continuamente in mezzo ai discorsi dei due con qualche frecciatina, o insinuandosi tra il ragazzo e sua sorella dirottando il discorso sulla situazione in cui erano coinvolti.

Susan alla fine aveva lasciato il posto affianco al castano a Peter quando il fratello maggiore l'aveva eclissata implicitamente con un "Susan, vai insieme ad Edmund a fargli compagnia, visto che sta camminando da solo", dopo avergli lanciato un'occhiataccia intimandogli di farsi i fatti propri ed essere cordiale.

Dietro di loro c'era il centauro Glenstorm, che procedeva con il passo cadenzato e leggermente dondolante tipico delle creature Narniane della sua razza. I Pevensie si erano ritrovati a studiare lui ed i suoi compagni, constatando che senza le armature complete con incisi gli stemmi di Narnia, i centauri apparivano più selvatici e schivi, meno propensi alla lealtà e fedeltà che erano solite caratterizzarli.

Ma, per inciso, apparivano soltanto, poiché dentro conservavano sempre un animo nobile e coraggioso, tipico dei loro predecessori.

Il gruppo di Trumpkin era subito dietro, ed i suoi due compagni di vita non facevano altro che domandar lui notizie suoi Re. Il più emozionato era Trufflehunter, che ricambiava raccontandogli a sua volta del Principe, di come aveva promesso di aiutarli, mentre invece Nicabrik continuava a mantenere la sua aria sospettosa ed ironica, scoccando di tanto in tanto delle occhiate lampanti in direzioni di Caspian e studiando i Sovrani.

I suoi pensieri erano molto simili a quelli iniziali di Trumpkin – che grazie alla presenza di Lucy e del tempo trascorso con i Pevensie si erano fatti meno tetri – con una nota di negatività maggiore e speranza ormai sbriciolata da tempo.

Non si fidava del tutto sulle capacità dei cinque nuovi arrivati poco più che adolescenti, contando anche che i due maggiori che avrebbero dovuto guidarli non andavano d'amore e d'accordo, ed Aslan ormai non c'era più. Li aveva traditi.

Non rimaneva più nulla da fare se non continuare a nascondersi nella foresta; andare contro i Telmarini sarebbe stato un suicidio, una totale carneficina. Il popolo venuto dal mare era troppo numeroso per loro, una manciata di mosche sopravvissute per grazia.

Cosa potevano fare cinque ragazzi che si divertivano a fare i Re che loro non avevano fatto in milletrecento anni?


-Allora, come sono?-

La voce curiosa ed emozionata di Trufflehunter che si rivolgeva per l'ennesima volta a Trumpkin lo fece voltare, rendendolo partecipe del discorso che i due avevano intrapreso e facendogli dimenticare i pensieri lugubri di pochi istanti prima.

Se quei cinque erano li per un motivo preciso, tanto valeva provarci a combattere, no? Al massimo rimaneva sempre Lei, che poteva aiutarli.

Il diretto interessato sembrò pensarci un attimo prima di rispondere.

-Soddisfatti, lamentosi, testardi come muli la mattina.- affermò sicuro e con un sorrisino, tra l'ironico e il finto scocciato. Aveva descritto quelle che non si sarebbero definite migliori qualità, però per lui erano già dei complimenti.

-Ah. Ti sono simpatici.- s'intromise Nicabrik, guardando il CPA con il solito ghigno, il tono che la sapeva lunga su ciò che celavano quegli apparenti difetti appena proferiti con sarcasmo. Questi gli rivolse un'occhiata molto significativa che esprimeva i suoi pensieri, sapendo che il nano conosceva lui ed i suoi modi di fare troppo bene per nascondergli qualcosa di così ovvio.

-Abbastanza.- concesse, dando adito ai pensieri di entrambi e facendo sorridere Lucy, dietro di loro, per la notizia appresa. Sapeva che quella del CPA era tutta apparenza, e che anche se voleva mostrarsi duro e distante fuori, dentro aveva un cuore d'oro e un animo gentile che poteva ancora dare molto agli altri.

Lo aveva capito fin da subito, ma sentirlo con le proprie orecchie era una stata una soddisfazione enorme, che l'aveva fatta sorridere di vittoria.

E poi c'erano loro.

Due anime che si erano appena trovate, ma che sarebbero destinate a stare insieme per molto tempo, come deciso dal destino e dalla Grande Magia fin da prima della loro nascita.

Camminavano fianco a fianco, ognuna persa nei propri pensieri, cercando di evitare le sterpaglie e di stare al passo.

Non si guardavano, non parlavano, non comunicavano a gesti: semplicemente entrambe si accontentavano di una presenza vicina mentre guardavano altrove. Una su cui sapevano che avrebbero potuto contare sempre, da quel momento, una di quelle che quando vedi non ci pensi due volte ad avvicinarla, perchè nell'inconscio sai che è quella giusta.

Lia poi sapeva.

Tutto.


Aveva già capito: le era bastato uno sguardo, anche la semplice vicinanza, per poter capire, sentire, percepire. I ricordi, le emozioni, i pensieri. La paura, quell'insana ansia di dover nuovamente dire addio a quel mondo, e che la faceva chiudere a guscio da un anno, rendendola schiva e diffidente.

Un briciolo di speranza che brillava ancora in fondo agli occhi, dovuto alla voglia di combattere per la sua terra, una scia di sicurezza che non poteva fare a meno di scorrerle nelle vene insieme al sangue e alla magia.

E l'angoscia, per quel segreto che stava diventando opprimente.

-Siamo arrivati.- annunciò Caspian, indicando il rifugio che si trovava alla fine della radura che avevano davanti, la cui entrata era gremita di puntini distinguibili come Narniani e richiamando l'attenzione generale.

Lucy trattenne il respiro per lo stupore e la leggerezza che le fece sfarfallare il cuore, mentre si avvicinava a Peter per vedere meglio, superando il gruppo di Trumpkin.

Davanti all’entrata della montagna, nel frattempo, si stavano disponendo due file di centauri per dare il saluto ufficiale ai Sovrani, come succedeva a Cair Paravel, quando i precedenti Narniani alzavano le spade nella sala dei troni al passaggio dei Re.

Quando i suoi fratelli e il Principe si fermarono prima dell'inizio delle file Eve tentò maggiormente di confondersi con il resto del gruppo, avvicinandosi inconsciamente a Lia per non essere vista.

Avrebbe voluto raggiungere Edmund, percorrere insieme ai fratelli la stretta via, ma c'era qualcosa che la bloccava, che non le permetteva di mostrarsi come Regina davanti a così tanti Narniani.

Paura.


Aveva paura, un terrore cieco fatto di pensieri e dubbi, una sensazione d'angoscia riguardante il motivo che se si fosse nuovamente mostrata come Sovrana e legittimo abitante di quel mondo questi le sarebbe stato strappato via nuovamente, come un anno prima.

E senso di colpa.


L'aveva ammesso non senza difficoltà, si sentiva altamente in colpa verso se stessa e verso Narnia. Aveva i tormenti da quando erano tornati ed avevano scoperto tutto ciò che quel mondo aveva subito senza di loro, come era cambiato.

Si sentiva in colpa, ed inoltre aveva un vago senso di vergogna per sé, per aver lasciato quel ruolo che invece amava con tutta se stessa.
Temeva la reazione che avrebbero avuto gli altri Narniani alla loro vista, non aveva il coraggio di farsi vedere.

Codarda.


Edmund si girò verso di lei dopo averla cercata con lo sguardo per constatare che non fosse già da parte a qualcun altro, e le fece cenno di raggiungerli, sorridendole rassicurante come se sapesse i suoi pensieri e ciò che stava provando.

Evelyn boccheggiò a vuoto, negando velocemente con la testa e abbassando poi lo sguardo verso il terreno, una morsa ferrea allo stomaco e gli occhi che imploravano di voler scappare lontano da li. In qualunque altro posto di Narnia, ma lontano da tutta quell'attenzione a cui, inconsciamente, non era nemmeno più abituata.

Così non faceva altro che peggiorare le cose.

Una scintilla di consapevolezza si accese negli occhi azzurri dopo che la sua mente ebbe lavorato per trovare un modo per uscire da quella situazione senza dare nell'occhio.

Stava peggiorando la situazione.


Se anche gli altri non l'avrebbero vista al fianco di qualcuno si sarebbero voltati verso di lei, tartassandola di domande sul motivo per cui era ancora li, se stava bene e cosa aspettava a raggiungerli. L'attenzione si sarebbe focalizzata solo ed esclusivamente su di lei, magari additata anche come una bambina capricciosa, ed era ciò che stava cercando d'evitare il più possibile.

Evelyn scoccò uno sguardo a Lia, facendo dardeggiare lo sguardo dagli occhi impassibili della lupa alla schiena di Edmund, per poi passare in rassegna quelle degli altri.

Sospirò pesantemente, infondendosi calma, e raggiunse gli altri, titubante, i passi malfermi come se le gambe non riuscissero a reggerla e il fastidioso battere incessante del suo cuore ancora agitato che rimbombava dentro la testa.

Quando arrivò al fianco di Edmund questi le rivolse un sorriso sghembo, studiando le emozioni che scorgeva negli occhi della sorella e bloccando la voglia di abbracciarla che l'aveva assalito. Si limitò a guardarla comprensivo, per infonderle la sua presenza attraverso il suo sguardo; uno di quelli che per Eve aveva il potere di farla sentire più sicura, cullata e protetta come tra le braccia di madre.

Represse la voglia di morsicarsi un labbro per il nervosismo e impedì alla malinconia di assalire ancora i suoi occhi, focalizzando l'attenzione davanti a lei e lasciando la mente libera di svagarsi.

Vedere quella montagna fatta da pezzi di roccia messi insieme, circondata dalla radura di erba fresca, con lo sfondo dell'azzurro del cielo e degli alberi verdeggianti le donò un repentino cambio di umore, infondendole calma e serenità. Era come se vedesse la natura stessa danzare un ballo ammaliante, che le fece scordare tutto, liberando il peso allo stomaco e sciogliendo la mente da tutti i pensieri di pochi attimi prima.

Portò il suo cuore indietro nei ricordi, che giacevano protetti in un angolo di mente e anima, nella parte più nascosta di sé.

Si ridestò quando Peter si mosse per primo, iniziando ad avanzare e mostrandosi ai Narniani in tutta la sua regalità, formando una corrente d'aria e portandosi dietro i fratelli, lei compresa.

Una moltitudine di sensazioni stava avvolgendo ognuno di loro nel camminare nuovamente come regnanti dopo tanto tempo sul suolo del mondo a cui appartenevano; nel luogo in cui avevano imparato a crescere e maturare. E amare.

Si ritrovavano tra la loro gente, il loro popolo, anche se con milletrecento anni di differenza.

Caspian rimase indietro, lasciando ai re tutta l'attenzione che meritavano. Abbassò lo sguardo, in soggezione, per poi alzarlo e studiare le figure dei cinque ragazzi che procedevano sotto le spade, guardandosi intorno.

Loro erano i Re e Regine di Narnia, quelli annunciati dalla profezia, quelli delle leggende che Cornelius gli raccontava di nascosto, quelli che avevano portato Narnia al massimo splendore.

Tentennò.

Sarebbe stato in grado di essere al loro livello?



Ciò che i Pevensie percepirono subito sulla pelle non appena varcarono la soglia d'entrata fu il cambio di temperatura, una vampata di calore proveniente dalle torce accese che gli bloccò per un attimo il respiro.

Peter e Edmund si guardarono intorno, osservando i Narniani lavorare le armi e scambiare i turni di vedetta, mentre le sorelle esploravano quella che era diventata la loro dimora temporanea.

Era scavato nella montagna e dentro si diramava in più direzioni, arrivando a formare delle rientranze che erano state adibite a stanze, camere in cui portare i feriti o radunare le armi forgiate. I fuochi accesi e il parlottare degli abitanti di Narnia lo rendevano vagamente accogliente e c'era una buona temperatura interna, forse un po' troppo calda per via dell'aria statica a causa della mancanza d'aria corrente.

-Non sarà quello a cui siete abituati...- iniziò Caspian, attirando l'attenzione dei due ragazzi dopo aver osservato i Narniani, sottintendendo la mancanza dei privilegi a cui loro come nobili potevano accedere a Cair Paravel o Telmar.

-...ma è difendibile- finì, lanciando un'occhiata alla struttura sfruttata al meglio.

-Peter, meglio se vieni a vedere.- s'intromise Susan, dopo essere tornata da una via particolarmente buia e vuota, nello sguardo una mal celata ansia e il tono di voce che nascondeva una nota dubbiosa sotto l'ordine appena dato.

Quando furono nel luogo in cui erano riunite le ragazze, i due Pevensie studiarono l'ambiente, mentre Caspian li guardava di sott'occhio cercando di capire i loro loro possibili pensieri.

-Siamo noi...- proferì Susan in un sussurro, non capendo a cosa serviva quel luogo, osservando i graffiti sui muri che li rappresentavano nei momenti più importanti vissuti li a Narnia, come l'incoronazione o l'incontro con Tumnus. Si scambiò uno sguardo con i fratelli, meravigliati e confusi quanto lei.

-Cos’è questo posto?- domandò Lucy, dando voce ai pensieri suoi e degli altri spezzando la barriera di silenzio imbarazzante che si era creata ed osservando il Principe per cercare di capire qualcosa.

-Non lo sapete?- Caspian li guardò, stupito per quella rivelazione e con un tono di voce lievemente incredulo. Non si aspettava che proprio loro non riconoscessero quel luogo tanto importante da sfiorare il sacro.

Lo sguardo confuso che i cinque ragazzi che si trovava davanti fecero dardeggiare da lui a Lia, e dal muro tra di loro, per poi posarlo nuovamente sulla sua figura o quella della lupa gli fece capire che non stavano scherzando.

Caspian prese una torcia per illuminare la strada buia che si trovava dietro l'angolo dopo quei disegni sul muro, deciso a far luce nella mente dei Pevensie, e si mise in testa al gruppo, conducendolo per tutto il cunicolo di pietra che si schiariva nei punti in cui procedevano con le torce, per poi tornare ad inglobarsi nel buco nero di poco prima.

Li condusse lungo tutta la strada di pietra, fino a raggiungere una stanza più grande, tutta buia e vuota rispetto al resto della casa di Aslan, in continuo movimento e sfruttata in ogni piccolo angolo. La cosa insospettì i Pevensie, che iniziarono a guardarsi intorno strizzando gli occhi per cercare di vedere qualcosa: se quello spiazzo non era usato, evidentemente il motivo era perchè si trovavano in qualcosa d'importante.

Man mano che il fuoco che aveva acceso Caspian grazie alla torcia pochi istanti prima circondava il perimetro della stanza illuminando i muri, i ragazzi iniziarono a distinguere qualcosa dell'ambiente in cui si trovavano: sulle pareti c’erano varie figure scolpite nella pietra che rappresentavano gli abitanti di Narnia, uno per specie come per racchiuderci dentro l'essenza di tutta la razza che rappresentavano.

Ma la loro attenzione venne catturata in assoluto da un leone, che gli fece togliere lo sguardo dalle altre creature per concentrarlo li.

L’immagine che raffigurava Aslan svettava nel centro della sala, ed ebbero tutti l'impressione che fosse più grande delle altre figure che circondavano quella del leone, come un omaggio al Sovrano indiscusso delle terre Narniane.

Eve poté scorgere chiaramente che in un angolo poco più in basso dello stesso riquadro era scolpito anche Cair Paravel, con un accenno di spiaggia e dell'oceano orientale spumeggiante.

E poi, il loro sguardo si sgranò di stupore, quando si trovarono davanti la Tavola di Pietra. Edmund e Susan si scambiarono uno sguardo tra lo stupito e il preoccupato, mentre Lucy si avvicinò al masso spezzato, le immagini del sacrificio di Aslan che le scorrevano davanti agli occhi.

Anche gli altri mossero qualche passo verso la tavola, ma restarono più indietro, titubanti, certi di sapere che la sorelle minore avrebbe ancora ribadito la sua fiducia nel leone.

-Un piano di sicuro c'è l’ha.- espose infatti, dopo aver posato la mano sopra la pietra, una scintilla di fiducia negli occhi e la voce sicura. Si voltò per guardare i fratelli in volto, facendo valere ancora le sue teorie come gli altri si aspettavano.

Quello nel bosco era Aslan, non poteva sbagliarsi.

Evelyn le sorrise di un misto tra il triste e il rassicurante, ma il volto degli altri tre era più serio, molto più concentrato sulle cose concrete.

Peter prese in mano la situazione, occhieggiando l'immagine di Aslan che torreggiava su di loro e che gli ricordava costantemente che fin dall'inizio di quella battaglia il leone non c'era stato, se non per l'apparizione alle due sorelle pochi giorni prima.

Bisognava agire. Da soli.


-Ora tocca a noi.-


***


Peter e Caspian durante le ore successive erano stranamente riusciti ad arrivare all'accordo che entro pochi giorni si sarebbero mossi, e che l'esercito doveva quindi essere pronto ed armato per ogni evenienza.

I Narniani, già intenti a produrre fin da prima dell'arrivo dei vecchi sovrani si era messi a lavorare più intensamente, animati da una nuova speranza che la presenza degli antichi Re infondeva e dai pensieri positivi che, ora che si stavano riorganizzando, magari non erano così tanto spacciati come all'apparenza.

Il Principe e Peter si allenarono per varie ore nella radura davanti al rifugio, senza esclusione di colpi, a poca distanza da Edmund ed Evelyn. La scintilla di orgoglio e voglia di vincere che animava gli sguardi dei due maggiori, le mosse precise, per nulla amichevoli o leggere, però, avevano costretto Susan a tenerli sotto controllo mentre a qualche metro di distanza dai due si allenava con il tiro con l'arco.

Su di lei quello che era diventato la sua arte aveva un effetto rilassante; tendere la corda, sentire le piume sfiorarle la guancia ed i sibili delle frecce che tagliavano l'aria era qualcosa di estremamente famigliare, che faceva parte di lei.

E che le era mancato.

Per quanto cercasse di non farlo notare sia a Londra che li, mostrandosi impassibile e concreta, aveva sentito il vuoto provocato dalla mancanza di ogni più piccola particella di quel mondo, perfino gli odiosi vestiti in cui all'inizio inciampava sempre.

Tutto, le era mancato.

Narnia, le era mancata.


Il clangore delle spade le arrivò leggermente ovattato, persa com'era nei propri pensieri, e non si rese conto che anche Edmund ed Evelyn avevano iniziato a incrociare le lame in modo più serio, spinti dall'ebbrezza del combattimento, come già gli altri due stavano facendo da parecchi minuti.

Era adrenalina pura quella che scorreva nelle vene, insieme al sangue fremente che ribolliva sotto la pelle, quando quei ragazzi adolescenti si trasformavano in guerrieri, impugnando le proprie armi e pronti a dar battaglia a chiunque avessero incrociato sulla loro strada.

Era un cambiamento visibile quello che affrontavano, svuotando la mente di ogni pensiero superfluo, cercando di mantenere un respiro regolare ed i sensi all'erta, e concentrando l'attenzione sull'avversario, studiandolo come si fa con una preda, con l'unico scopo di batterlo e vincere. E per i Pevensie, nonostante fosse un anno in cui non maneggiavano le armi seriamente, era come se nulla fosse cambiato.

Tutto così infinitamente familiare. Tutto così pericolosamente bello. Tutto come ai fintamente vecchi tempi.

Quando avevano provato a scambiarsi gli abbinamenti Eve si era irritata quasi subito, capendo che con lei Caspian e Peter non stavano facendo sul serio. Lo vedeva dal loro sguardo fintamente serio, le loro mosse prevedibili, il loro fermarsi ed indietreggiare quando la punta delle loro spade era troppo vicina al suo corpo.

Evelyn non sapeva esattamente perché facessero così, con lei, però la sua mente aveva lavorato per cercare delle risposte abbastanza esaudenti: il primo forse per soggezione, poiché non la conosceva, non sapeva come comportarsi e approcciarsi nei suoi riguardi; e il secondo per le sue maniere estremamente protettive, ma che a lei la facevano sentire solo un peso, una responsabilità che il fratello si prendeva senza che lei lo chiedesse.

Inoltre forse la sottovalutavano, e si rivelavano distratti mentre concentravano l'attenzione su altro.

Come una certa Susan la Dolce, o la rivalità con un Principino.


La fine della giornata, passata tra scontri e conoscenze, frecciatine e risate, era arrivata senza che la chiedessero, con un regalo di cattivo gusto. Un raggio di sole era spiccato più degli altri, finendo dritto negli occhi di Eve, che si era ritrovata la luce della sfera di fuoco contro.

L'aveva fatta indietreggiare di qualche passo per la luce improvvisa, mentre si portava le mani agli occhi per coprirli, un mugolio di protesta che le sfuggiva dalle labbra e la spada che cadeva tra l'erba senza un suono, rendendola indifesa di fronte alla lama che stava affrontando.

Se Caspian non avesse avuto i riflessi pronti che l'avevano fatto fermare prima che fosse troppo tardi l'avrebbe colpita al fianco.

Quando si era ritrovata gli occhi di tutti addosso aveva liquidato la questione, rinfoderando con mano tremante Asterius a causa dell'agitazione che l'aveva presa per la figura fatta, ed incamminandosi per prima verso l'interno della casa di Aslan.

-Com'è andata?- la voce curiosa di Lucy raggiunse Eve non appena mise piede nella stanza della tavola di pietra.

-Bene.- si limitò a rispondere, prendendo posto in un angolo della sala mentre entravano anche gli altri. La Pevensie non fu soddisfatta di quella semplice risposta, ma dal tono quasi offeso che aveva usato la sorella e l'indignazione che velava i suoi occhi convenne che era meglio non fare domande, lasciandola sola con i suoi pensieri.

Aveva imparato a conoscere e rispettare i silenzi in cui la sorella si chiudeva, tenendo a freno l'entusiasmo che la caratterizzava per esporlo in un altro momento.


***


-Evelyn, stai bene?- la voce di Caspian la raggiunse, ed Eve la sentì particolarmente vicina. Alzò lo sguardo da terra, spostando le mani che stavano sfregando gli occhi per il bruciore improvviso dovuto alla luce del sole che l'aveva presa in pieno.

Ci mise qualche secondo a far scomparire del tutto le ombre nere che vedeva scorrere nella propria visuale, sbattendo più volte le palpebre. Quando fu pronta vide Caspian che le tendeva la sua spada, caduta pochi istanti prima, e gli occhi vigili dei fratelli che li guardavano da lontano. Riprese Asterius, un gesto veloce e quasi seccato che non passò inosservato al Principe, il quale alzò un sopracciglio in una muta domanda.

-Non avresti dovuto fermarti.- bofonchiò, tornando a guardare in basso, le guance rosse per la vergogna dovuta alla figura appena fatta.


Stupido raggio di sole.


-Avrei dovuto colpirti?- la domanda diretta del ragazzo davanti a lei la fece trasalire, mentre oltre alla vergogna arrivavano anche i sensi di colpa. Caspian si era fermato per non farle male, e lei in risposta lo trattava gelidamente e faceva l'offesa per un favore che le aveva fatto.


-N-no.- balbettò, senza convinzione, posando lo sguardo sulla casacca del Principe.

-Scusami.- ammise, guardandolo finalmente negli occhi.

-Colpa dell'orgoglio?- smorzò la tensione lui, sorridendole e capendo che sotto quel lato somigliava terribilmente a Peter.

-Colpa dell'orgoglio.-



***


-Caspian...- attirò l'attenzione Susan, dubbiosa, strappando Eve dai suoi pensieri. Il Principe posò lo sguardo sulla ragazza, invitandola ad andare avanti.

-Dove dormiremo?- chiese, indicando lei ed i fratelli. Nella sala ci fu un silenzio a metà tra l'imbarazzante ed il pesante, mentre i presenti si scrutarono in faccia, increduli, e prendendo coscienza della realtà.

Erano stati talmente impegnati sul fronte della guerra e del combattimento, dell'organizzazione del lavoro e la disposizione delle truppe, che non avevano pensato a dove avrebbero passato le notti i nuovi ospiti.

Caspian si grattò la nuca, mentre la sua mente lavorava per elaborare una soluzione concreta; davanti agli occhi gli scorrevano le immagini delle varie stanze che c'erano sotto la montagna e scavate nella pietra, cercando d'individuarne una abbastanza intima adatta ai Pevensie.

-Abbiamo adibito due stanze, molto simili a questa, al luogo in cui raccogliere i possibili feriti. Per il momento fortunatamente non ce ne sono, quindi potete dormire li.- spiegò, guardandoli negli occhi e posando in ultimo lo sguardo su Susan, sicuro. La ragazza sorrise leggermente, sviando poi l'attenzione su Peter, che aveva ascoltato il discorso in silenzio, attento.

-E dove sono?- domandò, per cercare anche d'imparare al meglio la piantina di quei sotterranei.

-Dopo l'entrata principale, a sinistra. C'è un cunicolo che è un vicolo cieco.- spiegò, cercando di essere il più chiaro possibile. Ottenne dai Pevensie qualche cenno e dei ringraziamenti.

-Dopo vi accompagno personalmente.- si offrì, comunicando a Glenstorm di far preparare delle coperte nelle stanze scelte per i Re. Questi s'inchinò, uscendo, ed il discorso del gruppo si spostò su altri punti, come commentare le gesta che raccontava di aver fatto Ripicì, che smorzò un po' la tensione della guerra.


***


La luce delle torce illuminava quel cunicolo che stavano percorrendo, in cui i passi, seppur leggeri, rimbombavano per qualche secondo in quel corridoio scuro e chiuso.

-La più piccola è diventata la mia.- spiegò Caspian, dopo essersi fermato davanti ad una stanza ed indicando l'entrata, chiusa da una porta di legno in cui però passavano lo stesso degli spifferi d'aria, a causa di alcuni buchi e delle assi un po' marce.

-Quella è diventata un deposito d'armi.- continuò, indicando quella sul lato opposto, sprovvista di porta e da cui s'intravedeva lo scintillio delle lame.

-La più grande delle due è questa.- spiegò, deciso, come se fosse davanti ad un consiglio e stesse facendo un discorso importante.

-Potrebbe diventare quella delle ragazze, visto che sono in tre.- ipotizzò Edmund, osservando dall'uscio, ottenendo l'assenso di Peter ed un sorriso cordiale da Lucy.

-La vostra sarebbe quella la.- terminò, indicando ai ragazzi l'ultima stanza che si trovava alla fine del cunicolo, più isolata rispetto alle altre.

-Ti ringraziamo della gentilezza.- si fece avanti Susan, sorridendo cordiale. Quando fu ricambiata dal Principe sentì uno strano calore alla guance, che le fece abbassare il capo verso terra, imbarazzata.

Che diavolo le stava succedendo?


Lucy sorrise contenta, dando delle leggere gomitate ad Eve, che in risposta ghignò, osservando la situazione statica in cui si erano cacciati quei due.

-Grazie, Caspian.- intervenne Peter, attirando l'attenzione del Principe e togliendo lo sguardo del castano da Susan. La sorella lo fulminò per il tono lievemente sgarbato e di sufficienza che aveva usato, uno sguardo a cui il Pevensie non fece caso, troppo preso a voler tenere il Telmarino al proprio posto.

-Ti ringrazio, Caspian.- fece Eve, calcando particolarmente sul nome e parlando lentamente. Edmund la fissò, scorgendo uno strano luccichio negli occhi della sorella che il Principe non colse del tutto. Presagiva guai. Eve difatti non aspettava altro che mettere in situazioni discutibili Caspian e Susan, con l'aiuto di Lucy.

Eppure Edmund scambiò quel brillio pericoloso e sadico, percependolo come ammirazione, o qualcosa di più, verso il nuovo arrivato. Una gelosia interna lo prese e sentì le mani fremere, mentre cercava d'imporsi la calma, pensando che, semplicemente, non poteva essere. Inoltre Caspian era interessato palesemente a Susan, ricambiato, tra le altre cose, quindi non aveva motivo di...

Scosse la testa, fermando quei pensieri. Eve, se voleva, era libera di amare chiunque volesse, non avrebbe potuto trattenerla vicino a sé per sempre.  

Nessuno si accorse del repentino cambio di umore che aveva preso il moro. Nessuno vide il velo di malinconia che oscurò per un istante i suoi occhi castani. Nessuno, perchè tutti concentrati a parlare d'altro, come augurarsi un buon sonno.

Nessuno. Tranne una lupa dagli occhi di ghiaccio.


***


Il fruscio insistente delle coperte che rompe il silenzio statico che si è creato nella stanza.

Una, due, tre, dieci volte.

Evelyn sbuffò sommessamente, aprendo gli occhi e mettendosi a pancia in su, lasciando cadere a peso morto le braccia lungo il corpo, producendo un suono ovattato attutito dalle coperte.

Non riusciva a prendere sonno.


Non si sforzò nemmeno di cercare di distinguere qualche sagoma nel buio della stanza; c'era una piccola torcia che avevano lasciato accesa qualche ora prima che lavorava per lei, mostrandole i volti rilassati delle sorelle.

Loro erano riuscite ad addormentarsi. Per lei, invece, sembrava una cosa impossibile da fare quella notte.

Si sollevò sui gomiti, riuscendo poi a prendere una posizione seduta provando un moto d'invidia nel sentire il respiro rilassato delle sorelle. Si stropicciò gli occhi per togliergli via un po' di stanchezza che nonostante tutto aveva, e cacciando la treccia in cui aveva raccolto i capelli dietro la schiena.

Il suo sguardo diventò vacuo e lontano, mentre ripensava a qualche ora prima; intuiva il motivo per cui non riusciva a dormire.

Edmund.


Le sembrò quasi di vedere davanti agli occhi le lettere del suo nome comparire su uno sfondo nero, con un lieve alone intorno.

Scosse la testa, sconsolata, e sospirò: in un modo o nell'altro, lui centrava sempre. Il dubbio che l'assillava era quando lo aveva visto con la coda dell'occhio indurire lo sguardo e chiudere a pugno una mano, dopo che lei ebbe rivolto quello ringraziamento velato di una maliziosa minaccia a Caspian, e nel suo rapporto con Susan.

Gelosia?

Non poté fare a meno che pensare, sapendo già la risposta. Scosse la testa, cercando di convincere del contrario anche quella vocina che insistentemente aveva preso a gridare che era qualcosa di più che gelosia tra fratelli.

Protezione. Solo e semplice protezione.

Era meglio che non si illudeva, altrimenti avrebbe solo finito con il rimanere ancora più delusa.

S'ammonì, avendo fin troppo chiaro il tipo di situazione che poi ne sarebbe derivato da tutto quel blocco di dubbi e pensieri. Però l'espressione di Edmund... Era li, fissa davanti ai suoi occhi, una visione troppo chiara per essere cancellata o catalogata come semplice fantasia.

Cercando di non fare rumore la Pevensie s'alzò da quello che doveva essere il suo letto, – dato che ormai era solo un ammasso di coperte – e si diresse verso l'uscita con passo felpato, cercando di non inciampare e di muoversi leggera, per non svegliare le sorelle o, quando fu fuori dalla stanza, gli altri Narniani che riposavano.

Quando uscì respirò l’aria fresca notturna, e alle sue orecchie arrivò il suono del vento tra le fronde degli alberi. Mentre era presa a guardare la luna e il cielo tappezzato di stelle non si accorse che le guardie di vedetta l'avevano vista e si erano inchinate.

-Cosa fate qui?-

Trasalì quando la voce di un compagno di Glenstorm le arrivò vicina – troppo vicina – senza che si fosse accorta del rumore di zoccoli sulla pietra. Prese un respiro profondo, imponendosi calma e scacciando quel senso di agitazione e colpa che la prendeva sempre quando si ritrovava faccia faccia con una Narnia cambiata insieme ai suoi abitanti.

Anche per colpa sua.

-Non riuscivo a dormire.- spiegò semplicemente, facendo vagare lo sguardo sulle ombre degli alberi alla fine della radura, troppo lontane per essere distinte singolarmente. Il centauro fece per parlare, ma Eve lo anticipò, intuendo ciò che le avrebbe detto.

Conosceva troppo bene ormai ciò che il ruolo di Regina comportava.

-Non preoccuparti. Starò dietro quelle rocce.- spiegò, calma, indicando dei massi spostati verso gli bosco alla sua destra. Il Narniano seguì con lo ssguardo il punto indicato dal dito.

-Quindi fate finta che non ci sia e continuate a fare di vedetta senza pensare a me.- ordinò, leggermente perentoria, ricordando fin troppo bene le faune che seguivano lei ed i suoi fratelli a Cair Paravel per non fargli mancare nulla, o il corpo di guardia del castello.

Il centauro s'inchinò, sorridendo sincero; un sorriso che spiazzò Evelyn, facendo sciogliere un poco il senso di colpa che sentiva in presenza di quella gente.

-Come desiderate.-


***


Eve si sedette sull’erba fresca, le braccia che circondavano le gambe portate al petto e la schiena appoggiata a una delle rocce dietro di lei. Continuava a fissare il cielo che in Inghilterra per colpa dell’inquinamento e delle luci non era così limpido e brillante, vivo, come lì.

Lì, a Narnia. Lì, a casa sua.

Il posto in cui tornare.

Lì, al mondo a cui sentiva di appartenere da sempre, in quel mondo di cui non poteva più fare a meno.

Lì, in quei luoghi che l'ammaliavano e la calmavano, che la chiamavano con una dolce melodia, come un incantatore fa con i serpenti.

Nel luogo in cui tutto aveva avuto inizio.

Non poté fare a meno di pensare, riferendosi al fatto che molto tempo prima era stato lì a Narnia il luogo in cui aveva scoperto il suo amore per Edmund.

Amore si. Sbagliato però. Tagliò corto, lapidaria perfino con se stessa. Sentì gli occhi farsi lucidi, e un nodo in fondo alla gola. Non andò in panico, come faceva di solito per non farsi vedere debole. Semplicemente attese. Attese, facendo vagare lo sguardo tra il cielo, gli alberi che la circondavano e il terreno. Attese di sentire le solite scie di acqua salata riempire gli occhi e appannare la vista, per poi scivolare lungo le guance, rigando il viso di sofferenza.

Una.


Una aveva avuto il coraggio di uscire dal guscio, di rompere una barriera invisibile, scivolare lungo il viso e perdersi nel terreno.

Due. Tre. Sei...


Le lacrime dispettose avevano iniziato a scendere lungo le sue guance, nonostante lei si fosse sempre imposta di non piangere e mantenere una parvenza di controllo su se stessa e le sue emozioni.

Ma non ci riusciva più.

Erano gocce d'acqua salata che macchiavano il suo abito nero e rosso, quelle sorelle del mare che racchiudeva dentro il suo cuore, testimoni di qualcosa di troppo grande da esporre.

Ma non le tratteneva più.


Erano gocce salate che racchiudevano amore e dolore, felicità e tristezza, risate e litigi. Di parole non dette, momenti sprecati, segreti nascosti.

Ma non sopportava più.

Erano gocce trasparenti che testimoniavano per pochi secondi un amore impossibile da vivere, per poi perdersi dopo essere cadute nel vuoto, quasi indifferenti perfino a ciò che portavano via per pochi attimi, ma che poi ritornava inesorabile. Sempre.

Non ce la faceva più.


-Piangi?-




























































































Buondì :)
Riesco a tornare in tempi decisamente decenti, olè! Non so cosa dire... uhm: qui vediamo un aspetto di Eve che nella precedente versione non avevo trattato in modo approfondito: il senso di colpa. Evelyn si sente in colpa per aver lasciato Narnia a se stessa, e nonostante sappia bene che era così che doveva andare non lo accetterà mai. Avrà sempre dentro le domande "se ci fossi stata, sarebbe potuta andare diversamente?" che la tormenteranno.
E anche su Dhemetrya. Dhem che è sempre stata positiva, che ha atteso, che ha lottato, che ha sofferto si ritrova davanti alla realtà: se la magia che alimenta Narnia scompare del tutto (ciò si presume possa accadere quando anche gli ultimi Narniani perderanno le speranze e periranno per colpa di Telmar nella battaglia finale che, chissà come andrà *muahaa*), anche lei scomparirà, in quanto legata profondamente con la Grande Magia e Narnia stessa (ma questo è un legame che si capirà più avanti).

Ringrazio le persone che preferiscono, che seguono, coloro che hanno commentato i precedenti capitoli o anche solo leggono in silenzio. Grazie mille <
3

Un grazie speciale poi va a FreddyBarnes, alla quale grazie alla sua segnalazione Burn to be Return è entrata nelle scelte del sito e del fandom. Grazie mia Sister
<3

Se a qualcuno interessa ho pubblicato una nuova raccolta, sempre qui sulle Cronache. S'intitola Essence.
Inoltre se volete v'invito a fare un giro nella serie "Just and Sly - Special Moments", incentrata principalmente - per il momento - su Edmund ed Eve. L'ultima shot che ho pubblicato si chiama Water Heart, ed introduce un personaggio che poi avrà a che fare con quello del flashback di Eve nel capitolo quattro.
Giuro che ho finito.

Grazie a tutti
Love,
D

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Capitolo 8
*** Principessa figlia del nulla. ***


Narnia's Spirits
Principessa figlia del nulla.






-
Piangi?-

-Lia...-

Lia?

Il primo pensiero che le venne in mente quando Eve sussurrò senza la minima convinzione il nome della lupa, un mormorio strozzato e biascicato che si perse nel silenzio della notte, fu che la presenza della Narniana la rassicurava. Si sentiva protetta, e una strana vocina – alquanto irritante, alle volte – nella sua mente le diceva che di lei poteva fidarsi, che non l'avrebbe mai tradita.

Era una sensazione sottile, che le partiva per istinto ogni volta che la vedeva e che non poteva fare a meno d'ignorare, come se si trovasse accanto a qualcuno particolarmente vicino a lei, tanto vicino che le sembrava che potessero leggersi le emozioni a vicenda.

-Lia.- si ritrovò a ripetere, più convinta, distogliendo lo sguardo dagli occhi della Narniana che la fissavano e asciugandosi frettolosamente le scie di acqua che le lacrime si erano lasciate dietro.

Ripeté quel gesto varie volte, sfregando in maniera continua e quasi arrabbiata gli occhi che continuavano ad appannarsi per via del pianto che non voleva cessare, le mani che tremavano visibilmente e una morsa ferrea alla bocca dello stomaco che iniziava a darle la nausea.

Aveva quasi voglia di vomitare.

Lia.

Lia era li. Lia la stava guardando. Lia l'aveva vista. Lia stava cercando di farle arrivare un messaggio tramite gli occhi, lo intuiva. Forse aveva capito?

Perché?

Perché quando voleva essere lasciata sola arrivava sempre qualcuno ad aiutarla? Perché non riusciva mai a cavarsela da sola?

O era Peter, o era Edmund, o era Susan, o era lui. E adesso, a quanto pareva, era Lia.

Perché?

Perché si ritrovava sempre in quelle situazioni del cavolo?

Perché? Perché? Perché?

Tante domande confuse, pensieri, emozioni e ricordi che si sovrapponevano nella sua testa, dandole un senso di agitazione nel non trovare un punto fermo su cui ragionare in tutta quella matassa di fili che si stavano cucendo tra loro, formando una grande ragnatela che le stava soffocando cuore e ragione. E più ci pensava, meno senso iniziavano ad avere le parole a cui stava pensando.

-Da quanto tempo sei qui?-

Spezzò quel silenzio carico di tensione decidendo di parlare, la voce lievemente stizzita per essere stata interrotta nella sua agonia silenziosa e solitaria.

Voltò il capo nervosa, posando lo sguardo sul terreno, non avendo il coraggio di sostenere l'occhiata che la lupa le stava rivolgendo, come per paura che potesse leggerle i pensieri.

Mentre si torturava le mani nervosamente ed iniziava sentire il sapore del sangue sul labbro che si stava ripetutamente morsicando, constatò che era talmente tanto distratta a piangere e rimuginare su se stessa che non si era accorta che qualcuno si stesse avvicinando a lei. Aveva sentito uno spostamento d'aria passarle tra i capelli con un fastidioso sibilo pochi istanti prima, ma non ci aveva fatto caso, pensando che fosse stato creato da una corrente poco più forte delle altre proveniente da est.

In questo modo non si era accorta della presenza della lupa che si era accostata a lei poco prima che la chiamasse e che in quell'arco di tempo non aveva finito di fissarla, come per studiarla.

Nonostante stesse guardando l'ombra delle sue dita rischiarate dalla luna insistentemente, Eve percepiva su di sé gli occhi imperscrutabili di Lia che ancora non la mollavano.

-Abbastanza per capire.-

Quelle semplici parole dette senza il minimo dubbio destarono Evelyn, convinta che ormai la Narniana avrebbe continuato a guardarla senza rispondere al suo quesito. La colpirono con la forza di una pugnalata ed una carezza insieme, a causa del tono all'apparenza freddo e distaccato ma che conteneva una variazione cullatrice e comprensiva, oltre che saputa, che aveva usato la lupa nell'esprimere quel mormorio.

Ed intanto i suoi occhi continuavano a fissarla.

Eve ebbe una scossa d'irritazione che si fece prepotentemente sentire mandandole in panne la testa per qualche secondo, quando si accorse con una fugace occhiata che Lia continuava a guardarla impudentemente e rendendosi conto di ciò che le aveva risposto.

Sbiancò di colpo e un formicolio le immobilizzò le gambe, il cuore che iniziava a battere furiosamente dopo essere stato come risucchiato da una morsa ghiacciata, e il panico s'imposseò della sua mente quando assimilò il senso e la piega che stava prendendo il discorso.

-Come?- fece finta di niente, come se non avesse inteso le parole della lupa, deglutendo il nulla per via della gola secca e che biascicava parole strozzate, che s'incastravano come schegge appuntite tra le corde vocali fino a corroderle. Un sorriso forzato per dare enfasi alla sua discolpa, e la voce che era uscita tremula ed incrinata, fin troppo acuta per una che all'apparenza dovrebbe essere calma e pulita.

Cosa che lei non era.

-T-tu...- si bloccò, incerta, evitando di guardare la Narniana negli occhi e posando la sua attenzione sul pelo.

-Tu sai…- prese a morsicarsi nuovamente il labbro fino a farsi male, non spostando lo sguardo, l'indecisione che brillava chiaramente in fondo agli occhi. Cosa poteva dirle? Se lo sapeva che era innamorata di Edmund? E se la lupa avesse frainteso e non intendeva quello? Si sarebbe legata le mani da sola, esponendosi per un disguido.

-Del tuo amore per tuo fratello Edmund?-

Quasi sospirò Evelyn nel constatare che era ciò a cui stava pensando che si riferiva Lia, come se si fosse tolta un peso, sgranando poi gli occhi e guardando più volte la lupa negli occhi, lanciandole delle occhiate stralunate senza sapere cosa dire. Per l'ennesima volta nel giro di pochi minuti, fu la Narniana a rompere il silenzio e dare risposta ai dubbi della Pevensie.

-Sì, lo so.-

Non poteva essere… così, in meno di un giorno… Come diavolo aveva fatto?

-L’ho capito dal primo momento che ti ho vista.-

Non la stava aiutando a chiarire i suoi dubbi, Lia, con quel discorso; anzi, le stava complicando maggiormente i pensieri. Forse aveva una qualche sorta di magia?

-E' talmente lampante dalle occhiate che gli rivolgi.- chiarì, con un tono vago, e ad Eve sembrò quasi che avesse roteato gli occhi divertita.

Tuo fratello.

Evelyn si fermò a rimuginare per la maggiore su quelle parole, mentre il resto delle frasi le rimbombava in testa come un fastidioso eco.

Tuo fratello.


Detta da una persona esterna, sentirlo dire da qualcuno che non si conosceva – non ancora, almeno – era una fucilata dritta al cuore, una coltellata alle spalle, uno stritolamento dell'anima e una corrosione per tutto ciò che faceva parte di lei.

Era come se si sentisse maggiormente in colpa, perchè ascoltarlo dire da nuove voci era come risvegliarsi dallo stato di abitudinaria convivenza a cui ormai aveva imparato a fare l'abitudine, una sorta di apnea protettiva fatta da pianti e segreti, sogni irrealizzabili che la cullavano la notte e le facevano compagnia.

Non si era nemmeno accorta che la lupa le aveva dato del tu invece del voi, talmente era presa a rimuginare, la gola secca e la voce che si rifiutava di uscire per produrre un suono che significasse qualcosa di comprensibile che non fosse uno stupido balbettio, il respiro agitato e la mente in panne.

Ed Eve si sentì maggiormente in colpa, un peso al cuore che glielo fece sprofondare in un baratro di dolore e vergogna, e la possibilità di poter sembrare normale agli occhi di Lia andata in fumo.

Lo sguardo velato di colpevolezza volò in basso, rivolgendosi ai piedi della sua proprietaria e all'erba coperta dal bordo del vestito, saettando poi di tanto in tanto verso la lupa con indecisione, osservandone i movimenti composti e calcolati mentre questa si avvicinava a lei.

E il silenzio continuava a gravare su entrambe, la mente della ragazza invasa da mille ragionamenti, scuse e pensieri per riuscire ad arrivare a qualche conclusione in modo da spiegare o discolparsi con Lia. Per qualche strana ragione, Eve non sentiva nemmeno più di tanto la voglia di discolparsi o cercare una giustificazione: tutto in lei sembrava come stato congelato, immobilizzato nell'assurda piega che aveva preso quello che era iniziato come uno sfogo solitario.

-Non ti giudico.- la lupa spezzò quel momento di transito che durava da troppo, la voce calma e tranquilla che si fermava ad un mormorio udibile solo da entrambe, per attirare l'attenzione della Pevensie ed intuendo il punto debole dei suoi pensieri su cui fare pressione per poter instaurare un discorso.

Per poterla avvicinare, e far si che tornasse a fidarsi delle persone – o creature – in cui aveva sempre creduto.

Lo sapeva Lia, che Evelyn non era più come milletrecento anni prima. Era diventata una creatura estremamente fragile e scontrosa, su cui gravava un peso che lei nemmeno s'immaginava di avere. Un nonnulla, una scintilla scattata dalle ombre oscure dell'anima dentro di lei o una parola di troppo, e il suo equilibrio psicologico già precario, se mandato in frantumi avrebbe scatenato un inferno in Narnia originato da Narnia stessa.

Per questo doveva starle vicina.

-Ora ti farò schifo.-

Lia si ritrovò a fissare Eve che guardava davanti a sé, la voce rotta a quella constatazione quasi già decisa e che lei vedeva come unica possibilità dopo che era stata scoperta, un mezzo sorriso ironico fine a se stesso che non aveva potuto trattenere nello schernirsi da sola che le dava al volto un'epsressione distorta di malcelato disprezzo.

Almeno non stava avendo una crisi isterica.

Dovette complimentarsi con se stessa e la sua bravura per aver imparato a tenere i nervi sotto controllo quel tanto che bastava per restare tranquilla. Anche se si stavano bruciando e logorando dentro non importava, fuori doveva sembrare sicura e con un minimo di autocontrollo.

Era una sciocca. Non sempre era stata così brava.

Eve si ritrovò ad annuire impercettibilmente tra sé, ricordando il tramonto appena passato e l'ansia che era trasparita – come in quel preciso istante in cui si stava mordicchiando il labbro e le unghie – dai movimenti.

Era una stupida. Una stupida illusa. Credeva davvero di riuscire a scappare in eterno? Prima o poi lo sarebbero venuti a sapere. E in quel momento li avrebbe persi. Tutti quanti, Edmund per primo.


-Li perderò tutti quanti.-

La lupa scosse lentamente il muso a quel mormorio sommesso e privo di logica che le arrivò alle orecchie, facendogliele drizzare d'impulso quando una vaga sensazione di vuoto le arrivò al cuore con una stilettata.

-Non hai deciso te di innamorarti di lui.- la discolpò. Lo sguardo di Eve saettò verso Lia, sgranandosi di sorpresa per quel peso che la lupa stava cercando di farle sembrare più leggero e che la invitava a condividere per sentirti meno sola.

Si aspettava che la Narniana le dicesse in faccia che era un essere orribile, che avrebbe dovuto vergognarsi, che la sua storia era impossibile da coronare. Era cerca che l'avrebbe riempita di insulti nonostante il grado che ricopriva – o che non ricopriva più…? –, facendola sentire colpevole più di quanto già non facesse da sola, perchè la maleducazione ed i pensieri delle persone non si possono comandare anche se sei l'essere più importante al mondo.

Invece si ritrovò ad ammettere che l'aveva sorpresa, discolpandola perfino da se stessa e la sua coscienza; dalle fitte che sussultavano nelle parti del cuore facendoglielo contorcere e le morse ferree della sua testa che le ghiacciavano i polmoni, rendendo il respiro ogni volta una coltellata alle spalle.

-Poi, mia cara Regina...- fece una pausa la lupa prima di continuare la frase enigmatica che voleva dire, mentre scorgeva nel volto di Eve ciò a cui stava pensando, indecisa se infonderle quella scossa birichina che era sicura non le sarebbe sfuggita.

-L’amore è imprevedibile e a volte, oltre il dolore, nasconde delle magnifiche sorprese.-

-Non sempre l'amore rende felici- Eve abbassò il capo, rivolgendolo a terra nuovamente mentre la testa s'invadeva d'immagini di momenti precisi. Ricordava di quante volte aveva dovuto confortare alcune compagne che non potevano coronare il loro sogno d'amore, perchè i promessi sposi andavano al fronte, o le lasciavano per sposare una ragazza più benestante. Dei pianti a cui lei avrebbe voluto poter partecipare attivamente per ricevere un conforto, una parola di sostegno; o semplicemente poter dire "Vi capisco", invece che negare quando le veniva chiesto se le interessasse qualcuno.

Non che nell'ultimo anno e mezzo avesse avuto chissà quali chiacchierate con le amiche, però… Dannazione, era forse invidiosa?

-Non voglio
più soffrire così.- chiuse per un attimo gli occhi, per non permettere che diventassero lucidi ancora una volta, la voce soffocata da un'agonia – le sembrava tanto di essere un animale in punto di morte a cui lei stessa avrebbe voluto porre fine – che non aveva più nemmeno la forza di reagire o di piangere.

La testa le diceva che era stanca, sfibrata e gli occhi sembravano essere solo due pozze di cielo ormai spento, ma quella parte di lei che ancora sussultava e bruciava di una flebile fiamma di speranza – no, fedeltà. Verso se stessa, il suo amore, Lui – le diceva che doveva soffrire ancora.

Che doveva sfogarsi, ancora una volta.

L'ennesima. Quante altre ancora?

Era una ferita al cuore ogni volta che lo vedeva. Una ferita al cuore di cui lui era l'artefice e il guaritore, che bruciava e si ricuciva, che marciva e si purificava.

"Nasconde delle magnifiche sorprese."

Sgranò gli occhi, il respiro che si bloccava per pochi attimi nel ripensare a quella frase con scoppio ritardato. Sempre così: la gente parlava, lei non l'ascoltava realmente, ma poi finiva inevitabilmente per ripensarci.

Non era possibile. Non poteva essere.

Scosse la testa, cancellando quei pensieri. Sicuramente Lia si riferiva al fatto che prima o poi avrebbe trovato qualcun altro che l'avrebbe resa felice. Che le avrebbe fatto dimenticare Edmund una volta per tutte. Si, sicuramente si riferiva al fatto che dopo tutte le lacrime versate avrebbe finalmente sorriso.

Poteva sorridere se non aveva qualcuno per cui farlo realmente, però?

Lasciò correre quell’ultima frase, reprimendo la voglia di fare un interrogatorio poco carino a Lia, e focalizzò la sua attenzione sul continuare il discorso principale, che gravava su un semplice problema, sempre lo stesso, sempre quello che più di tutto l'aveva bloccata dall'esporsi.

-E' mio fratello.-

Il problema principale.

Perchè era una Pevensie? Perchè Lui era un Pevensie? Non potevano nascere come perfetti estranei? No, ovviamente. E poi se non fossero stati fratelli non avrebbero mai visitato e vissuto a Narnia. Avrebbero perso tantissime avventure bellissime, giorni calmi o il fermento prima di una battaglia. Se non fossero stati fratelli probabilmente non ci avrebbe nemmeno mai parlato, perchè c'era la possibilità che Edmund non la calcolasse nemmeno.

La cosa positiva era che poteva contare sempre su suo fratello, sul loro rapporto di fratellanza e il loro legame di sangue.

Sangue.


Quel sangue che stava odiando, in quel momento.

Una scarica d'irritazione le aprì una voragine alla bocca dello stomaco e le fece vedere tutto nero per qualche attimo, seguito da delle ombre di rosso – Rosso, come quel loro maledetto Sangue – e il senso di rigetto tornò, più presente di prima.

Avrebbe voluto vomitare il suo stesso sangue, in quel momento. Rigettare a terra quel liquido velenoso che le scorreva nelle vene, vederlo scomparire negli antri di quella che era la sua terra – Sua, più di quanto lei stessa immaginasse. –

-Ma oltre a questo, lui ai tuoi occhi è pur sempre un ragazzo.- si ritrovò a palesare Lia, ovvia, una cosa che per lei era visibile come il sole che brillava al mattino ma che la Pevensie non comprese appieno.

Eve si girò verso la lupa, fissandola senza preoccuparsi di non farsi notare per qualche attimo dritta in quegli occhi per certi versi molto simili ai suoi e a quelli di Peter, o Lucy – o, ancor meglio, quelli di Susan –, ma anche molto diversi. Erano due lastre di ghiaccio azzurro gli occhi di Lia, all'apparenza indifferenti e freddi ma in cui Evelyn riusciva a scorgere lo scintillio della vita che scorre e pulsa. Ci leggeva calma, sicurezza, decisione, e chissà quanti altri aspetti che ancora non conosceva e doveva imparare a cercare.

E per certi versi vi vedeva anche una sorta d'incertezza, come uno scudo che la Narniana metteva per isolarsi dagli altri.

Cosa nascondeva dietro quegli occhi Lia?

Perchè non era una lupa qualunque, già solo nell'aspetto estetico, e questo lo sapeva bene sia lei sia chi la conosceva o la incontrava. E qualcosa, sicuramente, doveva averla segnata tanto da tenerla sempre sui suoi modi pacifici e far vedere quegli sguardi glaciali dettati da due occhi freddi. Ognuno ha i suoi scheletri nell'armadio… quali erano quelli che Lia nascondeva così bene?

A Evelyn iniziò a tremare il labbro inferiore quando tornò a concentrarsi su di sé e la sua situazione, lasciando perdere le sue congetture sulla lupa. Sentì il magone al cuore tornare, ed un nodo alla gola iniziare a farsi sentire insieme al bagnato delle lacrime che stavano salendo dal suo petto agli occhi.

Sempre di più, sempre di più, sempre di più

Ad ogni battito, ad ogni respiro, ad ogni pulsazione le strette aumentavano, come a voler strizzare una spugna per far fuoriuscire tutto il liquido trattenuto.

Un gesto fulmineo le venne spontaneo da fare, dettato dall'istinto e della situazione per non mostrare le lacrime che era sicura non avrebbe tenuto sotto controllo ancora per molto.

Una ventata d'aria, e si ritrovò a stringere le braccia intorno al collo di Lia in maniera quasi spasmodica, nascondendo il viso, mentre la lupa percepiva le mani della Pevensie stringere il pelo fino a tirarglielo, per sfogarsi. Non si spostò e non diede segni di fastidio per il gesto azzardato e la lasciò fare, mentre sentiva dell'umido bagnarle il pelo e le dita della ragazza che torturavano nervose la sua pelliccia, sostituendo i singhiozzi che non c'erano.

Annusò il sapore di bosco selvatico che il pelo della lupa emanava, quell'aria di libertà che le fece scappare un singulto dedicato a ricordi che sarebbero rimasti tali.

Scoppiò a piangere più forte, poi, quando non riuscì più a trattenersi e un'ennesima stretta la costrinse a sciogliere quelle schegge di dolore che le stavano graffiando la gola. Si sfogò e si lasciò andare esprimendo tutto ciò che in quel tempo aveva provato. Dolore, vergogna, senso di colpa. Per lui, per se stessa, per l'aver ritrovato una Narnia diversa.

Lia l'aveva aiutata a rompere in parte quel macigno che da troppo tempo le aveva occupato mente e pensieri, un cancro che la stava divorando sotto tutti i punti di vista. Caratteriale, fisico, sociale, morale.

Era un misto di sensazioni ed emozioni difficile da descrivere, e che Eve aveva sempre percepito come qualcosa di diverso, anche se non sapeva esattamente in che cosa, rispetto a ciò che i suoi fratelli avevano provato in quel tempo.

Sapeva solo che era diverso.

Lia decise di lasciar stare il voler condividere con la Pevensie una parte della sua storia, decidendo che avrebbero avuto tanto tempo per poter parlare. Inoltre doveva farle sentire la sua presenza, assolvendo a ciò che il suo ruolo in parte le intimava, e non poteva permettersi di perdersi in altri discorsi.


***


Si staccò dalla lupa e si sfregò gli occhi che percepiva secchi e brucianti, mugugnando qualcosa per quel contatto a cui in quei minuti si era abituata ed esprimendo un'espressione di disappunto per l'essersi staccata così presto e senza preavviso da quella stretta ormai per lei famigliare. I capelli le si erano sciolti e la treccia era tutta annodata, le guance rosse e puntinate per il pianto e gli occhi ancora lucidi ed irritati.

-G-grazie mille e... scusami, non volevo usarti come mezzo di sfogo.- mormorò, cercando di trovare un modo per discolparsi, staccandosi maggiormente dalla lupa e sciogliendo la non più acconciatura notturna.

Lo sguardo di entrambe corse alla luna, quella notte argentea e piena, circondata dalle stelle luminose e il cielo scuro come un buco nero pronto a risucchiarti. Ci furono alcuni secondi di silenzio assoluto, in cui una lieve ventata d'aria estiva fece capolino dal bosco che circondava la radura.

Eve chiuse gli occhi, mentre sul suo volto spuntava un sorriso e beandosi totalmente dell'elemento di cui milletrecento anni prima era stata nominata Regina di Narnia, lasciando stare i capelli che aveva preso a lisciare con l'ausilio delle dita. Sembrava che quel vento fosse arrivato nel momento giusto, per rinfrescarle il viso e cancellare le ultime tracce di lacrime che poco prima le avevano solcato le guance, facendogliele diventare incandescenti.

-Cosa intendevi con quella frase prima?- domandò di punto in bianco, aprendo gli occhi ma continuando a guardare il paesaggio, sapendo che la Narniana accanto a lei aveva intuito a cosa si stesse riferendo. Il profilo scuro della foresta era rischiarato dal bagliore lunare, creando un paesaggi di ombre più o meno scure che ricordavano un dipinto.

-Non preoccuparti, capirai da sola.- percepì Lia muovere la coda, prima che la sua voce la raggiungesse con il tono di sempre venato di misteriosità. Aveva modi di fare enigmatici molto simili ad Aslan, si ritrovò a constatare la Pevensie, atona al ricordo del leone. Sembrò delusa: si aspettava una delle sue risposte sagge, invece le aveva fatto venire ancora più dubbi.

-Non lo dirai a nessuno, vero?- quasi gridò rischiando di spezzare il silenzio notturno, Eve, quando la paura e l'agitazione s'impossessarono nuovamente di lei facendola agire per istinto.

-Ti prego non dirlo a nessuno! Tu sei l’unica che lo sa!- Evelyn congiunse le mani e guardò Lia supplichevole, arrivandole a poca distanza dal muso, lo sguardo che saettava sulla sua figura in modo febbrile.

-Certo che non lo dico a nessuno.- Lia chinò il capo come in segno di rispetto, leggermente divertita dai modi eccentrici di fare della Pevensie. Era mutevole esattamente come l'aria, ma la cosa non la sorprendeva.

-Mi hai aiutato molto, ti ringrazio.- Evelyn sospirò, tornando serena e allontandosi per appoggiarsi nuovamente contro le rocce dietro cui si era nascosta. Dopotutto non la conosceva nemmeno da due giorni, ed era riuscita ad alleviarle per poco le pene che soffriva da anni. Certo non era la prima che lo veniva a sapere, però Lui ormai aveva intuito che non c'era più, come il sig. Tumnus, Oreius o i Castori. Inoltre ad Eve Lia piaceva veramente come carattere, riflessiva e calma, diversamente da lei, a volte impulsiva e che solitamente s'abbatteva facilmente.

-Sono felice di esserle stata d'aiuto, Regina Evelyn.- si ritrovò a rispondere nuovamente la Narniana ritrovando la compostezza di sempre.

-Ti prego dammi del tu e chiamami Eve.- la pregò, ricordandosi il fattore temporale.

-Il voi mi fa sentire vecchia, e non ho nemmeno sedici anni. Anche se in realtà ne avrei più di milletrecento…- iniziò decisa, portandosi poi l'indice al mento, dubbiosa sull'ultima parte del discorso e come considerarlo. Rifletté qualche secondo sulla questione, poi la liquidò con un'alzata di spalle, come se fosse un numero qualsiasi e roba da tutti i giorni.

Studiò la lupa, che in risposta continuava a guardarla, e la colse una scossa d'illuminazione che le fece brillare per un attimo lo sguardo e irrigidire la postura.

-Voglio darti questa.- portò le mani dietro il collo e si sfilò uno dei due ciondoli che portava da quando era ritornata a Narnia: entrambi avevano la lettera E come pendente centrale, l'iniziale del suo nome.

La collana che aveva deciso di dare a Lia era quella che le andava più larga. Era perchè le era stata donata il giorno della sua incoronazione insieme ai fratelli da alcuni Narniani, che avevano preferito non farle la cordicella troppo stretta. Si era sempre ripromessa che l'avrebbe fatta accorciare, ma poi erano state altre le priorità, e, dopotutto, a lei la collana piaceva anche così.

Alla cordicina in oro bianco era appesa la lettera E, laccata in argento lucido e scritta in carattere minuscolo simile a scrittura fatta a mano libera. Forse era la scrittura del Sig. Tumnus, ma non aveva mai chiesto conferma di questo dubbio.

L'altra collana che aveva tenuto lei invece, aveva la E scritta in carattere maiuscolo in uno stile che le era sempre piaciuto dal primo momento che l'aveva vista. L'adorava, perchè le righe della E avevano i bordi zigzagati, e le ricordavano moltissimo la prima la lama di Artemis. Era in oro bianco opaco, e nella linea centrale erano incastonate piccole pietre nere di quarzo fumé, a loro volta circondate da piccoli diamanti.

E il motivo per cui le stava a cuore, senza togliere nulla all'altra, era perchè le era stata regalata da Edmund per un suo compleanno a Narnia.

Difatti Evelyn l’aveva al collo insieme alla prima da quando le aveva ritrovate, con sua enorme felicità, nel suo baule nei sotterranei di ciò che rimaneva di Cair Paravel. Per lei erano importantissime, le aveva sempre trattate come se fossero una rarità – e, in effetti, lo erano – sfoggiandole ad ogni occasione, dalla più importante e sfarzosa a quella più semplice, e poche persone potevano toccarle.

Semplicemente perchè racchiudevano dentro una vita intera. Non averle più indosso a Londra era stata un'altra cosa a cui si era dovuta abituare, perché molte volte per istinto le stringeva tra le mani, come per cercarvi conforto.

-Ma io…- tentennò Lia, osservando la ragazza che si toglieva la collana, indecisa mentre Eve compiva quel gesto in maniera spontanea. Non si aspettava una cosa simile, soprattutto in così poco tempo. Inoltre sapeva quanto la Pevensie fosse gelosa delle sue cose, lo aveva sempre saputo, e pensava che anche con lei non ci sarebbero stati cambiamenti sostanziali, nonostante tutto il resto.

-Non accetto un no come risposta.- la interruppe Eve, senza darle la possibilità di andare avanti e liquidando ogni possibilità di ribattere della lupa.

-Te la voglio donare per il segreto che ci unisce. Il legame che si è creato tra di noi.- Evelyn si fermò un attimo, guardando il ciondolo posato sul palmo di una mano e sfiorando la lettera con l'indice dell'altra. Una miriade di ricordi l'assalirono e prima che diventassero insopportabili da non riuscire più a parlare continuò il suo discorso, che iniziava a farsi strada nella sua testa sempre più deciso.

-Per essere stata una delle poche a cui ho confessato di essermi innamorata di Edmund.- in effetti Lia era più unica che rara: la seconda che lo veniva a sapere, tra l'altro non da lei stessa ma da conclusioni tratte in solitario. Era ingiusto. Sapeva mentire così male? Se continuava così c'era il rischio palese di farsi scoprire anche dagli altri.

-Per il fatto che hai capito cosa avevo in meno di un giorno; e ultimo ma non ultimo...- si fermò un attimo per riprendere fiato, una potente stilettata d'indecisione che le si conficcava nei polmoni al pensiero del soggetto che sarebbe arrivato andando avanti. Espirò lentamente e alzò lo sguardo per fissarlo negli occhi della lupa.

-Per il fatto che la E è sia l’iniziale del mio nome che del suo e questo ci tiene unite. Ogni volta che una di noi due guarderà la sua collana si ricorderà dell’altra. Questo…-

Evelyn puntò lo sguardo sul gioiello nella sua mano e iniziò ad armeggiarci: allargò al massimo la lunghezza del ciondolo sciogliendo il nodo con cui aveva accorciato la catenina, in modo che alla lupa non andasse stretto. Poi gliela legò al collo, facendo in modo che la E scendesse dolcemente sul petto di Lia senza darle fastidio, accompagnando il percorso della corda d'oro bianco con una mano.

-… sarà il segno della nostra amicizia.-

Amicizia? Poteva già definire Lia di tale importanza? Che cosa l'aveva spinta ad aprirsi così tanto con lei?

Scorgeva anche una nota si severità negli occhi e nel tono di voce della ragazza, Lia, mentre osservava la Pevensie, segno che, in qualche modo, quello era un ordine a cui non si sarebbe potuta sottrarre. Era un segreto che le univa, che non andava rivelato per nulla al mondo. E che doveva mantenere.  

-Io, Reg__- Lia si decise a parlar per smuovere la situazione, ma si bloccò vedendo lo sguardo della ragazza e si corresse.

-…io, Evelyn, non so che dire.- ammise in mormorio che si dissolse nell'aria, palesemente in imbarazzo. A Eve venne un colpo al cuore rendendosi conto della situazione in cui aveva cacciato la Narniana.

-Di solo ciò che ti senti di dire.- sviò, facendo una smorfia ripensando al discorso per lei fin troppo zuccherato di pochi istanti prima.

-Sono felice che mi consideri di tale importanza.- la Narniana sembrò sospirare a quella frase, come se si fosse tolta un peso sullo stomaco e fosse più tranquilla. Evelyn sorrise, sdraiandosi poi sull'erba fresca, lo sguardo rivolto nuovamente alle stelle e una strana sensazione di calma che l'invadeva. Perchè, diavolo, Lia la calmava e la rassicurava, come un dolce limbo di segretezza. Sperò che non fosse sembrato un ricatto.

Il ciondolo si mosse con il movimento della lupa, scintillando nel buio della notte e riflettendo la luce della luna, quando questa si avvicinò alla Pevensie.

-Non vuoi rientrare dentro?- spezzò il silenzio che si era creato in quei minuti Lia, sapendo che, forse, era già tardi per avere una risposta. Attese qualche momento mentre continuava ad osservarsi intorno. Sapeva che la Pevensie era tutta una contraddizione unica, e che rispondeva a delle domande anche dopo minuti di attesa estenuante.

I suoi occhi dardeggiarono per la radura qualche attimo, quando una sensazione famigliare, che si faceva strada dentro di lei come una biscia di veleno, le nacque dritta al centro del cuore, facendoglielo sussultare di finta sorpresa.

Era li.

Lei era li.


E, ne era più che certa, aveva seguito tutto il loro discorso.

Si trattenne dal fare qualsiasi movimento eccessivo, girandosi per osservare se Eve aveva sentito quel cambiamento. La osservò cambiare posizione, mentre da pancia in su la Pevensie si girava su un fianco, rivolgendosi verso di lei, allungando una mano verso il suo pelo, stringendoglielo.

La lupa si concentrò ancora sul volto della Pevensie, intuendo che un minimo d'inquietudine doveva averla assalita nel sonno con quella scossa di magia che si era propagata per la radura.

Si voltò verso la luna, i ricordi di quegli anni subito dopo che i Pevensie se ne erano andati che le tornavano alla mente con la forza di una mazzata. Già lì Narnia era cambiata, erano continuamente cacciati come degli intrusi dagli abitanti di Telmar. Eppure il culmine lo si era raggiunto poco prima la nascita di Caspian.

Ci sarebbe stata la resa dei conti entro poco tempo, e oltre ad Aslan, che Lia era sicura esserci ancora, avevano qualcun altro che avrebbe potuto far tornare Narnia come una volta, durante l'età D'oro.

Solo che non era ancora giunto il momento.


***


S
orrise di gusto nel percepire il cambiamento nella terra, che s'indurì impercettibilmente come a voler formare una barriera d'avvertimento per tenerla lontana, subito dopo che aveva pizzicato la Narniana rivelando maggiormente la sua presenza.

Dopo qualche minuto entrambe tornarono ai loro pensieri, non curandosi più e facendo scendere una scorza d'indifferenza sull'area che occupavano.

Dhemetrya si accoccolò meglio tra le fronde dell'albero che aveva scelto come casa per quella notte, nascondendo il viso tra le braccia e appallottolandosi su se stessa come a volersi proteggere.

E tutta la spavalderia che prima l'aveva invasa scemò via come l'acqua, mentre le voci dei Telmarini che lavoravano al fiume tornavano a rimbombarle nella testa insistenti, fino a quasi farle scoppiare le tempie. Aleggiavano sempre intorno a lei, e non poteva continuare ad ignorarle, poiché sarebbero sempre tornate alle sue orecchie.

Trattenne un brivido, mentre espirava pesantemente per calmarsi.

Aveva paura
.

Tanta, tantissima paura che qualcosa sarebbe potuto andare storto, che avrebbe perso la sua terra per sempre. Una paura cieca, che le faceva le cose in maniera storta e negativa. Ma allo stesso tempo sentiva vibrare dentro di sé la forza e la speranza, una fiammella che divampava sempre di più, incendiandole sangue e polmoni, facendo bruciare la testa e pompando adrenalina nel sangue.

I Telmarini non erano magici come loro, si costrinse a pensare, per farsi forza e tenere insieme i pezzi di anima che si stava dilaniando nel mare della paura e del vuoto.

Sarebbe andato tutto bene.

Altrimenti sarebbero diventate delle Figlie del Nulla, senza più un posto in cui tornare, una terra a cui appartenere. Non potevano permettersi di perdere, in palio quella volta c'era tutto un mondo, tutta una vita.

Doveva andare tutto bene.



































































Eccomi qui! :D Finalmente riesco ad aggiornare, cavolaccio >.< Capitolo tutto al femminile xD
Allora: cosa dire? Come avrete capito Lia e Dhemetrya si conoscono Nel frattempo vedremo il svilupparsi il rapporto Lia/Eve, e ci saranno degli intrallazzi Suspian conditi dalla rivalità del Principe con Peter e una spruzzata di flashback.
La canzone iniziale: Eternal Snow *-* Io adoro, amo, tuttoquellochevoletevoi, questa canzone *-* Non potevo non metterla, capite una povera pazza. Comunque, Eternal Snow *-*
Per le collane avevo le immagini, ma non le trovo più perchè mi sa che quando è partito il pc si sono cancellate >.< Mi dispiace ç___ç Però beh, il lato positivo è che potete immaginarvele come meglio credete ^^
Ringrazio coloro che hanno commentato, che preferiscono e seguono o anche solo leggono in silenzio. Grazie mille a tutti <3
Love,
D <3

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Capitolo 9
*** Sempre insieme. Eternamente divisi. ***


Narnia's Spirits
Sempre insieme. Eternamente divisi.


















Il primo a svegliarsi dopo una notte passata abbastanza tranquillamente, quella mattina, fu Peter, il quale ci mise qualche attimo per ricordare gli eventi del giorno prima.

La luce delle torce illuminava l'ambiente, e il rumore del ferro battuto proveniva in maniera ovattata dal centro della casa di Aslan.

Gli occhi azzurri dardeggiarono per la stanza, in cerca della figura di Edmund da, ne era più che certo, svegliare. Il ragazzo dormiva ancora, sereno, e sembrava essere in un sonno talmente profondo che probabilmente dava l'impressione d'essere una preda facile. Peter sorrise di gusto, di fronte alle barriere d'attenzione e difesa che solitamente lui ed Edmund mettevano la notte per evitare spiacevoli eventi, totalmente cadute in quella prima dormita passata al sicuro.

Quando iniziò a scuoterlo per fargli aprire gli occhi questi brontolò qualche epiteto poco carino per essere stato strappato dal suo stato di dormiveglia, poi si arrese, svegliandosi del tutto, ed iniziò a prepararsi in compagnia del fratello, perso nei suoi pensieri.

-Caspian è già sveglio?-

Edmund ruppe il silenzio tra loro due, mentre si assicurava la spada alla vita; un movimento che perfino a Londra non aveva mai perso di fare anche se non era presente un'arma, e per cui spesso si dava dello stupido quando il suo sguardo o la sua mano correvano al fianco, dimentichi della ragione e seguendo l'istinto.

Peter fece spallucce, continuando ad armeggiare con la sua casacca.

-Spero di si.- esordì dopo poco, studiando la lama di Rihdon perfettamente lucida e riponendola nel suo fodero, producendo un lieve stridio. Come avrebbe fatto, altrimenti, a guidare degli uomini in battaglia se lui per primo era in ritardo?

Uscirono entrambi, e il maggiore dei Pevensie si avvicinò deciso alla porta della stanza di Caspian, pronto per bussare. I due ragazzi registrarono dei passi pesanti che s'avvicinavano, lo scatto del legno ed uno spostamento d'aria che fece alzare per qualche secondo i loro capelli, prima di trovarsi davanti la figura del Principe che li osservava, stupito.

-Oh, ehm… buongiorno.- esordì quello, abbozzando un sorriso ed assumendo una posizione più rigida.

-Giorno.- Proferì Peter, alzando il mento e dando le spalle al Telmarino, dirigendosi alla porta della camera delle sorelle. Edmund alzò una mano in segno di saluto lanciadogli uno sguardo di scuse per i modi del fratello, e Caspian allargò il sorriso, mimando anche un inchino, prima di raggiungere il maggiore dei Pevensie.

Aprì la porticina di legno un'assonnata Lucy, ma che nonostante tutto sfoggiava un sorriso sereno, atto a rallegrare gli animi degli altri e sollevare un po' di famigliarità dalla situazione spinosa in cui si trovavano. Alle sue spalle stava Susan, intenta a rassettare le coperte che aveva usato per dormire, con fare pratico.

-Eve?- domandò Edmund, accorgendosi dell'assenza della sorella mediana ed osservando le sue coperte sfatte, sporgendosi oltre lo spigolo per osservare meglio l'ambiente interno.

-Quando ci siamo svegliate già non c'era.- spiegò Susan, lanciando un'occhiata al giaciglio in disordine, indecisa se metterglielo a posto. Non l'avevano sentita uscire, ma era sicura che non fosse nei guai – dovunque essa fosse, cosa che la metteva un po' in ansia –; altrimenti l'avrebbe sentito, avrebbe avuto un brutto presentimento.

Peter, invece, strabuzzò gli occhi sentendo il cuore sfarfallare per l'agitazione, ed entrò a passo spedito nella camera delle sorelle con una cosa da fare ben in mente. Conosceva Evelyn, ed era sempre un pericolo quando spariva senza avvertire nessuno, che fosse giorno o meno. Pregò che non le fosse venuto in mente di fare un giro nei boschi di Narnia, perché questa non era più sicura come una volta e ne avevano avuto la certezza pochi giorni prima in riva alla spiaggia.

Si scambiò uno sguardo con Edmund, leggendogli negli occhi la sua stessa preoccupazione, poi s'avvicinò e toccò con una mano le coperte.

Freddo
.

Significava che era da un bel po' che aveva lasciato il suo letto, forse prima che si svegliassero tutti loro.

Perchè? Cosa le aveva impedito di dormire tranquillamente in un posto caldo e sicuro?


-Noi iniziamo ad andare, voi finite pure di prepararvi.- ruppe il silenzio, coinvolgendo nel discorso anche il fratello e il Principe pur senza aver chiesto le loro opinioni. Si avviò verso la porta, l'impazienza che traspariva dai suoi occhi. I tre si diressero fuori dopo una rapida occhiata d'intesa, un rapporto di rispetto reciproco tra Peter e Caspian che forse sarebbe potuto nascere con il tempo e situazioni d'accordo.

Il tempo era sereno, si stava bene e, a grandi linee, la foresta non era più tanto silenziosa: di tanto in tanto qualche anelito di vita si sentiva tramite un richiamo di qualche animale o lo svolazzare di qualche insetto.

Ma questo i ragazzi lo stavano trascurando, troppo presi a cercare il pezzo mancante del gruppo. Era qualcosa a cui non riuscivano a resistere, i Pevensie: se non avevano la certezza che stavano tutti tutto il resto andava in secondo piano.

Chiesero se l'avessero vista alle guardie che erano state di vedetta, ed il centauro indicò che la Regina si trovava dietro un mucchio di rocce in cui aveva passato la notte con la compagnia della Lupa, notizia che fece tirare impercettibilmente un sospiro di sollievo a tutti. Si congedò con un inchino quando Peter lo ringraziò, tornando alle sue mansioni di vedetta e coordinazione dei lavori degli altri Narniani, mentre i Sovrani iniziavano a dirigersi verso il luogo che gli era stato indicato non nascondendo una punta di curiosità.  

-Dove state andando?- la voce di Susan li bloccò, gelandoli in qualche modo sul posto, come se fossero stati colti nel bel mezzo di uno scherzo che volevano fare ai danni di qualcuno. Si girarono verso la Pevensie quasi in contemporanea con l'espressione più neutra che fossero riusciti a fare.

Susan camminò verso di loro, seguita a ruota da Lucy, ancora assonata, e alcuni Narniani che incuriositi stavano seguendo la scena. Il maggiore dei Pevensie osservò le due sorelle più piccole e non potè fare a meno di intenerirsi vedendole nuovamente in mezzo ai Narniani, in quel mondo a cui erano tutti inevitabilmente affezionati.

-Lì.- fece poi segno, indicando le rocce leggermente alla sua destra. Nel frattempo Edmund, impaziente, si era già avviato da solo, una mano sull'elsa della spada e lo sguardo basso per evitare d'inciampare tra l'erba ed i sassi.

-E perché lì?- domandò innocentemente Lucy, il tono di voce stanco mentre si grattava un occhio e girava la testa in cerca di qualcuno. Peter sorrise maggiormente, sapendo che si stava osservando in giro per vedere se trovava Eve, e si voltò a guardare il fratello mentre si avvicinava al luogo indicato da lui poco prima.

Facendo meno rumore possibile Edmund arrivò alle rocce, mentre sapeva di venir seguito da alcuni sguardi curiosi. Quando arrivò al mucchio di massi si sporse leggermente appoggiandosi ad un sasso, allungando il collo ed evitando di farsi notare.

La scena che gli si presentava davanti lo lasciò senza fiato per qualche secondo, riempiendogli il cuore di uno strano calore: Evelyn dormiva profondamente con accanto la lupa, i capelli dai bagliori rossastri baciati dal sole quasi totalmente disfatti dalla treccia sparsi sull'erba in netto contrasto con il colore smeraldino di essa. Teneva una delle mani ancora stretta a pugno tra il pelo dell’animale al suo fianco, e sul viso aveva un'espressione rilassata e serena, come non ne aveva mai viste negli ultimi tempi.

Lia in realtà non dormiva, era sveglia già da tempo ma non si era mossa per evitare di svegliare Eve, che riposava al suo fianco da quando si era sfogata con lei. La lupa aveva sentito le voci dei tre ragazzi e la conversazione con le guardie e subito dopo dei passi leggeri che si avvicinavano. Al suo naso era arrivato l’odore di Edmund trasportato dal vento e, curiosa di vedere che ancora una volta aveva ragione, aveva aperto leggermente un occhio per sbirciare la situazione senza essere vista.

Aveva scorto Edmund affacciarsi dall’alto delle rocce, cercando di non grattare con la casacca sul bordo di pietra per non fare rumore o muovere qualche granello di pietra. Aveva visto la sua espressione che da stupita subito mutava, diventando la tipica espressione di venerazione che si ha per qualcuno a cui si tiene particolarmente, lo sguardo attento e intenerito fisso sulla sorella addormentata. A Lia non servivano discorsi per capire.

Dopo i primi attimi di stupore Edmund si riprese dal suo stato di trance, sfoderò un'espressione il più seria possibile e si girò verso gli altri, invitandoli ad avvicinarsi ma facendo il segno di non fare rumore. Avrebbe voluto scattare una foto, era un momento da incorniciare. Lo avrebbe conservato nel cuore, e si ritrovò a dirsi fortunato di averne potuto avere un'anteprima tutta per lui.

Fu distolto dai suoi pensieri da Lia, che si era alzata e si stava inchinando verso lui e gli altri Pevensie, come aveva deciso di fare precedentemente quando tutti i reali sarebbero stati presenti. Dopodiché si girò a guardare, come tutti, la Pevensie che ancora dormiva sull'erba senza sapere ciò che accadeva intorno a lei.

I quattro ragazzi si accorsero della collana attorno al collo di Lia che apparteneva a loro sorella, ma non dissero niente a riguardo. Avevano capito che tra loro doveva esserci qualcosa di speciale – se aveva spinto Eve a donarle uno dei gioielli a cui teneva di più in assoluto.

Peter fu il primo che reagì dopo interminabili attimi di silenzio, mentre il resto del gruppetto si chiedeva se lasciarla lì a dormire, svegliarla, oppure portarla dentro.

Il maggiore si avvicinò piano a Eve, si abbassò, la prese in braccio e cercando di muoversi il più delicatamente possibile si rialzò con il corpo della sorella tra le braccia. Non trovando più il calore dell’erba sotto di lei o del pelo della lupa Eve si accoccolò meglio sul il petto del fratello, fonte da cui proveniva la nuova sensazione di protezione, di quelli in cui ti ci perderesti per sempre.

Poi il maggiore dei Pevensie si rivolse al fratelli, il tono di voce non troppo alto.

-Edmund, ci pensi tu a portarla dentro?- iniziò, cogliendolo alla sprovvista e indicando con un cenno del capo Evelyn e poi il rifugio di Aslan. Per Edmund fu uno sforzo immane verso se stesso cercare di non mutare espressione a quella richiesta.

-Io devo discutere con Caspian riguardo il piano e come organizzare le truppe.- disse, serio e più sbrigativo di quanto in realtà voleva essere. Guardò il fratello che, semplicemente, annuì, il cuore che iniziava a battere e l'emozione di più tipi che iniziava a farsi spazio sovrana, diventando padrona del suo corpo e dei suoi movimenti.

S'avvicinò a Peter e prese Evelyn tra le braccia, stando attendo che il capo poggiasse sul suo braccio e non penzolasse all'indietro, e lei, come poco prima aveva fatto con Peter quando l’aveva levata da terra, fece lo stesso, raggomitolandosi sul petto del fratello per abituarsi nuovamente al nuovo calore che trovava nel giro di pochi minuti. Edmund trasalì sperando che nessuno sentisse il battito accelerato del suo cuore, le mani che prendevano a tremare per paura di sbagliare qualcosa.

Dopo qualche secondo il ragazzo, con in braccio la sorella, si girò per andare verso la stanza di Aslan seguito da Lia, a cui Peter aveva dato l’ordine di seguirli con un gesto del capo, e facendole intendere di stare con lei. Lia sorrise con se stessa, al pensiero di come Eve avrebbe potuto reagire una volta scoperto ciò che stava accadendo mentre dormiva.

Guardò con attenzione con quanta scrupolosità Edmund appoggiò la sorella sul suo posto - visto che il suo era ancora un ammasso di coperte informi dalla notte scorsa, e Susan non lo aveva sistemato, perché secondo suo giudizio Eve doveva imparare a tenere a posto le sue cose. Lo osservò coprirla fino ai fianchi, per poi bloccarsi ad osservarla dimentico dell’esistenza della lupa. Automaticamente il ragazzo allungò una mano per rimuovere una ciocca di capelli dal viso della sorella.

Si ricordò del suo volto sereno quando si era affacciato dall'alto delle rocce pochi minuti prima: era stato contento di vederla così rilassata perché, dopo un certo periodo che regnavano a Narnia, Evelyn aveva iniziato a comportarsi in modo strano con lui e gli altri Pevensie.

Dei periodi era fredda e distaccata, altri chiusa in se stessa, oppure faceva finta di essere felice anche se gli occhi si vedeva lontano metri che erano spenti. Senza contare tutte le notti in cui l'aveva scoperta a piangere di nascosto sotto il frutteto che insieme ai fratelli avevano coltivato. Non gli aveva mai detto il motivo per cui piangeva, però era la sua sorellina – solo? –, e a modo suo aveva sempre cercato di aiutarla, anche se vederla così senza sapere il motivo di tanta sofferenza lo faceva stare malissimo.

Si era sempre mostrato pronto ad aiutarla, forte, eppure in quei tempi si era seriamente preoccupato. Oppure il motivo lo aveva detto ma lui era tanto stupido e in ansia che non se n'era accorto.

Ripensò intensamente a tutte le discussioni, piacevoli e non, avute con la sorella, e la sua mente si fermò ad un discorso avuto con Evelyn circa tre mesi dopo che erano ritornati da Narnia. Era successo dopo aver visto una scena che a lui aveva dato particolarmente fastidio. Allora non ci aveva pensato, catalogandola ancora nella serie di quelle che aveva ogni volta che qualcuno si avvicinava alle sue sorelle, e pensando che fosse un moto di protezione nei confronti di Eve.

Non era protezione, lo sapeva, ma non poteva accettare di essersi innamorato di lei.

Non di nuovo.

Era successo mentre loro due, Susan, Lucy e Peter si accingevano ad andare ai rispettivi istituti, in treno.


***


Rinunciare a qualcosa o qualcuno dopo che hai potuto assaporarlo per quelli che per te sono stati anni – anni in cui hai vissuto, anni in cui sei maturato e cresciuto – non è facile. Rimane il senso di vuoto, ci si sente sperduti e talvolta inutili. Se poi a finire è una parte della tua stessa vita che se ne va per errore, la cosa brucia ancora di più.

Era da tre mesi, che ai Pevensie sembravano un tempo incredibilmente infinito, che erano tornati
per sbaglio in Inghilterra, passando nuovamente per l'armadio a casa del professore.

Ancora non accettavano la realtà e la loro mente, così come i loro pensieri e i loro cuori, correvano spesso a Narnia, il luogo per loro diventato vera casa. Lontano dalle bombe, dai bombardamenti notturni, dagli aerei che rumorosi e molesti disturbavano giorni e notti. Era il luogo in cui potevano stare tutti e cinque riuniti, senza paura che qualcosa, o qualcuno, li dividesse da un momento all'altro.

Quella mattina Peter, Edmund, Susan e Lucy parlavano sottovoce per non farsi sentire da orecchie indiscrete, raggruppati intorno ad un pilastro del treno per sostenersi, evitando di cadere quando il treno frenava bruscamente. Stavano ricordando – per l'ennesima volta – i bei momenti di cui erano stati i protagonisti: una battuta di caccia, una festa importante, l'incoronazione, qualche battaglia vinta egregiamente…

Sarebbe stato un quadretto perfetto di quattro fratelli che avevano una discussione normale senza litigare o scontrarsi su varie idee. Questo accadeva perchè a Narnia avevano imparato ad apprezzarsi l'un l'altro, diventando uniti oltre il legame di sangue e cognome che li caratterizzava come parenti o familiari.

Tutto perfetto, se non fosse stato che a quel quadretto mancava una persona.

Evelyn, infatti, se ne stava per conto suo in piedi vicino al finestrino, l'aria assorta in chissà quali pensieri mentre dalla parte opposta alla sua i fratelli discutevano tranquillamente. In realtà era lei che si era esclusa: non voleva ricordare Narnia. O meglio: voleva ricordare Narnia, ma c'era quel suo problema per cui, in certi casi, era meglio lasciar correre.

Già il solo non sapere
quando sarebbero ritornati e soprattutto sarebbero mai ritornati le provocava un dolore al petto difficile da descrivere. Una sensazione di vuoto assoluta, una nostalgia incredibile, come un pezzo di puzzle mancante. Perchè lei non apparteneva a quel mondo. Ne lei, ne i suoi fratelli.

Lei era fatta per vivere serenamente a Cair Paravel, danzando con gli alberi e le driadi e nuotando con le sirene del mare dell'Est. Sentendo il
suo vento accarezzarle la pelle e scuoterle i capelli, mentre dentro si rasserenava cullandosi grazie alle risate in sottofondo di Lucy, la tranquillità di Susan, la protezione di Peter e i modi evasivi di Edmund. Circondata dal canclore delle spade dei suoi fratelli, lo sibilare delle frecce e i gridi di battaglia del loro esercito.

Ripensò automaticamente al suo regno in cui era Regina: chissà come stavano i castori, il signor Tumnus, Aslan. Se c'erano state guerre oppure tutto procedeva bene come spesso pregava che fosse.

Ripensava alle uscite a cavallo, alle discussioni con Peter e ai consigli che spesso Lucy chiedeva a lei o a Susan. A quanto lì lei e i suoi fratelli erano cresciuti, maturati, diventati adulti…

-Ciao.-

Una voce del tutto sconosciuta la riscosse dai suoi pensieri, riportandola – con un po' di malincuore – alla realtà Londinese. Si voltò di scatto fissando il ragazzo che aveva di fronte: alto, moro, occhi verdi, un sorriso sicuro e per i suoi gusti fin troppo amichevole sul volto. Doveva avere più o meno l'età di Susan, forse meno. Evelyn notò che indossava la stessa divisa di Edmund, quindi frequentava lo stesso istituto di suo fratello.

Guardò velocemente il paesaggio fuori il finestrino poco nitido, e realizzò, sconcertata, che alla loro fermata - e quindi quella del ragazzo - mancavano ancora varie fermate. Sospirò sconsolata.

Il ragazzo in questione si presentò, il tono vagamente galante ma che a lei diede il nervoso, perché le ricordava quello usato a Narnia e che lui aveva usato in una maniera vagamente ironica.

Avrebbe voluto chiamare Peter o Edmund per mostrargli come si faceva realmente una presentazione dai toni galanti. Avrebbe voluto difendere quei modi a lei tanto cari e che la facevano sentire apprezzata. Avrebbe voluto, ma si trattenne, ricordandosi che li era a Londra e reprimendo la vampata di calore che le era salita dalla punta dei piedi infiammandole le guance.

-Mi chiamo Simon. Simon Senhal.- le disse, tendendo il braccio verso la Pevensie e avanzando contemporaneamente verso di lei che, in risposta, si appiattì contro il finestrino del treno a cui poco prima era appoggiata. Sconvolta e in cerca aria per la decisione con cui si era mostrato il moro – ovvio, lei era abituata ai pretendenti di Narnia, che ti facevano la corte per mesi e mesi – si sforzò di sorridere in modo vagamente naturale. Dentro, però, era in panico e continuava a chiedersi cosa volesse da lei.

Continuò a guardare il ragazzo, facendo passare lo sguardo dalla mano che le tendeva in attesa di risposta, ai suoi occhi verdi che la fissavano e che per qualche motivo la mettevano in soggezione.Si arrese all'idea che quel quarto d'ora non sarebbe passato tanto presto, così allungò la mano a sua volta verso il tale che… come aveva detto che si chiamava? ... Simon?

Non che le importasse,
ovvio.

-Evelyn Pevensie... piacere.- esordì, con un sorriso un po' timido non da lei. I due si strinsero la mani mentre il sorriso sul volto del ragazzo si ampliava e i muscoli del volto di Eve si rilassavano.

Iniziarono a parlare tranquillamente e con grande stupore della Pevensie, questa si rese presto conto che Simon non era affatto male. Se il suo cuore non fosse stato già occupato magari... scosse la testa, mentre il treno arrestava la sua corsa: erano arrivati alla loro fermata.

-E' stato un piacere parlare con te, Pevensie.- le disse Simon, sorridendole, mentre uscivano fianco a fianco dalla stazione.

-Si, anche per me.- o almeno così pensava. Mentre osservava il ragazzo dirigersi verso l'istituto si appuntò di evitare di rimanere da sola in un luogo in cui poteva essere avvicinata da sconosciuti.

Chissà perché lui aveva deciso di avvicinarsi a lei. Non era speciale, e c'erano sicuramente ragazze molto più carine e benestanti di lei. In ogni caso, per lei era già una storia finita prima di cominciare. Si maledì: magari la voleva solo come amica, mica dovevano per forza avere una storia…

Improvvisamente si ricordò dei suoi fratelli e delle sue sorelle, e sgranò gli occhi, preoccupata.

Fece per girarsi e cercarli con lo sguardo ma appena si ritrovò a fare il giro completo su stessa tornando a guardare verso la direzione da cui era sparito Simon, realizzò che questi erano davanti a lei. La stavano fissando, osservando, cercando di estrapolare qualsiasi informazione con un semplice sguardo.

Peter e Lucy avevano le braccia incrociate, il primo con lo sguardo serio e la sua solita aria da padre di famiglia, la seconda con un sorrisetto divertito sul volto. Susan si guardava le unghie, tamburellando distrattamente un piede sull'asfalto e lanciandole delle occhiate di sott'occhi. Edmund, invece, aveva le braccia lungo i fianchi, come se ogni forza vitale gli fosse stata strappata via. Strano, visto che fino a poco prima era arzillo nel parlare di come aveva battuto Lord Nobledon, un nobile che voleva attaccare Narnia tramite la flotta marina quando Peter era in missione verso i confini Ovest del Regno.

Eve li guardò bene uno per uno per un tempo infinito, aspettando di sentirsi dire qualsiasi cosa, poi, visto che nessuno dei quattro parlava, un terribile presentimento le si affacciò nella mente.

Non era una cosa rassicurante.

In certe situazioni, il silenzio non è mai rassicurante, perché potrebbe scoppiare da un momento all'altro.

Peter continuava a guardarla con la sua aria seria, facendo intendere ad Evelyn che, se Simon le si fosse avvicinato nuovamente non sarebbero state rose e fiori. Specialmente perchè Simon e Peter non erano mai stati in buoni rapporti, anche se questo Eve non lo sapeva. Susan e Lucy, nonostante l'apparenza, con gli occhi le facevano intendere che non era finita lì, mentre un sorrisetto spuntava sui loro visi. Edmund… Ed aveva un espressione talmente strana e buffa, che Eve dovette mordersi la lingua per non scoppiare a ridergli in faccia. Era a metà tra l'imbronciato, il preoccupato, il geloso e l'indifferente.

Eve si impose di riprendere il contegno iniziando a ragionare tra sè su come dovesse evitare in ogni modo di catalizzare tutta la propria attenzione sul fratello, muovendo qualche passo e borbottando da sola.

-I ragazzi di qui le fanno un brutto effetto.- disse Peter, ricordando che a Narnia non si era mai comportata in modo così bizzarro. Edmund si ritrovò stranamente d'accordo con lui, mentre Susan e Lucy si limitarono a sorridere e ghignare tra di loro, convinte che si fosse innamorata a vista di quel ragazzo e stesse pensando a cosa potergli dire.

Eve s'incamminò verso il suo istituto superandoli e lasciandoli leggermente indietro, Simon come ultimo dei suoi pensieri – e problemi – in quel momento. Fu raggiunta in poco tempo anche dagli altri.

Peter, Susan, e Lucy la superarono a loro volta, intenti a parlare di qualcosa che lei non capì, troppo presa a riprendere il flusso dei suoi pensieri interrotto prima dell'arrivo di Senhal. Percepì la presenza di Edmund affiancarsi a lei, che si mise a fissarla, di sottecchi. Eve continuò a lasciare che la sua mente continuasse a straripare pensieri, senza dargli peso, fino a quando non le venne in mente una domanda apparentemente senza logica. Eppure per lei era importante avere il suo parere, come sempre.

-Cosa ne pensi dell'amore?- se ne uscì, d'improvviso, pochi secondi dopo essersi fatta coraggio e aver regolato il respiro.

Edmund era trasalito nel momento stesso in cui la sorella gli aveva rivolto quella domanda. Arrestò il passo di colpo ed Evelyn non poté fare a meno di imitarlo. La fissò a lungo con i suoi occhi castani color terra e autunno, dritto nei suoi color acqua e aria. Il terzogenito Pevensie, poi, allungò un braccio, andando a toccare con una mano la fronte della sorella che, per la sorpresa di quel gesto, si era immobilizzata sul posto, lo sguardo che saettava dalla figura del fratello alla mano che delicata poggiava sulla sua fronte.

-Strano... non sembra tu abbia la febbre.- esordì poco dopo il Pevensie, facendola concentrare solo su di lui e la sua figura. Evelyn in risposta lo guardò, accigliata, affilando lo sguardo.

-Guarda che sto bene.- iniziò, leggermente acida, andando a togliere in maniera leggermente brusca la mano di Edmund dalla sua fronte ed espirando pesantemente per la tensione.

-E la mia domanda è seria.- continuò, spostando il peso solo su una gamba, una strana sensazione di delusione che si faceva sentire per non essere stata presa sul serio. I due si persero a guardarsi ancora qualche attimo, incuranti degli altri tre Pevensie che continuavano a camminare persi per i fatti loro.

-Ti sei innamorata?- le domandò Edmund, in tono indagatore. Fare quella domanda gli provocò un'inquietudine interna che avrebbe preferito non avere. Da un po' - un bel po' - di tempo non poteva nemmeno immaginare l'idea di Eve insieme a qualcuno che non fosse lui, o uno di famiglia come Peter o Eustachio.

La sorella sospirò, spostando lo sguardo verso il basso, come colpevole, per celare qualcosa che aveva paura potesse capire.

-Rispondi prima tu...- mormorò, mordendosi il labbro inferiore senza farsi vedere e riportando poi gli occhi verso di lui.

-Penso che sia roba da femmine.- esordì, senza nemmeno pensarci. A lui non piacevano le smancerie, non erano mai piaciute, e men che meno gli interessavano cose come
l'amore.

Bugiardo.

Si rese conto di aver detto qualcosa di sbagliato troppo tardi, quando oramai gli occhi di Eve si erano prima spalancati, e poi velati di un qualcosa di strano. Sembrava una patina di tristezza e sofferenza, come se con una semplice frase l'avesse ferita a morte.

-Ah… comunque no, stai tranquillo.- Evelyn diede le spalle al fratello, la morte nel cuore che contava una crepa in più e l'umore a pezzi, ed iniziò ad allontanarsi tra la folla di studenti e pendolari, il capo chino e gli occhi che esprimevano le sue emozioni nascosti al resto del mondo. Era ovvio che a lui non interessasse roba come l'amore. Era un uomo, un soldato, e anche se avesse avuto motivo di innamorarsi, non sarebbe sicuramente stato nei suoi confronti.

Edmund seguì la sua figura fino a quando non la vide scomparire tra la gente. Si diede mentalmente dell'idiota senza saperne bene il motivo, mentre irritato calciava una lattina che si trovava a terra vicino a lui, prima di riprendere a camminare verso la sua scuola a passo svelto.


***


Improvvisamente si ridestò da quei momenti con un balzo al cuore, ricordandosi di Lia, ma quando si girò pronto per trovare una giustificazione sobbalzò, trovando la grande lupa a pochi centimetri da lui rispetto a dove era prima. La guardò, confuso e imbarazzato, mentre questa lo fissava dritto negli occhi castani con i suoi, che invece erano azzurri come il ghiaccio.

Così diversi e così magnetici…

Edmund si perse qualche attimo ad osservarli, complice il silenzio intorno a loro, e non ci scorse nulla se non un luccichio di comprensione.

Per cosa, poi?

-Cosa c'è, Lia?- domandò, il tono che lasciava intendere l'esasperazione per il fatto che la Narniana non si decidesse a parlare.

-Niente, Altezza.- fu la semplice risposta che gli diede la lupa, come se non ci fosse nulla da dire.

In effetti, lei non aveva nulla da dire. Doveva solo far si che lei soffrisse di meno. Non poteva rischiare che la sua sofferenza, le sue emozioni, coinvolgessero anche l'equilibrio stesso di Narnia.


-Quindi perché mi fissi?- le domandò la voce del Giusto, decisa e perentoria. O scocciata. Scocciata per una situazione che a lui non piaceva, perchè aveva l'impressione che Lia potesse leggergli dentro.

La lupa optò per varie risposte, prendendosi tutto il tempo necessario, e alla fine scese la più semplice.

-Così...- proferì, pronta per gustarsi l'espressione del Re che sapeva, s'aspettava una risposta più complicata e meno confidenziale. A quella semplice parola che lui non si sarebbe immaginato, difatti, Edmund rimase sbigottito, e Lia lo vide strabuzzare gli occhi e deglutire a fatica. La squadrò, senza preoccuparsi di non farsi notare dalla Narniana.

-Ora sono io a chiedervi cosa c'è, Maestà, mi fissate come se mi vedeste per la prima volta.- esordì allora la lupa, il tono di voce quasi suadente e indagatore, perfettamente consapevole dello sguardo attento che il Re le stava rivolgendo. Il ragazzo pensò di aver fatto, e stare facendo una figura ridicola. Scosse la testa. La voce della lupa lo portò alla realtà, cogliendolo totalmente impreparato sull'argomento che stava per aprire.

-Perché non le dici la verità?-

Il ragazzo sbiancò, il panico che prendeva il sopravvento e il cuore che iniziava a battere furiosamente, tanto che il Pevensie pregò che Lia non lo sentisse con il suo udito.

Automaticamente, poi, il pensiero che era Impossibile gli balenò in testa.

Cercò di smentire la cosa, mostrandosi sicuro di se e spavaldo, facendo il finto tonto, ed alzando il mento, irrigidendo però la muscolatura in una posa che, si vedeva, era forzata.

-Quale verità, Lia?- le domandò, guardandola di traverso, cercando di mascherare l'imbarazzo con uno sguardo indagatore e ingenuo.

-Che l’ami, no? Mi sembra ovvio.-

Edmund sbiancò nuovamente in poco tempo, il cuore che faceva più di una capriola. Sentì lo stomaco attorcigliarsi su se stesso dandogli una potente sensazione di nausea.

Invece di preoccuparsi e smentire l'affermazione della Narniana, però, si girò, per assicurarsi che la sorella dormisse ancora e che nessuno avesse sentito le parole della lupa, guardando il cunicolo attraverso la porta della camera lasciata aperta e constatando che tutti gli altri erano impegnati nei loro lavori mattutini, tra il cercare provviste per i giorni avvenire, al fare la vedetta, dal forgiare armi all'allenarsi.

Deglutì lentamente e si guardò intorno circospetto qualche altro secondo, prima d'inginocchiarsi davanti alla lupa, in modo da guardarla direttamente negli occhi ed averla alla stessa altezza.

-Tu. Come fai a saperlo?- sibilò, scandendo bene le parole in un tono vagamente minaccioso, un misto di agitazione che qualcuno avesse scoperto il suo segreto e una sorta di invito a non infrangere quella barriera di silenzio, come Eve aveva fatto la notte prima. Ma la sua attenzione si spostò inevitabilmente al fatto che qualcuno, oltre a se stesso, sapesse. Non si preoccupò nemmeno di negare, consapevole di aver avuto una reazione esagerata da poter essere nascosta.

Il suo terribile e sbagliato segreto.


-E’ lampante.- gli spiegò la lupa, usando un tono di voce dolce, che lui non si aspettava affatto e voltando leggermente il muso di lato, non rompendo il contatto di sguardi. La testa di Edmund rimase in pausa per qualche minuto, minuti che a lui sembrarono infiniti, tempo in cui elaborava i fatti senza sapere cosa rispondere. Poi, come la sera prima aveva fatto Eve, la prima cosa che gli venne in mente di fare fu di pregare Lia di mantenere il segreto.

-Non dovete preoccuparvi di questo.- iniziò, come se fosse automatico pensare che lei fosse una che mantenesse i segreti.

Una confidente. Un'amica. Una persona su cui contare.


Edmund sospirò di sollievo, contento della solidarietà della Narniana che, notò, non l'aveva nemmeno giudicato o fatto espressioni strane.

-Però Edmund, voglio permettermi di darti un consiglio...- Lia lo distolse dai suoi pensieri, e concentrò la sua attenzione su essa, attento e in attesa che lei continuasse ed indifferente che gli avesse dato del tu.

-Cerca di non commettere l’errore di dirle la verità solo quando sarà troppo tardi, magari quando rischi di perderla.- Lia sospirò leggermente, portando la mente ad alcuni ricordi lontani. Stare lontano dalla persona amata è uno strazio, ancor di più quando ce l'hai vicina e non puoi averla. Capiva la sofferenza a cui i due ragazzi erano soggiogati da ormai svariati anni.

Edmund strabuzzò gli occhi, mentre le parole della lupa gli furono subito chiare, illuminandolo sul fatto che entro poco tempo avrebbero dovuto affrontare vari scontri. E in battaglia c'è sempre il rischio che qualcuno possa rimanere ferito, o peggio...

Morire.


E contro una morte certa non c'è nessuna pozione del fiore di fuoco che tenga testa. Edmund scacciò subito quel pensiero molesto dalla testa, mentre si rendeva conto che tenersi tutto dentro non gli era d'aiuto, i ricordi della sua vita che andava via quando fu colpito da Jadis che ritornavano a galla, ancora vividi.  

Un'improvvisa determinazione gli illuminò gli occhi, un luccichio di convinzione che lo rendeva più sicuro di se stesso. Prima o poi Eve avrebbe avuto il diritto di sapere, e lui avrebbe trovato il coraggio per togliersi quel peso. Annuì tra sé, convinto, lanciando uno sguardo di ringraziamento verso Lia.

Forse Evelyn non aveva la forza o il coraggio necessari per rendere se stessa finalmente felice, quindi quello che doveva fare la prima mossa era Edmund, più temerario di lei, in modo che la spingesse ad aprirsi e accettare la cosa.

Dalla parte opposta della stanza il Pevensie rivolse un ultimo sguardo alle due, sorridendo impercettibilmente in direzione della Narniana, dopodiché uscì dalla stanza per andare ad allenarsi per la battaglia che ci sarebbe stata entro breve.

E i dubbi che lo assillavano da tempo, che iniziavano a diradarsi dalla sua mente.


***


Evelyn si svegliò a mattina inoltrata. Aprì lentamente gli occhi, senza fretta e prendendosi tutto il tempo necessario per godersi quegli ultimi attimi di dormiveglia.

Non ricordava di aver mai dormito così bene negli ultimi tempi – anni – e fu contenta di ciò, perchè si sentiva finalmente più tranquilla e in parte leggera.

Si guardò attorno e fu sorpresa di trovarsi, invece che in mezzo all'erba e guardata dal cielo azzurro di quella tonalità speciale che non aveva mai scordato, in una camera della casa di Aslan. Perchè era sicura di essersi addormentata fuori, mentre tentava di contare le stelle del limpido cielo del nord.

Fece giusto in tempo a rimettere in ordine i pensieri, che la sua attenzione fu attirata dalla sagoma della lupa che faceva il suo ingresso nella stanza.

-Ben svegliata.- l'accolse quella, avvicinandosi a lei e mimando un inchino con il muso.

-Quanto ho dormito?- domandò, mentre si stropicciava gli occhi e lanciandole un breve sorriso.

-Un po'. E' mattina inoltrata.- mormorò Lia, mettendola al corrente. La schiena di Eve s'irrigidì in posizione verticale, la mascella si strinse e il profilo s'indurì, improvvisamente agitata, attenta e sveglia del tutto. E con un vago senso di delusione per – ne era sicura, gli altri a quell'ora erano già svegli, sicuramente – essere stata lasciata indietro.

-Perché nessuno mi ha svegliato?- domandò, offesa e corrugando la fronte, iniziando ad alzarsi. La lupa la guardò, divertita dalla sua espressione e affranta per quel senso di delusione che stava provando.

-Penso fosse perché dormivi come un angelo...- la stuzzicò. La ragazza sospirò rassegnata, poi, dopo essersi alzata, fece per avviarsi fuori con Lia, pronta a dare battaglia verso coloro che non l'avevano coinvolta nelle attività mattutine e facendola sentire in difetto.

Evelyn si mosse decisa in direzione dell'uscita senza accorgersi che la gonna del vestito era rimasta incastrata tra le coperte, così fece appena in tempo a registrare di uno strattone che le bloccò i movimenti, prima di ritrovarsi a terra, con i palmi delle mani doloranti e un po' arrossati per via del colpo ricevuto sul pavimento di pietra.

Lia ridacchiò, consapevole che la Regina non si era fatta nulla, mentre Eve imprecava su chi fosse così stupido da lasciare un ammasso di coperte per terra. Si sorprese nel capire che gli oggetti che avevano attentato alla sua vita non erano suoi; realizzò, poi, che quella non era la stanza sua e delle sue sorelle. Automaticamente le venne in mente la domanda su dove avesse dormito.

-Se ti stai chiedendo dove ti trovi, posso dirti che sei nella camera dei tuoi fratelli, precisamente sul giaciglio di Edmund.- Lia rispose ai suoi dubbi in maniera pratica, come se le avesse letto nella mente e le fece riportare lo sguardo su di lei. La Pevensie avvampò a quel pensiero, al pensiero constante di aver condiviso il letto di Ed che aveva iniziato a martellarle nella testa.

-Lia!- fece, imbarazzata, sapendo a cosa alludeva la Narniana e alzandosi, cercando di togliere il pezzo di gonna che si era incastrato tirandolo malamente verso di sé.

-Scusa, scusa…- le risposte questa, senza mascherare il divertimento per la scena che si stava svolgendo davanti a lei.

-Che ne dici di andare fuori a salutare gli altri?- spezzò il silenzio poco dopo, mentre continuava ad osservare i suoi tentativi di liberarsi falliti.

-Si, va bene.- asserì Eve, che, stanca di quel pezzo di stoffa che non voleva seguirla, diede l'ennesima tirata riuscendo ad averla vinta. Per il brusco modo con cui il vestito si era slegato dal mucchio di coperte la Pevensie si ritrovò a fare qualche passo indietro, rischiando di cadere per la perdita d'equilibrio.

-Però prima voglio farti una domanda…- continuò, mentre si sistemava una ciocca di capelli, seguiti a ruota dalla gonna del vestito che stava lisciando alla bene e meglio. La lupa, che si era incamminata verso l'uscita non appena la Pevensie si era liberata dalle coperte, arrestò il passo e si girò a guardarla, quasi consapevole di ciò che Evelyn le stava per chiedere.

-Chi mi ha portato qui?- domandò infatti quella, un tantino esitante.

A quel punto Lia iniziò a raccontare i fatti, cercando di essere il più breve possibile e osservando attentamente l'espressione della ragazza che aveva di fronte.

-Ti sei addormentata fuori dopo avermi dato il ciondolo, come ben sai. La mattina dopo tutti si chiedevano che fine avevi fatto e tramite delle sentinelle i tuoi fratelli e gli altri sono venuti a sapere che eri dietro le rocce.- si fermò un attimo, Evelyn che la guardava curiosa e la invitava a continuare con lo sguardo.

La lupa pensò alla faccia che avrebbe fatto a sentire il resto del racconto, e sorrise senza far notare il suo cambio d'umore tramite lo sguardo, che fece rimanere della solita nota indifferente e seria.

-Edmund è stato il primo ad avvicinarsi, seguito dagli altri e dopo qualche attimo Peter ti ha presa in braccio per portarti dentro.- sentire che era stato il maggiore a prenderla in braccio fece rilassare visibilmente il viso della Regina, la quale tirò un sospiro di sollievo. Però, la Pevensie capì che Lia aveva lasciato in sospeso la frase e che il racconto non era ancora finito del tutto.

La sua espressione divenne attenta e indagatrice, gli occhi che si fecero poco più azzurri del normale, andando ad assomigliare a quelli di Peter.

-Cosa c'è che devo ancora sapere? Perché c'è qualcosa, lo capisco.- indagò, avvicinandosi alla Narniana. La lupa meditò qualche secondo sulle parole da usare, prima di parlare.

-Si, Peter ti ha preso in braccio... però poi ti ha dato ad Edmund, perché lui doveva discutere con Caspian riguardo il piano da attuare entro breve.- le spiegò, sincera e diretta, senza omettere nulla.


Dopotutto con lei doveva essere sempre così. Sincera e leale fino alla morte. Lo aveva promesso.

Il viso di Eve sbiancò quando la sua mente ebbe registrato quelle parole, e le gambe iniziarono a tremare leggermente, come se si stessero svuotando di tutto. Si mise una mano sulla fronte percependo le guance accaldarsi velocemente, per assicurarsi che non le fosse salita la febbre, e ridendo nervosamente.

Evelyn si arrabbiò con se stessa per non essersi accorta di nulla. Poche e rare occasioni le si presentavano per stare vicina – molto vicina – ad Edmund e lei le sprecava in quel modo.

Scosse la testa, iniziando a maledirsi da sola, gesticolando e battendosi più volte la mano sulla fronte, emozioni contrastanti che la stavano mettendo alla prova: voleva, ma non poteva; quindi sarebbe dovuta essere contenta di non essersi accorta di nulla, in modo da ignorare l'accaduto.

Ma come poteva ignorare una cosa così?

Si voltò improvvisamente a guardare Lia, che la stava fissando in silenzio, studiando il suo comportamento alquanto bizzarro che a volte aveva ma senza sorprendersi di fronte ad esso.

Tanto la conosceva.

Sospirò pesantemente abbassando il capo, come sconfitta e vuota di tutto. Dopo aver scosso la testa ed emesso un ennesimo sospiro, alzò lo sguardo, seguendo la lupa per andare nella radura ad incontrare gli altri e allenarsi.

Era un caso perso.
















































































































Io non so davvero come farmi perdonare. Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace; vi ho fatto attendere due mesi e più per un capitolo che inizialmente, a parer mio, non mi convinceva nemmeno un po': rivedevo troppo il vecchio stile. Mi dispiace, tanto.
Avrei dovuto aggiornare prima, ma non ci sono riuscita: ho avuto come una specie di blocco per la parte iniziale di questo capitolo. Al pensiero di dovermi mettere giù e scriverla mi passava la voglia.
Bene, ora, detto questo, direi di passare al capitolo: come avete notato, per chi si ricordasse la vecchia versione, non è cambiato molto, tranne il primo pezzo iniziale che ho dovuto modificare perchè qui ho diviso i Pevensie, mentre prima dormivano tutti nella stanza della tavola di pietra.
Capitolo di semi-transizione, in cui entra in gioco Lia, e su cui non ho molto da dire. Il prossimo capitolo avrà un momento Suspian, per la gioia di alcuni ;)
Spero sia stato di vostro gradimento e di sapere che ne pensate.
Ringrazio coloro che leggono anche solo in silenzio, le persone che preferiscono, che seguono e quelle che hanno commentato i capitoli precedenti. Grazie a tutti di continuare a seguirmi e di avere pazienza nonostante i tempi d'aggiornamento non siano dei migliori, davvero <3

Spero di rivedervi presto :3
Love,
D***

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Capitolo 10
*** Quello che nel detto - non - viene celato. ***


Narnia's Spirits
Quello che nel detto - non - viene celato.
























Evelyn stava percorrendo il corridoio che portava fuori dalla casa di Aslan, mentre la sua mente, ancora con una patina di sonno vagante, esplorava i pensieri più vari.

Era sempre stata una pigrona, e dormire era una cosa che adorava fare. Purtroppo, o per fortuna, il suo senso del dovere si era sviluppato enormemente da quando era diventata Regina, e certe volte dormire le sembrava la cosa più noiosa del mondo se messa a confronto con tutto ciò che si poteva svolgere fin dalle prime ore del giorno.

Andare alla spiaggia su cui svettava Cair Paravel per osservare le prime luci dell'alba illuminare il mare era, ad esempio, una delle attività che preferiva fare di prima mattina e che non le pesava. In quel modo le sembrava di avere il mondo in mano, ferma in una bolla di pacatezza in cui non esisteva nient'altro che lei che osservava l'orizzonte.

Mentre camminava diretta verso l'uscita sentiva in lontananza la voce di Peter, seguita dal canclore delle spade. Il tono autoritario riusciva a sovrastare quei rumori acuti e graffianti quel tanto che bastava per far sentire fin da dentro la casa di Aslan quello che intimava.

-Coraggio Ed, mettici più impegno e svegliati, in battaglia mica aspettano te!-

Il Magnifico riprese il fratello, quella mattina più lento del solito nel parare i colpi, con una nota di disappunto. Sembrava quasi distratto. Probabilmente era normale, stavano per affrontare una guerra. Una guerra diversa dalle altre, si sentiva nell'aria. Si respirava tensione, incertezza, paura del risultato.

Narnia era diversa da come la ricordavano ed erano passati milletrecento anni da quando se n'erano andati. Una cosa che avrebbe lasciato spiazzato chiunque.

Evitò un fendente di Edmund, abbassandosi, per poi roteare su se stesso e colpirlo a sua volta dal basso. Il fratello saltò, evitando un colpo che avrebbe potuto spezzargli i tendini.

-Non preoccuparti Peter, starò attento.- fece qualche passo indietro per prendere le distanze, i sensi tutti all'erta, lo sguardo vigile pronto a cogliere ogni movimento e la fronte da cui colavano lievi gocce di sudore.

A Evelyn, ora con sotto gli occhi la scena, spuntò un sorrisino: ormai tutti i fratelli Pevensie avevano capito cosa si celava dietro la maggior parte delle frasi del maggiore dei Pevensie. Come in questa, in cui aveva sottinteso al fratello di fare attenzione.

Peter ghignò, scambiandosi uno sguardo con il ragazzo che gli stava di fronte, per poi rimettersi in posizione d'accatto. Scattò in avanti, pronto ad ingaggiare un nuovo scontro, quando sentì distintamente l'adrenalina pulsare, il sangue ribollire e l'energia che aveva ogni volta che combatteva premere, fremere, per uscire sotto forma di colpi mortali.


***


-Hai dormito bene sul prato?-

La voce di Caspian le arrivò vicina, facendole girare di scatto la testa verso il Principe, per rivolgergli tutta la sua attenzione e distogliendo lo sguardo dai fratelli, il tono di scherno e vagamente ironico condito, però, da un sorriso rassicurante.

Da una parte la ragazza se lo aspettava: aveva passato la notte in mezzo ad un prato. Corrugò la fronte: non era una cosa poi che faceva così ridere, ripensandoci. Però, probabilmente, faceva divertire per strane ragioni gli interlocutori che la circondavano.

-Certo, era da molto che non dormivo così bene.- rispose, calma e tranquilla, sorridendo e alzando leggermente il mento, uno scintillio di furbizia nello sguardo. Se l'avevano nominata la Scaltra – soprannome che all'inizio l'aveva lasciata abbastanza confusa, se messo a confronto con quelli dei fratelli – un motivo c'era.

In quel momento al quartetto si avvicinarono anche gli altri Pevensie, dopo aver notato che la sorella si era svegliata e li aveva degnati della sua presenza.

-Ben svegliata Eve!- l'accolse Susan, l'arco con cui si stava allenando poco prima insieme a qualche arciere tenuto in una mano e la faretra solitamente piena di frecce dalle piume color rubino scarlatto quasi a metà. Eve le sorrise di rimando, per poi voltarsi verso Peter, che aveva sentito prendere aria prima di parlare.

-Era ora che ti facessi vedere.- le disse, iniziando a stuzzicarla, il tono tra lo scherno e il velato rimprovero per le ore perse. Lei lo fulminò con un'occhiataccia, il viso che faceva una smorfia seguito da una lieve alzata di spalle: se loro l'avessero svegliata non avrebbe perso tutto quel tempo. E che diamine, non è che potesse essere sempre colpa sua.

Per stare al gioco, anche Edmund diede manforte al fratello.

Sapeva quanto Evelyn odiasse essere ripresa. Sapeva che avrebbero dovuto svegliarla. Sapeva che stavano leggermente esagerando, e che avrebbero potuto fare altro di più importante che comportarsi come degli adolescenti – cosa che erano, ma anche no. Sapeva che c'era anche la possibilità che la sorella se la prendesse a morte con loro.

Ma vedere Eve così stizzita non aveva prezzo.

-Mentre tu stavi dormendo beatamente noi stavamo sudando per prepararci. Non ti pare ingiusto?- le fece notare, parlando per la prima volta e attirando i suoi occhi chiari su di sé.

La sorella minore distolse la sua attenzione dal fulminare Peter e Caspian, che a loro volta si incenerivano a vicenda, e portò lo sguardo su Edmund, il volto una maschera d'apparente indifferenza.

Non appena lo guardò le ritornarono in mente le parole di Lia. Il pensiero di essere stata presa in braccio le mandò in fumo il cervello. Evesentì il cuore iniziare la sua corsa, e ne stava lentamente ed inesorabilmente perdendo il controllo. Ebbe l'impressione che avrebbe ceduto, da un momento all'altro, tanto pulsava. Una vampata di calore l'avvolse, scoppiandole dentro e irradiandosi in ogni centimetro del suo corpo. Sospirò internamente, cercando di mantere il controllo.

Alzò un sopracciglio, fissando lo sguardo acqua e prato su Edmund e si preparò a rispondere dopo un'accurata selezione delle parole. Pensò a come poteva fare, nella sua solita maniera tagliente e apparentemente fredda.

Ghignò impercettibilmente, per poi iniziare a parlare senza fretta, facendo trasparire una calma che in realtà non aveva.

-Un po di riposo mi fa bene... visto che ieri vi ho quasi battuti.- disse, facendo ciondolare il capo da una parte, in un'apparente espressione angelica. I visi dei tre ragazzi cambiarono, al suono delle parole di Eve. Si fecero imbronciati e stupefatti, increduli per quella mancanza di rispetto. Ovviamente non avevano perso. Semplicemente non avevano fatto sul serio.

Perdere.


Era una parola che non andava d'accordo con loro. Mai, mai sarebbero stati battuti. Perdere non rientrava nel loro vocabolario.

-Avete in mente qualche piano?- s'intromise Lucy, spezzando il silenzio ancor prima che calasse sul gruppo, rivolta ad un Peter dal volto serio e pensante. Questi si voltò verso la sorellina, dopodiché si girò leggermente, scambiandosi uno sguardo con Caspian, gli occhi seri e i lineamenti improvvisamente duri.
Gli lanciò uno sguardo di superiorità, quasi di disprezzo e stizza, facendo intendere che per lui la presenza del Principe era più che altro un intralcio che un aiuto.

Si voltò nuovamente verso Lucy, raddolcendosi e tornando un poco rilassato, poi annuì, convinto.

-Si. Ve lo illustrerò verso sera.- decretò, una vena superiore e orgogliosa per essere riuscito in poco tempo a creare un piano di battaglia. A nessuno sfuggì il tono sgarbato e la frase al singolare che aveva usato, benché Lucy avesse parlato al plurale.

Susan scosse la testa, osservando con gli occhi grigi Peter, rimproverandolo silenziosamente con lo sguardo. Sguardo che il fratello non ebbe minimanente paura a sostenere, certo di avere ragione.

Lui era il Re Supremo, su tutti i Re e le Regine, del passato, del presente e del futuro: Caspian era solo il figlio e nipote di una razza di usurpatori che aveva rovinato la sua terra non appena ne avevano avuto occasione. Peter cercava in tutti i modi di discolpare lui e la sua famiglia, sapendo benissimo che non era per niente, nessuna ragione al mondo, loro intenzione lasciarla.  

Edmund ed Eve si scambiarono uno sguardo, consapevoli dei pensieri dell'altro. Peter era orgoglioso, il più orgoglioso tra tutti loro, e probabilmente non conosceva ancora abbastanza bene Caspian da fidarsi di ciò che diceva. Maa questa volta, questa... non si trattava di un gioco, di una rissa tra ragazzini. C'era una guerra in ballo, la vita di un esercito, un popolo intero. Peter avrebbe dovuto tenere conto che stava decidendo per la vita di altri soldati, e non solo la sua.

Sospirò: suo fratello non era stupido, se era Re Supremo un motivo di base c'era.

-Quindi abbiamo qualche ora di tempo…- cominciò Susan, vaga, guardandosi intorno, per poi posare lo sguardo su Eve e distogliendo tutti dalle loro riflessioni.

-Che cosa vuoi fare?- le domandò infatti quella, indagatrice, anticipando gli altri, un velo di impazienza e curiosità nello sguardo.

-Beh, si potrebbe andare a fare un giro di ricognizione, giusto per vedere se è tutto più o meno come lo ricordiamo.- spiegò, rivolta alla sorella per poi osservare gli altri. Si pentì delle sue parole, però, al ricordo di come il fiume che dovevano attraversare aveva scavato nella pietra. Se quello era cambiato, Cair Paravel era stato distrutto e non avevano riconosciuto nemmeno la spiaggia nella quale si divertivano a nuotare e scherzare, chissà il resto di Narnia...

Chinò il capo quando incontrò lo sguardo di Caspian.

-Anche se...- iniziò, affranta, lo sguardo spento e un lieve timore nel dire ad alta voce i suoi pensieri. Come se i suoi fratelli non lo sapessero già.

-Anche se...?- l'incalzò Lucy, gli occhi con un velo di preoccupazione che la scrutavano e il tono di voce flebile. Quella si ricordò della sensibilità di sua sorella e si affrettò a cambiare tono, un finto sorriso molto tirato sul viso.

-Niente Lucy, stavo per dire una cavolata.-

Eve le guardò qualche attimo, gli occhi apparentemente indifferenti e il volto serio. Aveva forse capito cosa sua sorella stava per dire. Ma per non dare ancora una stilettata a loro Susan si era tenuta il pensiero per sé, anche se lo condivideva con tutti e quattro.

Narnia. La loro Narnia. Era diversa.

Sgranò gli occhi: potevano definire quel luogo ancora loro? Sovrani certo ma, loro? Gli apparteneva? Dopotutto, loro non facevano parte di quel mondo, anche se lo definivano casa.

In ogni caso, Narnia probabilmente era loro, ma adesso... non la riconoscevano più, non era più Lei. O forse lo era ancora, ma andava soltanto trovato il luogo adatto. Ma come milletrecento anni prima, Narnia sarebbe mai ritornata come milletrecento anni prima?

Telmarini.

Affilò lo sguardo, improvvisamente seria, quando quella parola le arrivò alla mente.

Loro.

Loro avevano invaso Narnia, loro non si erano fatti problemi a distruggerla, cambiarla e plasmarla a loro piacimento.

Un moto di rabbia le percorse la schiena, mentre stringeva un pugno, e lanciò uno sguardo di odio e disprezzo a Caspian, gli occhi dalla vena azzurra più accentuata. Forse capiva un poco cosa provava certe volte Peter quando lo vedeva: loro, la sua razza aveva cambiato Narnia.

La sua razza... che era anche la sua, a quanto sapeva.

Incrociò lo sguardo di Lia, smarrita, la testa che le girava improvvisamente: aveva... aveva provato ad odiare Caspian. Caspian che non centrava nulla. Caspian che era innamorato di sua sorella. Caspian che per lei stava diventando un vero amico. Come... come aveva anche solo potuto pensarle, certe cose, benché sapesse la sua storia?

Le parve che la lupa le sorridesse rassicurante, quasi a leggere i suoi pensieri. In effetti la capiva al volo, la Narniana, come... come poteva? Sospirò, scoccando poi uno sguardo al Principe che continuava a parlare con gli altri.

Era colpa loro.

Se loro non se ne fossero andati, forse avrebbero avuto la forza di respingere Telmar. Se fossero rimasti, i Narniani non si sarebbero ritrovati da soli durante le invasioni.

No.

Era colpa
sua.

Avrebbe dovuto fermali, quando si era resa conto di dov'erano. Avrebbe dovuto memorizzare ciò che stava accadendo in maniera più veloce. Se avessero continuato la loro vita li, sarebbe stato tutto diverso. Avrebbe dovuto passare ancora poco tempo con Edmund, anche se in realtà il solo pensiero non le dispiaceva, ma di più. Non poteva nemmeno immaginare la sua vita senza i suoi fratelli. Però almeno avrebbe avuto solo poco più di metà vita da vivere, il peso con cui convivere che, magari, si affievoliva sempre di più con la vecchiaia.

Quella seconda vita era una maledizione e una benedizione al tempo stesso.


Forse poteva essere una seconda possibilità? Si, ma... non glielo avrebbe detto lo stesso, alla fine anche se ci pensava non ne aveva il coraggio. Oppure uno scherzo di cattivo gusto per tutto il tempo passato a soffrire? Tanto aveva sopportato una volta, una seconda cosa vuoi che sia?

Avrebbe, avrebbe, avrebbe, forse, forse, forse…

Tanti dubbi che s'insinuavano nella sua testa come serpenti, strisciando languidi e continuando a fischiarle nelle orecchie come una melodia letale.

La penultima Pevensie si riscosse e riuscì a captare il senso del discorso che gli altri avevano continuato a fare, tornando apparentemente come sempre. Pensò, le rotelle del suo cervello che lavoravano a manetta per focalizzare l'attenzione su ciò che aveva capito.

-Per me va bene.- proferì, decisa.

Il secondo a prendere parola fu Edmund, che aveva fino a quel momento ascoltato il discorso a grandi linee, scrutando di tanto in tanto il volto di Eve. L'aveva visto cambiare almeno quattro volte, ma non si era permesso di distoglierla dai suoi pensieri.

-Non è una cattiva idea.- iniziò, scoccandole uno sguardo di traverso per poi spostarlo sugli altri.

-Almeno se qualcuno per disgrazia si perde sa come orientarsi.-

-Solo tu riusciresti a perderti.- lo rimbeccò la più piccola dei Pevensie, scherzosa e un poco indispettita per la frase prima. Anche se in realtà, sapeva a chi il fratello si stava riferendo, e di certo non era lei. Edmund era padrone del bosco, lo conosceva benissimo. Lungi dal perdersi, lui.

-Non è vero! E' Eve quella che ha un pessimo senso dell'orientamento.- continuò, indicandola come se fosse colpevole di aver fatto qualche danno. La ragazza tirata in causa si voltò di botto verso di lui, arrossendo d'imbarazzo e con lo sguardo che lanciava saette, gonfiò le guance.

-Ehi!- fece, indispettita, dandogli un pizzicotto sul braccio. Con quel contatto a entrambi passò una scossa lungo la schiena, che lasciò cadere il discorso nel silenzio, Eve che si pentiva di aver agito così d'impulso e che incrociava le braccia come per proteggersi.

Peter si limitò ad annuire nel ritrovarsi tutti gli occhi puntati sulla sua figura.


***


Una decina di minuti dopo, giusto il tempo per prepararsi e avvertire che si sarebbero allontanati per qualche ora, Caspian, i cinque Pevensie, Lia e Trumpkin si accingevano ad entrare nel bosco sotto la guida esperta della lupa e del nano.

Iniziarono a seguire un sentiero che non si allontanava troppo dalla Casa di Aslan, in quanto seguiva il perimetro della radura costeggiandola dall'interno del bosco.

Il gruppetto si guardava intorno sempre sull'attenti in caso di attacchi nemici, ma la situazione sembrava tranquilla e Lia non avvertiva presenze estranee, così, dopo i primi minuti, si rilassarono.

No, non c'era niente della vecchia Narnia, lì.

Per quanto si sforzassero di ritrovare qualcosa di familiare che non fosse cambiato con il tempo, i fratelli Pevensie non trovarono nulla che li riconducesse alla pianura che molte volte avevano visitato in occasione dell'anniversario della battaglia vinta contro Jadis e della rinascita di Aslan.

Eppure quei dintorni avrebbero dovuto conoscerli bene, luogo sacro da cui era possibile scorgere l'oceano, la spiaggia ed il promontorio sul quale si stagliava, imponente, Cair Paravel – una volta.

Ora era tutto circondato dalla foresta, cresciuta in quei millenni di loro assenza. Gli alberi una volta danzanti erano immobili, sembravano morti. Le varie tane, una volta occupate dalle volpi, dai tassi o dai castori, erano vuote e se vi si guadava all'interno si vedeva solo buio… un profondo buco nero, da cui poteva saltare fuori il tuo peggior incubo pronto a trascinarti con sé.

Non c'era il cinguettio allegro degli uccelli o gli scoiattoli che giocavano e saltavano tra le fronde degli alberi, le driadi fluttuanti nell'aria o i fili d'erba che si muovevano a tempo cullati dal vento. Niente, non c'era più niente.

Narnia era come…

-Morta.- sussurrò Evelyn, osservando i dintorni affianco a Peter. Tutti si bloccarono e si girarono a guardarla, consci del mormorio proveniente da lei ma senza averlo capito, poiché dal tono troppo basso e veloce.

-Hai detto qualcosa?- le chiese Susan, apprensiva. Come gli altri aveva sentito il sussurro, ma non era sicura se fosse reale o fosse solo la sua immaginazione.

La penultima Pevensie in risposta scosse la testa morsicandosi la lingua per non essersi accorta di aver detto il suo pensiero ad alta voce, rischiando di far ricadere in depressione i suoi fratelli. Ma poi pensò di essere fortunata visto che, a quanto pareva, nessuno aveva capito cosa aveva detto – nessuno esclusa Lia, visto il suo udito da lupa, immaginò.

-No, non ho detto niente.- affermò, cercando di tradire calma e fermezza. La maggiore la scrutò un attimo, non credendole palesemente e per niente decisa a lasciar perdere.

-Andiamo, ho sentito che hai detto qualcosa.- la esortò, il tono di voce un poco curioso. Evelyn la guardò, aprendosi in un sorriso per cercare di dissimulare il più possibile. Sentiva le guace tirare per lo sforzo.

-Davvero, non ho detto niente, e se anche lo avessi fatto era un mio pensiero. Ma niente d' importante.- era consapevole che tanto i suoi pensieri erano gli stessi dei fratelli, con un rapido ragionamento ci sarebbero arrivati da soli senza bisogno di parole.

-Quindi ammetti di aver detto qualcosa.- la riprese Lucy, che la guardava. Eve si voltò verso di lei, evitando di sospirare esasperata per quell'attenzione rivolta verso di lei e che, per i suoi gusti, stava diventando troppa.

-Si, ma niente d'importante.- rincarò, sicura, facendo intendere che non avrebbe scucito una parola a riguardo. Peter la scrutò, di sottecchi: aveva sentito, e bene, ma non gli sembrava il caso di obbligarla a parlare se non voleva.


***


Arrivarono in un piccolo spiazzo d'erba poco dopo, da cui dal folto della foresta faceva capolino un piccolo fiumiciattolo: l'acqua scorreva placida e in maniera quasi impercettibile, trasportando, alle volte, foglie cadute o petali di fiori trasportati dal vento, testimoni della corrente che scorreva probabilmente diretta verso il mare o qualche lago nascosto nel fitto della foresta.

Susan si fermò, osservando il suo viso riflesso in quel liquido cristallino e puro. S'inginocchiò per poter essere più vicina allo specchio d'acqua, e ci immerse dentro due dita, creando cerchi concentrici che andarono a smuovere quella calma quasi straziante. Da quanto era ritornata a Narnia faticava a trovare un punto fermo in tutto ciò che stava succedendo.

Cair Paravel distrutta, i Narniani decimati, i Telmarini... Caspian.

Susan sospirò, socchiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dal fresco che sentiva intorpidirle le dita, domandandosi quali prove avessero in serbo per loro la Grande Magia e Aslan, quella volta. 

Caspian le si avvicinò, piano, dopo essersi perso a contemplarla per vari minuti, perso nei suoi pensieri. Poi parlò, ridestandola dalle sue riflessioni, abbassandosi al suo stesso livello in modo da poterla sentire più vicina e scorgendo oltre la sua spalla il volto della Pevensie sulla superficie del fiume.

-Tranquilla.- iniziò, un impercettibile sorriso sul viso. Vide il riflesso nell'acqua della Regina trasalire impercettibilmente.

-Non sembri avere milletrecento anni in più di me.- ironizzò, sorridendo al volto della ragazza riflesso nell'acqua e spogendosi del tutto. Susan si voltò di scatto verso di lui, non peroccupandosi minimamente di mascherare il proprio disappunto.

-Mi hai spaventato!- fu la prima cosa che riuscì a dire, dopo essersi soffermata pochi attimi sulle labbra di lui. Il tono di voce finto arrabbiato e un luccichio di rimprovero negli occhi grigi avrebbero fatto scusare chiunque, ma Caspian non si fece toccare.

-D'accordo, d'accordo. Scusami.- si alzò di scatto e indietreggiò di pochi passi, sollevando le braccia in segno di resa.

-Non volevo spaventarti, ma è anche colpa tua. Eri così assorta che non hai neanche sentito le tue sorelle che se ne andavano.-

Cosa?

In quel momento Susan si guardò in giro, uno strano batticuore e una sensazione di panico che facevano capolino senza che lei li avesse chiamati. Sondò il perimetro di quel piccolo paradiso di tranquillità, il volto una maschera indecifrabile che nascondeva il tumulto di emozioni che le stavano inondando il corpo.

I suoi fratelli non c'erano. Trumpkin non c'era. Lia non c'era. Non c'era più nessuno, li, a parte loro due.

Inspirò a fondo, per calmarsi.

-Hanno detto che se trovano qualcosa di interessante ce lo riferiranno quando torneremo alla casa di Aslan.- ci pensò Caspian a riportarla alla realtà per l'ennesima volta, ricatalizzando l'attenzione della Pevensie sulla sua figura e facendola smettere, in quel modo, di sondare i dontorni in modo febbrile.

-Allora, a cosa stavi pensando?- domandò, dopo essersi schiarito la voce, per cercare di non far cadere il silenzio.

-Sempre se me lo vuoi dire- s'affrettò poi ad aggiungere, per non farle sembrare che volesse entrare nella sua testa ad ogni costo. Susan lo fissò negli occhi neri e lui arrossì leggermente, imbarazzato, ma mise da parte l'imbarazzo che sentiva arrossargli le guance e non deviò lo sguardo.

-Stavo pensando…- iniziò quella, dopo qualche secondo, bloccandosi quando vide di come il Principe avesse alzato le sopracciglia per farle capire di stare dicendo l'ovvio. La ragazza gli scoccò un'occhiataccia. Riprovò a intavolare un discorso, ma si bloccò nuovamente, sgranando gli occhi, conscia su ciò che stava per dire. E che non poteva far trapelare.

Non poteva dirgli quello a cui stava pensando! Non poteva dirgli che stava pensando anche a lui!

No, non poteva per niente.

Decise di non mentire, ma tenere i propri pensieri sul ragazzo per sé, limitandosi a constatare l'ovvio.

-Stavo pensando a Narnia, al fatto che da dove vengo io in Inghilterra sono passati quasi due anni, mentre qui ne sono passati ben milletrecento...- Era la prima volta da quando era ritornata a Narnia che sfogava i suoi dubbi e pensieri con qualcuno: anche con i suoi fratelli era rimasta vaga. Si sedette sull'erba e Caspian le si avvicinò, raggiungendola per continuare ad ad ascoltarla.

-Quando Trumpkin ce lo ha detto io e i miei fratelli siamo rimasti sconvolti, letteralmente, in quel momento mi sono venute tante di quelle domande...-

-Tipo?-

-Beh, per esempio se avremmo trovato ancora la Narnia di una volta, la cui risposta è no; se ci sarebbero stati il signor Tumnus e i Castori, che hanno quasi rischiato la vita per noi. Lucy e Evelyn sono rimaste distrutte nel sapere che non ci sono più e anche io, Edmund e Peter anche se abbiamo cercato di mostrarlo di meno per loro e poi…- si bloccò, lo sguardo fisso sul torrente che scorreva tranquillo.

-Poi?- quella di Caspian sembrava tanto una preghiera, una supplica mal celata: lui voleva sapere quello a cui pensava e la tormentava, come se ora che lo sapeva in parte non potesse più farne a meno. Voleva cercare di sapere il più possibile, perché in qualche strana maniera si sentiva in dovere di aiutarla. Avrebbe fatto ciò che era in suo potere per darle quel conforto e comprensione che cercava ma che, dall'alto della sua fierezza, cercava di nascondere.

Lei guardò in viso Caspian, il quale le sorrideva impercettibilmente, e ricambiò, riportando poi lo sguardo sul torrente.

-E poi il dubbio più grande: Aslan.-

Il ragazzo da parte a lei aggrottò leggermente la fronte: Aslan? Che centrava il grande leone di cui, quando pronunciava il nome davanti alle creature di Narnia, queste si bloccavano e lo guardavano con in volto le espressioni più disparate?

Susan lo riportò alla realtà rispondendo, in parte, ai suoi quesiti.

-Lucy ed Evelyn dicono di averlo visto quando siamo arrivati alla gola del fiume Rapido, ma quando ci siamo voltati tutti lui non c'era più… se mai c'era stato. Perché non si è fatto veder anche da noi? Perché solo a loro due? Sono domande che mi tormentano a cui non so dare una risposta; magari, come ha detto Peter, era solo un leone selvatico…- sospirò, affranta, posando il capo sulle ginocchia raggruppate al petto e chiudendo per qualche attimo gli occhi, espirando pesantemente per rilassarsi. Perché a loro non si era mostrato? Forse non li riteneva degni della sua presenza? Cosa avevano Eve e Lucy che a lei ed i suoi fratelli mancava?

-Non so a che pensare.- in quel momento si riprese, rendendosi conto di aver parlato da sola, e si voltò verso Caspian, che non le aveva ancora risposto ed era rimasto in silenzio.

-Scusami, ho parlato solo io e ti ho annoiato e…- iniziò, certa che le non risposte del ragazzo fossero dovute al fatto che si stesse concentrando su altro, perché si era stancato di ascoltarla e aveva perso il senso del suo discorso.

-Figurati. Mi ha fatto piacere che tu ti sia aperta con me.- la bloccò lui, sorridendo e lasciandola spiazzata.

Che sorriso perfetto, aveva... ed era rivolto a lei, solo per lei, tutto per lei.

Susan avvampò, ammutolendo di fronte a quei pensieri: che cavolo le stava venendo in mente? Esporsi e aprirsi in tal modo con lui, pensare che si stava creando qualcosa di speciale tra loro due.

Sicuramente quella di Caspian era solo cortesia dovuta ai modi gentili e nobili di etichetta a cui era stato abituato. Però le aveva fatto piacere parlare, ora era leggera e si era sfogata con qualcuno, e poi con Caspian stava bene, non si rinchiudeva a guscio.

-Che ne dici di tornare? Gli altri magari saranno preoccupati.- la voce del diretto interessato la riportò alla realtà, e sembrava già sul punto di alzarsi agilmente e scrollarsi la terra dai pantaloni.

La maggiore tra le sorelle Pevensie annuì e i due abbandonarono le comode posizioni in cui erano stati, sistemando i vestiti – come lei aveva immaginato Caspian aveva passato le mani sui pantaloni e li aveva sistemati meglio dentro gli stivali – incamminandosi, facendo il percorso inverso. Parlarono del più e del meno, sulla strada del ritorno:  il Principe era curioso dell'Inghilterra, ma cercava di non risultare troppo assillante, e Susan si ritrovò internamente colpita sulla discrezione che le stava mostando intuendo che si stesse trattenendo per non darle noia, tanto che alla fine parlare non le risultò poi così difficoltoso.

Nella mente della Pevensie, poi, continuava a ronzare una cosa sola: appena beccava le sue sorelle le avrebbe strozzate per quello scherzetto che le avevano giocato… magari anche dopo una bella ramanzina. Sorrise, di nuovo, al pensiero appena fatto.

Prima però le avrebbe ringraziate.


***


Nello stesso momento in cui si teneva il discorso tra Caspian e Susan, il resto del gruppo continuava a camminare per il sentiero mostrato da Lia e Trumpkin, ognuno perso nei propri pensieri.

Evelyn si fermò, attirata da qualcosa che aveva scorso nel fitto del bosco mentre faceva vagare lo sguardo sulla vegetazione, senza però guardarla davvero. I restanti la videro inoltrarsi nella foresta, senza dare spiegazioni.

Peter reagì di conseguenza, scattandole dietro con tutti i sensi all'erta e facendo segno agli altri quattro di continuare il giro.

Mentre seguiva Eve, cercò di capire dove stava andando e dove potevano trovarsi: nella sua mente, però, tutto era vuoto. Non riusciva a collocare i tronchi, non riconosceva le forme che prendevano le chiome degli alberi o i massi che incontrava sul cammino. Sentiva dentro di sé un senso di impotenza, perché in quel modo dovette ammettere che Narnia era tutta nuovamente da scoprire, e le sue possibilità – di vittoria, di tornare verso luoghi sicuri o rifugi che aveva imparato a conoscere ed usufruirne durante le guerre – diminuivano notevolmente.


Dopo aver camminato per qualche minuto Evelyn si fermò, raggiunta in pochi secondi da Peter. Affiancandosi a lei non ebbe il tempo di dirle niente che il suo sguardo fu rapito, così come quello della sorella minore, da una grande quercia che si ergeva imponente davanti a loro in un piccolo spiazzo di erba, qualche fiore attorno alla base di esso.

Evelyn si avvicinò e con la mano sfiorò la corteccia che aveva attirato la sua attenzione fin dal sentiero. L'albero non dava comunque segno di vita, quella vita, per quanto fosse rigoglioso, le foglie verde brillante in contrasto con il cielo estivo che filtravano i raggi del sole regalando un gioco di ombre sul prato.

Chissà che cosa diavolo l'aveva attirata li.

Sospirando, si sedette all'ombra delle fronde e Peter seguì il suo gesto, mettendosi da parte e appoggiando il capo contro il tronco. Nessuno dei due fiatava, godendosi l'aria fresca sul viso e la presenza reciproca, ognuno perso nei propri pensieri.

-Eve, volevo chiederti una cosa.-

Fu Peter a spezzare quel silenzio. Parlò piano, la voce appena un sussurro, continuando a tenere gli occhi chiusi e percependo il calore estivo scaldargli le membra e il silenzio avvolgerlo come se fosse in una bolla. Poteva quasi dire di sentirsi in pace, in quel momento.

La ragazza aprì i suoi e lo guardò, incontrando i suoi lineamenti rilassati e mugugnando un assenso, un invito di continuare non detto ma che sapeva che Peter avrebbe recepito.

-Tu e Lucy avete davvero visto Aslan?-

Se lo sarebbe dovuto aspettare.

La sorella minore saltò subito sull'attenti, drizzando la schiena e staccandola dall'albero, come se avesse ricevuto una scossa, l'espressione mista tra la sorpresa e lo sconvolto.

In un primo momento, s'irritò, ricordando lo scambio di pensieri avuto con Edmund subito dopo aver cambiato strada alla gola del fiume Rapido per avviarsi al guado di Beruna guidati da Trumpkin.

-Perché me lo domandi? Credi che siamo pazze?- domandò, senza preoccuparsi di nascondere l'indignazione che quella domanda le aveva procurato. Odiava che pensassero che fossero due bugiarde. Odiava quando diceva qualcosa che era vero e non veniva ascoltata. Il suo istinto non si era mai sbagliato. 

-Non prenderla male, Evelyn!- fu il commento lapidario di Peter mentre si voltava per qualche attimo e la fulminava con lo sguardo.

-Solo mi chiedo come mai l'abbiate visto solo voi due.- mormorò, tornando ad incrociare le braccia e celando nuovamente gli occhi al mondo. In quel momento Eve capì che lui era ancora più confuso di lei. Sospirò, spostando lo sguardo ai suoi piedi e poi al cielo, azzurro. Semplicemente tanto azzurro.

-Non lo so...- mormorò, come in colpa per non riuscire a dare una spiegazione logica. Percepì un movimento a lato e capì che Peter aveva rivolto il volto verso di lei per osservarla.

-Però sono sicura che era Aslan, e non un leone selvatico come dici tu.-

Entrambi sorrisero: Aslan un leone selvatico …

Evelyn rise impercettibilmente, ricordandosi la frase di Tumnus sul grosso gatto non addomesticato, nella sua mente l'immagine del grande leone dal manto dorato e gli occhi ambrati. Due pozze che ti scrutavano l'anima, nell'antro più profondo del tuo essere.

Sgranò gli occhi sconcertata e spaventata: e se avesse saputo il suo segreto? Dopotutto era plausibile visto che anche Lia con qualche ora di tempo era arrivata alla conclusione giusta, senza bisogno che lei dicesse niente.

Riportò l'attenzione sul fratello maggiore da parte a lei capendo che c'era altro che voleva dirle, cogliendo l'occasione per mettere da parte le proprie paturnie.

-C'è altro che di cui vuoi parlarmi, Peter?- domandò, anticipandolo. Questi la guardò in viso scrutandola, abbandonando la posizione che aveva tenuto fino a quel momento e mostrandole nuovamente i suoi occhi azzurri, sicuri e fieri.

Alzò un sopracciglio: perché cavolo la fissava? Era per caso sporca in faccia? Rammentò di non aver mangiato quindi no, non poteva avere la faccia sporca…

-Il ciondolo.-

-Il ciondolo?-
Eve aggrottò la fronte, ragionando con se stessa su cosa intendesse dirle Peter.

-Si, il ciondolo, il tuo, quello con la E… perché lo ha Lia?- domandò, guadagnandosi un'occhiata perplessa dalla sorella.

-Solo sono molto curioso, come gli altri, insomma… a quel ciondolo, così come quello che hai indosso adesso, ci tieni così tanto...- Evelyn lo guardò, indecisa su cosa dire.

-E' un segno che ci lega, mi fido molto di lei.- buttò fuori, e si rese conto subito dopo che sicuramente quella non era una risposta soddisfacente.

-E cosa ha fatto di tanto importante da meritare la tua fiducia?- gli occhi del Pevensie brillarono di curiosità, il suo tono però lasciò tradire un certo scetticismo verso quella creatura conosciuta solo il giorno prima. La sorella minore l'osservò, mimando un mezzo ghigno e avvicinandosi a pochi centrimentri dal suo viso. Peter, incuriosito, si avvicinò a sua volta, trepidante di aspettativa.

-Segreto.- rispose misteriosamente, in un sussurro, portandosi un indice davanti alle labbra.

-Come segreto?- il volto del biondo divenne una maschera di perfetto disappunto: si tirò indietro, aprendo un paio di volte la bocca con indignazione e corrugando la fronte.

-Si, segreto. Tu fidati, non sono stupida.- 

-Non ho mai detto questo, ma posso sapere di cosa si tratta?- Eve scosse la testa, suo malgrado dispiaciuta per la bugia enorme che stava rifilando al fratello. Se le fosse stato possibile, se fosse stato qualsiasi altro argomento, non avrebbe avuto problem ad aprirsi con lui - con tutti loro. Ma davvero non poteva, i rischi erano... erano enormi. Cambiò discorso, senza preoccuparsi di nascondere il fatto di volersi allontanare da quell'argomento.

-Piuttosto, quale piano avete deciso di fare tu e Caspian?- vide la sua espressione indurirsi al nome del Principe e gli occhi assumere una punta d'orgoglio.

-Siamo su fronti differenti, secondo lui è meglio aspettare. Per quanto mi riguarda dovremmo attaccare la notte, a sorpresa: quelli di Telmar non se lo aspettano e li coglieremo impreparati, anche perché gran parte delle truppe è al guardo per costruire il ponte.- le spiegò Peter, pratico, prendendo a scribacchiare con un legnetto in terra. 

-Ma non siamo in pochi per un attacco?- domandò, dopo qualche attimo di riflessione, ottenendo che Peter si voltasse verso di lei come colto sul vivo.

-Si- ammise il fratello, e ad Eve dalla rigidità con cui si era tesa la sua espressione sembrò una constatazione a cui era venuto a patti con non poca difficoltà.

-Però non possiamo neanche aspettare che ci prendano come topi in trappola.- entrambe le opzioni erano buone e avevano le loro ragioni. Evelyn intuì che per far andare d'accordo Caspian e Peter e trovare un fronte comune sarebbe stato molto difficile. Purtroppo, la situazione dell'esercito e il modo precario in cui erano accampati in quel momento non rendeva possibile vagliare molte opzioni oltre a quelle di muoversi d'anticipo.

-Il piano lo spiegherò bene prima di sera, in modo da prepararci.- mentre diceva ciò Peter si alzò dal terra, tendendo una mano alla sorella minore per far alzare anche lei.

-… quindi penso sia ora di tornare-.


***


-Era ora che arrivaste! Ma dove diavolo siete stati?-

Non appena arrivano trovarono gli altri già ad attenderli. Edmund aveva parlato a nome di tutti, il tono più alto del solito per l'agitazione e la preoccupazione nate non avendoli visti tornare in tempi brevi - aveva temuto fosse capitato loro qualcosa ed era già pronto a smuovere le sentinelle.

-Scusateci, ci siamo attardati perché ci eravamo allontanati, quindi ci abbiamo messo più tempo- spiegò Peter, paziente, sorvolando sul discorso tra lui e la sorella.

-Ora è chiaro.- fece Trumpkin, come illuminato, facendo rivolgere l'attenzione dei Pevensie sulla sua figura minuta. 

-Però vi faccio notare che i vostri fratelli erano in pensiero per voi.- spiegò, dando una leggera pacca sulla spalla a Lucy come per tranquillizzarla. Evelyn sorrise lievemente, congiungendo le mani dietro la schiena e rivolgendo uno sguardo di scuse al gruppo che si era formato intorno a lei e Peter.

-Ci dispiace, hai ragione. Non ricapiterà.-

-Cosa avevi visto di tanto importante, Eve?- attirò la sua attenzione Lu, esprimendo una domanda che si aggirava anche nella mente di Edmund. Evelyn alzò un sopracciglio in un muta domanda, quesito a cui la sorella minore rispose alzando leggermente le spalle.

-Hai iniziato a inoltrarti nella foresta senza dare alcuna spiegazione…-

Eve capì e stette qualche attimo in silenzio, evitando di fare una faccia di chi si ritrova a capire un discorso dopo che glielo hanno spiegato nei particolari e che le sue labbra formassero una muta esclamazione.

-Pensavo di aver riconosciuto un posto… ma non era lo stesso.- in realtà, il posto l'aveva attirata senza che nemmeno volesse: un attimo prima camminava persa a rimuginare sui suoi pensieri perdendosi ad osservare il modo in cui i cespugli si confondevano con le fronde degli alberi, i tronchi caduti ed i massi lievemente ricoperti di muschio, e un attimo dopo, un colore, una foglia particolare e l'istinto le aveva fatto muovere i piedi verso quella sorgente di ricordi ed emozioni.

Si scambiò uno sguardo con Peter.

-Ma era bello lo stesso!- cercò di tirarla su di morale, non facendo caso volontariamente al tempo passato della frase precedente. La sorella minore annuì, aprendosi in un sorriso per confermare le sue parole.

-Dove si trova?- s'intromise Susan, che si era resa conto della loro mancanza quando avevano raggiunto i restanti rimasti poco prima di sbucare nuovamente nella radura.

-Quando ci sarà più calma e un momento adatto vi porto. Adesso… il piano.- disse Evelyn, con fare sbrigativo, lanciando uno sguardo al fratello. Veramente, quel pezzo di terra non le andava molto di metterlo sotto l'attenzione degli altri, come se fosse un oggetto da comprare al mercato. Per il gruppo calò un silenzio carico di tensione per il modo brusco con cui erano stati riportati alla realtà degli eventi.

-Si, giusto: dopodomani sera entreremo in azione: il piano ve lo espongo tra mezz'ora, così abbiamo tutto domani per poterci preparare e un'altra notte per poter riposare. Per quell'ora voglio voi e tutti i comandanti nella stanza della tomba di Aslan.-



***


Le tre sorelle Pevensie e Lia si avviarono già per il luogo stabilito: stare all'aperto a rimembrare luoghi diversi ed osservare ciò che già una volta avevano rischiato di perdere era una cosa che poteva far riaffiorare stilettate e sensi di colpa, quindi preferirono parlottare tra loro cercando di svuotare la mente, provando a raccattare ciò che di positivo quel giro nel bosco aveva portato.

Quando furono arrivate ed ebbero la conferma di essere da sole, Susan parlò per prima, il tono di voce leggermente minaccioso diretto alle due sorelle minori. Le superò, parandosi poi di fronte a loro, con le mani sui fianchi e gli occhi affilati. Dalla sua posizione assunta Eve e Lucy avevano la visuale ostruita per la raffigurazione di Aslan.

-Voi due…-

-Si?- domandarono quelle, all'unisono, la voce divertita mentre facevano finta di non sapere che cosa voleva dire Susan. Anche se in realtà sapevano a cosa sarebbero andate incontro giocandole quel trabocchetto.

-Che diavolo vi è venuto in mente?- sbottò Sue, più imbarazzata al ricordo di quei momenti che arrabbiata realmente con loro.

-Lasciarmi sola con Caspian oggi non è stata una mossa molto saggia… specialmente per la vostra incolumità!- decretò, usando un tono vagamente minaccioso e offeso ed indicandole con un indice. Le due si scambiarono uno sguardo, facendo comunella e consce che quelle parole erano solo dettate dall'imbarazzo di quel pomeriggio, mentre in realtà la Pevensie non era per niente arrabbiata. Erano sicure, anzi, che le avrebbe ringraziate, se tutto andava per il verso giusto.

-Su Susan, non venirci a dire la balla che non ti abbia fatto piacere stare sola con lui- la maggiore tra le tre avvampò di fronte a quella realtà guardando Lucy con espressione indignata, mentre Evelyn prendeva parola appoggiando la sorella minore.

-E poi era ora che vi ritagliaste un quadretto solo per voi due: in questi ultimi giorni intorno a Caspian c'era sempre Peter che discuteva con lui per il piano. Anche se alla fine non ne sono venuti a una…- lasciò la frase in sospeso, e rivolse l'attenzione prima a Susan per poi soffermarsi su Lucy: bastò poco, uno sguardo, perché entrambe si intendessero alla perfezione.

-Oh Susan, solo così felice di essere qui da solo con te. E' così un onore e un privilegio che non riesco a trovare le parole adatte per esprimermi.- proferì per prima Evelyn, il tono di voce più basso che potesse fare per imitare la voce del Principe che aveva rapito il cuore della sorella maggiore.

Lucy stette al gioco, coprendosi la bocca prima di parlare con la mano per non scoppiare a ridere, poi imitò Susan.

-No, non dire così Caspian, mi imbarazzi…- mentre diceva ciò l'ultima Pevensie si portò le mani alle guance per significare di essere arrossita, abbassando lo sguardo in maniera pudica.

Lia osservava la scena la scena in disparte, e nel frattempo Susan, più rossa e imbarazzata che mai, riprese le due sorelle minori che stavano facendo quel teatrino coalizzandosi contro di lei.

-Eve! Lucy! Non pensate di farla franca!-

Si mise a rincorrere le due sorelle per la stanza, senza volerle prendere davvero per conservare il suo atteggiamento da adulta: le due la schivavano e non si facevano fermare, scivolandole via un attimo prima che lei potesse agguantarle per gli abiti. Dopo qualche minuto Susan si fermò definitivamente, anche se non si era messa a correre come una forsennata – piuttosto cercava di scivolar vicino loro, piano, ma quelle si tenevano lo stesso a debita distanza –, e alzò le mani in segno di resa.

-D'accordo, avete vinto.- asserì, con un sospiro. Sapeva già che sarebbe stata una guerra persa in partenza, perché quando si mettevano in testa qualcosa da fare insieme erano tremende. Cercò di scacciare l'imbarazzo che ancora sentiva provocarle la pelle d'oca, lanciandosi uno sguardo alle spalle per constatare che fossero ancora sole: non ci sarebbe stata vergogna più grande se qualcuno avesse visto quella scenetta.

-Piuttosto, è quasi ora...- continuò, diventando di botto seria e posata, più nessuna traccia di divertimento negli occhi grigi.

-Già, tra poco dovrebbero essere qui per discutere del piano.- Evelyn guardava il cunicolo dal quale i fratelli e gli altri sarebbero spuntati quando parlò, senza rivolgersi a nessuna delle presenze in quella stanza in particolare.

-Tu sai per caso qualcosa, Eve?- a ridestarla ci pensò Lucy, che le fece riportare l'attenzione su di lei e l'altra Pevensie. Annuì, prendendo posto affianco a Lia e immergendo una mano nel pelo sulla nuca.

Com'era soffice e caldo, confortevole come una dolce nicchia.

-Per quanto mi ha detto Peter, ma penso che ci siate arrivate anche voi, lui e Caspian la pensano in modo diverso.- le due sorelle annuirono a quella constatazione ovvia, per nulla sorprese della cosa.

-Secondo Caspian è meglio aspettare, secondo nostro fratello è meglio muoverci. Sarà dura capire quale sia la soluzione migliore da prendere.-

-Già...- si ritrovarono a concordare, guardandosi e facendo poi vagare gli occhi sull'ambiente in cui si trovavano. Tra le tre calò rapidamente un silenzio teso.

-Un'altra cosa mi preoccupa.- ruppe il silenzio Eve, congiungendo le mani e appoggiandoci sopra il mento. Lucy e Susan la guardarono, Lia si limitò a rivolgere un orecchio verso di lei, continuando tuttavia a tenere lo sguardo verso il cunicolo.

-Sapete quanto è orgoglioso nostro fratello. Non vorrei che per questo facesse delle cavolate, solo per dimostrare che è il migliore.- Susan annuì leggermente e Lucy tirò le labbra a quelle parole. Tutte e tre le sorelle sospirarono, sapendo che si sarebbero dovute aspettare di tutto da quella testa biondo grano.

Lia le riportò alla realtà e spezzò il silenzio carico quasi di preoccupazione e incertezza sul futuro che si stava creando.

-Stanno arrivando.-

-Lu, Eve… Grazie, comunque.-




































































































*Esulta da sola* Ho aggiornato!
Lo so, dovrei essere immensamente triste e dispiaciuta per tutto il tempo che vi ho fatto aspettare, e si, lo sono: mi spiace di lasciare molto spesso questi intervalli di tempo molto lunghi tra gli aggiornamenti. Non mi sorprenderebbe se per questo motivo la storia perdesse interesse ai vostri occhi, perchè il filo della trama viene perso, perchè nel frattempo i vostri gusti sono cambiati o il mio modo di scrivere è calato, ecc ecc...
Però sono anche contenta che in questi tre giorni ho ripreso a scrivere.
Quindi, sperando che non ce l'abbiate a morte con me, vi chiedo scusa per il ritardo accumulato dall'ultimo aggiornamento.
Io ringrazio chi ha letto, chi preferisce, segue e ricorda. Chi ha recensito, chi continuerà a seguire e chi mi ha seguito fin qui.
Ed, inoltre, vi auguro un buon inizio 2012.

Spero che il capitolo sia di vostro gradimento.
Grazie ancora del sostegno e della pazienza.
Love,
D*

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Capitolo 11
*** Bolle di parole pronte a scoppiare. ***


Narnia's Spirits
Bolle di silenziose parole pronte a scoppiare.








I corpi erano illuminati dalle torce e dal fuoco che circondava tutto il perimetro della sala, le sagome venivano proiettate sul muro creando un vasto contorno eterogeneo di forme scure che si confondevano tra loro. Il rumore ovattato del ferro battuto che solitamente giungeva dal centro della casa di Aslan si era dissolto, andando a formare un silenzio teso e carico di aspettative per quell'incontro da tanto tempo aspettato e discusso.

Anche coloro che non erano stati ammessi, per ragioni di spazio, a quella riunione che avrebbe deciso le prossime sorti dell'esercito Narniano, avevano smesso di lavorare, in attesa di venire a conoscenza dell'esito di quella riunione tanto sospirata, tanto temuta e tanto discussa per le diverse ragioni che, sicuramente, l'avrebbero animata.

Dopo che Lia aveva annunciato l'arrivo dei maggiori esponenti di quel mucchio di giusti ribelli che rivolevano indietro la loro terra, la stanza in cui lei e le Pevensie si trovavano non ci aveva messo molto a cambiare aria, diventando ambiente di serietà e occhi che, se potevano, avrebbero fulminato all'istante elementi poco graditi.

Il silenzio che aleggiava per quel piccolo pezzo di grotta non era altro che una bolla pronta ad esplodere appena qualcuno ci avesse infilato una parola troppo appuntita dentro.

Caspian e Peter erano in piedi, rigidi, fermi in mezzo alla stanza e al cerchio che i presenti avevano formato, mettendo in evidenza l'attenzione che riponevano nelle parole che avrebbero pronunciato di li a poco e confermando che li ritenevano le due guide maggiori che i Narniani avevano.

Senza un piano di qualche regnante vissuto tra allenamenti e guerre, probabilmente il prossimo attacco che avrebbero organizzato non sarebbe stato molto diverso da quelli passati, e sarebbe servito soltanto a cospargere altro sangue e riaprire nuovamente la caccia agli abitanti di Narnia, che, fino a poco tempo prima, sembrava essersi fermata dietro un muro di silenzio e paure umane.

-Miraz starà organizzando un esercito per attaccarci al più presto, per cui hanno abbassato la guardia al castello- Peter parlò per primo, deciso e affilato, impaziente di arrivare al succo del discorso e ciò che pensava il prima possibile.

Secondo un fauno, alcuni Telmarini erano stati mandati in avanscoperta: ciò significava che li stavano studiando, per cercare di vedere come stavano facendo, e la costruzione del ponte che pochi giorni prima aveva visto non poteva che essere la conferma di un'imminente invasione.

Caspian lo guardava, ritto e impassibile di volto, ma negli occhi neri si poteva leggere tutta la sua disapprovazione su ciò che l'Antico Sovrano aveva detto e su ciò che si immaginava stesse per dire, ragione che l'aveva portato a considerarlo uno sborone pieno di sé che non guardava minimamente in faccia la realtà e gli altri, che non fossero le prossime persone a cui teneva, in quel tempo in cui si erano trovati a discutere di possibili piani di battaglia.

-Che ci proponete di fare, Maestà?- chiese Ripicì, rizzando la coda e posando una zampina sull'elsa dello stiletto, come per manifestare la sua opinione senza parole.

-Bisogna essere pronti-.

-Ci muoviamo-.

La voce del Principe e del Re risuonarono all'unisono tra le mura insieme ai passi che avevano compiuto verso il Narniano, rimbalzando nelle orecchie dei presenti in quel silenzio teso che si era creato nuovamente, di botto.

I due si girarono e si scrutarono in volto, ognuno fermo sulle proprie idee, e si fulminarono con gli sguardi: erano tra lo stupefatto gli occhi scuri di Caspian, ancora troppo abituato a non essere imparziale e mantenere il sangue freddo, mentre quelli di Peter lasciavo trasparire l'indignazione e la collera per quella presa di posizione così diversa.

Evelyn non poté fare a meno di cercare d'incrociare lo sguardo di Lia, come se quell'azzurro color ghiaccio potesse regalarle un conforto rassicurante e caldo in confronto al gelo che rappresentavano.

Effettivamente, non appena lo vide, ebbe come una scossa di determinazione, un'improvvisa consapevolezza che tutto doveva andare bene e quelle erano solo scaramucce – disaccordi, però, che coinvolgevano altre vite – di chi ancora deve imparare a conoscersi bene.

La cosa, la velocità con cui la Narniana aveva capito, la lasciò persa, sospesa nei suoi pensieri ancora più della notte prima. Se non c'era uso di magia, che non aveva visto usare da quando erano rientrati a Narnia, Eve faticava davvero a capire come Lia potesse averle letto così profondamente e in poco tempo nei pensieri.

…Magia.



Caspian aveva abbassato la testa leggermente dopo aver fissato Peter a lungo, facendo un cenno al ragazzo e lasciando intendere che lui si sarebbe messo da parte concedendogli l'onore di parlare per primo.

Secondo la leggenda Peter era il Re Supremo e aveva il comando su tutti gli altri Re e Regine di Narnia che sarebbero venuti, quindi chiunque doveva sottostare alla sua autorità.

Caspian, Telmarino, sottostava a quella regola dal momento in cui si era unito ai Narniani.

Dopo aver rivolto al Principe un ultimo sguardo con le mascelle serrate, che lasciava intendere senza tante cerimonie di non osare anche solo pensare di interromperlo ancora, Peter si voltò di nuovo verso i suoi fratelli e i vari Narniani continuando il discorso dove l'aveva interrotto.

-L'unica speranza è attaccare loro prima che attacchino noi- decretò sicuro, posando la mano sul pomo di Aslan e studiando le reazioni del suo pubblico.

-Nessuno ha mai conquistato quel castello- gli fece notare Caspian, tornando a parlare e cercando di fargli capire le sue motivazioni: lui conosceva Miraz e in quel palazzo ci aveva vissuto, lo conosceva bene ed era come una fortezza inespugnabile, specialmente per loro che non erano in molti rispetto agli aiuti che Telmar poteva ricevere dai regni vicini.

La mossa che stava facendo Peter era troppo azzardata: stava facendo il passo più lungo della gamba, troppo preso a voler riavere indietro ciò che era suo.

-C'è sempre una prima volta- il Pevensie lo guardò con aria di sufficienza. Ricordava troppo bene che grazie al suo arrivo e quello dei suoi fratelli Narnia era stata tolta dal gelo perenne di Jadis dopo tentativi che già erano falliti. Perché la cosa non si sarebbe potuta ripetere?

-Ci sarà l'elemento sorpresa- fece notare Trumpkin guardando il Principe, intervenendo a favore di Peter.

-Ma siamo più al sicuro qui- Caspian, con un tono quasi di supplica, cercò nuovamente di farli ragionare: perché diavolo erano così cocciuti? Avevano così voglia di farsi ammazzare? Non poté fare a meno di pensare, in relazione alle perdite che già c'erano state tra i Narniani e in base a ciò che stava accadendo, quelle vite perse non erano servite di lezione.

-Ben equipaggiati potremmo anche resistere- Intervenne Susan, lasciando la sua posizione seduta ed avvicinandosi a Caspian, restando però con lo sguardo fisso sul volto di Peter. A sua volta questo la fissava con una punta di un qualcosa che non seppe definire, probabilmente perché non si aspettava quella presa di posizione così diversa anche da un membro della sua famiglia.

Nella discussione si intromise anche Trufflehunter -io mi sento più sicuro sotto terra- espose la sua opinione.

Dopo aver rivolto uno sguardo al tasso e a sua sorella, Peter parlò cercando anche di motivare le sue ragioni. Se ognuno avesse fatto prevalere opinioni diverse l'esercito si sarebbe diviso, e quel poco di unità che si era trovato per la causa comune sarebbe scomparso, sovrastato dalle idee che ognuno voleva esporre e che trovava migliori.

Non c'era bisogno di ulteriori spaccature, e qualcuno doveva avere il pugno di ferro nel guidare quegli uomini verso l'obbiettivo.

-Apprezzo quello che avete fatto qui, ma questa non è una fortezza, è una tomba- spiegò, cercando di essere conciliante.

-Si, e se sono furbi aspetteranno e ci prenderanno per fame- cercò di ironizzare Edmund, ma il tono di vago scherno non aiutò ad alleggerire le sue parole. I Telmarini erano bigotti fermi nelle loro idee, non stupidi.

Eve attendeva pazientemente il verdetto sempre accanto alla lupa, iniziando a perdere la calma: aveva cominciato a torturasi le unghie e muovere nervosamente un piede. La situazione che si stava creando non le piaceva particolarmente.

-Potremmo raccogliere nocciole- se ne uscì uno scoiattolo, senza pensare che solo con quelle non avrebbero potuto fare molto.

-Si! E lanciarle a quelli di Telmar! Zitto- iniziò Ripicì accanto a lui, finto entusiasta, per poi ammonirlo. -Sapete bene da che parte sto, Sire-.

Dopo qualche attimo di silenzio assoluto per quello che apparentemente era un bivio a cui si erano trovati, Peter si voltò deciso verso Glenstorm, rimasto fino a quel momento in silenzio attento sulle parole che venivano pronunciate.

-Se riesco a farvi entrare, vi occuperete della guardie?- gli domandò, prendendo in mano la situazione. Dal tono di voce si poteva sentire chiaramente la leggera speranza di quanto quell'appoggio potesse essere di vitale importanza, ma anche l'ansia e la preoccupazione nell'essere sempre più vicino ad affrontare nuovamente una battaglia, a trovarsi a guidare nuovamente un esercito.

Glenstorm rivolse uno sguardo ai due ragazzi, poi abbassò leggermente il capo, il giuramento di servire i Regnanti che si univa con l'onore che non si sarebbe tirato indietro davanti a nulla.

-Fino alla morte-.

Le sue parole fecero cadere nuovamente il silenzio.



***



-Fino alla morte-.


Dhemetrya rischiò seriamente si perdere la presa dal ramo su cui stava nel sentire quelle parole trasportatele da un vento impercettibile.

Gli occhi blu si sgranarono di stupore, mentre i lineamenti del suo volto riuscirono a rimanere fermi nel suo solito volto dai lineamenti regali. Tuttavia, gli occhi espressivi lavoravano anche per i muscoli del suo viso, limpidi come uno specchio d'acqua su cui era possibile vedere il fondo senza però riuscire a raggiungerlo.

Il piano del Magnifico era qualcosa di, già lo prevedeva, altamente rischioso. Eppure una piccola parte di sé non riusciva a dargli contro, reduce delle vittorie millenni prima.

Ciò di cui non si capacitava era la sconsiderata fiducia che i Narniani stavano nuovamente dando a delle persone che li avevano abbandonati. Forse la voglia di riavere la loro terra era più forte di qualsiasi vecchio rancore che potevano covare.

Sospirò, appoggiandosi al tronco e immergendo una mano nei lunghi capelli neri, trovando apparentemente divertente far diventare lisci i lunghi boccoli scuri per poi rilasciarli e farli rimbalzare.

Era possibile evitare altro spargimento di sangue se la magia di Narnia si fosse ristabilita, scoppiando dal luogo in cui era stata relegata, in parte, e annullata dalla fede sempre minore che gli abitanti Narniani nutrivano verso essa.

-E' questo che mi preoccupa-.

Dhem sospirò pesantemente, tornando ad ascoltare ed isolandosi maggiormente dal resto del mondo che non le interessava.

La bolla stava per scoppiare.



***



-E' questo che mi preoccupa-.

Con grande stupore di tutti la voce apparteneva a Lucy, la nota bambinesca e allegra sostituita da un'espressione seria e il tono che sembrava più maturo di come lo era stato fino a quel momento.

Come se improvvisamente fosse mutata, l'anima della Regina Valorosa e coraggiosa che tornava a manifestarsi su quel corpo di ragazzina troppo piccolo per contenerla. Lucy era accondiscendente e guardava sempre la positività in tutto, ma in quella folle mossa azzardata non vedeva vie di fuga che la aiutassero a pensare bene.

-Come scusa?- Peter sembrava si stesse trattenendo dal ringhiare solo perché stava parlando con sua sorella minore, ma i lampi che mandavano i suoi occhi chiaramente scocciati di tutte quelle persone così vicine a lui che si trovava contro lo stavano seriamente facendo irritare più di quanto già non fosse.
Non era come con Caspian, con cui si trovava in disaccordo.

Quella mancanza di fiducia che le sue sorelle stavano manifestando verso di lui lo feriva. In qualche modo si sentiva tradito, come se, da quando erano tornati in Inghilterra, il Re Supremo lo avesse abbandonato e fatto tornare ad essere un ragazzino normale e pieno di sé.

-Ci sono solo due possibilità per voi: morire qui, o morire là- continuò Lucy, imperterrita e cercando di restare il più possibile calma.

-Allora non hai ascoltato, Lucy- Peter si voltò completamente verso di lei, pronto a parlare come se stesse spiegando un concetto elementare, la voce quasi stanca di dover dare tutte quelle ragioni.

-No- Lo interruppe brusca lei, bloccando sul nascere il suo discorso. -Sei tu che non ascolti. O non ti ricordi chi ha sconfitto la Strega Bianca, Peter?- insinuò, toccando un tasto dolente.

Il maggiore dei Pevensie guardò attentamente in volto la sorella minore, serrando la mascella per non decretare cose di cui poi si sarebbe potuto pentire.

Sapeva che Lucy e gli altri avevano ragione a voler aspettare, una vocina glielo tamburellava insistentemente in un angolo della testa e del suo cuore sopraffatti dall'istinto, che invece gli diceva che prima si concludeva quella faccenda meglio sarebbe stato per tutti.

In quel momento era troppo preso a comandare e fare la figura del Sovrano, così non ascoltò quella parte di ragione che gli diceva che era uno sbaglio attaccare e di aspettare Aslan.

-Aslan si è già fatto attendere abbastanza- concluse, lapidario e pronto a voltare le spalle a sua sorella e alla lapide.

-Mentre tu e il tuo orgoglio non potete aspettare, vero?-



***



Dhemetrya scattò sull'attenti, irrigidendosi all'istante, percependo chiaramente l'aria ribollire e farsi tesa, come se una scossa elettrica stesse per abbattersi su di essa pronta a incenerire ogni particella di vita che si trovava attorno.

Quello non ci voleva.

Non così.

“Fermala.”

Fece un'espressione schifata, quando si rivolse alla figura con due occhi completamente diversi dai suoi, seppur di base avessero quasi lo stesso colore. E la risposta le fece stringere i capelli con cui prima stava giocherellando tanto da farsi male alle dita.

“No.”


Cercò di mantenere la calma che quell'albero chiuso nel silenzio le infondeva.

“Perché no?” Sibilò mentalmente, assottigliando lo sguardo e accarezzando qualche foglia verde brillante.

“Non c'è pericolo.”

La ragazza serrò la mascella, concentrandosi e cercando qualcosa con cui ribattere. Era vero, c'era stato un cambio in Narnia, ma sembrava essere stato uno sbalzo temporaneo. Si era agitata per niente, come spesso mossa dalle emozioni le succedeva.

“Beh, sai? Non si è mai troppo previdenti.”

Quella frase sembrò infervorare la Narniana, perché dal terreno arrivò una breve scossa che mosse impercettibilmente l'albero su cui stava. Invisibile, ma lei la percepì come se si trovasse direttamente davanti la causa di quel tremore.

La stava irritando.

“Non si è mai troppo previdenti!?”


La voce di Lia le tuonò nella testa come un pugnale freddo, trapassandole le tempie e facendole fischiare le orecchie. Una sensazione sgradevole s'impossessò di lei, come se sapesse già che ciò su cui il discorso stava vertendo non avrebbe fatto piacere a nessuna delle due.

“E tu saresti stata così previdente da lasciarli tornare nel loro mondo, milletrecento anni fa! Tutto per non farti vedere, perché no, magari era ancora troppo presto!”


Dhemetrya abbassò il capo, colpita da quelle parole come da una pugnalata. Non si risparmiava mai di rinfacciarglielo.

“Questa Narnia è il risultato della tua previdenza, Dhemetrya Selenya. Complimenti.”

La gelò.

La presenza che aveva tempestato la sua mente si dissolse, e a Dhem sembrò tanto di poter tornare a respirare. Ma era come se non volesse farlo, perché tutto un groviglio di emozioni che a lei non erano concesse le si posò sul cuore come un mattone, soffocandolo.

Perché lo sapevano entrambe, pur con la consapevolezza che il destino aveva dovuto fare il suo corso, che se non se ne fossero andati non sarebbe successo nulla.



***



-Mentre tu e il tuo orgoglio non potete aspettare, vero?-

Peter arrestò il passo, voltandosi di scatto: ci mise pochi secondo ad individuare la fonte di quella voce piena di disapprovazione, la figura di Eve che si era alzata dal masso su cui stava in un impeto di qualcosa non ben definito che le era scoppiato nel petto. L'aveva sentito ruggire, e le parole le erano uscite prima che potesse fermarle.

L'attenzione di Peter si posò completamente sulla Pevensie che lo guardava attentamente e sicura, ferma sulle sue decisioni e vagamente in sfida, anche se il volto era tornato rilassato, quasi come se non avesse parlato.

Se non l'avesse sentita distintamente penetrare come una bomba nelle sue orecchie spezzando quel silenzio teso e non avesse avuto sotto tiro gli occhi che le scintillavano di una nuova fiamma, Peter avrebbe giurato che poteva essersi anche solo immaginato che Eve avesse parlato.

Semplicemente si sarebbe alzata in piedi perché lui aveva decretato che la prima parte di riunione era finita ed era stata la prima a voler lasciare la sala, diventata improvvisamente troppo piccola, calda e affollata.

Evelyn strinse un pugno: non doveva osare dire quella frase su Aslan e, soprattutto, non doveva osare dirla a Lucy.

Peter si voltò completamente verso di lei. Sembravano due predatori che si studiavano, pronti ad azzannarsi al primo segno di distrazione dell'altro.

Susan, Edmund e Lucy trattennero il fiato qualche istante: nella loro testa erano ben chiari i ricordi delle discussioni che a casa – sia in Inghilterra che a Narnia – spesso animavano l'atmosfera altrimenti tranquilla e contornata da qualche scherzo innocente.

Il pesante scambio di battute che si svolgeva tra il maggiore e la penultima Pevensie era qualcosa che ascoltavano con attenzione, benché ne avessero fatto volentieri a meno.

Non si insultavano, non volavano oggetti - quando Eve aveva gli scatti di rabbia poco ci mancava - o sbattevano porte: si colpivano nell'orgoglio fino a quando il primo non desisteva, troppo ferito per continuare. Il che, lo sapevano, era qualcosa di ben peggiore che però non aveva avuto effetti negativi permanenti.

Peter prevaleva quasi – sempre – sui fratelli minori anche quando questi contestavano le sue decisioni.

Come prima aveva fatto Edmund che non si sottostava al volere del fratello maggiore, Evelyn, testarda, aveva continuato a non darsi per vinta nemmeno dopo che il fratello maggiore li aveva traditi. Forse perché a lei, di tradirli, non era mai passato per la testa.

Una volta in Inghilterra si erano messi il muso a vicenda, però avevano continuato a litigare e mandarsi frecciatine tramite i bigliettini. Quando poi Eve era crollata dal pianto e il magone che non riusciva più a reprimere, un quattordicenne Peter l'aveva presa in braccio, portandola a letto e crollando poi a sua volta in un sonno senza sogni.

I due si scannavano, litigavano, si scontravano e poi facevano pace: Eve perdonava sempre gli attacchi d'orgoglio del fratello, sapendo inconsapevolmente che lo faceva solo per proteggerli e mostrarsi sempre il migliore ai loro occhi.

-Che vorresti dire Eve?- chiese il maggiore alla sorella più piccola dopo che si fu avvicinato di qualche passo.

-Sai bene cosa intendo Peter- la risposta da parte della diretta interessata non si fece attendere. -Lo sai meglio di me che attaccare quel castello è una follia e il piano di Caspian è più fattibile del tuo. Oh, mai sei troppo impegnato a pavoneggiarti per rendertene conto del tutto-.

-Eve- il maggiore dei Pevensie aveva sibilato il nome della sorella come ad ammonirla dopo averla fissata qualche attimo in completo silenzio. Quella non si fece intimidire dal suo tono accusatore, ormai ci aveva fatto l'abitudine durante tutti quegli anni. Aspettava solo che il fratello maggiore dicesse qualcosa per scattare e continuare il suo discorso.

-Non ti ci mettere anche tu Eve, piantala prima di iniziare…- cercò di contenerla Peter, iniziando una ramanzina.

-No Peter, io inizio e finisco quando, come, e dove lo dico io ed ora esigo che tu mi ascolti- Eve si era avvicinata per fronteggiare meglio Peter ed entrambi i Pevensie assottigliarono lo sguardo, pronti alla discussione e a far prevalere le proprie idee.

Lia a quell'esigo aveva rizzato le orecchie, concentrandosi meglio sulla Pevensie: le era sembrato quasi un ringhio, una voce nel profondo che veniva strascicata.

Sicuramente si sbagliava.

Nel frattempo la stanza era stata lasciata vuota e all'interno rimanevano solo Caspian, Susan, Lucy ed Edmund che seguivano la discussione tra i due.

Caspian li guardava fissando prima Peter e poi Evelyn, preoccupato non per la discussione in sé, ma per chi la stava facendo. Quei due erano talmente diversi ma anche talmente uguali che sarebbero arrivati a fare follie per riuscire a prevalere, liberando il loro temperamento impetuoso.

Edmund osservava i due apparentemente distaccato, mentre Lucy e Susan nutrivano una speranza di fondo. Magari Peter avrebbe iniziato a ragionarci su meglio.

-Sentiamo, cosa avresti da dirmi?-

La sorella lo fissò lanciandogli un'occhiataccia.

-Hai mai chiesto il loro parere?-

Il ragazzo corrugò la fronte, chiedendosi che cosa significasse.

-Il loro parere? Il parere di chi, Evelyn?- domandò, ragionando sicuro di non essersi fatto sfuggire niente e nessuno.

Quella gli lanciò un'occhiata palese ma il ragazzo fece intendere che non aveva capito dove voleva arrivare, restando in silenzio in attesa di spiegazioni. La penultima Pevensie, allora, fece roteare gli occhi per poi iniziare a camminare avanti e indietro davanti a Peter, evitando per un soffio le varie rocce che sporgevano dal terreno rischiando di inciampare in una di quelle e finire faccia a terra.

-Il parere degli abitanti di Narnia, è ovvio- soffiò, arrestando il passo e guardando Peter dritto negli occhi azzurri. Aspettò qualche minuto una reazione del fratello, poi si posò una mano sul fianco ricominciando a camminare come poco prima, per sfogare il nervosismo.

-Non capisco che vuoi dire-.

-Ma allora sei tardo mica poco Peter! Sapevo che eri leggermente lento di comprendonio ma non pensavo fino a questo punto!- lo punzecchiò Eve. Era impossibile che Peter davvero non capisse cosa voleva dirgli.

I restanti tre Pevensie e Caspian si ritrovarono a ridacchiare sommessamente, mentre Peter cercava di trattenersi dal boccheggiare, incredulo, non capacitandosi delle parole dette dalla sorella. Aveva detto che era tardo? Che era lento di comprendonio?

-Perché mi chiedi questo?- La sua espressione tornò presto seria e decisa, ferma nelle sue convinzioni.

-Ti sei mai chiesto il perché hanno deciso di seguirti in questa missione praticamente già persa? Perché a meno che non arrivi Aslan non siamo messi bene, e tu lo sai- decise di puntare alto, mettendo dentro il suo discorso più negatività possibile per cercare di far smuovere quella montagna dai capelli color del sole e gli occhi color cielo.

-Non sono certo io che li ho obbligati a combattere con me. Combattono per ciò che credono, per far si che Narnia possa tornare come un tempo- disse sicuro. Quelle erano le motivazioni che spingevano anche lui e che, ne era certo, condividevano anche gli altri Narniani. Altrimenti non avrebbe avuto senso il loro inizio di rivolta.

-Ne sei sicuro, Peter?- domandò flebilmente Eve, cercando risposte. Perché si combatteva? Perché ogni volta che arrivavano a Narnia c'era qualcosa che non andava?

Quello annuì convinto un paio di volte e la sorella sospirò, poco convinta e rassegnata.

-Visto che hai già deciso non credo ti si possa far cambiare idea. Però sappi che hanno messo la loro vita nelle tue mani e ti hanno dato la loro fiducia sperando che tu li possa liberare. Non abusarne solo perché sei il Sovrano- Il tono le uscì più sapientino di quanto avesse voluto. Il suo voleva essere un consiglio e invece aveva preso la forma di una ramanzina, come di una mamma che avverte un bambino di non fare qualche stupidaggine.

-E Lia allora? Praticamente l'hai fatta diventare tua amica in meno di due giorni- insinuò Peter, dimentico che quella poteva sentirlo. La sorella sbuffò e non fu contenta della frase pronunciata del maggiore dei Pevensie, però si trattenne dal rispondergli in malo modo, come ogni volta che per caso ci si avvicinava a quell'argomento.

-Con Lia è un discorso diverso- iniziò a mettere in chiaro. -Ti pare che obblighi qualcuno a fare qualcosa contro la sua volontà? Non ti ho appena detto che sei libero di fare quello che vuoi?-

Il fratello la fissò: pensava di conoscere Evelyn così come gli altri tre fratelli, invece ogni volta si rendeva conto che c'erano aspetti di loro ancora celati e che non riusciva a cogliere fino in fondo. Ad ogni azione corrispondeva una loro reazione, e queste si sviluppavano ogni volta in maniera vagamente diversa, pur mantenendo le solite linee che glieli avevano fatti conoscere.

La ragazza che si trovava davanti era una contraddizione unica: contestava le sue decisioni fino alla fine, però poi lasciava che sbattesse la testa contro il muro per arrivare alla fine a dirgli, vittoriosa, -Te lo avevo detto-.

Ebbe, per una manciata di secondi, dubbi sul fatto che magari lui non era poi così Re e il titolo di Sovrano Supremo non era poi così adatto a lui.
Solo per una manciata di secondi qualcosa tremò dentro di lui, che represse a fondo.

Si riprese posando lo sguardo su Eve che si era seduta sulla stessa roccia da cui prima si era alzata, non sapeva nemmeno lei guidata da cosa. Guardò i suoi fratelli uno per uno: Edmund mentre si gustava l'ultimo pezzo di mela che aveva colto quel pomeriggio stava fissando Evelyn.

Perchè la fissava come un ebete?

Peter non pensò ad una risposta e si voltò a guardare Susan e Lucy che parlavano tra loro di sicuro di argomenti da ragazze che a lui sicuramente non interessavano, lanciandogli però a volte delle occhiate preoccupate. Avevano capito che non c'era niente da fare e si sarebbero seguite le sue direttive.

Caspian, poco lontano da lui, fissava assorto l'immagine di Aslan.

Peter non volle girarsi a vedere quella figura scolpita nella pietra. Era già pieno di dubbi, non ne voleva altri.

Realizzò di aver gongolato abbastanza mentre, ritornando con l'espressione seria e decisa del solito, chiedeva a Edmund di chiamare gli altri, il piano per l'attacco al castello di Miraz ben lucido in mente pronto da esporre.

Il suo pensiero fu che, forse, quella volta Evelyn non gli avrebbe proferito il solito “Te lo avevo detto.”




























































































Eccomi qui l'undicesimo capitolo. Ho avuto qualche problema sulla lunghezza, in quanto nel risistemare i precedenti capitoli questo pezzo mi era rimasto fuori, infatti è un capitolo di semi-transizione più corto degli altri.
Ho preferito farne un pezzo a parte, concentrandomi a brevi tratti sul legame Lia/Eve che non è qualcosa che nasce così per caso, come di primo acchito può sembrare, e Lia/Dhemetrya. Sembrano completamente diverse, ma i loro scopi sono uguali. Proprio questo, però, le porta a scontrarsi. Inoltre, come si sarà intuito, Dhemetrya era presente quando i Pevensie sono tornati in Inghilterra. Avrebbe voluto fermarli, ma ci sono delle motivazioni che l'hanno spinta a non farlo – o farlo quando ormai era troppo tardi. Ovviamente la colpa non è sua, così le cose dovevano andare.
Per specificare: dato che le due riescono a comunicare mentalmente anche se Lia era incavolata gli altri la vedevano lo stesso sdraiata ad ascoltare Peter.

Comunque, tenevi aggiornati, in un massimo di due capitoli entrerà in scena Dhemetrya. Da quel punto, poi, alcuni piccoli punti di questa versione inizieranno a scostarsi dalla precedente, sempre di più, per adattarsi alla nuova trama. Finito di blaterale pure per scritto, ringrazio coloro che seguono, leggono in silenzio, commentano, preferiscono e ricordano. Ogni nuovo parere è uno stimolo a fare sempre meglio :) Grazie a tutti per seguirmi in questa avventura.

Vi lascio annunciandovi che la raccolta Elements and Seasons ha iniziato il “girone” sulle shot degli elementi, aprendosi con quella dedicata a Lucy. Inoltre, Essence ha visto la pubblicazione dell'ottavo capitolo, dedicato a Tumnus, e del nono, dedicato all'Armadio e in piccola parte a Digory.

Ci vediamo al prossimo capitolo.
Love,
D.


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Capitolo 12
*** Ricordi fatti di margherite. ***


Narnia's Spirits
Ricordi fatti di margherite.








Quando l'aria generale era tornata allo stato iniziale i Narniani che avevano lasciato la sala della tavola di pietra vennero richiamati da Edmund, per informarli che si era trovato un accordo in qualche modo definitivo e si era pronti con l'esposizione del piano programmato da Peter.

Furono tutti presenti e attenti dopo aver sentito le parole del Re, come dimentichi dello scambio di battute tra le varie parti di una decina di minuti prima, e il Supremo prese parola tornando a rivolgersi a tutti. Gli occhi erano puntati sulla sua figura e, impazienti, attendevano istruzioni. Tanto impazienti che prima che potesse dire nuovamente qualcosa una domanda quasi banale si levò da Trumpkin per incitarlo a parlare.

Stava diventando frustrante quel tempo perso a tentennare.

-Dunque come ci muoviamo, Sire?-

E la risposta da parte del maggiore dei Pevensie tanto attesa non si fece aspettare nuovamente.

-Edmund, tu hai ancora la tua torcia, vero?-

Questo accennò un si con la testa, portando involontariamente una mano al fianco per toccare la borsa contenente l'oggetto, come a voler confermare la veridicità dell'affermazione. Trovò però l'elsa della spada che si scontrò con le dita della sua mano, ricordandogli che la torcia era nella camera temporanea insieme alla tracolla con il materiale scolastico.

-Bene. Dunque tu ed Evelyn andrete per primi su una delle torri più alte del castello. Verrete trasportati da un grifone e quando siete lì vi sbarazzerete delle due guardie che, a quanto ha detto Caspian, ci sono su ogni torretta e che quindi troverete inevitabilmente. Una volta fatto questo ed esservi assicurati di essere al sicuro tu, Edmund, manderai con la torcia dei segnali a intermittenza verso il bosco. E' tutto chiaro fin qui?-

Peter li guardò attento e i due si limitarono ad annuire. Ciò che avevano già intuito, era che il Pevensie aveva fatto tutto in modo da tenere loro, Lucy e probabilmente anche Susan il più lontano possibile dalla guerra e lo scontro diretto con più guerrieri, in modo da tutelarli.

-Dopo che Edmund avrà fatto il segnale toccherà a noi- si voltò verso Caspian, Trumpkin e Susan.

-Sempre con l'aiuto dei grifoni ci avvicineremo al castello dall'alto, atterreremo sul ponte principale e ci occuperemo delle varie guardie di vedetta prima che possano dare l'allarme. Dopodiché con una corda ci caleremo e raggiungeremo la stanza del precettore di Caspian, Cornelius-

-Cornelius?- si sentì in dovere di domandare Eve, scettica. Non l'aveva mai sentito nominare o meglio, si però… se fosse stato dalla parte di Miraz, se si fosse convertito per avere salva la vita?

Il Principe sembrò capire i dubbi della Pevensie e si affrettò a dissolverli.

-E' il mio precettore, mi ha aiutato a salvarmi la notte in cui sono scappato. Puoi stare tranquilla, è dalla nostra parte. Mi ha dato lui il corno-.

Eve si limitò ad osservarlo ancora qualche istante, analizzando il tono preoccupato ma pieno di speranza che aveva usato Caspian. C'era una sincera preoccupazione e devozione, dall'allievo verso il suo maestro, dei sentimenti che parendole sinceramente veri le fecero credere sulla lealtà dei due e del rispetto reciproco che provavano.

-Dopo che ci saremo introdotti nel castello ci occuperemo di Miraz. Ad un mio segnale Edmund, manda altre intermittenze con la torcia: sarà il segno per le truppe di entrare nel castello e attaccare- finì sicuro Peter, non soffermandosi sull'argomento precedente.

-Peter, mi sa che hai saltato un pezzo- la maggiore tra le sorelle Pevensie, vedendo lo sguardo dei Narniani che saettava tra loro in cerca di maggiori informazioni, si sentì in dovere d'intervenire.

Il fratello annuì, consapevole -Si difatti non avevo finito, stavo solo facendo una pausa per farvi assimilare le mie parole. Perché adesso viene il difficile da spiegare, ma lo farò nel modo più chiaro possibile. In caso di qualsiasi dubbio comunque, non abbiate paura di parlare per chiedere, intesi?-

Un leggero coro affermativo si levò in sottofondo e l'antico Re di Narnia continuò ad esplicare il suo piano.

-Allora: nel frattempo che Edmund manda il primo segnale con la torcia, e noi ci avvicineremo con i grifoni, voi- e dicendo ciò si rivolse a Lia e Glenstorm in primis, per poi guardare tutti gli altri presenti -e il resto delle truppe vi inizierete a muovere. Uscirete dal bosco e silenziosi vi avvicinerete al castello. Una volta lì vi occuperete delle guardie che incontrerete e attenderete il secondo segnale, che sarà quello per l'attacco. A quel punto entrerete nel cortile principale e sapete bene cosa dovete fare-.

Il centauro e la lupa annuirono, per poi scambiarsi uno sguardo d'intesa.

-Chi si occuperà del ponte e della grata?- Chiese per tutti, Nikabrik. Non volevano pensare che il Re Supremo si fosse dimenticato di quel piccolo particolare da abbattere per poter attuare il tutto.
Sarebbe stato ridicolo.

-Mentre voi vi avvicinate e noi iniziamo a introdurci nel castello, Ripicì con altri due del suo gruppo, s'introdurranno nella sala dove ce' la leva del ponte. Quando tutto sarà tranquillo apriranno la porta per permettere a Trumpkin, che nel frattempo si sarà separato da noi, di entrare. Lì Trumpkin, Ripicì e i suoi uomini inizieranno a far girare la leva per abbassare il ponte e, di conseguenza, farvi entrare dopo aver ricevuto il secondo segnale- si fermò un attimo per riprender fiato, poi continuò -Per la grata invece ci penserà Caspian mentre io e Susan ci occupiamo di Miraz-.

Evelyn ripensò alle parole di suo fratello, ripetendosi meccanicamente in testa il procedimento senza accorgersi, però, di aver iniziato a ripeterlo ad alta voce.

-Quindi in pratica: io e Edmund ci muoviamo per primi, al primo segnale vi muoverete voi quattro- disse indicando con un dito i suoi due fratelli maggiori, Caspian e il CPA.

-Nel frattempo che voi vi introducete nel castello succedono tre cose: le truppe iniziano a muoversi, Ripicì e i suoi entrano nella sala di comando del ponte e Trumpkin si separa da voi per raggiungere, a sua volta, la stanza dove stanno Ripicì e i suoi compagni. Nel frattempo che loro iniziano a far abbassare il ponte, Caspian si occuperà della grata e al secondo segnale di Edmund le truppe entreranno nel cortile del castello, mentre tu e Susan vi occuperete di Miraz-.

Annuì tra sé due volte, come quando doveva ripetere una lezione e saltava direttamente dei pezzi, accorgendosi di averli già assimilati e di saperli senza che per forza dovesse ripeterli per intero.

-Quindi è tutto chiaro?- domandò nuovamente Peter.

I presenti nella stanza si limitarono ad annuire ed il Pevensie non poté non notare uno sbadiglio da parte di Lucy e due Narniani che si strofinavano gli occhi arrossati per la voglia di dormire un poco.

-Bene, allora potete andare. Riposatevi, domani mattina verrà deciso se attaccheremo entro sera o quella dopo-


***


Evelyn era ancora vicino alla lapide di pietra e guardava la figura di Aslan, mentre ripensava alle parole del fratello: c'era qualcosa in quel piano che non le era chiaro.

Gli altri già dormivano, costretti a chiudere gli occhi dalla stanchezza che era piombata su di loro come un macigno non appena avevano avuto tempo di distrarsi un attimo quando avevano finalmente avuto modo di apprendere il piano. Era penetrata nelle loro membra, facendogliele sentire indolenzite, con lievi emicranie, sonori sbadigli o occhi gonfi e palpebre pesanti.

“Dunque Peter ha precisamente detto che io ed Edmund verremo trasportati da un grifone su una delle torri più alte. Io ed Edmund, trasportati dal grifone… aspetta! Cosa ha detto? Grifone? Il grifone? Un grifone? Io e Edmund insieme su un grifone? No, sicuramente ho capito male.”

La bomba di pensieri che le era esplosa in testa faceva un fracasso assurdo, nella sua mente, anche se fuori si sentiva solo il lieve rumore del fuoco smosso dalle correnti d'aria che penetravano tra piccole fessure e l'entrata.

-Non hai sonno?-

Evelyn si ridestò dai suoi pensieri e si avvicinò in fretta al fratello maggiore, sopraggiunto alle sue spalle senza che se ne rendesse conto.

-Peter, grazie al cielo, proprio te stavo cercando- Quello corrugò la fronte a quell'uscita.

-Cercando? Ma se eri piantata li in piedi- La penultima Pevensie si voltò occhieggiando lo spazio in cui erano i propri piedi pochi secondi prima, osservando che aveva ragione; ma ora aveva cose per lei ben più importanti da chiedergli.

-Tralasciando questo fatto, volevo chiederti una cosa riguardo il piano- espose senza mezzi termini. Peter la osservò un attimo, facendosi attento.

-Perchè non lo hai chiesto prima?-

-Mi è venuto in mente questo dubbio solo ora, scusami- Un lieve senso di colpa ed imbarazzo l'attraversarono quando si rese conto della gaffe che stava facendo.

-Meglio tardi che mai- sorrise leggermente il Pevensie -Forza, parla-.

-Riguardo a quando io ed Edmund ci avvicineremo al castello… sarà su due grifoni diversi, no?-

“Dimmi che ho capito male. Ti prego, dimmi che ho capito male.”

Il maggiore dei Pevensie la guardò, attento: perché quella domanda? Si sentì in dovere di chiarire subito i dubbi della sorella, così non ci pensò troppo.

-No, sarà su uno perché due potrebbero attirare troppo l'attenzione-.

Evelyn ammutolì di colpo, mentre nella sua testa erano partite varie ipotesi sia positive che negative.

Peter la ridestò dai suoi pensieri -Ora è davvero tardi, vai a dormire-.

La sorella gli sorrise e si avviò verso la sua camera, anche se forse dopo quella scoperta non avrebbe dormito così bene, troppo presa nei pensieri più strambi e in mezzo a due fuochi a valutare i pro e contro di quella situazione.

Si voltò semplicemente un'ultima volta verso il fratello prima di lasciare definitivamente la stanza, anche se lo trovò immerso ad osservare Aslan, come lei prima che la interrompesse.

-Notte-.


***


La mattina dopo la sveglia aveva suonato presto per la maggioranza dei Narniani, soprattutto per quelli che avrebbero partecipato all'attacco. C'erano armi da sistemare, lame da finire di affilare, bersagli da colpire meglio, armature da rinforzare.

In tutta quella confusione di armature, zoccoli, ferro e corna non facevano eccezione, quindi, coloro che erano gli esponenti e punti di riferimento per tutto quell'ammasso di creature più diverse.

Peter, Caspian, Susan ed Edmund erano già in piedi pronti e svegli. Lucy, invece, l'avevano lasciata dormire: volevano tenerla, per quanto fosse possibile, ancora lontana dalla guerra.

Evelyn era ancora in uno stato di trans: aveva gli occhi che faticavano a stare aperti, le palpebre le sentiva pesanti e la faccia in generale declamava pietà, mentre la testa aveva in circolo solo il pensiero di maledizione per non essersi addormentata prima la notte precedente.

La mattinata era passata relativamente in fretta, e dopo essersi permessi di prendersi una pausa per pranzare, Eve stava guardando Edmund e Peter duellare, mentre Susan e Caspian allenavano gli arcieri, con grande disappunto di Trufflehunter che doveva sorreggere il bersaglio rischiando di diventarlo, e gli abitanti di Narnia erano tutti impegnati in qualcosa.

La sua attenzione venne catturata da una margherita che stava vicino a lei.

D'impulso e senza pensarci la prese e strappò il gambo dal terreno, curandosi solo dopo aver eseguito il gesto che così il fiore sarebbe appassito in poco tempo, e portò il fiore all'altezza degli occhi, una fitta di rimorso nel cuore: una collana di fiori, fu il suo pensiero e nella mente un ricordo, posizionato quando aveva circa dieci anni.


***


Evelyn Pevensie, in un giorno di primavera, stava tranquillamente seduta su un prato di fiori.

Margherite, per la precisione.

Le guardava una ad una, cercando di cogliere ogni più piccolo particolare di ogni fiore che la circondava. Cosa un po' impossibile: chissà quanti erano. Tutti diversi.

Eppure lei continuava a guardarle.

Ora una margherita bianca, ora una con le sfumature azzurrine, ora una con le sfumature rosate …

Le sarebbe piaciuto fare una collana di fiori.

Ma lei non era capace.

Ed era troppo orgogliosa per ammetterlo a se stessa, figurarsi a qualcuno. Aveva paura di andare a chiedere a quei gruppetti che erano tutti insieme sorridenti se poteva unirsi a loro, paura di qualcosa che nemmeno lei conosceva.

Improvvisamente l'ombra di qualcuno occupò la sua visuale. L'ombra poi, si sedette accanto a lei, finalmente rivelando l'identità del suo proprietario.

Edmund.

Suo fratello era venuto a cercarla, forse per il fatto che era lì in quel prato da dopo pranzo quando il sole era ancora alto nel cielo. Ora invece si ritrovava a poca distanza dalla linea dell'orizzonte.

Aveva passato tutto il pomeriggio lì. Ad osservare, a pensare, a perdersi nelle sue fantasie di bambina. Ci perdeva intere giornate quando non aveva niente da fare; forse perché quel posto le dava, in parte, una pace e una tranquillità dalla sua vita quotidiana. Perché lì poteva perdersi nei propri pensieri e fantasticare, senza che nessuno le dicesse niente.

La voce di suo fratello la riportò alla realtà.

-Sai fare una collana di fiori?-

La sorella a quella domanda s'incupì, poi proferì un semplice -No- appena sussurrato, ma che alle orecchie di Edmund arrivò chiaro e limpido come l'acqua. Sorrise di fronte alla testardaggine di Evelyn.

-Bene, allora è arrivato il momento di imparare-.

La penultima Pevensie alzò di scatto la testa rischiando di scontrarsi con il mento di Edmund.

-Che vuoi dire?- domandò, quasi allarmata: aveva paura di dover fare qualcosa che poi avrebbe sbagliato.

-Che ora tu imparerai a fare una collana di fiori- la sorella lo guardò, mutando sguardo e diventando curiosa.

-Perché tu sai farla?- Edmund gonfiò il petto, improvvisamente sicuro e orgoglioso di sé.

-Certamente-

-Ma non è una roba da femmine?- chiese con la sua voce bambinesca. A quella domanda pronunciata senza doppi fini da Eve, Edmund arrossì leggermente in imbarazzo e incrociò le braccia al petto.

-Uffa, uno tenta di aiutarti e… - iniziò, il tono e il viso leggermente imbronciati, ma la sorellina lo interruppe.

-Va bene. Insegnami come si fa una collana di fiori- disse sorridendo.

A quel punto Edmund iniziò a cercare per il prato una margherita che fosse perfetta per fare una collana. Dopo averla trovata, circa a una decina di metri da dove aveva lasciato una Eve che lo guardava ancora curiosa, tornò e si sedette di nuovo, iniziando a spiegare pazientemente alla sorella come bisognava fare e facendole vedere i vari meccanismi fin quando lei non li ebbe imparati quasi alla perfezione.

Quando ormai il sole si apprestava a calare dietro una collinetta i due fratelli tenevano in mano la collana che erano riusciti a fare quel pomeriggio. La prima collana di tante.

-Cosa ne facciamo adesso?- fu la domanda che Evelyn rivolse al fratello, pensosa. I fiori sarebbero poi appassiti, c'era bisogno di godersi in fretta i momenti in cui ancora conservavano la loro bellezza.

Questi sembrò pensarci su, poi s'illuminò -Tieni, indossala- disse portando la collana in direzione di Eve.

-Io?-

-No guarda… quante Evelyn Pevensie vedi qui, scusa?- domandò, accigliato. Evelyn lo guardò e gli voltò le spalle per quell'uscita scontrosa: “Cattivo”, pensò.

Poi però si voltò di nuovo verso Edmund, che in mano teneva ancora la collana di fiori e si guardava intorno impaziente, come rendendosi conto che era stato tutto il pomeriggio a fare qualcosa da femmine. Sperava, in una parte remota di se stesso, che nessuno che conoscesse li avesse visti.

-Dicevi davvero?-

-Certo. Avvicinati- Evelyn eseguì l'ordine e si portò a poca distanza dal fratello maggiore.

-Una collana speciale per una bambina speciale: la mia sorellina- proferì, mentre metteva la loro creazione al collo di Eve.

La ragazzina guardò la collana, poi Edmund.

Sorrisero.




Una felicità malinconica si fece spazio in lei a quel ricordo tanto caro che aveva e che conservava gelosamente dentro di sé. Subito poi, ne fece arrivò un altro, posizionato all'incirca cinque mesi dopo che avevano lasciato Narnia.



Evelyn se ne stava sul prato pieno di margherite appena fiorite, rimuginando su se stessa. Ormai i suoi pensieri erano sempre quelli: Narnia, il suo amore per Edmund a cui ormai ci aveva fatto l'abitudine e ancora Narnia con tutto ciò che ne conseguiva.

Cinque mesi erano passati, cinque strazianti e lunghi mesi.

Quando sarebbero tornati? Mancava ancora molto a quando la grande magia li avrebbe riportati a casa?

Sospirò, osservando attentamente le margherite che la circondavano e il prato su cui si trovava, per poi spostare lo sguardo sul cielo azzurro con qualche sbuffo di nuvola qua e là.

Poteva pensare di essere ancora a Narnia. Poteva ma non voleva. Oppure voleva, ma non poteva. C'era sempre il rumore del traffico londinese a portarla alla realtà.

A Narnia invece c'era il silenzio rotto solo dal rumore del mare dell'est o dall'aria che birichina faceva danzare i fiori e le chiome degli alberi. Non c'erano le auto, le strade e non c'erano le case che occupavano gran parte dello spazio disponibile.

Narnia era pura.

-Ti ricordi ancora come si fa una collana di fiori?-

La ragazza alzò lo sguardo di scatto per incontrare il viso e gli occhi famigliari di suo fratello Edmund. Questi, senza attendere risposta, si sedette sull'erba accanto a lei.

-Certo che mi ricordo- fu la semplice risposta di Evelyn, nel tono di voce si poteva chiaramente sentire una nota di nostalgia. Ed Edmund sapeva bene cosa mancava a Evelyn.

Mancava Narnia.

Come mancava a lui, a Lucy, a Peter e a Susan.

S'ingegnò per tentare di risollevare il morale a sua sorella.

-Bene- proferì, dopo aver capito cosa doveva fare. -Allora facciamo questa collana di fiori-.

Evelyn si voltò verso di lui: Edmund? Una collana di fiori? Come quando erano piccoli? Come quando erano Re e Regina?

Lasciò perdere i suoi pensieri e gli sorrise non appena lo vide mettersi comodo e iniziare a trafficare con qualche margherita. Così iniziò ad aiutarlo cercando le margherite con i gambi più lunghi e quelle con i petali migliori, serena mentre sentiva le sue dita che si scontravano con l'erba verde.

In poco tempo una bellissima collana dai petali bianchi con sfumature rosa e azzurre fu pronta nelle mani dei due Pevensie.

-E adesso?- chiese Evelyn, lo sguardo sempre puntato sulla loro creazione. -Che si fa?-

-Semplice- Edmund le rispose in tono ovvio, fin troppo consapevole di ciò che doveva fare.

-Una collana speciale, per una Regina speciale- Disse facendo indossare la collana di fiori a Eve. Quella rimase leggermente imbarazzata dall'improvviso avvicinamento che Ed aveva fatto.

-Grazie, te ne sei ricordato- Edmund si limitò a sorriderle.

I mesi passati lontano da Narnia si sentivano lo stesso, come un macigno, una gabbia in cui si ritrovava senza volerlo e da cui voleva – doveva – assolutamente evadere.

Ma durante quei minuti trascorsi insieme a suo fratello, la mancanza si era affievolita e a Evelyn sembrò di essere di nuovo a Narnia: nei verdi e infiniti spazi aperti del grande bosco dell'ovest, sotto il limpido cielo del nord, con la luce dello splendente sole del sud e, in sottofondo, il rumore delle onde contro gli scogli dello sfavillante mare dell'est.



Il suo sorriso triste si ampliò e continuò ad osservare la margherita che teneva in mano.

Nonostante tutto, era di nuovo a casa.


***


Edmund e Peter, nel frattempo, avevano smesso di duellare. Dopo che entrambi ebbero rinfoderato la spada, il maggiore si avviò dentro il rifugio per vedere a che punto fossero i vari Narniani.

Sperava in cuor suo che fossero pronti per quella sera, perché non c'era tempo da perdere, ma sapeva che rimandare alla sera dopo sarebbe stato meglio, per vari e più fattori. Si sarebbero riposati un poco ancora, si sarebbe allentati e avrebbero potuto finire di preparare meglio il materiale necessario.

Edmund vide la figura di suo fratello scomparire nella roccia e, voltando lo sguardo, la sua attenzione fu attirata da Evelyn che, seduta dietro il mucchio di rocce dove l'avevano trovata pochi giorni prima, guardava assorta e pensierosa una margherita.

Gli spuntò un sorriso: sapeva a cosa stava pensando, perché anche a lui stavano facendo capolino gli stessi pensieri, come ogni volta che si ritrovava a guardare un prato fiorito.

Il suo sorriso però, durò poco.

Difatti, anche se era leggermente lontano dalla sorella, non gli era passato inosservato il suo cambio di espressione, che da sereno era diventato… triste. Una scintilla di sconforto che le aveva attraversato gli occhi.

Perché?

Non dovevano essere felici i ricordi legati alle collane di margherite che facevano da bambini e che avevano continuato a fare a Narnia?

E poi, eccola.

Una lacrima.

Edmund la vide distintamente fare capolino dagli occhi lucidi di Evelyn che invece continuava a guardare il fiore, ignara. Poté chiaramente vedere il movimento che quella goccia salata stava facendo: ora era a metà guancia, sfuggita da quegli occhi che cercavano di tenere a freno una tristezza che gli si era frantumata dentro, per poi continuare a muoversi lentamente fino ad arrivare allo zigomo e cadere per terra, lasciandosi dietro solo una piccola scia che la ragazza si affrettò a cancellare con la manica dell'abito.

Il terzogenito Pevensie ebbe, come d'improvviso, alcune risposte ai parecchi dubbi che lo assillavano da tempo. O forse erano ancora più dubbi e domande quelle che in quel momento vorticavano nella sua testa: perché piangeva guardando la margherita? C'entrava lui tutte le volte che Evelyn piangeva? Forse era per quello il motivo per cui negli anni non gli aveva mai parlato di ciò che la tormentava? Perché non voleva ferirlo?

Perché la sua tristezza riguardava lui?

Ebbe una stretta allo stomaco e se avesse potuto si sarebbe picchiato da solo. Come poteva essere stato così cieco? Come poteva non aver capito che i comportamenti strani di Evelyn rivolti a lui e agli altri fratelli erano per causa sua?

Come… ?


Si ridestò e si decise, riprendendo il controllo su di sé e cercando di ragionare con lucidità. Doveva sapere il motivo che la tormentava tanto.

Ancor più se centrava lui.


Il suo corpo si mosse più veloce del suo pensiero, iniziando ad incamminarsi verso una Evelyn che continuava a guardare i fiori in maniera assorta.

Appena fatti dieci passi però il secondo Pevensie si bloccò, indeciso. Sarebbe andato la, e poi? Cosa le avrebbe detto? “Ti ordino di dirmi i tuoi segreti?”

Edmund si guardò attorno attento, concludendo che l'approccio diretto non sarebbe servito e, anzi, avrebbe solo peggiorato le cose facendola chiudere a riccio.

Poi, l'illuminazione, dopo aver osservato più volte Eve, il prato e le margherite: ora sapeva cosa poteva fare.

Ricominciò a camminare con passo spedito verso la sorella.


***


-Vuoi fare una collana di margherite?-

Evelyn alzò lentamente lo sguardo su colui che le stava di fronte e che aveva interrotto i suoi pensieri.

Edmund.

Aveva un sorriso sul volto ma gli occhi erano velati di qualcosa… preoccupazione? Lo scrutò il più a lungo possibile.

Com'è che saltava sempre fuori quando voleva stare da sola?
Fu la domanda che si pose, però poi scosse la testa; infondo la compagnia del fratello maggiore non le dispiaceva.

Scosse la testa, di nuovo, gesto che non passò inosservato al Pevensie, facendogli solo intuire di più che c'era davvero qualcosa che avrebbe dovuto sapere. Si sedette anche lui sul prato vicino a lei in attesa di risposta che non si fece attendere.

-Si, mi piacerebbe-.

Si sorrisero a vicenda ed entrambi arrossirono, ma fecero finta di niente, non notando la reazione dell'altro, troppo concentrati a cercare di mascherare la propria.

-Aspetta, non qui, c'è un altro posto più bello. E' dietro il rifugio ed è pieno di margherite- Spiegò Eve, bloccando Edmund che si stava sporgendo per prendere una margherita, il tono di voce allegro.



Ci misero pochi minuti e, quando girarono dietro una roccia che li fece scomparire dalla vista della pianura che si trovava di fronte alla casa di Aslan, finalmente si trovarono nel prato.

Non era grande, però straboccava di fiori, non solo margherite, ed era un luogo a dir poco magico, con qualche farfalla che volava qua e là senza rompere troppo la stasi nell'aria.

-Come hai scoperto questo posto?-

-Per caso- confessò, tralasciando di dire che era in cerca di un luogo in cui poter pensare privatamente e prendere delle distanze da lui.

-Che fortuna- Affermazione particolarmente idiota e quasi banale, ma ad Ed non venne in mente altro da dire.

-Lo so- si limitò a rispondere Evelyn, mentre si avviava al centro dello spiazzo d'erba e fiori totalmente a suo agio. Fu seguita subito da Edmund e dopo aver trovato una margherita con il gambo abbastanza lungo i due fratelli iniziarono a fare la collana.

Mentre osservava i fiori che aveva in mano in attesa di passarli a Edmund quando ne aveva bisogno Evelyn disse di colpo, rompendo il silenzio che si era creato -Io sto sopra e tu stai sotto-.

Edmund si bloccò di colpo, si mise a tossire perché la saliva gli era andata di traverso e spaesato guardò la sorella.

-Che?!- si limitò a dire, spaesato.

-Ho detto: io sto sopra e tu stai sotto- ripeté le Pevensie, con tono ovvio. Edmund intanto continuava a guardarla stralunato e Eve avvampò, capendo la gaffe per il doppio senso della frase.

-Intendo con il grifone!- esclamò con la voce più alta del solito. Il viso di Edmund si rilassò all'istante mutandosi in un'espressione di quasi noia.

-Ma certo, va bene-.

La sorella annuì alle sue parole, sapendo che comunque l'avrebbe convinto a farsi trasportare dagli artigli della creatura, poi però affilò lo sguardo, improvvisamente attenta.

-Edmund Pevensie, che cosa avevi capito?-

-Ma niente!-

-Edmund, dimmi che non avevi pensato ciò a cui sto pensando che tu avevi pensato-.

Il fratello si limitò ad annuire facendo un gesto eloquente con la mano che stava a dire: -Certo che no-.

La Pevensie lo guardò sospettosa per un'altra manciata di secondi, poi tornò a fissare i fiori, non totalmente convinta.

-Per un attimo ho temuto… - Edmund si pentì di aver pronunciato quelle parole non appena Evelyn aveva alzato lo sguardo, fulminandolo con un' occhiataccia.

-Ed!- Tentò di dargli un pizzicotto, che questi schifò prontamente, per poi alzarsi e iniziare a correre.

Sua sorella era pericolosa. Pericolosa quando si metteva in testa di farla pagare a qualcuno, pensando di dargli fastidio fino a quando questi non avesse chiesto scusa e di lasciarlo in pace.

Eve gli corse dietro e andarono avanti per un po' così, poi, quando Evelyn lo stava per prendere, inciampò in un sasso. L'unica cosa di cui si rese conto fu un dolore lieve al piede, abbastanza da farle perdere l'equilibrio che la Pevensie cercò di riottenere aggrappandosi alla casacca del fratello, prima di sentire aria ed erba che le graffiavano il viso.

Rotolarono.


***


“Che botta.”

Eve stava tentando di andare a toccare il piede che aveva pestato nella caduta, un senso di nausea dovuto ai troppo giri continui. L'avrebbe fatto, se un peso sopra di lei non le avesse impedito i movimenti.

Alzando lo sguardo incontrò gli occhi di Edmund tremendamente vicini. Tanto vicini, troppo vicini. E il suo fiato sul collo.

Si persero a guardarsi come se fossero improvvisamente caduti in uno stato di stasi che li aveva congelati in quel modo.

Evelyn fu la prima a ridestarsi, mentre la testa che non capiva più niente cercava di ragionare per tornare lucida.

-Ed n-on re-p-ro-.

-Cosa hai detto?- le chiese Edmund, improvvisamente attento e conscio della posizione in cui si trovavano. Una posizione non propriamente normale, se li avesse visti qualcuno di sicuro avrebbe capito male.

-N-non respiro… spostati, per favore- ripeté più convinta e con il tono di voce più alto.

-Insomma non sono un materasso!- sbottò alla fine riprendendo il tono spavaldo di sempre e arrossendo furiosamente.

-Oh si, scusami- proferì il fratello, che però non si mosse. La guardava: le sue labbra erano invitanti.

Ancora una volta fu sua sorella a portarlo alla realtà. -Ed quale parte del non respiro e spostati non hai capito? Non mi pare che siano frasi difficili-.

Il terzogenito Pevensie si rese conto di aver fatto la figura dello stupido e facendo leva sulle braccia fece per spostarsi di lato. Qualcosa, però, attirò la sua attenzione, inevitabilmente. I suoi occhi avevano imparato a cogliere anche i più piccoli movimenti da quando era diventato un Re, un condottiero, un guerriero che rischiava la vita nelle battaglie.

-Eve, non muoverti- disse alla sorella, il tono di voce tremendamente serio.

-Come faccio a muovermi con te sopra, genio?- Ma lo sguardo di suo fratello che andava oltre la sua testa e la mano che stava andando ad impugnare l'elsa della spada la fecero preoccupare.

Cosa diavolo aveva dietro di lei?

Non ebbe il coraggio di chiederlo, inconsciamente paurosa di sapere qualcosa di cui poi si sarebbe pentita, ed immobile osservava suo fratello estrarre la spada facendo meno rumore possibile. Lo vide protendersi con il corpo, lentamente, e qualche secondo dopo colpire qualcosa con la spada al di sopra della sua testa.

Al suo naso giunse un lieve odore di sangue, e quando Edmund si alzò finalmente da lei si girò su un fianco. Lo vide osservare la carcassa di un serpente e poco dopo gettare il corpo esanime dell'animale lontano da loro.

-Stava per mordere- disse semplicemente, pulendo la spada nel terreno per poi rinfoderarla.

-Che ne dici di tornare?- fu la domanda che le giunse da parte di suo fratello, senza che attendesse una risposta da parte sua.

-Si, direi che è una buona idea-.


***


Edmund aveva praticamente costretto Evelyn a non andare più in quel prato che poteva essere pericolo, mentre camminavano per tornare davanti alla casa di Aslan.

Questa dal canto suo aveva messo il broncio, ma poi si era aperta in sorriso e aveva ceduto. Dopotutto Edmund si preoccupava per lei, perché farlo agitare?

Non appena fecero la loro comparsa il Pevensie venne richiamato da Peter, mentre Susan e Lucy stavano parlando tra di loro. Osservandole meglio per un attimo, a Eve parve più che Lucy parlava a Susan, probabilmente di Caspian, perché la ragazza poteva chiaramente vedere le gote di sua sorella maggiore arrossate, e il ghigno sereno sul volto invece della più piccola.

Stava per essere quasi morsa da un serpente, ma Eve già non ci pensava più: avevano decisamente affrontato di peggio.

Scrutò la radura, attenta, pensando a qualcosa da fare per non addormentarsi: la sua attenzione venne attirata da un sentiero che si avviava nel folto della foresta.

Stando attenta a non farsi vedere per non essere seguita o, nella sua ipotesi peggiore, bloccata, sgattaiolò via e iniziò a percorrere quella stradina, la quale ai lati aveva alberi le cui fronde si incrociavano tra di loro. Nonostante tutto era comunque abbastanza luminoso, il sole faceva lo stesso capolino tra gli alberi, la strada era visibile e percorribile. Sembrava quasi una passeggiata di montagna.

Dopo che ebbe camminato un po', indifferente all'aver lasciato alle sue spalle la casa di Aslan da vario tempo – quanto? Non lo sapeva, in parte non le importava nemmeno – arrivò in uno spiazzo d'erba.

Davanti, alla sua sinistra e alla sua destra si aprivano altri tre sentieri, come un incrocio.

L'erba davanti a lei era invitante, così verde.

Tolse Asterius e lo appoggiò vicino al tronco dell'albero che stava alla fine del sentiero da cui era arrivata, immaginando che la sua potesse essere una mossa furba per non perdersi. Senza pensarci si distese sull'erba e si addormentò.

Una folata di vento, l'albero su cui era appoggiato Asterius che tremava per una presenza improvvisa tra la chioma, e questi era rotolato al suo fianco.

































































































Eccomi qua. Scusate, ho avuto delle settimane infernali, il tempo vola e non me ne rendo conto. ._.
In questo capitolo venivano presentati i ricordi di Eve che, rammento, mi era piaciuto moltissimo scrivere anche se erano nati da una deviazione improvvisa dell'ispirazione. Come dicevo già, il primo va preso come un gesto fraterno, il secondo con i sentimenti da entrambi. Sono messi vicini anche per cercare di mettere in risalto le due situazioni che si, sono analoghe, ma con significati diversi di sfondo.

Ovviamente io sono fin troppo prolissa quando si tratta dei capitoli delle long, quindi gli eventi vanno un po' a rilento, forse anche perché è un mio modo di vedere l'evoluzione dei sentimenti tra le persone. Comunque è un capitolo di semi-transizione, quindi ricordi e scenette varie tolte non ci viene detto niente di che. E' qualcosa che era nato per togliere un po' la tensione prima della battaglia, anche se verrà rimandata di due capitoli, visto l'arrivo di Dhemetrya nel prossimo.

Vi ringrazio per aver letto, per le recensioni, i preferiti, i seguiti e le ricordate. Di pazientare tra gli aggiornamenti e di continuare a seguirmi nelle mie idee strambe.
Grazie a tutti,
D.

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Capitolo 13
*** Sospetti nelle ombre d'un prato. ***


Narnia's Spirits
Sospetti nelle ombre d'un prato.







Edmund era stato richiamato dal fratello maggiore non appena era ritornato visibile, insieme ad Eve, a coloro che vagavano per la casa di Aslan e i dintorni.

Lanciando un'occhiata ai Narniani notò che tutto era come sempre, forse con qualche segno di tensione in meno a causa della pausa che si stavano godendo concessa dai due comandanti principali, trovatisi d'accordo sul non far pesare troppo una situazione già da sola seria e preoccupante.

Ancora leggermente confuso e imbarazzato per ciò che era successo poco prima, con riluttanza il Pevensie seguì Peter all'interno della stanza dove c'era la tavola di pietra per sapere, nello specifico, cosa voleva suo fratello.

Sperava che nessuno avesse visto lui e la sorella poco prima, andando poi a riferirlo al Re. Benché sapesse che non avevano fatto, né stavano facendo nulla di male, non poté impedire ad una parte di se stesso d'entrare in panico e cominciare a pensare ad un discorso abbastanza convincente per tirar via i sospetti che potevano essersi formati.

Peter, arrivato nella stanza pochi passi prima del minore, si era appoggiato ad una metà della roccia spaccata, braccia incrociate al petto e lo sguardo serio.

Continuava a fissare Edmund senza proferire parola e questi, oltre che spazientirsi, si stava seriamente preoccupando, la testa che iniziava a pensare anche ad altre possibilità oltre alla prima che gli era venuta in mente.

C'era la possibilità di un attacco a sorpresa? Le truppe al fiume si stavano muovendo più velocemente del previsto?

-Di cosa volevi parlarmi?- si decise di chiedere alla fine cercando di mantenere un tono di voce il più neutro e naturale possibile e capendo che Peter aspettava una sua mossa.

-Edmund, lo sai che entro domani dovremo attaccare il castello di Miraz, no?- Il maggiore dei Pevensie parlò calmo, e alla sua frase Ed aggrottò leggermente la fronte, non aspettandosi ancora un discorso riguardante l'assalto.

-Si, certo. Non ripeti altro da quando abbiamo incontrato Caspian nel bosco- gli fece notare, diretto e leggermente pungente per i modi con cui si era rivolto spesso al Principe. Lui e le sorelle lo avevano spesso ripreso con qualche occhiataccia o una tirata di casacca, ma non c'era stato verso di far scendere il Magnifico dal piedistallo su cui si era messo.

Peter annuì soddisfatto e tirando un leggero sorrisino.

-Ti ricordi il piano, no?-

Edmund sbuffò, roteando leggermente gli occhi: dove voleva arrivare? Era logico che si ricordasse del piano!

-Certo che mi ricordo, Peter- Proferì serio e marcando il nome del fratello, guardandolo dritto negli occhi.

-Bene, quindi ti raccomando di fare attenzione. Sia a te che a Eve- Il minore dei Pevensie ebbe un improvvisa voglia di tirare un lungo sospiro di sollievo quando capì il succo del discorso, totalmente diverso rispetto a ciò cui aveva pensato inizialmente, ma si limitò ad esultare internamente per non dar adito a Peter di chiedere il motivo del suo comportamento.

-Certo che faremo attenzione- si limitò a dire, mantenendo il solito comportamento posato e leggermente distaccato.

-Dopo che avrete mandato il secondo segnale e nel cortile principale si svolgerà la lotta tra i Narniani e i Telmarini, tu e Evelyn dovrete cercare di raggiungere il campo di battaglia senza farvi vedere, in modo da uscire senza problemi attraverso l'entrata principale insieme agli altri e a noi. D'accordo?-

Edmund annuì, la mente che pensava. Sicuramente secondo suo fratello non ci sarebbe stato bisogno di usare l'entrata principale nuovamente, perché il suo piano prevedeva la presa in ostaggio di Miraz e, così, la conseguente resa delle guardie per evitare che il loro sovrano temporaneo subisse danni.

Poi un dubbio si insinuò nella sua mente, e la pulce nell'orecchio gli era stata messa nel prato da Eve tornò a ronzare fastidiosa. All'inizio era rimasto sorpreso, molto, dalla sua frase e non aveva fatto caso a chiederle il perché di quell' affermazione detta con tanta convinzione.

-Scusa, ma per andare al castello quanti grifoni saranno disponibili?- si ritrovò a domandare, d'un botto e senza volerlo davvero, sviando leggermente lo sguardo verso dei punti imprecisati della stanza.

Il fratello maggiore corrugò la fronte, mentre rimaneva tacitamente sorpreso: perché quella domanda gli sembrava familiare? Però si affrettò a rispondere al fratello minore, chiedendosi anche se non fosse stato poco chiaro in quella parte di piano.

-Dunque: uno io, uno Susan, uno Caspian, uno il CPA e uno tu ed Evelyn- disse, mentre si assicurava di aver incluso tutti.

-Ah- Si limitò a dire l'altro, gli occhi sbarrati e il cuore che a quelle parole era incespicato sui suoi stessi battiti. Ora capiva il perché della frase di Evelyn.

Peter lo guardò studiandolo attentamente: la sua espressione lasciava trapelare qualcosa che però Edmund faceva di tutto per nascondere, non osservandolo direttamente, ma che ai suoi occhi di Re guardingo e fratello non scappò del tutto.

-Perché questa domanda?- domandò, per smorzare il senso di curiosità che iniziava a sentire. Edmund non seppe prontamente che risposta dare, ma il Pevensie continuò il suo discorso senza farci, apparentemente, troppo caso.

-Sai, non sei il primo che me la fa…- finì, con un tono che voleva essere tra l'indagatore e il misterioso.

In quel momento, voleva una risposta.

-Cioè?- Edmund sospettava di sapere a chi alludeva Peter, tuttavia non si sbilanciò troppo, cercando di far credere che per lui quella situazione era del tutto nuova.

-Perché questa domanda me l'ha già fatta Eve e, come te, sembrava sinceramente sorpresa dalla risposta- disse diretto il fratello maggiore senza problemi e scrociando le braccia dal petto. Si staccò dalla pietra dietro di lui, prima di riprendere a parlare facendo un passo in avanti per poter osservare il fratello poco più da vicino.

-Inoltre ho notato che vi comportate in modo strano ultimamente. Non è che nascondete qualcosa?- Peter aveva usato un tono vagamente ironico, come quando si sa già che una persona ha combinato qualcosa che vuole però continuare a nascondere a tutti i costi.

Era più che sicuro che quei due ne stessero combinando una delle loro, come quando organizzavano gli scherzi o se ne andavano per allontanarsi dalla presenza sua e di Susan. Nascondevano qualcosa, ma non era ancora riuscito a capire bene il motivo di alcuni loro comportamenti, tanto che alle volte gli sembrava che li avessero sempre avuti fin da prima di Narnia.

Ma no. Nascondevano qualcosa.


Non sapeva quanto ci stava andando vicino.

La bocca di Edmund si aprì leggermente, ma non ne uscì alcun suono, mentre il fratello continuava a guardarlo in attesa di risposta. "Eve, perchè Eve ha chiesto dei grifoni a Peter?"

Peter vide il fratello boccheggiare un paio di volte senza sapere esattamente cosa dire, mentre entrambi rimanevano fissi nei loro pensieri e ragionamenti. Quando il minore constatò che dire espressamente il motivo della domanda era certamente migliore che ricamarci sopra delle inutili scuse che sarebbero state sicuramente poco credibili, puntò lo sguardo posato dritto sul fratello.

I due si guardarono per qualche secondo, studiandosi in silenzio, poi il minore si aprì in un sorriso rassicurante e sghembo.

-Tranquillo Peter, la mia era solo una curiosità ed evidentemente lo era anche di Evelyn- disse pensando che quella motivazione doveva essere plausibile anche per sua sorella.

Peter sospirò di sollievo poi si aprì anche lui in un sorriso e si mosse in direzione del fratello minore.

-Ti credo- Peter sorrise, avvicinandosi al fratello e posandogli una mano sulla spalla come un gesto di fiducia e incoraggiamento.

-Mi raccomando per sta notte- aggiunse poi, serio e con una nota determinata nello sguardo, stringendo la presa.

Edmund portò una mano all'elsa della spada, fida compagna, mentre l'altra andava a toccare quella del Pevensie: quando le due s'incontrarono Peter staccò la presa della spalla del fratello, e il gesto si trasformò in una stretta di mano come quello che erano soliti fare con i centauri.

-Non preoccupati. Non ci tengo a farmi uccidere-.

Si rivolsero un sorriso determinato a vicenda, mentre sapevano bene che il piano doveva andare bene se volevano risolvere quanto prima quella situazione che stava via via precipitando sempre di più. Ancora poco e sarebbe stata irrecuperabile, disastrosa anche per loro.

Se già non lo er
a.

-Andiamo, voglio vedere Eve- si allontanò improvvisamente Peter sotto lo sguardo crucciato di Edmund.

-Perché?- si limitò a domandare quello, mentre iniziava a seguire il maggiore nei corridoi bui della casa di Aslan. Un'idea vaga l'aveva, però non voleva far cadere il silenzio tutto d'un botto.

Parlare con suo fratello, sapere di avere la sua fiducia, sentirsi considerato erano tutti piccoli pezzi che, in quei momenti, si chiedeva come non avesse fatto a percepire prima, quando ancora li aveva traditi.

-Vorrei parlarle- svoltarono a destra e tra qualche segno di rispetto che rivolsero loro alcuni Narniani intenti nei loro incarichi notarono la luce diurna proveniente dall'entrata che si trovava dinnanzi ai loro sguardi.

-Immaginavo- si limitò a rispondere Edmund, sorridendo appena.


***


Non appena uscirono la luce di un pomeriggio che andava a scomparire in un leggero rosato li colpì agli occhi, ed i due per riflesso furono costretti a socchiudere le palpebre anche senza volerlo del tutto, mentre in testa avevano tutt'altri pensieri rispetto al sole che tramontando dava loro fastidio.

Avevano un altro fastidio, che si stava lentamente prendendo possesso delle loro menti, mentre i loro occhi vagavano tra le figure che sostavano nei paraggi.

Videro Lucy in compagnia di Lia e Trumpkin: la Regina sorrideva, mentre la lupa se ne stava sdraiata apparentemente addormentata e il CPA parlava burbero. Poco più lontani Caspian e Susan si allenavano con l'arco, in quel momento, però, da soli e senza soldati da tenere d'occhio. Sembravano tranquilli, mentre si scambiavano sguardi fugaci e sorrisi deliziati forse senza nemmeno rendersene conto.

Ed Eve? Dov'era Eve?

Chiesero alle sentinelle, particolarmente attente a chi girava per la radura, se l'avessero vista ma queste negarono, facendo intendere che l'ultima volta era stata avvistata la Regina era in compagnia di loro due prima che si dividessero.

Girando per tutto il rifugio e non trovandola, Edmund e Peter si iniziarono a preoccupare sul serio, dando adito a quel senso di inquietudine che avevano sentito nascere quando già da soli inizialmente non erano riusciti a vederla, mentre decidevano di avvertire gli altri.

Peter chiamò Lia in disparte, decidendo di non far preoccupare troppo Lucy e lasciandola con Trumpkin, raggiunto da Trufflehunter, mentre Edmund si avviava in fondo alla radura per avvertire Susan e Caspian.

Eve, zucca vuota, dove sei?


***


-Vediamo se riesci a prendere il centro da questa distanza-

Caspian aveva sfidato l'antica regina ad una gara di tiro con l'arco, un sorriso divertito di chi crede di aver già vinto in partenza una partita troppo facile.

Susan lo guardò con un sorrisetto divertito e si preparò a tirare, impugnando saldamente l'arco e la freccia appena incoccata, pronta a non lasciarsi sconfiggere anche solo per scherzo in quella che era una delle sue doti migliori.

-Fai prima tu, accomodati- Abbassò improvvisamente l'arco e tese un braccio verso il bersaglio, spostandosi appena di lato, facendo intendere a Caspian di partire per primo.

-Come vuoi- le disse in risposta il ragazzo, togliendo la balestra dalla spalla su cui l'aveva appoggiata con la punta rivolta verso la sua schiena e preparandosi a tirare dopo averla impugnata nella maniera consona.

-Ma se sbagli poi non ti lamentare- scherzò.

Prese la mira, sentendo su di sé lo sguardo serio e attento della ragazza, e dopo qualche attimo scoccò la freccia che si conficco nella zona più esterna di quella che segnava il centro del bersaglio.

-Niente male… davvero niente male- fece Susan, guardando la freccia e calcolando mentalmente l'area di scarto rispetto al punto centrale.

Aveva ottime abilità nel tirare, quello doveva ammetterlo. Se anche gli altri Narniani fossero stati così pronti sarebbero stati, se non in vantaggio, almeno più pronti nel cercare di colpire e fermare più soldati possibili per coprire le spalle ai guerrieri che combattevano corpo a corpo.

-Tu sapresti fare di meglio?- la sfidò Caspian, strappandola dai suoi pensieri e passandosi una mano tra i capelli.

Quella sorrise, in risposta, una scintilla di furbizia nello sguardo che lasciò per qualche secondo un Principe inebetito; Poi tese la corda dell'arco con la freccia di poco prima già pronta.

Un leggero sibilo e il dardo dalle piume rosse si trovava al centro perfetto del bersaglio, oscillando impercettibilmente.

-Visto? Non è poi così difficile- Susan si girò verso Caspian, sorridendo orgogliosa del suo operato e ringraziando il suo arco, come ogni volta che tirava. Per le volte in cui l'aveva protetta, in cui l'aveva aiutata a salvaguardare la vita dei suoi fratelli, per averle fatto credere nelle sue capacità.

Il Principe fece per risponderle, ma qualcuno irruppe nella conversazione, annunciando la sua presenza con passi che veloci correvano sull'erba attutiti dalla stessa.

-Susan, Caspian: c'è un problema. Un problema abbastanza problematico- Irruppe Edmund, respirando in maniera leggermente affannata per la breve corsa che aveva fatto.

-Se magari ci dici questo problema, Ed- gli fece Susan, che da spazientita per quel tergiversare stava entrando in ansia.

Quello in risposta annuì, dandole ragione, per poi parlare diretto mentre si passava una mano sulla fronte.

-Non troviamo più Evelyn-

-Sicuro?- Caspian parlò a nome di Susan, mentre faceva un passo in avanti per quell'affermazione che non si aspettava.

La Pevensie era sbiancata, cosa messa in evidenza ancor più a causa dei capelli scuri, e gli occhi si erano spalancati mentre un senso di terrore le faceva immaginare cose che avrebbe preferito non vedere nella sua testa.

-Certo. Io e Peter l'abbiamo cercata dappertutto. Abbiamo anche chiesto alle guardie, ma queste non l'hanno vista- Edmund rispose frettoloso, guardando il Principe e sua sorella un po' male per la poca fiducia e abbagliato dal nervosismo che iniziava a sentire.

Si girò, poi, indicando la casa di Aslan e dicendo che Peter voleva parlare con tutti loro, mentre i due gli rivolgevano uno sguardo di scuse.

Susan si avviò per prima, prima di essere seguita dai due ragazzi, rendendosi conto che rimanendo li a guardarsi a vicenda non sarebbero arrivati da nessuna parte.

-Andiamo-.


***


-Lia, riusciresti a sentire l'odore di Evelyn?-

Quando entrarono nella sala della tavola di pietra i tre sentirono Peter porre quell'inusuale richiesta alla lupa. Quella, però, non sembrava molto toccata dalla cosa; Dopotutto era un lupo, i suoi sensi più sviluppati. Capiva perché il Sovrano si stesse affidando a lei.

-Sì Maestà, dovrei essere in grado di seguire la scia di odore che si è lasciata dietro- spiegò, annusando l'aria e percependone la presenza.

E non solo la sua.

Lia assottigliò gli occhi, quando tre odori mischiati le arrivarono distintamente al naso. Uno sapeva di terra, terra vera, di quella che sentiva nascere e battere dalle viscere del terreno, e sentirlo fremere leggermente la lasciò leggermente interdetta. Uno era di Eve, dolce e sfuggente, mentre l'altro la fece ringhiare mentalmente, per niente contenta della vicinanza.

-Bene- proferì Peter, distraendola, mentre impugnava l'elsa di Rihdon e i lineamenti s'indurivano. Non sarebbe stato tranquillo fino a che non l'avesse avuta sotto il suo sguardo.

-Manderemo una pattuglia a cercarla-.

La lupa bloccò sul nascere la frese del Re ed i probabili pensieri che poteva alzare anche tra gli altri fratelli che sicuramente sarebbero voluti andare a riportare la Pevensie al rifugio.

-Se mi permettete, Sire, sarei lieta di andare a cercare Evelyn da sola. Non deve essere molto distante da qui, e non credo che far preoccupare il resto dei Narniani sia positivo- gli spiegò, omettendo volutamente la nuova presenza che percepiva e che avrebbe sicuramente incontrato, ed il fatto che preferiva andare da sola, muovendosi tra la vegetazione come un'ombra.

-Si in effetti hai ragione, si agiterebbero con la scomparsa di un Sovrano- Ammise Peter, riluttante all'idea di lasciarla andare sola e di, soprattutto, non poter partecipare personalmente.

Però, sapeva che una persona avrebbe certamente destato meno sguardi rispetto ad una truppa di Narniani ben riconoscibili.

Si chinò leggermente verso Lia, che gli stava di fronte -Visto che Eve si fida molto di te io farò lo stesso: riportala qui- disse semplicemente, guardandola negli occhi ed ottenendo anche l'assenso degli altri.

La lupa fece un inchino, poi di corsa uscì dal rifugio.

Le sentiva.

Le sentiva distintamente, le loro presenze, l'alone che emanavano, non aveva nemmeno bisogno di annusare l'aria.

Ringhiò leggermente, frustrata, mentre l'aria le tagliava il pelo e la boscaglia si apriva davanti ai suoi occhi.

“Dhemetrya.”


***


Aprì un occhio.

Lo richiuse, per poi rivelare il colore di entrambi alla vegetazione che, silenziosa, la guardava.

Si mise a sedere, sentendo la schiena schioccare per le ossa che si distendevano, e osservò intorno a sé, cercando di ricordare e capire. Aveva dormito? Quanto?

Dal sole che penetrava dalle fronde degli alberi dando loro delle sfumature arancioni poté dedurre che al tramonto non mancava molto.

Si mise in piedi, mentre la mente riprendeva lucidità e rendendosi conto che era meglio se tornava dagli altri. Si ricordò subito di Artemis e girando su se stessa cercò l'albero a cui aveva appoggiato la sua doppia lancia.

Dov'era?


Non vedendolo ne fece un altro, cercando di vedere tra le foglie dei cespugli, mentre un brutto presentimento si faceva spazio in lei e le gambe iniziavano a tremare.

-Ditemi che sto ancora dormendo- si sussurrò, cercando conforto.

Quando poi fece per muovere un passo per avvicinarsi agli alberi, pensando che magari Artemis era caduto e non riusciva a scorgerlo rispetto a dove era lei, inciampò e per poco non cadde a terra. Si voltò di scatto, e con enorme spavento misto a sorpresa si accorse che l'oggetto su cui aveva inciampato era proprio Artemis. Che era di fianco a lei.

Deglutì a vuoto e afferrò il bastone legandoselo in vita, non potendo evitare che un'espressione confusa e smarrita le si dipingesse sul viso.
Pensava di aver fatto bene, ma non aveva preso in considerazione che la sua arma potesse cadere.

-Non è possibile- pronunciò dopo qualche minuto Evelyn, mentre girava su se stessa guardando le quattro direzioni diverse che aveva davanti, dietro, e ai suoi lati.

Stupida.

Si maledì, mentre iniziava a sprofondare nella frustrazione per quella svista.

Una paura folle s'impadronì di lei, e non poté impedire che gli occhi le si inumidissero leggermente.

Tristezza.


Si sentiva delusa da se stessa, perché non riusciva mai a combinarne una giusta.

-...No è impossibile- Guardò le quattro direzioni attentamente, mentre si metteva le mani nei capelli. Si era persa!

-Eve, niente panico- si sussurrò, tirando un lungo respiro e toccando la collana che portava per calmarsi.

Lia. Non sapeva perché, ma sperava che la lupa potesse sentire la richiesta che qualcuno comparisse a prenderla che stava mentalmente mandando a coloro che sentiva più vicini.

Capì che i suoi poteri telepatici non esistevano, così si decise a provare a prendere un sentiero che le sembrava il più famigliare rispetto a quello che aveva percorso all'andata. Magari riconosceva qualche punto particolare che non fosse la vegetazione normale.

Si maledì ancora una volta, per essersi girata su se stessa più volte: in quel modo non poteva nemmeno cercare di capire in che direzione si fosse girata per addormentarsi e ricostruire, così, una possibile mappa dei suoi movimenti.

Evelyn si avvicinò titubante al sentiero che si apriva nel bosco e lo osservò attentamente: mano a mano che ci si inoltrava diventava più cupo e la stradina era piena di rovi e pozze di fango. La Pevensie deglutì a vuoto un paio di volte, capendo che la stradina che aveva preso lei era decisamente più calma e tranquilla e non comprendeva uno slalom.

Si girò per andare al sentiero alla sinistra di quello scartato, mentre i passi leggeri facevano pochi rumori sull'erba verde. Lanciò uno sguardo tra le chiome degli alberi, convinta di aver sentito una presenza che la osservava, ma non trovò nulla.

Eppure... eppure le sembrava una situazione simile a quella sulla riva del lago, con l'orso che aveva cercato di uccidere Lucy.

Scosse lievemente la testa, mentre il panico iniziava a scemare sostituito dalla determinazione. Determinazione dettata dalla voglia di tornare dagli altri, mentre sfiorava ancora il ciondolo. Determinazione dettata dal una vampata di coraggio ed intraprendenza, mentre con l'altra mano sfiorava l'elsa di Asterius.

Chiunque fosse, avrebbe trovato una lama affilata ad attenderlo.

-Vi siete persa, Maestà?-

Non aveva fatto che pochi passi, quando quella voce le risuonò dolcemente nelle orecchie, facendola girare di scatto senza nemmeno pensare di armarsi.

La ragazza osservò che colei che aveva interrotto la sua marcia era una driade. Se ne stava seduta sul ramo di un albero poco dietro di lei, e la guardava dall'alto. Il corpo sinuoso fatto di corteccia liscia, rispetto a quella a più strati degli alberi, coperto da lunghi capelli color terra e gli occhi vispi, verde scuro, la incantarono.

Bellissima...


Il pensiero spontaneo che nacque in Eve, osservando quel viso delicato e il sorriso cordiale che sfoggiava su esso, le si posò sulle labbra senza però uscire.

Benché non fosse propriamente umana, se non per quell'aspetto temporaneo, la sua presenza avrebbe certamente attirato sguardi indiscreti di chi vorrebbe possedere una creatura esotica e particolare.

La seconda constatazione che fece, mentre ancora osservava la driade della terra, era che gli alberi dovevano essere addormentati, e con essi le ninfe che gli abitavano.

-In effetti si- Si decise a parlare, congiungendo le mani in grembo e sorridendo leggermente alla driade che aveva continuato ad osservarla.

-Ma non preoccuparti, ho già ritrovato la strada- disse sicura, alzando leggermente il mento per allontanare i sospetti e cercando di mostrarsi sicura.

-Posso sapere dove siete diretta?- domandò l'altra, dall'alto del ramo su cui stava e studiandola ancora.

-Alla casa di Aslan- Eve non ci pensò nemmeno che, rivelando la sua meta, la driade avrebbe saputo che aveva mentito sul sentiero, in caso lo avesse preso sbagliato. Si sentì poi improvvisamente in colpa, per aver detto una menzogna che certamente sarebbe uscita fuori ad una creatura tanto pura che si era mostrata per aiutarla.

-Ora se mi puoi scusare dovrei andare perché sono stata via troppo- Evelyn fece per imboccare il sentiero scelto, mentre s'inchinava leggermente alla Narniana e poi le voltava le spalle. Effettivamente era via da troppo.

-Siete sicura che sia la direzione giusta?-

La driade interruppe ancora la sua camminata, il tono di voce divertito che cercava di rimanere neutro.

Aveva capito.

La rossa si voltò leggermente, scorgendo l'essenza della terra portare una mano alla bocca per coprire un sorriso.

-Si-sicurissima…?- La Pevensie si maledì, per il tono incerto che le era uscito e che sembrava tanto una richiesta d'aiuto indiretta. La driade parve capire, perché andò in suo soccorso senza bisogno che lo chiedesse espressamente.

-Mi dispiace dirvi che quella è la direzione sbagliata, mia Signora. La casa di Aslan è dalla parte opposta a quella che voi state prendendo- le spiegò dolcemente, dondolando le gambe nell'aria ed indicandole con un cenno della testa la strada.

Evelyn si bloccò, osservando la direzione che le era stata indicata. Se ci faceva caso effettivamente nel terreno poteva scorgere alcuni tratti di erba calpestata, segno che ci aveva camminato sopra.

Si diede dell'idiota per non averci pensato prima, tuttavia non cedette.

-Lo sapevo, volevo solo metterti alla prova-

La driade rise, divertita dalla testardaggine orgogliosa della Sovrana, poi si alzò sul ramo e prese ad avvicinarsi alla corteccia.

-Ora che ho compiuto il mio dovere mi ritiro- disse, occhieggiando Eve e posando una mano sul tronco. Il suo corpo iniziò ad unirsi a quello dell'albero, scomparendo in esso, la chioma tremò leggermente e alcune foglie sibilarono, dando il bentornato alla loro amica che prima di scomparire del tutto fece un inchino con la testa.

-Con rispetto-.

Evelyn non fece neanche in tempo a dirle grazie, troppo presa ad osservare la magia che si era svolta davanti a lei, che questa era sparita dentro l'albero.

Un fruscio.


Lo sentì distintamente provenire da una chioma dietro di lei, brividi che iniziarono a scorrerle per la schiena rendendosi conto di essere nuovamente sola nel bosco.

Un secondo fruscio.

Si mise in posizione di difesa, stringendo nervosamente l'elsa di Asterius, mentre osservava attenta la parte di bosco da cui aveva sentito provenire il rumore che, era certa, non poteva essersi immaginata per due volte.

Un altro fruscio, ed Evelyn ebbe tanto voglia di scoppiare a gridare alla presenza di rivelarsi.

Che fosse quella di prima?


Un lieve risata le arrivò dall'alto, e la Pevensie strinse la mascella, irritata, ed estraendo Asterius.

-Mostrati, avanti!- Sibilò indispettita, guardando a vuoto tra le chiome degli alberi e non riuscendo a distinguere nulla se non rami e foglie.

-Suvvia, calmati-.

Quella voce le arrivò come una pugnalata al cuore, risvegliandole delle emozioni che non aveva mai provato.

Nostalgia.

Beatitudine.


Non l'aveva mai sentita, eppure ne era attratta e spaventata allo stesso tempo, come se volesse toccare qualcosa che poi sapeva le si sarebbe ritorto contro.

Così famigliare...


-Chi sei?- Disse, cercando di mantenere il tono fermo e dandosi come spiegazione l'essere stata presa in contropiede.

Un'ombra scese dagli alberi facendone vibrare leggermente le foglie, rivelando poi la sua presenza fisica dietro un tronco abbastanza massiccio.

Eve strinse gli occhi per cercare di distinguerne i contorni in parte coperti dalle fronde più basse dell'albero, la spada che si abbassava lentamente mentre perdeva la difensiva.

La sagoma si rivelò ai raggi di un sole ormai quasi completamente rosso che donava bagliori rosati e arancioni ai luoghi che illuminava.

-Tu, sei... chi?-

Fece pochi passi in avanti, avanzando lentamente fino ad arrivare abbastanza vicina ad Eve, che continuava a guardarla, non riconoscendola, però, come nessuno che avesse già incontrato.

E allora, perché... ?

Piegò la testa, gli occhi blu che si illuminavano di gioia e la bocca che si stirava in un sorriso sincero.

-Io sono Dhemetrya-.






























































































*Nel capitolo scorso ho scritto che Edmund viene chiamato da Peter e Caspian. Mia svista, ho corretto.

Ecco qui il tredicesimo capitolo, cari lettori che avete la pazienza di continuare a seguire questa storia. Questa volta non vi ho fatto attendere troppo. ^^'
Comunque, dato che questa parte la devo risistemare, come già avevo anticipato i capitoli saranno per alcuni punti diversi rispetto a quelli della precedente versione, e questo influisce anche sulla lunghezza, mi scuso se sono più corti del solito.
Quindi, che dire… arriva Dhemetrya, ricordatevi la driade – che non si risveglia a caso – e tutta l'allegra combriccola. Come si rapporterà Dhem con il resto del gruppo? Secondo voi? Si accettano ipotesi. :D
Ringrazio chi legge in silenzio, chi preferisce, segue e ricorda, e un grazie particolare a coloro che commentano – se avete qualche parere non esitate a farmelo sapere. ^^
Alla prossima!
Dhi.


Altre storie in corso:
Le Cronache di Narnia: Essence / Elements and Seasons.
Fairy Tail: La gabbia del Vento.
Zero no Tsukaima: Mizu no Chikai.
Originali: Dhialya.

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Capitolo 14
*** Increspature dietro occhi piatti. ***


Narnia's Spirits
Increspature dietro occhi piatti.
(Dhemetrya)





-Tu sei... ?-

-Io sono Dhemetrya-.


In un piccolo spiazzo di una radura circondata da alberi riflettenti il colore di un cielo che si preparava ad accogliere la luna e un sole sulla via del tramonto, due figure continuavano a studiarsi, circondate da qualche manciata di secondi da un silenzio troppo pesante perché sembrasse naturale.

Dhemetrya.


Evelyn continuava a ripetersi quel nome, cercando di capire tra gli antri della sua mente se non avesse già potuto sentirlo precedentemente da qualche parte in giro per Narnia.

Vuoto.


Non le arrivava nessun indizio che le facesse capire di trovarsi di fronte a una vecchia conoscenza. Si ricordò, poi, che tutte le vecchie presenze che avevano fatto a lei e ai suoi fratelli da confidenti ed amici non potevano più esserci.

Un'ombra calò sul suo sguardo, mentre la figura davanti a lei diventava di contorno, gli occhi che le portavano visione di vecchi ricordi sostituendosi alla realtà che stava vivendo.

Faceva male, non poterli afferrare concretamente, sapere di non avere la facoltà di prendere di peso i personaggi che vagavano nella sua mente e tirarseli fuori per dar loro nuovamente vita. Avrebbe dato tutta se stessa per poterli rivedere ancora una volta, una volta ancora che non suonasse come l'ultima.

-Dhemetrya...-

Ripeté quel nome, più per studiarne il suono e abituarsi nuovamente a quel momento che stava vivendo che per reale interesse, o domandare una tacita conferma se avesse sentito bene.

Osservò gli occhi blu elettrico della ragazza scintillare, mentre si avvicinava di qualche passo a lei.

-Dhemetrya Selenya, per essere pignoli-.

Chinò leggermente il capo, facendo affiorare sul volto un leggero sorriso e suscitando una lieve smorfia in Eve che riuscì a tenere a freno prima di manifestarla.

Sorride troppo.


Per i suoi gusti sorrideva un po' troppo, per la situazione in cui si trovava di parlare con una sconosciuta. E se fosse stata una spia? Il dubbio s'insinuò sotto la pelle, dandole un brivido che sentì arrivare fino alle punte dei piedi. Decise di fare finta di niente.

-Ah ah-.

Non manifestò grande entusiasmo di fronte ai modi aperti di Dhem, Evelyn, limitandosi ad occhieggiare quel volto dai lineamenti leggermente affilati circondato da morbidi boccoli neri che, notò, raggiungevano e superavano la metà della schiena, e limitandosi a quei monosillabi per far capire che aveva inteso.

-Io sono...- Iniziò, per spezzare quel silenzio prima che avesse la possibilità d'insinuarsi troppo, ritenendo giusto che almeno il nome poteva farglielo conoscere.

-La Regina Evelyn- finì per lei Dhemetrya.

Eve ghignò internamente, rendendosi conto che nel bene o nel male lei e i suoi fratelli, la loro storia e il loro ritorno non erano passati inosservati.

-Già- confermò, fissando la ragazza e nascondendo un gesto di sfida fuori luogo.

C'era qualcosa che le puzzava in tutto quello, che la rendeva inquieta e le faceva tremare il corpo, costringendola ad assumere la posa rigida che le stava logorando i muscoli delle gambe troppo in tensione.

Eve ragionò su come poteva effettivamente sapere chi era, rendendosi conto che la presenza che sentiva spiarla molto probabilmente era la stessa che in quel momento se ne stava calma davanti a lei.

Probabilmente era lei perfino al fiume giorni prima.

Dhemetrya si era avvinata ancora senza sembrare irritata per quei continui silenzi che non avevano fatto formare un discorso più articolato tra loro due, mentre lei continuava a guardarla ragionando tra sé.

Notò in quel momento che la ragazza era circa una spanna più alta di lei, ed era molto snella, più di lei e delle sue sorelle; avrebbe pensato che non mangiava abbastanza anche a causa del colorito molto chiaro – latteo, quasi etereo –, se non fosse stato per la tonicità che le cosce mostravano avvolte in un paio di pantaloni scuri abbastanza aderenti.

Risalendo con lo sguardo vide la lama di un pugnale, attaccato poco sopra metà coscia da un cinturino che veniva coperto in parte dalla casacca bianca, che spuntava da sotto il corpetto che fasciava il busto, la quale arrivava all'altezza dei glutei. Era l'unica arma che aveva notato ad una prima occhiata e che sarebbe stata benissimo in grado di respingere con la spada, ragionò, dimenticandosi di non sottovalutare mai l'avversario.

Il suo sguardo fu nuovamente attirato da Dhemetrya e si fissò nei suoi occhi: un blu che ricordava quello delle sere d'estate non troppo scure e quando il cielo era tappezzato di stelle che rischiaravano la terra come piccole fiammelle; una tonalità di colore che raramente aveva visto così pura.

Solitamente c'era sempre una spruzzata d'azzurro o indaco, che invece in quei due baratri che la osservavano in silenzio era assente.

Era soltanto blu.

Blu come l'acqua.

Qualcosa le smorzò il battito del cuore, stritolando il muscolo in una stretta, quando si ritrovò a fissare intensamente quello sguardo senza distogliere i suoi occhi e costringendola ad interrompere il contatto, improvvisamente a disagio.

C'erano tanto cose a cui avrebbe dovuto far fronte, pesando lucidamente – Chi sei, precisamente? Cosa vuoi? Da che parte stai? Ma in quel momento pesava solo a sciogliere il cumulo di emozioni che l'aveva assalita senza motivo.

La sensazione di disagio tornò, costringendola ad allontanarsi di qualche passo da quella che, effettivamente, era ancora una totale sconosciuta – che continuava ad osservarla, facendo trasparire una pazienza incredibile, in silenzio. Come se non avesse totalmente la mente lì, in quel luogo, e stesse viaggiando in altri posti di memorie con i ricordi, in un mondo che a Eve era ancora totalmente precluso.

Era una patina di distanza che poteva percepire provenire da Dhem, come quella che spesso usava anche lei; una sorta di autoprotezione, per non rimanere troppo coinvolti in prima persona con il rischio di rimetterci e stare poi male.

Se Dhemetrya era una Narniana, come Eve aveva intuito dall'alone di tristezza che le oscurava i lineamenti del viso e che poteva essere dovuto alla caduta in disgrazia di quel mondo, poteva provare ad azzardare anche i motivi di quel comportamento finto estroverso – sorrideva, sorrideva troppo e troppo fintamente – fatto per non lasciar trasparire le sue emozioni.

Se poi era sola, come sembrava, e giovane – dimostrava un'età tra Peter e Susan – e abituata alla solitudine...

In certi casi devi rialzarti da solo.


Se la si guardava sembrava dimostrare una fragilità a cui probabilmente aveva imparato a porvi rimedio da sola, forgiando un carattere a primo impatto che non lasciasse intuire i pensieri che le tempestavano la mente.

Eve non sapeva, non poteva sapere, che Dhemetrya sentiva urlare dentro la testa il dolore di Narnia, della magia che veniva sradicata dalla sua terra, la morte che strisciava sul terreno insinuandosi come una malattia e facendo appassire ogni traccia di speranza che un tempo era tornata rigogliosa.

Tra tutto ciò, il suo compito principale le risuonava in testa come lo scoppio di un'esplosione, dandole pressione e inquietudine.

Non doveva provare paura, ma non poteva nemmeno pensare che tutto sarebbe filato liscio; quando mai le cose erano andate bene per più di qualche centinaio d'anni, lì?

C'erano regole che erano state rotte, accordi strappati e segreti che non potevano più essere taciuti, legami che andavano ripristinati e compiti da svolgere.

E tutto ciò sarebbe venuto a galla, presto.

E non osava
- o non voleva - immaginare le conseguenze che tutto ciò avrebbe comportato, Dhemetrya.

Sulle persone coinvolte e sull'equilibrio di Narnia stessa.




















































































Ehm, si, non dovrei avere il coraggio di farmi vedere dopo tutto questo tempo e con questo mini-capitolo. Però alle volte si dice meglio tardi che mai, no? *No.*
Stupidate a parte, ogni storia ha subito un blocco. Sono lenta, molto, negli aggiornamenti, ne sono consapevole, e mi spiace, cerco di evitare i ritardi il più possibile ma non mi viene facile a causa della vita reale.

Si introduce il personaggio di Dhemetrya, motivo per cui il capitolo è totalmente incentrato su lei e le prime impressioni di Eve. Comparirà anche Lia nel prossimo, con le due, altro motivo per cui ho deciso di fare questo pezzo a sé: una piccola transizione introspettiva prima di iniziare l'arco narrativo dell'attacco a Miraz.
Dhemetrya che conosce Lia, che non sono molto in sintonia, Dhem che è una creatura legata alla grande magia e divisa tra ciò che prova come ragazza e il suo comportamento che il ruolo le richiede.
Si scopriranno le cose piano piano, per il momento non preoccupatevi se vi sembra di non capirci molto. Dopo i prossimi – circa – tre/quattro capitoli sull'arco narrativo riguardante l'attacco al castello di Miraz farò un breve riassunto sulle cose fondamentali che si sono sapute fino ad ora. ^^

Grazie a chi ha la pazienza di seguire ancora questa storia, ai vecchi e ai nuovi lettori.
Love, D***

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Capitolo 15
*** Voci fuori dal coro di una pecora nera. ***


Narnia's Spirits
Voci fuori dal coro di una pecora nera.










"Brutta mocciosa."

"Oh suvvia cara, non irritarti... Questa forma ti si addice, sai? Scommetto che anche lui se la sta in qualche modo godendo confondendosi da occhi di chi non sa vedere."

"Non c'entra nulla ora, lui, e non cambiare discorso. Allontanati da lei, hai già non fatto abbastanza tempo addietro."

"Lo sai che non potei impedirlo e… mi dispiace. Davvero."

"…Lo so. Lo
sento."





Non sapeva come rapportarsi, non sapeva cosa poteva dire, o cosa aspettarsi.

Da una parte vedeva in quella figura davanti a lei nulla di male, ma il sentore che ci fosse qualcosa di stonato, di tremendamente stonato, non poteva impedirle di stare in guardia e non muovere un passo.

Per quanto ne sapeva, per come era cambiata Narnia in quel centinaio d'anni, Dhemetrya poteva anche essere una spia di Telmar inviata apposta per infiltrarsi tra le loro file, un segugio che poi li avrebbe azzannati da dietro.

Non sapeva, non capiva.

E tutto ciò la rendeva nervosa.

Odiava il fatto di essere in bilico tra due pensieri completamente opposti senza riuscire a concluderci qualcosa di concreto. Era lei che era stata soprannominata la Scaltra, da Aslan, milletrecento anni prima. Avrebbe dovuto escogitare qualcosa: per capire, per provare ad entrare nella testa di quella sconosciuta.

Niente.

Era un vuoto che si stava espandendo come una macchia impossibile da fermare.

-Non sono cattiva-.

-Eh?-

Per Eve fu come risvegliarsi da uno strato di profonda trance, o ricevere una doccia fredda, e si rese conto che era stata totalmente persa nei suoi pensieri, tanto persa che, se avesse subito un attacco, probabilmente sarebbe stata spacciata; e tanto persa che non si preoccupò nemmeno di nascondere il senso di disorientamento contro cui era finita.

-Non sono cattiva- Ripeté Dhemetrya, sorridendo davanti all'espressione che il volto della ragazza aveva assunto.

-...Ah- si limitò infatti a rispondere quella, come se non si aspettasse per nulla quell'uscita e non sapesse cosa dire d'altro.

Le aveva letto nel pensiero, per caso?

-E non sono una spia di Telmar- continuò, per dissipare ogni possibile dubbio che, lo sapeva, la Pevensie poteva giustamente avere in mente riguardo la sua identità. La capiva, capiva le sue motivazioni e la diffidenza che le mostrava.

-Chi me lo assicura?- domandò infatti, riprendendosi.

-Nessuno, è vero- le diede ragione.

Nessuno davvero?

Lia – Lia, la cara e matura Lia – avrebbe potuto. Dire che si conoscevano poteva essere un buon punto di partenza per essere accettata in quel gruppo che, ci avrebbe messo una mano sul fuoco, non sarebbe stato subito aperto nell'accettarla, probabilmente. Era da sola, vagante in mezzo al bosco armata solo di arco e un pugnale. O era particolarmente furba, o agli occhi dei giovani non si sarebbe spiegato come avesse scampato le armate di Telmar e come fosse finita proprio li.

Entrambe le ragazze vennero attirate da dei rumori tra i cespugli che segnavano l'avvicinamento di qualcosa – o qualcuno.

La Pevensie si mise in una posa difensiva estraendo Asterius, pensando che tutto quel rumore poteva farlo qualche soldato Telmarino mandato in avanscoperta dai suoi superiori per segnalare la posizione e il numero delle schiere Narniane. In caso contrario, non si sarebbe dispiaciuta di certo se fosse stato qualcuno che conosceva giunto fino li per cercarla.

Da quanto era via, effettivamente?

I suoi fratelli sarebbero stati in pensiero per lei, immaginava. E se fosse comparsa con una sconosciuta al seguito, poteva provare ad anticipare le possibili reazioni degli altri. Spariva senza lasciare un avviso, e ritornava con una ragazza che per quanto ne sapeva poteva aspettare la notte per pugnalarli alle spalle e mettere fine ad ogni possibilità di ribellione e vittoria.

Un fruscio tra i cespugli attirò la sua attenzione, nuovamente.

Ci avrebbe pensato dopo...

Strinse maggiormente l'elsa della spada mentre studiava la natura che la circondava, poi, sentendo improvviso silenzio, buttò lo sguardo verso Dhemetrya per vedere cosa stesse facendo: la ragazza osservava il sentiero che la driade aveva indicato prima ad Evelyn, però non sembrava particolarmente colpita o in guarda in seguito a quei rumori.

Eve trovò quell'atteggiamento troppo spavaldo e molto strano – a meno che Dhem non fosse come appariva e non aveva ragione di temere chi le si parasse di fronte.

Non era il momento di distrarsi, doveva stare concentrata.

Appena un ombra uscì dalla vegetazione, la ragazza era pronta ad attaccare per fermare ogni suo possibile movimento ma si bloccò, riconoscendo Lia che la guardava con gli occhi che comunicavano sorpresa e sollievo.

-Che cosa fai con la spada in mano?- le domandò, avvicinandosi e buttando uno sguardo verso Dhemetrya.

-Ho creduto che fossi un nemico-.

Eve rinfoderò la spada, pensando che era strana la mancata reazione da parte di entrambe nel trovarsi davanti una presenza nuova. Aveva una strana sensazione.

Forse Dhemetrya non era un nemico per davvero.

La ragazza dagli occhi blu se ne stava in piedi, ad osservarle, in silenzio: sul volto delicato era sparito il sorriso giovale di prima, però non sembrava tesa o chissà che altro, quanto più in attesa.

-Beh, ti ringrazio- ironizzò la lupa, strappandole un sorriso. -I tuoi fratelli sono preoccupati perché sei sparita senza dire niente e mi hanno mandata a cercarti-. Evelyn si avvicinò alla Narniana e le diede una lieve carezza dietro le orecchie.

-Grazie, ora torniamo indietro-.

Lanciò uno sguardo a Dhemetrya: cosa avrebbe dovuto fare? Presentarle? Dirle se andava con loro?

-Vengo anche io se permettete- s'intromise la ragazza, avvicinandosi, e levando Eve dall'impiccio di dover decidere cosa fare. Soppesò per qualche minuto la corvina, non sapendo cosa rispondere, mentre quella invece lanciava delle occhiate abbastanza penetranti in direzione della lupa.

Avanti, non fare la bastarda.


Lia sembrò sul punto di ringhiare ma si trattenne, non ritenendolo il caso.

-Garantisco io per lei-. Era come se nella sua voce si fosse una nota indolente di un peso che non si toglie ma si fa più leggero, di qualcosa che ti piacerebbe far andare via ma che invece rimane.

-Vi conoscete?- domandò Evelyn, in quel momento curiosa. Non si era sbagliata, dunque, poco prima.

-Storia lunga!- Dhemetrya fu come se si fosse improvvisamente rallegrata: sorrideva – meno di prima, ma in modo quasi fuori luogo come da quando era comparsa fino a poco prima. Come una bambina che trova un regalo inaspettato – e tagliò corto le possibili domande della Pevensie, non a caso.

Era davvero una storia lunga, da raccontare.

E non poteva, non ancora, non così.


-Dunque... andiamo- disse allora Eve rivolta alle due, pensierosa.

-Visto che è già abbastanza tardi, monta su di me- si propose Lia: avevano perso già abbastanza tempo.

-Sicura?- si ritrovò a domandare, avvicinandosi.

-Si, tranquilla- la lupa la rassicurò, mentre si abbassava leggermente per rendere ad Eve la salita più facile a causa del vestito.

La Pevensie lanciò uno sguardo a Dhem per vedere se fosse pronta. L'arco bianco lo aveva anche prima e non lo aveva notato? E le piume delle frecce... bianche.

Come quella che uccise l'orso.


Decise di non fare domande e lasciare correre, per quel momento.

-Bene, allora andiamo-.

Quando si fu assicurata che Eve si fosse aggrappata bene la lupa partì, seguita da Dhemetrya, per fare ritorno al rifugio il prima possibile imboccando il sentiero che la driade aveva indicato.


***



Lia continuava a correre e per Evelyn stare sul suo dorso era la cosa più bella che avesse mai provato.

Sentiva l'aria fresca sulla faccia e tra i capelli, e le sembrava di poter in quel modo evitare tutto ciò che di più brutto avrebbe potuto tentare di prenderla.

Provò qualche volta a voltarsi indietro per vedere se Dhemetrya le seguiva, ma ciò che riusciva a vedere era solo lo scorrere degli alberi: verde, marrone, qualche roccia; solo raramente aveva adocchiato una figura che si muoveva tra le sterpaglie o saltava di ramo in ramo, ma era più un movimento confuso che altro.

Quando la foresta finì, aprendosi sulla radura, fu visibile il rifugio e man mano che si avvicinavano Eve poteva benissimo scorgere ad attenderle sull'entrata Peter, Susan, Edmund e Caspian.

Parlottavano tra di loro e talvolta il Magnifico si passava una mano tra i capelli, in segno di impazienza. Lucy, su decisione comune - avrebbe poi saputo, non era stata avvisata per non farla preoccupare.

Appena videro comparire Evelyn in groppa a Lia da un sentiero laterale della radura fu ben visibile il cambiamento che il volto dei fratelli ebbe, rilassandosi. Notarono anche la figura che le seguiva, ma essendo più una macchia che altro non riuscirono a capire bene di chi si trattasse. Ci avrebbero pensato dopo, e si basarono sul fatto che Evelyn e Lia non fossero in fase di allarme per non mettersi in difesa.

Eve fece appena in tempo a raggiungere il gruppetto che Susan la prese, stritolandola in un abbraccio e lasciandola un po' interdetta. Si aspettava una lavata di capo, dalla maggiore, che si comportava oltre che come una sorella, come madre.

La Dolce si era preoccupata, come tutti gli altri, su dove fosse finita Eve.

Narnia non era più sicura, e benché non lo avessero esternato o troppo pensato, se non fosse ricomparsa entro poco sarebbero stati costretti a pensare al peggio – magari era stata attaccata, oppure si era fatta male cadendo, o peggio ancora era stata trovata e portata da Miraz.

Pensieri che non avevano voluto esprimere, puntando fermamente sulle parole di Lia quando era partita a cercarla.

-Eve, dove diavolo eri? Ci hai fatti preoccupare!-Susan si staccò dalla sorella per guardarla in faccia mentre attendeva una risposta come gli altri.

-Mi dispiace- si scusò quella, sinceramente. Non era davvero sua intenzione farli preoccupare.

-E' solo che… solo che…-

Massi dai, digli pure che ti eri addormentata nel bosco e non riuscivi più a trovare la strada per tornare!


Che figura ci avrebbe fatto? Anzi, per la precisione, che figura aveva fatto!

-Solo che…?- incalzò Peter, cercando di farle finire la frase, attendendo spiegazioni. Era serio in volto, segno che non aveva gradito quel contrattempo e quella dose di preoccupazione ed angoscia, ma non sembrava ostile nei suoi confronti come dopo una litigata.

-Mi ero addormentata nel bosco- lo disse a talmente bassa voce e in un modo così veloce che nessuno capì. Si vergognava troppo, e prese a torturarsi le unghie.

-Puoi ripetere?- provò a chiederle gentilmente Edmund.

Quella in risposta abbassò lo sguardo, imbarazzata, per poi rialzarlo e decisa a parlare. Al diavolo, avrebbe detto la semplice e pura verità.

-Mi ero addentrata nel bosco, ho trovato uno spiazzo d'erba molto invitante e così…-

-Non dirmi che ti sei messa a mangiare l'erba!- esordì in tono scherzoso ma anche leggermente stupito Peter, come se da lei si aspettasse pure quello, ed interrompendola prima che finisse di spiegare.

Le due sorelle gli scoccarono un'occhiataccia ed Edmund alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa: certe volte Peter aveva di quelle uscite che ti facevano venire il latte alle ginocchia.

Poi Eve continuò, come se il fratello maggiore non avesse parlato ed ignorando come gli altri quella constatazione che poteva evitare.

-Mi sono addormentata poi quando mi sono svegliata non riuscivo più a capire da che parte ero arrivata. Una driade mi ha indicato la strada e poco dopo è arrivata Lia-.

Avrebbe aggiunto che tra la driade e Lia era comparsa Dhemetrya, ma la ragazza non si era ancora avvicinata al gruppo e non sapeva bene come introdurla.

-Te l'ho detto che non hai il senso dell'orientamento!- fece Edmund, sollevato.

Aveva davvero avuto paura, come per Lucy qualche giorno prima. Se però avesse perso Eve... non avrebbe dovuto dire addio solo ad una sorella. Il pensiero era una lama gelata che avrebbe evitato volentieri.

-Taci!- lo rimbeccò la sorella minore, puntando i piedi e fingendosi offesa, strappandolo dai suoi pensieri.

-Ora che sei qui preparati. Tra poco si parte- tagliò corto Peter, facendo subentrare il ragazzo che guidava l'esercito, quello che era cresciuto e vissuto da Re. Si era perfino dimenticato della nuova comparsa che li aveva raggiunti e li guardava, studiandoli di nascosto – ma non vedendo nulla di nuovo. in realtà.

-Tu saresti...?-

Susan se ne accorse e la fissò, lievemente infastidita per quella che sembrava tanto una radiografia fatta a lei e ai suoi fratelli. Nonostante tutto cercò di tenere un atteggiamento ed un tono di voce posati, come in passato aveva già fatto per non mostrare ostilità nei confronti di qualche personaggio in vista che si presentava a corte.

-Dove dovete andare?- Ignorò la domanda, Dhemetrya, suscitando un moto di stizza nella Pevensie, mentre una sensazione sgradevole iniziava a far capolino prendendola all'altezza dello stomaco e rendendola nervosa.

-Prima rispondi tu alla domanda- S'intromise Edmund, anticipando gli altri due ragazzi e Susan.

-Dhemetrya... Selenya- Eve decise di rendere partecipi i presenti del nome di quella che per loro era una totale sconosciuta, rispondendo al posto suo. Voleva evitare che scoppiasse qualche discussione suoi modi di fare della ragazza che, ammetteva, trovava alquanto strani. Un attimo prima era come una bambina felice, quello dopo una figura che a malapena ti guardava rivolgendoti uno sguardo che comunicasse qualcosa.

-Conosce Lia, quindi non è un nemico.-

Dhem fissò gli occhi su Lia.

"Non dirmelo..." Avrebbe voluto non essere già a conoscenza di quella verità che le stava venendo sbattuta in faccia.

"Si invece. Andiamo ad attaccare il castello di Miraz. Questa notte.
"

-Attacchiamo Miraz- rispose allora Peter, in quello stesso momento.

-Scherzi?!- Se ne uscì la ragazza, sorprendendo il gruppo, rivolta alla lupa. Se non fosse stato che la sua reazione poteva essere collegata alla risposta del Re, quello sbotto sarebbe risultato alquanto strano e senza – in apparenza – motivazione logica.

-Mai stato più serio-.

Dhemetrya si accorse della figura appena scampata e si ricompose, schiarendosi la gola e fissando anche gli altri.

Caspian aveva un'ombra scura in volto, rimembro che non era per nulla in accordo con la decisione del Supremo presa in modo, praticamente, quasi autonomo.Si girò facendo un cenno del capo e avviandosi dentro il rifugio, per soffocare possibili pretese che sentiva salire e che, in quel momento, non poteva permettersi di far uscire e creare qualche casino. L'ultima cosa di cui avevano bisogno era una spaccatura tra i soldati a causa dei diversi pensieri su come agire.

"E' una follia."

"Lo so. Lo sanno bene. Ma il signorino reale qui non vuole sentire ragioni, ed alcuni Narniani sono d'accordo con lui."

"Farebbero di tutto, vero?"

"Ormai il tutto potrebbe diventare il niente.
"

-Sei dei nostri?- Domandò Edmund, interrompendo quello scambio di battute tra le due che loro, e solo loro, potevano aver sentito.

-Io...- Non lo so.

Era stanca di combattere. Non voleva vedere altro sangue, quella sostanza che per tanto, tanto tempo le aveva macchiato le mani senza che ne valesse la pena.

Era stanca.

-Prenditi il tempo per decidere. In caso, chiedi a Lia, dato che la conosci, i punti fondamentali dell'assalto-.

Finita quella spiegazione che non ammetteva repliche Peter fece un cenno a Susan ed Edmund, voltandosi, e facendo intendere che era ora di andare a prepararsi e che non potevano permettersi di far passare altro tempo.

Eve li vide farsi sempre più piccoli, fino a scomparire tra le ombre e i giochi di luce dei fuochi che iniziavano ad essere accesi.

Sentì una pressione sul braccio e si voltò, confusa. Due occhi blu s'incresparono nei suoi, mentre la presa cresceva, come se non volesse lasciarla più andare, rivelando nei gesti ciò che il viso non lasciava trapelare.


-Non dovete andare-.

Eve sospirò, come se percepisse le emozioni della ragazza davanti a lei. Le condivideva, così come Lucy, sapeva che si poteva provare a cercare altre soluzioni, ma Peter era cocciuto e, soprattutto, deciso a riprendere quel ruolo con relative conseguenze.

-Mi dispiace-


***


Quando la sera era ormai calata i Narniani guidati dai quattro Sovrani e Caspian si preparavano per quello che era stato programmato come un attacco con il tentativo di ripresa dei loro diritti una volta imprigionato Miraz e deposto.

Lucy osservava i vari abitanti di Narnia che la superavano pronti per andare incontro a quella che lei – e non solo lei – riteneva una folle, folle battaglia.

Non le piaceva la sensazione sgradevole che aveva addosso: Aslan le era comparso in sogno, quindi non capiva perché andare incontro a qualcosa che si poteva evitare quando avrebbero potuto provare a cercare il leone. Aslan, ne era sicura, li avrebbe aiutati e rimesso le cose a posto.

Vide Trumpkin superarla e Glenstorm salutare la moglie e partire con il figlio, seguendo gli altri. Era come se dietro ogni saluto, dietro ogni bacio, ci fosse un addio celato.

In quel momento davanti a lei passò Evelyn che si fermò a guardarla, capendo la preoccupazione della sorella.

-Ehi Lucy- la richiamò dolcemente, dandole un buffetto sulla guancia.

-Stai tranquilla, andrà tutto bene- cercò di rincuorarla, aprendo le braccia e invitandola a farsi accogliere come in una culla protettrice.

-Buona fortuna- Bifonchiò la minore contro il vestito, ancora stretta a sua sorella.

Eve le fece un occhiolino e poi le diede le spalle, allontanandosi con gli altri. Si voltò verso Peter, Lucy, che aveva osservato la scena, e dopo avergli scoccato uno sguardo di disapprovazione rientrò dentro al rifugio.




-Non dovete andare. Pensaci solo un po' di più-.

Dhemetrya aveva soppesato quel muoversi di creature che più che andare a fare una guerra sembrava stessero partendo per una processione, e si era avvicinata al Re Supremo, rimasto solo davanti all'entrata.

Stava cercando di farlo ragionare, voleva provare a trasmettergli la sensazione che era sbagliato ciò che stava facendo e che se solo si fosse fermato a pensare un attimo, solo uno, si sarebbe reso conto che non era un piano così buono come poteva sembrare. Poteva andare male un qualcosa, un qualsiasi cosa e sarebbe crollato tutto.

-La decisione è stata presa, te l'ho già spiegato anche prima- sentenzionò, senza nemmeno guardarla in faccia.

Dhem era una presenza che lo irritava, perché da quegli occhi si sentiva troppo osservato, troppo studiato. Perché Eve l'aveva portata al rifugio?

Sangue, altro sangue... non voleva vedere, sentire, percepire. Non voleva sentire più nulla, non voleva immaginare ciò a cui sarebbero potuti arrivare quella notte, Dhem.

-Ma…- Provò, ma lui la fermò.

-Abbiamo deciso così da prima che venissi tu. Non cambierò idea. Quindi, se vuoi venire accomodati, oppure fai quello che vuoi, ma non discutere decisioni che non ti riguardano- sibilò, quasi rabbioso e stanco di tutte quelle opposizioni. Aveva già guidato eserciti, perché tutte quelle diffidenze?

-Te ne pentirai- disse solamente, come ultimo avvertimento. Sperava di sbagliarsi lei, in realtà, perché ciò avrebbe significato una vittoria, ma iniziava ad irritarsi per quel comportamento tenuto dal ragazzo.

Cosa posso fare?


-Non dovete andare- ripeté di nuovo come una frase d'ordine quando Peter si decide a muoversi per raggiungere e guidare i soldati.

-Non dovete andare-.

Ma ormai era tardi.




















































































Ho aggiornato, finalmente; ci ho messo tanto tempo, vero. Spero di aver portato un capitolo gradito.
Le reazioni dei Pevensie rispetto a Dhemetrya sono abbastanza diverse, ma mi paiono più “reali” che l'avere il “sono tutti felici e contenti”: non troppo felici, o aperte, e abbastanza sbrigative perché sono concentrati sull'imminente battaglia. Le motivazione del non andate di Dhem verranno fuori anche loro. Lia e Selenya si possono parlare nella mente, si. (NB: è presente una cosa simile anche in Narnia's Rebirth, di ranyare. Ho chiesto all'autrice se questa somiglianza potesse darle fastidio, ed ha detto di no ^^ - mia salvatrice *O* - ).
Alla prossima, spero presto.
Dhi. <3


Altre storie in corso:
Le Cronache di Narnia: Essence / Elements and Seasons.
Fairy Tail: La gabbia del Vento.
Zero no Tsukaima: Mizu no Chikai.
Originali: Dhialya / Punti di Vista.


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Capitolo 16
*** Rottura della notte. ***


Narnia's Spirits
Rottura della notte.







La sera inoltrata aveva ormai preso possesso del mondo Narniano, costringendo il sole a scomparire del tutto ed il cielo ad scurirsi tappezzandosi di stelle.

I Londinesi non avrebbero mai smesso di pensarlo, ma a osservare quell'ambiente, anche dopo l'arrivo dei Telmarini, non avrebbero mai fatto a meno di confrontarlo con Londra.

Erano giunti, marciando in silenzio e con poche fiaccole accese, fino al limitare del bosco, luogo designato per dove si sarebbero divisi.

Per avvicinarsi al castello senza essere notati dalle vedette, Caspian aveva proposto l'aiuto dei grifoni, che avrebbero accompagnato il primo gruppo fino ai tetti confondendosi nel nero del cielo.

-Come vi disponete Maestà?-

Bayord, il grifone che si era offerto di portare i due Pevensie, invece che una sola persona, domandò loro se avessero qualche richiesta per il viaggio, aprendo le ali e scuotendole leggermente, ravvivando le piume.

Nel frattempo, gli altri erano già quasi pronti per partire, mentre Peter si assicurava di dare le ultime disposizioni.

Edmund e Evelyn si scambiarono uno sguardo per poi parlare insieme, osservati dagli occhi del Narniano che brillavano nel buio quasi completo dell'ambiente.

-Io sto sotto-.

-Io sto sopra-.

-Prego?- Il grifone li guardò leggermente stupito, non potendosi evitare di chiedere delucidazioni e facendo arretrare il muso e piegandolo di lato.

-Trasporterai Edmund con le zampe, mentre io salirò in groppa- Spiegò Eve, resasi conto che erano stati affrettati e confusi nel parlare.

La creatura alata accennò un inchino con il capo, ringraziando tacitamente per la spiegazione e preparandosi definitivamente per volare di li a poco e a sentire il peso dei ragazzi che avrebbe trasportato.

Evelyn salì per prima, affondando le mani nelle piume castano-dorate della creatura magica e assicurandosi di non stringere troppo, poi il grifone alzandosi leggermente dal terreno con qualche battito d'ali caricò anche Edmund, prendendolo per il busto.

-Ed, hai la torcia?- Ad Edmund la voce di Eve arrivò leggermente ovattata e d'istinto cercò di alzare lo sguardo per vederla, ma la posizione orizzontale non lo permise, così lasciò perdere.

-Strano che mi chiedi se ho la torcia, di solito è la spada che serve per difendersi- Disse, cercando d'ironizzare la situazione.

-Oh, ma quella viene dopo- Edmund non poté vedere che mosse una mano in aria come se fosse una cosa da nulla, la spada. -L'importante è che tu abbia la torcia sennò il piano va in fumo-.

Effettivamente.


Poi sulla torretta non avrebbero dovuto correre rischi - Peter aveva cercato di pensare anche a questo.

-Al massimo ti presto Asterius- finì poi, seria.

-Ho la torcia. E anche la spada, comunque-. La sorella sorrise anche se lui non poteva vederla – di li a poco avrebbe avuto molto poco, per cui sorridere.

-Allora al segnale di Peter possiamo andare-

Questi con Susan, Caspian e Trumpkin si stava preparando insieme agli altri sui rispettivi grifoni, dopo essersi assicurato, per l'ennesima volta da arrivare quasi ad essere nauseante, che il piano fosse perfettamente chiaro nella mente dei Narniani e che, date le divergenze, non decidessero forse all'ultimo momento di tirarsi indietro.

-Edmund, potete partire. Fate attenzione- Peter puntò lo sguardo sui fratelli, serio, come a voler trasmettere su di loro uno strato protettivo contro il pericolo che avrebbero probabilmente incontrato.

-Anche voi-.

I due fratelli annuirono e con un battito d'ali Bayord si librò in cielo, smuovendo con la corrente d'aria che si creò dal suo movimento l'erba su cui stava poco prima.


***


Aiutati dalla notte senza luna il Narniano con Evelyn ed Edmund arrivò in poco tempo a sorvolare le torrette del castello di Miraz. Silenziosamente e aiutandosi con una corrente d'aria, il grifone arrivò fino alla torre prestabilita su cui avrebbe dovuto lasciare i due Pevensie.

Bayord s'avvicinò al piccolo tetto a forma conica, ed il ragazzo venne lasciato dai suoi artigli per aggrapparsi alle tegole in modo che anche il grifone potesse utilizzare le zampe per aggrapparsi al tetto e non scivolare o essere visto.

Le guardie di vedetta erano due proprio come aveva detto Caspian: parlavano talvolta tra di loro e una si voltò per osservare alle sue spalle, attirata probabilmente da qualche rumore che però non la insospettì troppo, poiché quando l'altra domandò informazioni, scrollò le spalle e tornò a fissare davanti.

Di una se ne occupò il grifone libero dal peso anche di Eve, che era scesa, mentre dell'altra se ne occupò Edmund cogliendola alle spalle e tramortendola con l'elsa della spada. Le due sentinelle furono adagiate contro il parapetto della torre e private delle loro armi per sicurezza.

-Via libera- sussurrò Edmund rivolto verso l'alto, ed Evelyn fece la sua comparsa scendendo dal tetto mentre Bayord si congedava portandosi via le spade dei due Telmarini.

I due fratelli si scambiarono uno sguardo veloce, poi studiarono la situazione sui vari ponti e torrette.

-Pare che non si siano accorti di niente- Evelyn osservò le varie guardie che camminavano avanti ed indietro lentamente gettando sguardi al bosco, una macchia indefinita di ombre scure, e al nero che circondava il castello.

Edmund iniziò a mandare i segnali ad intermittenza verso la foresta senza bisogno che si dicessero altro, l'aria leggermente fresca che era piacevole da sentire sulla pelle.

Quel segnale, un fascio di luce che schiariva il cielo per pochi secondi per poi sparire, decretò l'avvio del volo degli altri grifoni che avevano avuto il compito di portare al castello gli altri. I due fratelli distinsero leggermente e strizzando un po' gli occhi le sagome che si avvinavano e planavano sul castello, e i soldati d Telmar che silenziosamente venivano eliminati da Susan o da Caspian dopo essere stati segnalati da Edmund utilizzando la torcia.

Lo scontro più arduo sarebbe stato imminente, il piano era definitivamente entrato nel vivo del suo scopo. I due Pevensie lo capirono quando videro i quattro calarsi con una corda nelle stanze del precettore Cornelius, maestro e protettore di Caspian, sparendovi all'interno.

L'attacco aveva avuto inizio.


***


Dhemetrya camminava avanti e indietro nella stanza di Aslan.

Lucy non era li, probabilmente era sparita da qualche parte poco prima, ma lei era troppo presa a pensare ai ragazzi e alla gente al castello per farvi caso.

Sapeva che avrebbe dovuto fare qualcosa. Sapeva anche che probabilmente – no, certamente – aveva un minimo di potere per riuscire a fare qualcosa di utile e che avrebbe avuto grande importanza per l'esercito Narniano.

Ma era come bloccata.

Ed era ironico, che non sapesse se scegliere la via che le sembrava più giusta o meno. Solitamente le veniva più facile, perché aveva ben chiaro in testa ciò che voleva fare, perché sapeva che quella terra andava difesa.

Forse aveva paura? Paura di macchiarsi nuovamente, paura per se stessa. Era una cosa terribilmente umana, e non poteva accettarlo.

Non poteva.

Non doveva.

Aveva come un bivio dentro di sé, un buco enorme che si stava scavando mentre se ne stava li ferma e che si riempiva d'angoscia, soffocandola.

Umanamente bloccata.


***


Il primo che atterrò sul davanzale della finestra fu Caspian, in quanto conosceva il castello e come muoversi, e dopo essersi assicurato, per l'ennesima volta, di essere al sicuro bussò leggermente alla finestrella.

-Maestro?- sussurrò non senza una grande speranza che si mischiava alla paura per la vita del precettore, mentre dietro di lui arrivava Peter.

Non ottenendo risposta il Principe prese il suo pugnale e aprì la finestra in modo da poter entrare: la serratura cigolò leggermente e Caspian trattenne il fiato, mentre osservava l'interno semi buio in attesa di non sapeva nemmeno lui cosa, precisamente.

Lui e Peter furono i primi che misero piede nella stanza dell'anziano, mentre alle loro spalle si calavano Susan e Trumpkin.

Quando furono tutti all'interno ed ebbero chiaro ciò che i loro occhi vedevano si guardarono intorno stupiti e attoniti rendendosi conto della stonatura immensa che vagava per quelle mura. Non poterono che stare in silenzio, domandandosi il perché di tutto ciò: fogli sparsi in giro, libri aperti e non ai loro posti in ordine sugli scaffali, calamai rovesciati… la stanza era sotto sopra – e di Cornelius, ovviamente, neanche l'ombra.

In mezzo a tutto quel casino di pagine allo scoperto e vestiti arrotolati Caspian poté distinguere sul tavolino al centro della stanza i piccoli occhiali del precettore. Li prese delicatamente in mano mentre mille domande gli affollavano la mentre, più o meno ovvie: cos'era successo? Dov'era Cornelius? Stava bene?

Pensò che Miraz poteva averlo rinchiuso nelle prigioni, visto che l'aveva aiutato a scappare la notte in cui era nato il figlio di suo zio, e quindi l'anziano uomo sarebbe passato per traditore per il suo gesto di coraggio nell'avvertirlo di scappare.

Doveva trovarlo e portarlo in salvo come Cornelius aveva fatto con lui. Non poteva lasciare lì l'uomo che considerava come un padre e che l'aveva accompagnato nella crescita con i suoi consigli e le sue lezioni.

-Devo trovarlo-.

-Non hai tempo, devi aprire la grata- gli si oppose subito Peter, cercando di usare un tono calmo e capendo ciò che animava gli occhi del ragazzo.

-Senza di lui non saresti qui, e nemmeno io- sibilò Caspian, come indifferente alle parole del vecchio Re.

Peter si girò a guardare Susan in una muta domanda su ciò che secondo lei bisognava fare, totalmente in bilico e sapendo che sia continuare con il piano, che salvare la vita di un uomo, erano entrambe azioni giuste. Per la prima volta dopo vari giorni accettò un consiglio esterno.

-Io e te occupiamoci di Miraz- propose, soppesando il piano velocemente. Potevano fare la prima parte anche da soli.

-E io arriverò alla grata in tempo- promise Caspian, grato, con enfasi e quasi sollevato.

I quattro si divisero dopo quel veloce cambio di piano: il Principe si avviò alle prigioni, Trumpkin alla sala per raggiungere Ripicì e i due Pevensie in cerca della camera di Miraz.


***


-Ci aspettavamo qualcuno… un po' più alto- Fu il commento d'esordio del capo dei topi quando si ritrovò davanti il nano.

-Senti chi parla- Trumpkin squadrò Ripicì e gli altri due compagni, scettico.

-Sarebbe ironia questa?-

Il nano chiuse la porta di legno e raggiunse gli altri tre, iniziando a spingere la leva per abbassare il ponte.


***


Entrò nelle segrete facendo meno rumore possibile e il soldato cadde a terra senza riuscire a gridare, difendersi o dare l'allarme, complice il buio.

Cornelius dormiva, notò con sollievo avvicinandosi alla cella, e non si era accorto della scena di pochi istanti prima.

Caspian aprì svelto la porta arrugginita della prigione che cigolò e si chinò sul precettore, scuotendolo leggermente per svegliarlo e osservandogli il volto per scorgere delle possibili lesioni. Sembrava stare bene, a parte l'essere stato prigioniero.

-Ancora cinque minuti?-

L'uomo dapprima non capì e lo guardò confuso, strizzando gli occhi per la mancanza degli occhiali e ancora leggermente intontito per il brusco risveglio.

-Cosa ci fate qui?- Domandò poi, allarmato, mentre gli venivano tolte le manette. -Non vi ho aiutato a scappare perché poi tornaste di nascosto- rimproverò il ragazzo, mentre aiutato si tirava in piedi.

-Dovete andarvene prima che Miraz venga a sapere di voi- Lo prese per le spalle e guardandolo dritto negli occhi lo scosse leggermente, cercando di trasmettergli il poco senso che aveva ciò che stava facendo, secondo lui. Caspian sembrò quasi sorridere, a quell'affermazione, tendendogli gli occhiali.

-Lo verrà a sapere molto presto. Gli daremo la vostra cella-. Ora che sapeva Cornelius vivo e al sicuro le cose stavano procedendo al meglio. Avrebbe poi raggiunto la grata come nella stesura del piano era stato stabilito.

Il precettore li prese e fece per metterseli, ma dopo aver sentito la frase di Caspian e visto che si girava pronto per andare, l'anziano uomo lo fermò prendendolo per un braccio, facendolo girare nuovamente verso di lui.

Il Principe non capì quel gesto e guardo l'uomo confuso.

-Non sottovalutate Miraz come ha fatto vostro padre- Il volto del ragazzo si contrasse e le pupille si dilatarono, come se una nuova prospettiva gli fosse balenata in mente.

-Di che cosa state parlando?- Domandò infatti, ansioso di sapere, bisognoso di sapere.

Il precettore abbassò la testa colpevole, un segno che confermò quella che era soltanto un'ipotesi fino a pochi secondi prima e che era stata un'oscura verità distorta per tutti quegli anni.

-Mi dispiace-.

Ignorando Cornelius che tentava di trattenerlo e farlo ragionare Caspian si liberò della sua presa, per poi correre velocemente sui gradini di pietra diretto alle stanze di colui che non considerava più suo zio.

Non più, non dopo quello.

Voleva spiegazioni.

E vendetta.


***


S'erano aggirati furtivamente per il castello in cerca della camera giusta, poi delle voci, tra cui quella famigliare di Caspian, aveva fatto capire loro che erano giunti a destinazione.

Entrarono spalancando le porte irrompendo nella stanza e bloccando la conversazione, e si trovarono davanti una scena che a Peter fece ribollire il sangue nelle vene: Caspian che minacciava Miraz puntandogli la spada alla gola, invece di essere alla grata e a sua volta minacciato da una donna che impugnava una balestra, che dedussero essere Prunaprismia, la moglie del nuovo Re.

Mentre Susan tendeva l'arco verso Miraz, Peter prese parola mal celando la rabbia che sentiva.

-Che stai facendo? Dovresti essere alla grata!-

Caspian li osservò velocemente, gli occhi lucidi che mandavano scintille di rabbia e la tensione che gli irrigidiva i muscoli. Puntò maggiormente la gola a suo zio che si limitava ad osservarlo, mal trattenendosi dall'infilargli la spada direttamente nella giugulare e finirla subito.

-No! Per una volta, voglio la verità. Hai ucciso mio padre-.


Successe poi tutto in fretta, eventi confusi che non poterono essere fermati o riavvolti.

Caspian prima di uccidere l'uomo a sangue freddo avrebbe voluto sapere la verità. Solo la verità, il motivo per cui era stato privato, oltre che della madre, anche del padre. Voleva un motivo prima di liberare tutta la rabbia che sentiva scorrere in corpo.

-Caspian IX era debole nella guerra contro i Narniani-.

Poi c'erano state le voci di Peter e Susan che cercavano di far calmare il Principe.

E la balestra puntata su Caspian da una moglie dubbiosa sulle azioni del marito, stesso uomo che sfidava una lama puntata alla gola ed intimava alla donna di uccidere per il loro figlio.

Il Principe fu colpito al braccio dalla freccia scoccata dalla Regina di Telmar.

Miraz si rifugiò in un passaggio segreto scappando.

E il grido di Prunaprismia ruppe la quiete del castello definitivamente.


***


Una stretta allo stomaco di Evelyn faceva preoccupare la ragazza, per un motivo a lei sconosciuto, perché fino a quel momento non c'erano stati problemi.

Le guardie non si erano accorte dei nemici penetrati nel castello, quindi non era scattato nessun allarme, e fuori non c'era segno di qualche nuovo soldato che si aggirava per le torrette con la possibilità che li scoprisse o vedesse i cadaveri.

Cercò di non pensarci, tamburellando sul cemento, mentre osservava Edmund giocherellare con la torcia perso nei suoi pensieri. S'impose di non fissarlo, volgendo lo sguardo al cielo nero sopra di lei e ricordando, però, ogni dettagli che nei vari momenti e nel corso del tempo era riuscita a catturare. Si beava di quelli, quando non era in vena da sentirsi in colpa.

-Stai sempre vicino a me e fa attenzione- Si voltò lentamente e puntò lo sguardo su Edmund che aveva smesso di giocare con la torcia e la fissava, serio.

-Altrimenti chi lo sente Peter?- Sorrise nella penombra, ironizzando e cercando egoisticamente di cercare di alleggerire la tensione che sentiva stringerle lo stomaco. Pensava quasi che avrebbe vomitato, di li a poco.

-Altrimenti chi lo sente Peter. Beh, non solo lui- Edmund si avvicinò facendo qualche passo nella sua direzione, che d'istinto arretrò di poco senza darlo a vedere, visto che la lunga gonna copriva i movimenti.

Era meglio se Edmund le fosse stato lontano. In generale, ed in un momento come quello in cui avrebbero dovuto stare entrambi concentrati.

-Guarda che non sono più una bambina, sono cresciuta se non te ne sei accorto- Incrociò le braccia al petto, ribattendo picche.

-Certo che mi sono accorto che sei cresciuta- Edmund rispose senza pensarci troppo, per poi mordersi la lingua.

Ma che cavolo dico?

Eve lo osservò dapprima stupita, soppesando quella frase alquanto fraintendibile, per poi allontanare la sua reazione e possibili pensieri che avrebbero solo fatto più male.

-Cioè io intendevo… ehm… volevo dire… - Il fratello maggiore gesticolò qualcosa con la torcia in mano tentando di dare spiegazioni, mentre Evelyn corrugava la fronte e si gli avvicinava leggermente minacciosa.

-Intendevi cosa? Dai forza parla Ed, formula una frase di senso compiuto!- gli sibilò a pochi centimetri dal volto in attesa di spiegazioni, mentre il cuore batteva furioso e la stretta allo stomaco si faceva più intensa.

Era come un bivio di sensazioni che si stava espandendo: da una parte voleva sapere, era bisognosa di sapere; come se vedesse l'acqua dopo giorni nel deserto. Dall'altra aveva paura che quell'acqua fosse solo un'illusione dovuta al caldo, e reagiva di conseguenza per evitare di essere presa alla sprovvista.
Si rendeva conto che era piuttosto brusca quando faceva così.

Il ragazzo sospirò e fece per dire qualcosa, ma un urlo che non si aspettavano li fece sussultare entrambi e la torcia cadde di mano ad Edmund, finendo nel terrazzino sottostante.

I due si affacciarono dall'alto della torre ed Evelyn scoccò un'occhiata preoccupata al fratello, seguendolo poi per le scale a chiocciola.

I due poterono vedere due guardie da una finestrella osservare e maneggiare lo strano oggetto per loro nuovo, mentre una terza correva a dare l'allarme. Uno dei due soldati accese l'interruttore della torcia e Edmund ed Evelyn si appiattirono contro il muro della torretta per evitare di essere visti.

Il fascio di luce investì i volti delle due guardie che in risposta agitavano la torcia, incapaci di realizzare il meccanismo. Magari lo scambiarono quasi per magia.

-Che facciamo?- chiese Evelyn nascosta dietro la schiena di Edmund, cercando di non aggrapparsi a lui.

-Non lo so- sussurrò solo, ragionando e soppesando le possibilità.

Non appena finita la frase il suono delle campane che davano l'allarme arrivò alle loro orecchie.

Edmund si buttò sopra il soldato Telmarino che aveva sotto di lui senza pensarci più di qualche secondo, ed Evelyn non poté che seguirlo: la torcia andava assolutamente recuperata e la situazione stava diventando pericolosa, le truppe che attendevano andavano avvisate.


***


-E quello che vorrebbe dire?- chiese diffidente Nicabrik osservando il fascio di luce che si agitava a destra e sinistra nel cielo.

Lia lo riprese, scambiandosi un'occhiata con Glenstorm di fianco a lei e facendo mantenere la calma al gruppo che non andava persa.

-Abbi fiducia-.


***


-Peter!- Susan richiamò il fratello che imperterrito continuava a correre verso il cortile principale per andare ad aprire la grata.

-Le nostre truppe sono qui fuori, venite!- Ordinò alla sorella e a Caspian, continuando a correre.

Avevano quasi il fiatone e un esercito di soldati alle costole che li inseguiva, ma la determinazione del Re sembrava essere in quel momento l'unica via d'uscita.

-Ora Ed! Ora!- Gridò al fratello minore, correndo per il cortile.

-Ho un po' da fare adesso Peter!-

Il minore dei fratelli Pevensie evitò un fendente che gli fece perdere la spada e per difendersi usò la torcia, senza pensare ai possibili danni ma deciso ad uscire indenne dal combattimento. Colpì deciso il soldato Telmarino, che cadde a terra svenuto.

-Cosa hai fatto Edmund?!- Vedendo il fratello osservare preoccupato la torcia Eve gli fece la fatidica domanda mentre gli si avvicinava, dopo aver tramortito l'altro soldato.

-Ecco…- Ed iniziò a battere la torcia sul palmo della mano per farla accendere.

-Ti avevo detto che potevi usare Asterius se ne avevi bisogno!- La sorella minore esplose d'irritazione e rabbia per quell'azione sconsiderata, buttando fuori anche l'ansia e la paura per come stavano andando le cose, e si passò una mano nei capelli e sulla fronte sudata, agitata.


***


-E' troppo tardi Peter, lasciamo perdere finché siamo in tempo!- Supplicò Susan osservando le guardie Telmarine avanzare verso di loro con le armi in mano e riempiendo il cortile. Si sentiva un topo in trappola.

-No posso ancora farcela!-

Caspian e la Pevensie si scambiarono uno sguardo poi aiutarono il Re ad alzare la grata.

-Tutto questo per chi lo stai facendo, Peter?-


***


Evelyn osservò le guardie che iniziavano ad avanzare ed invader il cortile principale, e si voltò verso Edmund.

-Avanti Ed!-

Avevano assolutamente bisogno dell'intervento dell'esercito all'esterno del castello.

Quello in risposta batté più forte la torcia sul palmo della mano e questa per miracolo si accese. I due fratelli osservarono la luce per qualche attimo, poi il Pevensie si riscosse, affrettandosi a dare il segnale alle truppe.

I Narniani marciarono e videro il ponte abbassarsi, segno che Trumpkin e Ripicì stavano facendo il loro dovere senza essere interrotti. Si sbarazzarono delle due guardie al ponte ed entrarono con un grande urlo nel cortile principale andando a combattere contro i soldati Telmarini.

In poco tempo era tutto un clangore di spade e frecce sibilanti in aria, urla di battaglia e corpi che cadevano – da entrambe la parti.

-Per Narnia!-


***


Dopo che i rinforzi erano entrati Evelyn ed Edmund si affacciarono ad un piccolo tetto in modo da avere la visuale completa di ciò che accadeva nel cortile sotto di loro.

Videro i loro fratelli più grandi affiancati dai Narniani e Caspian combattere egregiamente mentre sembrava che le cose andassero bene e volgessero in loro favore nonostante il contrattempo.

I due si scambiarono un'occhiata per poi ripuntare lo sguardo sulla battaglia sotto di loro.

Evelyn vide Susan usare una freccia come un pugnale, poi però la osservò fermarsi al centro del piazzale guardando in alto: la sorella maggiore era sconcertata e spaventata, e lo sguardo saettava come se osservasse più cose contemporaneamente.

Ciò che vide Eve, curiosa su ciò che aveva costretto Susan a fermarsi nel mezzo del combattimento, la fece tremare di paura e le fece irrigidire tutti i muscoli del corpo: soldati, tanti, troppi da contare, armati di balestra, stavano circondando il cortile dal terrazzino sotto al punto in cui si trovavano lei ed Edmund, pronti a scoccare le loro frecce contro i Narniani impegnati a combattere.

Tirò una gomitata al fratello e prima che questo potesse chiederle cosa succedeva, con un cenno della testa gli indicò i Telmarini sotto di loro.

Entrambi si accorsero che una guardia aveva puntato su Peter, e prima che potesse tirare Edmund scivolò giù dal tetto colpendo il Telmarino che cadde nel cortile. Peter si accorse della cosa e si rese conto che erano sotto tiro.

-Ed!- Si limitò a gridare Eve, precedendolo sull'avvertire il fratello, senza pensarci. Le guardie si accorsero di lui e presero la mira, ma questi si rifugiò all'interno della torre che aveva alle proprie spalle.


***


Evelyn sospirò di sollievo nel vedere entrambi i suoi fratelli in salvo, anche se momentaneamente, ma poi si riprese subito sentendo un sibilo passarle vicino all'orecchio.

Sgranò gli occhi, sconcertata: avendo gridato il nome di Edmund si era rivelata alle guardie che ora stavano puntando su di lei. Si chinò proteggendosi con il muretto coprendosi la testa con le braccia.

Quando non sentì più il sibilo delle frecce pensò di essere al sicuro e aprì gli occhi, che per la paura aveva chiuso. Non fece in tempo a rendersi conto di niente che sentì il rumore di una porta che si apriva e dal quale spuntò un gruppo di circa cinque Telmarini. Il corpo si mosse per lei, ansioso di evitare il dolore, iniziando a correre dalla parte opposta e cercando rifugio all'interno del castello.


***


Peter nel frattempo aveva continuato a combattere. Uccise un soldato di Telmar e quando alzò lo sguardo vide Miraz affacciato alla balconata di una stanza.

Ed era solo.

Fece segno ad un Narniano vicino a lui di seguirlo.

Il momento sembrava essere perfetto.



Poi tutto andò storto.

Il Narniano fu ucciso, e cadde nel cortile come un fantoccio.

Edmund si ritrovò isolato su una torretta inseguito da due guardie e lontano da tutti.

Le guardie ruppero il peso che teneva su la grata e Trumpkin fu buttato nel cortile.

I soldati sui terrazzini si preparavano a scoccare le frecce.


***


Mentre correva cercando di seminare le cinque guardie che la inseguivano e le frecce che le lanciavano, Evelyn sentì un dolore lancinante alla spalla sinistra, un fitta che le perforò corpo e mente.

Il suo viso assunse un'espressione di dolore e fu tentata di fermarsi per prendere fiato, ma qualcosa dentro di lei le impedì di farlo.

Svoltò in vari corridoi e all'ennesimo angolo si guardò attorno: era in un corridoio del castello, anche se non sapeva dove rispetto al cortile, e sentiva le grida dei soldati Narniani e Telmarini.

Esaminò il lungo corridoio che le si presentava di fronte: alla fine girava a sinistra, esattamente a metà sulla destra c'era una porta di legno e davanti a questa un altro corridoio.

Si portò una mano alla spalla, sentendo bagnato, mentre l'odore del sangue le arrivava al naso. Era come se dopo tutte le battaglie fosse diventato inconfondibile.

Osservò la freccia che le entrava da dietro, senza però uscire dal davanti: iniziava a sentire la spalla intorpidita.

Ci penserà Edmund a tirarmela fuori, se riesco ad uscire di qui.

Un rumore di passi dietro di lei la fece voltare spaventata, e si rese conto che i soldati che era riuscita a seminare momentaneamente la stavano raggiungendo.

Iniziò a correre cercando di allontanarsi, ma quando fece per svoltare l'angolo alla fine del corridoio visto poco prima altri passi provenienti davanti a lei la bloccarono di colpo e altre ombre di soldati Telmarini raggiunsero il suo sguardo.

L'unica via che le rimaneva era il terzo corridoio davanti alla porta di legno, ma per l'ennesima volta dovette fermarsi in quanto anche da quella direzione proveniva un gruppo di soldati di Telmar.

Eve sbuffò, innervosita. Anche volendo in quello stato non avrebbe potuto combattere. Guardò le tre direzioni che aveva come scappatoia mentre da tutte e tre le parti le guardie di Telmar si avvicinavano.

La spalla doleva e il sangue macchiava l'abito e il pavimento, stava diventando stanca e non sapeva come raggiungere gli altri ed uscire da li.

Si lasciò scivolare lungo la porta di legno dietro di lei, prendendo anche dentro con la freccia, e per poco non urlò. Si morse un labbro, in panico, non sapendo cosa fare, gli occhi che doventavano lucidi.

Sono in trappola.

















































































Curiosità: “Rottura della notte” l'ho deciso come titolo perché l'attacco è nel bel mezzo, appunto, della notte, e invece stanno combattendo, andando a minare la “routine” delle ore notturne.

Questa volta ho aggiornato presto, dai. :)
Parlando di questo capitolo: ho volutamente fatto delle descrizioni un po' veloci e decise, diciamo, nei punti che sono già a conoscenza e di cui non credo ci sia bisogno di ripetere troppo. Il capitolo è, salvo per il pezzo su Dhem, praticamente uguale al precedente – con dovute correzioni e approfondimenti. La seconda parte riguardo la battaglia spero riesca a farla arrivare anche lei in tempi decenti. ^^
Ringrazio per le recensioni, sempre ben accette, preferiti, ricordate e seguite – siete in molti, nonostante i tempi d'aggiornamento vergognosi, vi ringrazio davvero molto per la fiducia!
Alla prossima.
Dhi. <3



Altre storie in corso:
Le Cronache di Narnia: Essence / Elements and Seasons.
Fairy Tail: La gabbia del Vento.
Zero no Tsukaima: Mizu no Chikai.
Originali: Dhialya / Punti di Vista. (Raccolta/Completa)

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Capitolo 17
*** Speranza di pietra. ***


Narnia's Spirits
Speranza di pietra.








Cosa devo fare?

Continuava a camminare avanti ed indietro, Dhemetrya, la suola dei calzari che produceva piccoli ticchettii sul pavimento di pietra della stanza di Aslan.

Si stava tormentando da vario tempo le mani, continuando a schioccarle e rigirarsele tra loro, sfiorando alle volte il pugnale nascosto sotto la casacca ed attaccato alla coscia, sempre più ansiosa mano a mano che il tempo scorreva.

Non era più riuscita a starsene ferma ad attendere, e la tumultuosità dei pensieri che le riempivano la testa l'aveva fatta scattare in piedi, ad un certo punto, senza che riuscisse più a fermarsi da quel camminare incessante che non aveva meta e che continuava a fare da non aveva idea quanto tempo, esattamente.

Sentiva solo la necessità di non stare seduta, per non darsi l'impressione di non star facendo niente perdendo tempo.

Cosa posso fare?

Aveva paura di star sbagliando tutto. Temeva di poter sbagliare nel tempo avvenire. Aveva una stretta gelata alla mente che le puntava contro il pensiero che qualsiasi cosa avesse fatto o meno, in quel momento o nei giorni seguenti, sarebbe comunque stata sbagliata.

Puntò lo sguardo su Aslan, e cercò gli occhi del leone incisi nella pietra che guardavano il vuoto; cercò di rievocarne lo sguardo vero e caldo, come se lo avesse davanti a sé, reale, cercò di focalizzare la figura imponente e la criniera dorata.

Così uguale a lei, eppure così diverso.

Due punti focali nella Grande Magia, eppure il leone ne conosceva segreti e regole a lei sconosciuti. Era decisamente più sapiente e consapevole, Aslan, per quanto riguardava tutto ciò che comprendeva la magia e Narnia. Per questo era sempre stata la sua guida, ne era come un po' dipendente, lo trattava con il rispetto che doveva ad un Sovrano e la devozione rivolta ad un genitore.

E non doveva perdere quel filo di speranza che la tirava a galla tenendola in vita.

Era nata dalla Grande Magia e ne faceva parte, Aslan però per lei era come un padre, perché la magia di Narnia la conosceva e la controllava.

Sospirò e rilassò i muscoli del collo e della schiena, Dhem, distogliendo lo sguardo e sedendosi sul primo masso che le capitò vicino, improvvisamente pensierosa e rabbuiata, confinata nella sua testa.

Poggiò il mento su una mano, tenendo lo sguardo basso rivolto al terreno; si lasciò sopraffare solo da un pensiero, mettendo tutto il resto fuori per una manciata di minuti, mentre rimuginava, la mente che sembrava andata in pausa e non sentiva più lo scorrere del tempo e le emozioni di poco prima.

Allora perché non ne percepiva più la presenza?

Ti prego, dammi un segno.


***


Faceva un po' freddo perché si era alzata la brezza notturna e le notti non erano ancora quelle assolate dell'estate, e gli alberi non riparavano dal vento che, passando tra le foglie e facendole vibrare, creava una danza su note nella lingua della natura tra loro e l'aria.

Lucy era poco dopo dell'entrata alla casa di Aslan, nella prateria, ad osservare le sagome del bosco Narniano che la circondava, non preoccupandosi del freddo che poteva sentire e delle ombre create dal buio.

Continuava a osservare il punto in cui aveva visto scomparire i suoi fratelli e l'esercito dei Narniani, un sentiero che si perdeva tra gli alberi e che con il buio notturno non era più ben visibile da quella distanza.

La ragazza pregava che i suoi fratelli stessero bene e facessero ritorno al più presto, che Aslan da lontano ed ovunque fosse li vegliasse e proteggesse.

Il tempo sembrava aver iniziato il gioco della tortura, dando l'impressione di non passare mai e allo stesso tempo scorrere quasi più velocemente rispetto a come era solita percepirlo.

Si era accorta che era passata ormai qualche ora da quando erano partiti, e ogni minuti che scorreva non poteva evitare che l'ansia e la preoccupazione le aggrovigliassero lo stomaco in una morsa d'acciaio, anche se cercava di non pensarci e tenere esclusi dalla testa i pensieri più oscuri.

Quando sarebbero ritornati gli avrebbe abbracciati uno ad uno per convincersi che erano nuovamente li, davanti a lei, salvi. Necessitava di sentirli, di farsi stringere e coccolare dai maggiori, di sapere che aveva ancora la sua famiglia vicino a se, che nonostante i diverbi precedenti stavano ancora bene ed erano ancora con lei.

Eppure ancora non si vedevano e Lucy si stava iniziando seriamente a preoccupare, mentre dentro di lei il tumulto di emozioni si espandeva a poco a poco.
Cercava di non farci caso, pensare positivo, ma anche per lei non era facile, soprattutto non sapendo come stavano andando le cose.

-Altezza è tardi e fa freddo, rientrate per favore. Sono sicuro che i vostri fratelli torneranno presto-.

La voce di Trufflehunter la strappò dai propri pensieri, facendole accelerare il battito per la sorpresa di trovarselo da parte senza aspettarselo. Guardò il Narniano, accennando un lieve sorriso di circostanza e capendo i buoni propositi che aveva.

Il tasso cercò di infonderle un po' di speranza, capendo quanto la Regina potesse essere in pensiero, così come lui pensava ai suoi amici Trumpkin e Nicabrik, e i vari Narniani che non avevano partecipato all'assedio al castello erano in pensiero per i loro familiari e amici che erano partiti per andare contro Miraz.

Erano tutti in ansia e nervosi, con la voglia nel sangue di poter fare qualcosa, qualsiasi, che fosse d'aiuto.

La ragazza osservò ancora una volta il limitare del bosco, animata da una fiammella di speranza nell'immaginare che potessero tornare vittoriosi proprio in quegli attimi; sospirò senza farsi notare e decise di seguire il Narniano.



Il calore dei fuochi accesi la inondò, non appena fu entrata nel rifugio di pietra, dandole per qualche attimo un vago senso di benessere, riscaldando i suoi muscoli che ormai erano intorpiditi.

Si rese conto in quel momento di quanto freddo faceva fuori rispetto a dentro, me non se n'era accorta, presa a guardare un punto vuoto e da vario tempo.

Senza pensarci si diresse alla tomba di Aslan e si sedette sui gradini alla base della lapide spezzata, in modo da avere di fronte a sé l'immagine del leone. Con un sospiro si accoccolò meglio, appoggiandosi alla pietra dietro di lei, non sapendo cosa poter fare per occupare il tempo senza soffermarcisi troppo.

Si mise a giocherellare con la boccetta con l'estratto del fiore di fuoco donatole da Babbo Natale, stando attenta a non danneggiarla o farla cadere, e non poté non domandarsi come mai, dopo più di milletrecento anni, avesse ancora il potere di guarire le ferite.

Sapevano che funzionava perché Peter aveva voluto fare una prova che partissero per la battaglia, facendosi una lieve ferita al fianco, così da poterla utilizzare per gli eventuali feriti che ci sarebbero stati dopo quella notte.

Lo sguardo di Lucy poi, finito di osservare la boccetta di diamante, si focalizzò sul leone di pietra davanti a lei, criptico. Ciò che ebbe in risposta, ad una sua muta domanda d'aiuto e richiesta di spiegazioni, fu solo il silenzio di un quadro che non la vedeva nemmeno.

Una folgorazione le arrivò quando stava per chiudere gli occhi, e si alzò di scatto, come se avesse ricevuto una scossa nella schiena, guardandosi intorno.

Ma dov'era Dhemetrya?


***


Il richiamo si perse nel vuoto, una volta che fu giunto a destinazione, leggero come aveva avuto vita. Fu un richiamo silenzioso, un fischio che perforò gli alberi ed ebbe la capacità di scuotere il terreno facendo vibrare l'erba.

Dhemetrya smise di sussurrare al vento ed attese, nell'apatia della notte, mentre continuava a raccogliere i capelli in una mezza coda di cui non era mai soddisfatta, per evitare che le ciocche cadendo davanti agli occhi le dessero fastidio.

Non sapeva cosa l'avesse spinta ad alzarsi ed uscire, di preciso, scivolando tra le ombre della notte come una sagome invisibile. Ne aveva solo sentito la necessità, quando, provando a contattare mentalmente Lia, non ricevette risposta.

A quelle mancate informazioni su come stava procedendo la battaglia aveva fatto varie ipotesi, di cui tre spiccavano maggiormente – e non erano buone.

Una delle più probabili era che la sua magia non era più in grado di raggiungere grandi distanze, a causa della scarsità e della debolezza contro cui stava andando. Quindi, anche provando e riprovando, non sarebbe riuscita a contattare la lupa se non dentro un certo raggio di ampiezza.

Tutto ciò stava a significare che era più debole di quanto pensasse, e non riusciva più a tenere sotto controllo le percezioni che Narnia le mandava.

Non era un bene, per lei.

Non era per niente una cosa positiva.

Un altro pensiero che aveva fatto, era Lia fosse impegnata in modo particolare, quindi volutamente la ignorava. Era da lei, con quel suo caratterino a volte accomodante ed altre tagliente.

Sospirò Dhemetrya, scuotendo la testa e lasciando perdere i capelli.

Mentre la terza... era la più brutta di tutte, l'ipotesi che mai, per nessun motivo, avrebbe dovuto fare.

Morti.

Se fosse morta, se per qualche scherzo del destino non era riuscita a diferndersi pienamente, era un motivo per cui non rispondeva. E ciò avrebbe significato che anche per gli altri stava andando male.

Non devo pensarci. Non devo, nella maniera più assoluta, pensarci.


Strinse i pugni, chiudendo gli occhi ed imponendosi la calma, cercando in ogni modo di allontanare i pensieri e le rispettive immagini che si trascinavano dietro e che andavano animandosi davanti alle palpebre ancora chiuse.

Quando il manto bianco della giumenta catalizzò la sua attenzione, una macchia quasi argentea che si muoveva nel buio del sottobosco nella sua direzione, la ragazza si avvicinò all'animale di pochi passi e lo accarezzò, ringraziandolo di essere venuto ed aver ascoltato la sua richiesta di supporto.

Qualsiasi cosa stesse succedendo, doveva andare di persona a controllare.

Non riusciva più a starsene ferma senza fare nulla, ancor più da prima che partissero, con il costante pensiero di non essere riuscita a fermarli quando aveva saputo del piano. Era un groppo in gola che continuava a non andar via ma, anzi, si allargava.

Montò in groppa, e la giumenta nitrì leggermente, impaziente.

Al castello di Miraz.

Non sapeva esattamente cosa avrebbe fatto, una volta giunta li. Non sapeva nemmeno se sarebbe stata ancora in grado di combattere.

L'acqua, a furia di macchiarsi, s'imputridisce.

Sapeva solo che, sbagliato o giusto che fosse quello che stava facendo, doveva andare. Al resto ci avrebbe pensato dopo; per quel momento, per quegli istanti, doveva rimanere fedele e fiduciosa.

La giumenta iniziò a correre per il bosco, una macchia bianca in mezzo ad un oceano di nero.

Sperava solo che non fosse troppo tardi.



































































Ehilà fandom ^^
Due aggiornamenti nello stesso mese, i miracoli accadono.
A parte ciò: questo capitolo non è molto lungo ed è concentrato esclusivamente su Dhemetrya e Lucy, rimaste alla casa di Aslan. E' come un intermezzo, una visione che si stacca dalla battaglia per soffermarsi sui pensieri delle due. Se lo avessi messo con il prossimo capitolo, probabilmente non sarei riuscita a rendere i loro pensieri come volevo, per paura che fossero troppo lunghi e quindi uniti al resto risultassero pesanti. Un po' come è stato per “Increspature dietro occhi piatti”, il capitolo su Evelyn e l'incontro con Dhemetrya.
Sperando sia stato di gradimento, ringrazio per la lettura e le recensioni, i preferiti, seguiti e ricordate, ed inoltre per la vostra pazienza e il supporto.
Grazie mille, alla prossima.
Dhi. <3



Curiosità: Tre anni fa pubblicai per la prima volta su efp, con la prima versione di Narnia's Spirit (allora chiamata The Just and The Sly), e iniziai la mia “carriera” di scrittrice. Il tempo vola. *^* E ringrazio se questa storia è ancora seguita anche da qualcuno che iniziò a leggerla nell'agosto del 2010.


Altre storie in corso:

Le Cronache di Narnia: Essence / Elements and Seasons. (Completa!)
Zero no Tsukaima: Mizu no Chikai.

Originali: Dhialya / Punti di Vista. (Completa!)


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Capitolo 18
*** Scie di decisioni. ***


Narnia's Spirits
Scie di decisioni.







La lotta tra Narniani e Telmarini continuava, imperterrita, all'interno delle mura del castello.

Grida disperate e di guerra si innalzavano nel cielo nero riempiendo l'aria ed animandola, il sangue macchiava la terra formando chiazze scure e dall'odore ferroso, e le armature e le spade cozzavano tra loro producendo un rumore continuo.

Peter fissava attonito il corpo riverso a terra del Narniano che le guardie di Miraz avevano colpito e che quest'ultimo aveva fatto cadere dal parapetto del balcone al quale era affacciato con una spinta.

Era completamente fermo in mezzo alla battaglia e con occhi strabuzzati osservava quello che era stato un suo soldato fino a pochi minuti prima. Alzò poi lo sguardo verso la lotta che si stava svolgendo intorno a lui, cercando di ragionare.

Si liberò abbastanza velocemente di una guardia che aveva tentato di colpirlo, e mentre mille pensieri vorticavano nella sua testa s'impose la calma per studiare la situazione.

Mancava così poco...


Vide Susan combattere accanto a Lia, i dardi che tagliavano l'aria e la figura della giovane che si muoveva tra le guardie colpendone il più possibile.

Erano stati così vicini...


Glenstorm si occupava di due soldati e li teneva a bada con la sua spada a due mani, mentre un fauno si caricava sulle spalle Trumpkin, incosciente per la caduta. Si rifiutava di pensare che il nano a cui avevano salvato la vita potesse essere morto. Lucy, soprattutto, non glielo avrebbe mai perdonato. E, in una parte inconscia di sé, nemmeno lui se lo sarebbe mai perdonato.

“Non dovete andare.”


Si portò una mano alla fronte, confuso, e strizzò gli occhi. Perché proprio in quel momento gli veniva in mente Dhemetrya?

Scosse la testa per togliersi i ricordi da davanti agli occhi.

Dannazione.

Facendo vagare lo sguardo non incontrò Caspian, ma nonostante il principe non gli andasse a genio sperò comunque che stesse bene, perché quel signorino non poteva permettersi di morire, in alcun modo e per nessuna ragione. Altrimenti tutto ciò che stavano facendo non avrebbe avuto più un senso completo.

I pensieri del Re, poi, corsero come un cavallo senza controllo ad Edmund ed Evelyn, che aveva perso di vista dopo che il minore dei fratelli lo aveva salvato da una freccia Telmarina. Sperò con tutto il cuore, mentre una morsa di apprensione gli stringeva lo stomaco, che stessero bene.

Un rumore sordo, di ferro che sbatte contro qualcosa di duro, lo riscosse attirando la sua attenzione su ciò che stava accadendo.

Gli occhi di Peter vagarono inquieti per il cortile fino a che non incontrarono il peso che teneva sollevata la grata a terra, mentre questa si abbassava inesorabilmente.

Avrebbe chiuso ogni loro via di fuga.

Stavano per fare la fine dei topi in trappola. Sarebbero stati spacciati, tutti loro; lui, i suoi fratelli, i soldati... e non poteva permetterlo.

Doveva agire da Re e fare ciò che gli sembrava più convenevole in quel momento per quello che rimaneva il suo popolo, relegando il pensiero di Miraz, che aveva avuto quasi in pugno pochi istanti prima, lontano dalla sua testa.

-Ritirata! Subito!- Urlò infine, più forte che poteva, convincendosi che non c'era più niente da fare per il momento ed il tempo scarseggiava.

Iniziò ad avanzare verso il centro del cortile per essere più visibile dai suoi uomini, guardando gli arcieri sopra di lui che ancora impugnavano le balestre ed attendevano un ordine. Toccò le spalle di alcuni fauni e minotauri intimandogli di uscire e indicando l'entrata, cercando di fare più veloce che poteva, per poter salvare più vita che riusciva.

Lo sguardo di Peter si focalizzò su Susan, vicino al pozzo del palazzo, e poi su Glenstorm che, mentre impugnava la sua spada e abbatteva i soldati che gli si paravano di fronte deciso a salvare la vita a se stesso ed i compagni che lo seguivano, correva verso l'uscita seguito da alcuni Narniani.

-Portatela via!- Urlò, indicando la sorella con la spada.

-Subito! Fuori!-

Il centauro le porse la mano libera e una volta che la Pevensie gli fu in groppa si diresse verso l'uscita.

-Caspian!- Susan si voltò verso il fratello, gridando a squarciagola per farsi sentire al di sopra del rumore delle armi che si scontravano.

-Lo trovo io!- la rassicurò, temendo forse che per cercare il Principe la sorella si rifiutasse di andare al sicuro fuori dalle mura del castello. Non se lo sarebbe perdonato, non si sarebbe permesso altri errori.

-Ritirata! Fuori!-

Molti non potevano scappare nemmeno volendo, impegnati a trattenere le guardie di Telmar in un combattimento o troppo feriti per muoversi.

Peter, rimasto nel cortile, continuava a sbracciarsi tra i vari Narniani per far si che almeno la maggior parte e coloro che potevano riuscissero a scappare da quel luogo che presto sarebbe diventata una tomba.

-Andate, uscite presto!-

La loro.


***


Edmund era confinato sulla torretta, il volto sudato e con i capelli appiccicati in fronte ed il petto ansante per la corsa nel tentativo di seminare i suoi inseguitori.

Ci era arrivato correndo tra scalini di pietra e corridoi stretti, e aveva avuto tanto l'impressione di perdersi in una miriade di percorsi che lo allontanavano dal luogo principale in cui sarebbe dovuto essere.

Si affacciò di nuovo per vedere di sotto ed ebbe conferma, per l'ennesima volta, che se si fosse buttato non avrebbe avuto un atterraggio che avrebbe definito morbido. Nel migliore dei casi sarebbe solamente morto spappolato al suolo – quale suolo, che sotto era tutto buio?, il ché non sarebbe stata una bella fine. Proprio per niente.

Rabbrividì al pensiero mentre il sangue gli si gelava nelle vene, e scrollò le spalle, cercando di scacciare i brutti pensieri.

Aveva ben chiara la sua situazione disastrosa, e non era il momento di pensare ironicamente sulla fine che avrebbe potuto fare.

Chissà poi dov'era Evelyn, non avrebbe dovuto ne voluto lasciarla sola in mezzo a soldati di Telmar, ma il pensiero che Peter potesse essere ferito aveva prevalso e senza pensarci era corso in soccorso del fratello.

Sperò che la sorella minore fosse riuscita a raggiungere gli altri nel cortile principale senza problemi, giacche in quel momento i sensi di colpa lo divoravano se solo le fosse successo qualcosa – senza contare che sulla torretta si era praticamente proclamato la sua balia ufficiale.

Prima che potesse dilagare in altri pensieri o studiare un modo per fuggire da li un rumore secco alla porta lo riportò alla realtà. Si girò di scatto, sgranando gli occhi e trattenendo il respiro mentre il cuore gli martellava quasi in gola, agitato. Questo lo fece tornare alla sua situazione: si trovava in una torretta chissà dove, nessuno sapeva che era lì e la porta non avrebbe retto ancora per molto.

Inoltre, la sua mente era occupata da tutt'altri pensieri che lo rendevano decisamente poco lucido, e la stanchezza iniziava a farsi sentire pressante insieme al panico. Non sapeva se sarebbe riuscito ad affrontare entrambe le guardie senza subire danni.

Un'altra spinta e la torcia venne scaraventata in un angolo della torre, cozzando contro il muretto e spegnendosi.

Edmund indietreggiò più che poté guardando dietro di sé, finendo sul bordo, mentre osservava i due soldati di Telmar avanzare, spade sguainate e sorriso di vittoria sul volto.

Rivolse un sorriso sghembo alle guardie che si guardarono, non capendo, poi si buttò nel vuoto nero dietro di lui.


***


-Come hai fatto a sapere che ero lì?- Domandò Edmund, dopo essersi ripreso e rendendosi conto che non aveva mancato la schiena del grifone.

Era salvo.

-Ho studiato i vostri movimenti dall'alto, Sire, non me ne sono mai andato. Questo su ordine di Re Peter-.

Ed sorrise leggermente, aggrappandosi maggiormente alle piume della creatura e scuotendo la testa per togliersi i capelli dagli occhi e lasciando che l'aria i tirasse indietro del tutto. Certo, Peter... avrebbe dovuto immaginarlo.

-Ora cosa facciamo, Maestà?- Domandò Bayord, dopo aver girato dietro la torretta ed uscendo dalla vista dei due soldati, librandosi in cielo silenziosamente.

-Andiamo al cortile principale-.


***


La sagoma di Evelyn era accovacciata sul freddo pavimento di marmo, immobile e lo sguardo era rivolto verso il basso. Il sangue che usciva dalla spalla ferita continuava a gocciolare, sporcando così il pavimento sul quale era seduta.

Faceva freddo.

O almeno, per lei era così; da qualche minuto aveva iniziato a darle fastidio la brezza notturna che entrava dalle finestre aperte. Avrebbe tanto voluto un fuoco acceso e scoppiettante davanti agli occhi e una coperta intorno alle spalle – e, possibilmente, che entrambe fossero prive di ferite.

Inspirò profondamente mentre con un pezzo di fazzoletto cercava inutilmente di fermare il sangue, che invece non voleva proprio saperne di smettere di macchiare il suo abito, colando in rivoli lungo la stoffa e all'interno della stessa, rigando la pelle.

Senza contare che, da sola, non riusciva a tamponare bene dietro.

Sperava di non morire dissanguata, ma se avesse continuato così c'era il rischio – e Lucy sarebbe stata troppo lontana da raggiungere, e non c'era la certezza che si sarebbe ricongiunta con gli altri.

Si sentiva debole e stravolta, con un potente groppo in gola a bloccarle ogni parola. Non sapeva come mai non avesse ancora pianto, ma era sicura che prima o poi avrebbe superato il limite sopportabile e sarebbe scoppiata.

Per il momento sembrava al sicuro perché i tre gruppi di soldati che si stavano per congiungere nel punto in cui si trovava lei erano stati richiamati all'ordine da due generali perché si richiedeva la loro presenza per uccidere gli invasori che ancora combattevano nel cortile principale.

Se non aveva sbagliato a sentire i pezzi di discorsi, i Narniani stavano perdendo e battendo in ritirata.

E gli altri? Come stavano gli altri? Peter, Edmund, Susan, Caspian, Lia…

Fermò i suoi pensieri: la lista di nomi delle persone a cui teneva era troppo lunga perché potesse essere elencata in un momento simile. Fortunatamente almeno Lucy era al sicuro alla casa di Aslan, così come la bizzarra Dhemetrya. Forse iniziava a capire cosa la ragazza avesse voluto dire loro.

Si maledì, sentendosi in colpa.

Perché non ho provato a convincere maggiormente Peter? Tutto questo non sarebbe successo.

Cercò di alzarsi aiutandosi con il bracci sano, ma si bloccò di colpo sentendo di nuovo dei passi che tornavano alla carica verso la sua direzione. Non avrebbe saputo dire se erano gli stessi uomini di prima, però l'istinto le gridava solo di scappare il prima possibile da li.

Era troppo vulnerabile.

Bene Eve: inspira, espira, inspira, espira… Pensa, pensa, pensa, dannazione! Sei o non sei la Scaltra?

Mentre imprecava tra sé contro la sua stessa persona appoggiò la testa indietro in modo un po' troppo forte, e ciò provocò un rumore sordo che, però, non sembrava aver raggiunto le orecchie dei Telmarini impegnati nell'assegnarsi i compiti – tra cui anche il trovare l'intrusa.

La Pevensie si portò la mano sana dietro la nuca e si morse la lingua per non urlare sul momento. Strizzò gli occhi e quando si fu calmata sussurrò un mugolio di dolore.

Si girò minacciosa, maledendo la situazione in generale, la sua mente in panico e le lacrime che premevano per uscire, e soprattutto si chiese perché il legno che costituiva la grande porta a cui era appoggiata dovesse essere duro come il marmo.

Dannazione, aveva fatto male sbatterci contro!

…Porta di legno?


Evelyn sgranò gli occhi e saltò in piedi, ingoiando lacrime di dolore per la fitta che si diramò tra il braccio e la schiena. Iniziava a fare davvero, davvero troppo male.

Mentre allungava il braccio in direzione della porta, chiedendosi come potesse non averla collegata come possibile via di fuga, si diede della stupida.

Con la mano stava per afferrare la maniglia ed aprire, il movimento che avrebbe potuto salvarla però si fermo a mezz'aria mentre dei dubbi le si insinuarono come serpenti nella sua mente: era sicuro entrare in una stanza che neanche conosceva? E se dentro c'era qualcuno ad attenderla per ucciderla? Magari quella era la stanza dello stesso Miraz che al seguito aveva un altro gruppo di soldati.

La Pevensie corrugò la fronte, indecisa sul da farsi, poi si sporse leggermente e appoggiò un orecchio sul legno freddo della porta per cercare di provare a sentire qualcosa proveniente dall'interno.

Sembra non ci sia nessuno.


Allontanò il volto, continuando a studiare il legno.

Però potrebbe essere una trappola.

Picchiettò nervosamente un piede, vagliando le possibili soluzioni, prendendo per se del tempo che in realtà non aveva. Avrebbe dovuto decidere più in fretta.

Si girò di scatto alla sua destra, attirata dalle voci di uomini distinguibili nonostante i rumori della battaglia e il vario caos che regnava all'interno e soprattutto fuori dalle mura del castello.

-Io dico che è andata a destra- fece una voce maschile in tono sicuro.

Evelyn tese le orecchie e si bloccò, improvvisamente attenta. Di chi parlavano?

-Io invece sono sicuro di averla vista andare a sinistra- Sbottò una seconda in tono scocciato.

La Pevensie corrugò la fronte, sentendo le loro armature tintinnare. Forse di lei?

-No, guardate che vi sbagliate entrambi: la ragazza ha preso la via dritta- Rispose invece un terzo in tono solenne.

Eve abbassò la testa scuotendola lentamente, per poi grattarsi la nuca, leggermente in imbarazzo. Si, parlavano di lei.

Nel frattempo però si chiese anche se quei Telmarini fossero così stupidi da non capire che per trovarla bastava che si dividessero e ognuno prendesse una direzione. Però era meglio così, decisamente meglio così.

La sua attenzione venne rivolta nuovamente alla porta davanti a lei. Cosa fare? Osare o non osare?

-Ognuno vada in una direzione-.

La voce di un Telmarino e il rumore di passi che prontamente si avvicinavano, diede l'impulso alla Pevensie di aprire la porta ed entrare nella stanza, il cuore che le martellava nelle orecchie come un tamburo e una preghiera silenziosa espressa in nome di Aslan nel petto.


***


Sto arrivando.

Chiese alla giumenta di aumentare l'andatura, mentre cercava di tenere a bada un groppo in gola che le stava salendo e che non poteva permettersi.

Doveva rimanere lucida, doveva arrivare e capire cosa avrebbe potuto fare.

Aveva capito ormai da tempo che le cose non stavano andando bene, al castello, altrimenti qualche grifone sarebbe già tornato indietro ad annunciare a gran voce la vittoria di Narnia e la deposizione di Miraz.

E allora sarebbero state lacrime di gioia e grida di libertà ad innalzarsi tra i Narniani alla casa di Aslan. E non il silenzio teso che regnava da prima che se ne andasse di nascosto.

Tenete duro, sto arrivando.


***


Si ritrovò in una stanza avvolta nel buio, dove la luce non filtrava nonostante le tende nella stanza non fossero tirate, questo perché la notte era senza luna.

Aguzzò la vista mentre si chiedeva dove si trovasse: nella penombra distinse un letto a baldacchino, uno strano letto a baldacchino, tutto disfatto e con le piume dei cuscini sparse sopra e intorno alla struttura. Nel materasso, inoltre, erano infilzate parecchie frecce.

Qualcuno in quella stanza aveva avuto un attentato alla propria vita.

La Pevensie strabuzzò gli occhi, sorpresa.

Possibile che fosse la camera di Caspian?

Cercò di ragionare su cosa potesse fare come prossima mossa, avvicinandosi di qualche passo al letto e studiando la camera. Strano che nessuno si fosse premurato di sistemarla per nascondere la verità.

Si spaventò quando sentì un fruscio dietro di lei, e il fiato le si mozzò in gola, mentre deglutiva rumorosamente. Un secondo fruscio ed Evelyn si fece coraggio estraendo Asterius con il braccio sano e girandosi di scatto verso la direzione del rumore.

Lo sapevo che questa era una pessima idea!

Pensò lagnante, impugnando l'elsa della spada più fermamente che poteva. Cercava di scorgere qualcosa attraverso il buio che regnava sovrano, ed i suoi occhi distinsero un trespolo. Evelyn fece per avvicinarsi, quando sentì di nuovo un fruscio seguito da dei ...campanellini?

Quando fu abbastanza vicina al trespolo si fece coraggio e parlò per prima, la spada sempre puntata davanti a sé.

-Avanti esci fuori, chiunque tu sia- sussurrò, cercando di mantenere un tono calmo e sicuro. In risposta le arrivò alle orecchie il tintinnio leggero di pochi attimi prima.

Cos'è, uno scherzo?


Si accigliò, avvicinandosi maggiormente e strizzando gli occhi. Stavolta nella penombra riuscì a distinguere una sagoma appollaiata e vide due occhi oro che la osservavano nel buio, brillando.

-Oh ma sei solo un pennuto!- Si lasciò scappare, mentre sospirava di sollievo rinfoderando Asterius. -Mi hai fatto spaventare, sai?- Il falchetto pigolò in risposta, mentre osservava la Pevensie che allungava un braccio per accarezzarlo. Quando fece per beccare quella si ritrasse, affilando lo sguardo.

Uffa.

-Ti porterei volentieri con me, però sono sicura che qui starai meglio-

E che non verresti se non facendo un baccano allucinante.

Cosa di cui in quel momento non aveva assolutamente bisogno. Senza contare che non era abituato alla vita lontano dalla corte, ed inoltre c'era sicuramente qualcuno che si occupava di lui. Dopotutto Caspian era via da parecchi giorni.

Il suo sguardo venne catturato da un armadio e istintivamente, forse in ricordo dell'armadio a casa del professor Kirkle che li aveva condotti a Narnia, Eve ci si fiondò dentro chiudendosi alle spalle la piccola anta che cigolò leggermente.

Sentì distintamente i rumori dei passi e l'armatura del Telmarino che frusciava tra sé producendo un rumore metallico che si avvicinava e chiedeva distintamente agli altri due gruppi di vedetta se avessero visto l'intrusa.

Senza pensarci la ragazza si fece spazio in mezzo a tutti quei vestiti arretrando e toccando con la schiena il fondo dell'armadio, inciampò però in qualcosa e cadde all'indietro con il solo risultato che la freccia penetrò maggiormente nella sua spalla e guadagnandosi un bernoccolo.

Ebbe un senso di vertigini e nausea, mentre aprendo lentamente gli occhi vedeva tutto vorticare. Quando tutto fu passato si mise seduta, e il dolore arrivò forte e deciso come se fosse stata ustionata sul momento.

Faceva male, dannazione, tremendamente male!

Le veniva da piangere. Si sentiva quasi vuota, senza voglia più di scappare. Solo di riposare un po', chiudere gli occhi e cercare di estraniarsi da quel momento.

Una voce interiore, però, la faceva andare avanti seppur ad inerzia. Si rifiutava di lasciarsi andare li, in quattro mura desolate e sporche: se avesse dovuto morire, lo avrebbe fatto vedendo l'oceano e il tramonto dalle rovine di Cair Paravel.

Si guardò intorno, tirandosi in piedi e studiando il posto in cui si era ritrovata, totalmente priva di pensieri logici.

Era un cunicolo neanche tanto grande e assomigliava molto a quello dei castori con la differenza che era a grandezza uomo e di pietra, con qualche torna fuoco per illuminarlo lungo il percorso. La via, però, si trovava immersa nella penombra, poiché le torce non erano più state alimentate o la sua esistenza era andata dimenticata.

Eve si domandò se fosse tramite quel passaggio che Cornelius era riuscito a far scappare Caspian.

Sentì provenire da fuori la voce di un soldato di Telmar che indicava agli altri che era sicuro che lei si trovasse in quella stanza, perché sul pavimento vicino alla porta si trovava del sangue e le tracce non andavano in altre direzioni.

Sbirciò dall'anta, invece di seguire l'istinto e scappare subito, e vide la grande porta di legno aprirsi con un grande tonfo mentre all'interno si facevano spazio tre Telmarini. O forse quattro, ma il buio era troppo per distinguere bene le figure.

La cosa che agli occhi di Eve arrivò distinta, però, fu il luccichio delle spade impugnate dai soldati.

Arretrò facendo il meno rumore possibile e si ritrovò all'inizio del cunicolo: raccolse tutta la calma che le rimaneva prima di scoppiare in un esaurimento nervoso, imponendosi di ragionare con freddezza ed analizzare la situazione.

Era in un castello che non conosceva, ferita e stanca – era completamente diverso dallo stare sveglia tutta la notte quando era a casa da scuola.

Non sapeva come stavano gli altri, ne dove fossero, ne dove fosse lei e come potesse uscire da li o avvertir loro della sua posizione. Senza contare che, per quanto potesse saperlo, quel passaggio poteva portarla completamente fuori strada rispetto a dove voleva andare.

All'interno della stanza i soldati di Telmar rovistavano tra le ceste, sbattevano le ante degli armadi o buttavano in giro mobiletti per trovarla.

Si convinse a muovere il primo passo in modo del tutto inconscio, seguito a ruota da altri che si facevano più veloci per quanto poteva, quando ormai si rese conto che quella era la sua unica via d'uscita.


































































Dunque, salve lettori :)

Allora: Capitolo abbastanza concentrato su Eve e, come per l'altro che annunciava la prima parte di battaglia, certi pezzi li ho resi un po' più veloci, essendo conosciuti, quindi maggiormente l'attenzione è catalizzata su quelli che non ci sono nel film (ma che ho cercato di amalgamare, specialmente nel prossimo spero si noti la cosa).
Per quanto riguarda gli eventi, sono pressoché uguali alla versione precedente – essendo comunque la versione della trama sempre quella iniziale – circa. ^^' Dhem esclusa.
Unica cosa, sono stata “costretta” a dividere nuovamente per un pezzo nuovo che sarà presente nel prossimo capitolo, altrimenti ne venivano fuori due, ma troppo lunghi davvero e un po' confusi.
Grazie per la lettura ed il supporto, ringrazio per seguiti, preferiti e ricordate.
Una stretta forte,
Dhi.



*** Per chi seguisse altre mie storie:
Essence è arrivata al capitolo diciottesimo, riguardante il Lampione.
Elements and Seasons è giunta, dopo più di due anni, a conclusione, con il capitolo riguardante Edmund.
Dhialya (Originali/Generale) è giunta anch'essa a conclusione con il capitolo settimo riguardante il tema dell'Amicizia.
Nella sezione Originali/Nonsense ho pubblicato due flash, Urlo Ingabbiato e C'era una volta la vita.

Grazie ancora.

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Capitolo 19
*** Mortale silenzio di tomba. ***


Narnia's Spirits
Mortale silenzio di tomba.








Scuderie?

Distorse il naso, Eve, quando il tanfo penetrante del letame che sarebbe stato raccolto la mattina dopo dagli scudieri le arrivò alle narici, stordendola. Non ci era più abituata, benché a Cair Paravel avessero anche loro delle stalle.

Ecco come ha fatto Caspian a scappare.

Le fu tutto più chiaro, quando collegò che il passaggio preso dalla camera del Principe conduceva alle scuderie. Ingegnoso. Evidentemente era stato fatto apposta per casi di emergenza in cui si sarebbe dovuti scappare, come assedi al castello, episodi in cui i regnanti dovevano riguardare la loro vita.

Chi immaginava che si sarebbe dovuto proteggere dai suoi stessi parenti, il Principe?

Sentì un tocco leggero sulla spalla e si girò di scatto, Eve, facendo un salto indietro e sgranando gli occhi per lo spavento. Non riuscì nemmeno ad urlare, perché il cuore le era balzato in gola e lo percepì come un nodo che le impedì di emettere suono.

Caspian?


-Cosa ci fai tu qui?-

Il ragazzo davanti a lei corrugò la fronte e alzò un sopracciglio, lo stesso pensiero che gli percorreva la testa.

-Potrei farti la stessa domanda- Affermò, ovvio, osservando i capelli della ragazza scomposti e il volto sudato. Ed era pallida, troppo pallida, con gli occhi arrossati e lucidi.

-Ma non c'è tempo, tuo fratello ha dato l'ordine di ritirarsi- Spiegò in fretta, sapendo che la situazione per i Narniani era grave ma non sapeva esattamente quanto, da quando aveva lasciato il cortile.

Cercò di voltarsi, e allora i suoi occhi caddero sulla spalla, sull'abito impregnato di sangue e il tessuto che iniziava a sfaldarsi, attaccandosi alla pelle – le girò intorno, per osservare meglio.

-Ma sei ferita!- Indicò, spiegandosi anche come mai Eve fosse in quelle condizioni troppo, troppo disastrate per il ruolo sulle torretta che avrebbe dovuto avere.

-Potrei essere morta- Esalò lei semplicemente, buttando uno sguardo dietro e non immaginando come fosse in realtà la sua ferita.

-Sire, dobbiamo andare. Non c'è tempo- intervenne una terza voce, coperta dal rumore di zoccoli agitati. Evelyn si girò, così come Caspian, verso colui che aveva interrotto la loro discussione.

Si ritrovò davanti un uomo non molto alto, in carne: aveva il viso segnato dalle rughe del tempo, i capelli e la barba erano entrambi lunghi, riccioli e bianchi segnando, così come le rughe, l'età avanzata dell'uomo. Inoltre indossava sul naso dei piccoli occhiali a forma circolare che gli davano un aria colta e in mano teneva le redini di tre cavalli che scalpitavano per il rumore proveniente dall'esterno, di cui uno era Destriero.

-Lo so che è sconveniente come momento, però permettetemi di presentarvi- fece Caspian, veloce, avvicinando i due che non poterono tirarsi indietro.

Proprio adesso, Caspian?

-Evelyn, lui è il mio precettore Cornelius- Lei sorrise, leggermente in imbarazzo, alzando una mano e mimando un saluto per quanto le fosse permesso.

-Cornelius lei è Evelyn, una delle Regine di un tempo di cui tanto mi avete parlato-.

L'uomo strabuzzò gli occhi, non aspettandosi quell'uscita e rimanendo spiazzato. Tossì, schiarendosi la voce per riassumere contegno, lisciandosi la barba, nervoso.

-E' un onore conoscere un Sovrano dell'età d'Oro di Narnia, sono onorato di fare la vostra conoscenza, Maestà- Fece per inchinarsi, ma Eve prontamente lo fermò, scoccando un'occhiataccia a Caspian per quella presentazione di cui non c'era bisogno.

-Non c'è bisogno di tutte queste formalità, per questo le chiedo di darmi del tu- Affermò, sicura. Cavoli, tornare a parlare in quel modo serio e posato era strano, non ci era più abituata.

-Lascia che ti selli un cavallo, sei ferita e…- iniziò Caspian, dirigendosi verso un stalla, mentre Cornelius montava con fatica.

-Non preoccuparti, iniziate ad andare- propose Eve, fermandolo. -Vi raggiungerò subito- promise, tentando di sorridere.

Caspian guardò dubbioso la Pevensie, poi si decise ad andare quando lei gli fece un cenno con la testa verso l'uscita mimando un Vai.

Non appena i due ebbero varcato la soglia delle scuderie Eve si guardò in giro, soppesando il luogo e pensando se sarebbe riuscita a fare tutto da sola.
Forse aveva sbagliato a non farsi aiutare.

-Evelyn?-

Eh?


Si guardò intorno, stupita, chiedendosi di chi fosse la voce che sentiva e che le suonava sconosciuta. Magari aveva iniziato ad avere le allucinazioni, dato che nella scuderia non c'erano più persone.

-Siete la Regina Evelyn la Scaltra?-

Individuò la fonte che le stava parlando: un cavallo dal manto scuro come il carbone che era rivolto verso di lei, aveva delle balzane bianche e la criniera e la coda erano tendenti al grigio. Inoltre se lo si confrontava con gli altri equini era più alto di una decina di centimetri.

Parlava?


Ci capiva davvero poco in quel momento di tutta la faccenda e ciò che stava succedendo. I fatti andavano e venivano e lei quasi nemmeno se ne accorgeva, restandoci invischiata in mezzo.

-Sì. Perché?- Eve affilò lo sguardo e si avvicinò lentamente, permettendosi di essere sospettosa.

-Permettetemi di presentarmi: mi chiamo Antares. Sarei onorato di portarla in salvo fuori da qui, mia Regina-.

Perché tutti le si rivolgevano con tono formale in un momento simile? Sarebbero dovuti uscire da li e allontanarsi al più presto da quel luogo che stava diventano un inferno.

-Sei un cavallo di Narnia?- Aprì il cancellino del box e fece uscire il cavallo, mettendogli poi almeno le briglie che aveva trovato lì vicino, intuendo che fossero sue. Non sarebbe riuscita a reggersi solo alla criniera, anche se le dispiacque per l'animale che avrebbe potuto protestare per quella libertà negata.
Con la fortuna che si capivano non fece fatica come solitamente capitava, e di questo gli fu grata, poiché le costò meno sforzo per la spalla ferita ed avrebbe evitato di cadere durante la fuga imminente.

-Sono stato catturato anni fa, mi ero allontanato troppo dalla foresta. Ovviamente non ho parlato e ho atteso il giorno in cui avrei riacquistato la libertà. Però non è stato facile, non mi hanno cavalcato spesso. Dicevano che la mia mole poteva essere un problema e l'ultima cosa di cui avevano bisogno era qualche soldato morto per essere stato disarcionato-.

Antares si chinò leggermente per far salire la Pevensie più agevolmente, mentre spiegava brevemente i fatti più rilevanti capitati nella sua vita negli ultimi tempi.

-Mi hanno comunque tenuto nelle scuderie, senza un motivo preciso, probabilmente-.

Eve si aiutò salendo su un barile, aggrappandosi poi alle briglie e cercando di riacquistare in fretta famigliarità in ciò che stava facendo.

-Eve!-

-Lia?- Chiese d'impulso, ma la sua voce venne coperta da una più profonda.

-Antares!- Fece di rimando la lupa, drizzando le orecchie verso i due, il tono di voce in qualche maniera sollevato. Era come se in Lia si fosse sciolto un nodo, si sentiva più tranquilla nel vedere il Narniano che stava bene davanti a sé realmente.

-Sono passati anni da quando sei scomparso!-

-Vi conoscete?- S'intromise Eve, asciugandosi un po' il sudore dalla fronte. I due animali si limitarono ad annuire, poi tagliarono corto rendendosi conto che le cose si stavano tirando troppo per le lunghe.

-Non c'è tempo, dobbiamo andare- Antares sfregò uno zoccolo contro il cemento del pavimento, impaziente.

Voleva uscire di li, definitivamente.

Lia li precedette, ed Evelyn incitò il Narniano a partire e seguire la figura della lupa.

-Andiamo-


***


Eccoci.

Entrò nella cittadella buia, puntando in direzione del castello senza nemmeno osservare intorno se qualcuno fosse in giro o la stesse seguendo.

Dhemetrya poteva sentire quasi distintamente ciò che le portava il vento, l'odore del sangue che veniva sparso nell'aria, il rumore dell'acciaio che si incrociava in una danza mortale, le grida stanche e di dolore dei due eserciti che si scontravano. E la voce di Peter, che ordinava la ritirata, la colpì come un pugnale quando arrivò ad attraversare il ponte levatoio.

Superò il gruppo dei Narniani che si erano già messi in salvo uscendo da quella prigione reale come un lampo bianco, le creature che guardarono la sua figura senza riconoscerla del tutto e mettendosi da parte per farla passare per evitare di essere travolti.

Era... era un disastro.

Quando la giumenta si fermò in mezzo al piazzale Dhem si permise di analizzare la situazione.

Era un totale disastro.

Avvertì una stretta al cuore, nell'osservare ciò che si trovava davanti: la morte danzava nell'aria sinuosa come un predatore e colpiva, la vita scorreva via, fuggendo dai corpi esangui e provati di coloro che si ostinavano a combattere.

Si ritrovò a cadere rovinosamente a terra e sbattere la schiena, un dolore lancinante che le si irradiava per tutto il corpo per quella caduta improvvisa e contro cui non si era riparata, quando l'animale che cavalcava si impennò, nitrendo.

Cosa...?


Nitrendo di dolore, Dhemetrya poté sentirlo distintamente in mezzo alla confusione che aveva in testa. Strizzò gli occhi, accovacciandosi e guardandosi intorno se per caso non fosse stata presa di mira da un soldato. Poi, il suo sguardo si focalizzò sulla figura biancastra distesa a terra, un bastoncino di legno che spuntava dal ventre ed un altro dal collo.

No.


Gattonò velocemente, graffiò le unghie contro il terreno insanguinato e impiastricciato di sangue quasi asciutto, sporcò gli abiti di terriccio.
Non poteva essere. Si sporcò le mani di rosso vivo, immerse le dita nel pelo macchiando il bianco.

No, non farmi questo, ti prego.

Sangue e lacrime si mischiarono, quando il corpo della giumenta smise di annaspare nel dolore e nel tentativo di rialzarsi da terra.

Provò rabbia, Dhemetrya, per non essersi accorta ed aver impedito che ciò accadesse, per non aver impedito che tra le fila Narniane ci fosse un'ennesima perdita. Una perdita completamente innocente rispetto a tutto ciò che stava accadendo.

Provò dolore, nel sentire la vita scorrere via, nell'ascoltare il cuore che smise di battere, il respiro fermarsi. Provò un dolore come da tempo non sentiva, per non essere stata in grado di aiutarla.

Il cuore sembrò affondare come colpito da un mattone, percepiva tutto incredibilmente pesante.

Soraya...

Era stato un errore, recarsi li.


***


Appena fu fuori dalle scuderie il rumore della battaglia le trapanò la testa da parte a parte, come se fosse stata colpita. Era come se in quell'arco di tempo fosse stata in una bolla di vetro. Non si era resa conto di quanto penetranti fossero i rumori attorno.

Caspian guardava Miraz scoccandogli sguardi d'odio che sembravano volerlo trapassare da parte a parte, frecciate a cui l'uomo rispondeva senza timore, fiamme negli occhi vivi di entrambi ad animare i loro animi e le loro emozioni.

Era come se fosse un gioco tutto loro che di divertente non aveva nulla.

Osservò il campo di battaglia, Peter che sbraitava continuamente di ritirarsi. Era stravolto e stanco, suo fratello, la voce spesso gli si mozzava in gola per il fiato corto e lo sforzo a cui era sottoposto.

Dhemetrya...?


Mentre tutto intorno la battaglia infuriava, la figura di Dhem era immobile accanto alla giumenta, atterrita, il bianco ormai sporco dal sangue che era fuoriuscito dalle ferite.

Eve la individuò quasi per caso, perché sarebbe benissimo potuta passare per un fantasma che con la guerra non c'entrava niente. Si voltò di nuovo verso Peter e poi alzò lo sguardo: dall'alto gli arcieri attendevano l'ordine per poter scoccare le frecce.

Non c'era
davvero più tempo.


***


Dhemetrya! Il ringhio di Lia le arrivò come una stilettata in testa. La ragazza sobbalzò, totalmente confusa, alzando lo sguardo carico di lacrime sulla battaglia.

Vieni via!
La lupa aveva individuato cosa stesse osservando Eve, ed era trasalita, nel vedere la figura dell'Eterea trasandata e nel mezzo della battaglia, indifesa e disattenta.

I-Io... Cercò di riportare calma nella sua testa, ma gli occhi osservarono il sangue che si ritrovava intorno.

Era tutto insopportabile.


Gli occhi blu si macchiarono dello scarlatto che si incise nuovamente davanti alla retina. Era insopportabile.

È colpa mia.


Si sentì tirare da una parte della casacca violentemente.

-Non pensarci adesso!- Lia la guardava, cercando di farla alzare e mordendo ansiosamente la stoffa. Si alzò come un automa per raggiungere l'amica, tendendo le mani tremanti in avanti, lasciandosi dietro il resto.

...Va bene.


***


Miraz afferrò la balestra del generale e diede l'ordine di colpire, mentre anche lui scoccava frecce verso il minotauro che sorreggeva la grata in attesa che i restanti Narniani fuggissero in salvo.

Voleva togliere loro ogni via di fuga. Voleva togliere la vita ai ribelli, far sparire definitivamente Caspian per non avere più rivali.

Lui, e lui soltanto, sarebbe stato Re e conquistatore.


***


Peter diede un calcio ad un Telmarino e si issò in groppa al cavallo che era stato preparato per lui. Aumentarono l'andatura dei loro cavalli quando furono sicuri che il Re Supremo gli avrebbe seguiti, mentre la pioggia di frecce cadeva su di loro in sibili mortali.

Evelyn vide un fauno e una tigre venire colpiti e cadere al suolo, Lia mettersi in salvo per prima con Dhemetrya che la cavalcava. Essere fuori e superare la grata fu quasi un sogno, ed accadde velocemente che nemmeno se ne resero conto.


Un tonfo sordo.

Un suono pesante e sinistro non appena furono fuori costrinse Peter ed Eve a fermare i cavalli. Si voltarono indietro, sapendo che invece avrebbero dovuto continuare a scappare, ma quel richiamo fu più forte.

Vari abitanti di Narnia si accalcavano sulla grata mentre le frecce continuavano imperterrite, impossibili da fermare, a piovere su di loro con sibili sinistri che innalzavano lamenti di dolore.

Guardò Susan sconvolto, Peter, osservando poi l'addio silenzioso tra Glenstorm e suo figlio, rimasto all'interno del cortile, un cenno che racchiudeva tutte le parole che non potevano dirsi e che non sarebbero state dovute dire – non in quelle circostanze, non così.

Si sentì terribilmente impotente.

Spostò lo sguardo lucido su Evelyn, che aveva seguito la scena. Aveva anche lei gli occhi lucidi per tutta la situazione generale, il dolore per la spalla che bruciava, la stanchezza. Riusciva però a fissarlo negli occhi con una punta di astio, mentre a stento reprimeva la voglia di dirgli in faccia ciò che pensava fin dall'inizio.

Non era il momento adatto.

Gli dispiaceva per suo fratello, sapeva che non si era divertito a mettere a repentaglio la vita di tutto ed aveva ideato quel piano sperando di avere meno perdite possibili e spodestare in fretta Miraz. Una serie di eventi però erano andati male.

E ora se ne pagava il prezzo.

-Peter, Eve! Il ponte!- Gridò Caspian, mentre indicava ai due Pevensie il legno che si alzava per bloccare ogni via di fuga.

Si girarono come se avessero avuto un richiamo nuovamente in direzione dei Narniani intrappolati nel cortile. Era troppo lasciarli lì a morte certa, era uno strazio, un senso di colpa, inadempienza ed impotenza che dilagavano travolgendo tutto.

Eve abbassò la testa e strizzò gli occhi, dopo aver scoccato un altro sguardo al fratello. Li riaprì pochi secondi dopo, ingoiando un groppo in gola.

-Via da qui-.

Antares partì al galoppo raggiungendo gli altri dalla parte opposta, saltando il dislivello che si stava creando. Peter li raggiunse dopo aver voltato l'ennesima volta lo sguardo indietro.

Come se fosse un dovere, imprimendosi quelle immagini nella testa. Loro sparirono alla vista dei Narniani intrappolati nel cortile e i Narniani nel cortile sparirono alla loro.

Nonostante ciò, chi era riuscito a fuggire riuscì a sentire le loro grida che presto si tramutarono in silenzio.


***


Sarà finita?

Edmund non sentiva più alcun suono, mentre cavalcando Bayord si dirigevano al cortile principale del castello. L'aria che gli scompigliava i capelli in un'altra occasione lo avrebbe calmato e magari fatto ridere di gioia. Questo in quelli che a Narnia erano milletrecento anni fa.

Qual'era il risultato?

Ne ebbe risposta non appena in groppa al grifone arrivò a sorvolare lo spiazzo che aveva accolto la battaglia ed era funto da trappola mortale.

Il ragazzo ammutolì più di quanto pensava sarebbe potuta essere la sua reazione di fronte a quella che sarebbe potuta essere la loro sconfitta e strinse le labbra, con un'espressione indecifrabile sul volto.

Morti.

Tra Narniani e soldati riusciva solo ad osservare quelli che un tempo erano corpi pieni di vita e coraggio, ora distesi a terra in posizioni scomposte come fantocci senza più fili che li tengono in piedi. I Narniani, però, sembravano essere in maggioranza. Ed erano vicino alla grata, abbassata per togliere loro la fuga.

Dando egoisticamente un'occhiata veloce, però, non distinse i suoi fratelli né qualche persona con cui aveva fatto conoscenza in quei giorni, e questo gli diede la speranza che fossero riusciti a mettersi in salvo nel bosco.

Lui e il grifone superarono il castello e sorvolarono il ponte, dove Edmund distinse un gruppetto dirigersi al luogo di ritrovo. Indicò al Narniano la direzione di dove volare, allontanandosi da Telmar e pregò di non essere seguiti.

Ciò che seguì fu solo un silenzio di tomba.



























































Ollalà, ci sono prima del previsto. Meglio così. :)
Allora, nel prossimo capitolo termineranno questi incentrati sulla battaglia – che hanno occupato più “spazio” del previsto.
Dunque... mi spiace aver dovuto far morire la giumenta di Dhemetrya, però mi serviva come fatto. Far subire una perdita mi sembra abbastanza reale, anche se non di “importanza” come potrebbe esserlo quella di uno dei personaggi - chissà. Ognuno ha il suo con cui fare i conti, ed essendo una battaglia è strano che vada tutto liscio per tutti.
Spero di aver reso le cose abbastanza reali e di aver adeguato bene storia originale e fatti della fic. ^^ Per questo, ho cercato di non perdermi troppo nelle cose “conosciute”, cercando però di non lasciarle in disparte per far risaltare solo quelle nuove.
Inoltre, spero di star rendendo le protagoniste abbastanza umane ed imperfette. Questo anche perché, con lo sviluppo della trama che ci sarà poi, non voglio che diventino appunto perfette e tenere così le cose equilibrate.
Chi è Antares, nuova figura che si aggiunge alle altre? Che collegamento ha con Dhem e Lia? Per il momento ha avuto un'introspezione abbastanza leggera, ma arriverà anche per lui un delineamento, così come per la lupa.
Ringrazio per lettura, preferiti, seguite e ricordate; e un grazie speciale per le anime buone che si fermano a lasciarmi la loro opinione, sempre ben accetta.
Alla prossima,
Dhi.



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Capitolo 20
*** Mondo di calma in pensieri di tempesta. ***


Narnia's Spirits
Mondo di calma in pensieri di tempesta.









Con un battito d'ali Bayord atterrò in uno spiazzo d'erba, posando le zampe al suolo e facendo muovere impercettibilmente i fili verdi. I grifoni avevano imparato a fare ancora meno rumore quando si muovevano, per evitare che i suoni prodotti dallo sbattere delle loro ali venissero percepiti da possibili nemici.

Si riunì così ai suoi fratelli e compagni che avevano preso parte alla parte iniziale del piano di battaglia, e raggiunse il gruppo dei Narniani che si erano appartati nel bosco per riprendersi.

Edmund scese velocemente dalla schiena del grifone, lasciandosi scivolare sul fianco dell'animale, e si fece avanti nello sparuto gruppo di sopravvissuti, in attesa di veder comparire anche i suoi fratelli.

Osservò ciò che rimaneva dell'esercito con cui era partito la sera precedente, i volti stravolti e abbattuti di chi invece possedeva un luccichio di determinazione negli occhi solo poche ore prima. Sguardi di chi ha perso tutte le speranze, facce racchiuse in un mutismo di frustrazione e dolore con cui cercavano di convivere e che stava loro esplodendo dentro.


Non passò molto tempo dal suo arrivo che dalla foresta si fece avanti la figura stravolta di Peter, seguito da Caspian. I due camminavano velocemente, a pochi passi di distanza, con un'espressione rigida sul volto e lo sguardo sfuggente.

Il Pevensie aveva un graffio sulla fronte e il volto sudato, mentre il Principe si teneva con una mano la fasciatura fatta frettolosamente con un pezzo di stoffa dove era stato ferito da Prunaprismia.

Istintivamente Edmund sospirò di sollievo quando lo sguardo si posò anche sulla sagoma di Susan trasportata da Glenstorm, per poi farsi di nuovo attento.

In quel gruppo mancava ancora colei per il quale il groppo in gola e il vuoto allo stomaco avanzavano, invece che ritirarsi alla vista di una parte della sua famiglia.

Evelyn.

Dov'era sua sorella?

Strinse gli occhi e tese tutti i sensi per cercare di distinguere nelle luci ancora tenui dell'alba che stava sorgendo le figure che mano a mano si avvicinavano al punto di ritrovo: altri nani, fauni, centauri, animali parlanti, minotauri… Ma di Eve nessuna traccia. E, ora che ci pensava, Edmund non vedeva neanche Lia.

Eppure aveva scorto sua sorella minore uscire in groppa ad un cavallo nero.

Che si fosse persa? Dopotutto ne sarebbe stata capace. Ma se era con la lupa dubitava che sarebbe incappata in un problema simile.

Un rumore di passi strascicati sull'erba alle sue spalle lo fece voltare, e ai suoi occhi arrivarono le sagome della grande lupa e di Evelyn, in groppa al cavallo che la ragazza aveva montato per uscire dal castello.

Si sentì sollevato, come se un nodo alla bocca dello stomaco si fosse improvvisamente sciolto permettendogli di respirare meglio, e a grandi falcate si avvicinò, improvvisamente più in colpa di prima, mentre dentro gioiva di felicità sollevato che non le fosse accaduto niente.

Aveva detto che l'avrebbe protetta e invece non aveva mantenuto la parola.

Quando le fu di fronte le porse un braccio per aiutarla a scendere, aspettandosi che sul viso della ragazza si dipingesse un sorriso di ringraziamento, ma quella, come se non lo avesse visto, scese dalla parte opposta a quella in cui si trovava il fratello.

Eve accarezzò con il braccio sano Antares, che graffiò il terriccio con lo zoccolo e nitrì sommessamente per quella premura.

Spostò poi lo sguardo su Lia al suo fianco e la lupa le rivolse un'occhiata dispiaciuta, mentre Dhemetrya fissava ostinatamente il terreno chiusa in un mutismo da quando avevano lasciato il castello, mentre con presa nervosa stringeva il pelo della lupa. Gli occhi blu erano cupi ed i lineamenti induriti, e nessuno dei tre aveva provato ad accennarle qualche parola, poiché appena guardava qualcuno era percepibile la distanza che poneva per essere lasciata in pace.

Dhemetrya era diventata come una bombola a pressione, e sapeva benissimo di dover essere lasciata in pace finché non si fosse calmata; non poteva permettersi di lasciarsi andare a sentimenti negativi, non poteva permettere che gli eventi di quella notte le oscurassero maggiormente l'animo.

Edmund scosse la testa, non capendo, ed osservando con occhi interrogativi Eve, quando riportò l'attenzione su di lei: era così arrabbiata con lui? Si sentì in colpa per averla lasciata sola, ma non riteneva fosse del tutto sua la responsabilità. Dopotutto lo aveva fatto per poter salvare la vita a Peter...

Ed si mosse a grandi falcate per posizionarsi di fronte a sua sorella, ottenendo così la sua attenzione: la vide accorgersi della sua presenza improvvisamente vicina e sussultare leggermente, prima di inchiodarla con lo sguardo.

Eve poté, con quel ponte di emozioni che si era instaurato tra i due, vedere le sensazioni tumultuose che si agitavano negli occhi e nel profondo del Pevensie.

Aveva il volto di un pallore insolito, che risaltava con i capelli neri ancora scompigliati e sudati, segno di quanto si era preoccupato, e le guance avevano iniziato da poco a riprendere il solito colore naturale; gli occhi erano oscurati ed abbattuti, e il buio che ancora regnava per la maggiore nel bosco non permetteva di cogliere appieno i lineamenti del volto e le espressioni.

Fu come se un improvviso lampo le fosse passato davanti agli occhi illuminandole la mente, quando Eve si diede il tempo di rendersi conto del suo comportamento e ciò che poteva aver suscitato.

La ragazza puntò lo sguardo negli occhi di Edmund, per avere conferma delle sue supposizioni: come aveva pensato, erano velati dalla tristezza del risultato di quella missione, lo vedeva e capiva ciò che provava perché immaginava fosse un sentimento comune con la maggior parte dei presenti; ma poté scorgerci chiaramente altro, qualcosa di infimo che si faceva spazio tra i pensieri e divorava la mente di dubbi: senso di colpa.

Lo percepiva quasi chiaramente, poiché lei spesso ne era soggetta: per un gesto trascurato, una parola sbagliata, un comportamento brusco... Bastava poco per farlo saltare fuori, ed era come trovarsi in un circolo vizioso.

Si diede della stupida per averlo ignorato, rendendosi conto di come lo avesse fatto stare; ma aveva fatto così perché non voleva far vedere che aveva pianto in silenzio, sulla strada del ritorno, dopo aver lasciato imprigionati coloro che non avrebbero potuto farcela e sentendo una stretta al cuore che le impediva quasi di ragionare.

Aveva solo un grosso cumulo di qualcosa d'indefinibile che avrebbe volentieri vomitato fuori, e una vocina nella testa che non faceva che ripetere che era una pessima Regina, che non era stata capace di fare qualcosa di utile, che l'unico gesto positivo che aveva fatto era stato mettersi nei guai e scappare, lasciandosi dietro tutti gli altri al loro destino senza essere d'aiuto.

Si era attardata nel bosco con Lia e Antares, prima di raggiungere i suoi fratelli e gli altri, aspettando con i due di vedere se Dhem avesse reazioni, e per questo era sbucata con i tre dietro agli altri.

Eve accennò l'ombra di un sorriso comprensivo in direzione di Edmund, e puntò il suo sguardo sui capelli del ragazzo che erano scompigliati per la battaglia e a causa dell'aria che aveva avuto contro quando poco prima aveva volato nel cielo con Bayord. Si mise leggermente sulle punte dei piedi, avvicinandosi maggiormente al fratello, e con fare materno allungò il braccio sano per rimettergli i capelli scuri in una maniera quantomeno decente – quantomeno decente per lei, dato che a lui sicuramente poco importava.

Edmund socchiuse gli occhi, lasciandola fare, nonostante sapesse benissimo che quello non era per niente un momento adatto.

Beandosi di quel contatto familiare e lasciandosi andare alla calma che lo aveva avvolto da quando Eve aveva poggiato la mano sulla sua nuca ringraziò tacitamente in tutte le lingue che conosceva il fatto di non aver perso colei a cui teneva più della sua vita.


Evelyn imprecò, stringendo le labbra ed indurendo la mascella, per il fatto che i capelli di suo fratello in quel momento fossero peggio di un cespuglio di rovi; non faceva in tempo a far scorrere la mano per più di pochi centimetri che incontrava dei nodi, e sentiva il capo di Edmund tirarsi sempre leggermente indietro, consapevole che avrebbe potuto sentire molto fastidio se lei fossi andata avanti nel tentativo di sciogliere quelle ciocche annodate tra loro.

Però la lasciava fare senza fermarla, limitandosi a qualche lamento masticato tra i denti.

Eve maledì il Telmarino che le aveva scoccato la freccia colpendola al braccio, impedendole così gran parte dei movimenti e delle azioni che faceva normalmente: impugnare le sue armi, anche usando il cordiale di Lucy, sarebbe stato impossibile per almeno qualcuno dei giorni a seguire – era tra l'altro sicura che nessuno glielo avrebbe permesso.

Anche tenere le redini dei cavalli sarebbe stato impossibile, e ringraziava il cielo che Antares fosse un cavallo Narniano disposto ad ascoltarla volentieri e attento ai percorsi che batteva, per evitare di dover saltare qualche tronco – lo aveva notato mentre raggiungevano gli altri aggirandoli nel bosco.

Poter sistemare i capelli di Edmund come era solita fare sia a Narnia che a Londra, guadagnando così un' occasione per poter sentire suo fratello più vicino di quanto già non fosse, in quel momento si stava rivelando più difficoltoso del previsto, complici anche la stanchezza e il bisogno fisico di dormire; però... però non ci avrebbe rinunciato per nulla al mondo.

Un velo di dolcezza le passò sugli occhi ammorbidendo i suoi lineamenti, ed Eve si ritrovò a fare pensieri particolarmente sentimentali a cui non era abituata.

Si ridestò, facendosi quasi paura per quell'attaccamento che sapeva di sentire verso il ragazzo, mandando a quel paese ogni suo buon proposito di non pensare a Edmund in quel modo e cancellando totalmente dalla sua mente le stupide regole che aveva creato.

Erano troppe, troppo strazianti, e troppo difficili da mantenere.

Specialmente se il ragazzo in questione lo hai sotto gli occhi praticamente ogni ora di ogni giorno, di ogni settimana, di ogni mese e ci vivi assieme. Tutto questo grazie alla fortuna o sfortuna del dato di fatto che tale ragazzo di cui sei innamorata – o, peggio ancora, ami – è tuo fratello.

Amare.

Eve probabilmente non si era mai resa conto di aver superato la fase della cotta già da parecchio tempo. Non sapeva di come si rilassasse quando lui le era vicino, o di come nonostante la preoccupazione di qualche momento questa, pur non cancellandosi del tutto, evitava di avanzare ancora rendendole impossibile impazzire, perché lui le parlava e le mostrava la sua comprensione.

Sospirò, osservando il lavoro che aveva fatto con i capelli scuri di Edmund: ora aveva un aria più ordinata; un minimo almeno, e il viso era contratto in un espressione rilassata, con gli occhi socchiusi.

La ragazza lo guardò per qualche attimo ancora mentre era perso in quell'espressione anche aveva sempre quando gli toccava i capelli, poi portò la mano al petto come a voler conservare gelosamente il ricordo di quel momento.

Chiuse gli occhi, espirando profondamente, e fu come se un'illuminazione totale l'avesse improvvisamente avvolta. Pensò intensamente e con una calma che non le apparteneva, rendendosi consapevole che ormai era giunta al limite e non avrebbe resistito per molto.

Si, era ormai troppo tempo che non parlava e soffocava tutto; tanto valeva cogliere l'attimo buono e dirgli in faccia ciò che da anni la tormentava. Avrebbe avuto finalmente il cuore libero, con un peso in meno, con la coscienza pulita e la forza di poter guardare gli altri senza paura che si intravedesse qualcosa.

O forse no
.

Come avrebbe reagito Edmund alla notizia? E Peter, Susan e Lucy? I due Pevensie più grandi le avevano sempre ribadito che se aveva bisogno di qualsiasi cosa di non farsi problemi a chiedere aiuto, che l'avrebbero sempre aiutata in ogni situazione.

Ma in quella? Come avrebbero reagito in quella situazione? Li avrebbe avuti più vicini oppure li avrebbe persi per sempre?

Evelyn sospirò, e tutta la motivazione che poco prima aveva sentito scemò, lasciandola in balia dei soliti pensieri a cui non aveva ancora trovato un modo per reagire.

Troppe domande e nessuna risposta.










































































Vi porto questo piccolo capitolo così corto e così incentrato su Evelyn ed Edmund e dalle note vagamente romantiche perché mi piaceva l'idea di dare questo stacco solo ed esclusivamente loro, con i loro pensieri ed i loro sentimenti, dopo tutto il trambusto dei precedenti – e perché poi per un po' non ci saranno molti altri momenti simili solo per loro due, avendo varie situazioni che si intrecceranno tra esse.
Sperando di non avervi deluso e che la storia continui ad interessarvi, vi ringrazio per tutto.
Alla prossima :)
Dhi.




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Capitolo 21
*** Errori al sapore di sangue. ***


Narnia's Spirits
Errori al sapore di sangue.







Edmund socchiuse gli occhi, rivelando il castano autunnale che era stato celato al mondo nel momento in cui Eve aveva iniziato a far passare la mano tra i capelli del moro.

Di fronte a lui Evelyn, che lo stava guardando, attese, come intuendo che il ragazzo stesse per dirle qualcosa.

L'attenzione di Ed, però, volò al sangue che macchiava l'abito di sua sorella e che ormai aveva incrostato il tessuto del vestito, rappresandocisi sopra. I suoi occhi, prima calmi, guizzarono riempiendosi di preoccupazione e tumulto, mentre con uno scatto automatico allungava il braccio verso la spalla sana della Pevensie, obbligandola a voltarsi per osservare la ferita.

La ragazza non capì molto di cosa fosse improvvisamente preso al fratello e si lasciò manovrare come una marionetta, sussultando di un fastidioso dolore non appena avvertì il tocco di Edmund sulla spalla, vicino all'entrata della freccia.

-Ma sei ferita!- Il ragazzo si affrettò a ritrarre la mano, come scottato e spaventato di averle fatto male.

-Non me n'ero accorta, sai?- Evelyn sbuffò, facendo per girarsi e ribattendo con una fredda ironia, in modo da far trapelare al fratello che non era di molte parole.

Edmund recepì il messaggio: la conosceva troppo bene, e sapeva che quando faceva così era meglio lasciarla sbollire per qualche ora. D'altronde la capiva e condivideva parte delle sue emozioni: aveva avvisato Peter, ma questi aveva voluto fare di testa sua, e ora ne pagava le conseguenze.

C'era anche la possibilità che il maggiore non avrebbe neanche ammesso il suo errore, riversando la colpa su qualcun' altro, come era solito fare. E chissà perché Edmund aveva la vaga idea di chi sarebbe stato il prescelto, visto le varie occhiatacce che il Re si scambiava con il Principe per poi ritornare chiuso nel suo mutismo e nei suoi pensieri.

-Ti curerò non appena faremo ritorno, e se sarà necessario berrai la pozione di Lucy- Edmund si girò di nuovo verso Evelyn, lasciando perdere i due comandanti e l'ostilità che scatenavano silenziosamente.

La sorella, semplicemente, annuì.


***


-Se non avessi perso tempo...- sibilò Peter, affiancandosi a Caspian e lasciando volutamente la frase in sospeso tra loro.

-Se mi avessi dato ascolto...- rimandò il Principe, stringendo i pugni e irrigidendo la mascella.

I due si fronteggiarono, lanciandosi lampi d'ira e frustrazione, avvicinandosi l'uno all'altro.

-Sarà meglio tornare- Glenstorm intervenne, frapponendosi tra i due ragazzi che si allontanarono con qualche remora, e indicando loro il resto dell'esercito che attendeva istruzioni.

Peter osservò i vari Narniani, si voltò verso i due fratelli minori, che si erano avvicinati, e girò il viso da un'altra parte pochi attimi dopo. Non aveva il coraggio di guardarli in faccia.

Si costrinse a girarsi di nuovo però, perché la vista di sfuggita del sangue sull'abito di Evelyn che riaffiorò nella sua mente lo fecero sbiancare di colpo, mentre con uno scatto si avvicinava alla penultima della famiglia.

Quando fu di fronte ai due fece per dire qualcosa, ma fu totalmente tolto di scena dall'arrivo di Susan che, senza curarsi di lui, si mise in mezzo, occupando la sua visuale.

I due si fecero abbracciare da Sue, lasciandosi cullare da quella stretta materna e dolce, ma quando la maggiore tra le Pevensie strinse maggiormente la presa un leggero lamento di dolore uscì dalle labbra di Eve. Susan si staccò dai due, per poi prendere a parlare, mal celando il tono di voce tremulo per l'emozione che sentirli contro di lei le aveva procurato e gli occhi lucidi.

-Scusa Eve, è che ero così spaventata in realtà! Pensavo che avrei potuto perdervi, poi vi ho visto qui e non ho saputo resistere, io…- lasciò la frase a metà, le parole che scemavano lentamente, mentre strabuzzava gli occhi accorgendosi solo in quell'istante del motivo per cui sua sorella minore si era lamentata.

Una freccia.

Una freccia nella spalla della sua Evelyn.

Gli occhi di Susan scintillarono di rabbia, mentre pregava Aslan che il soldato responsabile dell'atto fosse morto tra atroci sofferenze. Evelyn capì cosa voleva dirle, ed osservò sua sorella portarsi una mano alla bocca e osservarla, senza sapere come poterla aiutare in quel momento. Fece intendere di lasciar perdere, mentre pochi attimi dopo si avvicinò a Peter, rimasto in disparte.

Ebbe una vertigine mentre camminava e si bloccò di colpo, spaventata, ma nessuno sembrò farci caso, troppo perso nei propri pensieri. Quando fu di fronte al maggiore i due si scrutarono, senza lasciar trapelare nessuna emozione, e pochi attimi dopo Peter allargò le braccia.

Per Eve fu come se si aprisse un mondo, quello celato e turbolento in cui suo fratello si era rifugiato e in cui però lui riusciva a donar loro sempre uno sprazzo di calma.

Si fiondò tra le braccia protettive del Re, che l'abbracciò stando attento a evitare di toccare la spalla ferita. Ai due si unirono anche Edmund e Susan, e i quattro si bearono della presenza degli altri tre, sollevati che stessero bene. Fu come se per quei secondo si dimenticarono di tutto il resto, della stanchezza e del dolore che solo persone speciali riescono a mandar via senza bisogno di grandi parole.

Quando si staccarono, Cornelius si inchinò verso i quattro regnanti, mentre Caspian piantò lo sguardo su Susan assicurandosi che stesse bene. La ragazza abbassò lo sguardo, che venne poi catturato dalla figura di Evelyn che camminando velocemente raggiunse Trumpkin, inerme tra le braccia di Glenstorm.

-Torniamo al rifugio, con la pozione di Lucy vedrai che starà bene- Susan la raggiunse e le posò una mano sulla spalla in modo rassicurante, cercando di confortarla. Eve annuì poco convinta, e tutti si voltarono verso Peter, in attesa.

Il ragazzo osservò i vari Narniani e si appurò che fossero pronti, poi si mise in testa ai soldati rimanenti, dando una leggera spallata a Caspian passandogli da parte.

Non guardò in faccia nessuno e diede l'ordine di ritornare alla Casa di Aslan.


***


Antares si offrì per portare Evelyn, e quella fu costretta ad accettare la proposta del destriero perché era stanca, si sentiva debole e iniziava ad avere le vertigini causate dalla perdita di sangue.

Il cavallo s'incamminò dietro il Re Supremo, con al suo fianco Edmund e Susan i quali continuavano a guardare la sorella minore con fare apprensivo. A loro poco dopo si affiancò Lia, la quale portava una Dhemetrya ancora avvolta nel silenzio, mentre dietro si trovavano Caspian e Cornelius.

Il tragitto si fece nel modo più silenzioso che Evelyn avesse mai sentito. Avevano subito una sconfitta, perdite di soldati, vite, ed erano tutti, nessuno escluso, stremati per la lunga notte appena passata e che solo in quel momento stava realmente giungendo a termine.

Il sentiero era avvolto nel silenzio, e raggi di sole birichini iniziavano a farsi strada tra le fronde degli alberi. Un tempo, in quel momento, ci sarebbe già stata attività e vita nella foresta Narniana.

Quando furono in cammino da circa due ore Eve prese parola, dando una voce ai suoi dubbi e concentrandosi su altro che non fosse la battaglia o il dolore alla spalla.

-Lia, Antares, ma vi conoscete?-.

Quella domanda sembrò interessare anche Dhemetrya, che ebbe un lieve sussulto e alzò lo sguardo, ascoltando la risposta – risposta che già, in realtà, conosceva, ma appartenente ad un argomento che non poteva lasciarla indifferente.

-Si, ci conosciamo. Fin dalla tenera età- spiegò la lupa.

“Non è totalmente vero.”

“Questa da dove ti è uscita, mutaforma?”

“Antares, Dhemetrya, per favore. Non posso dirlo in altro modo, lo sapete.”


Evelyn li guardò, stupita. -Il cavallo non è una preda per te?-

-Tecnicamente si. Ma tra Narniani, animali parlanti, è più difficile che si creino conflitti, avendo il dono della parola – Dovresti saperlo ormai. Se poi ti interessa mi cibo anche di frutta, e non solo di carne-.

Eve si ritrovò in imbarazzo per la domanda stupida che aveva posto. -Capisco- si limitò a dire, ma il discorso la incuriosiva parecchio e con lei si fecero attenti anche Susan ed Edmund.

-Come vi siete conosciuti?- domandò il ragazzo.

-Le nostre... famiglie abitavano vicine, prima dell'arrivo dei Telmarini- rispose Antares, lanciando uno sguardo alla lupa.

-E Dhemetrya?- chiese Susan, rivolta ai tre.

-Situazione simile- tagliò corto la ragazza. Era meglio non dire troppe cose, specialmente se poi non erano nemmeno del tutto veritiere.

Ci fu una breve pausa, poi Lia continuò il discorso -Da allora siamo sempre stati insieme. Qualche anno fa, poi, Antares non fece ritorno. Lo cercai, ma le sue tracce arrivavano fino al fiume. C'era anche il problema che gli uomini di Telmar continuavano a cacciare i Narniani e oltre il fiume vicino a Beruna non potevo andare- spiegò brevemente.

La lupa saltò il dettaglio che da subito sapeva dov'era il Narniano e per quale motivo, limitandosi a dire che, effettivamente, da sola non poteva aiutare l'amico, prigioniero a Telmar.

Antares pestò uno zoccolo nervosamente, abbassando il collo per non prendere le fronde di un albero troppo basse.

-E' stata colpa mia. Mi ero spinto al di la del fiume, ma non mi aspettavo che a quell'ora dell'alba ci fossero Telmarini in giro. Il comandante decise di portarmi come trofeo al suo Re, per entrare nelle sue grazie-.

Era stato imprudente, quel giorno, se lo ricordava bene. E gli era costato tanto: anni di libertà, anni in mezzo a quella che rimaneva la sua terra fin nelle viscere dell'anima, anni in una cittadella che non gli apparteneva.

-E dopo che ti hanno catturato che è successo?- chiese per tutti Edmund, curioso perché, per quanto ne sapevano, i Narniani non sopravvivevano a Miraz e i suoi sudditi, che volevano eliminare gli abitanti di Narnia.

-Il Re mi osservò e decise di tenermi per sé. Iniziarono ad addestrarmi e io sopportavo, perché qualcosa, qualcuno dentro di me diceva di tenere duro, che il giorno tanto atteso era vicino. Non ho mai visto il grande Aslan, ma credo che fosse la sua presenza che sentivo quando avevo perso tutte le speranze-.

Non era scappato, perché sapeva quasi certamente che, un giorno, avrebbe avuto la possibilità di riprendersi tutto. Tutto. Doveva andare così.

-A-Aslan!?- lo sconvolgimento si dipinse sui visi di tutti.

-E dimmi, ti ha detto altro?- chiese Susan, apprensiva.

-No, non sono neanche sicuro che fosse lui- rispose dispiaciuto il destriero, mentre ognuno si perdeva nei propri pensieri.

“Si che era lui.”

“Non se sono sicuro Dhem, davvero...”


La ragazza tornò a fissare davanti a se, chiedendosi quanto ancora mancasse perché tutto ciò finisse.

Ci fu un interminabile silenzio, in cui si continuò a camminare. Ognuno non vedeva l'ora di tornare alla casa di Aslan e poter riposare tranquillo, per iniziare a provare a lasciarsi alle spalle quella terribile nottata.

Il suono cupo di un corno annunciò il loro arrivo.


***


Lucy si era addormentata appoggiata alla tavola di pietra e si era svegliata una ventina di minuti prima con al suo fianco l'amico tasso.

Non aveva fatto in tempo a dire niente, dopo essersi stropicciata gli occhi, perché Trufflehunter l'aveva avvisandola che i grifoni, che avevano preceduto tutti, avevano portato la notizia riguardante il fatto che i sopravvissuti erano diretti verso il rifugio e di prepararsi a dare soccorso.

In quel momento la piccola Pevensie si era rimessa a giocherellare con la boccetta di diamante, disegnando il bordo con l'indice. Il tempo ad attendere sembrava non trascorrere mai, e la notte prima si era addormentata, esausta di aspettare e sopraffatta dal sonno.

Il suono di un corno la distrasse, riportandola alla realtà e svegliandole i sensi, e si affrettò a rimettere la boccetta al suo posto, allerta. Con il cuore che batteva per l'emozione e l'ansia si avviò poi all'entrata.

Vide Peter seguito da Caspian, entrambi con l'espressione funerea e irata.

Non ci fu bisogno che osservasse altro, la quantità di esercito rimanente, l'espressione degli altri, le quantità di feriti... Suo fratello e il Telmarino portavano sui loro volti i segni della sconfitta e della frustrazione del risultato ottenuto.

Subito si accorse poi dello stato in cui era la maggior parte dell'esercito, come aveva pensato.

-Che cosa è successo?- chiese, rivolta a Peter che sollevò lo sguardo da terra.

-Chiedilo a lui- rispose semplicemente il fratello, gelido, facendo un cenno con la testa verso il moro. Caspian arrestò il passo di colpo, iniziando a voltarsi lentamente e stanco di quella storia.

-Peter...- la voce di Susan raggiunse i due ragazzi in un nullo tentativo di raffreddare le acque e ammonire il fare sgarbato del fratello maggiore. Non era il momento adatto per mettersi a litigare, dando spettacolo davanti a tutti.

-A me? Dovevi lasciar perdere, il tempo c'era- si limitò a dire il Principe, sicuro di non avere nessuna colpa.

-No, non c'era, grazie a te- lo attaccò il Pevensie, fronteggiandolo. -Se tu avessi rispettato il piano quei soldati potrebbero essere ancora vivi- affondò quelle parole con rabbia, cercando di scalfire l'orgoglio e la sicurezza di Caspian.

-E se tu saresti rimasto qui come ti avevo suggerito lo sarebbero di sicuro!- Il ragazzo non si fece però vedere colpito, rincarando la dose e trovando un altro punto a cui aggrapparsi per far gravare la colpa sul Re Supremo, colpevole di aver preso una decisione azzardata fin dall'inizio.

-Ti ricordo che ci hai chiamati tu!-

-Il mio primo errore- disse Caspian a pochi centimetri dal volto del Re, con un tono glaciale.

Evelyn ebbe veramente paura: la situazione tra i due si stava veramente scaldando, ed Edmund avvertì l'irrigidimento della sorella dai tratti del suo viso.

-No, credere di poter guidare quella gente è stato un errore- finì Peter, ricominciando a camminare verso l'entrata del rifugio e dichiarando chiuso il discorso.

-Ehi!- lo richiamò Caspian -non sono certo io quello che ha abbandonato Narnia- sputò fuori con un tono di disprezzo verso gli antichi Re e Regine, velenoso. Benché il commento fosse solo rivolto a Peter, una fitta d'impotenza e dolore attraversò tutti i Pevensie.

Narnia. Com'era bella la sua Narnia, quando l'aveva lasciata, quando l'aveva conosciuta, quando sprizzava mille colori vitali...

Peter lo guardò, sconvolto e rabbioso, una montagna di ricordi legati a quella terra che lo assalivano.

-No, tu hai invaso Narnia!- lo accusò, mentre il Principe lo superava scansandolo con un braccio. -Non hai il diritto di governarla, come non c'è l' ha Miraz! Tu, lui, tuo padre… Narnia sta molto meglio senza tutti voi- finì. Narnia stava molto meglio prima.

Il Principe a quelle parole s'infervorò e si girò nuovamente, impugnando la spada.

Evelyn cercò aiuto in Edmund, strattonandolo per un braccio affinché facesse qualcosa per far smettere quella lite tra i due.

-Smettetela!- gridò il ragazzo, imperioso, facendosi poi avanti con al suo fianco Glenstorm, che reggeva un Trumpkin esanime.

Vedendo il CPA in quelle condizioni Lucy corse verso il nano che era stato posato delicatamente a terra, mentre attorno a lui si stringevano Nicabrik e Trufflehunter, ansiosi per la sua sorte. Lucy s'inginocchiò vicino a Trumpkin, mentre toglieva il tappo al cordiale con dita tremule per la paura che fosse troppo tardi; i Narniani che non avevano mai visto il famoso liquido rosso all'opera, inoltre, si facevano attenti per osservare se era miracoloso come le antiche leggende narravano.

Una goccia e pochi attimi dopo la vita riprese a scorrere.

I Pevensie e i suoi amici sospirarono di gioia, rilasciando parte della tensione accumulata.

Caspian e Peter rinfoderarono le spade, e il primo raggiunse l'entrata del rifugio senza dar conto a nessuno, sparendovi poi all'interno. Peter lo osservò, per poi girarsi verso Lucy e facendole capire che c'erano altri Narniani avevano bisogno.


***


La Scaltra respirò profondamente chiuse gli occhi, quando raggiunse una roccia e ci si appoggiò sopra, rilassando i muscoli. Era stanca, debole e sudata.

Non ce la faccio davvero più.

Sospirò poi, quando Edmund le si fece vicino. Aveva sentito il tintinnare della spada e ne riconosceva il passo.

-Devi proprio?- chiese, con un'espressione indecifrabile in viso e socchiudendo gli occhi.

-Devo, prima che faccia infezione. E' passato anche troppo tempo- le rispose con tono serio, inginocchiandosi davanti a lei e costringendola a guardarlo.

-Farà un po' male ma poi andrà meglio, e cercherò di fare piano- Le prese il viso tra le mani.

Fresco.


Il volto accaldato di Eve trovò pace, quando i palmi delle mani di suo fratello si posarono sulle sue guance.

-Tu resta sveglia però, intesi?-

-Mh... Non so se sia meglio vivere con una freccia piantata nella spalla o sopportare il dolore mentre me la togli- Affermò Eve, dopo che suo fratello ebbe esaminato la ferita e si stava preparando per estrargliela.

Non avendo trapassato la spalla, le spiegò, c'era bisogno che la spingesse fuori, in modo da togliere la punta, e poi poteva estrarre l'asta, senza così che la parte metallica facesse attrito e espandesse la ferita.

Un moto di terrore per il dolore le attraversò la schiena.

-Conta fino a tre, ok?- domandò, irrigidendo la schiena.

-Hai paura?- Le chiese Edmund, mentre impugnava la parte di freccia che non era entrata nella spalla di Eve.

Si.


-No-

Come no...


-Farà male- Sapeva cosa l'aspettava, non era la prima volta che si ritrovava ferita in battaglia. Non ci era però più abituata – o forse quello non lo fai mai.

-Va bene- concesse il fratello. -Uno, tre!-

La Pevensie si morse la lingua per non urlare di dolore, mentre grossi lacrimoni le annebbiavano la vista.

-E il due dove lo metti? E' in vacanza?- Chiese acida, scoccando uno sguardo d'ira al fratello maggiore, mentre questi tagliava la punta.

-Se avessi contato fino a tre poi mi avresti bloccato per paura- Eve arricciò il naso, indispettita, emettendo una specie di ringhio e senza commentare.

-Stai ferma adesso-.

-Brucia- Si lamentò, asciugando gli occhi con il braccio sano.

Con un lembo di stoffa Edmund fece una fasciatura, dopo aver pulito la ferita, che si macchiò leggermente di sangue perché l'estrazione del dardo aveva causato nuovamente un'emorragia.

-Guarda, seppur sia una fasciatura momentanea è perfetta, mi complimento con me stesso- Sdrammatizzò Edmund, osservando il suo operato.

Evelyn fece per ribattere, ma venne interrotta -E non osare muovere il braccio sennò la ferita ti si riapre peggio di adesso-. La Pevensie cercò di dire qualcosa, ma fu nuovamente fermata. -E guarda che ti tengo d'occhio, quindi non cercare di imbrogliarmi-. Evelyn allora si arrese, rilassando la muscolatura delle spalle.

-Edmund...- lo richiamò dolcemente pochi minuti dopo, ottenendo la sua attenzione. -Grazie, starò attenta alla tua fasciatura perfetta- lo prese in giro, ma sapeva che lo faceva per il suo bene.

A volte però era così, così… scosse la testa, mentre si alzava, non trovando un aggettivo che calzasse: senza la freccia stava decisamente meglio, certo bruciava e il braccio non poteva muoverlo, però almeno non sentiva più il ferro che si muoveva ad ogni suo spostamento.

Lucy, poi, sicuramente avrebbe insistito per farle bere l'estratto del fiore di fuoco, quindi la ferita si sarebbe rimarginata in poche ore.

Lucy si fermò davanti ai due fratelli maggiori, come se fosse stata chiamata e con un tempismo perfetto, e senza ammettere obiezioni somministrò una goccia del prezioso liquido rosso ad Evelyn.

La ragazza poté chiaramente sentire il bruciore sparire gradualmente, mentre impercettibilmente riusciva a fare i primi movimenti con il braccio. Ovviamente senza farsi vedere da Edmund sennò l'avrebbe ripresa sul fatto del suo duro lavoro sprecato, della fasciatura perfetta, della ferita che aveva bisogno di tempo per guarire e bla bla bla.

Si ritrovò a sorridere a quel pensiero.

Come se fosse un rito obbligatorio, i tre si abbracciarono, beandosi delle presenze famigliari in cui si ritrovarono circondati.


-Ci riposiamo?-

Susan si avvicinò, facendo sciogliere la stretta dei tre e invitandoli implicitamente a entrare nel rifugio.

-Si, è stata una lunga notte- concordò Edmund, mentre Eve si limitava ad annuire.

Entrando trovarono la casa di Aslan che brulicava dell'esercito e dei feriti che riposavano a terra o su delle coperte, mentre coloro che erano rimasti al rifugio avevano interrotto i lavori in modo da lasciare che il silenzio li cullasse, lasciandoli riposare al meglio.

Era stata una dura battaglia, e se lo meritavano.

Nella stanza della tavola di pietra videro che Caspian e Peter si erano già sistemati ai rispettivi giacigli e si davano le spalle a vicenda, tentando di prendere sonno per recuperare le forze e la presa suoi loro nervi e le loro emozioni.

Edmund prese posto tra la sorella maggiore e Peter, anche Lucy si sdraiò tra Susan ed Eve – nonostante avesse già dormito, non era stato un sonno rilassante a causa dei pensieri e dell'angoscia che l'avevano animato –. La stanchezza prese definitivamente il sopravvento in pochi attimi.



Qualche ora dopo Dhemetrya, tremante sulle gambe ancora intorpidite e avvolta dallo shock, lasciò il campo.



























































Buon Natale!!!
Questo è il mio regalo natalizio per voi: un capitolo della mia storia, di quella a cui tengo di più, della creatura che per me ha significato e significa tanto da quando ho iniziato a scrivere dandole vita.

Salve lettori. :) Come state? Spero bene per tutti voi, a me mancano un po' Agosto e le vacanze. ^^' Vi porto questo capitolo in tempi decenti, diciamo; è anche abbastanza lunghetto e con tante cosine carine, quindi sono soddisfatta.
Allora: finalmente si è giunti a conclusione sull'arco narrativo dell'attacco al Castello di Miraz! Ebbene, Antares, Lia e Dhemetrya si conoscono per benino. C'è ancora molto altro da scoprire riguardo loro! Se ci fossero domande su qualsiasi cosa di poco chiaro sarò più che volentieri contenta di rispondere.
Ringrazio per le letture, i seguiti, preferiti e ricordate.
Vi auguro buone vacanze e buon proseguimento per l'anno nuovo che arriverà, che possa darvi nuove sorprese e soddisfazioni.
Alla prossima,
Dhi. <3

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Capitolo 22
*** Ricordo di una voce dispersa nel vento. ***


spiritscap22
Narnia's Spirits
Ricordo di una voce dispersa nel vento







Come dopo una grande pausa, lo scorrere del tempo aveva ripreso ad andare avanti. Perché bisogna andare avanti, dopo che si è andati incontro a qualche ostacolo, altrimenti tutto sarebbe un meccanismo piatto e privo di senso.

E così come il tempo andava avanti, anche la vita, alla casa di Aslan, stava riprendendo il suo corso.

Stare fermi, apatici, piangersi addosso, era la cosa peggiore che potessero fare in quel momento. Le cose non sarebbero cambiate, le persone non hanno il potere di cambiare gli errori passati tornando indietro. Possono, però, andare avanti e cercare di aggiustare ciò che ancora deve prendere vita.

I Pevensie si erano svegliati a pomeriggio inoltrato; aveva iniziato Peter, il viso palesemente ancora stanco e segnato ed i movimenti lenti, seguito poi da Susan, sempre all'erta e attenta ai minimi segnali come sua madre lo era nei loro confronti.

Edmund era già sveglio da un po' ma non aveva avuto abbastanza motivazione di alzarsi e andare ad affrontare la realtà della situazione. Per una volta aveva preferito rimanere li, fermo, ad ascoltare i respiri dei suoi fratelli.

Evelyn si tirò a sedere dopo essersi stropicciata gli occhi, mentre un tenue mal di testa faceva capolino. La ragazza si portò una mano alla testa, mentre la sentiva pulsare sempre più forte.

No, ti prego.


Fortunatamente il dolore era si forte, ma non insopportabile. Magari con qualche intruglio di erbe strane, sempre che ci fose qualcuno ancora in grado di farlo, sarebbe passato.

Si alzò, sospirando, mentre vedeva Susan sistemare le sue coperte, un'espressione mista tra il rilassato e il corrugato sul viso, mentre accanto a lei stava una Lucy seduta ancora avvolta nelle coltri.

Fece anche lei per prendere la sua coperta e sistemarla, ma una mano fu più veloce della sua nell'afferrare il tessuto.

Eve rimase un attimo sbigottita mentre vedeva la figura davanti a lei sistemarle le coperte tranquillamente, riponendole poi vicino alle altre in un angolo della cripta.

-Beh, non mi ringrazi?-

La ragazza sbatté le palpebre, non sapendo come reagire a quel gesto di galanteria. Riprese la solita calma, spesso scambiata per freddezza, ricomponendosi e sistemando un ciuffo di capelli dietro l'orecchio.

-Dovrei, Caspian?- Evelyn scandì bene il nome del Principe, ritto davanti a lei, studiandolo con attenzione.

Perché mai mi ha sistemato le coperte? Non ci ricava niente, a meno che …

La Pevensie ghignò interamente, mentre un sorrisino soddisfatto compariva sul suo volto e lanciò un occhiata eloquente a Caspian, senza preoccuparsi di nascondere le conclusioni a cui era arrivata, per poi volgere lo sguardo alle sue spalle.

Susan, intenta a parlare con Lucy probabilmente riguardo ciò che era avvenuto la notte passata al castello di Miraz, era giusto poco dietro di lei.

Si rigirò di nuovo verso Caspian, mentre sorrideva leggermente malefica e sadica, il mal di testa che passava in secondo piano, facendosi i complimenti da sola su quanto il suo sesto senso andasse a parare sempre nei punti giusti.

-Eve, ti prego- le sussurrò lui, lanciando un'occhiata veloce alle spalle della Pevensie, per poi continuare -non farlo. Ti scongiuro, non fare niente- la pregò, con una nota preoccupata e agitata nella voce, guardandosi intorno.

La Pevensie lo guardò, inarcando un sopracciglio.
 
-Fare cosa, Principino?- gli chiese, in tono volutamente casuale e ironico, conscia invece di ciò a cui Caspian alludeva. Aveva sistemato le sue coperte in modo da farsi bello agli occhi di Susan, sperando che Evelyn l'avesse ringraziato senza chiedergli spiegazioni, prendendo spunto dalla spalla ferita, che per ora la ragazza non doveva muovere sotto costrizione di Edmund.

Invece, male per lui, era stata fulminea nel collegare i fatti e capire il suo intento.

Ma ciò che più preoccupava il Principe non era tanto il fatto che Eve avesse scoperto il suo piano, o meglio, sì, sarebbe stata comunque una lezione per il futuro non sottovalutare più quella ragazzina dagli occhi azzurri e i capelli mogano, ma quanto il fatto che ora lei, era sicuro, avrebbe fatto di tutto per far finire insieme casualmente lui e Susan.

E quando si metteva in testa una cosa, Evelyn, diventava come un tornado che non si ferma fino a quando non ha spazzato via anche l'ultima casa. E, sfortunatamente per Caspian, in quella circostanza, era lui la casa.

Poteva trovare un altro modo, pensò Caspian, leggermente sconsolato.

Forse doveva ripiegare su Lucy… Il Principe osservò la più piccola Pevensie. No, anche lei era della stoffa di Eve, non ci sarebbe mai cascata. Era piccola, non stupida.

Sospirò pensando a quanto fossero anormali e fuori dal comune gli antichi Re e Regine.

Lucy, seppur dalle fattezze ancora da ragazzina, aveva dentro di sé una sicurezza tale da lasciar spiazzati, sicura e ferma nelle sue idee, dallo sguardo limpido e dolce con cui ti scrutava fin dentro l'anima. La capacità che aveva, poi, di cogliere sempre il buono in tutto e tutti la rendevano una persona dall'animo comprensivo e affidabile.

Come non adorarla? Era impossibile, Caspian sentiva di volerle bene quasi come fosse anche lui un suo fratello maggiore.

Assurdo.

Ma Lucy dava quell'effetto su tutti: persino Trumpkin, Lia e Trufflehunter avevano preso la piccola Pevensie sotto la loro ala protettrice, la controllavano sempre, non la lasciavano mai sola e almeno uno di loro era sempre con lei quando i fratelli erano impegnati.

Edmund era quello più taciturno tra i cinque, riflessivo e calcolatore, ma non per questo meno simpatico. Anzi, era quello che faceva le migliori battute ironiche, specialmente per spezzare le tensioni. Bisognava solo capire il modo di avvicinarlo e il Giusto si tramutava in una specie di confidente, che studiava attento attorno a sé con una calma da lasciarti di sasso.

Riusciva a cogliere ogni più piccolo particolare e andarci d'accordo non era difficile - sicuramente era molto meno testardo e orgoglioso di Peter, quindi era anche più facile instaurare un rapporto d'amicizia senza essere sempre in competizione.

Il Re Supremo invece, a differenza del fratello minore, era quello con cui sicuramente andava meno d'accordo. Testardo e cocciuto peggio di un mulo, quando si metteva in testa una cosa era così punto e basta.

Assomigliava un po' ad uragano-Eve per quell'aspetto, ma in Peter era molto più radicato, complici il fatto di avere la responsabilità di una famiglia a cui badare, un regno da governare, delle responsabilità da portare avanti e non poteva permettersi di vacillare.

Se aveva ragione aveva ragione, se aveva torto aveva lo stesso ragione. Se faceva le cose giuste erano giuste, se sbagliava era colpa di terzi, e quindi lui non aveva sbagliato perché faceva sempre le cose giuste, in quanto Re Peter il Magnifico.

Nonostante questo e i vari attriti, Caspian non se la sentiva di odiarlo, come invece spesso faceva trapelare. Lo mal sopportava, quello si, ma lo ammirava anche, in fondo - molto in fondo, mai lo avrebbe ammesso a voce.

Era sempre stato affascinato dalla sua figura di Regnante di cui tanto aveva sentito parlare da Cornelius: le battaglie che aveva vinto, le guerre che aveva combattuto, Jadis, e il modo in cui le leggende su di lui e le imprese fatte insieme ai fratelli erano spesso motivo di discorsi tra gli abitanti di Narnia, che spesso aveva sentito parlottare onorati che gli Antichi Sovrani si trovassero lì ad affiancarli contro Miraz.

Se solo Peter avesse lasciato più spazio anche agli altri, non solo a lui, ma anche alle opinioni dei suoi fratelli e degli altri che bellamente spesso ignorava, forse e solo allora il Pevensie sarebbe potuto andargli un po' più a genio.

Evelyn invece... era una bella gatta da pelare. Quella ragazza non gli e la raccontava giusta, lo vedeva, lo sentiva e lo percepiva. Era solo una sensazione che a volte faceva capolino, ma la sua vista spesso gli infondeva una strana sensazione, come di pace, di calma ma anche di profonda tristezza.

Come se dentro di sé la Pevensie portasse qualcosa di ben più grande che forse nemmeno lei conosceva.

Ma dopotutto erano solo supposizioni e forse aveva le travecole per tutta la situazione generale che si stava creando e che faticava a gestire in modo convinto. Ecco, in quel caso, avrebbe voluto avere più la sicurezza di Peter nell'affrontare le cose.

Tralasciando le strane emozioni che suscitava in lui, Eve era forse la più complicata dei cinque.

Aveva i momenti si, ma anche i momenti no, ti coglieva con delle punte di fredda ironia, spesso la vedeva perdersi nei propri pensieri e Caspian, poteva giurarci, vedeva i suoi occhi velarsi di frustrazione. Ti capiva al volo, ed era mossa da una determinazione tale che per certi versi ricordava spesso quella di suo fratello Peter.

Riflessiva per certi versi, ma anche impulsiva, uno spirito libero che si muoveva a seconda di come le girava.

E poi c'era Susan…

Caspian era stato totalmente affascinato dalla figura della Dolce, che si aspettava completamente diversa.

Lei era bella, la creatura più perfetta che Caspian avesse mai visto, di quella meraviglia che ti coglie nel profondo e ti lascia senza fiato, stupito quasi come un bambino.

I profondi occhi grigi, il corpo che si muoveva mellifluo e silenzioso sotto l'abito viola, la precisione con cui maneggiava l'arco, l'affetto incondizionato che nutriva per i suoi fratelli, i gesti materni che ne derivavano e i sorrisi che regalava a pochi.

E il Principe si era reso conto di essere tra queste poche persone privilegiate a cui Susan sorrideva veramente, abbandonando la maschera di freddezza che lasciava trasparire per la maggior parte delle volte, facendo uscire in realtà la ragazza fragile e incerta che era e che, come tutte le donne, aveva bisogno di attenzioni, cure e sicurezza.

Chissà perché ogni volta che la vedeva si sentiva bene, il respiro gli si mozzava in gola e il cuore accelerava i battiti da solo senza che lui potesse fermarlo.

Quella volta, quando si era confidata con lui vicino al torrente, si era sentito onorato che avesse scelto proprio lui.
E quando stavano facendo la gara di tiro con l'arco poco prima che Edmund li interrompesse, il Principe sentiva di avere tutto, si stava godendo il pomeriggio, quasi dimenticandosi i problemi come la guerra, l'attacco al castello di Miraz o che all'inizio i Narniani volevano ucciderlo essendo un Telmarino.

Niente, non gli serviva nient'altro, in quei momenti.

Solo la presenza di Susan, accanto a lui.

-...pian?-

Una voce conosciuta si fece largo tra i pensieri del Principe, distogliendolo da tutto il discorso mentale che stava facendo.

Quanto tempo era che si era perso nei suoi pensieri?


-Caspian?-

-Eh?- Con quell'espressione che di regale aveva assai poco riprese coscienza della realtà.

-Hai detto qualcosa?-

Eve in risposta roteò gli occhi e sbuffò, tra lo sconsolato e il divertito.

-No, per ora non ho detto niente-

-Oh meno male, grazie- Caspian non fece in tempo a tirare un sospiro di sollievo, che un'occhiata della Pevensie lo fece ricongelare all'istante: guai.

-Mi sono solo goduta la tua espressione da pesce lesso mentre guardavi Susan come se fosse un delizioso bocconcino- Eve gli fece una leggera linguaccia, mordendo la lingua con i denti per non scoppiare a ridere.

-Lucy ha fatto in tempo a dire a Sue morte, vita e miracoli di ciò che Trufflehunter le ha raccontato mentre noi eravamo al castello- si guardò distrattamente le unghie, come se ciò appena detto fosse una cosa da nulla, facendo intendere con quella frase che Caspian si era imbambolato per un tempo non indifferente.

Sollevò lo sguardo dalla sua mano, però, pochi attimi dopo, per godersi dell'espressione terrorizzata, imbarazzata, sconcertata e vagamente sgomenta del ragazzo.

Se l'espressione del Principe era un miscuglio di emozioni, la sua mente non era da meno: si chiedeva se Susan l'avesse visto, cosa avrebbe pensato di lui, si malediva della figura appena fatta e soprattutto era anche leggermente spaventato per ciò che stava nascendo nei confronti della maggiore tra le Pevensie e che non aveva mai provato per nessuna.

E l'ultimo punto era quello che decisamente lo lasciava più interdetto e confuso, perché, insomma... non era possibile.

O si?

-Comunque Susan è uscita molto tempo fa con Lucy, se è questo che ti preoccupa- la voce limpida di Eve ruppe il silenzio che si era creato, facendo riportare l'attenzione di Caspian su di lei.

La ragazza aveva perso l'espressione divertita e stava parlando in modo serio. Alla fine, capiva che quegli argomenti erano sempre un po' spinosi e molto, molto personali.

-Non le dirai niente, vero?-

-Perché no, scusa?- chiese, palesemente interdetta: almeno loro che avevano una possibilità per amarsi senza paura dovevano approfittarne, e lo diceva – pensava – per esperienza personale.

Certo, non sarebbe andata in giro a urlare ai quattro venti ciò che Susan e Caspian provavano l'una nei confronti dell'altro e viceversa, però una piccola spinta d'aiuto poteva dargliela, come quando un bambino impara a camminare da solo.

-Beh, ecco… - iniziò Caspian, palesemente in imbarazzo e reticente a parlare di quel discorso, mentre le sue guance si coloravano leggermente e gli occhi dardeggiavano per la stanza.

-Non dirmi che hai paura!- Esclamò sgomenta Evelyn, facendo trapelare il disaccordo e capendo che quei due senza aiuti non sarebbero arrivati a nulla.

Insomma, se lui aveva paura di farsi avanti pur essendo palesemente ricambiato, lei cosa avrebbe dovuto dire allora?!

Sospirò. Certe fortune che la gente aveva e non coglieva non le avrebbe mai capite.

-Ti aiuterò io, stai tranquillo- cercò di rassicurarlo.

-E da quando sei esperta in relazioni d'amore, tu?- le chiese ironico, per poi affrettarsi ad aggiungere -Comunque no, grazie. Preferisco cavarmela da solo. Sono pur sempre il Principe Caspian X- gonfiò il petto a quella frase, lanciandole uno sguardo orgoglioso e soddisfatto.

La ragazza evitò di rispondergli in tutte le lingue che conosceva.

-E comunque non mi hai risposto prima- disse, riferendosi alla domanda ironica sulle relazioni.

Evelyn ebbe un attimo di esitazione, prima di rispondere.

-Sesto senso-.

Caspian alzò palesemente un sopracciglio, mentre Eve tirava un sorriso sul volto in una sorta di apparente calma e convinzione.

-Sesto senso?- le chiese il Principe alzando, se possibile, ancor di più il sopracciglio.

-Si. Ogni ragazza lo ha nel sangue, ma ahimè, tu non lo sei per ovvie ragioni- disse la Pevensie riprendendo il tono sicuro di sempre e scoccando un'occhiata palese al ragazzo di fronte a lei, per poi guardarsi intorno nella cripta e sperando che il Principe non avrebbe continuato quel discorso.

-Però non hai risposto- tentò di sviare il discorso lui, cercando un contatto visivo.

-Si che ti ho risposto- ribatté calma Eve, evitando di guardarlo. Non poteva permettere, non poteva, che si formasse anche il minimo sospetto che a lei piaceva – e piacere era dire poco – qualcuno.

-Come se io credessi al fantomatico “sesto senso”- fece il segno delle virgolette, Caspian, come a voler calcare sulle ultime due parole in modo scettico.

-Voglio qualcosa di più dettagliato- finì sicuro, incrociando le braccia al petto. Sperò di non averla urtata, ma davvero non poteva credere ad una spiegazione così... così... così.

Senza che se ne accorgesse la situazione si era fatta pesante e la piega che stava prendendo il discorso non le piaceva per niente. Come se non bastasse, senza che potesse fare niente Caspian era riuscito a penetrare le sue difese che ogni volta che si toccava il discorso Amore lei imponeva. Doveva sviare il discorso. E subito.

Stava per rispondere, quando sia lei che Caspian sentirono dei passi avvicinarsi ed Eve, più vicina all'entrata, riconobbe la figura di Susan.

Perfetto.


Il sorrisino sul volto tornò e si calmò, pronta a sviare la situazione spinosa in cui si stava cacciando. Il Principe capì le sue intenzioni, ma prima che potesse dire o fare qualcosa Eve lo precedette prendendo parola nel momento in cui Susan entrava nella stanza.

-Caspian!- esclamò, con fin troppa enfasi, e il ragazzo le scoccò un'occhiata di rimprovero.

-Come sei gentile, ti ringrazio- esclamò milleflua e fin troppo riconoscente, sorridendo apertamente e catturando l'attenzione di sua sorella.

-Cosa ha fatto?- s'interessò infatti, intromettendosi in una discussione che in realtà non c'era e iniziando ad avvicinarsi ai due.

-Oh, beh, io nie...- iniziò Caspian, ma Eve lo interruppe tirandogli un calcio negli stinchi e prendendo parola mentre il ragazzo reprimeva un rantolo di dolore, coprendo la visuale di lui che saltellava sul posto a Susan.

-Non essere timido!- esclamò – e sembrava molto più una minaccia fatta tra i denti – girandosi e guardandolo torva.

-Sai Sue, Caspian è stato così gentile da avermi aiutato con le coperte, visto che per ora non posso muovere il braccio- spiegò, scoccando un ennesimo sguardo al ragazzo, intimandogli di reggerle il gioco che lui stesso aveva iniziato.

-Mi spiace, ti ho lasciata indietro perché ho accompagnato Lucy fuori per raggiungere Edmund e Peter che erano svegli da prima di noi. Ero appunto tornata indietro per chiederti si avevi bisogno perché Ed ha fatto notare che tu non c'eri- si scusò la Pevensie più grande con la sorella minore, palesemente in colpa, accarezzandole la testa.

Questa le sorrise, rassicurante e scuotendo la testa per minimizzare la cosa, e Susan ricambiò.

-Grazie per aver aiutato mia sorella- concentrò poi la sua attenzione su di lui, sinceramente riconoscente per quella carineria. Il ragazzo di fronte a lei sviò il discorso.

-Una cosa da nulla- proferì sollevando una mano in aria e minimizzando il gesto che, alla fine, aveva fatto volentieri. Guardando poi in direzione di Eve, per ricevere un supporto, non la trovò. Difatti la Pevensie, approfittando della situazione e del discorso tra i due, era uscita dalla stanza, lasciandoli soli.

Solo loro due.


-Eve?- Quello di Caspian sembrò più un'implorazione preoccupata che la semplice esclamazione di un nome. Il ragazzo si stava agitando, non aspettandosi quella situazione e sentendo la tensione salirgli e bloccargli le idee.

-Sarà andata dagli altri, sai com'è lei- la voce di Susan che stava impilando tutte le coperte, giusto per tenersi impegnata, lo riportò alla realtà, attirando l'attenzione del Principe.

-Ehm, si. Ho imparato a conoscerla un minimo- le diede ragione, per poi dire la prima cosa che gli veniva in mente.

-Tu come stai?- si decise alla fine, cercando di assumere un tono vago.

Bel discordo Caspian, complimenti.

-In che senso come sto?-

Ecco, visto?


Il Principe corresse il tiro, cercando di prendere confidenza e sistemare le cose.

-Intendo, come stai dopo l'attacco al castello di Miraz?- Nel pronunciare quel nome il tono della voce gli si incrinò, divenne freddo e distaccato, pungente come una lama affilata, segno di quanto detestava suo zio. O meglio, quello che un tempo considerava suo zio, ma che ora non vedeva altro se non come un traditore, bugiardo e meschino.

Come aveva potuto lasciarlo governare in quegli anni quando il legittimo erede era lui?

Susan capì l'interessamento e ne fu lusingata, così si affrettò a rispondere, per distoglierlo dal pensiero di ciò che avevano scoperto la notte appena passata riguardo la morte di Caspian IX.

Perdere un genitore, così come qualunque persona cara, non è bello – e lo sapeva, per quando aveva rischiato di perdere Edmund –; sapere che inoltre è stato tradito da una persona di fiducia rende la cosa ancora più amara.

-Fisicamente sto bene- iniziò, portando l'attenzione del ragazzo su di lei. Aveva lasciato perdere le coperte e si era girata apertamente verso il ragazzo.

-Ma...?- le domandò lui, capendo che c'era altro che la Regina voleva dire. Un tasto dolente, probabilmente.

-Beh, nella mia mente sono parecchio confusa- continuò, esitante, mentre con la schiena si appoggiava a una colonna di pietra e il ragazzo l'affiancava, invitandola a continuare con un gesto della mano.

Confusa? In che senso confusa?


Caspian si domandò se forse Evelyn non era totalmente pazza e qualcosa nel profondo del petto vibrò di aspettativa.

-Insomma, tutti i soldati che abbiamo perso, mi chiedo se ne è valsa veramente la pena- spiegò la Pevensie mentre la tristezza per il ricordo dei Narniani che non erano sopravvissuti ritornava. Gli occhi le si oscurarono e abbassò lo sguardo, mentre un silenzio pesante calava su di loro.

Caspian provò una leggera fitta di delusione, come se qualcosa si fosse spezzato, sostituita però in fretta dall'evocazione di quei ricordi.

-Secondo te poteva cambiare qualcosa se restavamo qui come avevi detto tu?- chiese lei, tornando a volgere il viso verso il ragazzo al suo fianco, guardandolo con uno sguardo indecifrabile. Tra il dispiaciuto, lo speranzoso e il frustrato.

-Non saprei- iniziò Caspian. La bocca gli si era seccata, e si ritrovò ad umettarsi le labbra.

Argomento spinoso, specialmente se fatto con la sorella di colui che ha fatto ammazzare tutta quella gente. Come sarebbe andata? Nessuno poteva saperlo, alla fine.

-Forse sì, alcuni che sono morti forse potrebbero essere qui- fece una pausa, preparandosi a ciò che stava per dire, mentre Susan lo ascoltava attenta.

-Però non è detto che sarebbero sopravvissuti in seguito, magari era destino- Finì, non sapendo dare una spiegazione logica a ciò che aveva appena detto, pensando che magari erano morti era per qualche ragione, ragione totalmente assurda.

Sempre se c'era una spiegazione.

-Forse doveva finire così, anche se il pensiero che poteva andare diversamente mi attanaglia lo stomaco- ammise, mimando un'alzata di spalle.

-Non lo sapremo mai, vero?- domandò Susan, più a se stessa che a lui.

Entrambi tenevano lo sguardo fisso a terra, come se i propri piedi fossero più interessanti, ognuno perso nella sua mente e nei suoi pensieri, godendosi la presenza reciproca.

-No, mi sa proprio di no-.




***



Speriamo che quei due si diano una mossa.

E lo sperava davvero, Eve, che quei due imbranati riuscissero ad arrivare a qualcosa, fosse anche un minimo passo in avanti.

Uscì dall'entrata e si permise di fermarsi e respirare l'aria fresca di Narnia. Non ebbe tempo di perdersi in ricordi malinconici, però, perché il mal di testa le tornò con una leggera fitta a dominarle i pensieri, e capì che era perché si stava sfogando la tensione avuta nelle ore precedenti.

La Pevensie decise di occupare la mente con altro, e stava giusto per muovere il primo passo verso il centro della radura, quando un'ombra leggermente più alta di lei le si avvicinò da dietro, facendo il minimo rumore indispensabile quando i piedi toccavano il suolo.

Se non fosse stato che era abituata grazie agli anni in cui aveva governato, le battaglie che aveva affrontato e l'udito che riusciva a captare la maggioranza dei suoni che spesso agli altri non arrivavano, non si sarebbe accorta della presenza dietro di lei.

Che poi, a volte si era chiesta se erano più spesso sensazioni sue.

Per riflesso portò la mano che poteva muovere verso l'elsa di Asterius, impugnandola, senza però estrarla e si girò di scatto, non tenendo conto di quanta distanza ci potesse essere tra lei e la figura. Per questo andò a sbattere la faccia contro qualcosa.

Per il colpo stava cadendo all'indietro, ma una presa salda che le si serrò sul braccio le impedì il contatto con il suolo. Alzando lo sguardo incrociò gli occhi di Edmund, che la guardavano tra il rimprovero e il preoccupato.

Che diavolo le saltava in mente di fare quella sorta di attacco?


-Dov'è Lucy?- domandò, facendo uscire dalla bocca la prima cosa che le veniva in mente.

Edmund corrugò la fronte, evitando di chiedersi il reale perché di quella domanda.

-E' dentro con Cornelius e Peter- rispose, accennando al rifugio dietro di loro, lasciando la presa e incrociando le braccia al petto.

-Capisco- si limitò a rispondere lei.

-Cosa volevi fare?-

-Io?- chiese Eve, indicandosi con l'indice. -Niente!- si affrettò ad aggiungere, cercando di essere convincente.

L'essere inopportuni era una prerogativa di tutti loro, in certi momenti. Eccetto Susan, lei era sempre perfetta al momento perfetto e diceva sempre le cose perfette.

-Quindi tu non stavi facendo niente- ripeté Edmund, scandendo la frase.

-Niente di niente, posso giurarlo- continuò Eve, mostrandogli le dita delle mani che non erano incrociate.

-E quindi cosa ci facevi qui da sola?- le domandò, curioso.

-Potrei farti la stessa domanda-

Impiccione,
pensò.

Edmund ridacchiò. -Sono venuto a vedere cosa stavi facendo tu-.

In un'altra occasione, in cui sarebbe stata sola, il fatto che suo fratello si fosse interessato a lei tanto da raggiungerla l'avrebbe mandata in un brodo di cuoricini tutti suoi. Purtroppo, doveva mantenere un certo comportamento davanti a lui e ai Narniani.

-Beh, mi dispiace ma per tua sfortuna non ho ancora fatto niente- lo rimbeccò, puntigliosa.

-Meglio. Vieni, ti cambio la fasciatura-.

Cosa?


-No!- S'impuntò, mentre Edmund iniziava ad avviarsi verso la cripta.

-Perché?- chiese semplicemente lui, arrestando il passo e voltandosi nella sua direzione, non capendo.

-Non mi fa male. E poi la fasciatura non mi serve più ormai, Lucy mi ha dato l'estratto del fiore di fuoco-.

Non voleva, in realtà, avere troppi contatti con Ed. Sapere di poterlo sfiorare, abbracciare e toccare, sentirne il profumo senza tuttavia poterlo vivere liberamente era una tortura, un contraccolpo che la faceva, ogni volta, sprofondare un pochino di più. Non se ne sarebbe mai liberata.

Edmund sospirò.

-Dobbiamo cambiarla perché rischia di fare infezione, e non credo tu voglia questo- spiegò, con quel suo tono di voce calmo ma che non ammetteva repliche sulle sue decisioni. Si avviò, sentendo dietro di lui Evelyn che lo seguì, dopo aver sbuffato sonoramente e strasciando i piedi sul terriccio.

Entrarono di nuovo nel rifugio ed Edmund si stava per muovere verso la sala con la scultura di Aslan, dove c'erano in quel momento Susan e Caspian. Appena si rese conto di questo Eve lo superò di corsa e gli si piazzò davanti impedendogli il passaggio.

-Cosa c'è ora?- le chiese, alzando gli occhi al cielo. Quel pomeriggio era più strana del solito.

-Non si può andare lì- fece veloce, alzando il capo impettita.

Edmund alzò un sopracciglio.

Evelyn si mise a torturarsi le mani e a guardare in basso, cercando un modo per spiegare la situazione. Ma la loro attenzione venne attirata dalle risate che provenivano dalla sala della tavola di pietra.

-Era per questo che non si può andare?- chiese divertito il Pevensie, indicando le ombre dei due.
 
-Ehm... si- Eve si grattò imbarazzata la testa -non dire niente a Peter-. Il fratello annuì e le fece l'occhiolino, per poi aprirsi in un sorriso che Eve ricambiò.

Rimasero per qualche attimo in silenzio sentendo sempre Caspian e Susan, poi il minore dei fratelli Pevensie si mise a guardare in giro, per cercare un altro posto tranquillo.

-Allora andiamo là- fece, dopo pochi attimi, prendendo Evelyn per il polso e costringendola a seguirlo. Quella si fece trascinare senza remore, cercando di capire le sensazioni che provava in quel momento.

-Siediti, io vado a prendere una benda-

-Si capo- lo prese in giro lei. Osservò la figura di suo fratello prendere delle garze e tutto l'occorrente per farle di nuovo la fasciatura.

Voltò lo sguardo fuori al rifugio e notò che il sole stava per calare. Senza neanche accorgersene il tempo era passato senza che facessero nulla di particolarmente rilevante. E le sembrava di non aver visto in giro Dhemetrya, ne Lia o Antares.

Venne riscossa da Edmund che le si stava avvicinando con una benda nuova. Le sciolse la fasciatura e osservò la ferita: ferita che non c'era.
Al suo posto stava una piccola cicatrice vagamente a forma di stella.

-Allora?- chiese impaziente Eve, cercando in invano di guardare dietro.

-E' guarita, o almeno così sembra- le disse Edmund, sfiorando la pelle. -Prova a muovere il braccio-.

Evelyn fece come ordinato e iniziò a muoversi senza avere nessun dolore.

-Non mi fa male- disse, dopo vari movimenti. Il fiore di fuoco aveva fatto il suo lavoro magnificamente. Insomma, aveva ridato vita a Trumpkin ed Edmund, cosa sarebbe stato mai una piccola ferita alla spalla?

-Comunque per precauzione ti rifaccio la mia fasciatura perfetta- disse il Re, prendendo in mano una garza pulita e dopo aver constatato che quella precedente era comunque macchiata di sangue.

Eve si lasciò andare a quella premuta.

-...Va bene-.



***



Evelyn si guardò un attimo intorno e notò Cornelius, Lucy e Peter, così si alzò e si avvicinò al terzetto. Non appena arrivò si sedette vicino a Lucy e iniziò ad accarezzarle i capelli, per poi rivolgere l'attenzione al discorso tra suo fratello e il precettore.

-Oh, salve Regina Evelyn- la salutò Cornelius, mimando un inchino. Eve in risposta strinse leggermente un pugno, sorridendo nervosa, poi si accorse che aveva tra le dita le ciocche di Lucy e si rilassò, iniziando a farle una treccina.

-Puoi chiamarmi Eve- gli fece notare, rilassandosi.

-Certamente- si scusò allora Cornelius, tornando poi a rivolgere l'attenzione a Peter.

-Quindi ditemi, mio Re, il Grande Aslan esiste ancora?- domandò, pieno di aspettativa. Avere a che fare con quelle che fino a qualche giorno prima erano solo leggende non era certo un evento che lo lasciava indifferente.

Questo parve destarsi dallo stato di trance in cui era e fece per rispondere, ma Lucy lo precedette.

-Certo che esiste!- saltò in piedi, entusiasta, e la treccina che le stava facendo Evelyn iniziò a sciogliersi.

-Aslan è qui, lo sento. Arriverà in nostro aiuto- continuò, osservando negli occhi gli altri tre senza timore delle sue affermazioni. Insomma, non era mica solo lei a crederlo, vero?

Evelyn sorrise di rimando e la invitò a sedersi di nuovo, mentre Peter le scoccò uno sguardo indecifrabile. Non era certo colpa di Lucy se Aslan era così importante e tutti lo aspettavano.

Però, dov'era allora? Perché aveva permesso tutto quello e non dava loro un segno?

Il precettore invece parve essere sorpreso.

-E ditemi, mia Regina- iniziò, rivolto direttamente alla più piccola Pevensie, quella che sembrava invece più propensa ad affrontare quel discorso.

-Davvero è così grande e potente?-

La Pevensie si aprì in un sorriso, un sorriso pieno di gioia, mentre i ricordi su Aslan le tornavano alla mente, così come le ritornavano davanti agli occhi il sogno, nelle orecchie le sue parole pacate e sagge.

-Aslan è il più grande leone che io abbia mai visto. E' buono e ci ha aiutato quando siamo venuti la prima volta qui ed è stato proprio lui a incoronarci a Cair Paravel-.

-E' vero ciò che si dice su lui- l'aiutò Evelyn, spiegando con più pacatezza ciò che l'uomo chiedeva.

-La sua criniera è davvero morbida e il suo ruggito è così potente che si può sentire fino ai confini orientali. Solo lui è capace di grandi cose che noi non potremmo nemmeno spiegare. Non è vero, Peter?- finì, rivolgendosi poi al fratello.

Quello nemmeno si girò a guardarla, limitandosi ad annuire distrattamente, senza rompere quel silenzio in cui si era ostinatamente chiuso. Aveva talmente tanti pensieri e tante domande che Aslan e le sue capacità erano solo una piccola parte che preferiva non tirare a galla.

-Perché fa così?- Lucy si rattristò e guardò il fratello e poi Eve, preoccupata.

-Anche i grandi Sovrani fanno degli errori- prese parola Cornelius, rivolto alle due ragazze. -E poi bisogna pagare le conseguenze delle proprie decisioni-.




***



Dalla parte opposta al precettore e alle due ragazze stavano Lia e Antares.

La lupa se ne stava distesa sotto la fronda di un albero al lato della prateria, al confine con l'inizio del bosco, mentre il destriero si limitava a girarle intorno.

-E' lei?- le chiese, alzando il collo e scuotendolo.

-Si- Lia continuò ad osservare la figura della penultima Pevensie, che parlava amabilmente con Cornelius, poi si sdraiò maggiormente, poggiando il muso sulle zampe mimando una posizione di rilassamento.

-Non dobbiamo far altro che aspettare, allora-.

Il silenzio della compagna fu una risposta più che eloquente. Non avevano bisogno di usare troppi giri di parole, tra loro.

-Dov'è Dhemetrya?- chiese poi, sperando invano che la lupa potesse dargli una risposta diversa rispetto a quella che già sapeva.

-Lei... lo sai, lo senti anche tu-

Fa troppo male. Lasciatemi sola. Per favore.


-...Si-.




***



Evelyn aveva parlato molto con Cornelius, e se non fosse stato per Caspian a quell'ora sarebbe stata ancora presa a raccontare del suo mondo e dell'entrata in Narnia.

Si avvicinò alle sue coperte e le sistemò alla bene e meglio, cercando di essere delicata – per una volta – e fare il meno rumore possibile. Si sdraiò e cercò una posizione comoda, dopodiché si perse nei ricordi di un tempo che aveva raccontato al precettore.

In particolare le venne in mente il giorno dopo l'incoronazione, quando scoprì che Aslan, oggetto di spicco nei discorsi di poco prima, se n'era andato davvero.




***



Evelyn osservava il paesaggio dalla grande balconata che dava sul mare dell'est e sulla spiaggia.

La stessa spiaggia da dove lui era sparito. Se guardava bene poteva ancora vedere le impronte di Aslan sulla sabbia del bagnasciuga che ad un certo punto s'interrompevano.

Aveva chiesto subito dopo la festa dove fosse il grande leone per ringraziarlo di tutto e aveva saputo da Peter che era andato via.

Andato via.

Senza salutarli. Senza permetterle di salutarlo. Senza nemmeno dare uno straccio di spiegazione – anche se, come poi avrebbe capito, le spiegazioni il leone le dava in modo criptico e stava a loro interpretarle.

Lei voleva ringraziarlo per aver perdonato Edmund, per averlo salvato, per averli aiutati, per essere stato la loro guida… e non aveva potuto perché lui era sparito, andato chissà dove.

Si era sentita tradita, per un attimo: prima li fa chiamare dalla Grande Magia, li incorona Sovrani di Narnia, li fa combattere in una battaglia dove rischiano la vita, loro poco più che bambini... e poi scompare, lasciandoli da soli a governare un regno.

Eve sospirò, continuando a guardare il mare alla sua sinistra, come se sperasse di vederlo tornare, che era solo un momento improvviso quello per cui era andato ma aveva fatto ritorno per stare accanto a loro.

-Eve-

Una voce la riscosse dai suoi pensieri, e girandosi impercettibilmente riconobbe Edmund, negli sgargianti abiti, il mantello che tocca lievemente terra perché troppo lungo.

-Si?-

-Ti volevo chiedere cosa facevi qui- affermò, avvicinandosi e sistemando meglio sul capo la corona D'argento. Quella cosa non voleva saperne di restarsene ferma senza scivolare.

-Niente- si limitò a rispondere lei, continuando a osservare il panorama.

-Andiamo!- la riprese lui, improvvisamente con il tono di voce più alto, e Eve sobbalzò, guardandolo.

-Non puoi stare qui a fare niente, devi pur far qualcosa!-

Evelyn storse leggermente il naso, voltandosi completamente verso suo fratello e appoggiandosi con un gomito alla ringhiera di cemento della balconata.

-Non eri tu quello che diceva che si poteva stare benissimo in casa perché l'aria c'è anche dentro?- gli fece notare, scocciata, ricordandogli il discorso a casa del professore. Quanto era insopportabile suo fratello in quel periodo...

Edmund chinò il capo e la corona scivolò nuovamente in avanti.

-Si, beh… ma non centra- le fece notare, togliendosela.

-E poi dai, vieni dentro. Lucy e Susan hanno fatto una torta- le disse, facendole capire il perché la cercava.

-Lucy e Susan? Una torta?-

Quello in risposta alzò le spalle.

-Beh, almeno ci hanno provato… basta che non mi avvelenano-.

Eve gli diede una piccola pacca sulla spalla per ammonirlo della frase appena detta: Susan era bravissima a fare dolci, insieme alla mamma.

La mamma, chissà come stava. E chissà se papà era ancora in guerra.

-Edmund! Evelyn! Venite dai!-

Le voci di Tumnus e Lucy li chiamarono, mentre Peter parlava con il signor Castoro e la moglie era intenta a sistemarsi meglio il pelo castano.

-Arriviamo!-

Edmund prese per mano Eve e la condusse dentro. Questa s'impuntò con i piedi e volse un'ultima volta lo sguardo alla spiaggia e al mare, in un ultimo gesto di speranza.

“Tornerà”.

Sentì un sussurro vicino all'orecchio e le sembrò che una leggera brezza le accarezzasse il collo, e sgranò gli occhi, colta in un primo momento dal panico.


Chi... ?


-Eve? C'è qualche problema?- le chiese Edmund, riportandola alla realtà.

Questa negò con la testa, non riuscendo a dire una parola – mai avrebbe rivelato in futuro, poi, quel dettaglio – per poi farsi condurre dal fratello maggiore dagli altri.

E poi furono solo risate.




***



Evelyn ricordava bene quei momenti: la torta fatta da Lucy e Susan era buonissima, e in poco tempo non ne era restata più neanche una briciola - e non era un modo di dire.

Si era divertita moltissimo quel giorno, come quelli a seguire, per giorni, settimane, mesi e anni in una Narnia viva che trasmetteva voglia di vivere.

Si girò dalla parte opposta, maledicendo il mal di testa che era tornato e cercando di addormentarsi.


























































Scusate. Scusate, anche se non ho propriamente scusanti. Mesi d'inferno, come già dicevo in Blood Legacy.

Come sapete questa storia era già stata scritta (fino ad un certo punto) e sto sistemando il lessico/la grammatica e aggiungendo le parti in più che la differenziano dalla precedente, quindi non me la sono sentita di togliere la parte riflessiva di Caspian sui Pevensie. ^^' E quella sulle caratteristiche di Eve, non è data “a caso”, nel senso che poi avrà anche un suo significato. Allora, si continua nel post battaglia, adesso ci saranno dei capitoli di assestamento vario con le varie reazioni.

Non so quanto ci metterò per il prossimo capitolo, spero di riprendere un buon ritmo piano piano. Niente in particolare da dire riguardo questo.

Ringrazio chi continua a seguire e leggere portando una pazienza immensa. :)
Grazie mille,
Dhi
.

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Capitolo 23
*** La musica incantatrice dei ricordi. ***


Le note sono a fine capitolo, nel frattempo, ecco un breve riassunto sugli eventi accaduti fino ad ora:
Peter, Edmund, Susan, Lucy ed Evelyn sono tornati a Narnia, trovandola cambiata ed invasa dai Telmarini. Assieme a Caspian, cercano di convincere i Narniani a combattere al loro fianco per spodestare Miraz, ma il primo attacco al castello dell'usurpatore si rivela disastroso. Nel frattempo al loro fianco si sono uniti Lia, una lupa dagli occhi di ghiaccio che riesce ad avere subito la fiducia di Eve e che sa che è segretamente innamorata di Edmund; Dhemetrya, una ragazza chiusa nel suo mondo e che sembra avere un profondo legame con la Grande Magia tanto da chiamarla "madre" e che al momento, a causa della sconfitta disastrosa, è scappata di nascosto dal campo; ed Antares, un destriero che per vari anni è stato rinchiuso nelle scuderie del castello di Telmar. Tutti e tre si conoscono sembrerebbe fin dai tempi di Jadis e custodiscono un segreto che li lega riguardante Narnia tenuto nascosto per più di milletrecento anni.





Narnia' Spirits
La musica incantatrice dei ricordi



Tutti i Pevensie si svegliarono la mattina presto quando il sole era sorto da poco, illuminando la radura e il bosco in cui si trovavano.

La natura giaceva imperterrita nel suo silenzio, ferma e immobile come se tutto ciò che stava succedendo sulla terra da cui prendeva vita non la riguardasse minimamente.

In poco tempo tutti si ritrovarono preparati e pronti per iniziare quell'ennesima giornata.

Avevano deciso di dormire nuovamente tutti insieme, perché si sentivano più sicuri e lasciando così un paio di stanze del rifugio sotterraneo per i feriti che necessitavano di cure e di un posto tranquillo in cui riprendersi.

Anche Lucy non si volle tirare indietro ai suoi doveri, nonostante Peter avesse tentato in tutti i modi di convincerla a dormire ancora qualche ora. Ma la Pevensie aveva rifiutato caldamente, rassicurando il fratello maggiore dicendogli che avrebbe solo passato la mattina con Trumpkin, per vedere come stesse, e Antares, per poterlo conoscere meglio.

Il maggiore aveva allora ceduto, espirando un grosso sospiro, dicendole di non allontanarsi dal rifugio e seguendola quando la sorellina si era avviata fuori dalla stanza di Aslan, prima con lo sguardo e poi con la sua persona.

Evelyn ed Edmund, che avevano seguito tutta la scena, mentre Caspian parlava fitto fitto con Susan poco lontano da loro, si ritrovarono a sorridere di quelle premure: ormai Lucy era grande, già una volta era diventata una donna a tutti gli effetti, ma Peter continuava a tenerla d'occhio e prestarle costanti attenzioni come se fosse ancora la bambina piccola e innocente che aveva scoperto Narnia.

Era anche l'unica con cui aveva parlato un po' di più da quando erano tornati dalla battaglia, senza limitarsi a rispondere a monosillabi come invece faceva con loro, perché con Lucy riusciva in qualche modo a smussare certi suoi lati spigolosi per non darle il dispiacere di ricevere una brusca risposta.

Eve voltò il viso verso sua sorella maggiore e il Principe e sorrise di più, osservandoli dalla sua posizione.

Quanto avrebbe dato per poter sapere di cosa parlavano!

Sembravano divertirsi e vedeva negli occhi di sua sorella e del ragazzo da parte a lei uno speciale luccichio negli occhi, oltre che le loro espressioni distese e serene.
Pensò che fossero fortunati, perché insieme sembravano riuscire a lasciarsi alle spalle il ricordo della notte terribile che avevano passato nemmeno due giorni prima.

Sospirò, dispiaciuta e affranta, distogliendo lo sguardo e posandolo sulla lapide che le stava di fronte.

Lei non poteva mostrare il luccichio che avevano i suoi occhi quando parlava con Edmund, ne poteva – o forse era più corretto dire voleva – confidarsi con qualcuno riguardo tutto ciò che stava succedendo dentro di lei.

Gli eventi si stavano succedendo tutti in maniera fin troppo rapida da lasciarla quasi senza fiato.

Dover pensare a celare i suoi sentimenti agli occhi degli estranei e dei suoi fratelli, preoccuparsi delle sorti di Narnia, del suo mondo che inesorabile sembrava andare verso una sorte già decisa, cercare di fare la parte della ragazza forte... erano tutte cose importanti e di cui sentiva di non stare riuscendo a gestirne il peso come avrebbe voluto.

Dopotutto, Lia l'aveva scoperta nemmeno un giorno dopo.

Il fratello da parte a lei la osservava di sottecchi, provando a cercare di intuire a cosa pensasse mentre guardava il vuoto, invano.
Evelyn quando si chiudeva nella sua testa diventava impossibile da raggiungere.

La sorella chiuse gli occhi e ispirò profondamente, come a volersi rilassare e svuotare la mente, dopodiché si voltò verso di lui, che sussultò per essersi fatto scoprire mentre la fissava.

-Vado con Lucy e Peter, tu che fai?- gli chiese, non facendo caso alla sua espressione di timore per averlo colto sul fatto, guardandolo dritto negli occhi scuri mentre attendeva risposta.

Edmund ebbe un attimo di esitazione, e si grattò una guancia, pensieroso.
-Beh… - iniziò, voltandosi verso Susan e Caspian senza celare di starsi mettendo a guardare anche loro. Di certo non poteva andare da loro a fare da terzo incomodo, rifletté, rompendo quel quadretto che trasudava un'atmosfera distesa e serena.

Era sicuro che pur non vedendola Evelyn fosse pronta a fulminarlo se avesse sbagliato a dare risposta e anche solo osato avvicinarsi ai due.

-Vengo anche io- rispose, tornando a fissare la sorella minore. La vide annuire, ghignando in direzione del Principe e di Susan, per poi girarsi e avviarsi in cerca del fratello maggiore e della sorellina minore.

Le fu subito dietro, allungando il passo per raggiungerla, e non poté non ripensare in quel momento in cui aveva visto sua sorella e Caspian scambiarsi sguardi eloquenti e sorrisi imbarazzati, a quando a Londra l'aveva vista andare via dispiaciuta dopo che le aveva risposto che l'amore era una cosa per femmine.

Non che l'avesse fatto apposta, solo che aveva risposto senza pensarci.
Inoltre era stato inquieto, perché Evelyn aveva passato tutto il tragitto da casa a scuola a parlare con quel Simon.

Lei, che non dava confidenza a quasi nessuno preferendo isolarsi in un mondo tutto suo – che guarda caso somigliava a Narnia.

Erano stati attimi infiniti in cui aveva avuto un sentimento di profondi gelosia e terrore combattere dentro di lui, incatenandogli il cuore e facendogli sentire una morsa allo stomaco, il quale si era sentito impotente di fronte all'eventualità che Eve gli venisse strappata via dall'interesse nato per un ragazzo.

E lui non avrebbe potuto farci niente a riguardo.

Scosse la testa e un ricordo gli balenò nella mente, risalente a dopo il primo incontro con Simon. Perché ovviamente lui era tornato alla carica, riprovando a fare colpo su Eve.

La sorella minore che lo precedeva intanto era immersa nei suoi pensieri ricordando con un sorriso quando quel Senhal aveva riprovato ad avvicinarla il pomeriggio dello stesso giorno; non sapeva che quel ragazzo era stato attirato da lei in modo quasi inconscio, solo che, appena l'aveva vista, qualcosa era scattato dentro di lui.

Se qualcuno le avesse detto che lei ed Edmund stava pensando allo stesso momento, anche se visto da due differenti prospettive, avrebbe riso dicendogli di non prenderla in giro.



***



Evelyn, Susan e Lucy erano all'edicola che si trovava davanti alla stazione, la stessa a cui si fermavano sempre, sia in compagnia che singolarmente, per apprendere le notizie che succedevano nel mondo o concedersi del tempo per riflettere fingendo essere occupate.

Susan stava leggendo un quotidiano, fintamente interessata - per lo più faceva scorrere gli occhi leggendo qualche riga sparsa, Evelyn osservava le macchine passare per la strada grigia seguendo con gli occhi la loro direzione e Lucy si guardava in giro, gli occhioni che trasudavano impazienza, cercando di scorgere tra la folla di studenti che si riversava sui marciapiedi Edmund e Peter, che lei e le sorelle stavano aspettando.

La Pevensie sbuffò rassegnata e imbronciando il viso quando, per l'ennesima volta, non li vide tra la nuova orda di studenti che stava arrivando.

Probabilmente si erano trattenuti da qualche parte e loro erano li come delle allocche ad aspettarli per tornare a casa, perdendo del tempo in cui invece potevano già essere sulla via di casa.

Ma Peter era stato categorico a riguardo: mai prendere il treno da sole. O lui o Edmund dovevano essere con loro.

Sorrise, ricordandosi l'espressione allibita di Evelyn e Susan nel sentire quella frase, ma il fratello maggiore era stato convincente nella sua spiegazione: non erano a Narnia, dove nessuno avrebbe fatto loro del male e dove potevano avventurarsi per i boschi da sole; erano a Londra, nel loro mondo di nascita, un mondo sconvolto dalla guerra in corso e con un tasso di criminalità non indifferente, con persone pronte a arrabbiarsi anche per le più piccole cavolate.

Alla fine anche le sorelle ci avevano fatto l'abitudine, sebbene la loro voglia d'indipendenza spesso le metteva nella posizione di cercare di imporsi sul più grande ricordandogli che non era più ragazzine e non erano più a Narnia.

Ma a maggior ragione, Peter aveva risposto che la mamma li aveva affidati a lui. Erano una sua responsabilità.

-Uffa, ma quanto ci mettono?-

La voce di Evelyn che a stento tratteneva il tono scocciato, fece voltare Lucy verso le due sorelle maggiori riportandola alla realtà, strappandola dai ricordi di quel dibattito ormai lontano.

Susan posò il giornale insieme agli altri dopo averlo piegato con cura, come se non lo avesse mai letto.

-Perderemo il treno- proferì, senza guardarle ma voltandosi ad osservare il grande orologio appeso alle parete della stazione, la mani che lisciavano ancora i fogli del giornale già dritti.

-Se iniziassimo ad andare?- azzardò Eve, mettendo una mano sulla fronte per coprire gli occhi da un raggio di luce che la stava infastidendo.

-Lo sai che non possiamo prendere il treno da sole- le rispose Lucy, rammentandole il discorso di Peter, che si era voltata a fissarla insieme a Susan.

Quella in risposta si aprì in un sorrisino che la sapeva lunga, ghignando in direzione della minore e scambiandosi un'occhiata eloquente con la maggiore.

-Peter ha detto che non possiamo prendere il treno, non che non possiamo andare in stazione per
aspettare il treno- sussurrò, ovvia, avvicinandosi all'orecchio di Lucy chinandosi leggermente in avanti e incrociando le braccia sotto il seno.

Le tre Pevensie si scambiarono una silenziosa occhiata d'intesa e presero le loro borse, per poi avviarsi con calma verso la metropolitana.

Scesero le scale, che spesso occupavano delle risse, e si sedettero sulla loro panchina – quella stessa che, mesi dopo, sarebbe stata l'ultima cosa Londinese con cui avrebbero avuto contatto prima di tornare a Narnia dopo un anno e mezzo.
Loro perché, a detta di Lucy, quella panchina aveva qualcosa di speciale e si sedevano sempre lì per aspettare il treno.

Le tre posarono a terra le loro borse e si sedettero, lasciando volutamente Evelyn nel mezzo.

Susan e Lucy si scambiarono un'occhiata da dietro la testa della Pevensie, poi la più piccola prese parola, con un finto tono innocente.

-Eve, parliamo di qualcosa. Tanto abbiamo tempo-.

Quella in risposta si girò verso di lei, sbattendo le palpebre e non capendo dove volesse arrivare con una frase posta in quel modo.

Perché chiederlo a lei, poi?

-Di cosa dovremmo parlare?- le domandò, curiosa, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

-Mah non so… che ne dici di questa mattina? Susan tu sei d'accordo, vero?- chiese, fintamente tonta, sporgendosi leggermente per poter guardare la maggiore in volto, la quale le sorrise di rimando.

Gli occhi delle due brillarono di intesa.

-Certo- fece poi Susan, entusiasta, come se Lucy avesse avuto un'idea grandiosa.

Evelyn roteò gli occhi, sospirando pesantemente.

Ecco, lo sapeva.

-Come si chiama?- iniziò impaziente Lucy, avvicinandosi leggermente al suo volto e appoggiando le mani sulla panchina.

-Chi?- domandò Eve, il tono stanco di una persona che non vuole più parlare perché ha già dato fin troppe spiegazioni senza venire ascoltata.

-Ma come chi? Il ragazzo di stamattina, no?- intervenne Susan, attendendo risposta. Sapeva che Eve faceva solo la finta disinteressata per non dover parlarne con loro.

-Ah... lui- fece finta sorpresa – come Susan aveva immaginato, poi si costrinse a fare mente locale per rispondere. Davvero all'incontro di quella mattina ci aveva dato poco peso.

Ma almeno il nome lo ricordava.

-Simon Senhal-.

Sperava fosse giusto.

-Sentila Susan, sa già il suo nome e cognome- insinuò Lucy, parlando come se la sorella non ci fosse tra di loro. La diretta interessata sbuffò, non contenta di quella situazione – le piaceva mettere in imbarazzo gli altri, non ritrovarcisi.

-Certo che lo so, me lo ha detto lui come si chiama!-

La minore continuò come se quella non avesse mai parlato, abituata a quei modi di fare schivi e esasperati quando non le piaceva un argomento trattato.

-Non ti pare geniale, Susan? Di solito Eve ci mette secoli a ricordarsi di qualcuno che non sia di famiglia. Perfino nostra zia Sarah, che abita fuori città e vediamo poco stenta a riconoscere- constatò divertita, alludendo al fatto che le prime volte che zia Sarah andava a trovarli, ogni volta che Evelyn apriva la porta e se la ritrovava davanti gliela sbatteva in faccia accompagnata da un sonoro -Non compriamo niente!-

-Non è colpa mia se si veste come una zingara perché abita in campagna!- ribatté offesa e indignata Eve, capendo a cosa Lucy si riferiva.

Avevano fatto quel discorso centinaia di volte, cavoli!

-Invece, ricordare il nome di un ragazzo che ha visto solo una volta non le crea problemi- rifletté Susan, rivolta alla più piccola Pevensie continuando ad ignorare Evelyn che stava diventando sempre più impaziente e irritata.
Le iniziava a odiare per il fatto che non la stessero calcolando minimamente in quello che dicevano, come se non ci fosse.

Le due risero, divertite dalle reazioni della Pevensie, ma si trattennero dallo scoppiarle a ridere in faccia, limitandosi a guardare la sua espressione imbronciata e gli occhi che scattavano da una parte all'altra della banchina.

-Gatta ci cova-.

-Ehi Pevensie!-

Una voce decisa, conosciuta purtroppo da Eve, irruppe allegra nella conversazione. Si mise le mani nei capelli, mal celando il senso di disperazione che l'aveva colta per quella nuova presenza, guardando forse fin troppo in cagnesco il ragazzo di fronte a lei, che non ne capì il motivo.

Sentiva Susan e Lucy accanto a lei sghignazzare.

“Sono a posto” pensò, maledicendo Simon in tutte le lingue che conosceva e Peter ed Edmund per essere finiti chissà dove. Chissà come mai quando servivano non c'erano mai, quei due.

-Tu devi essere Simon!- la voce squillante di Susan congelò i pensieri della Pevensie contro i fratelli; vide la sorella maggiore avvicinarsi al ragazzo e porgergli la mano.
-Sono Susan, la sorella maggiore di Eve e lei è Lucy- fece, presentandole, sorridendo in un modo fin troppo ampio e pacato.
Lucy accennò a un saluto con la mano quando Senhal incrociò il suo sguardo, mentre la sorella, accanto a lei, sentì l'orrore farsi strada dentro di se.

Mai come in quel momento avrebbe voluto sbattere la testa contro il muro fino a spaccarsela o avere il coraggio di buttarsi sotto un treno in arrivo.

Puntò lo sguardo su una Susan e una Lucy intente a parlottare con Simon che, a differenza sua che avrebbe seriamente voluto solo sprofondare, non dava segni di nervosismo o imbarazzo. Anzi, sembrava perfettamente a suo agio con le sue sorelle, come se fosse abituato a trattare con le ragazze, notò con stupore Eve, imbambola a fissarli e senza aver ancora detto una parola.
Magari ne aveva anche lui in famiglia.

Decise di alzarsi in piedi e avvicinarsi a Simon, interrompendo la conversazione dei tre in modo poco garbato.

-Avevi bisogno di qualcosa?- gli chiese, freddamente, sperando di levarselo di torno il più in fretta possibile con quei modi bruschi.

-A dire la verità… sì- le rispose, inchiodandola con lo sguardo sul posto. Tutta la sicurezza nel comportarsi male le scemò via, senza nemmeno lei sapere bene il motivo.

-Che cosa?- intervenne Lucy, curiosa e in aiuto della sorella che aveva visto rimanere spiazzata.

Simon parve esitare un attimo prima di parlare con la minore, però poi prese parola, mentre le sorelle della ragazza che gli interessava lo guardavano, in attesa.
In realtà, non sapeva nemmeno bene lui cosa stesse facendo quel giorno.
Aveva visto Eve, e gli si era dovuto avvicinare per parlarci, attirato come gli orsi vengono attratti dal miele.

-Volevo invitare Evelyn a fare un giro- iniziò, scoprendosi. Tossì per togliere la secchezza che sentiva in gola, percependo un velo di imbarazzo prendersi possesso di lui.
-Ma vorrei il permesso da vostro fratello, ehm… - si interruppe un attimo, incerto sul nome da dire.

-Peter- gli suggerì Susan, sorridendogli tranquilla.

-Si, Peter- ripeté Simon, ricambiando il sorriso, sollevato per la reazione di calma che aveva avuto la maggiore delle sorelle. Sapeva che con quel ragazzo c'erano stati degli episodi di astio, ma sperò che potesse fare un'eccezione, se glielo chiedeva con calma e ne parlavano da uomo a uomo.

-Però non lo vedo, quindi mi sa che sarà per la prossima volta-.

Scordatelo.

Evelyn sorrise vittoriosa, esultando dentro di sé come se le avessero dato una notizia bellissima che aspettava da tempo. Era salva. Peter non lo avrebbe mai permesso, e ringraziò per una volta le manie protettive del maggiore – per una volta, non gli sarebbe andata contro.

La sua felicità durò pochi secondi, però, perché ci pensò Susan a irrompere in quel suo stato di esaltazione, riportandola alla realtà.

-Oh, ma ti do io il permesso-.

Cosa?

Evelyn trattenne un urlo per quell'impiccio, stringendo i pugni e fulminando Susan con lo sguardo – che, in tutta risposta, la ignorò, rivolgendo la sua attenzione a Simon senza preoccuparsi delle occhiate inceneritrici che le lanciava sua sorella.

Un giorno era sicura che l'avrebbe ringraziata.

-Davvero?- domandò Senhal, titubante, guardando il volto di Eve, improvvisamente pallido. Era sempre più convinto non stesse bene, perché non aveva minimamente partecipato alla conversazione.

-Certo. Dopotutto io sono la seconda, quindi vale anche la mia parola quanto la sua. Vero, Lucy?- ragionò, guardando poi la sorellina minore annuire quando le chiese silenziosamente manforte.

-Sono sicura che Peter non avrà problemi se è Susan ad averti dato il permesso- la aiutò.

-Ma tu non sei Peter- proferì debolmente Evelyn, a quel punto, cercando di trovare una scappatoia e con gli occhi che imploravano pietà per quella combutta.
Si sentì sopraffatta dalla volontà delle sue sorelle di volerla far uscire a tutti i costi con un ragazzo.

-Ho la sua stessa autorità- Susan mise le mani sui fianchi, un gesto fatto più per abitudine che per un motivo di imporsi.

-Ma tu non sei Peter- riprovò la Pevensie, calcando sul non, sussurrandolo in un modo quasi lento. -Prova a pensare se lo venisse a sapere- finì, cercando di metterle la pulce nell'orecchio facendole venire qualche dubbio.

Ci pensò Lucy, a colpire Evelyn nell'orgoglio, forse senza voler davvero.

-Non dirmi che hai paura di Peter-.

Vide la sorella farsi seria e composta, non tardando la sua reazione a quella frase.

-Certo che no- proferì, improvvisamente calma e sicura di se, non capendo cosa centrasse la paura di Peter con il suo non voler uscire con Simon.
Forse le sue sorelle pensavano che fosse quella la causa del suo rifiuto.

-Bene, allora andate e divertitevi- iniziò Lucy, mentre Susan spingeva una riluttante Pevensie verso Senhal. -Cerca di tornare per il treno delle 18.30-

-E voi?- Evelyn si girò verso la sorella sgusciando via dalla sua presa sulle spalle, dando la schiena al ragazzo che l'aspettava.

-Noi staremo qui ad aspettare Edmund e Peter, poi torneremo a casa. E non preoccuparti per la borsa, la prendiamo noi- Eve strabuzzò gli occhi, rendendosi conto forse solo in quel momento che davvero le toccava passare del tempo con Simon.
No, i suoi fratelli non sarebbero stati contenti di quella decisione di Susan, per niente.

-Ma... la regola di Peter?- Susan sbuffò.

Peter, Peter, Peter: in quel momento ciò che voleva era solo che Evelyn si distraesse un po', perché era stanca – e preoccupata – dell'isolamento verso cui stava andando sempre più spesso.

-Al diavolo- le sussurrò, rivolgendosi poi al suo accompagnatore. -Simon, l'accompagni tu a casa con il treno delle 18.30?-

-Certo. La vostra fermata è quella prima della mia- la sua risposta non tardò ad arrivare, ma la Pevensie non aveva avuto dubbi che, anche se avessero abitato più lontani, non si sarebbe fatto problemi per riaccompagnarla a casa.

-Divertiti- le raccomandò la sorella minore, mentre Susan le faceva l'occhiolino, attenta a non farsi vedere da Simon.

Evelyn storse la bocca, dando poi due baci sulle guance delle sorelle e avviandosi poi fuori dalla stazione con il ragazzo accanto. Di spalle, non le vide battersi il cinque.



Eve sospirò: ma chi gli e l'ho aveva fatto fare? Avrebbe voluto avere più forza di imporsi e capacità di dire no, ma da una parte non aveva il coraggio di ferire i sentimento del ragazzo che adesso camminava accanto a lei sul marciapiede.

-Tu vai alla stessa scuola dei miei fratelli- disse, per smorzare il silenzio creatosi tra loro.

Simon si limitò ad annuire, senza voltarsi a guardarla, limitandosi a lanciarle delle brevi occhiate.
-Si, li vedo a scuola, a volte-. Surclassò di dire che lui e Peter non si erano mai piaciuti a pelle.

-C'è un motivo particolare per cui ora mi trovo qui?- chiese Evelyn, forse fin troppo diretta, non sapendo come gestire la situazione. Pensò che con Edmund era tutto più facile, nonostante la situazione ben più complicata.

-Si- le rispose Simon, improvvisamente contento e deciso.

Avevano continuato a camminare fino ad entrare in un parco, ed Eve si perse ad osservare gli alberi automaticamente, prima che la risposta di Senhal la riportasse alla realtà.

-Volevo chiederti se ti andava di uscire con me sabato pomeriggio-.

Eve si ritrovò a sorridere percependo un mal celato imbarazzo nel ragazzo di fronte a lei, e non poté che rispondergli di si – se non altro, apprezzava il coraggio e la tenacia che dimostrava.

-Ora che mi sono tolto questo peso, che ne dici se ti offro una cioccolata calda?- le chiese, porgendole gentilmente la mano.

Evelyn pensò stupidamente che i soldi che aveva erano tutti nello zaino che aveva preso Susan da portare a casa. Si scusò con il ragazzo, imbarazzata, ma quello la rassicurò, dicendole che dopotutto era stato lui a invitarla all'improvviso.
Si stupì di come la tensione fosse scemata in pochi minuti, ascoltando il moro, che prima era quasi taciturno, raccontarle delle giornate passate a giocare a calcio con gli amici, invitandola anche ad andare a vederlo qualche volta durante gli allenamenti.

Passarono il pomeriggio a parlare del più e del meno davanti ad una tazza di cioccolata con la panna e dei biscotti freschi, in un tavolino di un bar del centro la cui vetrata dava sul parco di poco prima.

Parlarono dei loro interessi, della loro famiglia, vagamente anche del loro passato – ciò che accomunava tutti i ragazzi, di quei tempi, era la durezza della vita che la guerra aveva portato nelle loro esistenze.
Eve scoprì che Simon aveva una sorellina più piccola di nome Jenne e un fratello più grande di nome Richard e che anche suo padre, come il suo, era in guerra.

Il pomeriggio alla fine passò in modo così piacevole che Evelyn non s'è ne accorse, persa a pensare a quante scene avesse fatto con le sue sorelle per niente, fino a quando non sentì il rintocco delle sei.

Simon si offrì di pagare come aveva detto, nonostante la Pevensie gli disse che gli avrebbe ridato la sua parte la volta successiva, ma quello minimizzò, avviandosi verso la stazione.

-Quanti anni hai, Simon?- gli chiese, mentre si avvicinavano alla panchina di poche ore prima – quella panchina maledetta, pensò Eve, le sembrava quasi di vederci sedute Susan e Lucy che se la ridevano nella sua direzione.

-Tra due mesi faccio i diciotto- le rispose, dubbioso. -Perché?- chiese poi incuriosito da quella domanda.

La Pevensie fece spallucce.

-Così-.

Si stava perdendo nei propri pensieri, pensando che aveva circa la stessa età di Peter, quando raggelò all'istante, venendo bruscamente riportata alla realtà da quello che i suoi occhi avevano appena scorto.

Peter.

Peter, con le braccia incrociate e lo sguardo serio puntato su di loro.

Eve aprì la bocca come per dire qualcosa, ma la richiuse quando, dietro il maggiore, vide un'altra figura che li osservava con la stessa intensità di sguardo.


Edmund.


Si irrigidì all'istante, pensando al casino che potevano aver combinato Susan e Lucy facendola uscire con Simon. Il ragazzo, accanto a lei, continuava a camminare tranquillamente, non accortosi del gelo che era improvvisamente calato su di loro.

I due arrivarono di fronte ai fratelli, ed Eve tenne lo sguardo basso.

-Ciao-. Non aveva il coraggio di guardarli in faccia. Non aveva il coraggio di guardare in faccia Edmund.

-Ciao, Eve- la salutò Peter, andando poi verso Simon fino ad arrivargli di fronte.

Edmund, dal canto suo, guardava la scena senza muovere un muscolo, le braccia incrociate al petto. Provava un fastidio come poche volte aveva sentito nella sua vita, ma quel gesto – l'uscire con un ragazzo, quasi di nascosto poi! – l'aveva ferito e fatto arrabbiare particolarmente.

Avrebbe voluto che sua sorella glielo avesse almeno accennato, pur non essendo lui nella posizione di impedirle di fare ciò che voleva.

-Grazie, Simon, ora accompagniamo noi Evelyn a casa- disse gelido Peter, facendo notare come si ricordasse il nome di Senhal pur non essendosi mai presentati. Il suo sguardo era freddo come il tono di voce che aveva usato per parlargli.

Il ragazzo non diede segni di turbamento, restando imparziale di fronte a tanta sfrontatezza e al modo in cui Peter lo guardava dall'alto in basso.
Dopotutto, sapeva già che non aveva un carattere facile.

-Va bene- acconsentì, non essendo nella posizione di ribattere. Poi sorrise, rivolgendosi esclusivamente alla Pevensie per congedarsi e usando un tono decisamente più dolce e pacato.

-Mi ha fatto piacere parlare ancora con te, Evelyn, ci vediamo sabato-.

Eve si limitò ad alzare la mano in segno di saluto, prima di vedere Simon darle le spalle e avviarsi diretto chissà dove invece di attendere il treno per tornare a casa.

-Non potevi parlarne con noi, prima?- chiese Edmund, turbato, mentre Peter si risedeva sulla panchina affiancato da Evelyn.

La ragazza si sentì male per il tono usato da Ed, che le parlava come se fosse alla stregua di una... traditrice. Si sentì morire, sotto quello sguardo accusatore, mentre un senso di colpa faceva capolino in lei. Un turbine di sensazione la colse, e fu costretta a chiudere gli occhi per calmarsi.

Perché faceva così?


Dopotutto era stata praticamente costretta a uscirci dalle sue sorelle, e inoltre aveva pensato che parlare con qualcuno che non fosse loro – qualcuno che fosse un ragazzo normale e che si era rivelato pure interessante – potesse aiutarla, dandole qualche tregua per la sua situazione sentimentale senza speranza.

Non erano di certo andati ad uccidere qualcuno, dannazione!


Se lo meritava di poter avere un po' di pace e provare a pensare a qualcuno che non fosse Edmund.

-Non fa mica qualcosa di male- disse, inviperita per il loro atteggiamento.

Edmund sembrò voler ribattere, ma si zittì perché sapeva che lei aveva ragione, lanciando solo un'occhiata a Peter, che si era alzato per dirigersi verso il treno appena arrivato.

-Andiamo a casa-

Salirono sul vagone avvolti da un pesante silenzio.



***




Fortunatamente, le cose poi si erano appianate in fretta e tutto era tornato come sempre, sollevandola dal peso di aver in qualche modo deluso i suoi fratelli.

Però davvero non aveva capito Edmund, perché trovava la sua reazione eccessiva e senza senso, non avendo mai avuto l'istinto di protezione che aveva Peter.
Aveva provato anche a chiedergli spiegazioni, ma lui aveva sempre sviato il discorso su qualche cosa d'altro.

Una parte di se le gridava che fosse geloso, ma si costringeva a farla tacere perché, se anche fosse stato quello il motivo, non sarebbe mai stato nel modo in cui lei poteva esserlo di lui.

Più semplicemente, si era data la spiegazione che Simon non gli piacesse, come non piaceva a Peter.

I due Pevensie raggiunsero Lucy e Peter che parlavano con il nano. Si avvicinarono, e la minore li salutò sorridente, mentre Trumpkin si limitò a fare un cenno del capo nella loro direzione.

Sempre di poche parole, eh?


-Come stai?- gli chiese Evelyn, sedendosi da parte a Lu e di fronte al Narniano, costringendolo a parlare.

-Bene, grazie- si limitò a rispondere quello, un po' burbero. Non gli piaceva essere al centro dell'attenzione, come stava accadendo in quel momento, anche perché si era ripreso e non c'era motivo di avere tanta gente attorno.

Edmund sorrise, sollevato che Trumpkin fosse tornato ai suoi soliti atteggiamenti appurando che non aveva più problemi dal tono leggermente brusco che aveva usato.

-Peter, posso parlarti?- la voce di Eve fece si che l'attenzione dei due Pevensie si catalizzasse su di lei, mentre Lucy continuava a parlare con Trumpkin. Il Pevensie fece un cenno di assenso, alzandosi per seguire la sorella fuori dal rifugio.

Edmund seguì le loro figure fino a quando non furono fuori dalla sua portata, domandandosi di cosa volesse parlare a Peter Eve.



***



-Come stai?-

La domanda di Evelyn lo lasciò un po' interdetto, ma non si fece attendere nel darle una risposta.

-Bene- sparò fuori Peter, mettendosi le mani sui fianchi, impaziente. Nella sua testa vorticavano le moltissime cose che avrebbe dovuto fare quel giorno e i seguenti.

-Non è vero- lo corresse Eve, con una nota di ovvietà nella voce.

-E' vero, non sto affatto bene- le diede ragione il fratello, ed la Pevensie trovò strano che non avesse provato a ribattere a quella sua affermazione.

Peter fece il gesto di mordersi un labbro, guardando il terreno e poi riposizionando lo sguardo sulla sorella.

-Per colpa di Caspian quei soldati sono morti- sputò fuori, rabbioso.

Evelyn gli scoccò un'occhiata gelida, capendo come mai non avesse ribattuto – semplicemente, non accettava che la colpa fosse anche sua, scaricandola solo sul Principe.

-Sai che non riesci a fingere, con me- gli disse, posizionandogli una mano sul braccio, che il ragazzo lasciò stancamente andare lungo i fianchi. Il fratello la guardò per attimi che sembrarono un'eternità, bloccandosi anche dall'inalare l'aria, mentre venivano avvolti in un silenzio quasi surreale.

Forse fu vedere lo sguardo pulito e non accusatore di Evelyn, che permise a Peter di tornare a respirare, scorgendosi solo una innocente preoccupazione.
Qualcosa dentro di lui si spezzò sotto il peso di tutti i pensieri e sentimenti che stava provando. Quanto bruciava, l'orgoglio ferito. Quanto facevano male, gli errori.

-Ho sbagliato- soffiò fuori, quasi come se avesse paura di dirlo lui stesso. Dicendole, le cose diventano reali.

-Si, ma non per questo devi arrenderti-

Evelyn gli si avvicinò, posandogli una mano fresca sulla guancia, per farsi guardare negli occhi. Cercò di scalfirlo nell'orgoglio, per farlo rinsavire e uscire da quell'apatia in cui era caduto e che stava facendo preoccupare tutti.

Se anche Peter, che era il più tenace nei combattimenti, si arrendeva, non avevano davvero più speranza.

Sembrò funzionare, perché vide un luccichio negli occhi di suo fratello e un tacito ringraziamento. Le prese la mano tra le sue, portandosela alla bocca e lasciandole un casto bacio contornato da un mezzo sorriso.

-Grazie-.



***



Peter entrò a passo deciso nel rifugio e si fiondò senza esitazione verso Glenstorm, iniziando a parlare riguardo la fabbricazione di armi e nuovi turni di vedetta.
Ci aggiunse anche qualcosa a proposito della libertà, del fatto che la guerra era appena iniziata e non tutto era perduto se provavano a combattere di nuovo.

La sua voglia di rivalsa sembrò essere in qualche modo contagiosa, perché vederlo in quel modo riuscì a risollevare gli animi dei Narniani che lo stavano ascoltando.

Edmund guardò Peter dettare ordini, mentre gli occhi ed i volti degli abitanti di Narnia si riaccendevano, come se fossero stati raggiunti da una nuova forza vitale.

Evelyn lo raggiunse, appoggiandosi al muro, un sorriso soddisfatto sul volto.

-Ho fatto un buon lavoro, vero?- chiese, incrociando le braccia al petto e sapendo già la risposta.

Edmund si voltò verso di lei, la mano appoggiata sull'elsa della spada.

-Cosa gli hai detto?- domandò, continuando ad occhieggiare il fratello maggiore, alzando le sopracciglia in un'espressione di stupore. Eve in risposta alzò le spalle, crogiolando internamente per la vicinanza di suo fratello.

-Probabilmente le stesse cose che avrei voluto sentirmi dire io- constatò, forse più a se stessa che al Giusto, continuando a guardare il frutto del suo intervento.
Vedere Peter comportarsi di nuovo come Re era una gioia per gi occhi. Era nato per governare.

-Io esco un po' fuori- disse poi, voltandosi per uscire dal rifugio.

Il fratello acconsentì lanciandole una sola occhiata, dandole mentalmente del genio – non glielo avrebbe mai detto a voce, altrimenti non l'avrebbe più finita di vantarsene –, continuando ad osservare il Supremo.



***



Appena fu fuori, il suo sguardo chiaro si posò sui vari alberi che circondavano la radura, e non poté non ripensare a quelli che una volta danzavano.

Essere di nuovo li a Narnia, in quegli stessi luoghi in cui erano cresciuti già una volta, riportava alla sua mente e davanti agli occhi memorie di cui, talvolta, pensava perfino di essersi dimenticata.

Rimembrò anche della prima volta che aveva sentito il nome di Aslan pronunciato dal signor Castoro. Aveva provato un misto di sicurezza e protezione, come quando si ritrovava insieme ai suoi fratelli nei momenti di calma e pace. Come se al solo sentire il nome del grande leone niente e nessuno potesse farle del male: ne a lei, ne ai suoi fratelli.

Ed infatti si era subito fidata di Aslan, appena l'aveva visto, mettendogli in mano la vita di Edmund senza esitazione.

E ora che c'era bisogno di lui più che mai, non c'era.

Eppure lei era sicura di averlo visto tra la vegetazione e anche Lucy. Di questo ne era sicura, non poteva sbagliarsi.

O magari si?

Se si sbagliavano entrambe?

Sapeva che il leone era enigmatico e aveva sempre un suo perché, però, quella volta davvero non capiva.

Aslan...

-Abbiamo bisogno di te- sussurrò, affranta, non accorgendosi di aver detto quella frase che si disperse nell'aria ad alta voce.

Sospirò di nuovo nel giro di pochi minuti, mentre la brezza leggera le accarezzava i capelli, come a volerla consolare.
Si beò del contatto con il suo vento, che per tanto tempo non aveva sentito sfiorare la propria pelle, mentre chiudendo gli occhi si ricordava della prima volta che aveva conosciuto Narnia.



***



Evelyn e Lucy erano appena entrate nella stanza vuota, rimanendo un attimo spiazzate trovandosi di fronte solo l'enorme armadio.

In sottofondo potevano ancora sentire Peter contare.

Si erano ritrovate l'una di fronte all'altra e senza remore erano entrate insieme nella prima stanza trovata.

Le due si sorrisero, complici, ed entrarono, venendo subito avvolte da folte pellicce e certe che nessuno avrebbe mai pensato che si trovassero li dentro. Eve chiuse l'anta di legno dopo aver sbirciato fuori e si voltò verso Lucy che continuava ad arretrare.

Quanto stava andando indietro sua sorella?

-Lu- la richiamò, a bassa voce -fermati, dove vuoi andare?-

-Più andiamo in fondo meno possibilità ci sono che ci trovi- le rispose la sorella.

Evelyn sorrise, muovendosi per raggiungere la sorella che nel frattempo si era bloccata - ah, finalmente era arrivata al fondo dell'armadio, non le era sembrato così profondo da fuori!

-Lucy?- la richiamò, vedendola ferma e immobile. La vide girarsi e tra le pellicce scorse il suo corpo irrigidirsi, e le si avvicinò, rimanendo totalmente incantata dallo spettacolo davanti a loro.

Un bosco. Un bosco completamente imbiancato.


Un bosco dentro un armadio.

Aveva senso?


-Lucy, stai facendo il mio stesso sogno?- chiese, per conferma. Non aveva senso quello che stava vedendo.

-Credo ... di sì- rispose quella, guardando il paesaggio che sembrava uscito da una favola totalmente incantata.

Entrarono completamente nel bosco e si voltarono giusto per avere conferma che l'armadio fosse sempre dietro di loro, incapaci di darsi una spiegazione, forse senza nemmeno preoccuparsi di cercarne una.
Le due si ritrovarono a sorridere, mentre osservavano la neve che candida scendeva dal cielo.

Evelyn sentì un brivido di freddo scenderle lungo la schiena.

-E' bellissimo- proferì, mentre osservava un abete completamente imbiancato. Come cullata da una dolce canzone iniziò a volteggiare tra la neve che scendeva, mentre Lucy rideva felice, cercando di prendere i fiocchi di neve che danzanti cadevano dall'alto.

Al terzo giro si bloccò, totalmente ipnotizzata dal lampione che si ergeva di fronte a lei. Lucy le fu subito da parte, e come se quel luogo fosse famigliare le due si avvicinarono al lampione studiandolo, curiose.

Eve posò una mano sul ferro freddo, ignorando il fastidio che quel contatto le procurò.

-Cosa ci fa un lampione in mezzo alla neve?-.

-Non lo so- si limitò a rispondere Lucy, avvicinandosi alla sorella e continuando a guardare in alto.

Un rumore improvviso le fece zittire, mettendole sull'attenti, e Lucy si posizionò dietro Evelyn in cerca di protezione, aggrappandosi ai suoi vestiti come se fossero l'unica salvezza che aveva. Le due continuarono a osservare il bosco intorno a loro, avvolte in un silenzio rotto solo dai loro respiri.

-Aahhh!-

Le due sorelle gridarono, incapaci di fare altro, riparandosi dietro il lampione quando videro uno sconosciuto palesarsi davanti a loro, il quale corse a nascondersi dietro il tronco di un albero.

Ci furono attimi di silenzio che sembrarono eterni dove solo la neve che continuava a cadere si muoveva, e Lucy fu la prima delle due che si mosse, ignorando Eve che provò a trattenerla, uscendo da quel nascondiglio improvvisato.

Evelyn continuava a guardare dubbiosa l'albero dietro cui si nascondeva quella persona, indecisa se seguire l'esempio della sorella.

La minore della Pevensie si avvicinò ai pacchetti che erano caduti, spargendosi nel terreno soffice e bagnandosi, cautamente; si chinò a raccoglierne uno, mentre sua sorella la raggiungeva, incerta, e il ragazzo si sporgeva dall'albero per osservare i movimenti delle due.

-Ah- Proferì poi, non sapendo cosa dire d'altro e uscendo dall'albero, mentre le due ragazzine continuavano a guardarlo curiose. Puntò l'ombrello davanti a lui come a volersi riparare da un probabile attacco, e osservò la ragazzina che ora gli porgeva il pacchetto.

Le due sorelle furono attirare dalle zampe da capra di quel ragazzo incapaci – per l'ennesima volta e in poco tempo – di processare quello che stava succedendo e a cui stavano assistendo.

-Ti nascondevi da... noi?-

Fu Lucy a interrompere quella tensione, innocente come solo una bambina sapeva essere, mentre Evelyn si chinava per raccogliere un piccolo pacchettino quadrato, occhieggiando la strana creatura.

Lo sconosciuto, che però ispirava simpatia, prese il pacchetto dalle mani della più piccola per poi chinarsi e raccogliere le altre cose. Balbettò qualcosa d'incomprensibile ed Eve alzò un sopracciglio davanti a tanta esitazione e trovandolo particolarmente impacciato e buffo.

-Io... non volevo spaventarvi- disse, con un tono calmo.

Evelyn e Lucy si ritrovarono a sorridere inconsciamente.

-Se non sono indiscreta, posso chiederti… che cosa sei?- domandò la maggiore, accostandosi alla sorellina.

-Io sono un fauno- rispose quello, come se fosse ovvio. Non capiva il senso di quella domanda, non era ovvio a quale razza appartenesse?

-E invece, voi? Siete per caso una specie di nani senza barba?- domandò curioso e guardandosi distrattamente intorno.

-No- prese parola Lucy, divertita per quella che pensava fosse una battuta. -Noi siamo due bambine-.

Il fauno le guardò stupito e improvvisamente serio e attento, ma nessuna delle due sembrò notare il cambiamento che gli passò attraverso lo sguardo.

-E se vuoi saperlo- continuò Lucy come se nulla fosse accaduto e raccogliendo un altro pacchetto -sono anche la più alta della mia classe-.

-Non è vero. La più alta è Annette- ribattè Eve, roteando gli occhi verso l'alto.

-Ma perché mette le scarpe alla moda con il tacchettino- disse Lucy, leggermente offesa.

Eve si ritrovò a sorridere, dando ragione alla sorella, altrimenti sarebbe stato un discorso troppo lungo da reggere. -E va bene, Lu. Tu sei la più alta della tua classe-

La Pevensie le sorrise e poi porse il pacco al fauno, che le osservava.

-Vorresti dire che voi due siete due figlie di Eva?- chiese, indicandole con il dito.

-Beh la nostra mamma si chiama Helen- disse Lucy, mentre Eve alzava un sopracciglio, scettica. Non capiva il senso di quel discorso.

-Si, ma tu devi essere… umana- puntualizzò il fauno. Ad Evelyn non piacque il suo tono di voce e qualcosa le diceva di stare attenta, anche se a vederlo sembrava totalmente innocuo.

-Si, certo. E' per caso un problema?- chiese, seria, cercando di studiare l'atteggiamento del ragazzo di fronte a loro.

-Che ci fate qui?- chiese in un sussurro, muovendosi nervosamente sulle zampe. Lucy iniziò a spiegare dell'armadio-guardaroba, mentre Evelyn si chiedeva il perché non avesse risposto alla sua domanda, ignorandola.

-Vi trovate a Narnia-

Alla parola Narnia Eve riportò l'attenzione sul fauno -Narnia? Che cos'è?- chiese, curiosa. Era un nome strano, però le piacque come suonava quando veniva pronunciato.

Lo strano ragazzo sembrò vacillare a quella domanda, rendendosi conto che le bambine davvero ignoravano quel posto, la sua esistenza ed i suoi abitanti.

-Ma care bambine, voi ci siete dentro. Ogni singola pietra a partire dal lampione e poi, giù, giù, fino al castello di Cair Paravel sull'oceano orientale. Ogni albero o pietra che vedi, ogni... ghiacciolo, è Narnia- spiegò, indicando con la punta dell'ombrello un punto indefinito alla fine della grande vallata sulla loro destra.

-E' davvero grande l'armadio guardaroba- sussurrò Lucy guardando la direzione indicata dal fauno.

-Cair Paravel- si trovò a ripetere Eve. Non sapeva come, ma anche quel nome le piaceva, le dava un senso di pace e calma.

-Permettetemi di presentarmi: il mio nome è Tumnus- iniziò il fauno, riportando l'attenzione delle due su di sé e inchinandosi leggermente in un vago gesto galante.

-Molto piacere signor Tumnus, il mio nome è Lucy Pevensie. E lei è mia sorella Evelyn- la ragazzina porse la mano verso la creatura.
Lui la guardò, interdetto, non sapendo cosa fare, così Eve intervenne.

-Devi stringerla- gli spiegò, indicandogli la mano della sorella con un gesto del capo.

-Perchè?- domandò, non capendo.

-Io… non lo so- esalò Lucy, aggrottando la fronte. Perché le persone si stringevano la mano? Era una cosa su cui non aveva mai pensato di fermarcisi a ragionare sopra.

-Da noi si fa così quando le persona s'incontrano- si ritrovò a parlare Evelyn.

Il fauno sorrise e allungò la sua mano, esitante, andando a stringere delicatamente quella della Pevensie sotto lo sguardo vigile di Eve. Poi fece lo stesso con lei e i tre si ritrovarono a ridere, come se si conoscessero da sempre.

Chi li avrebbe visti, pensava Evelyn, li avrebbe sicuramente scambiati per dei beoti.

-Beh, Lucy ed Evelyn Pevensie, giunte dalla splendente città di guardaroba, che ne dite di venire a prendere un the da me?- Chiese Tumnus, aprendo l'ombrello.
Le due lo guardarono scettiche e Lucy prese parola.

-Noi la ringraziamo, ma dobbiamo andare- gli disse; per quanto avrebbe voluto volentieri preso un accettare l'invito di Tumnus, erano via da troppo tempo in un posto sconosciuto. Dovevano assolutamente dirlo agli altri.

-È proprio qui, voltato l'angolo. Ci sarà un bel camino acceso, con il te caldo, i toast, i biscotti e le sardine- provò a convincerle il fauno.

Le sardine? si ritrovò a pensare Eve.

-Non lo so- proferì Lucy, lanciando uno sguardo ad una Evelyn dubbiosa quanto lei per quell'invito. Il tono incerto faceva capire che avrebbe voluto accettare.

-Coraggio- provò ad implorare Tumnus, per convincerle -non succede tutti i giorni di incontrare due nuove amiche-

La piccola Pevensie guardò la sorella maggiore ancora una volta e quella annuì.

Ormai erano lì, perché rifiutare?

-Solo un pochino- si ritrovò a decidere Eve, raccogliendo un pacchetto e prendendo a braccetto Tumnus dalla parte opposta a quella della sorella, avviandosi verso la casa del fauno.

Una parte di lei ancora non voleva lasciare Narnia.



***



Eve ricordava benissimo quel giorno, perché dimenticarsi il momento in cui scopri un altro mondo non è una cosa che ti scordi facilmente. Di quei momenti aveva impresso nel cuore e nel cervello ogni più piccolo particolare.

Tumnus aveva offerto loro il the con il latte, poi aveva iniziato a suonare quella melodia che le aveva fatte addormentare dopo averle ipnotizzate.

L'aveva svegliata Lucy a notte fonda, e insieme avevano chiesto al fauno – che avevano trovato turbato ed in lacrime – cosa non andasse. Erano venute a conoscenza, così, del nome di Jadis e dell'incantesimo che aveva lanciato su quella terra per la prima volta.

Evelyn non aveva mai pensato che Tumnus fosse cattivo, nonostante si fosse arrabbiata con lui perché aveva provato ad attirarle in trappola, e il fatto che le aveva ricondotte all'entrata dell'armadio senza consegnarle alla Strega era stata una prova.
Jadis spargeva terrore intorno a se tanto che anche le anime buone, per sopravvivere, venivano costrette a comportarsi male.

Ovviamente Susan, Edmund e Peter non ci avevano creduto quando, una volta che erano tornate, avevano raccontato la loro storia, pensando solo ad un gioco inventato per noia.

Evelyn tornò al presente quando si accorse di avere gli occhi lucidi e non riuscendo più a vedere limpidamente dove stesse andando.

Sospirò, tentando di calmarsi.

Anche se Narnia era sotto il gelo di Jadis, lo spettacolo che aveva offerto loro era magnifico, ammise.
E avrebbe pagato oro o dato la vita per poter rivedere Narnia come lo era al loro primo arrivo, perché anche se congelata, sotto pulsava di vita, cosa che allo stato attuale delle cose non era scontata.

Si ricordò della collana che stava facendo con Edmund qualche giorno prima, così si avviò nel prato dietro il rifugio per cercarla, ignorando la promessa fattagli dopo l'episodio del serpente di non recarsi più li da sola.

Non ci mise molto a raggiungere il posto desiderato, trovandolo bello come l'aveva lasciato.

Si mise alla ricerca, camminando tra l'erba e i fiori appena sbocciati, cercando di scorgere il loro operato in mezzo a quel mucchio di erba e margherite che confondevano le vista.

-Eccola!-

Quando la vide quasi le prese un colpo, non credendoci, chinandosi per raccoglierla. La lasciò subito cadere, però, quasi senza la sua volontà, perché una melodia proveniente dal bosco la raggiunse.

Somigliava molto a quella del signor Tumnus, che lui aveva suonato anche dopo la loro incoronazione – senza però utilizzare quella speciale magia che faceva addormentare, ma solo per far sì che la musica fosse un bel passatempo da ascoltare mentre si ballava con le driadi e gli altri fauni nel giardino di Cair Paravel.

Quella melodia, però, aveva qualcosa di strano.

Era nostalgica, era ipnotica, erprimeva durezza ma anche dolcezza.

Evelyn si ritrovò a camminare verso il bosco senza volerlo, attirata da quel suono che era penetrato nella sua testa, lambendola in uno stato di torpore, come un ape al miele.

Nella sua mente i ricordi della vecchia Narnia, dei castori, di Aslan, del signor Tumnus, degli anni passati a governare si affollavano nella sua mente, riportati a galla tutti insieme, mentre un senso di ansia e nostalgia la metteva a dura prova, schiaffeggiandole in faccia la dura verità che fino a quel momento aveva provato a negare a se stessa.

Narnia non era più come un tempo.


Gli uomini di Telmar l'avevano rovinata e lei e i suoi fratelli non c'erano stati a dare il supporto necessario, come invece avrebbe dovuto essere. Gli alberi non danzavano più e non si inchinavano al loro passaggio, non erano più casa delle driadi. Gli animali non parlavano e i grifoni non sovrastavano più il cielo azzurro, le ninfe e le sirene erano scomparse.

Perfino il suo vento si era spento: mentre prima la cullava e la faceva sentire sicura, ora poteva giurare che l'aria di Narnia assomigliava a quella londinese, benché conservasse quella traccia pura e pulita.

Narnia non era più Narnia e forse non lo sarebbe più stata, perché era come morta, come morte erano la maggior parte delle creature che fin dai tempi antichi l'avevano abitata.

Un moto di rabbia la percorse mente s'inoltrava nel fitto del bosco.

Dov'era Aslan quando serviva?

Perché aveva fatto si che tutto ciò accadesse?

Senza volerlo prese dentro in un ramo basso e appuntito, che fece si che la fasciatura si disfasse, cadendo al suolo.

Ma Evelyn era troppo impegnata ad ascoltare la musica e cercare di dirigersi da dove proveniva per accorgersi della cosa, mentre i ricordi le oscuravano la vista.

Arrivò in una radura che terminava in un burrone, e la musica si fece più forte e suadente.

-Vieni-

Non poté girarsi di sua volontà verso la provenienza di quella voce, però, perché il suo corpo era bloccato. Davanti a lei comparvero quelle che avrebbe definito driadi, ma che in realtà non lo erano.

Evelyn le riconobbe come seguaci di Jadis dal modo in cui erano vestite e agghindate, perché ricordavano i colori della Strega Bianca, e una delle due suonava un flauto.

La provenienza di quella musica così… strana.

La provenienza di quella trappola in cui era cascata come una stupida.

La musica si fece più forte e gli occhi di Evelyn divennero vacui, mentre la melodia le entrava nella mente, annebbiandogliela. Era stata una stupida. Si era lasciata abbindolare come una scema.

-Vieni- ripeté la prima voce, in modo suadente.

Sentire quel suono rimbombarle nella testa insieme alla musica che iniziava a essere fastidiosa le procurò una fitta alle tempie.

-Vieni con noi-

Evelyn mosse il primo passo verso la fonte di quella voce, totalmente incantata e soggiogata.

-A Narnia-

Fece i primi passi incerta, smettendo di ribellarsi, mentre l'effetto della musica faceva il suo corso, riportandole davanti agli occhi una Narnia che ormai non c'era più e dandole la speranza vana di poterla raggiungere.

Le due ghignarono vittoriose sapendo che, se non avessero fallito, la Strega sarebbe stata fiera di loro, poi la stessa di prima prese parola.

-No mia cara Regina, vieni con noi... verso la tua fine-

Evelyn si mosse di nuovo, avvicinandosi pericolosamente al bordo del burrone.

Per rivedere la sua Narnia.



***



Edmund osservava Lucy parlare con Antares e Lia, che mostravano un'estrema calma e pazienza nel rispondere alle domande curiose che la Valorosa continuava a fare loro.

La Pevensie si stava anche confrontando per sapere quando gli animali avessero smesso di parlare, ancora scossa per la storia dell'orso.

Susan e Caspian, invece, si erano accorti del movimento tra i Narniani e stupiti avevano passato dieci minuti buoni ad osservare Peter. Poi si erano cambiati ed erano usciti per allenare gli arcieri in vista della battaglia contro l'esercito di Miraz, contagiati dalla nuova atmosfera che vibrava gli animi dei Narniani.

Il Pevensie si guardò intorno cercando Evelyn, non vedendola. Uscì quindi dal rifugio mentre un presentimento si faceva largo in lui, ma lo scacciò, ripudiandolo in un angolo della mente, deciso invece a prendere in mano la situazione.

Si diresse nel campo di margherite in cerca di quella collana che stavano facendo giorni indietro.



















































































Note generali:

Allora, che dire?
No, non state sognando e no, non ci credo nemmeno io. Penso saranno le note più lunghe che io abbia mai scritto ma credo siano doverose, se volete leggerle.

Prima di tutto, mi scuso moltissimo, ma davvero moltissimo, per aver fatto passare più di tre anni dall'ultimo capitolo.
Io non so cosa sia successo, chi mi segue/seguiva come autrice sa che, in tutto questo tempo, non ho più pubblicato nulla, non so nemmeno io bene perchè. Immagino che il dover portare a casa uno stipendio sia il motivo principale, più molti cambiamenti che ci sono stati in questo arco di tempo; non sono una scusante, ma è la verità, perchè nonostante tutto io le mie storie lasciate in sospeso non le ho mai dimenticate.

Quindi, solo da un paio di mesi sono tornata a scrivere e pubblicare, forse perchè entrare in un nuovo fandom mi ha riacceso la scintilla dell'ispirazione. Non so se ci saranno ancora in giro i vecchi lettori, ho visto che il fandom nel frattempo si è un po' spento - nel caso, se volete, battete un colpo perchè mi farebbe davvero piacere.




Note sulla storia:

Prima di tutto devo dire che riprenderla è stato un po' difficoltoso perchè ci sono tanti elementi che, ai tempi, avevo ben stampati in testa insieme a come dovevano andare gli eventi. Quindi io per prima mi sono riletta quello che avevo pubblicato - trovando anche un paio di imprecisazioni che ho corretto, ma che non sono fondamentali ai fini della trama (esempio: quando Eve si addormenta nel prato scrivo che cade Artemis, ma in questa versione lei si è portata dietro solo Asterius, la spada) - per capire a che punto fossi arrivata.

Come sapevate, questa storia è la riscruttura di una che avevo iniziato a pubblicare nel lontano... 2010? 2011? non ricordo precisamente, quindi questo capitolo ed i prossimi quattro sono già delineati in base a quelli che avevo già scritto, andranno solo adattati e corretti grammaticalmente a questa versione.

Nel frattempo, lascierò passare un po' di tempo prima di tornare - almeno paio di mesi - così da avere tempo di prepararmi alcuni capitoli, in modo che, quando aggiorno, ne ho sempre qualcuno di riserva, e far ripartire nella mia mente gli eventi che devono succedersi, perchè pur sentendola mia ed essendo il primo progetto che ho pubblicato - quindi ci tengo davvero a vederla conclusa -, sento che non mi rispecchia più completamente.

Per quanto riguarda Essence, se qualcuno la seguiva, come scrivevo nelle note del profilo non trovo più la scaletta con tutti i capitoli. Mi piacerebbe riprenderla, ma al momento mi concentro su ciò che mi ispira e purtroppo quella non è tra queste.

Ringrazio chi si è fermato a leggere e coloro che non hanno perso la fiducia in me in questi anni.

Un grande abbraccio.
D.







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Capitolo 24
*** Il pericolo nascente da un segreto. ***


Narnia's Spirits
Il pericolo nascente da un segreto






I Narniani erano in fermento da quando il Re Supremo si era rimesso a dare ordini sulla prossima battaglia, passando tra i vari esponenti delle razze coinvolte per affidargli compiti nuovi e sentirne le loro opinioni a riguardo.

Nonostante un'idea per il piano di contrattacco si delineasse mano a mano nella sua mente, non si era dimenticato di quanto anche i pensieri altrui e il confronto fossero importanti.

Non avrebbe fatto lo stesso errore due volte.

Non si sarebbe fatto sopraffare di nuovo dall'orgoglio e dalla voglia di dimostrare che fosse il legittimo Re di Narnia. Perché una delle cose più importanti che aveva imparato – e che, purtroppo, aveva dimenticato di dimostrare fino quel momento – era quanto anche l'ascolto fosse una parte fondamentale e gli fornisse il rispetto dei suoi sudditi.

No, Peter di certo non avrebbe sbagliato una seconda volta, ne era convinto.

Non credere in Aslan, non credere in Lucy, non dare ascolto nemmeno a Caspian o Dhemetrya soggiogato dalla pressione di tutti gli eventi di cui era venuto a conoscenza, era una cosa che aveva pagato a caro prezzo. Lui e i Narniani.

E Narnia aveva già pagato le conseguenze date dalle azioni degli esseri umani fin troppo.

Animati dalla nuova scintilla di fervore che si era sparsa tra le truppe con la stessa velocità della luce di un lampo che squarcia il cielo, le quali avevano ripreso ad allentarsi nel combattimento, anche Caspian e Susan si erano decisi a prenderne parte, selezionando un primo gruppo di combattenti da allenare nell'arte del tiro con l'arco.

Trufflehunter era stato scelto, come i giorni precedenti all'attacco al castello di Miraz, per reggere il bersaglio tramite un'asta che gli permetteva di muoverlo secondo le direttive che riceveva, stando dietro un ampio gruppo di rocce che usava come riparo dalle frecce nel bel mezzo della radura.

In quel modo, aveva spiegato Susan, venivano allenati anche i riflessi e ad imparare a prevedere i movimenti degli avversari.

-Preparatevi!-

La voce autoritaria della Dolce si espanse nella radura, e subito in risposta al suo ordine gli arcieri incoccarono i loro dardi, prendendo la mira. Davanti a loro, le sagome di alcuni fantocci senza occhi che in silenzio attendevano la pioggia di frecce che sarebbe inevitabilmente arrivata su di loro, li fissavano.

Si appurò che tutti fossero pronti con le rispettive armi, lanciando un'occhiata ai dintorni per essere sicura che nessuno potesse rimanere coinvolto per sbaglio.

-Tirate!-

Non appena udirono il segnale della Regina, gli arcieri eseguirono l'ordine, lasciando andare la corda tesa dei loro archi. Solo poche decine di colpi, però, andarono a segno in modo soddisfacente, mentre molti altri dardi si persero nei dintorni.

Tra i Narniani si levò un brusio di disappunto, mentre altri esultarono per essere riusciti nel loro compito.

Susan studiò il risultato di quella prima serie di allenamenti che avrebbe dovuto tenere in modo ancor più severo e serrato, leggermente spaesata e poco contenta di quel risultato.

I Narniani che avevano più difficoltà perché non abituati a combattere con l'arco o perché impacciati nei movimenti e nella coordinazione avrebbero solo dovuto allenarsi più duramente nel tempo che li separava della guerra. Anche come mira notò che non erano messi male, perché ricordava di come chi proprio non fosse portato facesse finire le frecce tirate da tutt'altra parte.

Non era dubbiosa sul fatto che, con un buon allenamento sotto le sue direttive e con i suoi consigli, sarebbero migliorati, perché dopotutto erano nati guerrieri e nelle condizioni di vita in cui avevano vissuto si erano abitati a combattere.

A sfavorirli maggiormente, ed era la cosa che più preoccupava lei ed i suoi fratelli, era l'evidente fatto che ora erano ridotti a poco più di pugno di mosche. Già si erano trovati più che  decimati, se ricordava invece il grande esercito ai tempi di Jadis che aveva combattuto con loro ed Aslan, in più da dopo la notte a Telmar...

Sospirò, Susan, mentre un nodo alla gola tornava a renderle difficoltosa la respirazione. Si costrinse a cambiare i pensieri, cercando di scacciare quelli negativi che avevano preso posto nella sua mente, preferendo tornare a concentrarsi sull'allenamento di quel momento.

Alle sue spalle sentì un brusio insistente di alcuni Narniani dietro di lei, mentre Trufflehunter diceva qualcosa riguardo il bersaglio ma che, persa nei propri pensieri, non riuscì a cogliere.

-Non preoccupatevi!- iniziò, e l'attenzione venne catalizzata sulla sua persona.

-Bisogna continuare ad allenarsi per poter migliorare- spiegò, il tono fintamente sicuro e convincente, cercando di alzare il morale e spronare le creature che la fissavano.

Sperò che le sue parole fossero servite nell'intento, mentre li guardava incoccare altre frecce per ripetere quell'esercizio e preparandosi a farlo anche lei, per dare l'esempio.

Ma chi voglio prendere in giro?

Scosse la testa impercettibilmente per scacciare quella domanda, tendendo la corda dell'arco e portando le piume rubino a sfiorarle la guancia.

Un sibilo inaspettato.

Susan non fece in tempo a dare l'ordine di tirare, perché riconobbe il suono leggero e inconfondibile di un dardo che fende l'aria a tutta velocità passarle accanto, congelandole il sangue nelle vene.

La freccia le passò di lato, andando a conficcarsi nel petto del fantoccio.

Susan la osservò qualche attimo, spaesata di aver assistito a quella scena improvvisa, poi si girò verso i Narniani stupita e incredula. I suoi occhi color ghiaccio dardeggiarono tra i presenti, cercando il fautore di quell'azione, ma si trovò di fronte solo degli occhi spalancati pieni di ammirazione e spiazzamento.

-Chi ha tirato?- chiese, soppesando il volto degli abitanti di Narnia, ricomponendosi e alzando il mento assumendo una posa sicura. Il suo viso tornò imperscrutabile come solo lei sapeva esserlo.

Questi in risposta alzarono le spalle, lanciandosi delle occhiate.

-Ho fatto centro!-

Susan sussultò quando sentì quella voce rompere quel momento di confusione che si era creato nel gruppo, concedendosi un sorriso interno – ma che, agli occhi degli altri, fu soltanto uno stiramento di labbra.

Abbassò lo sguardo, ingoiando l'agitazione che sentiva nascerle nello stomaco e leccandosi un labbro, dandosi mentalmente della sprovveduta.

Avrebbe dovuto immaginarlo.

Riportò gli occhi davanti a sé, fissandoli sulla figura di Caspian che a passo veloce si faceva sempre più vicino. Nella mano teneva la sua balestra. Un leggero sorrisino di soddisfazione comparve sul volto del ragazzo quando la raggiunse definitivamente, occhieggiando il fantoccio appena centrato e fermandosi di fronte a lei.
Alcuni Narniani gli diedero delle pacche sulle spalle per congratularsi per quella piccola vittoria.

Susan lo soppesò ancora qualche attimo, ignorando l'imbarazzo che sentiva farsi prepotente tra di loro quando si ritrovò a imprimersi nella mente il sorriso sghembo che aveva in volto.

-Dove hai imparato?- Si decise poi a rompere il silenzio la Pevensie.

-A Telmar mi hanno insegnato l'arte del combattimento fin da piccolo- spiegò Caspian, pacato, ma osservandola come se fosse ovvio. Dopotutto, era un combattente, un soldato, un Principe. Era naturale che dovesse sapere combattere per essere in grado di guidare un esercito in guerra.

Susan annuì, come a dargli ragione di quei pensieri appena nati nella sua mente, poi fissò l'arma che teneva ancora in una mano.

-Ma così non vale- cercando di far trasparire un tono di indignazione, la ragazza indicò con un cenno della testa la balestra. Era un'arma totalmente diversa dall'arco, forse anche più facile da utilizzare perché, supponeva, più stabile per poter prendere la mira sul bersaglio.

Caspian fece passare lo sguardo dalla sua arma alla Regina un paio di volte, non capendo.

-Perché no?- domandò, corrugando le sopracciglia.

La ragazza puntò un piede, mettendo la mano libera sul fianco, cercando di ignorare quanto fosse buffa l'espressione che lui aveva assunto in quel momento.

-Non è un arco. E' un arma totalmente diversa- spiegò, paziente, come se si trovasse di fronte uno dei suoi fratelli.

-E' pur sempre un'arma- ribatté quello, non cogliendo quale fosse il punto di quel discorso e lanciandosi un'occhiata intorno, come in cerca di suggerimenti.

La risposta di Caspian non la sorprese per niente. Si costrinse a non roteare gli occhi al cielo per non mancargli di rispetto – dopotutto, era sempre stata convinta insieme alle sue sorelle che i ragazzi certe volte fossero lenti di comprendonio, per le cose che non gli interessavano.

Susan si costrinse a passare alla parte pratica per dimostrare ciò che intendeva.

-Che ne dici di fare una gara?- domandò, cogliendolo alla sprovvista. Sembrò suscitare l'attenzione del Principe, perché lo vide irrigidirsi e osservarla, attento, con un nuovo interesse nello sguardo.

-Cosa dovremmo fare?- A quella domanda ci fu qualche secondo di silenzio, e Caspian pensò che la Pevensie avesse cambiato idea.

-Colpire una pigna- Quell'affermazione lo lasciò spiazzato tanto che si chiese se non avesse per caso capito male: aveva pensato di dover colpire qualcosa, ma non credeva che si sarebbe trattato di una pigna.

Ma, beh, non si tirava mai indietro di fronte a una sfida.

-Va bene-.



***



Aveva corso non seppe nemmeno lei per quanto tempo, prima di permettersi di arrestare quella fuga morbosa che l'aveva assalita.

Aveva lasciato che le luci tenui di un sole ancora troppo timido per innalzasi nel cielo le mostrassero quel poco che le serviva per seguire un percorso immaginario, inoltrandosi nel fitto del bosco, diventando una macchia scura che penetrava silenziosa nel cuore della foresta.

I rami e le sterpaglie le avevano graffiato la pelle, lasciando segni rossastri sulle braccia scoperte e sulle guance, ma non le era importato, perché l'unica cosa sensata che era riuscita a formulare la sua testa mentre gli occhi le si riempivano di lacrime brucianti era che gli alberi non si aprivano più al suo passaggio mostrandole la via da seguire e accarezzandola con dolcezza.

Da quanto era via? Un giorno? Forse di più.

Ma la mente e il cuore di Dhemetrya erano troppo scossi perché il dubbio che si fosse allontanata troppo e da troppo tempo la sfiorasse.

Si strinse le gambe al petto, accoccolandosi nascosta tra le fronde del grande albero che aveva scelto come rifugio, tenendo gli occhi ostinatamente chiusi.

Non voleva vedere, non voleva vedere più niente.

In quel momento non le importava nient'altro.

Accoccolata contro la corteccia di quel rifugio improvvisato Dhem si appallottolò se possibile ancor di più, cercando di diventare un tutt'uno con quella creatura della foresta millenaria, lasciando che la sua fragilità venisse fuori sotto forma di singhiozzi strozzati e tremiti del corpo, rompendo l'immagine della ragazza dal perenne sorriso e gli occhi dolci.

Chi l'avesse vista in quel modo, non avrebbe mai pensato che fosse una guerriera, quanto più una ragazzina terrorizzata per essersi persa in un bosco dominato da fantasmi.

Ma non importava, perché Dhemetrya era stanca.

Stanca di quella vita, stanca di aver dovuto passare secoli nella solitudine senza poter fare niente.

Si sentiva abbandonata, priva di forze e di motivazioni per poter tirare avanti. Mai il pensiero di voler rinunciare a quel privilegio a cui era stata condannata l'aveva sfiorata tante volte come in quegli ultimi anni.

Tirò su con il naso, Dhemetrya, vergognandosi di se stessa e di quanto potesse risultare patetica con quei pensieri. Eppure non riusciva a trovare la forza necessaria per calmarsi, per estraniarsi a quel dolore e riprendere il controllo della sua persona.

Desiderava solo restare da sola.



***



-Non quella...-

La balestra venne spostata verso l'alto, e tutto ciò che riuscirono a registrare i suoi occhi in quel momento furono le mani di Susan che delicatamente spostavano la mira su un nuovo bersaglio.

Molto più in alto e molto più lontano rispetto a quello che, inizialmente, aveva pensato di dover colpire.

-Quella-

Lui la guardò un attimo interdetto, cercando di darsi del tempo per riprendere la concentrazione che quell'interruzione gli aveva tolto, poi si rimise in posizione, la Regina sempre affianco che lo osservava.

Caspian deglutì, cercando d'ignorare lo sguardo attento di Susan su di lui, imponendosi di fingere che fosse da solo.

Dannazione, gli tremavano le mani.

Storse il naso, mentre i secondi passavano, sentendo sotto la sua pelle l'impazienza crescere a dismisura. Stava facendo passare troppo tempo e non era sicuro, per la prima volta nella sua vita, di ciò che stava facendo – e il silenzio della Regina non lo aiutava, anzi, lo agitava ancor di più.

Alla fine, quando decise che aveva aspettato troppo, si costrinse a tirare.

-Era vicina-

Come aveva immaginato, non era stato uno dei suoi tiri migliori. La freccia aveva sfiorato la pigna, facendola dondolare, senza però colpirla.

Il Principe s'imbronciò senza darlo a vedere, maledicendosi fin nel profondo per quella dimostrazione mediocre che il suo orgoglio di uomo e di guerriero non ammetteva.

-Prova tu ora- la pungolò, ricambiando lo sguardo che quella gli stava riservando, sperando – in modo un po' subdolo, si vergognò subito – che anche lei sbagliasse.

La vide incoccare con una cura e una lentezza incredibili una freccia dalle limpide piume color rubino e prendere la mira, portandosi il dardo a sfiorarle la guancia. Non ebbe nemmeno il tempo di rendersene conto, poi, di quello che successe, perché pensò erroneamente che lei ci avrebbe messo altrettanto tempo prima di decidersi a scagliare.

Ma il sibilo della freccia gli arrivò alle orecchie nel giro di pochi secondi, sorprendendolo e ricatalizzando la sua concentrazione sulla Regina, che osservava in lontananza con un sorriso sul viso.

Sul prato dove guardava la Pevensie spiccava la pigna con la freccia che la trapassava.

-Ho vinto- Susan abbassò l'arco, guardando Caspian.

-Tutta fortuna- borbottò quello, senza cattiveria nella voce e fintamente offeso. In realtà, era profondamente colpito dalle capacità che Susan aveva dimostrato per l'ennesima volta.

Non pensava fosse così brava.


Ricordò tutte le leggende su di loro che Cornelius gli aveva sempre raccontato con pazienza e dedizione. Aveva sempre – erroneamente – pensato, seppur affascinato da loro, che molti fatti e molte cose erano state riportate più grandi di quanto non fossero, per cercare di cancellare quelli che potevano essere i difetti che si portavano dietro ed esaltandone solo le qualità.

In quei pochi giorni in cui aveva potuto conoscerli, invece, aveva avuto la conferma che gli antichi Regnanti erano veramente le straordinarie persone che si diceva da oltre milletrecento anni. E lui li aveva conosciuti in carne ed ossa.

-Cos'è, sei rimasto senza parole?-

La voce canzonatoria di Susan lo riscosse da quelle riflessioni, riportandolo alla realtà. Vide la Pevensie che gli porgeva il suo dardo, che si era conficcato in un albero, mentre nell'altra mano teneva la sua freccia con la pigna.

Probabilmente era andata a recuperarli mentre lui era rimasto imbambolato con i suoi pensieri.

Caspian afferrò la sua freccia e la mise insieme alle altre, per poi prendere dalla mano della Pevensie il bersaglio centrato e osservarlo con occhio critico. Notò come la freccia l'avesse colpito quasi al centro.

-Ora che cosa te ne fai di questo?- le chiese, porgendole l'oggetto dopo averglielo dondolato davanti al viso un paio di volte.

Quella non esitò a rispondere, rivelando un lato ironico che raramente mostrava agli estranei.

-Lo terrò come ricordo: il giorno in cui battei il Principe Caspian X-

Vide il ragazzo diventare paonazzo, un misto di imbarazzo per quella sconfitta che non avrebbe esitato a risbattergli in faccia ad ogni occasione e un po' per l'ilarità che quella frase gli scatenò involontariamente.

Cercò di avvicinarsi con uno scatto repentino per portarle via l'oggetto incriminato dalle mani. Bastavano già Evelyn e Lucy a metterlo nelle situazioni più assurde con tutto e tutti – ed una persona in particolare.

La voce allegra di Susan che parlava a proposito della sua figura lo riscosse dai suoi pensieri, e voltando il capo poté vedere i vari Narniani che sorridevano furbescamente, oppure sghignazzavano tra di loro consapevoli di ciò che poteva star provando il ragazzo.

Provò un profondo senso di insicurezza che solo quella ragazza riusciva a mettergli addosso con i suoi modi di fare.

Sospirò, scuotendo la testa e posò lo sguardo sulla Regina, osservando come sorridesse spensierata a seguito di quello che era un semplice tiro con l'arco – ed era uno spettacolo che per la prima volta gli concedeva così apertamente.

Ed era stato grazie a lui, lui l'aveva resa contenta, lui era riuscito a regalarle un po' di serenità, come se fosse tornata ad essere Susan la Dolce durante l'età d'oro.

Provò un senso di leggerezza, Caspian, che pensò di aver bisogno di ricordarsi come fare per respirare.

-Continuiamo?- le domandò, indicando i bersagli e le truppe alle loro spalle con un cenno, voglioso fin nella parte più recondita di se stesso di rivedere quel sorriso – quel sorriso che faceva a lui e lui soltanto e di cui era la causa inconsapevole.

La vide guardarlo spiazzata, la bocca socchiusa per quella domanda che le era penetrata nella testa riportandola bruscamente alla realtà e facendole riprendere il controllo.

Caspian le faceva un effetto che nessuno le aveva fatto mai, riuscendo a incrinare quella maschera di perenne distaccamento che si metteva addosso.

-Se desideri perdere alla grande...- lo schernì, impugnando l'arco e incoccando un'altra freccia dopo aver messo al sicuro la pigna forata.

-Voglio la rivincita- Lui fece altrettanto con la balestra, imitandola prendere la mira sui bersagli, mentre i Narniani riprendevano la concentrazione che avevano perso in quei minuti di pausa inaspettata.

-Pronti... tirate!-



***



Edmund camminava tra l'erba verde e fresca, avvolto dall'aroma dei fiori e dallo svolazzare degli insetti.

La giornata era limpida e il cielo sopra di lui terso e con qualche sbuffo di nuvola, e la tranquillità che quella visione metteva addosso si rifletteva anche sulla terra.

Non si impressionò, quando un'ape gli volò vicina, mentre un sorriso gli spuntava sul volto che ancora mostrava la stanchezza per i giorni passati. Si lasciò scappare una risatina, la mente che correva a rimembrare la figura di Eve.

Lei e la sua dannata - quanto ilare - fobia per gli insetti.

Non c'era volta in cui quando vedeva un insetto si comportasse in maniera normale. Si metteva ad urlare come una matta, scappando come se le stesse crollando il mondo addosso.

Lui e Peter la prendevano in giro perché talvolta si spaventava anche per le mosche, ma lei rispondeva che era una cosa a cui non riusciva mettere un freno. Era più forte di lei.

La prima volta che sua sorella ebbe quella reazioni era primavera.

La prima Primavera a Londra dopo il ritorno da Narnia.

Stavano facendo un giro nel prato vicino a casa, lui e gli altri Pevensie. Improvvisamente, una vespa era andata vicino a Eve - e non sembrava intenzionata ad andarsene.

Questa in risposta si era bloccata sul posto, sbiancando.

All'inizio avevano riso, lui e gli altri, per il suo comportamento. Poi, quando si era nascosta dietro la sua schiena e aveva afferrato convulsamente la sua maglietta iniziando a piangere e tremare come una foglia gridando di mandarla via si erano spaventati, congelandosi all'istante alla vista di quella reazione.

Non avevano mai capito il motivo di quel comportamento a cui perfino lei non sapeva dare una spiegazione, perché non sembrava esserci stata una causa scatenante. Non si era mai manifestato, prima di allora.

Edmund storse il naso.

Da quando erano tornati a Narnia non sembravano esserci problemi. Ricordò di come qualche giorno prima Eve camminasse per quello stesso prato senza problemi e senza guardarsi convulsamente attorno.

Forse Narnia faceva miracoli.

Seppur fondamentalmente diverse Ed non poté evitare di pensare alla sua esperienza diretta e di come quel mondo lo avesse cambiato, permettendogli di crescere e maturare, raggiungendo consapevolezze che, se fosse rimasto a Londra, probabilmente non avrebbe avuto modo di capire.

Si sedette quando arrivò al centro del prato, lasciandosi accarezzare dagli steli d'erba, la voglia di cercare la collana che di colpo era sparita.

Si sdraiò e incrociò le braccia dietro la testa, mettendosi a guardare il cielo azzurro lasciando che la calma di quella visione gli distendesse le membra. Si perse nei propri pensieri, lasciando che la sua mente navigasse tra essi come quelle stesse nuvole si muovevano con calma nella sua visuale.

Chiuse istintivamente gli occhi, sospirando.

Un sospiro che lo svuotò, tirandogli fuori tutto il peso che si sentiva addosso in quel momento.

Eve, Narnia, Telmar, la guerra, Londra... tutti quei pensieri gli riempivano la mente ed Edmund pensava seriamente che prima o poi ne sarebbe uscito pazzo – sempre se già non lo fosse.

Una realtà lo colpì come una lama tagliente tanto che, per il modo in cui lo fece trasalire, si tirò a sedere con un colpo di reni, guardando ansimante la foresta intorno a se: Lia aveva ragione.

Avrebbe potuto perderla al castello di Miraz.

Se quella freccia invece che nella spalla…

Scosse violentemente la testa, intimandosi di non pensarci e tornando a sdraiarsi per cercare di recuperare la calma di qualche istante prima. Si portò una mano al petto, potendo sentire da fin sopra la casacca la velocità frenetica con cui aveva iniziato a battergli il cuore.

“Quello che è stato è stato. Non serve parlare di ciò che è passato.” La voce di Aslan gli risuonò in testa ed Edmund rilassò i muscoli, prendendo un bel respiro, godendo di quel suono che a lungo gli era mancato e che per troppo tempo aveva confinato in un angolo di cuore perchè ricordarlo faceva troppo male.

Avrebbe voluto davvero sentire la voce del leone e non solo come un vago ricordo nella sua memoria.

Anche se la frase aveva un altro contesto, era l'unica ancora in suo possesso a cui appigliarsi in quel momento per riuscire a non pensare al peggio che invece sarebbe potuto accadere – a lei come potevano essere Peter, o Susan, ad essere colpiti.

O che forse deve ancora accadere.
 

Aprì di scatto gli occhi per l'ennesima volta e si mise a sedere. Sbuffò, scocciato con se stesso e cercando di scrollarsi di dosso la sensazione di inquietudine che gli stava ronzando intorno.

-Mi faccio troppi problemi- parlò al vuoto che aleggiava intorno a lui, come se questo potesse rispondergli e dissipare i brutti pensieri di poco prima.

Si sdraiò di nuovo, sperando che la propria schiena restasse a contatto con il suolo più di qualche minuto scarso, prendendo la posizione di poco prima e schernendo se stesso.

Mi sono innamorato di mia sorella.

Si passò una mano sul volto, tirandosi la pelle sotto gli occhi, le guance e le labbra verso il basso finché non gli diedero fastidio. Come se si volesse dare una piccola punizione per quell'amore proibito e sbagliato che si portava dietro da troppo tempo.

Si era innamorato.

E non poteva più nasconderlo.



***



Peter ed Edmund erano usciti dalle rispettive classi non appena le lezioni erano terminate. Erano stati subito circondati da moltissimi altri studenti che, come loro, non vedevano l'ora di andarsene da quella prigione.

Il minore dei Pevensie raggiunse per primo l'entrata del cancello e si fermò per aspettare Peter, stranamente in ritardo.

Dopo circa una ventina di minuti, in cui aveva sbuffato altrettante volte, aveva rifiutato una ragazzina che imbarazzata cercava di attirare la sua attenzione e aveva potuto vedere la maggior parte degli studenti dirigersi verso casa o in stazione, finalmente aveva potuto scorgere la figura di suo fratello uscire dall'entrata principale, la borsa a tracolla sulla spalla destra e un foglio che continuava a guardare nella sinistra.

-Era ora!- Edmund gli fece vedere con un gesto del polso l'orologio, ignorando l'espressione scocciata di Peter.

-Abbiamo perso il treno, e le ragazze saranno incavolate nere- si immaginò le lamentele che Susan ed Evelyn avrebbero detto loro una volta che sarebbero arrivati in stazione. Sempre che non fossero già tornate a casa.

Inoltre era ancora scosso e pensieroso per la figura della mattina e voleva porvi rimedio al più presto.

Aveva visto Eve andarsene verso l'istituto senza salutare nessuno e la cosa lo aveva preoccupato, perché quell'immagine continuava a tornargli davanti agli occhi come un tormento, nonostante non sapesse bene cosa avesse detto di sbagliato tanto da renderla muta. Pensare che era colpa sua lo rendeva inquieto.

Inoltre era comparso quel ragazzo...

-Scusami, non è stata colpa mia- si giustificò Peter, riportandolo alla realtà. Edmund non rispose, aspettando che il fratello continuasse a parlare e camminandogli di fianco, interessato a quel discorso.

-Il prof di educazione fisica mi ha fermato in corridoio per dirmi che devo metterci più impegno nello sport- Peter cercò di imitare il tono che l'uomo aveva usato, e suo fratello poté sentirne l'irritazione che gli aveva procurato quell'annotazione dal tono di voce.

Dire a uno che era stato abituato a combattimenti e ad allenamenti con la spada per oltre quindici anni che doveva impegnarsi negli sport era un po' ironico.

-Che cos'è?- chiese, curioso, indicando con un cenno del capo il foglio e cambiando discorso.

-Questo? Ah, non è niente, solo la verifica di fisica- disse, muovendo la pagina che teneva nella mano per cercare di renderla dritta.

-Quella per cui hai studiato un po' si e un po' no?- Edmund ricordò di come Peter si alzasse ogni dieci minuti, per nulla intenzionato a studiare, suscitando delle occhiatacce da parte di Susan perché, con tutto quel movimento, la distraeva.

-Si- si limitò a rispondere il maggiore. Alzò le spalle quando Edmund gli fece segno di proseguire, curioso sul risultato.

-E' andata bene- porse il foglio al fratello, che lo prese, studiandolo attentamente.

-Ti va sempre bene tutto, Peter- scherzò. Attimi di silenzio seguirono mentre i suoi occhi scorrevano sulle domande e le formule, e il maggiore dei Pevensie poté vedere l'espressione del fratello mutare e lo sguardo riempirsi di orrore e sdegno per ciò che stava osservando.

-Ma non ci capisco nulla!-

Peter provò a soffocare una risata, poi scoppiò a ridere.



-Non ci sono-

I due Pevensie osservarono lo stand dell'edicola davanti cui di solito trovavano le sorelle, vuoto.

-Magari sono già dentro. Vieni- Peter si posizionò meglio la borsa sulla spalle, incamminandosi all'interno della stazione e raggiungendo la solita panchina.

 Ad attenderli videro Susan e Lucy, che alzarono gli occhi puntandoli sulle loro figure non appena li scorsero tra la folla di gente che li attorniava. Nei lineamenti di Susan di poteva scorgere la durezza di un rimprovero che mal celava.

-Per colpa del vostro ritardo abbiamo perso ben due treni!- disse infatti, velenosa, non appena le furono abbastanza vicini.

-E' colpa di Peter- fece scarica barile, Edmund, alzando le mani convinto di non volersi ritrovare in quell'impiccio. Susan quando si arrabbiava e iniziava a predicare diventava pesante.

-Non mia, ma del mio prof- lo corresse il fratello maggiore, con calma, ignorando lo sguardo accusatore della sorella.

Aveva un buon legame, con Susan, il Magnifico, forse perché erano i più grandi e si capivano senza bisogno di tante parole. Sapevano cosa dire e cosa fare l'uno per l'altra.

Proprio per questo talvolta non la ascoltava, come un bambino che ignora le sgridate della mamma.

-Diamo la colpa agli altri adesso?- chiese, pungolandolo per dargli fastidio.

Peter stava per ribattere e Lucy fece per alzarsi e intromettersi in quella conversazione che sapeva già non avrebbe avuto fine finché uno dei due non si fosse arreso – e nessuno dei due lo avrebbe fatto.

Dopotutto, erano fratelli.

-Dov'è Evelyn?- li interruppe Edmund, mal celando il tono di voce agitato e guardandosi intorno come se potesse uscire da chissà quale posto. Peter s'interessò anche lui, scattando in piedi in cerca della sua figura, rendendosi conto solo in quel momento della sua mancanza.

Lucy e Susan si scambiarono uno sguardo, poi la più piccola prese parola dopo un muto cenno della sorella, ignorando quale turbamento stesse per creare ciò che stava per dire.

-Mentre voi due facevate i vostri comodi Evelyn è stata invitata dal ragazzo di stamani a fare un giro- spiegò, tranquilla.

Peter strinse i pugni d'istinto, mentre Edmund trattenne a stento un colpo al cuore a quelle parole che lo fece sbiancare. Nessuno notò quel cambiamento, complici le luci della stazione che creavano ombreggiature strane.

Cercò di calmarsi e riprendere fiato, mentre un nodo alla gola gli rendeva difficile respirare.

-Chi è questo qui?- chiese duro Peter, per nulla contento.

-Simon Senhal- rispose Susan.

-Ho dato io il permesso-

Peter si rivelò per nulla sorpreso di quella confessione, limitandosi al silenzio.

-Che cosa?!- Edmund per la sorpresa fece cadere a terra la borsa che aveva posato poco prima sulle gambe, rompendo quella bolla di tensione che si era creata tra i fratelli maggiori.

La reazione del Pevensie lasciò spiazzati gli altri quattro, che lo guardarono, stupiti e interrogativi. Si maledisse per non essere riuscito a trattenersi.

-C'è qualche problema, Ed?- Lucy lo guardò, preoccupata, e il Pevensie si ritrovò ad essere osservato da tre paia di occhi.

-N-no... non me l'aspettavo- cerchò di correggere il tiro, sentendosi tremendamente a disagio, chinandosi a raccogliere la borsa per distrarsi e per togliere l'attenzione dei fratelli da se, cercando di scappare dai loro sguardi interrogativi.

Quelli lo guardarono pulire la borsa – che in realtà era giù pulita –, taciturno ed immerso nei propri pensieri e si scambiarono un'occhiata preoccupati, senza osare però disturbarlo.

Il fischio improvviso di un treno in arrivo risvegliò i tre Pevensie dallo stato di apnea in cui erano caduti e Peter riprese il discorso lasciato in sospeso, riportando lo sguardo sulla sorella, lasciando trasparire una punta di rimprovero.

-E perché le hai dato il permesso?- la risposta di Susan fu preceduta da un sonoro sbuffo.

-Perché, non può? Ha il diritto anche lei di divertirsi- gli disse. La sua espressione sembrò addolcirsi.

-Non siamo più a Narnia, non può succederle nulla per quel motivo-.

Peter la fulminò con lo sguardo, serrando le labbra. Lucy scosse la testa, alzando gli occhi al cielo.

Un discorso senza fine.

-Proprio perché non siamo più a Narnia può essere peggio- le fece notare, avvicinandosi leggermente come a non volersi far sentire dalla gente che gli stava intorno.

Susan lo guardò, per qualche attimo senza sapere cosa fare, così Lucy prese in mano la situazione, intervenendo.

-Non credo che quel Simon sia un problema- disse sincera, rivolta al fratello maggiore, esponendo le proprie impressioni. Senhal non le aveva fatto una brutta impressione, a pelle.

-E poi le stiamo sempre intorno, se ci fossero dei problemi ce lo direbbe o comunque ce ne renderemmo conto-.

Era sicura che Evelyn si sarebbe rivolta a loro in caso di bisogno. Dopotutto, erano una famiglia. Erano cinque fratelli uniti come pochi se ne potevano vedere.

Peter sospirò, per nulla convinto, ma era stanco di quella giornata e non aveva voglia di continuare a parlare di una cosa che, per il momento, sembrava non creare problemi. Rimaneva comunque della propria idea.

-Va bene-.



Peter guardò l'ora: le 16.40.

Si sedette accanto ad Edmund, che aveva voluto aspettare Evelyn con lui. Lo sguardo che gli aveva rivolto era stato carico di una determinazione tale che Peter non era riuscito a dirgli di no.

Erroneamente, pensò che fosse preoccupato per le sorti della sorella e voleva vedere di persona il ragazzo con cui era uscita.

Peter conosceva Simon di vista e per voci di corridoio, ma a pelle non si erano stati simpatici, rivolgendosi sguardi di astio quando di incrociavano.

Perché si era fissato, tra tutte, proprio su Eve? Era per fargli dispetto?

Passò il resto del tempo a pensare e ripensare, mentre accanto a lui Edmund continuava a tenere lo sguardo basso e restare immobile come una statua di pietra, lo sguardo cupo e perso nei propri pensieri.

Peter non si domandò più di tanto il suo comportamento e la sua reazione: sapeva da sempre che Edmund era molto attaccato a Evelyn e viceversa, quindi poteva capire la sua gelosia e preoccupazione, in quanto tra loro vigeva un legame speciale da cui lui, Lucy e Susan ne erano tagliati fuori.

Come se vivessero in un mondo tutto loro a cui poche e rare volte potevi accedervi.

Arrivarono circa le 18.15 nel mutismo più totale finché non li scorse avvicinarsi alla banchina tra la gente che girava in stazione.



Evelyn si era seduta vicino al finestrino: le piaceva guardare il paesaggio di compagna e perdersi nei ricordi e nei suoi pensieri, immaginando che quei paesaggi fossero lo scenario di un altro mondo che ben più le stava a cuore.

Si sentiva morire, però, e a stento tratteneva le lacrime di frustrazione e di dolore che le avrebbero reso inevitabilmente gli occhi lucidi.

Davvero non si aspettava una reazione così dura da Edmund e quella era la cosa che le aveva fatto più male. La faceva sentire in colpa e subdola, come se avesse agito alle sue spalle, quando in realtà non gli doveva niente.

Più dello sguardo d'astio di Peter.

Più delle sue manie protettive.

Più del modo in cui aveva risposto sgarbatamente a Simon.

Più di tutto.

L'aveva guardata come se lo avesse tradito, con quegli occhi castani che esprimevano tantissime emozioni diverse difficili da distinguere. Uno sguardo che in quel momento sembrava voler farla affogarci dentro, togliendole il respiro.

Edmund.

Che fin prima del suo tradimento adorava di già. Perché era l'unica a cui tavolta non rispondeva male, perchè l'aveva sempre fatta sentire un po' speciale.

Sospirò, incupendosi ancora di più, volgendo uno sguardo veloce al Giusto di fronte a lei. Bastarono quei pochi attimi per far incrociare i loro sguardi.

Edmund vide gli occhi di Eve di un verde cupo e scuro. Se fosse stata felice il colore degli occhi sarebbe stato più azzurro.

La vide distogliere lo sguardo, ripuntandolo fuori dal finestrino, e si sentì tremendamente in colpa, per la reazione che aveva avuto e che l'aveva ferita. Per la seconda volta in quella giornata era riuscito a toglierla un po' della felicità che stava provando.

Si rese conto che in un solo giorno era riuscito a farle del male per ben due volte.

Perché poi?

Non c'era niente di male se Evelyn usciva con qualche ragazzo.

Niente di male.

Edmund cercò di convincersi da solo, soppesando quelle parole nella sua testa con una lentezza disarmante, come se ne stesse gustando il sapore - un sapore dal retrogusto amaro.

Niente di male.

Quelle parole gli bruciavano nella testa ed Edmund ammise che invece, per lui, qualcosa di male c'era.



***



Edmund aprì gli occhi e rivolse lo sguardo al cielo sopra di lui, trovandolo immutato come poco prima.

Aveva preferito smettere di ricordare quel viaggio di ritorno.

Un viaggio che gli era sembrato più lungo e infernale di tutti gli altri.

Inoltre, sapere che era stato ancora lui la causa della tristezza di Evelyn gli aveva fatto male. Un dolore molto simile a quello provato quando stava tradendo i suoi fratelli, dopo essersi alleato con la Strega Bianca solo per voler fare un dispetto a Peter, ma molto più infimo e sottile.

Gli aveva fatto male, come lo scoprire nei giorni precedenti che la causa del comportamento strano di Eve era sempre e ancora lui.

Si ricordò che nonostante tutto non era ancora riuscito a scucirle una parola di bocca.

Si mise a sedere e si guardò intorno. L'erba fresca e verde lo circondava, i fiori erano splendidi nei loro colori e venivano mossi, così come l'erba, dalla leggera brezza che a volte faceva capolino dal fitto del bosco, muovendoli placidamente sotto il suo tocco delicato.

E il bosco… il suo bosco dell'Ovest.

Immenso e millenario, ma che lui conosceva a memoria quando governava.

Verde vitale come mille colori nelle stagioni calde, rosso e arancione come il tramonto d'autunno, bianco candido d'inverno. Moltissime volte aveva visto negli anni il suo bosco cambiare forma e aspetto, plasmarsi sotto la forza della vita che la natura sprigionava, ma lui lo riconosceva sempre.

Era casa sua.

Ma da quando erano ritornati a Narnia, Edmund... Edmund il suo bosco non lo riconosceva più.



***




Peter osservava soddisfatto gli abitanti di Narnia eseguire i compiti che gli aveva ordinato, concedendosi una pausa di riflessione.

Da quando aveva preso a rimettere in riga quell'eterogeneo gruppo di creature non si era fermato un attimo, sempre più preso da nuove cose che bisognava fare e persone che gli domandavano delucidazioni.

Decise di lasciarli fare, dal momento che sembravano tutti occupati, e uscì dal rifugio, rendendosi conto che nessun altro dei suoi fratelli fosse all'interno.

Inoltre, il caldo creato dai fuochi accessi che venivano usati per modellare e fondere il metallo iniziava da dargli fastidio. Aveva bisogno di un po' d'aria fresca.

Un raggio di sole lo colpì non appena fu all'esterno, e gli fece socchiudere gli occhi per la luce improvvisa a cui si ritrovò di fronte.

Si spostò verso una roccia per nascondersi alla vista del sole e osservò la radura, mettendosi una mano sulla fronte per fare più ombra: vide Caspian e Susan allenare gli arcieri insieme, e distinse la sorella sorridere apertamente.

Per quanto poco gli piacesse Caspian, dovette ammettere con se stesso che vedere la ragazza finalmente un po' sciolta e serena gli procurò una profonda rassicurazione.

Aveva temuto che, da quando erano tornati a Londra, fossero tutti cambiati irrimediabilmente, diventando tristi, cupi e irriconoscibili. Lui per primo si rendeva conto di essersi fatto trascinare dalla frustrazione che provava un sacco di volte.

Intercettò poco distanti da loro Lucy, che li guardava con un'espressione sorniona, un curioso Cornelius e un apparente inespressivo Trumpkin. Notò Lia e Antares, a ridosso del bosco, e non poté non pensare a Eve che se li era trascinati dalla sua parte nel giro di poco tempo, Glenstorm e altri centauri allenarsi con le spade al centro della radura.

Un pensiero, però gli fece voltare il capo da una parte all'altra, la fronte che palesava delle rughe di confusione.

Evelyn ed Edmund non c'erano.

Fece vagare lo sguardo su tutto il perimetro della radura per un paio di volte, per essere sicuro di aver analizzato ogni singolo centimetro di terra su cui i suoi occhi si posavano, prima di ammettere che, effettivamente, i due non c'erano.

Era mai possibile che sparivano sempre? Non era la prima volta che accadeva, sia a Narnia che a Londra. Prendevano e andavano senza preoccuparsi di avvisarli.

E temeva sempre che…


Il suo cuore vibrò di incertezza, mentre una voce nella sua testa gli intimava di calmarsi.



***




A Cair Paravel era in corso una grande festa. I Re e le Regine erano stati incoronati e riconosciuti come legittimi regnanti di Narnia, e ora tutti si gustavano il banchetto che era stato organizzato in onore di quel radioso evento a lungo aspettato.

Il regno di Jadis era definitivamente concluso.

Peter osservava Evelyn parlare con Susan e i signori Castoro, mentre Edmund era perso da chissà quale parte a gustarsi tutti i lokum che i cuochi del castello gli avevano preparato, e Lucy sicuramente si trovava con Tumnus o qualche driade.

Peter si trovava di fronte a un'immensa vetrata che dava sul giardino, estraniato da quella felicità di cui ancora non si capacitava esserne la causa.

Era un ragazzino che era stato incoronato Re.

Mai Peter avrebbe pensato che la vita gli avrebbe riservato quel futuro. Ancora non ci credeva. Come all'inizio non aveva creduto a Lucy ed Evelyn – ancora si vergognava, di aver messo in dubbio le loro parole.

Ora che si trovava lì, però, sentiva mano a mano crescere dentro di sé la consapevolezza che la sua carica gli dava, si sentiva un po' come se il ragazzino di Londra stesse lasciando posto ad un ragazzo più sicuro, un adulto, l'uomo che da sempre era destino sarebbe diventato.

Si sentiva felice, felice fin nel profondo.

Una presenza lo riscosse dai suoi pensieri e voltandosi si trovò a poca distanza dal muso di Aslan. Si ritrovò a specchiarsi negli occhi dorati del grande leone e automaticamente abbassò il capo, in segno di rispetto, ripalesando il ragazzino dubbioso con cui il leone si era trovato a parlare la prima volta.

Ma non aveva dubbi avrebbe avuto una grande vita, Peter, Aslan. Lui e i suoi fratelli.

Dopotutto, la leggenda e la Grande Magia non si sbagliavano mai.

-Peter, posso parlarti privatamente?- gli chiese, scrutandolo attentamente.

Andava fatto ciò che andava fatto.

Il ragazzo annuì semplicemente, domandandosi cosa volesse da lui mentre gli si accostava per seguirlo docilmente nel suo incalzare pacifico.

Arrivarono in una grande sala. Peter vide un caminetto di marmo, in quel momento spento, vicino ad esso stavano a semicerchio quattro poltrone di tessuto sicuramente ricercato che accerchiavano un basso tavolino di legno; gli occhi del ragazzo si soffermarono a osservare gli intarsi nel legno.
Le tende erano leggermente tirate, permettendo così alla luce del tramonto di entrare il necessario per creare una tenue luce senza che bisognasse utilizzare le candele.

Il giovane Re non ebbe modo di guardare altro di quel posto che formava quella che era la sua nuova casa, perché la sua attenzione fu catturata da Aslan che ora stava davanti alla finestra e guardava il tramonto tramite l'apertura tra le tende.

Il leone si era mosso in silenzio, e ora i suoi occhi erano persi verso l'orizzonte.

Peter poté giurare di vedere un'ombra che ne adombrava l'espressione, ma non disse niente, pensando che la creatura stesse soppesando a cosa dirgli o a cose in cui lui non c'entrava. Chissà quante erano le cose conosciute ad Aslan e che tutti gli altri ignoravano.

Il Pevensie si accosto alla sua figura, rispettandone il silenzio senza dire niente, in attesa.

-Peter, ti ho chiesto di seguirmi perché devo parlarti di una cosa importante- iniziò, rompendo quella bolla quasi innaturale in cui si erano calati.

Ciò fece nascere nel ragazzo un senso di trepidante attesa mista ad ansia. Forse Aslan voleva essere sicuro che sapesse cosa lo aspettava nei prossimi anni e dargli qualche consiglio prezioso.

-Di cosa volevi parlarmi?- domandò allora per la prima volta, deglutendo per non far tremare d'incertezza la voce.

Il leone lo guardò lanciandogli una breve quanto intensa occhiata, poi spostò di nuovo lo sguardo sul paesaggio di Narnia.

-Riguarda una persona a te cara- Sembrava che più del solito avesse poche parole da spendere per ciò che voleva dire, perché si fermò per l'ennesima volta per una lunga pausa.

Peter iniziava a spazientirsi e preoccuparsi ed a stento si trattenne dallo sbottare contro il Narniano di sbrigarsi a parlare. Si limitò a mordersi un labbro, gli occhi azzurri socchiusi e attenti a qualsiasi cambiamento nella creatura che gli stava da parte.

-Chi?-

Attimi di silenzio che sembrarono eterni seguirono quella domanda, e Peter per qualche ragione che non conosceva si pentì di aver posto quell'interrogativo.

Come se ciò che ne sarebbe conseguito avrebbe potuto togliergli tutta la gioia che aveva preso con tanta fatica, cambiandogli la vita irrimediabilmente e rendendolo vulnerabile.

Sentì una morsa alla bocca dello stomaco.

-Riguarda Evelyn- Alla risposta pacata del leone sentì il cuore stritolarsi, come se un serpente gli si stesse stringendo addosso.

Non capiva, non capiva davvero quale fosse il punto focale di quel discorso e gli stava iniziando a girare la testa.

-Figlio di Adamo, non è una cosa grave- Aslan, come se avesse intuito i pensieri e il turbamento che scuotevano l'animo del ragazzo accanto a lui, cercò di calmarlo.

-Ah no?- Peter storse il naso, suscitando una risata roca e leggera nel leone. Una risata che ben presto si spente, facendo calare nuovamente tra di loro un'atmosfera pesante.

-Veniamo al dunque. Devi sapere, figlio di Adamo, cosa è successo prima del vostro arrivo- Peter lo interruppe prima ancora che finisse la frase.

-E cosa centra mia sorella?- Il leone lo guardò e il Pevensie infossò le spalle sotto il suo sguardo criptico, sentendosi improvvisamente piccolino.

-E' una storia lunga, ascoltami attentamente-.



***




Il rumore improvviso delle spade che si scontravano riscosse il Pevensie da quei ricordi che gli sembravano tanto vicini quanto lontani. Ricordi di una vita fa.

Aveva fatto fatica ad accettare ciò che Aslan gli aveva rivelato, e sotto suo consiglio aveva deciso di parlarne con Susan, Edmund e Lucy. I fratelli erano rimasti increduli e spiazzati, ma il leone non poteva mentire, non l'avrebbe mai fatto e loro avevano imparato in quel breve inizio di quella avventura a fidarsi di lui.

La cosa più ovvia che avevano deciso di fare era tenerne Evelyn all'oscuro per evitare che finisse con l'essere sopraffatta dalle emozioni, mantenendola come se fosse in una bolla.

E, fino a quel momento, sembrava aver funzionato, per quanto Peter sapesse che fosse una situazione precaria e dall'equilibrio instabile. Ogni giorno c'era il rischio che venisse a conoscenza di quel segreto, rischiando di fare danni a se stessa e a ciò che la circondava.

Peter aveva anche la sensazione che, più glielo tenevano nascosto, più li avrebbe odiati.

Lucy aveva spinto per dirle la verità, in modo che potesse gestirla, ma lui aveva respinto con fermezza quella decisione. Voleva essere lui a parlargliene, da fratello maggiore e Re, come lo stesso Aslan gli aveva passato quel peso da portare – a lui e lui soltanto.

Si era ripromesso di farlo, un giorno, ma non sembrava esserci mai stata l'occasione necessaria. Aveva avuto paura delle conseguenze, Peter, e non si sarebbe mai perdonato quei momento di debolezza.

Perché intanto il tempo era passato.

Fece vagare lo sguardo tornando al presente e vide che Susan era impegnata a parlare con una Lucy particolarmente attenta, mentre gli altri erano rimasti come poco prima.

Di Edmund ed Evelyn, invece, ancora nessuna traccia.

Osservò Caspian con Cornelius, poi l'anziano tornò a concentrare la sua attenzione su Trumpkin e altri due nani, come se fosse da sempre uno di loro.

Il Principe, congedatosi dal mentore, si era sistemato la balestra sulla schiena e stava in quel momento avanzando verso di lui, lo sguardo che si guardava attento intorno – come se stesse cercando qualcuno.

Peter non ci mise molto a capire che anche lui si era accorto della mancanza dei due Pevensie tra quella ristretta cerchia di persone nei dintorni.

-Cerchi qualcuno?- gli domandò, interrompendolo quel suo far vagare lo sguardo per la radura.

-Si- si limitò a rispondere Caspian, rivolgendogli un'occhiata scettica per quell'interessamento. Sapeva che Peter non lo vedeva di buon occhio, specialmente da dopo la notte al castello di Miraz.

Il Principe aveva avuto modo di riflettere e si era sentito in colpa, per come erano andate le cose. Si era lasciato prendere dalla voglia di vendetta mettendo a rischio tutti nel momento in cui era andato nelle camere dello zio.

-Chi?- Il Pevensie non mollò la presa, volendo avere conferma se le proprie intuizioni fossero giuste.

-Evelyn ed Edmund. E' da un po' che non li vedo in giro- Caspian sospirò, sentendosi sotto torchio come se fosse ad un interrogatorio. Nonostante non avesse il Re in simpatia, non poté nascondere a se stesso che una parte di se lo rispettava.

Peter gi diede le spalle e fece un paio di passi, senza preoccuparsi dell'espressione confusa e un poco offesa che aveva assunto il volto di Caspian per aver troncato la conversazione. Poi si bloccò, girandosi a guardare il moro e notando che era rimasto fermo a guardarlo dove l'aveva lasciato.

Al Principe sembrò che gli sorridesse – ma sicuramente se lo stava immaginando.

-Andiamo a cercarli-.



***



Lia e Antares osservarono Peter e Caspian inoltrarsi nel bosco, venendo in pochi minuti inghiottiti dalla vegetazione. Se avessero avuto un volto, le loro espressioni avrebbero espresso senza preoccuparsi di nasconderli tutto lo scetticismo e la sorpresa per quell'inaspettato avvicinamento. Gli animi umani sapevano essere imprevedibili.

La lupa sospirò.

Dhemetrya non si era ancora fatta né vedere né sentire e, benché la mal sopportasse, iniziava a preoccuparsi seriamente.

Antares le aveva suggerito di andarla a cercare appena si erano accorti della sua mancanza provando a seguire i rimasugli di magia che si era lasciata dietro ma aveva declinato, spiegando che, se avesse voluto il loro supporto, non sarebbe sparita senza nemmeno dirgli qualcosa, chiudendosi nel suo silenzio ermetico.

Il destriero le aveva dato ragione, non preoccupandosi comunque di nascondere l'impazienza che sentiva. Erano tutti riuniti dopo anni, non aveva senso si dividessero nuovamente.

Aveva avuto sempre un animo fragile, Dhem, come la superficie calma della stessa acqua da cui prendeva vita e di cui era padrona, pronta ad incresparsi al minimo tocco o soffio di vento.

Ma c'era qualcosa, se pensava più in grande, in tutta quella situazione che non piaceva alla lupa. Sembravano tutti spariti improvvisamente e anche della Pevensie non riusciva a sentirne la presenza.

Aveva come un presentimento che le scuoteva l'animo ma non poteva permettersi di abbandonarsi alle emozioni. Ma nella sua mente un campanellino d'allarme continuava a disturbarla incessantemente.

Evelyn, Edmund, Dhem... e ora anche Peter e Caspian se ne stavano andando.

Sperò non si perdessero nel bosco, altrimenti sarebbe stato uno spreco di tempo doverli andare a cercare.

Era stanca, stanca di quella vita, Lia, stanca di quella costrizione.

Loro tre dovevano fare qualcosa per cercare di migliorare le cose e aiutare, prima di tutto, Narnia a vincere la guerra contro i Telmarini – e poter riprendere così possesso del loro ruolo.

Era il loro compito.

Proteggere Narnia.

Proteggere la loro terra.

Antares si era alzato, come se per tutto quel tempo avesse avuto modo di seguire i pensieri della compagna, sempre più decisa ad andare a scuotere la bolla ermetica in cui si era chiusa Dhem.

Lia non ne fu sorpresa, quando lo vide osservarla già pronto a muoversi. Dopotutto, il loro era un legame indissolubile nato fin dai tempi più remoti.

-Andiamo da Dhemetrya-.



***



Peter e Caspian camminavano già da una decina di minuti, le mani sulle rispettive spade, senza essersi rivolti una parola da quando erano partiti.

Avevano preso il sentiero che costeggiava la radura, poi però avevano cambiato direzione sotto ordine del Re, inoltrandosi in un sentiero che andava dietro il rifugio e ritrovandosi ancora di più nel fitto del bosco.

Non sapeva perché l'istinto lo stesse guidando a costeggiare le zone boschive alle spalle della casa di Aslan.

La vegetazione intorno a loro era silenziosa, forse fin troppo, e per Peter quelle constatazioni erano come una fitta al cuore perenne. Si ricordò del volto di Eve quando avevano fatto il giro nel bosco poco dopo essere arrivati al rifugio di Aslan, dell'abbattimento nel suo sguardo e in quelli di Lucy e Susan.

Odiava vedere le sue sorelle tristi e avrebbe fatto qualsiasi cosa fosse in suo potere per cancellare quell'espressione dai loro visi.

Non era sicuro, però, di quanto le cose si potessero sistemare fino a farle tornare come milletrecento anni prima. Di una cosa però era certo: non avrebbero lasciato di nuovo quelle terre e avrebbero lottato fino alla fine per dar loro la gloria che meritavano.

-Perché cercavi Edmund ed Evelyn?- Il Pevensie, più avanti del Principe di qualche passo, ruppe il silenzio che si era creato tra loro.

Caspian corrugò la fronte, poi sospirò, alzando gli occhi al cielo senza che il biondo potesse vederlo.

-Te l'ho detto. Li cercavo perché è da un po' che non li vedo in giro-.

-Sei preoccupato per loro?- Al Principe quella domanda sembrò strana, ma pensò che quella che Peter stava facendo trasparire fosse in realtà la sua, di preoccupazione, su dove fossero finiti i fratelli.

C'era la remota possibilità che i Telmarini avessero fatto qualche imboscata senza che ne se accorgessero per rapirli e interrogarli, cercando di estrapolare i loro prossimi piani.
Al moro sembrò un'opzione poco fattibile, perché nessuna vedetta aveva segnalato qualcosa di insolito e le cose sembravano essersi svolte come sempre.

Ma ogni cosa poteva essere successa.

Caspian, immerso nei propri pensieri, non si era accorto che Peter si era bloccato e gli andò addosso. Quello si girò, stizzito e lanciandogli un'occhiata di lampante rimprovero, facendogli cenno di tacere quando provò a protestare e fare domande.

Delle voci lontane catalizzarono l'attenzione del moro, ancora intento a osservare il Re fulminarlo con lo sguardo.

A quel punto, anche Peter si voltò di nuovo, nascondendosi dietro il tronco di un albero e impugnando l'elsa della spada, imitato dal ragazzo. Assottigliò gli occhi, senza riuscire però a vedere niente. Tutto ciò che riusciva a percepire erano dei borbottii confusi.

Caspian gli toccò la spalla, facendogli cenno di avanzare – e Peter, per quella volta, si ritrovò d'accordo con lui, asserendo con il capo.

Aiutati dalla vegetazione ed usando i tronchi dei rami centenari come nascondiglio i due ragazzi si avvicinarono alla fonte di quelle voci che avevano attirato la loro attenzione.

Non si spiegavano chi potesse essere tanto sconsiderato da girovagare per il bosco – i Telmarini erano tutti insieme al guado o alla cittadella, i Narniani si erano riuniti alla casa di Aslan o erano dispersi ai confini dei boschi, lontani da quel posto ben presto testimone di guerra.

Peter riconobbe quella parte di bosco quando si ritrovò ad osservarsi meglio intorno per cercare di scorgere le figure interessate. Quel pezzo boschivo finiva con una piccola radura e un burrone, se non ricordava male e il tempo non aveva cambiato considerevolmente la conformazione del terreno.

Chi sarebbe stato così sconsiderato da avvicinarsi ad una parte di bosco così pericolosa?

Quando gli alberi ed i cespugli iniziarono a diradarsi permettendo la veduta sul prato che celavano, i due ragazzi si nascosero dietro gli ultimi alberi che potevano fornirgli il riparo necessario per non farsi scoprire.

Si guardarono, scambiandosi un'occhiata e tenendo saldamente le mani sull'elsa delle spade per scaricare la tensione che sentivano. Sgranarono gli occhi quando i loro sguardi riuscirono a immergersi in quella scena.

Due... ninfe?


Peter aggrottò le sopracciglia, socchiudendo gli occhi per cercare di vedere meglio le due figure in controluce. Una sembrava tenere qualcosa tra le mani.

No... streghe.


Peter le riconobbe subito come seguaci di Jadis. Non avrebbe mai dimenticato la prima volta che le aveva viste, a Narnia. Avevano accompagnato la Strega Bianca alla base di Aslan perché voleva il sangue di Edmund.

Peter sentì un moto di rabbia al ricordo della strega, per il modo in cui infidamente aveva cercato di separarli e mettersi tra di loro riuscendo quasi a fargli perdere uno dei suoi fratelli e mettendoli tutti in pericolo.

Scacciò quei ricordi, cercando di concentrarsi su ciò che stava succedendo nel presente.

Jadis era un problema passato.

Aslan l'aveva uccisa, non avrebbe più potuto creare danni.

Peter non capì come mai quelle due gliela ricordassero tanto, come se fosse ancora viva in mezzo a loro dopo decenni pronta ad approfittare ad un loro cenno di debolezza.

-A Narnia-

Peter sentì distintamente un brivido corrergli lunga la colonna vertebrale e il fiato mozzarglisi in gola, venendo bruscamente riportato alla realtà.

Doveva aver capito male.

Si sporse maggiormente, sperando di essersi sbagliato e di aver immaginato quello che aveva sentito.

Cercò lo sguardo di Caspian, come a voler conferma di essersi sbagliato e sperando forse che il Principe gli scoppiasse a ridere in faccia per l'espressione terrorizzata che aveva assunto.

Aveva la gola secca da dare quasi fastidio e a stento si trattenne dal tossire per non farsi scoprire.

Trovò la conferma alle proprie paure nell'espressione altrettanto sconvolta e confusa che Caspian gli stava rivolgendo.

Pochi attimi dopo una figura fece capolino dal bosco, rompendo definitivamente tutte le scusanti che il Re stava cercando nella sua mente per dare una spiegazione a quella voce che aveva sentito.

Doveva essersi sbagliato. Non poteva essere in pericolo.


Peter e Caspian trasalirono, percependo distintamente un groppo in gola.

Com'era possibile? E nessuno si era accorto di niente?

Sentirono la voce fintamente melodiosa della prima dire qualcosa e indicare con gesto della mano oltre il burrone, ma non capirono le sue parole. Erano ancora troppo lontani perché riuscissero a riconoscere distintamente ogni frase.

L'abito si mosse gentilmente all'ennesimo passo, senza ostruire i movimenti della proprietaria che ignara continuava a camminare.

Peter si ritrovò diviso: una parte di lui gli gridava di saltare fuori allo scoperto ed eliminare le nemiche nel giro di pochi secondi, un'altra gli intimava di mantenere la calma ed analizzare la situazione.

Se si lasciava trascinare dalla paura e dal panico c'era il rischio che facesse solo più danni.

Non sapeva cosa volessero fare e come mai riuscivano a farsi ascoltare in quel modo. Sicuramente c'era lo zampino di qualche incantesimo.

Ma quando mancavano pochi metri al bordo del burrone Peter sbottò, non potendosi più trattenere, saltando fuori dal proprio nascondiglio e puntando la spada verso le due figure.

-Evelyn!-


























































































Ciao a tutti :)

Ritorno come promesso dopo quasi due mesi - penso che sarà sempre questo il tempo minimo tra un aggiornamento e l'altro almeno finchè non riesco a portare molto più avanti la storia, mi scuso moltissimo, purtroppo la vita reale non mi aiuta in questo ma! cercherò di fare il possibile per finire questa storia anche se dovessi metterci tempi biblici -.

Penso che questo capitolo si spieghi da solo, ho cambiato/sistemato un paio di imprecisazioni nei flashback per essere coerente ma per il resto non cambia molto la sostanza che era già presente.

Se qualcuno l'ha notato ho cambiato un po' l'impostazione grafica del capitolo rispetto ai precedenti in modo che risulti più ordinato - spero! - e si capiscano meglio i cambi di scena (***), piano piano cercherò di sistemare anche i precedenti e lo stesso ho fatto con le one shot spin off della storia.

Ringrazio chi si è fermato a leggere, a commentare - dopo tre anni ricevere ancora dei pareri fa moltissimo piacere! - chi preferisce, segue e ricorda, siete davvero tanti!

Alla prossima
D <3 


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Capitolo 25
*** I sentimenti oltre le parole. ***


Narnia's Spirits.
I sentimenti oltre le parole.






Arrivare a quel luogo nascosto dalla vegetazione era stato relativamente facile.

Avevano seguito i rimasugli di magia che Dhemetrya si era lasciata dietro, una traccia unica ed inconfondibile che segnava il passaggio della ragazza tra le sterpaglie che nascondevano sentieri, gli alberi e le rocce.

Per quanto questa provasse a celarsi agli occhi altrui per restare sola con il proprio dolore il fatto che loro riuscissero a sentirne la presenza era una cosa che non poteva evitare. Il loro legame era troppo forte e troppo profondo perché non bastasse la minima cosa, il minimo pensiero od il minimo gesto a farsi comprendere.

Lia alzò gli occhi azzurri agli sprazzi visibili tra le chiome degli alberi per osservare il cielo limpido di quella giornata, domandandosi quanto ancora avrebbero dovuto aspettare prima che la magia tornasse e scorrere prepotentemente per quelle terre che conosceva tanto bene ed a cui apparteneva fino alla più piccola particella di se stessa.

Per l'ennesima volta in poco tempo, pensò di essere stanca di quella forma che incarnava.

-Deve essere vicina-

Antares, pochi passi dietro di lei, irruppe nelle sue riflessioni. Lia non capiva come avesse potuto trascorrere anni lontano dalle terre Narniane, rinchiuso in una stalla – rischiando anche la vita se fosse successo qualcosa.

Se ci pensava bene provava un po' di rabbia per quella scelta che aveva preso da solo.

-Mi dispiace-

Il cavallo sapeva bene ciò che la compagna stava pensando e provando. Si sentì in colpa per averla lasciata sola. Per aver lasciato sole entrambe per quelli che erano stati una manciata insignificante di anni in quei millenni trascorsi tra l'attesa, la speranza e il vedere inesorabilmente Narnia cadere in un baratro.

-Avevo bisogno di vedere... capire...- Provò a spiegare, incerto della sua posizione. L'effetto che la lupa gli faceva anche dopo tutto quel tempo lo lasciava disarmato.

Lia ringhiò appena, conficcando maggiormente le unghie nel terriccio per scaricare il nervoso. Sentì distintamente la rabbia ribollirle dal profondo e pensò che fosse un'emozione che non le si addiceva all'animo.

Cosa c'era stato bisogno di capire o vedere? Non gli bastavano tutte le vittime che c'erano state, le creature decimate, la magia scomparsa? Avrebbe dovuto starle ancor più vicino in quegli anni di buia rassegnazione, aspettando insieme quella che probabilmente sarebbe potuta essere la loro fine, ed invece... invece lui aveva deciso di andarsene e lasciarla sola.

-Perdonami- riuscì solo a dirle. Lia fece schioccare la lingua contro il palato, facendo dardeggiare lo sguardo tra la vegetazione intorno a loro. Come sempre non c'era segno di anima viva in giro.

-Ne riparleremo, adesso pensiamo a Dhemetrya- disse, evitando di dargli una risposta. Aveva bisogno di calmarsi prima di avere a che fare con la ragazza e chiudere quel discorso, anche se momentaneamente, era la scelta migliore. Non voleva finire a dire cose di cui poi si sarebbe potuta pentire.

Antares asserì silenziosamente a quella sua decisione, decidendo di affiancare la Narniana in quell'ultimo pezzo di strada che li divideva da Dhem. La sentivano molto vicina. Ormai avrebbero dovuto poterla scorgere.

Riuscivano a percepire il cambio di atmosfera man mano che si avvicinavano al luogo in cui stava la mora, una sensazione di tensione dolorosa e quasi spasmodica da fargli contorcere lo stomaco e zittire qualsiasi loro pensiero.

Dhemetrya stava soffrendo. Immensamente. E la natura di Narnia che le stava intorno soffriva con lei.

Quando giunsero alla fine di quel sentiero nascosto Lia e Antares rabbrividirono, osservandosi intorno in quel luogo sperduto che avevano raggiunto.

C'era una piccola radura su cui si apriva la vegetazione millenaria: l'erba verde e piena veniva smossa leggermente dalla brezza estiva, il sole illuminava in pieno quello scorcio di prato dando la sensazione fosse più grande e spazioso di come fosse realmente.

Dhemetrya si trovava li da qualche parte, probabilmente nascosta su qualche albero dove la foresta riprendeva il sopravvento. Si era sempre sentita più sicura stando in alto, occultata dalla vista altrui ma consapevole che quella posizione le dava il vantaggio di osservarsi intorno.

I due Narniani si lanciarono un'occhiata prima di procedere al centro della radura.

Si sentivano paralizzati.

Nonostante l'apparente calma e serenità che traspariva da quella visione della natura, potevano benissimo percepire l'aria tesa e inquieta che vi aleggiava intorno.

Ai loro occhi di creature di Narnia appartenenti a quella terra fin nelle viscere non passò inosservato come la quasi totale immobilità di quel posto trasudasse dolore e indignazione, sentimenti riflessi della persona che da qualche giorno aveva deciso di isolarsi in quella zona. Potevano sentire ogni stelo d'erba, ogni albero, ogni particella di aria urlare.

Forse complice il sole oscurato da una nuvola passeggera, i boschi che circondavano quel luogo sembrarono improvvisamente più vicini, come se si volessero chiudere su di loro per intrappolarli e fargli sentire quel dolore che da tanto, troppo tempo, Narnia provava.

Antares provò la sensazione amplificata di essere in trappola, come se fosse stato costretto nuovamente in una stalla senza potere decisionale. Sbuffò un nitrito per tentare di scacciare dei brividi lungo la schiena.

Lia osò qualche altro passo, puntando gli occhi verso un grande albero e scrutandolo in silenzio. Pur non potendola vedere direttamente, tutto quel dolore e magia sprigionati dall'animo di Dhem le fecero capire che si trovava li.

Fu incerta come poche volte nella sua lunga vita di irrompere dentro la bolla di protezione della ragazza. Aveva paura di rompere quello che era un equilibrio precario – mai come in quell'ultimo periodo la mente e l'animo della figlia della magia erano così in tempesta.

-...Dhemetrya?-



***



La ragazza si portò le mani alla testa, stringendo spasmodicamente i capelli come se fossero l'unica cosa che potesse tenerla ancora a quella realtà da cui però cercava in tutti i modi di scappare.

Strinse fino a sentire male, strinse finché qualche capello non le rimase tra le dita, finché non percepì le unghie grattare contro la nuca. Come se con quel gesto volesse punirsi, autoinfliggendosi un dolore che sentiva fin troppo chiaramente.

Era colpa sua.


Digrignò i denti, Dhemetrya, mordendosi a sangue un labbro già fin troppo martoriato e tenendo ostinatamente gli occhi blu nascosti dietro le palpebre chiuse.

Era solo colpa sua.


Se non fosse andata al castello quella notte Soraya sarebbe stata ancora viva.

Si odiò Dhem come si era odiata sempre di più durante quelle ore che sembravano infinite, come infinita sembrava essere la sofferenza che provava. La sua compagna più fidata non c'era più ed era stata lei a condurla alla morte.

Ancora peggiore era la convinzione che se fosse stata un po' più decisa a fermarli prima di andare da Miraz nessuno sarebbe morto. Aveva avuto la possibilità di cambiare le cose e per l'ennesima volta l'aveva sprecata, facendosela scivolare tra le dita come l'aria.

Un singhiozzo spezzato le uscì dalle labbra secche, scuotendo quel corpo fragile: non aveva mangiato nulla in quei giorni e lo stress per il dolore ed il non darsi pace sembravano averla fatta dimagrire ancor di più. Chiunque avrebbe potuto avere l'impressione che si sarebbe potuta spezzare sotto il peso di tutte le emozioni che stava provando.

-...Dhemetrya?-

Qualcosa nella sua mente annebbiata la spinse ad immobilizzarsi così com'era, tenendo i muscoli ed interrompendo quello che si stava trasformando nell'ennesimo pianto, in attesa. Corrugò la fronte, chiedendosi se non fosse possibile che la stanchezza l'avesse portata ad avere allucinazioni.

Attese avvolta da un silenzio talmente teso che le sembrò quasi di poterlo toccare.

-Dhemetrya?-

Riconobbe chiaramente a chi appartenesse la voce che la stava chiamando quella seconda volta e si diede della stupida per non aver celato meglio la propria presenza. Finse di non sentire, rimanendo sempre immobile.

-Sappiamo che sei li.-

Stavolta era stato Antares a parlarle, rompendo quel suo maldestro tentativo di scomparire come se, improvvisamente, potesse diventare un tutt'uno con l'albero su cui stava.

Aprì le palpebre, sconfitta, rivelando alla natura silenziosa che le stava intorno due arrossati e lacrimanti occhi blu. Si permise di utilizzare il suo legame con quella terra e quel poco di magia che ancora vi viveva per saggiare l'aria che la circondava e capire dove si trovassero i suoi due interlocutori.

Fare quel gesto una volta così naturale le costò uno sforzo immenso sotto tutti gli aspetti. Si sentì debole e indifesa come mai le era capitato.

Terribilmente e schifosamente umana.


“Nessuno vi ha chiesto di venire.”

Non ebbe il coraggio di parlare ad alta voce. Sentiva di avere la gola troppo secca e una spossatezza tale che perfino il solo pensiero di dover formulare una frase da dire le costò fatica – e temeva, temeva terribilmente come sarebbe suonata la propria voce, rivelando quella stessa fragilità che trasudava dalla sua figura esteriore.

L'aria si fece aspra, un cambiamento minimo che a lei non passò inosservato e la colpì in pieno. Lia si era irritata.

-Non puoi rimanere qui a nasconderti per sempre-

Dhem digrignò i denti, portandosi il dorso di una mano ad asciugare i rimasugli di lacrime che le segnavano il viso pallido.

“Posso fare quello che vo-...”

-Dhemetrya, torna con noi- Fu Antares ad osare interromperla, infilandosi in quella conversazione prima che diventasse una guerra. La ragazza non osò andare contro alle parole di quello che considerava come un fratello. Si limitò ad abbassare lo sguardo sulle unghie mangiucchiate a sangue, giocando con le dita per scaricare il nervoso. Sospirò.

“Tornare dove?” Azzardò, assottigliando lo sguardo e voltandolo verso il basso. I rami le impedivano di vedere le due figure che, sapeva, si trovavano nella direzione in cui stava osservando. Poteva percepire la rabbia iniziare a ribollirle nelle vene.

“Non c'è più nessun posto in cui tornare! Per Narnia è la fine ormai!”

I due Narniani non sembrarono colpiti da quel suo sbotto improvviso, rivelando la pazienza che tanto li caratterizzava, ignorando le parole piene di verità di Dhemetrya. Una folata di vento scosse i rami degli alberi le cui foglie frusciarono, come indignate.

-Torniamo alla casa di Aslan- riprese parola Lia, che aveva riacquistato la calma. Sapeva che prendersela in quel momento con Dhem non aveva senso, non stava bene e probabilmente diceva cose che nemmeno pensava. Quella consapevolezza le diede la forza di non usare dei toni bruschi.

“Non servirebbe. Lasciatemi sola.”

Lia sospirò, sentendosi triste per l'arrendevolezza che percepiva provenire dalla ragazza. Ma non potevano lasciarla li. Non poteva tirarsi indietro alle sue responsabilità fino a che l'ultima parola non fosse stata scritta, non poteva gettare la spugna e buttare all'aria tutto quel tempo passato ad attendere, a sperare, a combattere.

Nessuno di loro poteva.

Rifiutava anche solo di pensarla, quella possibilità. Non voleva morire prima del tempo.

-Non è il caso di gettare tutto all'aria- disse, dando voce ai propri pensieri, ma Dhemetrya aveva la testa dura ed era ferma nelle sue convinzioni.

“Ormai cosa c'è da fare? I Narniani stanno morendo uno dopo l'altro, di Aslan nemmeno l'ombra, Narnia stessa sta sempre peggio e la grande magia si sente con il contagocce. Non siete stanchi, eh? Chi ve lo fa fare di continuare questa impresa?”

Lia ed Antares non poterono non darle ragione.



***



Il sole che brillava alto nel cielo venne coperto da una nuvola di passaggio, oscurando quello spiazzo d'erba dove fino a pochi secondi prima tutto era scoperto e illuminato sotto i raggi solati.

Il ragazzo steso sull'erba non se ne preoccupò, mentre un'ennesima folata d'aria gli scompigliava i capelli corvini creando strani sussurri intorno a lui quando il vento passò delicatamente tra le chiome degli alberi. Era come se si stessero parlando nella lingua della natura, comprensibile solo a loro.

Un linguaggio per troppo tempo rimasto dimenticato negli antri più nascosti della foresta.

Il silenzio però, alla fine di quella ventata, tornò a regnare sovrano e inevitabile – come poco prima. Improvvisamente un suono che avrebbe dovuto essere famigliare e naturale, ma che da quando era lì non avevano mai sentito, ruppe quella bolla di stasi che sembrava ammantare tutto.

Un cinguettio.

Edmund pensò quasi di essersi sognato quel suono così delicato e frizzante, tanto che credette fosse stato lo stato di dormiveglia in cui si stava lasciando andare ad averglielo creato.

Ma un altro cinguettio proveniente dal bosco gli arrivò chiaro e forte pochi secondi dopo, risuonando a lungo nelle sue orecchie come se il fautore di quel suono glielo stesse rimbombando direttamente all'interno.

Edmund aprì di scatto gli occhi, completamente sveglio ed attento, mentre una miriade di emozioni gli inondava l'animo. Talvolta anche le cose più piccole e innocue riuscivano a dare la più grande forma di genuina felicità se risultavano inaspettate.

Si tirò a sedere, sperando di scorgere l'animale occhieggiandosi in giro. Un suono così semplice di cui Narnia era stata privata per tutti quei secoli e che, solo dopo aver passato quei momenti avvolto dal silenzio completo, si era accorto mancasse.

Non si stupiva se i Telmarini narravano leggende sulla foresta, perché questa ed i suoi abitanti si erano chiusi in loro stessi talmente tanto da far calare un silenzio pesante su ogni cosa la riguardasse. Troppi orrori erano stati consumati perché la vita continuasse a scorrere come se niente fosse.

Strizzò gli occhi castani, scrutando la fitta vegetazione, i rami degli alberi intricarsi tra loro come in una danza e le chiome innalzarsi verso il cielo – ma di altri segni di vita, nessuna traccia. Forse se lo era immaginato, dopotutto. Si limitò ad alzare le spalle, un po' sconsolato e sorridendo, rendendosi conto che l'animale poteva essere ovunque il quel grande spazio aperto. O forse semplicemente era volato via.

Edmund si sdraiò nuovamente, sospirando e tornando a fissare il cielo chiaro: la nuvola si era spostata e ora i raggi del sole erano tornati ad accarezzargli la pelle, lambendogli le membra e riscaldandole di un tenue tepore.

Si concesse di riprendere il filo dei suoi pensieri, interrotti poco prima di addormentarsi, riuscendo a lasciarsi nuovamente cullare da quello stato di stasi calmante che solo l'essere avvolto dalla natura – la sua natura, il suo bosco, la sua Narnia – riusciva a mettergli addosso.



***




Il paesaggio di campagna scorreva veloce fuori dal finestrino, risultando quasi solo un mucchio di macchie e colori indefiniti, mentre il treno continuava la sua corsa.

Evelyn continuava a guardare ostinatamente all'esterno come se non potesse perdersi nemmeno un particolare, chiusa nel suo mutismo di offesa piccata, cercando di ignorare lo sguardo di suo fratello.

Edmund la fissava senza preoccuparsi di nasconderlo troppo, scrutandola e studiandola, come se con quello sguardo potesse coglierne i pensieri e attraversare il muro ermetico dietro cui si era trincerata.

Aveva capito che ce l'aveva a morte con lui.

Ed Evelyn non aveva tutti i torti. Poteva sentire il suo sguardo su di sé, che l'attraversava come una lama tagliente. E ad Eve non piaceva quando qualcuno cercava di penetrare nelle sue difese, a meno che non fosse lei a concedere il passaggio.

Il fatto che fosse Edmund non cambiava le cose, anzi, forse la infastidiva ancora di più. Non che le dispiacesse, però in quel momento voleva stare sola, isolarsi e darsi della stupida, ma suo fratello non glielo permetteva, continuando a guardarla come se potesse scomparire da un momento all'altro.

In più, aveva una paura – la costante paura – maledetta che potesse intuire qualcosa, e questo la rendeva ancora più tesa.

S'impose di non parlare e continuare a osservare fuori, ma la curiosità e la sua parlantina non erano dello stesso parere. Sbuffò leggermente.

-Che cos'è?- Si decise a chiedere al biondo, stando ben attenta a non incrociare lo sguardo di Edmund. Il maggiore dei fratelli alzò lo sguardo dal foglio, stupito di sentire la voce tranquilla della sorella.

-E' la mia verifica di fisica- rispose alzando lo sguardo e incontrando gli occhi di Evelyn che già lo fissavano.

-Quella per cui studiavi un po' si e un po' no?- Evelyn alzò il sopracciglio, in un vago tono derisorio e inconsapevole di aver fatto la stessa domanda di Edmund. Peter non poté fare a meno di sorridere, notando quanto fossero simili sotto certi aspetti e pensieri. Eve osservò la reazione dei due fratelli, lanciando un'occhiata veloce anche ad Edmund e vedendolo guardarla stralunato.

-Che ho detto?- indispettita gonfiò le guance. Peter rise apertamente, ed Ed sorrise scuotendo la testa. Posò poi lo sguardo fuori dal finestrino, decidendo di togliere gli occhi dalla Pevensie e restando in silenzio ad ascoltarli parlare.

-E com'è andata?- cercò allora di informarsi la minore, capendo che la risposta alla sua domanda era affermativa. Suo fratello si limitò a un “bene” mentre le passava il foglio. Quella lo prese, contenta, facendo scorrere lo sguardo sulla carta. Mano a mano che leggeva, i suoi occhi s'illuminavano e il fiato le si arrestò in gola.

-Che bello, Peter! Non vedo l'ora di studiare questi argomenti!- esclamò, emozionata, stringendo la presa sul foglio impaziente e rischiando di stropicciarlo.

Il maggiore dei Pevensie sorrise, riprendendolo e mettendolo via, mentre Edmund sbuffò, per nulla contento all'idea di quello che il futuro da alunno gli riservava. A Narnia era uno stratega eccelso per quanto riguardava la logica e l'organizzazione, ma non aveva a che fare con formule e composti strani.

Evelyn sorrise inconsapevolmente di fronte a quella scena, ma ricordando la sua situazione s'incupì nuovamente.


Arrivarono a casa dopo aver passato il resto del viaggio in silenzio, perso ognuno nei propri pensieri e ragionamenti. Lucy sbucò fuori dalla porta d'ingresso e corse verso Evelyn, abbracciandola e guardandola con un sorriso che la Pevensie sapeva non promettere nulla di buono.

Lu si staccò dalla sorella maggiore per poi andare ad abbracciare Peter riacquistando i soliti sorriso innocente ed occhi dolci. Il fratello le sorrise, per poi spostare lo sguardo su Susan, che li attendeva sulla soglia d'ingresso paziente e silenziosa come una madre si accerta che i figli rientrino all'ora stabilita e tutti interi.

Evelyn iniziò ad avviarsi verso la sorella maggiore, che la salutò non appena le fu arrivata di fronte, lasciandosi dietro Lucy che salutava Edmund e superando Peter che li stava aspettando.

Le due Pevensie si scambiarono un'occhiata che lasciava intendere tutto, e Susan ghignò, divertita, ottenendo da Eve un'alzata di occhi al cielo, ignorando la tempesta di emozioni che nascondeva quel gesto sbarazzino. Come rare volte in vita sua la Scaltra avrebbe desiderato non trovare nessuno al rientro in casa per restarsene con i propri pensieri e sentimenti con cui stava facendo battaglia in quelle ore.

Vennero raggiunte da un Edmund pensieroso, un Peter tranquillo e una Lucy raggiante. La più piccola dei Pevensie si staccò dal fratello maggiore, che l'aveva presa per mano, avvicinandosi alle due sorelle. Si scambiò un'occhiata con Susan e annuì leggermente, prendendo poi Evelyn per mano e trascinandola dentro casa senza che questa potesse replicare.

Scorgendo il movimento davanti a lui Edmund alzò lo sguardo, vedendo le due sagome dirette al piano superiore. Sorrise forzatamente in direzione di Susan, per poi entrare in casa e dirigersi verso camera sua e di Peter sotto lo sguardo preoccupato dei fratelli maggiori per quel suo mutismo.

Peter e Susan si scambiarono un'occhiata. Non capivano cosa avesse reso Ed tanto inquieto da chiudersi in se stesso – dubitavano fosse solo per gli eventi di quel pomeriggio che era tanto sfuggente.

Arrivato in camera Edmund chiuse la porta, posò la borsa vicino al suo letto e poi si sdraiò su quello Peter, in un vano tentativo di rilassare i muscoli e svuotare la mente, come se in quel modo potesse sentire la vicinanza protettiva e sicura del fratello maggiore.

Ci rinunciò dopo pochi minuti, sentendosi sempre più teso e irrequieto per restare sdraiato.

Decise di uscire dalla sua camera, dirigendosi nel giardino sul retro e sedendosi sotto un albero. Si appoggiò alla corteccia dell'enorme quercia e chiuse gli occhi, pensieroso e stanco, facendosi cullare dalla brezza del vento.

Sperò che il contatto con la natura riuscisse a calmargli l'animo e i pensieri.


Nella camera accanto a quella dei ragazzi, Evelyn stava appoggiata alla scrivania, le braccia dietro la schiena, osservando una Lucy comodamente seduta a gambe incrociate sul suo letto. La sorellina minore la guardava con un luccichio negli occhi e un sorriso sghembo.

Sospirò, stanca, ma senza il coraggio di rompere quel silenzio o chiedere alla minore del tempo per se stessa. Raramente riusciva ad arrabbiarsi sul serio con uno dei suoi fratelli, meno ancora con Lucy.

-Allora?-

Evelyn sbuffò, guardandola, senza tuttavia riuscire a risultare scocciata come avrebbe voluto.

-Allora cosa, precisamente?- domandò, facendo di tutto per non distogliere lo sguardo da quello della sorella. Gli occhi di Lu sorridevano, sorridevano sempre e a chiunque, sprigionando una luce tutta loro da cui si finiva attirati come le falene sui lampadari. Quella sorrise di più senza darlo a vedere, mentre riprendeva il discorso per nulla decisa ad arrendersi.

Voleva sentire un discorso da Eve, non cavarle le parole di bocca.

-Allora, com'è andata oggi con Simon?- Si decise a incalzare la Valorosa, facendo gesto d'impazienza con le mani. Evelyn s'impose la calma, mentre controllava il respiro e meditava su cosa dire, per niente convinta di darla vinta alla più piccola.

-Come vuoi che sia andata? Normale- disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, alzando le spalle come se la cosa appena detta non avesse valore.

-Normale? Come può essere normale quello che sembrava un appuntamento?-

La voce un poco indignata di Susan sopraggiunse inaspettatamente, facendo sobbalzare le due sorelle che si voltarono a guardarla. La figura alta e slanciata della Pevensie entrò nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle e avvicinandosi a Lucy, sedendosi poi accanto a lei.

-Ha detto qualcos'altro?- domandò, rivolgendosi alla più piccola, lanciando un'occhiata furtiva ad una Eve persa nei suoi pensieri. Ma cos'avevano tra lei ed Edmund quel giorno? Forse avevano litigato e non lo sapeva?

-No, non sono riuscita a scucirle niente- proferì la sorella, negando con la testa. Susan sospirò, voltandosi poi ad osservare Evelyn, in attesa. Quando la Pevensie si accorse che gli occhi delle sorelle erano puntati su di se, alzò un sopracciglio.

-Che c'è?- chiese, non nascondendo una nota scocciata e brusca. Che sorelle pettegole che aveva.

-Non hai risposto- le fece notare calma la maggiore, ignorando quel suo modo di fare. Sapeva già come Eve avrebbe reagito e la cosa non la sorprendeva per niente.

-A cosa?- domandò, interessata. Non ricordava le fosse stata fatta una domanda. Forse si era persa troppo a pensare e non aveva sentito? No, era sicura non avessero detto altro. Evelyn roteò gli occhi.

-Non sembrava una domanda- fece notare. Susan fece schioccare la lingua e la guardò come se fosse senza speranze per tutte quelle scuse che trovava.

-Beh, se quel damerino di Simon si può considerare un ragazzo...- sputò allora fuori, velenosa, ricordando i suoi modi gentili e forse un po' all'antica. Decisamente non era il suo tipo. Troppo calmo, troppo gentile, troppo ordinato, troppo Simon –
e troppo diverso da Edmund. Semplicemente troppo.

Lucy e Susan guardarono Eve indecise se ridere o roteare gli occhi. Dovevano immaginarsela una frase simile, detta per far credere loro che non le interessasse niente della persona in questione. A Evelyn qualsiasi ragazzo le facessero notare non andava mai bene: troppo alto, troppo basso, troppo brufoloso, troppo mammone... ci avevano provato in tutti modi, ma ogni volta che uno di loro si avvicinava per parlarle, Evelyn lo respingeva prima ancora che questo avesse aperto bocca.

Più di una volta si era dovuta scusare, in quanto alcuni volevano solo chiederle l'ora o se aveva, per caso, una penna per compilare una giustificazione falsificata. 

Susan e Lucy pensavano che con Simon sarebbe stato diverso, visto che ci aveva parlato di buon grado anche senza il loro intervento. Inoltre era anche carino come ragazzo, non sembrava avere nulla che a primo impatto non andasse.

Eppure qualcosa faceva intendere loro che nemmeno lui aveva fatto breccia nel cuore della sorella e ostinatamente si chiedevano perché. Non capivano davvero. A costo di sembrare ostinate, per quanto sapessero che le relazioni non si possono costringere, volevano solo che lei fosse felice, che la smettesse di pensare ad una vita in un luogo che, forse, c'era la possibilità non avrebbero più rivisto.

-Comunque, cosa avete fatto?- Evelyn alzò nuovamente le spalle alla domanda della minore, mentre anche Susan la guardava in attesa di risposta.

-Nulla di che. Abbiamo parlato e bevuto la cioccolata in un bar- si limitò a dire. Le due sorelle la guardarono, ansiose di saperne di più sul tempo che avevano passato assieme ed Eve decise che dir loro qualcosa non c'era niente di male.

-Mi ha parlato un po' della sua famiglia e mi ha chiesto di…- Eve si bloccò a metà frase, rendendosi conto di cosa stava per dire. L'appuntamento! Se l'era completamente scordato!

Alle due Pevensie non era passato inosservato quel blocco improvviso.

-Ti ha chiesto di?- chiese Susan, gli occhi che le si illuminavano. Evelyn divenne rossa al solo pensiero e indietreggiò andando a toccare con la schiena il bordo della scrivania.

-Uscire questo sabato- s'arrese, sicura che ormai non aveva scampo. Pronunciò la parola in un sussurro strozzato sperando non lo sentisse nessuno, ma alle sorelle non sfuggì. Il risultato fu un urlo di una stupefatta Lucy e il volto stupito di Susan che strabuzzava gli occhi.

-Davvero?- domandò, incredula, portandosi una mano davanti alla bocca e sbattendo le palpebre. Sembrava quasi commossa.

-Si- sospirò Evelyn, stanca di quella situazione improvvisamente pesante.

-E' una cosa bellissima Eve!- annunciò Susan, realmente contenta per quella svolta degli eventi ed andando subito a rovistare tra i vestiti della sorella che, secondo suo parere, doveva prepararsi per quel giorno. Non vedeva l'ora di poterle dare dei consigli su cosa mettersi.

Evelyn arricciò il naso per nulla convinta, ma non disse niente e lasciò che per quella volta Susan rovistasse tra le sue cose. Tutto pur di far finire quel discorso il prima possibile.

-Bisogna dirlo a Peter ed Edmund!- annunciò Lucy, avviandosi di corsa verso la porta. Evelyn a quelle parole ebbe un tremito ripensando al fratello. Si girò di scatto pronta per afferrare Lucy e fermarla ma la sorellina era già vicina alla porta.

-Lucy aspetta!- provò a gridarle, allungando il braccio in un gesto di arresto, sperando forse che arrivasse fino alla sorella e potesse trattenerla. Lucy non l'ascoltò e uscì.

Evelyn fece per seguirla, ma il suo corpo rifiutava di muoversi.

Era paralizzata.

Non voleva che lo sapessero, anzi era decisa che probabilmente prima di sabato avrebbe trovato una scusa per rifiutare di uscire. Che poi non si spiegava come mai non avesse fin da subito detto di no a Simon.

Si sarebbe sicuramente evitata molti più problemi.


Lucy correva spedita giù dalle scale, non dando peso alle parole che Evelyn le aveva urlato dietro. Era sicura che Peter ed Edmund andassero avvisati quanto prima per evitare delle possibili tragedie.

Arrivò in cucina, dove il biondo stava leggendo un volume riguardante storia.

-Peter- richiamò la sua attenzione, cercando di calmarsi. Lo vide alzare lo sguardo dal libro per nulla turbato, probabilmente l'aveva sentita arrivare mentre scendeva le scale. Stava sempre attento a tutto ciò che gli succedeva intorno, suo fratello.

-Devo dirti una cosa- gli disse, come se dovesse confessargli una colpa. Nonostante fosse la più piccola Lucy sapeva bene quanto alcuni argomenti meritassero di essere presi con la dovuta calma. Peter la guardò, in un tacito assenso che la stava ascoltando.

-Simon ha invitato Eve a uscire sabato- disse Lucy, torturandosi le mani. A Peter quel ragazzo non piaceva, l'aveva capito.

Il Pevensie rimase immobile, irrigidendo solo la mascella e serrando i denti. Lucy lo guardò aspettando che dicesse qualcosa, una cosa qualunque, per farle capire cosa gli passasse per la testa.

-Bene, grazie Lu- Quella risposta lasciò Lucy con l'amaro in bocca, non riuscendo a capirla, e decise che forse era meglio lasciarlo solo. Peter sentì l'irritazione pervadergli il corpo e sospirò pesantemente non appena la sorella fu uscita – probabilmente in cerca di Edmund o per tornare dalle altre.

“Lo sapevo che aveva in mente qualcosa” pensò Peter, capendo il perché Simon gli avesse sorriso e ricordando come avesse salutato la Pevensie. Ma non poteva permettere che sua sorella rischiasse di rimanere coinvolta in quello che magari era un dispetto che voleva fare a lui. Era troppo sensibile.

Improvvisamente ebbe un'illuminazione e un'idea si fece spazio nella sua mente, per quanto ingiusta potesse essere. E se per quel giorno Evelyn fosse stata ammalata?


Lucy si fermò in mezzo al corridoio pensando seriamente a dove potesse essersi cacciato Edmund. L'aveva cercato in ogni stanza della casa, eppure non riusciva a trovarlo.

Voltò lo sguardo verso la finestra che dava sul giardino come se il paesaggio fuori potesse darle qualche aiuto e scorse la figura di suo fratello intento a dormicchiare sotto una quercia. Sorrise, dandosi mentalmente della stupida per non averci pensato prima.

Da quando erano tornati da Narnia quello era il luogo preferito da lui ed Evelyn, come poterlo scordare?


Un rumore di passi fece aprire gli occhi ad Edmund, strappandolo dallo stato di dormiveglia in cui era calato. Si sentiva meno teso di prima, ma nonostante tutto non era riuscito ad abbandonarsi al sonno come avrebbe voluto. Lucy si sedette accanto a lui, ed il moro non poté non pensare a quanto gli facesse strano che non fosse stata Eve a raggiungerlo in quel luogo.

-Sai che Evelyn ha un appuntamento con Simon, sabato?- domandò la Pevensie senza aspettare che le dicesse niente, mordendosi un labbro. Sapeva quanto Edmund ed Evelyn fossero legati e sapeva che vedere in qualche modo crescere una delle persone a cui tieni di più e vederla legarsi ad altri non sempre la cosa fa reagire bene.

Lu non sapeva quanto fosse vicina alla realtà con quei pensieri, di quanto fosse realmente profondo il sentimento che legava quei suoi due fratelli.

Edmund sentì una profonda fitta allo stomaco attraversarlo come una lama tagliente e un lungo brivido lungo la schiena lo paralizzò. Si schiarì la gola per prendere tempo prima di formulare una risposta, temendo nell'incertezza della propria voce e per avere qualche secondo per incassare quel colpo.

-Edmund? Edmund? Ehi…- provò a richiamarlo Lucy, il tono di voce preoccupato per il mutismo ostinato del Pevensie.

-Non lo sapevo...- si limitò a rispondere lui, strappando dei fili d'erba. Si girò verso di lei, sorridendo, ma alla sorella sembrò tanto un sorriso di circostanza. Sgranò gli occhioni, sentendosi in colpa per la tristezza che vedeva oscurare gli occhi del Giusto e che involontariamente gli aveva portato.

Osservò in silenzio il Pevensie, davanti agli occhi un sacco di ricordi che le si palesavano sotto altri aspetti, mentre questi non si rese conto di come venisse interpretato il comportamento che stava tenendo quel giorno.

Possibile che... ?

Lucy si costrinse a scacciare quell'idea dalla testa.



***



Alla fine sembrava che fossero riusciti a chiarirsi: lui le aveva chiesto scusa per il poco tatto usato quella mattina, lei aveva scosso la testa dicendogli che non c'erano problemi ed aveva reagito un po' male perché evidentemente era una giornata storta.

Edmund si era sentito come tirare via un macigno dallo stomaco.

Ripensò a quando poco prima aveva deciso che le avrebbe detto la verità sui propri sentimenti. Non era sicuro fosse la cosa giusta – probabilmente non lo era per niente – ma non riusciva più a tenersi tutto dentro. Rischiava di scoppiare e ripensare alle reazioni anomale che più volte gli era capitato di avere non faceva che confermarglielo.

Si morse un labbro, pensieroso.

Doveva essere pronto a dirle addio. Era una constatazione che al solo pensiero gli faceva mancare l'aria, ma non poteva essere più veritiera. Non sapeva quando poteva essere il momento migliore per confessarsi ma era sicuro che, una volta fatto quel passo, nulla sarebbe potuto essere come prima – né con Eve né, molto probabilmente, con gli altri fratelli.

Forse poteva prendere la scusa che si trovavano a Narnia ed andarsene verso altre terre...

Dei fruscii improvvisi provenienti dal bosco lo misero all'erta. Si tirò in piedi, riconoscendo in quei suoni il movimento di chi avanza per la foresta, cercando di scorgerne la fonte e mettendo mano all'elsa della spada. Concentrò la sua attenzione in un punto imprecisato davanti a lui, strizzando gli occhi ma anche così non riuscì a vedere nulla se non un movimento di fogliame.

Una ventata lo raggiunse da dietro, facendogli rabbrividire involontariamente la pelle. Si girò di scatto quasi di riflesso, estraendo la spada mentre si voltava, ma strabuzzò gli occhi non trovando nessuno davanti a sé.

Cosa... ?

-Edmund!-

La voce che lo chiamava lo costrinse a voltare il capo di lato. Il suo sguardo si posò sulla figura di Lia, appiattita a terra; notò Antares uscire dalla vegetazione dietro la lupa in quel momento portando qualcuno in groppa. Corrugò la fronte qualche secondo prima di riconoscere nella figura che stava sul cavallo Dhemetrya.

Rivedendola si rese conto del fatto che non l'aveva più incrociata alla casa di Aslan – e ne capì il motivo. La ragazza era visibilmente pallida, con gli occhi ancora arrossati da tutti i pianti che aveva fatto e l'espressione spenta e lontana, lo sguardo vacuo.

Guardava nella sua direzione, ma non sembrava vederlo davvero.


-Forse hai ragione, ma bisogna ricordare che siamo nati per questo-

Dhemetrya rimase qualche attimo in silenzio, soppesando nella mente le parole di Antares. La rabbia che aveva sentito nascere qualche secondo prima sembrava essere scemata via così come era comparsa.

Si sentì nuovamente svuotata di ogni emozione.

Sospirò pesantemente, facendo schioccare la lingua contro il palato senza un reale motivo.

-Devi calmarti, non ti è concesso farti trascinare così dalle emozioni-

Si torturò le mani alle parole della lupa, mentre addosso percepiva ancora l'odore acre del sangue come se le si fosse attaccato alla pelle in modo indelebile. Era disgustoso.

Esitò ancora vari attimi avvolta nel silenzio paziente della foresta millenaria che sembrava attendere l'esito di quell'incontro, prima di decidersi a farsi forza sulle gambe e scendere dal ramo.

Atterrò sull'erba felina e silenziosa come solo l'aria sapeva essere, concedendosi tutto il tempo che riteneva necessario prima per cercare la determinazione di alzare gli occhi stanchi e arrossati verso i due compagni.

Si domandò quanto tempo le sarebbe stato necessario quella volta per sentirsi nuovamente
pulita.


Edmund sentì il senso di colpa per le condizioni in cui stava attanagliargli le viscere e non si seppe spiegare il motivo. L'esito della battaglia doveva averla sconvolta parecchio...

Antares sbuffò un nitrito, avvicinandosi ai due e attirando l'attenzione del Pevensie. Ed non poté fare a meno di restare incantato dal passo cadenzato e dal manto lucido di quella creatura imponente. Evelyn aveva sempre buon gusto.

-Scusate... pensavo foste dei nemici- Si rese conto di avere ancora in mano la spada ed essere rimasto imbambolato, così si affrettò a metterla via, esibendo un sorriso imbarazzato.

-Non preoccuparti- si limitò a dire la lupa, occhieggiando Dhemetrya che si ostinava a stare in silenzio. Quasi la preferiva quando sorrideva a tutti senza motivo.

-Avete visto gli altri miei fratelli?- cercò di informarsi, per spezzare quel silenzio che si stava posando su di loro e rendendosi conto che aveva passato molto tempo in quel prato perso nei suoi pensieri.

-Tuo fratello e il Principe Caspian si sono inoltrarsi nel bosco- Edmund ebbe un tentennamento a quella parole, aprendo un paio di volte la bocca senza sapere cosa dire.

-Insieme?- si volle sincerare, alzando un sopracciglio scettico.

-Si, Sire- gli confermò Antares.

-Riusciresti a seguire le loro tracce?- domandò allora il Re, rivolto alla lupa, avvicinandosi maggiormente ai tre Narniani. Se quei due erano in giro insieme era curioso di capirne le motivazioni – non ci avrebbe mai creduto senza vederli con i propri occhi. Inoltre voleva essere sicuro che non stesse succedendo nulla e trovare conferma in Peter era la prima cosa che gli veniva da fare.

-Salite, faremo prima- disse Lia, dopo aver annuito, girandosi e porgendo la propria schiena ad Edmund. Il ragazzo ebbe un breve tentennamento, occhieggiando Antares con sopra Dhemetrya – si, sarebbe stato imbarazzante se si fossero ritrovati così vicini, e poi la ragazza non sembrava molto in sé in quel momento. Era decisamente meglio lasciarla cavalcare da sola.



***



-Cosa c'è?-

Edmund si sporse di lato per poter scrutare la lupa in volto – o quel poco che da dietro riusciva a scorgere – domandandosi il motivo per cui questa avesse arrestato la sua corsa bruscamente.

Scrutò il bosco attorno a loro credendo potesse aver percepito dei nemici con il suo udito animale, ma quando non vide nulla muoversi nella vegetazione riportò lo sguardo sulla lupa. Quella ancora non gli aveva risposto, osservando qualcosa che non riusciva a scorgere a terra.

-La riconosci?- Edmund si sporse leggermente, puntando lo sguardo sul terreno. I suoi occhi registrarono vicino alle zampe di Lia un pezzo di stoffa bianca che sicuramente niente centrava con la natura. La lupa fece in modo che il ragazzo potesse trovarsi quel fazzoletto più vicino per poterlo osservare meglio.
Ebbe un tuffo al cuore.

La stoffa per la fasciatura di Evelyn.

Lia sentì il corpo di Edmund tendersi come una corda. Come immaginava, aveva ragione. Il suo fiuto non sbagliava mai.

-E' la stoffa che ho usato per la fasciatura di Evelyn!- disse, sporgendosi dalla schiena della lupa per raccoglierla. Antares si era avvicinato, osservando l'oggetto del discorso.

-Credevo stessimo cercando Peter e Caspian-

I tre si voltarono verso Dhemetrya, sorpresi. Era la prima volta che parlava da quando si erano incontrati. La sua voce suonava un po' roca, ma i suoi occhi sembrarono aver ripreso un luccichio di vitalità.

Edmund si grattò la nuca, pensieroso, evitando di guardarla troppo negli occhi.

-Deve essere anche lei in giro per il bosco- azzardò, riponendo attorno alla cintura che aveva alla vita la fasciatura. Certe volte sua sorella era davvero un'irresponsabile!

Dhemetrya non replicò, scambiandosi però uno sguardo con Lia, che a sua volta guardò Antares, senza che Edmund ci fece caso. Il pensiero generale di tutti fu lo stesso.

-Allora dobbiamo trovarla.-














































































Ciao a tutti :)

Eccomi di ritorno in tempi relativamente brevi *O* Il prossimo capitolo è già pronto e ve lo porterò per metà agosto, prima di partire per le vacanze. Se riesco (a settembre tornerò a studiare), tengo volentieri l'aggiornamento una volta al mese nonostante *dovrebbero essere* una volta ogni due. Comunque...!

In questo capitolo vengono lanciate varie eschine. Rispetto al capitolo vecchio, qui c'è una buona parte riguardante i nuovi personaggi per dar loro un po' di meritato spazio: piano piano usciranno anche loro dal guscio e avranno modo di mostrare il loro carattere, i loro pensieri ecc. E poi Lucy... Lucy avrà capito qualcosa? Non resta che aspettare per sapere!

Per quanto riguarda la trama in sè, siamo all'incirca a metà. Mancano un paio di filoni per poi dirigersi verso l'arco narrativo finale. Ringrazio coloro che preferiscono, seguono e ricordano, coloro che leggono in silenzio e un ringraziamento particolare alle persone che tra i vari capitoli si sono fermate a lasciarmi una recensione. Se vorrete, ogni nuovo parere è ben accetto.

Alla prossima.
D. <3   


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Capitolo 26
*** La voce dietro il silenzio delle note. ***


Narnia's Spirits
La voce dietro il silenzio delle note.





-Evelyn!-

Peter aveva pronunciato il nome della sorella cercando di mantenere un tono di voce sicuro e deciso, mentre usciva allo scoperto seguito pochi passi dietro da Caspian. Non avrebbe mai ammesso la paura che stava provando per la sorte incerta della ragazza.

-Evelyn!- Provò di nuovo a chiamarla, con tutta la voce che aveva. Questa non diede il minimo segno di averlo sentito. Peter cercò di non fare caso alla sensazione di impotenza che iniziava a tormentarlo cercando di scacciarla in un angolino della sua mente: doveva rimanere lucido e ragionare.

Tra lui e Caspian, rimasto in silenzio poco dietro ad osservare teso la scena in attesa di sviluppi, e la Regina, si intromisero le due streghe. Sembrarono voler mettere ancora più distanza tra i ragazzi e la Pevensie, più di quanta già non ce ne fosse – soprattutto mentalmente.

Caspian notò come le due non camminavano a terra, rimanendo sospese nell'aria senza bisogno di toccare il terreno: era la conferma che erano creature magiche a conoscenza di incantesimi. Quella che teneva il flauto se lo tolse dalle labbra, ridacchiando, mentre l'altra emise un lungo fischio. I due ragazzi si dovettero tappare le orecchie per il fastidio di quel suono.

Persi nel cercare di proteggersi l'udito e chiudendo gli occhi come se quel gesto potesse aiutarli non si accorsero della decina di lupi che li avevano circondati fin quando non rialzarono lo sguardo davanti a loro.

Peter strinse le nocche dalla rabbia tanto che sbiancarono, mettendosi sulla difensiva, osservando le bestie ringhianti dritte negli occhi. Li stavano studiando, aspettando qualsiasi loro movimento per poterli attaccare. Il Re fece digrignare i denti.

Se quelle due volevano la guerra l'avrebbero avuta. Avrebbe riportato Evelyn alla casa di Aslan sana e salva, a qualsiasi costo.

Caspian gli si era avvicinato, imitandolo nei movimenti: senza che ci fosse bisogno di parole i due si ritrovarono schiena contro schiena per proteggersi le spalle a vicenda.

-Io mi occupo di loro, tu vai da Eve- gli sussurrò Peter, nel suo tono imperioso. Era teso, pronto a scattare al minimo segno di attacco da parte degli animali, ma nonostante ciò il tono di voce era rimasto quasi immobile mentre parlava. Qualsiasi mossa azzardata avrebbe dato vita a quello scontro.

-Che ne dici di fare il contrario?- gli domandò Caspian, osservando un paio di lupi provare ad avanzare per restringere il cerchio in cui li avevano chiusi.

Sapeva che Peter era bravo con la spada e nell'arte del combattimento, ma li da solo rischiava seriamente di lasciarci le penne. Perdere uno degli antichi sovrani era una cosa che non poteva essere contemplata, non con la guerra che stavano per affrontare. Se doveva sacrificarsi qualcuno, lui era la persona più adatta.

-Sono troppi da trattenere per una sola persona- constatò Peter. Sentì dietro di sé il Principe annuire. Non c'era altro modo se non fare gioco di squadra. Eppure... eppure voleva che qualcuno arrivasse il prima possibile da Evelyn. Anche a costo di doverci rimettere la vita per far prendere tempo a Caspian.

Improvvisamente i lupi attaccarono, stanchi di quella situazione di stallo, e i due ragazzi si buttarono a terra rotolando di lato per evitarli. Poi iniziarono a difendersi come meglio potevano, facendo volteggiare le spade davanti a loro per cercare di colpire il numero maggiore di avversari. Bastava prendere i lupi alle zampe o alla testa e probabilmente i più deboli se ne sarebbero andati per istinto di sopravvivenza.

Mentre combattevano cercando di evitare gli attacchi degli animali i due si ritrovarono spinti verso il confino con il bosco, allontanandosi sempre di più dalla Pevensie, ancora ferma a pochi metri dal burrone.

-Vogliono tenerci lontani!- gridò Peter, rendendosi conto che i lupi non li attaccavano solo per ucciderli ma anche per farli indietreggiare dalle due Streghe.

I suoi occhi cercarono la figura di Caspian per capire dove fosse finito ma, per evitare un lupo che aveva provato ad azzannargli un braccio, inciampò e andò a sbattere la schiena contro il tronco di un albero. Per qualche secondo che gli sembrò infinito gli mancò il fiato e usò la spada per reggersi in piedi.

Osservò con rabbia i due lupi che gli ringhiavano contro minacciosi, le zanne bianche e affilate che risaltavano sul manto grigiastro.

Gli arrivò l'odore inconfondibile del sangue e temendo che il Principe potesse essere stato ferito cercò nuovamente la sua figura: lo vide alle prese con tre lupi, ma a parte qualche graffio sulla casacca sembrava stare bene. In qualche modo si sentì sollevato, voleva dire che il sangue che stava inacidendo l'aria era solo dei lupi che avevano ucciso o ferito.

Schivò l'attacco di uno che finì in mezzo ai cespugli e si preparò a colpire l'altro, riuscendo a ferirlo ad una zampa. L'animale ululò un lamento per poi rialzarsi sulle zampe sane ed attaccandolo di nuovo. Questa volta per il Pevensie fu meno difficile schivare l'attacco e colpirlo a sua volta, uccidendolo.

Peter si passò un braccio sulla fronte bagnata per togliersi il sudore in eccesso e osservò verso il burrone. Eve era ancora in quel punto e le due seguaci osservavano la lotta dei due ragazzi con un ghigno soddisfatto, come se sapessero di avere già vinto.

Il biondo sentì l'irritazione invaderlo per il modo in cui si prendevano gioco di loro. Le odiò per il modo in cui lo stavano sottovalutando.

-Peter, attento!-

Improvvisamente sentì un dolore al braccio e gridò, ricordandosi dell'altro lupo che era ancora in vita e che aveva approfittato della sua disattenzione per attaccarlo nuovamente. Percepì i canini affondargli nella carne come tanti spilli e il sangue fuoriuscire copioso, e per il dolore mollò la presa sull'elsa della spada.

Pensò seriamente che gli avrebbe staccato il braccio a morsi.

Con l'altra mano tirò un pugno alla testa del lupo, che però ringhiò maggiormente senza mollare la presa. Il ragazzo gridò ancora, mordendosi un labbro. Era insopportabile.

-Peter!-

Il ragazzo sgranò gli occhi, cercando di riprendere lucidità sentendo Caspian che lo chiamava con ansia: si chinò a terra e afferrò un sasso, colpendo nuovamente la testa dell'animale. Questo guaì e lasciò la presa, allontanandosi di qualche passo per quel dolore improvviso. Peter lo guardò con aria di sfida con ancora la mano a mezz'aria, cercando di ignorare il dolore che sentiva.

Il lupo lo osservò ancora qualche secondo, aveva del sangue che gli colava lungo il muso, poi voltò le spalle e se ne andò nel fitto della foresta.

-Eve!- provò a chiamare nuovamente, nonostante fosse lontano. Perché non lo sentiva? In quel momento, con la testa spaesata e la confusione della lotta, non riusciva a spiegarsi il motivo.

L'unica cosa che gli veniva in mente, come un campanello che suona l'allarme insistentemente, era che sua sorella fosse sotto qualche incantesimo. Non c'era altra spiegazione. Specialmente se di mezzo vi era veramente Jadis. Ma la Strega di ghiaccio era morta... giusto?

Peter sentì le corde dell'incertezza vibrare dentro di lui. Il dolore al braccio lo riportò alla realtà, e si voltò in cerca di Caspian, scuotendo la testa per cercare di togliersi dalla mente quelle macchinazioni.

Scorse a vari metri da lui il principe messo all'angolo dai tre lupi, la fronte imperlata di sudore e la casacca sempre più a brandelli. Aveva anche un taglio sulla guancia e respirava affannosamente.

Non ci pensò su troppo e per istinto corse verso di lui per aiutarlo, lanciando delle rapide occhiate ad Evelyn e sperando rimanesse ferma nel punto in cui era. Si bloccò di colpo strabuzzando gli occhi quando la vide compiere un paio di passi: un movimento indeciso e tentennante, come quando si è in una stanza buia e ci si muove piano per non rischiare di andare contro qualcosa. Nel frattempo, i lupi stavano stringendo il semicerchio contro il Principe per non lasciargli via di fuga.

Qualcosa dentro Peter urlò di indecisione di fronte a quella scena.

Avrebbe dovuto scegliere.

L'istinto gli diceva di correre da Evelyn, mentre la ragione ed il suo senso dell'onore prevalevano nello spingerlo per aiutare per primo Caspian. Il ragazzo si sentì impotente nel non poter andare da entrambi nello stesso momento.

-Io me la cavo! Pensa a Evelyn!- Il moro menò un fendente in avanti, per far allontanare gli animali da sé e prendere tempo. Peter intercettò il suo sguardo determinato e lo vide annuirgli, indicandogli con un cenno della testa di andare dalla Pevensie. Il Re gli sorrise brevemente, ringraziandolo con uno sguardo per aver capito il motivo della sua indecisione.

Forse Caspian non era poi così male...

Vide il Principe sempre più vicino ad affrontare i tre lupi, ed il suo corpo si mosse da solo: corse verso di lui per andare in suo soccorso, menando la spada per allontanare gli animali che balzarono di lato per evitare di essere colpiti ed arrivandogli, così, accanto. Caspian sembrò bloccarsi qualche attimo a quel gesto.

-Vedo che anche questa volta non hai ascoltato i consigli- gli disse, ironico, rivolgendogli però un'occhiata di ringraziamento. Il Pevensie si limitò a storcere il naso prima di rispondere, reggendo quello scambio di battute.

-Sono Re Peter, non prendo ordini da nessuno- disse, alzando il mento altezzoso e senza guardarlo. Lanciò poi un'occhiata alla sorella e Caspian seguì il suo sguardo, tendendo i muscoli, notando come le due streghe, nonostante il branco di lupi fosse stato quasi del tutto ferito o ucciso, sorridevano guardandoli.

Il Principe digrignò i denti. Non avevano altro tempo da perdere.

Affilò lo sguardo, per nulla intenzionato a perdere, mentre un vago senso di orgoglio e rabbia interiore iniziava ad invaderlo. Non poteva permettere che succedesse qualcosa ad Evelyn o perfino a Peter. Narnia aveva bisogno di loro, in quel momento più che mai. Non avevano tempo per stare ai giochetti di... di?

Corrugò le sopracciglia, non capendo. Chi erano quelle due? E cosa volevano? Dubitava che fossero state assoldate da suo zio per far fuori i vecchi sovrani. Piuttosto che rivolgersi ai Narniani si sarebbe impiccato, probabilmente.

Un basso ringhio proveniente vicino a lui gli fece riportare l'attenzione ai tre lupi strappandolo dalle proprie domande. Mentre era distratto li avevano circondati di nuovo. Ma Caspian non si fece intimidire, reggendo più saldamente la spada: era sicuro che con l'aiuto di Peter la lotta sarebbe stata breve e ne sarebbero usciti vincitori.

Lanciò un'occhiata al ragazzo: la casacca sul suo braccio era zuppa di sangue. Aveva bisogno al più presto di cure mediche.

I due ragazzi iniziarono ad affrontare i tre animali, cercando di evitare i loro attacchi per non essere feriti. In una manciata di minuti, come aveva pensato il moro, avevano vinto. Due lupi giacevano morti al suolo, il terzo era scappato ululando al vento con una zampa ferita.

I due si scambiarono uno sguardo d'intesa, per poi mettersi a correre in direzione del burrone per raggiungere Evelyn. Davanti a loro però si materializzarono le due donne, e furono costretti ad arrestarsi di colpo per non arrivar loro troppo vicino. Entrambi si domandarono come avessero fatto a muoversi così velocemente.

Le due li scrutavano con un luccichio di soddisfazione nello sguardo, ghignanti. Peter sotto quegli sguardi di scherno tremò visibilmente di rabbia e si morse un labbro, impaziente.

Si scagliò contro la prima che l'aveva fermato e tentò di colpirla, ma questa schivò l'attacco facilmente, scartandolo di lato e andando indietro qualche metro. Caspian rimase attonito nel vedere la facilità con cui la donna si era mossa senza mutare espressione e per nulla impressionata dal colpo, come se fosse sospinta nei suoi movimenti dall'aria.

-Bel colpo, Re Peter. Ma inutile- mormorò poi, ghignando divertita e mettendosi una mano sul fianco. La seconda emise un risolino. Li stavano sottovalutando e si stavano divertendo a giocare con loro.

-Cosa avete fatto ad Evelyn?!- sbottò rabbioso il Re, cercando di ignorare la provocazione. -Lasciatela andare!-.

-Che maniere sgarbate- La seconda assunse un tono fintamente offeso e gli lanciò un'occhiata indignata, avvicinandosi all'amica che stava scuotendo la testa in segno di sconsolazione e reggendo il flauto tra le mani.

-Che cosa volete da lei?- prese parola Caspian, lanciando un'occhiata alla Pevensie e cercando di mantenere un tono tranquillo. Quelle due si divertivano a vedere le reazioni di Peter, agitato come un topo in gabbia. Le due posarono gli occhi dorati su di lui come se lo vedessero per la prima volta, e sbatterono le palpebre, fintamente perplesse.

-E' un pericolo- iniziò la prima, come se dicesse l'ovvio. Peter strinse un pugno tanto che le nocche gli diventarono bianche, Caspian gli lanciò un'occhiata, non capendo quelle parole.

-Anzi, è un pericolo per la nostra Regina- specificò la seconda. La prima le lanciò uno sguardo di rimprovero per quella rivelazione, tirandole un leggero schiaffo sulla guancia. Per quanto erano sicure che gli avrebbero uccisi, meno cose rivelavano meglio era.

Caspian si domandò in che modo potesse una ragazza essere un pericolo e di quale regina parlavano. Non conosceva altri sovrani che Narnia avesse avuto oltre loro – o oltre i Telmarini che volevano conquistarla.

-Ora basta- disse tagliente Peter, alzando lo sguardo e posandolo sulle due, duro. Era stanco di quei discorsi senza senso. Tanto gli bastava sapere che volevano fare del male ad Evelyn per volerle uccidere. Del resto non gli importava. Chiunque si sarebbe messo contro di lui e la sua famiglia l'avrebbe sconfitto.

-E' ora di finirla- ordinò, stringendo maggiormente l'elsa della spada e scattando in avanti. Il Principe gli fu subito dietro. Entrambi erano stanchi per la lotta contro i lupi, i loro colpi erano spesso imprecisi e a volte sembravano muoversi a casaccio.

Le due avversarie si limitavano a evitare i colpi e i due si domandarono se non fosse un modo per farli stancare facendogli perdere tempo. All'ennesima serie di attacchi andati a vuoto, Peter si bloccò di colpo, mentre anche Caspian si fermava e tentava di riprendersi, cercando di regolare la respirazione.

Lanciò un'occhiata davanti a sé: le due non sembravano volerli attaccare ma era meglio non abbassare la guardia. Si avvicinò a Peter di qualche passo.

-Vai da tua sorella, io le tengo occupate- gli sussurrò. Il ragazzo rimase in silenzio qualche attimo.

-No. Vai tu. Voglio combatterle io- gli disse, sorprendendolo. Era sicuro che la cosa che più volesse in quel momento fosse raggiungere la ragazza e non perdere tempo con quelle due.

Caspian alzò gli occhi scuri su di lui, vedendo Peter osservare attentamente Eve. Gli mise una mano sulla spalla senza ribattere. Iniziò a correre in direzione di Evelyn ma una delle due gli sbarrò la strada.

Fu Peter ad intervenire, menando un fendente verso di lei per allontanarlo dal Principe e lasciandogli così la strada libera. Le due sorrisero tornando vicine, lasciando trapelare una calma innaturale e seguendo con lo sguardo Caspian che si avvicinava ad Evelyn.

-Abbiamo tempo per occuparci sia di te che del Principino- disse la prima, alzando il mento altezzosa e sfoggiando un sorriso. Nelle sue mani si materializzarono due pugnali.

-E vorrà dire che tu sarai il primo ad avere l'onore di morire- mormorò la seconda, estraendo da dietro la schiena una katana. La sua voce suonò innaturalmente fredda e Peter dovette reprimere un brivido.

-Lo vedremo- le sfidò, facendo roteare la spada. Ringraziò che il lupo non gli avesse morso il braccio con cui maneggiava Rhindon. Caspian si voltò velocemente indietro, vedendo Peter iniziare a duellare di nuovo contro quelle due. Non aveva tempo da perdere.

Doveva sbrigarsi.


Si fece forza, intimando alle proprie gambe di aumentare il passo, raggiungendo Evelyn. Nel momento in cui le fu vicino quella accennò ad un altro passo e Caspian le si mise di fronte per cercare di non farla avanzare. Alzò lo sguardo sul suo viso e il respiro gli si mozzò in gola.

I suoi occhi.
..

Il Principe si sentì incerto.

Gli occhi di Evelyn...

Vacui, persi, spenti e soprattutto... lucidi. Lucidi di lacrime, straboccanti come i fiumi in piena dopo giorni di pioggia. Evelyn stava piangendo.

-Eve...- provò a chiamarla, ingoiando il groppo che sentiva in gola e mettendole le mani sulle spalle per scuoterla leggermente. Quella non rispose, ma in risposta sgranò gli occhi come se l'avesse sentito facendo in quel modo trasbordare le lacrime, che le rigarono le guance arrossate.

-Evelyn- riprovò Caspian, più deciso rispetto a prima. -Devi svegliarti- cercò di spronarla. Le labbra della Pevensie si mossero ma non ne uscì alcun suono.

-Cosa hai detto?- provò a chiederle, abbassandosi per cercare di guardarla negli occhi. Le pupille gli facevano impressione, erano dilatate in modo innaturale, come quando ai malati si dava qualche erba per non fargli sentire il dolore.

-...N-nar-nia- la sentì mormorare. La sua voce risuonò roca, come se a parlare facesse uno sforzo immenso. Caspian si domandò se si stesse rivolgendo a lui o fosse persa nell'oblio creato da quelle due.

-V-Voglio and-andare… a N-Narnia- soffiò in un sussurro. Qualche altra lacrima le rigò il viso. Il Principe si sentì impotente di fronte all'evidente sofferenza dell'amica ed inarcò un sopracciglio, non capendo il senso delle sue parole.

-Sei già a Narnia- le disse, convinto.

-Non vedi?- domandò, indicandole con un gesto del braccio l'ambiente intorno a loro. Quella sembrò guardare quasi seriamente il punto indicato dal Principe, ma gli occhi erano sempre vacui e persi nel vuoto.

-La vera Narnia- sibilò la ragazza, stringendo le labbra per la rabbia. Il Principe sentì i muscoli della spalla di Evelyn sotto il suo tocco tendersi per l'irritazione e la tensione. Caspian parve intuire qualcosa.

-E dov'è la vera Narnia, Eve?- le domandò, abbassandosi nuovamente per poterla guardare in viso e parlandole come se fosse una bambina con cui è richiesta una immensa pazienza. La Pevensie alzò un braccio, indicando un punto indefinito di fronte a sé al di la del burrone.

-Laggiù-

Prima che potesse girarsi al Principe arrivò alle orecchie il clangore del metallo che cozza contro altro metallo, e si sporse oltre Evelyn per soppesare la situazione e vedere come fosse messo Peter.

Il Pevensie era tenuto lontano da loro due, tuttavia non sembrava cavarsela male: combatteva soprattutto contro quella che impugnava i due pugnali, mentre l'altra si limitava a tagliargli la strada quando cercava di avanzare. Le due sembravano prese così tanto da Peter che il Principe ebbe l'impressione che si fossero dimenticate di lui.

Forse non lo ritenevano una minaccia così grande da poterlo considerare un pericolo per i loro piani. Probabilmente credevano che il legame tra i due fratelli fosse invece di una profondità tale da doverli tenere lontani ad ogni costo.

Caspian corrugò la fronte, leggermente risentito: era vero che non era da molto tempo che conosceva i Pevensie, eppure sentiva in qualche modo di essersi affezionato ad ognuno di loro. Riportò l'attenzione sulla ragazza di fronte a lui.

-Evelyn, svegliati- disse, deciso. Voleva ad ogni costo che quella si svegliasse da quello stato di torpore e soggiogamento in cui era caduta. La Pevensie fece un altro passo e Caspian si ritrovò a trasalire per quel gesto inaspettato, prendendola subito per le spalle in modo da bloccarla.

Lei però non si arrese e continuò a spingere per avanzare, rivelando una forza innaturale e che non le apparteneva decisamente.

-Caspian, non lasciarla andare!- gli gridò da lontano Peter, ansante, vedendo come si stava volgendo la situazione. Non era possibile che Evelyn riuscisse a fare indietreggiare Caspian, nemmeno con tutto l'impegno del mondo.

-Secondo te cosa sto facendo?- lo riprese quello, senza guardarlo e serrando le labbra. Aveva dovuto puntare i piedi a terra per bloccare la Pevensie.

Mentre Peter rimaneva impegnato a combattere contro le due avversarie che si stavano rivelando decisamente più astute e forti di come aveva immaginato, la mente di Caspian lavorava frenetica per pensare ad un modo che potesse svegliare l'antica regina.

-Eve!- gridò il biondo, da lontano, senza arrendersi nel chiamarla. Dovette abbassarsi per evitare un affondo e usare Rhindon per parare un attacco laterale che lo fece barcollare di qualche metro. Il ragazzo si ritrovò a dover riprendere fiato contro la corteccia di un albero.

-Sono stanca di te- sibilò la prima, affilando lo sguardo. Fece schioccare la lingua sul palato con arroganza, osservandolo da capo a piedi. Quel ragazzino le stava facendo perdere tempo e si era stancata di giocare.

-Metterò io la parola fine alla tua vita- sibilò, prendendo entrambi i pugnali e preparandosi a lanciarli da lontano. Prese la mira e si preparò a tirare mirando al petto e alla testa. Il Pevensie si vide spacciato. Provò a muoversi, ma sentì i muscoli intorpiditi e stremati, il corpo non gli obbediva più, il braccio gli faceva male terribilmente.

Sentì la fine inesorabilmente vicina e si odiò per non essere riuscito nel suo intento. La sua mente gridava, ma il suoi fisico non sembrava sentirla spronarlo. Chiuse gli occhi per istinto.

Scusami, Evelyn...

-Peter! Non arrenderti!- gridò Caspian da lontano, vedendo i pugnali sempre più pronti a fendere l'aria senza poter fare nulla. Il Pevensie avrebbe voluto ribattere a quelle parole, rinfacciandogli che lui non si era mai fatto battere e mai si era arreso, ma era troppo stanco anche per quello.

Vide le persone più preziose della sua vita comparirgli davanti agli occhi e sentì un colpo al cuore consapevole di starli deludendo. Non avrebbe mai più rivisto i suoi fratelli, la sua famiglia...

Improvvisamente sentì una corrente d'aria e un peso lo spinse di lato senza grazia, facendolo cadere a terra di qualche metro. Il ragazzo trattenne un gemito di dolore per lo scontro con il terriccio e aprì gli occhi, sconvolto. Ci mise qualche attimo a capire in che direzione dovesse guardare.

-Ciao Peter-

Il Pevensie sbatté le palpebre, sorpreso della scena che si trovava davanti: Edmund gli sorrideva complice, tendendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi; alle sue spalle Lia si era frapposta tra i due ragazzi e le due streghe e le fissava, ringhiando sommessamente. Le due seguaci sembravano sorprese quanto lui di quell'improvviso cambio di eventi e si scambiarono un'occhiata.

Il biondo sorrise al fratello, alzandosi con il suo aiuto e cercando di fare mente locale. Il suo sguardo corse alle spalle delle due donne, per poi fissarsi su Evelyn, circondata oltre che Caspian anche da Antares e Dhemetrya. Il Pevensie non si fece domande in quel momento su tutte quelle presenze che li avevano raggiunti insieme, sentendosi solo immensamente sollevato per il loro intervento.

Soprattutto, doveva a suo fratello la sua vita.

Lia, Edmund e Peter, con in mano le loro spade, iniziarono ad avanzare verso le due con sguardo di sfida, che nel frattempo retrocedevano, incerte. Potevano chiamare altri lupi ma... la prima digrignò i denti, ritrovandosi disarmata.

-Eve?- sussurrò Edmund, lanciando uno sguardo sulla sorella girata di spalle. Non capiva come potessero essere finiti in quella situazione. Pensava che i pericoli per loro provenissero solo dalla gente di Telmar o dagli animali selvatici.

-Non si sveglia- ringhiò Peter fuori dai denti, strizzando gli occhi per il dolore al braccio che con la caduta si era fatto più acuto. Strinse l'elsa della spada per scaricare la tensione.

Edmund guardò preoccupato in direzione di Evelyn ancora una volta pregando che gli altri trovassero un modo per rompere quella sorta di maleficio, per poi avanzare insieme al fratello verso quelle due per attaccarle. Prima le toglievano di mezzo prima potevano salvare la sorella.

Lia, invece, era rimasta immobile qualche passo dietro i ragazzi. Aveva le orecchie tese e percepiva una strana sensazione di inquietudine scuoterle l'animo. Si sentiva tutta irrigidita. Sentiva come se le stesse sfuggendo qualcosa da sotto il naso.

Cercò di concentrarsi maggiormente, ordinando i pensieri e sgomberando la mente. Attorno a lei presto ci fu solo silenzio. E si mise in ascolto.

-Antares!-

Caspian osservò il destriero raggiungere lui e la Pevensie mentre Peter veniva salvato da Edmund. Tirò un sospiro di sollievo e riportò la sua attenzione sulla mora ramata. Da parte a lui si mise Dhemetrya e il Principe si limitò a lanciarle delle brevi occhiate, cercando di non fare caso in quel momento al suo aspetto trasandato.

La ragazza osservò la Pevensie con sguardo pensieroso, poi lanciò un'occhiata a Lia, ferma immobile. Perché perdeva tempo invece di aiutarli? Sospirò, scuotendo la testa, riportando la concentrazione su Evelyn. Era già abbastanza stanca, ci mancavano solo dei Narniani ribelli di cui doversi preoccupare.

Dhemetrya si domandò da dove quelle due streghe avessero potuto attingere alla magia che sicuramente c'era dietro allo stato di trance in cui si trovava la regina. Perfino lei faticava a percepirla e la doveva usare con il contagocce. Non c'era da sprecarla con giochetti strani.

-Sapresti come svegliarla?- le domandò ansioso il ragazzo, vedendola pensierosa e sperando che da Narniana fosse a conoscenza di qualche soluzione. Dhemetrya scosse la testa, spezzando le sue speranze appena nate.

-No, purtroppo no. Forse Lia...- sussurrò atona, lanciando un'occhiata ad Antares ed accennando con la testa alla lupa ancora ferma nello stesso punto di prima.

Caspian si domandò cosa potesse saperne un animale rispetto ad una persona, ma non osò parlare per non offendere: dopotutto Aslan era un leone... e non era tempo di fare pensieri simili.

-Dobbiamo evitare che avanzi verso il burrone- constatò Antares, trattenendo Eve per un lembo della manica quando la vide tentare di muoversi. Il Narniano si sentì impotente per non potere fare di più.

-Eve!- Edmund gridò il nome della sorella, mentre evitava un affondo della sua avversaria. Si allontanò di qualche passo per poter recuperare il fiato.

In cuor suo, sperò che almeno la sua voce, nel ricordo di quel legame tanto stretto che li univa da sempre, potesse rompere l'incantesimo e farla reagire. In cuor suo, forse, sperò egoisticamente di poter essere l'unico a poterla salvare.

-Evelyn! Svegliati!- le gridò, dando momentaneamente le spalle alla seguace. Ci pensò Peter a coprirgli le spalle e il fratello gliene fu grato.

Edmund la vide sussultare e sorrise, sentendo il suo petto riempirsi di uno strano calore. L'ansia che gli attanagliava lo stomaco sembrò iniziare a dissolversi sotto la certezza che non era tutto perduto.

Tornò a concentrarsi sul suo duello, sicuro di aver ottenuto qualche risultato come sperava.



***



La ragazza si sentì sbatter le palpebre, anche se ad occhio esterno non ci fu nessun movimento sul suo corpo. Si sentiva spaesata e confusa, aveva fastidio alle orecchie e per quanto riuscisse a vedere il proprio corpo, non ne percepiva del tutto la presenza.

Davanti a lei continuavano a sovrapporsi immagini diverse, immagini che le si concretizzavano davanti agli occhi come se le stesse sognando. Immagini tutte con lo stesso soggetto: Narnia.

Eve trattenne il fiato, non capendo, sentendo il peso dei ricordi affondarle nel cuore come pugnali. Più vedeva quei paesaggi attorno a sé più sentiva di stare sprofondando in un baratro. Sentì gli occhi pizzicare. Aveva voglia di piangere.

-Eve!-

Chi mi chiama?


-Evelyn! Svegliati!-

Chi sei? Ti conosco…


La Pevensie si sentì sussultare. Qualche parte sperduta della sua mente le portò la soluzione ai suoi quesiti. Era la voce di Peter.

“Peter! Dove sei? Peter, aiutami!” Evelyn si portò una mano alla bocca, sconvolta, sentendo le lacrime rigarle le guance. Era sicura di aver urlato quelle frasi, ma si rese conto di non essere riuscita a produrre alcun suono. Sentì lo sconforto penetrarle nel cuore e la paura di essere isolata da tutti strisciarle addosso.

Aveva paura. Paura di rimanere per sempre in quello stato che, era sicura, non era la realtà. Come a volerle dare conforto, davanti a lei si materializzò un armadio.

L'armadio guardaroba.


Evelyn si sentì trattenere il fiato come quando ci si era ritrovata davanti da ragazzina.

Doveva ritornare a Narnia.


La Pevensie scorse all'interno di esso, tra i giubbotti di pelliccia e le ante aperte, quell'inconfondibile paesaggio imbiancato che aveva impresso nel cuore delle sue memorie. Si sentì sorridere, sollevata, iniziando ad avanzare verso l'entrata.

Narnia.

-Eve! Devi svegliarti-

La Pevensie sgranò gli occhi, bloccando il suo cammino verso l'entrata dell'armadio che, fece caso, sembrava più lontana del previsto. Si osservò attorno, non scorgendo nulla di strano nella stanza in cui si trovava. Eppure era sicura di aver sentito... Caspian?

-Dove vuoi andare?-

Sentì di nuovo quella voce, e ne fu sicura. Era Caspian. Le stava parlando da qualche parte.

-A Narnia-

Evelyn storse il naso, riconoscendo la sua voce risuonare roca in quella confessione che non aveva fatto. Se lei era li, e non stava parlando... chi aveva risposto al posto suo?

-Tu sei a Narnia. Non vedi?-

“lo so che sono a Narnia, cosa credi?” Avrebbe voluto rispondergli.

-Laggiù-

Sentì il suo braccio muoversi per indicare qualcosa senza che lei ordinasse niente, e ancora qualcuno che parlava per lei. Si paralizzò sul posto, vedendo il braccio alzarsi a mezz'aria. Si sentì improvvisamente confusa e diretta maggiormente verso l'armadio. Era come se la chiamasse inesorabilmente e lei non vi si potesse opporre.  

Era arrivata ormai di fronte alle ante aperte, poteva sentire il freddo pungente solleticarle le guance accaldate. Allungò una mano all'interno per farsi spazio.

-Eve!-

Si bloccò di colpo, mentre il cuore perdeva un battito. Quella voce…

-Evelyn! Svegliati!-

Sgranò gli occhi, sentendo il fiato farsi più pesante e uno sfarfallio nello stomaco. Sussultò leggermente, sentendosi vagamente in colpa per star facendo quel gesto da sola.

Edmund.

Mosse la testa avanti e indietro, per cercare di capire da dove provenisse la voce del fratello, realizzando che né lui né i fratelli si trovavano all'interno dell'armadio e facendo qualche passo indietro.

Edmund...



***



Lia aprì di scatto gli occhi, realizzando come stavano le cose e strappandosi bruscamente dalla bolla di silenzio in cui si era chiusa. I suoi occhi azzurri dardeggiarono per quella radura cercando di individuare la fonte della magia.

Musica silenziosa.

Ci aveva messo un po' a capirlo, e solo con una grande quantità di concentrazione era riuscita a capire cosa le stesse suggerendo il proprio istinto, ma alla fine, aiutata dal suo udito fine, ci era arrivata. Se stava bene attenta, poteva scrogere i residui di magia avvolgere la Pevensie e arrivare fino a...

-Il flauto!- I due fratelli Pevensie si voltarono nella sua direzione, non capendo.

-Il flauto?- domandò Peter, scettico. Osservò l'oggetto nelle mani della strega, che nel frattempo aveva passato la sua katana alla compagna.

-Ma non lo sta nemmeno suonando!- le fece notare, ovvio. Lia evitò di fare caso allo scetticismo del ragazzo nei suoi confronti per non sentirsi offesa.

-È incantato- si limitò a dire, iniziando ad avvicinarsi alla seconda. Questa indietreggiò, reggendo saldamente l'oggetto di legno intarsiato, mettendosi dietro la prima per proteggersi.

Peter ingaggiò l'ennesimo duello in poco tempo, decidendo di credere alla lupa: questa volta era lui che aveva l'obbiettivo di dividerle, in modo che Edmund e Lia potessero prendere il flauto. Ormai erano vicini alla soluzione, non si sarebbe arreso alla stanchezza e al dolore.

La strega che reggeva l'oggetto magico indietreggiò, guardando con occhi sgranati la compagnia combattere. Era così presa dal suo scontro che non si accorse di Edmund, arrivatole di spalle, che le diede un colpo alla schiena con l'elsa della spada.

La donna cadde a terra in ginocchio, il flauto le scivolò dalle mani rotolando tra l'erba ed i sassi a qualche metro di distanza. Provò a raggiungerlo a tentoni, graffiandosi le mani e le ginocchia scoperte, ma Lia le bloccò la strada, posandole una zampa sulla schiena e ringhiandole, minacciosa.

-Antares!- gridò Edmund. Il cavallo, che aveva osservato lo svolgersi della scena, intuì subito cosa volesse dirgli il Pevensie e galoppò verso l'oggetto. Lo osservò qualche attimo, pensieroso, poi alzò una zampa. Qualche secondo dopo il flauto fu sbriciolato sotto il suo peso.

I presenti si sentirono sollevati e fu come se l'aria attorno a tutti loro si fosse fatta più leggera, la foresta meno tetra. Le due streghe sgranarono gli occhi, spaventate, e lanciarono urli di disperazione. Quella che stava sotto Lia sgusciò fuori dalla sua presa, ignorando i graffi che le rimasero sulla schiena.

Corsero verso ciò che restava dell'oggetto magico, come dimentiche degli avversari. Sembravano quasi sull'orlo delle lacrime, si mettevano le mani nei capelli incredule e tremavano visibilmente di rabbia, mentre senza successo cercavano di capire se ci fosse qualcosa da poter fare. Da ciò che rimaneva dell'oggetto provenne un suono stridulo, che poi si perse nel vento flebilmente.

Le due rimasero immobili qualche minuto e attorno a tutti i presenti calò un silenzio pesante. Quella stasi sembrava la calma prima della tempesta.

Caspian serrò le labbra, irrigidendosi, Lia tese le orecchie e Antares scosse lievemente la testa. Le due si alzarono quasi in contemporanea, stringendo i pugni. Le loro unghie poi iniziarono ad allungarsi, andando sempre più ad assomigliare a degli artigli: Dhemetrya alzò un sopracciglio scettica, il ragazzo da parte a lei invece rimase interdetto di fronte a tale mutazione.

Cosa diavolo erano quelle due?


Era la prima volta che assisteva ad una scena simile. Una volta in piedi rivelarono i lineamenti delicati dei loro visi distorti dalla rabbia, puntando i loro sguardi rabbiosi sui tre ancora fermi davanti burrone.

Caspian e Dhem si sentirono congelare sul posto e automaticamente assunsero una posizione di difesa, percependo il pericolo che sprigionavano quelle due figure.

Se il flauto si era rotto era probabile che volessero porre fine al loro piano con le loro mani. Quindi Evelyn, ancora in stato di trance, era quella più indifesa.

Nessuno fece in tempo però a fare nulla, perché dietro le due seguaci si posizionarono Peter ed Edmund. Le due fecero per girarsi sentendo le loro presenze alle spalle, pronte ad attaccarli, ma non appena si voltarono incrociando lo sguardo dei due ragazzi furono trafitte dalle loro spade.

La prima si guardò il ventre, non capendo cosa fosse successo e vedendo lo scarlatto del sangue iniziare a macchiarle l'abito. Riportò lo sguardo su Edmund, di fronte a lei, sbattendo le palpebre sorpresa.

-Male...det-tti- sussurrò, portandosi una mano alla ferita imbrattandola di rosso. Iniziava a percepire il dolore. Il sangue sgorgava, segnando inesorabilmente la sua fine. Aveva fallito.

-La pagherete- sputò fuori la seconda, tossendo della saliva mischiata a sangue.

-La... nostra R-regina non sarà... c-conten...ta- sibilò, con le ultime forze che le rimanevano. Si accasciarono al suolo, e i due Pevensie si avvicinarono, sperando fossero ancora vive per potergli fare delle domande. Dovevano assolutamente saperne di più, saper chi le mandava ad attentare alle loro vite.

Appena si accostarono a loro, i corpi delle due streghe iniziarono a emanare un calore innaturale, come se stessero ardendo. Peter si mise davanti ad Edmund con fare protettivo e lo obbligò a fare qualche passo indietro. Sotto gli occhi increduli di tutti, i due corpi si trasformarono in cenere.

Il biondo tirò un pugno contro la corteccia di un albero, amareggiato, Edmund si morse un labbro. Erano stati imprudenti ad ucciderle entrambe. Non avrebbero più avuto modo di ricavare informazioni.
 

Edmund!

Evelyn sentì un profondo sibilo arrivarle alle orecchie. Fu costretta a portarsi le mani alla testa per cercare di contenere il dolore e si rannicchiò su se stessa. Le girava la testa e aveva un senso di nausea. Vedeva tutto scuro e sfocato. Dove si trovava?

L'immagine diventata ormai offuscata davanti a lei scomparve e si ritrovò avvolta da un profondo buio. Tremò di paura e sentì che stava piangendo.

-Evelyn?-

La ragazza ci mise qualche attimo a decidere che la voce che aveva sentito chiamarla fosse reale. Aveva paura di ritrovarsi in un'altra illusione. Iniziò a percepire nuovamente il suo corpo e una presa salda sulle sue spalle.

-Eve?-

Aprì gli occhi, lentamente, cercando di regolare il respiro agitato. La luce improvvisa dell'ambiente esterno la costrinse a chiuderli e sbattere le palpebre un paio di volte per abituarsi. Si sentiva la testa pesante e confusa.

Cos'era successo?

Si ritrovò rispecchiata nello sguardo preoccupato di Caspian.

-Come stai?- le domandò il ragazzo, scrutandola. Le passò una mano sulla guancia per toglierle i residui di lacrime che le rigavano il viso e la Pevensie rimase immobile sotto il suo tocco premuroso. Le ricordò quello di Peter.

-Bene... credo- mormorò, portandosi una mano alle guance. Si sentiva accaldata – forse aveva un po' di febbre. Notò accanto a lei Dhemetrya, che la osservava in silenzio con le braccia incrociate da parte ad Antares. Vedendo il suo viso stanco le venne spontaneo aprire la bocca per parlarle, ma venne bloccata.

-Evelyn! Evelyn!- Voltandosi a quei richiami, vide Peter ed Edmund correre verso di lei. I suoi fratelli avevano il viso pallido e sudato, lo sguardo quasi allucinato. Dovevano essersi spaventati molto... La ragazza si sentì in colpa per la situazione che si era creata a causa sua, anche se non capiva bene come si fosse svolto il tutto.

Ma vedere Edmund la fece sentire sollevata. Non era stato un caso se la voce che aveva sentito chiamarla fosse proprio la sua, probabilmente.

-Eve! Come stai?- La voce preoccupata e ansiosa di Peter le penetrò nella testa più alta di quanto non fosse in realtà, provocandole un brivido di fastidio. Si portò la mano alle orecchie.

-Mi gira la testa e ho la nausea. Peter, potresti abbassare la voce?- disse, strizzando gli occhi. Si ritrovò ad essere aggrappata al braccio di Caspian per sostenersi.

-Cosa è successo?- domandò, scrutando i volti di tutti. Notò che c'era anche Lia e fece uno sforzo per sorriderle.

-Ora non ha importanza- decise Edmund, vedendola più pallida del solito e con gli occhi ancora lucidi. La sua unica preoccupazione era che sua sorella potesse riposare il prima possibile.

Il fratello maggiore annuì, lanciandogli un'occhiata di assenso e soppesando poi tutti i presenti. Si fermò poi a fissare la Scaltra.

-Evelyn, monta su Antares. Torniamo alla casa di Aslan.-



***



Lucy stava sdraiata sull'erba, godendosi il sole che splendente illuminava la radura. Il calore che infondevano i suoi raggi le lasciava sulla pelle una piacevole sensazione di rilassamento.

Molte volte durante l'età d'oro aveva passato le giornate immersa nella natura a godersi quei momenti insieme alle creature di Narnia. Erano i momenti più semplici, ma anche i più spensierati e di cui conservava i più bei ricordi.

In quel momento, però, nella mente sveglia di Lucy correva una sola domanda che la rendeva sempre più inquieta, rendendole quella stasi milleflua quasi pesante da sopportare.

Dov'erano tutti?


L'unica cosa di cui era certa, era che Susan si trovava dentro la casa di Aslan. L'aveva lasciata respirare più di una trentina di minuti prima, dopo averla asfissiata con varie domande sul Principe. Si era divertita ad ascoltare le risposte balbettanti e a delle note decisamente più alte del normale della sorella, osservando le sue gote che andavano via via ad imporporarsi.

Lucy si divertiva a stuzzicare le sue sorelle, ma in fondo dovette ammettere di essere contenta. Susan sembrava felice davvero in quei giorni.

La Pevensie sospirò, passando una mano nell'erba. Pregò affinché le speranze della sorella non si sarebbero infrante.

Fece dardeggiare gli occhi chiari per la radura, incontrando solo le figure dei soldati. Edmund e Peter, così come Caspian e Evelyn, o Antares e Lia. Era come se fossero tutti... scomparsi. Ormai da un tempo che le iniziava a sembrare troppo lungo non stavano facendo ritorno.

Caspian e Peter erano insieme probabilmente, perché li aveva visti inoltrarsi nel bosco – sperò non stessero litigando da qualche parte –, ma per quanto riguardava gli altri non si capacitava di dove potessero essere andati.

Lucy gonfiò le guance, leggermente indispettita e cercando di scacciare la sensazione di malessere che sentiva premerle sulla bocca dello stomaco. Almeno avrebbero potuto avvisare e lei non si sarebbe preoccupata!

Si alzò dalla sua posizione, osservandosi intorno i Narniani. Erano in fermento, emozionati dopo la ripresa del Re, ma anche agitati e spaventati. Lucy si ritrovò a comprendere le loro emozioni appieno. Quella poteva essere l'unica – l'ultima – remota possibilità di poter tornare a vivere in pace, senza doversi nascondere, che si presentava loro dopo un secolo.

Poter tornare a respirare l'aria di Narnia, senza paura di essere visti. Poter tornare a volare in cielo, senza paura di essere colpiti da qualche freccia, di venire cacciati e braccati. Poter tornare a forgiare armi, senza paura di venire accusati di ribellione. Poter tornare a vivere, senza paura di poter morire.

Lucy sospirò, portandosi una ciocca ribelle dietro l'orecchio. Se solo ci fosse stato ancora il signor Tumnus, a consigliarla e a farle compagnia in quei momenti di sconforto che sentiva… Non era solita abbattersi, Lucy, ma con Narnia così cambiata le sembrò che anche il suo umore ed il suo carattere stessero subendo un lento mutamento.

Ripensò a quanto era stata felice e sollevata, la notte in cui era tornata di nascosto a Narnia, di vederlo sano e salvo: avevano parlato molto durante quelle ore.



***



Un lieve bussare alla porta distrasse Mr. Tumnus che stava apparentemente leggendo un libro, una tazza di the posata sul tavolino di legno scuro e lo scoppiettare allegro del fuoco come amico di compagnia e fonte di luce.

Alzò di scatto la testa dall'oggetto delle sue attenzioni, mentre un brutto presentimento si faceva largo ed il suo cuore di timido iniziava a battere veloce. Sapeva
chi poteva essere. Una parte di sé avrebbe voluto fare finta di niente e correre via dalla parte opposta. Probabilmente sapevano che aveva ospitato due Figlie di Eva ed ora erano venuti a prenderlo.

Sentì un brivido scendergli lungo la schiena. Eppure c'era qualcosa che non andava. Il bussare alla porta era stato troppo dolce e timido, per appartenere a qualche seguace della Strega, di solito infuriato e sbrigativo nel voler svolgere il proprio lavoro per evitare di essere trasformato in pietra.

Si alzò dalla postazione quando il bussare si ripeté e s'avvicinò veloce, cambiando pensieri e pregando che non fosse chi pensava.

Sarebbe stato un guaio. Una tragedia. Potevano morire, se Jadis le catturava. E lui con loro, artefice di averle accolte e poi lasciate andare, infrangendo le regole che vigevano a Narnia da anni.

Aprì piano la porta, titubante, dopo aver tolto la catena, trovandosi di fronte gli occhi luminosi di Lucy che lo guardavano tra il felice e il sollevato. Spalancò maggiormente la porticina di legno, soppesando i dintorni.

Si sentì gelare dal freddo esterno e  dopo qualche secondo di silenzio fece segno alla Pevensie di entrare in casa. Questa non se lo fece ripetere due volte, accomodandosi sulla poltrona su cui il fauno era seduto poco prima come se fosse nella casa di qualche sua amica.

Mr Tumnus richiuse la porta, osservando per l'ultima volta da un lieve spiraglio ciò che circondava la sua casa: neve, alberi ricoperti di neve, rocce, montagne, bosco e un cielo bianco latte. Tutto silenzioso e apparentemente tranquillo. Ma l'apparenza inganna.

Si voltò poi verso la bambina, dopo aver chiuso la porta facendo scattare anche la serratura.

-Che ci fai qui?- le domandò, leggermente smarrito e ansioso, muovendosi continuamente sulle zampe. Lucy sorrise, dolce e divertita, osservando il fauno porgerle una coperta, per poi andare a scaldare altro the.

-Sono venuta a trovarti. Ero in pensiero- confessò, cambiando tono di voce. Se i suoi fratelli si svegliavano e non la trovavano si sarebbero spaventati a morte. Eppure stare lì a Narnia con Tumnus era così bello, così rassicurante. Si sentiva a casa, lontano dalla guerra e i bombardamenti.

-E' pericoloso!- la riprese il fauno, con una nota di rimprovero. Al contempo, però, sentì un calore scaldargli il cuore per la prima volta dopo anni. Sapere che quella bambina era tornata per lui, si era preoccupata per la sua vita... lo faceva sentire speciale.

-Se la Strega Bianca scopre che sei qui sarà un problema- disse il Narniano, ponderando bene le parole del discorso per non farla spaventare troppo e decidendo di scacciare le emozioni di poco prima.

-Ti ucciderebbe- le sussurrò, porgendole però una tazzina. I suoi gesti esprimevano il contrario di ciò che le stava cercando di dire. Lucy lo guardò con gli occhioni spalancati, avendo quasi paura anche a respirare.

-E con te, tua sorella, se la dovesse trovare... e me- finì, sorseggiando un po' di bevanda calda che represse un altro brivido gelido. Lucy stette in silenzio per un po', soffiando sul the fumante, pensierosa.

-Sono sicura che la Strega non verrà a sapere che siamo state qui- disse, sicura del suo pensiero.

-Perché ne sei così convinta?- Tumnus rimase fermo con la tazzina a mezz'aria, interessato. Quella bambina era speciale, l'aveva capito subito. Ma non conosceva come stavano realmente le cose o di come fosse crudele la vita in quel mondo.

-Perché l'unica altra persona della mia famiglia che sa di Narnia è Evelyn. Gli altri fratelli…- abbassò lo sguardo, dispiaciuta, sentendo gli occhi pizzicare di umiliazione.

-Non hanno voluto crederci- confessò ricordando la discussione con amarezza. Evelyn si era arrabbiata tantissimo con Peter che non le credeva ed Edmund che prendeva continuamente in giro Lucy, accusandola di avere fatto alla sorella mediana qualche lavaggio del cervello per far credere anche a lei di essere stata in un mondo dentro l'armadio.

-Ed Eve ora dov'è?- azzardò a chiedere il fauno, strappando Lucy dai suoi pensieri.

-A casa, a dormire. Sono venuta da sola- disse Lucy, riprendendosi. Sorseggiò un altro po' di te per tenere le mani occupate. Tumnus suo malgrado dovette ammettere che quella bambina aveva del fegato. Un po' la invidiava.

-Hai detto che hai altri fratelli?- domandò, improvvisamente curioso e attento. Nel suo cuore spuntò il germoglio del sospetto.

-Si. Fuori l'armadio guardaroba ci sono anche Peter, Susan ed Edmund- disse Lucy, sorridendo sincera al ricordo dei suoi fratelli. Il fauno però sembrò sbigottito e la sua espressione fece preoccupate la Pevensie, che si irrigidì.

-Susan?- Lucy aggrottò la fronte, non capendo e sentendosi confusa da quella serie di domande.

-Si- esalò semplicemente, osservando il volto di Tumnus. Sembrava perso in chissà quali misteriosi pensieri e fissava un punto indefinito alle sue spalle.

-Ed è più grande o più piccola di te?- domandò il Narniano, sbattendo le palpebre e riportando l'attenzione sulla bambina.

-Più grande, sia di me che di Eve che di Edmund, ma più piccola di Peter- spiegò Lucy, cercando di essere il più chiara possibile, prendendo nel frattempo un biscotto dal vassoio sul tavolino. Le stava venendo fame.

-Quindi, se non ho capito male: prima c'è Peter, poi Susan, poi Edmund, Evelyn ed infine tu- le disse, facendo un elenco con la mano. La Pevensie si limitò ad annuire, osservando il volto del fauno sempre più pensieroso.

-Si… è per caso un problema?- chiese, preoccupata, lasciando perdere un pezzo di biscotto che si perse nel the ancora fumante. Mr Tumnus sembrò riprendersi e sorrise alla Pevensie.

-No, affatto. Nessun problema-.




***



-Lucy!-

La voce di Susan la strappò bruscamente dai suoi ricordi. La minore tra le Pevensie sospirò, affranta per essere stata interrotta nel bel mezzo dei suoi pensieri e ragionamenti. All'inizio, così piccola e ingenua, spesso non aveva capito ciò che realmente le stava intorno o come andassero le cose, nonostante avesse sempre avuto una mente piuttosto arguta.

-Lucy!-

La regina si voltò, incontrando la figura di Susan chiamarla dall'entrata della tavola di pietra. Sembrava agitata e faceva scattare la testa da una parte all'altra, come alla ricerca di qualcuno, e la minore pensò fosse perché si era accorta della mancanza degli altri.

Quando la scorse nella radura la Dolce le fece un gesto impaziente di raggiungerla e Lucy sospirò.

-Arrivo!-



















































































































































Ciao a tutti e ben ritrovati!
Si, avevo detto che avrei aggiornato per metà agosto, ma dal momento che dovrò partire e temo di non riuscire a regolarmi con tutte le cose che avrò da fare... vi porto questo capitolo in netto anticipo sperando vi possa far piacere e magari di sapere che ne pensate. :)
Che dire... alcuni punti sono stati cambiati, il combattimento ho cercato di renderlo più "vero" e ho cercato di dare dello spessore a queste due comparse antagoniste - nella precedente versione erano abbastanza insipide -. Altra cosa che ho cercato di fare è stato sviscerare meglio le emozioni ed i pensieri di tutti e ciò che prova Evelyn mentre è sotto questo incantesimo.
Mano a mano che aggiorno sistemo anche uno o due dei capitoli iniziali, al momento sono arrivata al quinto e ho anche cambiato l'immagine presente nel prologo. Ho anche ritrovato un quaderno (uno dei tanti lol) dove avevo scritto una scaletta dei prossimi capitoli e TUTTI gli elementi che avrei dovuto trattare nella raccolta Essence. Al momento però, come avevo scritto, non credo la riprenderò, quando concluderò un po' di cosine magari ci tornerò sicuramente su perché mi spiacerebbe lasciarla incompleta.
Stavo anche valutando l'idea di trattare la storia dei Pevensie e delle due comparse dell'età d'oro (l'uomo misterioso e la principessa che compare nella one-shot Water Heart) in una storia spin-off di qualche capitolo (e non in questa come avrei programmato). Fatemi sapere se potrebbe interessarvi un'idea del genere, al momento è solo un pensiero ma se rischiesto posso pensarci seriamente!
Ringrazio tutti coloro che seguono, preferiscono, ricordano e leggono. Vi auguro di passare delle buone vacanze, io dopo tre anni finalmente riuscirò a partire e andare al mare, non vedo l'ora. Alla prossima,
D <3  


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Capitolo 27
*** Il peso delle memorie. ***


Narnia's Spirtis
Il peso delle memorie.






Il gruppo procedeva, silenzioso come la foresta che stava attraversando, per raggiungere il rifugio di Aslan il prima possibile. A scandire quei momenti in sottofondo c'erano solo il rumore dei loro passi sul terriccio o lo scricchiolio dei rami spezzati.

I respiri erano ancora affannati per lo scontro, le emozioni di paura ed ansia che avevano fatto schizzare i battiti dei cuori a mille ancora vivide nel loro animo. Qualcuno sospirò per cercare di rilassarsi. Dovevano calmarsi tutti. Non c'era più nessun pericolo, almeno per il momento.

Speravano.

Lia guardò il bosco che li circondava, soffermandosi in particolare a scrutare tra i cespugli o dove la vegetazione si faceva più fitta. Era meglio stare all'erta, non voleva altre sorprese del genere.

Cercò di restare composta, intimandosi di mantenere la calma e dare un ordine alle domande che le stavano premendo nella testa. Chi erano quelle due? Cosa volevano? E perché attaccare proprio Evelyn?

Lia sentì l'impazienza di voler sapere scorrerle sotto i polpastrelli delle zampe e darle una fastidiosa sensazione di pressione alle tempie. Trovò ironico che una come lei, le cui conoscenze sembravano essere state sempre infinite, non potesse darsi delle risposte.

Si trattenne dal ringhiare di frustrazione per non spaventare inutilmente i ragazzi che la seguivano. Poteva intuire qualcosa sulle loro intenzioni, ma non capiva chi, dopo millenni, potesse essere interessato alla ragazza.

Solo coloro che conoscevano quel segreto potevano costituire una minaccia, ma non lo sapeva praticamente nessuno. Solo lei e i Narniani con cui condivideva millenni di vita e pensieri, lo sfuggente Aslan... e i Pevensie – e forse nemmeno tutto nei minimi dettagli.

No...


Lia sentiva che le stava sfuggendo qualcosa.

Arricciò il naso, persa nelle proprie riflessioni, ignorando le occhiate di Antares. C'era solo una persona che poteva costituire una minaccia per tutta Narnia e per tutti i vecchi re.

Jadis.


“Ma è morta.”

Lanciò un'occhiata stralunata ad Antares poco dietro di lei per quell'intromissione, ma lo sguardo che il destriero le restituì le fece capire quanto anche lui fosse seriamente preoccupato. Le sembrò di rivedere in quelle iridi scure il compagno con cui condivideva lo stesso soffio di vita fin da prima che si decidesse la loro sorte, prima ancora che prendessero la forma materiale con cui poi avrebbero calpestato le terre di Narnia.

Fece schioccare la lingua tornando a guardare di fronte a sé, affondando gli occhi chiari nella vegetazione, sentendo Dhemetrya sopra di lei irrigidirsi e stringere tra le mani il suo pelo come per cercarvi un appiglio. Non era quello il momento per potersi perdere in inutili domande che non avrebbero avuto risposta.

“...Già.”

Caspian camminava pochi passi più indietro rispetto a Peter: di tutta quella faccenda non ci aveva capito niente ma non osava interrompere la bolla di silenzio che si era posata su di loro facendo domande. Non era ancora il caso. Immaginò che, se per lui vedere Evelyn in quelle condizioni fosse stato un duro colpo, Peter ed Edmund dovevano aver quasi sfiorato l'infarto.

Si ritrovò ad ammirare il modo in cui il Supremo aveva comunque cercato di mantenere il sangue freddo, nonostante la situazione, fin dall'inizio. Non era sicuro che se si fosse trattato di una persona a lui cara il Principe sarebbe riuscito a fare lo stesso.

Il suo sguardo corse alla ferita al braccio del biondo, costatando che non sanguinava più da quando Edmund l'aveva fasciata. Si sentì sollevato e storse il naso, domandandosi da quando avesse iniziato a preoccuparsi per quella zucca vuota.

Rilasciò un basso sospiro, mentre nella sua mente si materializzava l'immagine di Evelyn, a cui pochi secondi dopo si sovrappose quella di Susan. Caspian cercò di mantenere viva quella scena il più a lungo possibile per ricordare ogni lineamento e dettaglio di quel viso che aveva imparato a conoscere e, anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, amare.

Era sicuro che sia lei che Lucy appena avrebbero saputo di quell'attacco ai danni della sorella si sarebbero preoccupate.

Sperò che in qualche modo sarebbe potuto essere di aiuto per calmare la Dolce. Aveva imparato a conoscerla oltre ciò che erano i suoi sguardi altezzosi e il portamento composto, e sapeva quanto ci tenesse alla propria famiglia. Quanto quel Dolce le calzasse appieno per l'anima buona e amorevole che nascondeva dentro quel fisico slanciato e delicato.

Si sentì un po' invidioso dei Pevensie e delle attenzioni che si riservavano l'un l'altro. L'unica persona che in tutta la sua vita gli aveva dimostrato reale affetto e a cui doveva tutto, tutto, perfino poter dire di essere vivo e poter fare quei pensieri, era il suo Precettore.

In quel momento, Caspian sentì una fitta di mancanza dei suoi genitori fin nel profondo.

Peter lo precedeva ed era quello che più di tutti camminava con il passo spedito e quasi meccanico: nonostante il braccio gli bruciasse tanto che avrebbe voluto strapparselo, cercava in ogni modo di non farci caso.

Occhieggiò le figure di Antares e Lia che lo precedevano, soffermandosi sulla schiena di Edmund e immaginandosi Evelyn davanti a lui addormentata. Conosceva così bene i lineamenti del suo volto, come conosceva quelli di ognuno dei suoi fratelli, che gli sembrava quasi di avercela davanti agli occhi.

Come Lia aveva sospettato poco dopo che si erano messi in viaggio, la Pevensie si era lasciata andare al sonno dopo che erano ripartiti per tornare alla casa di Aslan e il minore si era offerto di farle da appoggio per evitare che cadesse.

Nonostante l'ansia, l'agitazione e soprattutto la paura che l'avevano sconvolto e che erano ancora presenti fermamente nel suo animo e non volevano sapersene di andare via, sapere che sua sorella dormiva lo rasserenava: almeno lei avrebbe avuto modo di riposare e riprendersi, se non del tutto, almeno in parte.

Peter preferì accelerare il passo per potersi affiancare così al Narniano con in groppa i suoi due fratelli, per poter verificare di persona i propri pensieri. Tuttavia non ruppe il silenzio che si era creato, limitandosi a lanciare un'occhiata ad Edmund, apparentemente interessato ai capelli di Evelyn che gli sfioravano il braccio e lasciando che i suoi occhi poi seguissero i lineamenti distesi e ignari di essere osservati della sorella.

Provò una fitta profonda al cuore.

Gli faceva sempre male sapere che uno dei suoi fratelli soffriva senza che potesse fare qualcosa.

Gli aveva sempre fatto male quando c'era la guerra e non sapeva come calmarli per i bombardamenti, come gli aveva fatto male ogni giorno di quell'anno passato a Londra sapere che loro soffrivano terribilmente per la mancanza di Narnia e non poter fare niente a riguardo.

Non voleva che altro dolore si unisse a quello che già si portavano dietro, al peso di essere agli sgoccioli di una battaglia che poteva essere l'ultima.

Ma un presentimento gli diceva che non era ancora finita. Sapeva già che ne avrebbero dovuto discutere una volta arrivati alla casa di Aslan.

Jadis
.

Possibile? Lei era morta, uccida da Aslan davanti ai suoi occhi sconvolti di ragazzino con una missione troppo grande.

Forse quelle due volevano solo continuare l'opera che anche la Strega aveva provato a fare fallendo milletrecento anni prima. Forse volevano la distruzione completa di Narnia e la sola presenza di Evelyn era una minaccia per i loro piani.

Possibile che due Narniani potessero volere la vincita dei Telmarini?

Si morse un labbro frustrato, Peter, mentre i ricordi prepotentemente prendevano forma nella sua testa.


***



-EDMUND!!!-

La voce spaventata di Evelyn riscosse Peter dal suo scontro, e, dopo aver affondato la lama nel corpo di un Narniano alleato di Jadis, alzò lo sguardo verso la direzione della voce della sorella.

Il cuore gli batteva a mille, aveva un bruttissimo presentimento e il tono di urgenza di Eve lo aveva scosso profondamente – più di quanto non pensava fosse possibile. Non aveva mai sentito la voce della Pevensie così acuta se non quando c'erano dei bombardamenti in corso e questo gli aveva fatto venire la pelle d'oca.

Fece appena in tempo a scorgere Edmund davanti a Jadis, la spada di questa imbrattata del suo sangue e quello di altri Narniani. Vide suo fratello che cadeva al suolo, tenendosi l'addome, e poté chiaramente scorgere la smorfia di dolore e sofferenza sul suo viso, come se tutto si stesse svolgendo con una lentezza disarmante.

Una lentezza che gli avrebbe impresso per sempre quelle immagini nella testa.

Rimase immobile per pochi secondi, ma che a lui sembrarono secoli, mentre quelle immagini continuavano a tormentarlo, il cuore prendeva a battere furiosamente di ansia, un vuoto si faceva spazio sulla bocca dello stomaco e il respiro si faceva affannato più di quanto non fosse già.

Gli ci vollero degli attimi per rendersi conto di ciò che aveva appena visto accadere.

Non ci voleva credere. Non era possibile. Quello a terra non poteva essere Edmund, gli aveva detto di andarsene via.

-NO!-

Venne riscosso da Evelyn che, fuggita alla presa del signor Castoro, raggiunse i due, ignorando la battaglia che si stava svolgendo attorno a lei e indifferente al fatto che fosse totalmente distratta ed indifesa. Aveva il volto pallido e gli occhi lucidi. La vide guardare Edmund e reprimere un urlo con la mano, mentre con gli occhi spalancati fissava il corpo del fratello disteso a terra.

Da quella distanza che li separava Peter non poteva vedere il tremore che le scuoteva il corpo. Edmund respirava sempre più a fatica e aveva del sangue che gli usciva dalla bocca.

Evelyn s'irrigidì, sconvolta e spaesata, sentendo la paura della perdita strisciarle nel cuore.

Cosa doveva fare?

S'inginocchiò accanto al fratello, cauta, ignorando di essere seguita in ogni più piccolo movimento dalla Strega ghignante in piedi di fronte a loro due.

Esitò qualche attimo, prima di posare una mano su quella che Edmund si teneva premuto all'addome. Quando sentì il vischioso e caldo del sangue arrivarle ai polpastrelli la ritrasse, come scottata, guardando il liquido scarlatto colarle lungo le dita.

Edmund... sentì una stretta al cuore.

Suo fratello era stato ferito... e stava morendo. Sentì gli occhi bruciare, la vista diventare appannata.

-Ed...- provò, ma il moro non le rispose, lanciandole un'occhiata addolorata. Ad Evelyn scappò un singhiozzo strozzato e si chinò verso il Pevensie, stringendo il velluto rosso dell'armatura tra le mani e posando la fronte sul petto del ragazzo. Da così vicino, poteva ascoltare il respiro di Edmund farsi sempre più debole e sentì il senso di colpa per non averlo fermato in tempo affossarle il cuore.

-Vedo che voi marmocchi non imparate mai- Sentì dire, a pochi passi da lei. Alzò il volto rigato di lacrime verso l'alto, incontrando gli occhi freddi di Jadis che la fissavano. Anche se la Strega sembrava sicura di stare vincendo, il suo sguardo esprimeva solo disprezzo e distacco.

Evelyn sentì un brivido correrle lungo la schiena per quanto quella donna riuscisse a imporsi sugli altri solo con la propria presenza. Si sentì piccola e indifesa.

Edmund tossì del sangue misto a saliva e Jadis ghignò, guadagnandosi un'occhiataccia da parte della Pevensie che non ebbe problemi a sostenere. Se aveva imparato a conoscerla bene, era perfino divertita davanti alla loro sofferenza.

-Sei proprio una Strega!- Gridò Evelyn, rabbiosa. Aslan si era offerto in sacrificio per loro e Jadis non aveva mantenuto la parola. Li voleva morti, tutti. Jadis era una bugiarda, una burattinaia. Il suo piano era stato annientarli per poter prendere il trono di Narnia fin dall'inizio.

Peter si riscosse, vedendo Evelyn rotolare di qualche metro lontana da Edmund sotto un colpo assestatole dalla Strega Bianca.

-Piccola mocciosa- sibilò la donna, scavalcando il corpo del fratello a terra malamente e impugnando la spada, muovendosi in direzione della ragazzina. Questa stava provando ad alzarsi, tenendosi una mano all'addome e tossendo.

Peter non seppe quanto tempo fosse passato osservando quella scena, ma il suo istinto capì di aver perso troppo tempo e fece scattare il suo corpo in direzione dei tre.

Doveva salvarli.

S'immobilizzò sentendo il sangue ghiacciarsi nelle vene vedendo Evelyn venire colpita da Jadis e rotolare di lato, sbattendo contro una roccia. I suoi occhi passarono ansiosi dalla figura di Edmund disteso a terra in una pozza di sangue a Evelyn svenuta e inerme.

Peter sentì una rabbia cieca nascergli nel cuore e riprese a correre, stringendo convulsamente l'elsa della spada fino a farsi venire le nocche bianche.

I suoi fratelli... i suoi fratelli erano in pericolo e lui non aveva fatto niente per impedirlo.

Peter si sentì uno stupido per aver lasciato che le cose precipitassero in quel modo. Finì un minotauro che gli si parò davanti e pochi istanti dopo si ritrovò a fronteggiare la Strega che, in risposta a quell'intruso che aveva fermato la sua avanzata verso la Pevensie, sbatté le palpebre come sorpresa.

Il biondo deglutì, ricacciando indietro il panico e la paura e facendosi coraggio, evitando di farsi soggiogare dallo sguardo di Jadis, che, sorridendo, era certa di avere la vittoria in pugno.


***


Peter scosse la testa, scacciando quei ricordi e aumentando poi l'andatura per arrivare al rifugio il più in fretta possibile.

Voleva ritrovare il conforto che aveva perduto tra i fuochi e il rumore del ferro battuto per modellare le armi, fermarsi ad osservare la tavola di pietra e, soprattutto, poter abbracciare Susan e Lucy. Soprattutto Lucy, che con il suo carattere comprensivo riusciva sempre a calmarlo e illuminare la sua anima tormentata di doveri a volte troppo pesanti da sopportare.

Aveva bisogno di essere circondato da tutte quelle piccole cose a cui per più di quindici anni era stato abituato e relegare nell'inconscio quei ricordi che avevano ancora il potere di colpirlo come se stessero accadendo davanti ai suoi occhi in quell'istante.

Strinse i pugni, reclamando a sé la poca calma che ancora riusciva a mantenere. Era passato.

Passato.

Non doveva più temere per il ricordo di quella battaglia che poi, seppur con l'aiuto fondamentale di Aslan, avevano vinto.

Edmund osservò con delle brevi occhiate la foresta attorno a lui, cercando di catalizzare l'attenzione su qualcosa che non fosse la sorella addormentata addosso. Strinse impercettibilmente la criniera di Antares – c'era di buono che, essendo il cavallo un Narniano, poteva fare a meno di briglie e sella senza rischiare scarti o impennate improvvisi.

Le sue braccia circondavano la vita di una Evelyn inconsapevole di ciò che le accadeva intorno, la testa leggermente ciondolante di lato. Se fosse stata sveglia avrebbe potuto sentire il battito accelerato del cuore di suo fratello ed i sospiri che talvolta si lasciava sfuggire.

Per quello, Edmund ringraziò tutti gli dei che conosceva che stesse dormendo. Altrimenti fare quel viaggio di ritorno in quel modo – tenendola tra le proprie braccia senza l'ansia di dover controllare ogni emozione che sentiva, ogni smorfia che poteva assumere il suo viso – sarebbe stato impossibile.

Inoltre, conoscendola, probabilmente avrebbe voluto stare da sola e quel contatto, seppur effimero, gli sarebbe stato negato.

Il Pevensie fissò la sua attenzione su una ciocca di Eve che gli solleticava il braccio, e invano cercò di spostarla soffiandoci delicatamente sopra, come se dovesse spegnere una piccola fiamma che non ne voleva sapere di arrendersi.

Sentiva i passi di Caspian e la presenza di Peter accanto a lui, certo che il fatto che non stessero discutendo significava solo che la faccenda era abbastanza grave.

Ognuno era perso nei propri pensieri, rimuginante sui fatti appena accaduti e sulle possibili ipotesi. Dopotutto, chi non lo avrebbe fatto?

Edmund, invece, in quel momento scoprì che non gli importava. Non gli importava di niente, in quel momento. Solo che Evelyn stesse bene e non corresse più alcun pericolo.

Se le fosse accaduto qualcosa, si sarebbe sentito terribilmente solo e perso. Nessuno riusciva a capirlo come faceva lei, e dubitava ci fosse un'altra persona al mondo capace di tanta empatia nei suoi confronti. L'avrebbe protetta, a qualsiasi costo.

-…Eddie-

Edmund abbassò lo sguardo, fissandolo su Evelyn: la ragazza aveva mugugnato nel sonno e adesso stava stringendo una mano a pugno sul tessuto della sua casacca, come se fosse l'unico appiglio a cui potesse aggrapparsi.

Il ragazzo, perso nei suoi pensieri fino a poco prima, si riscosse del tutto sentendo un brivido intenso, di quelli che ormai da anni lo accompagnavano, attraversargli la schiena. Chiuse gli occhi, celandoli momentaneamente alla luce del sole, riordinando distrattamente i pensieri sparsi e tentando di mantenere la mente lucida.

Caspian e Peter si erano affiancati nuovamente, e continuavano a procedere, quindi concluse che probabilmente il sussurro di Eve l'aveva sentito solo lui. Da una parte era meglio, perché sicuramente gli altri avrebbero fatto del sarcasmo. A sue spese, ovviamente.

Che nomignolo stupido: da dove diavolo l'avesse tirato fuori sua sorella un anno fa se lo stava chiedendo ancora.


***


La sensazione del caldo delle coperte, del cuscino morbido e della sofficità del materasso. Certamente, nulla a che vedere con i letti regali che avevano a Narnia, ma era sempre meglio che dover passare la notte nel rifugio antiatomico.

Improvvisamente, il cigolio della porta che viene aperta.

Edmund, seppur fosse nel dormiveglia, lo riuscì a cogliere ma non ci fece caso, pensando che fosse Peter, da sempre più mattutino di lui.

Percepì il fruscio delle tende e poi una ventata d'aria fredda lo investì, facendogli lanciare epiteti a chiunque si fosse permesso di aprire la finestra in pieno autunno, permettendo all'aria gelida di entrare e rubargli tutto il calore che faticosamente si era creato nel suo letto la sera precedente.

Anche se non fosse stato Peter, chiunque fosse lo avrebbe strozzato con le sue mani.

Fece però tutt'altro, nascondendosi maggiormente sotto le coperte e rannicchiandosi. Queste gli vennero strappate via poco dopo e in risposta lui si chiuse ancor più a riccio, cercando di socchiudere un occhio.

Lo aprì quando sentì un peso accanto a lui e un respiro caldo e tranquillo solleticargli il volto. Si ritrovò faccia a faccia con gli occhi di Eve, e tutta la sua irritazione scemò via, rimanendo imbambolato a fissarla.

-Cosa vuoi?- mugugnò, dandole le spalle un po' per voler continuare a dormire, anche senza coperte e con la finestra aperta andava bene, e un po' per nascondere le guance che s'arrossavano.

-Non ti alzi?- gli chiese quella, alzandosi. Edmund aveva imparato a conoscerla così bene che qualcosa lo fece mettere in allerta per il tono che aveva usato.

-...No- le sussurrò, continuando a sonnecchiare e ignorando le sue sensazioni, facendo vincere il torpore che ancora sentiva lambirgli le membra.

-Ok- lo stupì lei, ed Edmund ci rimase male nel sentire la sua voce allontanarsi da lui così in fretta. Ingoiò l'amarezza di non avere più la sua presenza vicino e richiuse gli occhi.

-Ci vediamo dopo- mormorò, cercando di appigliarsi ai rimasugli di sonno che sentiva. Voleva approfittarne per cercare di sognare una conclusione diversa per quel dialogo.

-Contaci- gli sussurrò Evelyn, ormai sulla soglia della porta. Edmund, girato di spalle, non poté vedere il ghigno con cui gli aveva parlato, ma il tono basso che aveva usato gli fece sentire un brivido lungo la schiena.



***

Freddo.


Si svegliò di scatto in cerca d'aria quando sentì una massa gelata premergli sul viso, invadendolo subito dopo quasi fino ai piedi.


Freddo.


Cercò di respirare affannosamente, ancora confuso per la sensazione che lo aveva investito e sentendo la pelle bagnata.

Constatò che era fradicio di acqua ghiacciata, i vestiti gli si erano appiccicati addosso, le coperte e il materasso erano bagnati... Istintivamente rabbrividì, passandosi una mano tra i capelli gocciolanti per liberarsi gli occhi e cercando di ignorare la pelle d'oca. Passò poi a studiare il soffitto, credendo in qualche perdita improvvisa, ma non trovò nulla di sbagliato.

Corrugò la fronte, tossicchiando. Doveva essergli andata la saliva di traverso.

Una risata divertita attirò la sua attenzione verso la porta ed Edmund si bloccò. Evelyn se ne stava appoggiata sulla soglia della porta, le mani incrociate al petto, la testa ciondolante di lato in una maniera innocente. Non notò il secchio ai piedi della sorella.

-Cosa ridi?!- la rimproverò, alzandosi del tutto e bagnando il pavimento. Edmund sospirò di sconsolazione pensando che gli sarebbe toccato asciugare tutto.

-Piaciuto il bagno, Ed?- Quello la guardò, mentre si strizzava le maniche del pigiama, contrariato. Poi sembrò notare il catino azzurro a terra e l'espressione di sua sorella gli fece intendere che era stata lei a fargli quel dispetto.

La fulminò con un'occhiataccia, ricevendo un mezzo sorriso fintamente innocente. Iniziò a strizzare i pantaloni, poi fissò il suo sguardo in quello della Pevensie, che sussultò per la sorpresa di vederci una luce maliziosa.

-Corri-

-Ops- sussurrò Eve, con fare divertito, per nulla intimidita. Vedendo l'espressione determinata di Edmund Evelyn iniziò ad indietreggiare, per poi voltarsi e correre per il corridoio, prendendo le scale e scendendo in salone. Lanciò dei gridolini di panico, sentendo la presenza fintamente minacciosa del fratello sempre più vicina, sapendo bene che, se l'avesse raggiunta, gliela avrebbe fatta pagare con ciò che più non sopportava: il solletico.

La loro corsa fu fermata da Peter, dietro la quale Evelyn si nascose per farsi scudo da Edmund. Il biondo sbuffò divertito, osservando l'espressione sconsolata del moro che ricambiò lo sguardo, arreso. Susan, richiamata dalle grida concitate, fece capolino dalla cucina, ritrovandosi ad osservare Peter sballottato da una parte all'altra con Eve ed Edmund che gli giravano intorno.

I due si bloccarono quando dei colpi di tosse si intromisero tra il loro vociare, per la gioia del maggiore che smise di essere sballottato da una parte all'altra. Susan si limitò ad alzare un sopracciglio, in attesa di spiegazioni, soppesando criticamente i tre.

Il moro emise un lamento di indignazione, indicando la sorella minore e se stesso ancora grondante senza sapere cosa dire. Peter ridacchiò vedendolo con tutti i vestiti sfatti che gli pendevano addosso, i capelli appiccicati alla fronte, lo sguardo un po' sconvolto. Gli ricordò quando lui e le sorelle uscirono dal fiume congelato dopo essere scappati dai lupi.

Susan lanciò un'occhiata stralunata a Peter, che alzò le mani in segno di innocenza, per poi passare a guardare Evelyn, sconsolata. Non poteva che essere stata una sua idea. Quella alzò gli occhi al cielo, fintamente scocciata, per poi sorridere, per nulla toccata.

-Pulite tutto- disse Susan, scomparendo nuovamente in cucina, senza dare possibilità di ribattere. Aveva passato il giorno prima a rassettare tutto, quel giorno non avrebbe preso in mano uno straccio!

Peter si voltò ad osservare Evelyn, incrociando le braccia, per nulla intenzionato a prendersi quella responsabilità di cui non era l'artefice.

-Si, si, ho capito, ho capito: ci penso io- si arrese la sorella, ricevendo un sorriso soddisfatto di risposta. Lanciò poi un'occhiata critica ad Edmund, rimasto in silenzio fino a quel momento.

-Perché questo scherzo?- le domandò lui, indicandosi. Represse un brivido di freddo e il fastidio di sentire i vestiti appiccicati al corpo. Doveva asciugarsi il prima possibile. Peter decise di raggiungere Susan in cucina, certo che Eve avrebbe sistemato alla perfezione.

-Beh, pensavo fosse un buon modo per svegliarti in questo giorno speciale- gli rispose lei, con tono ovvio. Non capiva perché Edmund non avesse ancora capito le motivazioni del suo gesto. Eppure erano così scontate!

-Speciale?- le domandò lui, alzando un sopracciglio. Ricevette in risposta uno sguardo perplesso e si preoccupò di essersi dimenticato qualcosa di importante.

-Non ricordi, Ed? Oggi è il tuo compleanno!-


***

Edmund osservò i vari pacchetti che gli stavano davanti: la carta colorata lanciava riflessi brillanti quasi fastidiosi quando veniva colpita dalla luce del sole che entrava dalla finestra.

Il Pevensie ancora non si era reso conto che fosse il giorno del suo compleanno. Perso a pensare a Narnia, ad attendere la chiamata, a cercare di non fare errori nei confronti di Evelyn che potessero far intuire qualcosa e provando a conciliare il suo essere un uomo – un Re – nel corpo di un ragazzo, si era completamente scordato del tempo che, inesorabile, passava.

Susan e Lucy avevano preparato il pranzo ed i dolci, mentre Peter aveva preso i regali che avevano nascosto da una mensola in cui erano sicuri Edmund non avrebbe mai guardato. Il Pevensie era rimasto sbigottito, rendendosi conto che non si era accorto di nulla nei giorni precedenti che facesse intuire stessero progettando qualcosa.

Dopo che Evelyn aveva pulito ed Edmund si era cambiato si erano ritrovati tutti in cucina. Il moro era stato accolto con dei sonori auguri di compleanno, con tanto di striscione appeso lungo la finestra scritto e colorato da Lucy e Peter.

Lu lo aveva abbracciato con trasporto, Susan gli aveva dato dei più contenuti baci sulle guance, Peter gli aveva fatto gli auguri dandogli delle pacche sulla schiena. Quando fece per andare da Eve - non sapendo cosa fare, cercando di ingoiare il groppone di panico che gli era salito in gola - se l'era ritrovata dietro, che gli tirava le orecchie contando ad alta voce gli anni.

-Ti diverti?- le aveva chiesto, apparentemente scocciato di essere trattato come un pupazzo.

-Si- gli aveva sussurrato quella sull'orecchio. Edmund aveva sentito un brivido corrergli lungo la schiena e il suo perdere dei battiti.

Avevano mangiato allegri e facendosi battute, immaginando cosa stessero facendo i loro genitori e ricordando i grandiosi banchetti aperti a tutti che usavano organizzare per i loro compleanni a Narnia.

-Questo è da parte di mamma e papà-

Susan lo riscosse dal suo torpore porgendogli un pacchetto. Edmund sorrise, sentendo la malinconia di non avere i genitori accanto in quella giornata adombrargli l'animo. Mamma la vedevano raramente da quando aveva dovuto mandarli in campagna per salvarli dai bombardamenti e papà era ancora in guerra. Progettavano poi di andare in America.

-Un libro!- Edmund si rigirò il tomo tra le mani, facendo scorrere le pagine ancora liscissime e prive delle pieghe che si formano con la lettura. Sorrise ai fratelli che lo guardavano, contenti della sua sorpresa. Quel libro erano mesi che il moro diceva avrebbe voluto comprarlo, ma per un motivo o l'altro non ci era mai riuscito.

I Pevensie ripensarono a quando si chiudeva nella biblioteca del castello per poter leggere ogni opera che ne riempiva gli scaffali.

Alzò lo sguardo, mettendo da parte a sé il tomo, mentre Susan gli porgeva il suo regalo. Edmund la ringraziò e prese il pacchettino, scartandolo in fretta dalla carta per l'entusiasmo che sentiva sotto pelle. Ciò che ne uscì fu un cappello nuovo, beige, per la festa, simile a quello che usava in coordinato alla divisa scolastica.

-Almeno avrai un cappello decente- gli sussurrò la sorella maggiore per giustificare quella scelta, scompigliandogli i capelli. Lui le fece la linguaccia, sorridendo poi divertito e  dandole un bacio per il pensiero. Per fare scena si mise subito il cappello in testa, trepidante di aprire gli altri regali.

Si stava rendendo sempre più conto che era lui il protagonista di quel giorno e tutti gli occhi della sua famiglia gli erano puntati addosso.

-Tieni il mio- gli disse il maggiore dei Pevensie, dandogli il proprio pacchetto e mettendosi con le braccia incrociate, in attesa.

-Ma sono due!- esclamò Edmund sorpreso, rivolto a un Peter che sorrideva soddisfatto vedendo il minore studiare gli oggetti.

-Sono un orologio, e un portafoglio perché devi avere i documenti sempre con te- gli disse, pratico. Ed era ormai abbastanza grande da doversi iniziare a comportare come un adulto anche in quel mondo – fintanto che ci rimanevano.

-Spero ti piaccia- sussurrò Lucy, un po' timida, allungando le braccia per porgere al fratello il proprio regalo.

-L'ho fatto io- confessò, guadagnandosi un'occhiata dal moro mentre apriva il pacchetto. Era un po' in ansia, perché non aveva speso molti soldi come invece avevano fatto i suoi fratelli. Ma si sa, per un regalo è importante il pensiero.

Ed Edmund lo sapeva bene con tutto quello che aveva passato e per quanto era cresciuto, perché quando si ritrovò in mano una cornice per foto decorata con fiori e farfalle sui colori autunnali fece segno a Lucy di avvicinarsi e l'abbracciò, sussurrandogli qualcosa nell'orecchio che nessuno capì ma che la fece ridere di gusto.

Quando fu il turno di Evelyn Edmund sentì il cuore accelerare. Era impaziente di vedere cosa gli avesse regalato. Questa gli porse un pacchetto con attaccato un biglietto.

Tentando di tenere a freno l'entusiasmo per non far nascere dubbi a Peter, Lucy e Susan che lo guardavano – e per non offenderli facendogli pensare male – scartò il pacchetto, lasciando il biglietto da parte promettendosi di leggerlo dopo. Ciò che si ritrovò a rigirarsi tra le mani fu un piccolo diario in pelle nera e una penna.

-Nel bigliettino c'è scritto la spiegazione- interruppe la sua contemplazione Eve, dandogli poi le spalle e uscendo dalla cucina con una scusa. Edmund aprì la busta, leggendo mentalmente il contenuto scritto sotto gli occhi curiosi dei fratelli.

Susan aveva iniziato a sparecchiare la tavola per mettere ordine.

Ebbe un attimo di smarrimento e rilesse più volte le poche righe.

-Evelyn!- sbottò, facendo sussultare il resto della famiglia che sgranò gli occhi allibita. Susan e Lucy si scambiarono uno sguardo perplesso mentre Peter alzò gli occhi al cielo, intuendo che Eve doveva averne combinata un'altra delle sue.

-Che razza di nomignolo è questo?!- la riprese, alzandosi dalla sedia e cercandola per tutta casa, non certo che potesse averlo sentito. Sicuramente aveva intuito la sua reazione e se l'era filata.

La cercò per tutta casa, finendo poi davanti alla porta socchiusa della camera delle sorelle. Si concesse dei secondi per calmarsi in vista di quell'incontro faccia a faccia, aprendo piano la porta che, stranamente, non cigolò.

I suoi occhi soppesarono l'ambiente, fermandosi poi quando incrociarono la sua figura appoggiata al davanzale della finestra. Non sembrava essersi accorta della sua presenza o, se l'aveva notato, non diede segno di turbamento.

Gli dava la schiena, osservando assorta il bosco visibile da casa sfoggiare pienamente la poggia di colori autunnali che andavano dal giallo al rosso, dall'arancione al marrone. Tirava un venticello fresco che le faceva ondeggiare i capelli lasciati lisci, come se quei fili castano ramati fossero foglie in balia del vento.

-Eve...- sussurrò, esitante, lanciando un'occhiata al paesaggio. Sentì un groppo in gola immaginando i pensieri della sorella.


Narnia.


Per un attimo avrebbe voluto uscire, non essere mai entrato in quella camera, perché gli sembrò di avere interrotto un momento di intimità che si era creato tra sua sorella e la natura circostante. La ragazza si girò verso di lui dopo qualche attimo, sorridendo e portandosi una ciocca dietro l'orecchio.

-Si?- gli chiese, calma, anche se sapeva già cosa voleva. Lo vide avvicinarsi titubante alla finestra, fino ad affiancarla. Edmund appoggiò i gomiti sul davanzale, imbarazzato di averla interrotta e fissando un punto indefinito all'orizzonte. Sentiva lo sguardo indagatore della Pevensie su di lui e sospirò, ingoiando la tensione che quella vicinanza gli creava.

-Il regalo... grazie- le disse, senza però guardarla. Visto che osservava fuori non poté scorgere il sorriso soddisfatto che Evelyn gli fece. Sbuffò, ricordando il motivo per cui l'aveva raggiunta.

-Ma non ti pare di avere esagerato?- le domandò, voltandosi a guardarla. La Pevensie ricambiò lo sguardo, mimando un'espressione innocente.

-Con cosa, precisamente?- Edmund alzò un sopracciglio, mentre i sue si ritrovarono l'uno di fronte all'altra, per nulla toccato dal tono di Eve.

-Te-… Ted-…- si sbattè una mano alla fronte, imbarazzato. Sentì la necessita di fare pace con le emozioni che sentiva in quel momento.

-Quello- sputò fuori, disgustato.

-Oh, volevi dire Teddy!- lo corresse Evelyn, sghignazzando. Edmund le mise una mano sulla bocca d'istinto e quella sgranò gli occhi, presa alla sprovvista.

-Ti prego, non dirlo!- le ordinò, lanciando un'occhiata preoccupata alla porta. Evelyn sorrise, facendogli l'occhiolino e mimando un giuramento.

-Tranquillo. Non lo saprà nessuno. Ora torniamo giù-.

Edmund sospirò, annuendo e avviandosi verso la porta con passo pesante sotto lo sguardo penetrante della sorella.


Teddy.
Che bel modo per poter ricattare suo fratello.

Evelyn ghignò di gusto senza farsi notare.


***


Edmund scosse la testa, sentendo su di sé il peso dei ricordi e la nostalgia che si lasciavano dietro scavargli nell'anima.

Evelyn gli aveva regalato quel diario perché potesse scrivere ciò che voleva, come se avesse sempre con sé un amico fidato. Effettivamente era utile per sfogarsi su certi argomenti di cui non poteva parlare, certo che la sua privacy sarebbe stata rispettata e nessuno avrebbe letto ciò che scriveva.

Teddy. Odiava quel nomignolo, era rivoltante e bambinesco. Non capiva come sua sorella, con la mente acuta che possedeva, potesse averlo tirato fuori.

Sospirò, guardando Eve ancora addormentata contro di lui. Aveva le gote arrossate e stava sudando, i capelli le si erano appiccicati alla fronte. Le mise una mano alla fronte, percependo i palmi scaldarsi a contatto con la sua pelle. Probabilmente le era venuta la febbre.

Si morse un labbro, pensieroso e preoccupato. Sperò che con qualche erba medica si sarebbe rimessa in fretta. La guerra era vicina e non potevano permettersi di stare male. Non erano in posti sicuri per farsi curare.

Decise di informare Peter, in modo che potessero aumentare il passo, ma quando alzò lo sguardo si rese conto di trovarsi quasi alla fine del sentiero che portava alla radura davanti alla casa di Aslan, lo stesso percorso che avevano fatto per arrivare la prima volta.

Si sentì sollevato e rilassò le spalle, voltando lo sguardo e specchiandosi negli occhi sicuri di Peter.

-Ha la febbre- gli disse, indicando la sorella con un cenno della testa. Il maggiore si avvicinò osservando con espressione seria e critica il viso della sorella. Strinse con una mano il braccio di Edmund, come per fargli forza – ma al fratello sembrò tanto che le parti fossero invertite, in quel momento, e che fosse il biondo ad avere bisogno di sentire la sua presenza per scrollarsi di dosso l'ansia che era tornata a trafiggergli il respiro – puntando lo sguardo davanti a sé.

-Ormai siamo arrivati.-


































































































Ciao a tutti :)
Lo so, magari non ci crederete a tutti questi aggiornamenti così vicini, però voglio farmi perdonare per l'assenza immensa che ho fatto dandovi un po' di robine da leggere.
Come immaginerete, adesso ci saranno un paio di capitoli di assestamento, poi si inizierà con un altro arco narrativo.
Non me la sono sentita di togliere il "Teddy" perché ci sono affezionata, anche se a distanza di quasi otto anni dalla prima volta che lo scrissi mi sembra un po' infantile. A tal proposito, il flashback del compleanno di Edmund è forse la parte che ha subito più cambiamenti (nella precedente versione era presente anche la mamma e alcune cose inutili che ho omesso) e inoltre anche nel fhashback di Peter ho tolto un paio di battute tra Eve e Jadis che non avrebbero avuto senso.

Comunque, questo è l'ultimo aggiornamento di agosto. Stavolta sul serio però. ^^'
Noticine generali: i capitoli precedenti li ho sistemati fino al decimo. Se qualcuno volesse leggere gli spin off dedicati a questa storia e non l'ha ancora fatto invito a passare alle storie:
Fragola e Limone, Water Heart, Necklace of Feeling, Promise, I breathe with your heart, First look (Suspian).
Ringrazio coloro che leggono, seguono, ricordano e preferiscono. Sarei felice se qualcuno mi facesse anche sapere cosa ne pensa essendo passato molto tempo, vorrei capire se sono migliorata/peggiorata e le vostre impressioni mi farebbero piacere dal momento che tengo molto a questa storia.
Alla prossima,
D.

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Capitolo 28
*** Incontri con l'anima. ***


Narnia's Spirits
Incontri con l'anima.






Si stavano dirigendo al campo di Aslan, accompagnati e guidati dai Sig. Castoro. Quel viaggio pieno di insidie e pericoli che sembrava avere una durata infinita finalmente stava per giungere al termine.

L'inverno svaniva sempre di più mano a mano che si avvicinavano all'accampamento e calpestavano le terre di Narnia, risvegliata dalla presenza dei figli della profezia.

Evelyn si osservò intorno, dubbiosa, fissando poi lo sguardo sulle figure di Peter e Susan che la precedevano intenti a parlare tra loro.

Avevano abbandonato le pellicce prese dall'armadio su un vecchio tronco d'albero caduto, poco lontano la riva del fiume ormai scongelato del tutto. Iniziava a fare troppo caldo perché ce ne fosse bisogno.

Evelyn ispirò a fondo l'aria primaverile che via via andava a sostituire quella ghiacciata e pungente dell'inverno che aveva ormai perso la sua morsa perenne. Sorrise: sapeva di buono. Di fiori e frutta. Era frizzante, e volteggiava leggera intorno a loro, trasportando con sé petali di fiori d'albero in un modo che non aveva mai visto e che, se avesse provato a raccontare, era sicura nessuno avrebbe creduto.

Una serie di questi le passò accanto e fece per proteggersi il volto, ma constatò con malcelata sorpresa che i petali l'avevano evitata, e che quei pochi che l'avevano sfiorata erano stati delicati come una carezza.

Si girò in cerca di Lucy, rimasta più indietro di tutti, mentre l'erba alta e piena le solleticava leggermente le gambe e i collant bianchi le davano un fastidioso prurito. Si era tolta le scarpette, in modo da poter sentire meglio la terra di quel mondo magico sotto i piedi.

Che cosa strana: le sembrava di sentirla battere ad ogni suo passo, pulsare ritmicamente ad ogni suo respiro, di sentire tutto attorno a sé la forza degli alberi, la purezza dei fiori e la delicatezza dell'erba.

Si sentiva collegata a quel mondo, anche se non se ne capacitava di come fosse possibile. Era una sensazione particolare e indescrivibile e la sua mente di ragazzina non trovava le parole giuste per dare voce a quello che sentiva.

Aveva chiesto a Peter e Susan, ma le avevano risposto che probabilmente era normale, visto che non erano più in Inghilterra ma in un mondo magico. Ma le avevano fatto intendere che a loro non capitava la stessa cosa.

Aveva allora girato l'attenzione su Lu, ma l'aveva trovata intenta ad ammirare entusiasta con gli occhi che brillavano di emozione gli alberi che s'inchinavano al loro passaggio. Allora aveva lasciato perdere, scartando ogni pensiero e pensando che certe cose non sempre avevano una spiegazione logica.

Dopotutto, non c'era una spiegazione sul fatto che Narnia si trovasse dentro l'armadio – o almeno, a lei era sconosciuta –, quindi poteva benissimo non averla nemmeno la terra che sembrava cosparsa di vita propria.

Focalizzò la sua attenzione sul sole splendente nel cielo azzurro intenso – un azzurro così pulito come non l'aveva mai visto e che si sarebbe per sempre imprigionato nei suoi occhi.

Sospirò, non del tutto felice per la mancanza di Edmund, e si voltò verso Lucy per vedere a che punto fosse. Incrociò la figura della sorella che le dava la schiena, il braccio alzato a mezz'aria per salutare qualcuno. Si sporse oltre le spalle della sorellina, incuriosita, trovandosi osservata da uno sguardo vispo e sereno su un viso dai lineamenti affilati.

Si ritrovò senza parole, immersa a contemplare quella creatura fatata con il corpo ricoperto di fiori bianchi e rosati – e che poi avrebbe imparato a chiamare driade.

La trovò stupenda.

Evelyn le sorrise, e mimò un imbarazzato cenno con il capo, ricevendo in risposta un elegante inchino nell'aria. Poi spostò l'attenzione su Lucy, che si era accorta di lei che la stava aspettando, e le fece un gesto eloquente di raggiungere gli altri già molto avanti.

La Pevensie salutò un'ultima volta e le corse incontro, prendendola per mano e trascinandola verso i fratelli maggiori come presa da una nuova euforia. Evelyn non fece resistenza, voltandosi indietro per vedere se la driade le stesse seguendo. Ma era già sparita.

-Perché ci fissano?-

Lucy, Peter ed Evelyn si voltarono verso Susan, che scrutava incerta i Narniani attorno a loro che li fissavano, curiosi. I castori li precedevano, emozionati di essere finalmente giunti al campo al cospetto di Aslan, mentre l'esercito che si era radunato in quello spiazzo di terra smetteva di fare i propri compiti osservando i nuovi arrivati.

Qualcuno bisbigliava, e Susan si sentì come messa sotto indagine. Non le piaceva quando la fissavano. 

-Forse pensano che sei buffa- le rispose Lucy, innocentemente, strappando un sorriso ai fratelli. Sembrava l'unica oltre ai castori a non sentire la tensione che iniziava a penetrare tra loro.

Quando arrivarono davanti alla tenda più grande dell'accampamento, Peter sfoderò la spada, raccogliendo tutto il coraggio e la spavalderia che possedeva.

-Siamo qui per conferire con Aslan-

Dei mormorii si alzarono tra la folla in attesa di sviluppi, ma vennero subito zittiti da dei movimenti provenienti dall'interno della tenda. Gli abitanti di Narnia s'inchinarono all'istante quando una figura fece la sua comparsa davanti ai ragazzi, uscendo dalla tenda e mostrandosi alla luce del sole.

Tutti i Pevensie sgranarono gli occhi, sorpresi, sentendosi immediatamente messi sotto indagine da quei baratri dorati in cui si ritrovarono riflessi.

Aslan non era una persona. Aslan...

Aslan era un leone.

Evelyn focalizzò la sua attenzione sull'animale che tutti adoravano e temevano, fermo in una posa regale da cui traspariva una compostezza e una calma percepibili nell'aria.

Osservò la folta criniera dorata, il manto tendente al beige, e gli occhi… due pozzi d'oro colato che si guardavano intorno sapienti e consapevoli della propria persona – e, avrebbe poi imparato, moltissime altre cose.

S'inchinò, imitando i fratelli, faticando a staccare gli occhi dall'animale che li stava soppesando, in silenzio. Al solo sentire nominare Aslan aveva provato un misto di sicurezza e protezione, come se niente e nessuno poteva farle del male.

Ma ora che se lo trovava davanti era tutto diverso.

La gioia, la calma e la pace stavano svanendo, mentre un macigno sembrò esserle piombato sulla bocca dello stomaco. Il respiro le divenne affannato, la gola secca. Il cuore prese a batterle così velocemente che pensò fosse udibile da chiunque le stesse accanto e fissò ostinatamente lo sguardo al terreno, non capendo il motivo di quella sua reazione.

E il colpo di grazia lo ebbe quando la voce dell'animale la raggiunse.

-Benvenuto Peter, Figlio d'Adamo. Benvenute Susan, Evelyn e Lucy, Figlie di Eva. E benvenuti a voi Castori-.

Ma Eve non stava più ascoltando, perché il vuoto allo stomaco dilagava e l'ansia si affievoliva, sostituita da un grande, grandissimo senso di nostalgia e numerose fitte al cuore che le fecero salire le lacrime agli occhi. Stava avendo un attacco di ansia e aveva assolutamente bisogno d'aria.

Aria...


Aprì gli occhi di scatto, boccheggiando e tendendosi in avanti. Sentiva la respirazione bloccata e un groppo in gola che le dava l'impressione la stesse soffocando, come una morsa che la stringeva sempre di più.

Mosse le braccia a casaccio, vedendo tutto intorno a sé vorticare pericolosamente e non riconoscendo nulla di ciò che le passò davanti agli occhi, tossendo.

-Eve!-

Percepì una presa salda sui fianchi e si irrigidì, fermandosi, cercando di calmare il battito del suo cuore impazzito e riprendere il controllo su se stessa. Si portò una mano alla gola, come per sincerarsi di essere viva e non avere nulla che le stesse premendo contro, sentendo immediatamente le gocce di sudore che le colavano verso il seno bagnarle il palmo della mano.

-Eve...?-

La voce di Peter le arrivò lontana, quasi ovattata nonostante lui le fosse corso da parte prendendola per il braccio. Evelyn non vide la scintilla di preoccupazione che passò attraverso lo sguardo del re supremo.

Non gli rispose, inspirando a fondo e chiudendo gli occhi chiusi per calmarsi, isolandosi dagli sguardi del gruppo, mentre un brivido la scuoteva da capo a piedi. Sentiva la testa girare e farle male, le tempie bruciare.

Quel ricordo era tornato a farle visita. Doveva essersi addormentata...

-Eve-

Peter la richiamò di nuovo, stringendo la presa sul polso della sorella, intimandole di voltarsi a guardarlo. Aveva bisogno che lei lo guardasse, perché quel pomeriggio già troppe volte si era sentito impotente nei suoi confronti.

La Pevensie sussultò, voltandosi e rendendosi conto di quanto le fosse vicino Peter. Si rese anche conto di essere in groppa ad Antares, che aveva arrestato la sua marcia appena lei aveva avuto quel brusco risveglio.

Alle spalle del Re intercettò Caspian, che la stava fissando con la fronte aggrottata e le fece un timido stiramento di labbra. Si sforzò di sorridergli, ma una stretta del biondo le fece riportare all'istante gli occhi su di lui. Sussultò per la scintilla implorante che vide negli occhi di Peter e ne restò spiazzata.

-Io...- provò, non sapendo cosa dire. Si schiarì la gola, sentendola raschiare. Non ricordava se le fosse stato chiesto qualcosa.

-Come stai?- la aiutò il maggiore, precedendola, lasciandole andare il polso. Evelyn si portò quello stesso braccio al petto, cercando di riordinare la mente.

Scorse Lia e Dhemetrya poco più avanti che la osservavano, serie. Si accorse poi della presenza di Edmund dietro di lei e delle sue mani attorno alla vita. Ebbe un brivido e non seppe definire se fosse per l'emozione di essersi accorta in quel momento di averlo così vicino o per il freddo che sentiva.

-Io... non lo so- mormorò, strizzando gli occhi e portandosi la mano alla testa, passandosela tra i capelli. La luce del sole che filtrava tra i rami degli ultimi alberi prima che la foresta si aprisse sulla radura le iniziava a dare fastidio. Sentiva freddo e la testa pesante.

Peter si scambiò uno sguardo con Edmund e Caspian, facendo cenno ad Antares.

-Andiamo- disse, riprendendo a camminare ed andando in testa al gruppo, accanto a Lia.

Il biondo lanciò uno sguardo a Dhem, uno sguardo disinteressato che quasi istantaneamente si trasformò in uno studio della sua figura eterea e longilinea prima che se ne rendesse conto.

Era come se la vedesse realmente per la prima volta da quando si erano ritrovati tutti insieme.

Notò le labbra martoriate, gli zigomi scavati e le occhiaie profonde di chi non dorme da giorni, i boccoli increspati raccolti a casaccio, le braccia magrissime e le spalle esili.

Ebbe l'impressione che la spavalda ragazza tutta sorrisi che aveva conosciuto giorni addietro e che gli stava quasi antipatica fosse scomparsa e ciò che ne rimaneva... ciò che ne rimaneva non era lei.

Che fine aveva fatto? Perché quel cambiamento radicale?

Si sentì congelare quando Dhemetrya gli restituì lo sguardo che le stava dando, trovandosi specchiato in due baratri blu metallico che ebbero il potere di farlo sentire piccolo ed insignificante.

Peter si sentì colpito nell'orgoglio, vedendo l'espressione della ragazza restituirgli quell'occhiata con una punta di arroganza. Non seppe che dire e voltò il capo, a disagio, riportandolo poi subito dopo sulla ragazza che non lo stava già più guardando, trovando apparentemente molto più interessanti le proprie mani.

E capì, come colpito da un fulmine illuminante, perché di Dhemetrya, creatura di Narnia fino al midollo, sembrava esserne rimasto soltanto un guscio fragile pronto a spezzarsi.

Era colpa sua.


Evelyn sbuffò leggermente, gli occhi socchiusi, cercando di rilasciare la tensione che percepiva nella schiena per ritrovare la posizione apparentemente comoda in cui si era addormentata.

Non doveva avere la mente lucida a causa della febbre che le stava salendo, perché non si rese conto di come si stesse appoggiando senza problemi ad Edmund. Voleva solo godere di quei momenti ancora un po', con la scusa di essere stata appena salvata da quella che poteva essere la sua morte, sfruttando la bolla di protezione che i fratelli sembravano averle costruito attorno.

Ignorava la fatica che Edmund stava facendo per non abbracciarla totalmente e tenere a bada l'impulso di lasciarle dei baci rassicuranti sul viso, limitandosi a irrigidirsi ogni volta gli si spalmava addosso.

Evelyn corrugò la fronte, osservando stancamente davanti a sé senza vedere davvero dove stessero andando.

La melodia l'aveva stordita immediatamente, facendole credere di essere davanti ad un varco per poter ritornare alla Narnia che tanto amava. Si era ritrovata come in un sogno, di quelli in cui ti accorgi che non si tratta della realtà ma non puoi fare niente per svegliarti.

Era stata attirata in una trappola.

Un piano per metterla fuori gioco architettato da... da chi?

I Telmarini non avevano armi magiche a disposizione ed erano ignoranti riguardo ciò che di più proibito e nascosto facesse parte di quel mondo. Dubitava si fossero spinti fino al centro del bosco solo per lei o per catturare uno dei Re con l'aiuto di qualche Narniano. Da entrambe la parti non era possibile che un accordo simile potesse essere stato stipulato.

Si sentì stupida per il modo in cui si era fatta abbindolare senza poterci fare nulla per sottrarsi. Aveva intuito che fosse una trappola, ma sentendo quella musica si era lasciata andare ai ricordi, che prepotentemente erano tornati a galla come il legno che non affonda.

Il suo male.

I ricordi le facevano male. Iniziava a credere di essere troppo legata a Narnia e alle memorie della prima vita che si portava dentro.

Però... come poteva non esserlo? Era stata, ed era, la sua fuga dalla guerra, la sua pace e la sua vita, il luogo in cui aveva vissuto, era cresciuta e in cui aveva sempre sperato di tornare, come un prigioniero che cerca la libertà.

Narnia era la sua casa.

Per tutti quei mesi le era sembrato di essere stata in apnea e tornando in quei luoghi era stato come riprendere a respirare. Non poteva scordare, sarebbe stato un affronto troppo grande – un affronto che non poteva fare ad un luogo a cui doveva dire grazie per la persona che era diventata grazie ad esso.

Preferiva ricordare e soffrire, piuttosto che rinnegare una vita intera.

-Eve-

Quella trafila di pensieri che pensava iniziasse a non avere più senso venne interrotta dalla voce di Edmund, la quale le fece perdere definitivamente il filo del discorso.

Evelyn chiuse gli occhi nel vano tentativo di mantenere la calma, dopodiché si girò leggermente verso il fratello, in attesa, cercando di ignorare la testa pesante.

Non voleva parlare perché temeva di farsi tradire dal proprio tono di voce.

-Come stai?- le domandò lui, dolcemente. Eve gli lanciò una mezza occhiata senza voltarsi del tutto, rendendosi conto che non era propriamente padrona di se stessa.

-Potrebbe andare meglio- mugugnò, approfittando della situazione e appoggiandosi meglio. Le sembrò che Edmund avesse rilasciato uno sbuffo divertito.

-Sei comoda?- le domandò, infatti. Un mezzo sorriso soddisfatto spuntò sul viso stanco della Pevensie, contenta di avere ragione.

-Abbastanza. Ma potrei stare meglio- sentì il petto del fratello gonfiarsi di indignazione.

-Scusami se non sono stato stampato a forma di materasso- le disse direttamente nelle orecchie. Evelyn si portò una mano alla testa, infastidita dal tono troppo alto che aveva usato per parlarle. Non ebbe le forze di riprenderlo.

Sentì delle vampate di calore miste a freddo. Non vedeva l'ora di cambiarsi d'abito e darsi una rinfrescata.

-Tranquillo, mi piaci così- mormorò, senza rendersene conto, tenendo sempre la mano sulla fronte sudata. Se ne pentì due secondi dopo, quando le parve di sentire Edmund smettere di respirare per qualche istante e rendendosi conto di cosa aveva effettivamente detto in preda ai primi deliri della febbre.

Sgranò gli occhi, senza avere il coraggio di muoversi di un millimetro. Era stata una grandissima stupida a lasciarsi andare in quel modo!

Spostò lo sguardo verso Lia, in cerca di una scappatoia, ma la vide molto più avanti con Peter. Ringraziò che il fratello maggiore non fosse nelle vicinanze e sperò che nessuno l'avesse sentita.

-Edmund...- esalò, dopo qualche attimo, incerta, non sapendo bene cosa dire. Cercò di recuperare tutta la lucidità e il coraggio che possedeva. Il cuore le batteva e si sentiva il sangue congelato come se le avessero fatto una doccia ghiacciata.

-Tranquilla Eve- le rispose lui, mimando un sorriso finto e tirato che però lei non poté vedere. La Pevensie si sentì in colpa, inspiegabilmente, ed abbassò il capo.

Edmund si trattenne dallo stringere i pugni, mantenendo la facciata di calma apparente che si portava sempre dietro. Cercò di ingoiare il rospo amaro della delusione che premeva per uscire e di non fare smorfie.

Era ovvio che Evelyn con la propria frase si riferisse al fatto del materasso-comodità – e non altri sensi come lui avrebbe sperato. Era inutile che si facesse illusioni, anche se quelle parole gli avevano fatto volare il cuore. Si era sentito come se sarebbe potuto schizzargli fuori dal petto.

Se fosse stata una vera confessione sarebbe stata la sensazione più della che avrebbe provato nella vita. Ma in quel modo erano state solo l'ennesima coltellata che gli veniva inflitta senza malizia dalla persona che amava.

Evelyn si impose di non sospirare, sentendo il peso della paura sciogliersi lentamente. Si era esposta per sbaglio, ma sembrava esserle andata bene. Edmund non sembrava aver percepito – e come poteva immaginare, grazie ad Aslan? – il significato nascosto dietro le sue parole.

Ma per quanto ancora poteva nascondersi?

Notò che alla rifugio in cui si erano riuniti i Narniani mancava davvero poco: stavano attraversando la grande radura, e da quella distanza era visibile il fermento che si agitava tra quelle creature intente nell'assolvere i propri doveri.

Si morse un labbro, godendosi la sensazione del macigno della vergogna e della sofferenza creatosi negli anni alleggerirsi.

Era come se un pezzetto si fosse staccato e sciolto, dopo che quelle mezze parole di affetto che le erano scappate dalla bocca prima che potesse fermarle. Come se il peso da portare fosse minore... e la colpa non così grande.

-Arrivati!-

Sussultò di sorpresa, trovandosi improvvisamente da parte Caspian. Lo osservò vari attimi, smarrita, cercando di ordinare al suo corpo di sorridere e prendere la mano che lui le porgeva per aiutarla a smontare da cavallo.

S'immobilizzò a studiarlo, cercando di leggergli negli occhi qualsiasi segnale che potesse farle capire se poteva aver ascoltato il discorso di poco prima. In risposta ricevette un'occhiata perplessa che il ragazzo si scambiò con il Pevensie dietro di lei e si riscosse, cercando di esibire il migliore sorriso che potesse fare nelle condizioni psico-fisiche in cui si trovava.

-Grazie- gli sussurrò, con la voce un po' roca, quando la posò a terra. Il Principe le offrì un braccio per aiutarla a reggersi in piedi, memore della debolezza che l'aveva colta appena avevano spezzato l'incantesimo.

Edmund le fu subito da parte, Peter la osservava da pochi metri di distanza accanto a Dhemetrya.

-Grazie... a tutti- si forzò di dire, soppesando gli occhi dei presenti che le stavano intorno. Senza di loro sarebbe stata sicuramente spacciata. Diede una carezza a Lia e Antares, scambiandosi poi uno sguardo con Peter che annuì, serio, osservandola entrare nella cripta insieme al Principe.

Sua sorella doveva riposare e aveva già mandato un fauno ad avvisare Lucy e Susan del loro ritorno, chiedendo di mandarle da lui con estrema urgenza. Sapeva già che le sorelle gli avrebbero fatto centinaia di domande.


***


Peter ed Edmund fissarono a lungo il punto in cui Evelyn era sparita, avvolti da un pesante silenzio che nessuno dei restanti osò interrompere. Troppe domande si susseguivano nelle loro menti tanto da lasciarli senza parole e con l'animo in subbuglio.

Si scambiarono uno sguardo, sapendo di essere in sintonia con i pensieri, e si voltarono verso i tre Narniani.

-Vi ringrazio dell'aiuto- fece il maggiore, accennando un lieve inchino con il capo, cercando di non scomporsi. Edmund gli lanciò una leggera occhiata di rimprovero, schiarendosi la voce per togliere il velo di silenzioso imbarazzo che si era posato su di loro.

-Si, grazie mille. Se fossimo stati da soli probabilmente...- lasciò in sospeso la frase, soppesando i loro visi e soffermandosi su quello della lupa. Era intuibile la fine che avrebbero potuto fare soprattutto se non ci fosse stata Lia a capire l'inganno che c'era dietro.

I tre annuirono, capendo i ragionamenti che stavano mettendo in tumulto le menti dei due giovani Re.

-Non preoccupatevi. E' stato... naturale, aiutarvi- Peter fissò lo sguardo su Dhemetrya, che aveva parlato. La ragazza stava guardando Edmund, sforzandosi di sorridere al ragazzo che le aveva espresso la propria riconoscenza, cercando di mostrare una forza che in quel momento probabilmente non aveva.

-Siamo in debito con voi- disse, catturando l'attenzione della ragazza su di sé. Si ritrovò imprigionato di nuovo in quegli occhi blu e percepì una fastidiosa sensazione di disagio crescergli nel petto. Non aveva ancora capito come inquadrarla, Dhem, e la cosa gli metteva addosso ansia.

-Dovere- s'intromise Lia, facendo un passo in avanti. La mora sussultò trovandosela da parte, rendendosi conto di quanto si fosse lasciata andare nei confronti della Narniana che tanto mal sopportava.

Era diventata proprio debole.


Sentì l'aria accarezzarle il volto e cercò di rilassarsi sotto il suo tocco delicato.

-Ora credo che... possiate andare. Vero Peter?- domandò Edmund, voltandosi verso il fratello. Quello gli annuì per l'ennesima volta nel giro di poco tempo, congedando i tre Narniani che diedero loro le spalle e si avviarono verso un punto isolato della radura. Dovevano parlare e riflettere senza rischiare di essere sentiti.


***


-Susan-

Lucy richiamò l'attenzione della sorella maggiore, che stava controllando la punta dei suoi dardi appoggiata ad una gradinata all'interno della sala nella quale si trovava la tavola di pietra su cui Lu, come poche sere prima, aveva passato il tempo in attesa del ritorno dei fratelli.

Le torce rischiaravano i volti delle due, mentre il calore era ben diffuso e le pietre sparse per terra, o le colonne in piedi, creavano strani giochi di ombre.

-Si?- domandò la Pevensie, calma, spostando lo sguardo sulla sorellina per osservarla. Passò le dita tra le piume rubino, lentamente, saggiando il lieve prurito che le diedero ai polpastrelli.

Sospirò, ripensando all'ansia che aveva provato quando si era accorta che nessuno dei suoi fratelli era al rifugio, a parte la minore che ora la stava osservando, dubbiosa. Sistemare i propri dardi era uno dei pochi metodi che riuscisse a calmarla, facendole distrarre la mente.

Osservò il volto della Pevensie, le sopracciglia corrugate in un'espressione di perplessità. Erano li da quando l'aveva richiamata poco tempo prima ma non avevano parlato di niente d'importante.

Aveva solo bisogno di sapere che Lucy – almeno lei – le fosse vicina e visibile, in quelle ore in cui le sembrava che tutto le stesse scivolando dalle mani.

Fortunatamente la Valorosa sembrava aver capito il suo stato d'animo perché non le aveva fatto nessuna domanda, limitandosi a rassicurarla con la sua presenza.

Susan sospirò, per l'ennesima volta, mettendo via la freccia che si stava rigirando tra le dita.

Dove si erano cacciati tutti? Peter era sparito e non era da lui andarsene senza avvisare, e nemmeno da Edmund, sempre calmo e ragionevole. Dubitava anche che Caspian avrebbe potuto tenere un comportamento simile, allontanandosi senza avvisarla.

Avvisarla...?

Si morse l'interno di una guancia, scuotendo la testa.

Avvisare.


Il Principe non si sarebbe mai allontanato senza avvisare qualcuno delle proprie intenzioni. Forse avrebbe dovuto mandare qualcuno a cercarli? Il fatto che fossero tutti scomparsi senza dire nulla la agitava. Poteva essergli successo qualcosa e loro non ne sapevano niente, attendendo il loro ritorno senza muovere un dito.

Riportò l'attenzione sulla sorellina, che aveva continuato ad osservarla senza però dire nulla, soppesando dai tratti del viso come la mente della sorella maggiore stesse lavorando per creare delle giustificazioni ragionevoli che non scatenassero il panico.

Non potevano dire all'esercito che i loro comandanti era spariti o far capire quanto la preoccupazione iniziasse ad accompagnare i loro pensieri. Sarebbe stato un suicidio.

Susan mise a fuoco il volto di Lucy, intimandosi di mantenere la compostezza che l'aveva sempre caratterizzata, ma lo sguardo perso che la più piccola le stava dando di rimando le fece tremare il respiro.

Lucy era pensierosa. Troppo pensierosa. E se Lucy non parlava, travolgendoti con i suoi discorsi salterini e a volte forse un po' troppo bambineschi, voleva dire che c'era davvero qualcosa che non andava.

Uno stato di ansia la colse, ma si impose di non mandare agli occhi ciò che stava sentendo nel cuore. Susan si sentì un po' persa, non potendo fare affidamento sull'innocente positività della sorella minore.

La sua mente tornò a macchinare senza che lo volesse.

Forse erano in pericolo, magari dei Telmarini li avevano attaccati, si erano persi, o forse Peter e Caspian stavano litigando persi da qualche parte a colpi di spade e male parole e gli altri stavano provando dividerli.

Si rese conto che l'ultima opzione era la più positiva.

Doveva stare calma.

Tentò di rassicurarsi, aggrappandosi disperatamente a tutta la capacità di ragionamento e analisi che l'aveva sempre aiutata a mantenere la calma anche nelle situazioni più difficili e che tutti le invidiavano.

Se fossero stati in pericolo avrebbero trovato modo di chiedere aiuto… forse.

I Telmarini erano impegnati alla costruzione del ponte a Beruna ed avevano troppe superstizioni su Narnia per entrare nella foresta in piccoli gruppi.

Però... se invece fossero stati gli altri ad andarli a spiare? Erano abbastanza temerari e fuori di testa per farlo e forse li avevano scoperti.

Si impose nuovamente la calma, respirando lentamente e scocciata con se stessa. Voleva mettere fine a tutte quelle macchinazioni che sicuramente non la stavano aiutando. Sperò che stessero solo esplorando i dintorni.

-Cosa c'è?- Riportò l'attenzione su Lucy, alzandosi per camminare in modo da aiutarsi a rimanere impegnata a fare altro.

-Secondo te gli altri dove sono?- le domandò la più piccola. Susan sorrise tirata, rendendosi conto che avevano gli stessi dubbi. Decise di restare vaga.

-Saranno in giro a perlustrare i dintorni, sai come sono fatti. Soprattutto Eve e Peter, che non riescono a stare fermi per molto senza fare nulla- disse, cercando di essere rassicurante. Sapeva benissimo che le sue parole suonarono come una bugia, specialmente per il tono fintamente indifferente che aveva usato, ma Lucy non glielo fece notare.

La minore delle Pevensie annuì, poco convinta. Preferiva vederli davanti ai suoi occhi, solo allora sarebbe stata del tutto tranquilla e sicura. Ma, senza prove che ci fossero dei problemi, continuare a logorarsi era solo dannoso. A che pro preoccuparsi senza certezze?

Decise di cambiare il discorso, per cercare di alleggerire la tensione, iniziandone uno decisamente più leggero.

-Allora, Sue... cosa ne pensi di Caspian?- domandò, con la voce che trillava di curiosità e uno sguardo volutamente malizioso che ebbe il potere di congelare la Pevensie sul posto. Vide Susan sussultare e si trattenne dal ghignare vittoriosa.

-Che…- iniziò incerta la sorella, spaesata, facendo dardeggiare lo sguardo per la stanza. Non sapeva cosa risponderle. Che le era stato subito più che simpatico? Che aveva subito catturato la sua attenzione? No, decisamente. Sua sorella si sarebbe messa a farle mille e più domande tornando all'attacco come poche ore prima per farle confessare qualcosa a cui nemmeno lei sapeva dare un nome.

-Che domanda è?- deviò, il tono più alto di due ottave. Lucy la guardò contorcersi le dita delle mani sbattendo le palpebre con innocenza.

-Ma dai Sue! Vorrei solo sapere come ti sembra- le spiegò, tranquilla. La maggiore non si fece ingannare dal tono ovvio che aveva usato la sorella, come se si fosse messa sulla difensiva per niente. Conosceva troppo la ragazzina perché la traesse in inganno con i suoi modi innocenti di chi non ha malizia.

Ingoiò un groppone di imbarazzo, quello che le veniva sempre quando si trattava di parlare dei suoi sentimenti. C'era un motivo se non si apriva mai con nessuno.

-E' un bravo combattente, sia con la spada che con la balestra- sputò fuori, alzando un sopracciglio e guardando Lucy come se le spiegasse delle ovvietà.

-Però tu e Peter siete più bravi...- Susan scosse la testa, le guance leggermente rosse, non capendo quella frase e sentendosi in dovere di specificare.

-Non ho detto questo: ho detto che è bravo e che se la cava bene- la sorellina rise di gusto, e Susan la guardò, aggrottando la fronte. Non capiva proprio cosa ci fosse di divertente in quello che aveva detto. Certe volte non sapeva proprio spiegarsi in che modo lavorassero le teste dei suoi fratelli.

-Ma infatti non ho mai detto che non fosse bravo- Lucy ci mise un po' a trovare la compostezza per parlarle, gli occhi sempre luccicanti di chi non potrebbe passare il tempo in modo migliore.

Susan la guardò, arricciando le labbra e alzando per l'ennesima volta un sopracciglio.

-Spiegati- le intimò, incrociando le braccia, in attesa. In quella stanza iniziava a sentire caldo e non seppe dire se fosse lei o il calore generato dai fuochi che andavano costantemente.

-L'ho solo confrontato con te e Peter, ma tu ti sei messa sulla difensiva. Se Caspian non ti interessava non avresti reagito così- Susan sgranò gli occhi, sentendo la gola improvvisamente secca di fronte a quella breve spiegazione che ebbe il potere di farle tremare il cuore.

Lucy cambiò posizione, mettendosi seduta con le gambe a penzoloni, restituendo alla sorella maggiore un sorriso eloquente. La Dolce lasciò cadere stancamente le braccia lungo i fianchi, sospirando sconfitta.

-Si ok, hai ragione. Un pochino mi piace- ammise, guardandosi i piedi e grattandosi una guancia con l'indice, in imbarazzo. Sentì Lucy ridacchiare soddisfatta ma la cosa non la toccò. Era troppo impegnata a pensare che l'aveva detto, l'aveva detto davvero ad alta voce.

Aveva confessato quella verità che le stava diventando troppo scomoda da nascondere. Caspian le piaceva, e anche tanto. E la cosa le faceva paura, perché nessuno era mai riuscito a superare la sua algida compostezza di Regina.

-Guarda che si capisce che da entrambe le parti c'è interesse- le fece notare Lucy, con poco tatto.

Susan alzò lo sguardo da terra, gli occhi sgranati in cerca di conferma di quello che aveva appena sentito. Sentì una morsa allo stomaco vedendo che Lucy annuiva per dare più enfasi alle proprie parole. Aprì la bocca un paio di volte, senza sapere cosa dire, sentendosi travolta da quella confessione.

La minore la osservò, senza rigirare il dito nella piaga come le sarebbe piaciuto fare per metterla in imbarazzo. Susan forse non si rendeva conto dell'effetto che faceva sui ragazzi – o, forse, non voleva rendersene conto. Per anni l'aveva vista precludersi qualsiasi rapporto che andasse al di là della semplice amicizia o di mantenere la facciata con qualche nobile.

Non capiva proprio perché le sue sorelle, ragazze così belle e che sapevano il fatto loro, non si lasciassero andare all'amore.

Si rese conto che tutti loro si erano privati di rapporti importanti mettendo al primo posto i loro doveri di sovrani.

Scosse la testa, dispiaciuta, studiando le gote arrossate di Susan e sentendo il silenzio che era calato tra loro farsi pesante. Forse se fossero rimasti a Narnia quella seconda volta...

-Mie Regine! Mie Regine!-

Le ragazze si voltarono, interrompendo i loro pensieri, rendendosi conto di quanta tristezza stessero mettendo addosso quelle constatazioni che stavano facendo in solitudine.

Il fauno arrivò davanti a loro facendo un inchino e Lucy gli si avvicinò, mettendogli una mano sulla spalla per calmarlo, vedendo come respirasse veloce. Si scambiò uno sguardo preoccupato con Susan.

-Parla. Con calma- disse la maggiore, fissando il Narniano. Tutta l'ansia e le preoccupazioni che aveva cercato di scacciare via dalla mente riaffiorarono prepotentemente. Si trattenne dal mordersi un labbro per il nervosismo, aspettando che il fauno parlasse.

I suoi fratelli...

-Vostro fratello Re Peter chiede di vedervi con urgenza-.


***


-Evelyn, come stai?-

La ragazza si trattenne a stento dallo sbuffare. Aveva perso il conto di quante volte le fosse stata fatta quella domanda. Le faceva male la testa ed era ovvio che non stesse bene, dal momento che sudava come se fosse nel deserto ma aveva freddo ed era pallida.

Alzò le spalle, senza guardare il ragazzo in viso, continuando a rovistare tra le cose sue e delle sue sorelle che erano state raccolte in un baule. Vestiti di ricambio, biancheria, teli per asciugarsi... Il minimo indispensabile che erano riuscite a raccattare in giro, anche grazie alle Narniane che le avevano aiutate, per continuare ad avere un aspetto presentabile e pulito in quei giorni di difficoltà.

Si passò una mano sulla fronte, sentendo i capelli umidi e unti.

Aveva bisogno assolutamente di rinfrescarsi.

Non sapeva come riuscisse a rimanere in piedi con il mal di testa che le premeva sulle tempie e la febbre che le faceva venire le vertigini, ma si rifiutava di mettersi a dormire in quelle condizioni.

Si voltò, trovando Caspian che le dava la schiena per rispettare la sua privacy mentre rovistava in giro. Sorrise, anche se non poteva vederla, sentendosi in colpa per non avergli risposto.

-Sto... male- ammise, e il Principe si voltò istantaneamente verso di lei, preoccupato. Eve rise vedendo i suoi occhi allucinati, come se potesse svenirgli davanti. Ringraziò di non essere una di quelle ragazze che sognavano ad occhi aperti l'uomo dei sogni che le salvasse da tutto, perché Caspian in quel momento ne sembrava l'incarnazione.

-Cos'hai?- le chiese, avvicinandosi di qualche passo.

Evelyn si voltò chiudendo il baule, tornando poi a fissare il ragazzo, stringendosi al petto l'abito di ricambio e l'asciugamano. Non era da lei ammettere di stare male, ma non c'era motivo di nascondersi dietro un dito. Era ovvio che non stava bene e Caspian non era stupido.

-Mi scoppia la testa, ho freddo, ho la nausea, mi sento debole- Caspian le mise una mano sulla fronte sudata interrompendo il suo fiume di parole, memore dei discorsi di Peter ed Edmund mentre tornavano al rifugio.

-Hai la febbre- la sua fu una constatazione semplice ed ovvia, sentendo la pelle di Evelyn bruciare sotto i polpastrelli. La Pevensie annuì, dandogli ragione stranamente senza ribattere con qualche frase sarcastica.

Lo guardò negli occhi, riconoscente. Era anche grazie a lui se stava bene e non era finita nel burrone. Gli doveva un favore enorme e prima o poi sarebbe arrivato il momento in cui si sarebbe sdebitata. Ne era sicura.

-Io... sarà meglio che vada a sistemarmi- mormorò, incerta. Caspian tossì un paio di volte, evitando di guardare il vestiario che teneva in mano per pudore e facendole gesto di andare.

-Certo. Io nel frattempo vado a chiedere di farti fare una medicina- si offrì, pratico, scortandola verso un'altra stanza all'interno della quale la attendevano delle Narniane.

Appena l'avevano vista entrare nel rifugio un paio di faune e una nana si erano offerte di aiutarla, vedendola stare male, iniziando a preparale un catino con acqua calda e sali, e lei non aveva avuto il coraggio di rifiutare il loro aiuto. Aveva bisogno di sentirsi coccolata un po', memore dei lunghi e rilassanti bagni che faceva a Cair Paravel.

I due si fermarono davanti alla porta socchiusa.

-Poi dovrai spiegarmi bene cosa è successo-

Si voltarono l'uno verso l'altra, sgranando gli occhi. Rimasero a fissarsi qualche secondo in totale silenzio, dopodiché Eve sorrise leggermente e Caspian prese parola.

-Direi che ad entrambi manca una parte di storia- disse. Era curioso di sapere come era finita in quella trappola la ragazza. Si schiarì la voce.

-Però prima sarebbe meglio se ti riprendessi. Io vado a cercarti la medicina e a vedere dove sono i tuoi fratelli- le disse, accennando alla porta socchiusa da cui intravide le Narniane attenderla, pazienti.

Eve aprì maggiormente il varco, dando in mano a una fauna il vestiario che aveva portato.

-Direi che hai ragione- Si voltò verso il Principe, che aveva fatto dei passi indietro per iniziare a darle le spalle e gli sorrise, sinceramente sollevata della sua premura.

Peter era sicuramente troppo preso a cercare di capire chi avesse attentato alla sua vita e Susan e Lucy lo stavano sicuramente riempiendo di domande, se avevano saputo cosa era successo, a cui lui sarebbe probabilmente pesato non sapere dare risposta.

Il ragazzo le fece un cenno, pronto a voltarsi, ma Evelyn lo fermò con un'occhiata.

-Ah, Caspian... grazie-.






























































































Ciao a tutti e ben ritrovati :)
Siamo giunti al momento in cui la vecchia versione di questa storia si interrompeva, dopo l'attacco ai danni di Evelyn: dal prossimo capitolo sarà tutto completamente inedito e questa nuova trama potrà finalmente andare avanti. L'unica cosa che rimarrà uguale sarà il titolo, "Figlia del Cielo", ma il contenuto sarà completamente cambiato.
Ringrazio chi ha avuto la pazienza di arrivare a leggere fino a questo punto, a coloro che preferiscono, seguono e ricordano e si sono fermati a lasciarmi un parere che non può che farmi felice. Sperando di non deludervi vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo. <3
Love, D.


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Capitolo 29
*** Figlia del Cielo. ***


Narnia's Spirits
Figlia del Cielo.







-Peter! Peter!-

L'alto Re di Narnia inspirò profondamente per cercare di racimolare tutta la calma e sicurezza che possedeva. Edmund gli lanciò un'occhiata profonda, voltandosi poi insieme a lui verso l'entrata della casa di Aslan, vedendo la figura di Susan arrivare con passo svelto.

Peter si sentì chiuso in una stretta prima di avere tempo di guardarla negli occhi e abbassando lo sguardo, rendendosi conto di essere circondato da due braccia minute, incontrò gli occhioni preoccupati di Lucy che lo guardavano, luccicanti di agitazione.

Forse non era stata una buona idea mandarle a chiamare con urgenza.

Sentì una punta di senso di colpa farlo pentire di quella decisione che aveva contribuito a mettere ancor più agitazione alle sorelle.

La Dolce li raggiunse, abbracciandoli con un sospiro sollevato.

-Cosa c'è? Va tutto bene?- domandò, riservando un profondo sguardo a Peter. Il biondo si sentì messo sotto indagine e si schiarì la voce, rendendosi conto di non sapere come iniziare quel discorso. Susan lo conosceva bene da sapere che i tentennamenti non facevano parte del suo essere.

Le due si guardarono attorno, vedendo gli abitanti di Narnia in fermento come li avevano lasciati – e non messi sull'attenti come succede in caso di pericoli. Non sembrava che avessero saputo qualcosa, ma era anche possibile che al momento non dovessero venire alla luce di fatti che potevano minare l'equilibrio di quelle truppe appena ripresesi.

In quell'analisi del posto in cui stavano ormai da giorni si resero conto della mancanza di Evelyn e Caspian.

-E' successa una cosa-

Le due Regine riportarono l'attenzione su Peter, con sguardo perplesso e allarmato. Erano totalmente in balia delle sue parole e della nota di grave preoccupazione che oscurava i suoi occhi.

-...Cosa?- mormorò Lucy, con un filo di voce. Aveva paura di fare quella domanda ad alta voce ed aprire un vaso di Pandora.

I due ragazzi si scambiarono un'occhiata seria ed Edmund annuì, come per dare forza al fratello maggiore che sapeva si stava infilando in un discorso che gli avrebbe potuto dare il tormento per un tempo indefinito.

Peter sentiva la tensione dell'attesa fin dentro le ossa e osservò le sorelle, i loro visi contratti e i respiri bloccati, percependo la loro ansia. Era sicuro che gli stava quasi venendo un infarto e ammirò come gli stessero lasciando il tempo di mettere in ordine i pensieri e trovare le parole adatte per parlargli. Al loro posto sarebbe già scoppiato.

Si guardò intorno, optando per parlare senza che qualcuno potesse sentire, avvicinandosi alle sorelle e posando le mani sulle loro schiene per sospingerle a camminare.

-Venite, andiamo a discutere dentro-.


***


Non appena arrivarono allo spiazzo in cui erano sdraiati prima che andassero a riprenderla Dhemetrya cercò rifugio tra le chiome di uno dei grandi alberi che facevano da confine tra la radura e la foresta, salendoci sopra con un agile balzo aiutata da una ventata d'aria.

Da quel punto poteva anche vedere ciò che succedeva tutto intorno e se qualcuno di sconosciuto si fosse avvicinato non le sarebbe sfuggito allo sguardo.

Accarezzò la corteccia marrone, sentendo la ruvidità del legno sotto i polpastrelli e sospirando pesantemente per la mancata risposta di quella creatura chiusa da anni nel silenzio. Dhem sentì addosso tutti quei secoli di vita pesarle immensamente.

Lia si sdraiò tra l'erba, riprendendo apparentemente la posizione di relax che aveva, Antares si limitò a fermarsi accanto all'albero fingendo di mangiare l'erba.

I tre stettero in silenzio vari minuti, soppesando la natura intorno a loro e percependo i propri animi in tumulto. Sapevano fin troppo bene le emozioni che stavano provando ed i pensieri che si affollavano nella mente di ognuno di loro.

Era qualcosa che non potevano permettersi ma che non riuscivano a fermare.

Avrebbero dovuto essere imparziali, impassibili. Le emozioni ed i sentimenti erano qualcosa che a creature come loro erano proibiti. Troppo umani perché gli fossero concessi, troppo mutevoli per aiutarli nella conservazione di un equilibrio che per troppe volte si era rivelato instabile e precario.

Eppure, la prova che anche i loro animi potessero essere scossi, le loro menti annacquate dai dubbi... erano la conferma di quanto la Grande Magia ed Aslan avessero fallito. Per più e più volte, fin dall'alba dei secoli, fin da quando la prima particella di Narnia era stata creata, fin da quando le prime creazioni ne avevano calpestato le terre magiche e respirato l'aria.

Lia sospirò, percependo il peso del dovere e della lealtà strisciarle addosso.

Non potevano permettersi quei pensieri.

Il fato degli eventi che avevano sconvolto Narnia era qualcosa che la Grande Magia non poteva prevedere, la scomparsa di Aslan per così tanto tempo sicuramente aveva un suo significato che sarebbe venuto alla luce.

Dovevano restare fiduciosi.

Percepì l'aria farsi aspra e s'irrigidì, alzando il volto di lupo verso le fronde sopra di lei, scorgendo la pallida figura di Dhemetrya appoggiata al tronco con gli occhi apparentemente chiusi.

Non le piacevano i discorsi che stava pensando. Aslan e la Grande Magia erano spesso argomenti scottanti e la ragazza ne fuggiva ogni volta.

-Chi è il mandante, secondo voi?-

Lia non smise di contemplare Dhem, che teneva ostinatamente gli occhi chiusi come a volersi isolare dal mondo. L'unica parte che mostrò di aver percepito la domanda fu il suo orecchio, che si piegò in direzione di Antares.

Decise di voltare del tutto lo sguardo verso il compagno, dandogli la sua attenzione, lasciando la Narniana libera dai suoi occhi indagatori e sempre troppo pacati per i suoi gusti. Lo soppesò qualche attimo con la profondità che solo il suo sguardo riusciva a raggiungere e Antares sbuffò, sentendosi a disagio per quell'analisi.

Gli venne il dubbio di aver fatto una domanda stupida ma si riprese, ricordando la conversazione avuta con Lia mentre tornavano: nessuno di loro aveva idea di cosa fosse successo o dei motivi. Per quello c'era bisogno che ne parlassero, condividendo pensieri ed ipotesi. Era il modo migliore per evitare di trovarsi impreparati di fronte a possibili minacce.

-C'è solo una persona che ha sempre attentato al trono di Narnia- disse Lia, distogliendo lo sguardo dal cavallo e fissandolo nel cielo.

“E' morta.” S'intromise Dhemetrya, lapidaria, sapendo a chi si riferisse.

Tutti sapevano benissimo di come Jadis fosse stata sconfitta da Aslan secoli addietro. Era impossibile che il leone avesse avuto una svista tale da permetterle di tornare in vita e cercare di riportare il gelo nella loro terra.

Antares nitrì, socchiudendo gli occhi.

-Nessuno fa una colpa ad Aslan, Dhem- le spiegò, sospirando. La sua voce risuonò falsa perfino a lui che era quello che solitamente faceva da paciere.

Era ovvio che se il grande leone non se ne fosse andato, sparendo per secoli, loro non sarebbero stati in quella situazione e Narnia sarebbe potuta essere ancora la terra rigogliosa in cui erano nati.

Sospirò, perso nei propri pensieri, ignorando la ventata di aria fredda che pungente gli schiaffeggiò il muso, come a riprenderlo per quelle parole bugiarde appena dette.

-Certo che no- diede manforte Lia, ovvia. Jadis era una strega, era potente ed era stata scaltra ad approfittarsi della situazione di debolezza che era creata secoli addietro. Niente le impediva di aver tramato nell'ombra qualche piano per poter riuscire a tornare alla ribalta al tempo più opportuno.

Dhemetrya schiocciò la lingua contro il palato, assottigliando gli occhi in modo diffidente.

“Sarà...” Rivolse lo sguardo alle fronde che si chiudevano attorno a lei.

Era arrabbiata in qualche modo con Aslan per il lungo silenzio e la pesante assenza a cui li aveva costretti, ma non riusciva a permettere che qualcuno ne osasse anche solo pensare male a riguardo.

Una parte di sé voleva proteggere il nome del leone, dargli in cambio quella fiducia che sempre le aveva trasmesso, l'altra avrebbe voluto prenderlo a pugni e male parole. Aveva abbandonato Narnia e aveva abbandonato tutti loro. Li aveva condannati ad una vita sospesa, una vita che rischiavano di perdere da un momento all'altro.

Aveva abbandonato lei.

Era un sentimento strano, un misto di orgoglio ferito e speranze spezzate taglienti come uno specchio rotto, qualcosa che ribolliva sotto pelle a cui non riusciva a dare nome e che forse nemmeno aveva il diritto di provare.

-Ciò che pensi non è scorretto, Dhemetrya-

La mora sussultò sorpresa, portando lo sguardo in basso e incrociando i volti dei due Narniani. Il tempo sembrò fermarsi per qualche secondo, finché non percepì una sorta di calore attorno a sé, come un abbraccio confortevole che ebbe il potere di calmarla e svuotarle la testa.

Sentì qualcosa incrinarsi all'altezza del cuore e si morse un labbro.

-...Vi odio-


***


Susan sospirò, lasciandosi alle spalle il calore dei fuochi nella casa di Aslan che scoppiettanti continuavano ad ardere.

I Narniani avevano lavorato per tutto il giorno, forgiando armi e armature, ignari di ciò che era accaduto nel bosco qualche ora prima, sopportando il caldo e la fatica.

Gli occhi color ghiaccio della Regina dardeggiarono per la radura, come a volersi assicurare personalmente che non ci fossero intrusi, fermandosi poi ad osservare oltre le fronde degli alberi.

Il sole stava lentamente calando e i raggi che penetravano tra le chiome davano dei dolci bagliori aranciati alla natura che silenziosa circondava quel rifugio immerso nel verde. Strizzò leggermente gli occhi, focalizzando i profili delle montagne oltre cui il cerchio dorato stava iniziando a nascondersi.

Sospirò leggermente, passandosi le dita tra i capelli per lisciarli e andando poi a passarle sulla gonna del vestito per togliere delle pieghe immaginarie.

L'abito lilla sembrava in tinta con i colori che presto avrebbe assunto il cielo di Narnia – era una cosa che Evelyn si era premurata di dirle una delle prime sere che erano tornate, mentre rapita poteva osservare di nuovo quei tramonti che tanto le erano mancati.

Susan si morse un labbro, incassando le spalle, ed evitò volutamente di guardare i bersagli con cui si allenavano gli arcieri spiccare ai lati della radura. Sapeva troppo bene che se le fosse venuta voglia di mettersi a tirare con l'arco per scaricare la tensione nessuno l'avrebbe più schiodata. Ma non era quello il momento adatto per cercare di evitare ciò che provava o per affogare i propri pensieri.

Sospirò per l'ennesima volta in poco tempo e si trovò irritante perfino per se stessa.


***


Il calore dei fuochi li invase, facendogli quasi mancare l'aria per la differenza di temperatura, ma nessuno osò pensare che fosse troppo fastidioso per essere sopportato.

Effettivamente, dal momento che era pieno giorno e l'ambiente era chiuso, restare all'interno del rifugio con tanti focolai accesi dava la sua dose di fastidio – specialmente considerando che l'autunno con le prime brezze di freddo si faceva ancora attendere a stemperare la temperatura.

Ma tra i Narniani nessuno in quei giorni se ne era lamentato e il caldo non era mai sembrato troppo insopportabile.

Forse il calore che percepivano sottopelle in quel momento non era altro che l'ansia e l'agitazione che li facevano accaldare per niente.

Susan si costrinse a non tossire sentendo la gola secca, cercando di non fare caso alla fronte sudata ed evitando di domandarsi perché mai proprio in quel momento quell'ambiente le sembrasse troppo ostile, troppo stretto e troppo chiuso quando invece avrebbe dovuto essere fonte di rifugio.

Sapeva benissimo che doveva limitarsi a seguire Peter insieme ad Edmund e Lucy con la calma e la compostezza che riusciva sempre a manifestare, cercando di tenere inchiodato in fondo agli occhi il terrore che chiunque troppo attento avrebbe potuto vederle.

I suoi fratelli erano tornati, Caspian era tornato. Non c'era motivo di preoccuparsi troppo.
No?

Si voltò verso Lucy, come a cercare conforto nel volto sempre ottimista della sorella. La Pevensie le si ancorò al braccio mentre si avvicinavano alla stanza della tavola di pietra, offrendole quel sostegno che molte volte in momenti di difficoltà aveva sempre trovato pronta a darle quando lei sentiva che si stava per spezzare sotto le troppe pressioni.

Lucy era la più piccola ma aveva imparato ad sviluppare dai suoi fratelli tutte quelle che si potevano definire le loro migliori qualità, imparando a sfoggiarle quando loro sembravano sul punto di cedere e riuscendo così a tenerli sempre uniti e dandogli la forza di reagire – come una luce sempre accesa che ti mostra la via di casa nelle notti più buie.

Una volta arrivati, Peter si fermò al centro, puntando lo sguardo su Aslan, mentre Edmund si sedette su alcuni gradini portandosi le mani tra i capelli e guardando il pavimento.

Le sorelle rimasero ferme vicine alla tavola spezzata, indecise se spezzare quel mutismo da parte dei fratelli e temendo ciò che non volevano dirgli.

-Peter... cosa è successo?-

Lucy si avvicinò al maggiore, posandogli una mano sul braccio per cercare di farsi osservare in viso. Il maggiore ruotò il busto verso di lei, decidendo dopo un sospiro di voltarsi verso le sorelle.

Lasciò cadere stancamente le braccia lungo i fianchi con un sospiro, elaborando una frase che non mettesse troppo in allarme le ragazze, ricordando i loro visi preoccupati quando lo avevano raggiunto fuori.

-Qualcuno ha cercato di attaccare Evelyn- Lo precedette Edmund, serio, osservando la Pevensie. Qualcuno aveva attentato alla vita di sua sorella e lui percepiva ancora l'arrabbiatura e lo spavento fin dentro le ossa.

Susan si portò una mano alla bocca, sbattendo gli occhi sconvolta, mentre Lucy si voltò verso Peter inchiodandolo con lo sguardo.

-E' vero?-

-Come? Perché?- si intromise Susan, avvicinandosi di qualche passo. Si costrinse ad appoggiarsi ad una delle colonne spezzate sentendo le gambe molli ed Edmund si alzò di scatto vedendola pallida.

-Scusami, forse dovevo dirlo in un altro modo- la guardò con un'ombra di senso di colpa negli occhi, avvicinandosi e offrendole il braccio per sostenersi. Percepiva su di sé lo sguardo carico di rimprovero di Peter e si morse un labbro per non essere riuscito a trattenersi.

-Tranquillo, ma...è vero?- domandò, rivolgendosi al maggiore. Quello annuì, circondando con un braccio le spalle esili di Lucy che gli si era ancorata alla casacca e li osservava, spaesata da quella notizia.

Susan si portò una mano alla fronte.

-Ci mancava anche questo- mormorò, socchiudendo gli occhi. Dunque non aveva sbagliato a pensare che tutte le sparizioni che c'erano state fossero strane.

Sospirò, cercando di cacciare in un angolo del cervello la vocina che sempre più insistente le diceva che invece lei era rimasta con le mani in mano tutto il tempo.

-Come è successo? Chi è stato?- chiese Lucy, guardando dal basso Peter. Quello sospirò, schiarendosi la voce e decidendosi a parlare. Era inutile continuare a tergiversare per niente, ormai doveva raccontare tutto e non c'era modo che la cosa suonasse meno grave di quello che era.

-Non lo so. Sembravano due ninfe, ma... usavano la magia, avevano un flauto incantato- provò a spiegare, ma si rese conto che aveva ancora i pensieri confusi dalla paura e dall'agitazione. Lo sguardo che gli restituì Susan gli fece rendere conto che non doveva essersi spiegato molto bene.

-Erano due ninfe, o streghe. Hanno usato un incantesimo per soggiogare Evelyn e allontanarla dal campo, per poi...- si fermò, ricordando vividamente la scena del burrone, gli occhi ghignanti di vittoria e i sorrisetti delle due nel vedere la Pevensie alla loro mercé.

-Abitanti di Narnia? Che attentano alla nostra vita?- Lucy si staccò da Peter, sbattendo le palpebre confusa da quella confessione. Da quando i Narniani li volevano morti? Era un pensiero che la sua mente si rifiutava di accettare. Gli ultimi ribelli erano morti o si erano arresi con la fine di Jadis.

-Se non fossimo arrivati non oso immaginare come sarebbe finita- fece Edmund, serio. Lucy posò lo sguardo su di lui, mentre Peter annuì grave ringraziando tacitamente che nessuno quel giorno fosse troppo preso dai propri doveri.

Susan gli si avvicinò, posandogli una mano sul braccio. Sentiva la testa girarle.

-Le ha mandate qualcuno?-

-Sicuramente si, ma non ho idea di chi potrebbe esserci dietro- confessò il maggiore, ricordando le ultime parole di una delle due. Aveva un sospetto, ma si rifiutava di pensare che davvero potesse esserci ancora lei dietro tutto ciò. Sarebbe stato come il ritorno di un incubo e non aveva tempo – nessuno di loro lo aveva – da perderci dietro.

-Jadis? Ma è stata uccisa da Aslan- Tutti si irrigidirono, voltandosi e posando gli sguardi allucinati su Lucy.

La ragazza si era avvicinata alla scultura di Aslan e aveva posato una mano sulla pietra riscaldata dal calore dei fuochi. Le sembrava quasi di poter sentire in quel modo il calore dell'animale sotto i polpastrelli.

Peter serrò la mascella, rigido, mentre Susan ed Edmund si scambiarono delle occhiate incerte.

Nessuno aveva avuto il coraggio di dire quel nome ad alta voce, ma ognuno di loro non aveva potuto evitare di pensare – anche solo per un attimo – che l'unica persona con un potere abbastanza grande da resistere nel tempo potesse essere lei.

La minore dei Pevensie si morse un labbro, dubbiosa.

-E' morta... da anni- soffiò, cercando conferma negli sguardi dei fratelli. Aslan non poteva aver permesso che una donna – no, una Strega, nel vero senso della parola – così potente e temibile tornasse.

Edmund distolse lo sguardo, troppo carico di pensieri e sentimenti per poter essere neutrale, Susan aveva negli occhi le sue stesse domande. Peter osservò la figura di pietra, cercando di non percepire il serpente del dubbio e del timore strisciargli addosso.

-...Già-


***

 

-Ahia!-

-Perdonami, non ti avevo visto!-

Susan alzò lo sguardo, ritrovandosi davanti il volto allarmato di Caspian. Erano sempre stati così espressivi i suoi occhi?

Ci mise qualche attimo ad accorgersi che il Principe l'aveva presa per la vita per evitarle una caduta rovinosa a terra. Arrossì di botto, staccandosi come se si fosse scottata e ringraziando il tramonto per rendere tutto color rossastro.

Caspian tossì un paio di volte per cercare di far scemare l'imbarazzo.

-Scusami ancora, non stavo guardando dove andavo- le disse, senza il reale coraggio di guardarla in faccia. Susan alzò le spalle, minimizzando come se non fosse successo nulla.

-Sono io che ero in mezzo all'entrata- spiegò, rendendosi conto del tempo perso nelle proprie riflessioni. Come suo solito si era persa a pensare, ignorando il tempo che scorreva. Cercò di non sentire i battiti del suo cuore che le sembravano particolarmente assordanti in quel momento.

-In realtà ti cercavo-

Si voltò verso Caspian, sorpresa da quella confessione e in parte allarmata.

-E' successo altro?- domandò, avvicinandosi leggermente al ragazzo.

-No, no. Tranquilla- le disse, posandole le mani sulle spalle come per calmarla. Quando si accorse dello sguardo quasi terrorizzato con cui Susan si osservò ai lati del viso si affrettò a toglierle e incrociarle dietro la schiena, pentendosene.

-Volevo solo sapere come stavi. Sai, l'aver saputo dell'attacco, Evelyn che non sta bene...- le spiegò, prendendo a camminare a casaccio verso la radura. Susan lo seguì quasi in automatico, camminandogli a fianco e prendendosi a torturarsi le mani.

In altre circostanze, Caspian avrebbe voluto provare a fermarla prendendola per mano, ma non sapeva se quella fosse la situazione più adatta, con tutto ciò che era successo e la miriade di pensieri che di sicuro le stavano passando per la testa.

Forse un gesto così, seppur semplice, avrebbe potuto darle fastidio e non voleva fare niente che potesse allontarla da lui.

-Si, beh... non è stata una giornata facile nemmeno questa- mormorò la Regina, sospirando. Da quando erano tornati sembrava che non avessero diritto nemmeno ad un po' di pace.

-Comunque ti ringrazio. Le Narniane mi hanno detto che le hai procurato una medicina. Sei stato molto gentile- disse dopo qualche attimo di silenzio, sincera. Caspian si fermò, sentendosi alleggerito da quella frase. Era contento di essere stato in qualche modo utile e sentirselo dire da lei non poteva che fargli piacere.

-Peter ed Edmund erano ancora troppo agitati per pensarci- continuò Susan, senza aspettare una risposta.

Ricordò di come Evelyn stesse già riposando quando lei ed i fratelli avevano finito di parlare su ciò che era successo. Avrebbe voluto domandarle come stesse e sentire cosa era successo da lei, ma l'aveva lasciata dormire.

Lucy era andata da Trumpkin e Trufflehunter, Peter dai soldati ed Edmund non aveva visto dove fosse sparito.

-Adesso bisogna capire chi c'è dietro, dubito siano stati i Telmarini a rivolgersi alla magia. Non ci voleva anche questo con la guerra alle porte- Si morse l'interno di una guancia, percependo l'agitazione per quella situazione che si stava complicando strisciarle sotto pelle.

Il Principe la lasciò fare, godendosi quell'apertura al dialogo da parte della Pevensie, limitandosi ad annuire alle sue riflessioni.

Erano domande lecite che tutti loro si stavano facendo. Ma concordava sul fatto che piuttosto che rivolgersi alla magia suo zio si sarebbe fatto impiccare, perché doveva rispettare ciò che il suo popolo si aspettava da lui e sicuramente rivolgersi al nemico per un aiuto non gli avrebbe reso onore.

-Andrà tutto bene- provò a tranquillizzarla, rivolgendole un sorriso sghembo.

Il sole ormai era calato oltre le montagne e i Narniani stavano facendo il cambio per i turni di guardia. La foresta attorno a loro sembrava ancora più chiusa nel silenzio e per la prima sera da quando si trovavano li entrambi percepirono quanto potessero esserci pericoli nascosti nell'ombra ad osservarli.

Caspian si occhieggiò intorno e Susan si strinse nelle spalle, cercando di scacciare la sensazione di pericolo che percepiva. Sicuramente era tutto frutto della sua mente e degli eventi di quel giorno.

Tornarono verso l'entrata della Casa di Aslan, sentendosi più rilassati mano a mano che si avvicinavano a quel luogo ormai familiare.

-L'importante è che ora tua sorella si riprenda e credo che tu ed i tuoi fratelli abbiate bisogno di una bella dormita- Susan sorrise sinceramente addolcendo lo sguardo, grata delle premure del ragazzo.

-Hai ragione.-


***


Le passò una mano sulla fronte sudata, bagnando poi il panno che era caduto sul cuscino nel catino d'acqua fresca che stava da parte al letto di fortuna che era stato creato.

L'espressione di Eve sembrò rilassarsi a contatto con il freddo del fazzoletto imbevuto di liquido trasparente.

Edmund sospirò, occhieggiando la stanza in cui si trovavano: era quella che avevano usato appena arrivati al rifugio e che dopo l'attacco al castello di Miraz avevano lasciato per i feriti. Fortunatamente i più grazie alla pozione di Lucy si erano ripresi o erano stati spostati in altri ambienti, così la stanza era stata liberata per far si che Evelyn potesse riposare senza gente che entrava e usciva.

Edmund le tirò le coperte fin sotto il mento, fingendo di sistemare cose già a posto, di lisciare lenzuola già fin troppo tirate. Ripassò il panno nell'acqua, tamponandole il viso, osservando gli occhi scattare sotto le palpebre e le sopracciglia aggrottarsi.

Chissà se sognava o se stava facendo un incubo...

Non sapeva da quanto tempo fosse lì, però non riusciva a schiodarsi. Il suo corpo si rifiutava di muoversi, come se fosse stato fissato sul posto.

Sapeva che rischiava di svegliarla ogni minuto che passava, la sua mente gli gridava di andarsene e lasciarla stare, che aveva bisogno di dormire e che era al sicuro, protetta da tutti, nessuno avrebbe potuto raggiungerla, ma... non riusciva a lasciarla.

Appena accennava a muoversi o alzarsi gli sembrava che il volto addormentato di Eve lo chiamasse, implorando un nuovo contatto fresco del panno, o la sua mano a spostarle i capelli dal volto.

-Edmund...-

Sapeva che non era colpa di nessuno, eppure non poteva evitare di sentire il senso di colpa affossarlo ogni minuto di più che passava, mano a mano che vedeva Eve agitarsi per colpa della febbre che sicuramente stava salendo.

Per fortuna Caspian sembrava aver mantenuto i nervi saldi e aveva fatto preparare una medicina appena erano tornati. Sperò che Eve si sarebbe rimessa in piedi nel giro di qualche giorno. Aveva bisogno di vedere che stava bene.

-Edmund?-

Il moro si irrigidì, voltandosi di scatto e portando istintivamente una mano sull'elsa della spada.

-Per l'amor del cielo Edmund, sono io-

Il Pevensie si grattò la nuca, in imbarazzo, osservando Lucy rivolgergli un'occhiata di rimprovero. Doveva rilassarsi, altrimenti rischiava di far qualche casino.

Non si domandò da quanto tempo la sorella lo poteva star chiamando o cosa poteva aver visto. Dopotutto, non stava facendo nulla di sospettoso...

-Scusami Lucy- le disse, cercando di trovare la motivazione per alzarsi in piedi.

-E' meglio lasciarla risposare- mormorò la minore, avvicinandosi ed inginocchiandosi. Lasciò una carezza sulla guancia di Eve, capendo perché Edmund fosse restio a lasciarla sola. Eppure non potevano fare altro che aspettare che la medicina facesse effetto e torturarsi come se fossero al suo capezzale non avrebbe fatto bene a nessuno di loro.

-E dovresti dormire anche tu-

Edmund sospirò, seguendo controvoglia la minore fuori dalla stanza dopo che quella gli fece cenno eloquente di uscire. Gli sembrò terribilmente Susan in quel momento e non ebbe il coraggio di ribattere, sentendo il peso di tutta quella giornata pesargli addosso.

-Va bene.-


***


-Come sta?-

Dhemetrya scese dall'albero, finendo volutamente sulla groppa di Antares. Nel buio della notte rischiarata dalle stelle che iniziavano a splendere in cielo, la figura di Lia si muoveva felina per raggiungerli al confine con la foresta.

-Ha la febbre- mormorò la lupa, mantenendo un tono di voce neutro e per niente preoccupato.

Al rifugio poco lontano da loro, i Pevensie e Caspian si stavano coricando per dormire e tutto ciò che aveva percepito erano strascichi di conversazioni: nessuno di loro era più andato a parlare con i tre Narniani e quelli li avevano lasciati stare, consapevoli che avevano bisogno di tempo per assimilare i pensieri e le emozioni.

-Nel giro di qualche giorno guarirà- constatò Antares, strascicando uno zoccolo a terra. Lia si limitò ad annuire, soppesando le emozioni che percepiva nell'aria intorno a lei e la poca magia sparsa in giro per Narnia. Sembrava essere sempre meno e la cosa era preoccupante. C'era bisogno che le cose subissero un cambiamento nel giro di poco tempo.

Dhemetrya incrociò le braccia al petto, aggrottando la fronte. Aveva passato tutto il pomeriggio a rimuginare su chi poteva essere stato ad attentare alla vita di Evelyn, ma non riusciva a darsi una spiegazione.

Aveva anche ripensato al passato, a tutte le figure che avevano incontrato o con cui avevano avuto a che fare, a chi poteva sapere i loro segreti, ma nessuno le era saltato particolarmente alla mente facendole suonare un campanellino d'allarme.

L'unica che poteva sapere qualcosa, dal momento che si era insinuata a Narnia approfittando della sua scomparsa, era Jadis.

Sentì una fitta al cuore, Dhem, una di quelle che non sentiva da diverso tempo e si portò una mano al petto, stringendo il tessuto della casacca tra le dita sottili.

Evelyn le assomigliava così tanto, ma era anche così profondamente diversa...

Percepì gli occhi farsi lucidi e con un saltò tornò a nascondersi tra le fronde dell'albero su cui era stata fino a poco prima.

Si accoccolò contro la corteccia robusta, lasciando che i capelli le coprissero parte del volto, nascondendoglielo come le fronde attorno celavano la sua persona ad occhi esterni, percependo su di sé il candido tocco della luna che silenziosa li avrebbe osservati torturarsi di pensieri e ricordi tutta la notte.

“Ahislyn...”





































































































Ciao a tutti!
Eccomi di ritorno con questo nuovo capitolo :D
Allora, che dire? Stiamo iniziando ad avvicinarsi ai capitoli che daranno finalmente una botta di vita a questa storia! Questo ed il prossimo capitolo sono di assestamento, poi si incomincia un po' a ballare e insomma... più andiamo avanti più arrivano nuovi misteri che mi diverto a lasciarvi qua e la ma state certi che ogni cosa ha una spiegazione.

Si aprono le scommesse su chi sia questa "Ahislyn".
Vi anticipo invece che tra 3/4 capitoli scapperà un bacio. :D

Nota: dal momento che mi viene difficile pensare a Evelyn ora (che io ho più di vent'anni e non più 16) come a una di quindici anni e poco più, (quasi quattordici quando ha scoperto Narnia + un anno e mezzo a londra) ho arrotondato un po' le cose. Dicevo che la storia è ambientata intorno a maggio/giugno, con Eve che fa gli anni a Gennaio, invece sposto tutto di qualche mese in più (tipo fineine agosto, quindi a londra sono stati poco più di un anno e mezzo. Nella storia non ho mai specificato bene che stagione fosse o i mesi precisi mi pare, però mano a mano rileggerò tutto per sistemare eventuali incoerenze). Nella narrazione se c'è bisogno arrotonderò scrivendo che lei ha quasi sedici anni mentre Edmund diciassette (contando sempre che sono già cresciuti una volta). Lucy ne ha sui dodici/tredici, Susan poco più di diciotto e Peter quasi venti come Caspian. (Si, nei libri credo siano decisamente più piccoli.)

Perdonatemi la tediosità ma ci tengo a precisare queste cose per essere in pace con me stessa anche se magari non vi interessano.  
Per il momento non credo di avere altro da dire, ringrazio delle letture, dei preferiti, seguiti, ricordate e soprattutto un ringraziamento a coloro che si sono fermati a lasciarmi un parere - è davvero di aiuto alla mia motivazione :)
Alla prossima,
D <3


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Capitolo 30
*** Sguardi perduti in parole di gratitudine. ***


Narnia's Spirits
Sguardi perduti in parole di gratitudine.









-Buongiorno Evelyn.-

-Buongiorno Lia, come stai?-

La risata leggermente roca della lupa si espanse per la stanza. La Narniana osservò la figura della Pevensie scattare seduta, stiracchiarsi e tirarsi in piedi nel giro di qualche minuto.

Si sentì sollevata nel rivederla piena di vita e pronta per tornare a quella che era diventata la sua routine al campo di Aslan durante quelle settimane passate al rifugio.

-Forse dovrei chiedertelo io.-

Eve lanciò un'occhiata alla lupa mentre si sistemava i vestirsi, quasi avesse paura che potesse fermare da un momento all'altro ciò che stava facendo.

Era stata giorni ferma in quella stanza, con i fratelli, Caspian e Lia che avevano fatto avanti e indietro per farle compagnia quando si sentiva meglio o si stava annoiando. Era sicura di aver visto anche Dhemetrya qualche volta, venuta forse a sorvegliarla di nascosto, probabilmente convinta che stesse dormendo – ma non sapeva dire se fosse veramente lei o l'immagine causata dai deliri dati dalla malattia.

La febbre ci aveva messo un po' a scendere, a differenza di quello che aveva pensato, e lei non aveva potuto muoversi per quasi una settimana, salvo gli ultimi paio di giorni in cui le avevano permesso di uscire per qualche passeggiata all'interno del rifugio.

Aveva passato il tempo dormendo e rimuginando su tutto ciò che era accaduto, contemplando la figura di Aslan incisa nella pietra con il solo silenzio a farle compagnia interrotto talvolta dal rumore del ferro battuto, lo scoppiettare delle fiamme o la delicata presenza di Lucy.

Gli aveva rivolto domande e riflessioni, domandosi se mai avrebbe avuto una risposta a tutto ciò che erano le questioni irrisolte che si aggiravano nella sua testa.

Nel frattempo Narnia aveva donato loro di un temporale: le truppe di Telmar che stavano costruendo il ponte erano state costrette a fermarsi qualche giorno per non rischiare di finire trasportate via dal fiume in piena.

Quello che dai Telmarini era stato visto come un contrattempo aveva migliorato l'umore di Peter, perché in questo modo avevano guadagnato tempo per prepararsi ed Evelyn avrebbe avuto più tempo per riprendersi. Mai i suoi fratelli lo avevano visto sorridere soddisfatto guardando le gocce di pioggia cadere ininterrottamente dal cielo come in quelle giornate.

-Sono pronta per riprendere la vita di sempre, mi sento benissimo.-

La ragazza si diresse verso la porta a passo svelto: non si ammalava quasi mai, le poche volte che succedeva però riusciva a stare davvero male e inoltre stare per forza ferma a letto non le piaceva più come un tempo. Soprattutto considerando che si trattava di dormire su un pavimento di pietra. Per quante coperte le avessero messo sotto, la durezza dei sassi le aveva dato dolori alla schiena non indifferenti.

Dovette ammettere, però, che quei giorni le avevano permesso di dissipare tutta la stanchezza accumulata in precedenza. Si sentiva carica come da tempo non succedeva.

-Mi fa piacere.-

Lia si limitò a seguire la ragazza per le varie gallerie della Casa di Aslan, silenziosa come un'ombra, accompagnandola con la sua presenza in quel giro tortuoso che la stava portando verso l'esterno del rifugio.

Quando sentì i raggi del sole posarsi sopra il vestito e la luce accecarle gli occhi Eve sorrise, ispirando a pieni polmoni l'aria aperta e la sensazione di non essere più come rinchiusa in gabbia.

Ci mise qualche attimo per riuscire a focalizzare l'ambiente circostante in cui si trovavano, ma come poche volte vedere quel piccolo spiazzo di erba ed alberi in cui erano in qualche modo relegati le diede un senso di sollievo quando se lo trovò davanti allo sguardo.

Finalmente poteva tornare a godere dell'aria fresca, dell'aria tra i capelli, dei rumori della natura e della vita di quella terra che per troppo tempo le era mancata.

Non aver potuto uscire come desiderava le aveva messo addosso quasi la stessa tristezza di quando era a Londra – seppur senza motivo reale –, perché la vista di quel luogo già dal giorno dopo le era iniziata a mancare – per quanto diversa rispetto ad un tempo. Voleva cogliere ogni più piccolo dettaglio di Narnia, imprimerselo nella memoria, recuperando tutti i momenti persi e passati in una città troppo grigia, troppo distante e soffocante, per poter essere chiamate casa.

-Guarda chi è tornata dal mondo dei morti.-

Eve si voltò con tutta la serenità che riuscì a trovare, sorridendo, avendo già associato alla figura che si avvicinava in controluce la voce canzonatoria di Caspian.

-Eh, hai visto? Sono ancora qui... per tua fortuna.- disse, con tono malizioso e facendogli l'occhiolino. Caspian alzò gli occhi al cielo capendo a cosa alludesse.

Ogni giorno aveva chiesto a Lucy se ci fossero stati sviluppi tra il moro e la sorella maggiore, ma quella le aveva sempre risposto che più di qualche tempo passato insieme tra allenamenti e dialoghi abbastanza sterili la relazione tra i due sembrava come bloccata.

Non faticava a credere che per Caspian potesse essere difficile intraprendere dei discorsi con Susan che riguardassero altro oltre alla vita di corte o le truppe, nonostante lei avesse cercato di convincerlo a provare ad avvicinarsi di più, perché per quanto Sue fosse ai suoi occhi attenti irrimediabilmente presa – come mai l'aveva vista verso altri ragazzi – ancora non riusciva a lasciarsi andare.

-Preferivo quando avevi la febbre.- le confessò il Principe, alzando un sopracciglio. Almeno quando era a letto poteva andarsene dalla stanza quando il discorso si faceva troppo imbarazzante senza che quella lo tediasse troppo.

Evelyn alzò le mani in segno di resa e Lia accanto ai due rise.

-Va bene, va bene. Ti lascio stare solo perché sono appena guarita.- gli disse, alludendo con un cenno del capo a quella che era stata la sua dimora fino a quel momento.

Caspian le sorrise, soddisfatto di averla avuta vinta, dandole un leggero buffetto sulla guancia e portandole poi davanti al viso la balestra, che quella osservò leggermente dubbiosa.

-Dai vieni, facciamo qualche tiro.-


***


-Cosa ci fai qui?-

Dhemetrya si bloccò dal prendere le frecce quando la voce di Susan le trafisse le orecchie come una pugnalata.

Con tutti i rumori di sottofondo dei Narniani che stavano lavorando e occupata a seguire il dialogo che l'aria le portava tra Evelyn e Caspian non l'aveva sentita arrivare. Si diede della stupida per quella mancanza di attenzione.

-Prendevo le mie cose.- Ruotò il busto per poter osservare in volto la Pevensie, lasciando cadere stancamente il braccio lungo il fianco.

La Regina non sembrava ostile, però riusciva a metterle addosso un velo di soggezione con quello sguardo perennemente sospettoso con cui guardava tutti e che le stava riservando in quel momento. Forse era colpa della continua freddezza che sprigionava, così diversa dal suo dover cercare di vedere sempre le cose con spensieratezza, che la rendeva diffidente nei suoi confronti.

La Pevensie si avvicinò di qualche passo, studiando l'arco in mano alla ragazza e le frecce risposte con cura nella faretra verso cui l'aveva vista allungare la mano. Non ricordava che Dhemetrya avesse messo le proprie cose in armeria, ma si limitò a tenere quel pensiero per sé.

-Usi frecce bianche?- le domandò, accennando ai dardi sullo scaffale. Dhem aggrottò la fronte, infastidita per quell'analisi che sembrava stesse facendo alla sua persona e a tutto ciò che la riguardava.

-Si, da sempre- si limitò a dirle, prendendo le proprie cose. Sentire sotto i polpastrelli il legno intarsiato del suo arco riuscì a infonderle la calma necessaria per sopportare quella presenza non richiesta.

Susan la sorprese sbattendo una mano a pugno sul palmo dell'altra, indicandola con un dito e un'espressione che Dhem non riuscì a decifrarle.

-Aspettami qui!- le disse, sparendo oltre la porta prima che potesse ribattere.

La ragazza sospirò pesantemente, non capendo quell'improvviso cambiamento di atteggiamento. D'istinto avrebbe voluto uscire subito da quel posto, ignorando la richiesta della Regina, ma la parte più razionale e comprensiva di se stessa le ricordò che non c'era bisogno di comportarsi come dei maleducati rischiando di creare altri attriti.

Qualche attimo in più non le avrebbe cambiato le cose, con tutto il tempo che aveva a disposizione.

Osservò le spade non ancora utilizzate, le else dalle varie forme e intarsiature, le frecce, gli archi nuovi, i pugnali dalla lama semplice ma sicuramente letale se utilizzati a dovere.

Forse avrebbe dovuto affilare anche il suo...

Tutto in quella stanza richiamava alla guerra e al sangue e a Dhemetrya iniziava a stare seriamente stretto. Sentì una vampata di caldo e le sembrò di fare fatica a respirare.

Era stanca della guerra, delle grida, del dolore, dei pianti... pur sapendo che non c'erano altre soluzioni. Per secoli era dovuta restare a guardare, senza poter fare niente per cambiare il corso delle cose.

-Chi ha lasciato l'armeria aperta? Quante vol-... ah-

Dhemetrya sussultò nuovamente nel giro di pochi minuti quando la figura di Peter fece la sua comparsa sulla soglia della porta con una leggera irruenza, strappandola bruscamente dai suoi pensieri.

Il ragazzo s'immobilizzò, lasciando la frase a metà e rimanendo imbambolato a fissarla leggermente spaesato con ancora la mano sulla maniglia.

-Pensavo l'avessero lasciata aperta per distrazione.- si giustificò, grattandosi la nuca e riprendendo il controllo della situazione. Con tutta la gente che lavorava o che si allenava ed aveva bisogno di prendere e riporre le armi non era insolito trovare la porta di quella stanza aperta. Peter aveva più volte ripreso tutti chiedendo di fare attenzione, dal momento che non si trattava di giocattoli.

-Si... figurati, nessun problema. Stavo per andarmene.- tagliò corto la Narniana, distogliendo lo sguardo e portandosi davanti agli occhi l'arco che teneva in mano.

Ogni volta che vedeva il volto di Peter ricordava ancora di come l'avesse liquidata quando si era appena unita al gruppo e aveva cercato di fargli cambiare idea sull'attacco, di come avesse portato alla morte quei pochi restanti Narniani che ancora abitavano quelle terre.

Le ricordava di come avrebbe potuto imporsi per cambiare la sorte di quelle vite e invece si era limitata a chiudersi nel silenzio, quello stesso silenzio che per decenni l'aveva accompagnata diventando parte di lei.

Peter le ricordava di come di lucente e positivo, in lei, non ci fosse più niente, se non dei finti sorrisi e una speranza che ogni tanto si ricordava di riaccendere.

Il Pevensie si schiarì la voce un paio di volte, indeciso se portare avanti il discorso con quella ragazza che ogni volta gli riservava sguardi ostili e distacco.

Aveva più volte provato a intraprendere un discorso nei giorni precedenti, perfino con Caspian le cose sembravano essersi appianate, ma Dhemetrya continuava imperterrita a tenerlo lontano e sembrava decisa a non volergli dare nemmeno per sbaglio l'occasione di avvicinarsi e lui non trovava il coraggio di iniziare un discorso mettendo da parte l'orgoglio con quella che era una sconosciuta.

Sospirò stancamente, Peter, facendo qualche passo in direzione della ragazza che ostinatamente non lo guardava in faccia se non per qualche secondo. Rhindon al suo fianco tintinnò leggermente, catturando l'attenzione di Dhem sull'elsa della spada.

Il Re approfittò di quel momento per studiare nuovamente il volto della mora, la pelle sempre molto pallida e il corpo troppo magro per i suoi gusti, anche se non sembrava più nelle condizioni trasandate con cui era riapparsa quasi una settimana prima.

-Puoi smetterla di fissarmi?-

Peter sbatté un paio di volte le palpebre, rendendosi conto che Dhemetrya lo aveva nuovamente inchiodato con lo sguardo. Si ritrovò a sentirsi quasi affogare nel blu dei suoi occhi e una scossa gli fece venire la pelle d'oca, facendogli ingoiare il boccone amaro dell'imbarazzo.

-Ci siamo già incontrati?- si lasciò sfuggire, ancor prima che potesse capire ciò che stava per dire. La Narniana alzò un sopracciglio, dubbiosa.

-Cosa?- mormorò, poco convinta. Un sorrisetto sghembo di scherno le comparve sul volto senza che potesse farci nulla, osservando l'espressione dubbiosa con cui la stava guardando il ragazzo.

-Non penso sia possibile.- lo liquidò, prendendo la faretra con un gesto quasi seccato e dandogli quasi le spalle. Si morse un labbro senza farsi vedere.

-Eppure sono convito di aver già visto i tuoi occhi. Hanno un colore particolare.- continuò, ormai vinto dalla curiosità.

Sapeva che era impossibile, ma una parte di lui voleva sapere. Doveva sapere. Quegli occhi così particolari avevano tormentato molte delle sue notti insonni in quelli che per Narnia erano secoli addietro.

-Vi sbagliate, Re Peter. Non ero io. Prima di queste circostanze non vi ho mai incontrato.- Dhem sbuffò palesemente e una vocina nella mente del Pevensie gli sussurrò che aveva ragione e lui forse stava dando di matto. Erano passati centinaia di anni e il ricordo della figura di Dhemetrya non compariva da nessuna parte nella sua mente.

-Forse qualche tua parente, che tu sappia?- Azzardò ancora, avvicinandosi maggiormente. La mora arretrò un poco, studiando il volto del ragazzo ed i suoi occhi pieni di domande, frapponendo tra loro l'arco. Si morse la lingua reprimendo l'istinto di dargli uno spintone e scappare fuori da quella stanza, sentendo addosso la dubbiosità con cui la stava guardando il ragazzo pungolarla come tanti spilli e percependo di venire messa alle strette.

-Lo escludo- si limitò a dire, superandolo e avvicinandosi alla porta. Peter sembrò deluso da quella risposta tanto che abbassò leggermente il capo, pensieroso. Poi tornò a guardarla, sorridendo leggermente e avviandosi verso l'uscita, lasciandola interdetta per quel cambio di espressione repentino.

-Allora devo essermi sicuramente sbagliato. Scusami.-

Peter se ne andò via così come era arrivato, lasciandola nuovamente sola con i propri pensieri e l'arco stretto spasmodicamente tra le mani come se fosse l'unica cosa a tenerla ancorata alla realtà.

-Cosa ci faceva qui mio fratello?-

La figura di Susan fece nuovamente capolino nella stanza pochi secondi dopo che il Pevensie se ne era andato via. Dhemetrya evitò di roteare gli occhi per tutte quelle presenze che sembravano essere stranamente attirate da lei quel mattino, desiderando ardentemente un po' pace.

-...Qualcosa riguardo l'armeria.- borbottò, alzando le spalle con indifferenza. Si era completamente dimenticata di Susan e del fatto che le aveva detto di aspettarla.

La ragazza la osservò con rinnovato sospetto per qualche secondo, poi sembrò rilassarsi e le si fece vicina.

-Questa è tua?- le domandò, quasi sventolandole davanti al viso una freccia dalle piume bianche.

Aveva detto ad Evelyn che l'avrebbe tenuta per lei, ma dopo aver visto la faretra di Dhemetrya le si era accesa una lampadina e la sua testa aveva lavorato da sola alle possibili conclusioni.

La ragazza osservò perplessa il dardo, pensierosa e senza sapere cosa rispondere, sentendo su di sé lo sguardo attento della Pevensie.

Dire di si avrebbe comportato ammettere che li aveva seguiti e spiati fin da quando aveva appena rimesso piede in quella terra. Non sapeva come avrebbero potuto reagire a quella verità. Era anche ovvio, però, che quel dardo le apparteneva... Optò per dire una mezza verità.

-S-si... Si, è mia. Quel giorno passavo per caso e ho vis-...- Si interruppe, Dhem, sconcertata nel ritrovarsi le braccia di Susan attorno al collo e una serie di ringraziamenti mormorati all'orecchio con voce quasi spezzata. La Pevensie, quella l'aveva guardata sempre male, la stava... abbracciando?

Rimase immobile per quel gesto improvviso ed inaspettato, percependo il calore del corpo di Sue a contatto con il proprio, finché non fu la Regina a staccarsi per poterla guardare in viso, rivelandole di avere gli occhi leggermente lucidi.

Alzò un sopracciglio, non capendo quella reazione, restando rigida nella posizione che aveva assunto. Susan le prese una mano tra le proprie, lasciando indietro un po' della compostezza che si portava sempre dietro.

-Ti ringrazio, ti ringrazio davvero per essere intervenuta. Se non ci fossi stata tu, a quest'ora Lucy...- lasciò la frase in sospeso, percependo la gola secca sotto quell'ipotesi e la mente riportarle agli occhi quelle immagini che avevano sfiorato la tragedia.

Dhemetrya annuì, capendo dove volesse andare a parare, continuando a osservare gli occhi carichi di gratitudine della Pevensie quasi come se vedesse per la prima volta una persona commossa – effettivamente, non era roba da tutti i giorni vedere la Regina piegarsi così apertamente alle emozioni.

-E' stato un caso...- mormorò, continuando con quella versione. Susan le sorrise, allontanandosi da lei e lasciandole le mani. Alla Narniana quasi dispiacque non percepire più il tocco gentile della ragazza sulle dita.

Scosse la testa allontanando quelle riflessioni inopportune. Stare in mezzo a quelle persone le stava dando alla testa, non erano da lei certi pensieri.

-Te la restituisco, è tua. Ti ringrazio ancora moltissimo, anche da parte dei miei fratelli.- La Dolce le mise in mano la freccia prima che potesse ribattere.

Dhemetrya guardò l'arma e poi la Regina, facendo passare lo sguardo da una all'altra un paio di volte e tossendo imbarazzata dalla piega che aveva preso la situazione.

Per la prima volta dopo tanto tempo sentì un moto di felicità farle vibrare l'anima di soddisfazione. Sapere di avere aiutato qualcuno era qualcosa che riusciva sempre a metterle il buonumore e quei ringraziamenti non potevano che farle piacere, specialmente in mezzo a tutta la sofferenza patita e le difficoltà che erano successe fino a quel momento.

-... Figurati.-


***


Era una sera di festa a Cair Paravel, una delle tante che venivano organizzate per poter migliorare i rapporti con i regni vicini e creare alleanze. Era ormai diventata abitudine che saltuariamente i Pevensie organizzassero banchetti in cui si premuravano di invitare i nobili ed i regnanti che governavano le terre oltre Narnia.

Dal momento che la loro terra era stata per più di cento anni sotto l'influenza della Strega Bianca che aveva fatto terra bruciata attorno a sé era necessario che il nome di Narnia venisse ripristinato.

Peter si stava dando da fare in ogni modo possibile per poter essere un Re degno del suo ruolo e finalmente, dopo pochi ma intensi anni di lavoro e trattati stipulati con il supporto dei fratelli, sembrava essere riuscito nel suo intento di portare Narnia alla gloriosa età dell'oro.

Da tempi immemori non si vedeva una prosperità simile in quei luoghi abitati dalle creature più bizzarre e ogni occasione era buona perché i Narniani si complimentassero con lui.

-Anche stasera sembrano tutti soddisfatti.-

Peter allontanò il calice dalle labbra percependoci sopra il sapore del vino e lanciò uno sguardo ad Edmund da sotto la maschera, vedendo che come sempre aveva in mano un piattino pieno di dolci.

-Bevono e mangiano in quantità, mi sorprenderei del contrario.- rispose, poggiando il bicchiere su uno dei tanti tavoli posizionati attorno alla grande sala da ballo.

Edmund represse una risatina e fece dardeggiare gli occhi per la stanza, individuando le figure delle sorelle dietro le maschere che avevano indossato intente a parlare con un gruppetto di persone di cui sicuramente faticava a ricordare il nome senza poterle vedere in faccia.

Il suo sguardo indugiò qualche secondo di troppo su Evelyn, che dialogava con quello che a prima vista sembrava un condottiero, ma distolse lo sguardo prima di incappare in qualche cosa che avrebbe preferito non vedere.

Nemmeno a farlo apposta, l'orchestra iniziò a suonare una nuova canzone e delle coppie si diressero verso il centro della sala per poter ballare.

Il moro avrebbe tanto voluto andare via da quel posto per starsene un po' in pace, ma il senso del dovere glielo impediva fin dentro le ossa. Non avrebbe fatto sicuramente una bella figura sparendo nel nulla.

A tirarlo fuori dalle sue riflessioni ci pensò Peter: il fratello gli tirò una leggera gomitata ma assestata quanto bastava perché gli facesse mancare l'aria per qualche secondo.

Il Giusto si voltò irritato verso il biondo, fulminandolo con lo sguardo per quel gesto, ma prima che potesse dire qualcosa una ragazza gli si parò davanti e fu costretto a lasciare perdere tutte le imprecazioni che sentiva premere sulla punta della lingua per rivolgerle la sua totale attenzione.

-Volete ballare con me, Re Edmund?- La ragazza fece un inchino e lui le rispose con un baciamano, notando come per l'imbarazzo non avesse il coraggio di guardarlo fisso negli occhi nemmeno con il volto nascosto. Provò un moto di tenerezza nei suoi confronti e non se la sentì di rifiutare.

-Volentieri.-

Peter osservò soddisfatto suo fratello andare in pista a ballare – almeno si sarebbe distratto un po'. Fece dei cenni ad un gruppo di invitati, restando fermo nella sua posizione per poter osservare con estrema calma ciò che succedeva per la stanza.

La sua idea era sempre quella di controllare che tutto andasse per il meglio, passare tra la gente e assicurarsi che stessero bene, ma non poteva rifiutarsi dal ballare o intraprendere dei dialoghi se qualcuno gli si avvicinava. Cosa che, come per Edmund pochi minuti prima, successe anche a lui.

Si ritrovò a volteggiare al centro della sala nel giro di pochi secondi, seguendo il ritmo della canzone più per abitudine e mantenimento dell'etichetta che per reale trasporto.

Forse complici i troppi calici di vino bevuti che lo avevano reso brillo, la confusione del parlare attorno a lui, gli sgargianti colori degli abiti, non seppe dire come si fosse ritrovato a ballare anche la danza che veniva dopo, e quella dopo ancora.


Preso dal volteggiare insieme alla dama di turno in un misto di noia e confusione si perse ad osservare tra la folla, vedendo scorrere in poco tempo davanti ai propri occhi sempre le stesse maschere, gli stessi sorrisi, le stesse espressioni. Finché non ci fu un dettaglio che catturò la sua attenzione in quel mare di confusione in cui gli sembrava di stare annegando, spiccando tra la marea di dettagli in un modo a dir poco anormale seppur nella sua semplicità.

Qualcuno lo stava fissando dal bordo della pista.

Qualcuno con due occhi così profondamente blu da riuscire ad attirare la sua attenzione per quel colore particolare perfino a quella distanza.

Peter continuò a ballare, cercando spasmodicamente ad ogni movimento di non perdere il contatto con quei baratri che erano riusciti ad ammaliarlo così tanto, ma il minimo di compostezza che riuscì a racimolare con fatica gli fece evitare di lasciare la ragazza con cui stava ballando nel bel mezzo della pista.

-Re Peter?-

Fissò quegli occhi che lo osservavano, cercando di dare un volto alla proprietaria, accorgendosi vagamente che indossava un abito altrettanto blu e domandandosi perché non riuscisse a collegare quello sguardo a nessun nome di nessuna invitata e perché era la prima volta che li vedeva in tutta la serata.

Era sicuro che se li sarebbe sicuramente ricordati se li avesse visti qualche altra volta prima di quella sera. 

Un'intrusa?

-Re Peter?-

Il biondo riportò lo sguardo sulla sua compagna di ballo, notando la vena di preoccupazione che le oscurava gli occhi per la sua distrazione sempre più palese.

-Scusatemi, devo aver bevuto troppo e ora ne sento gli effetti.- si giustificò, provando un lieve senso di colpa per essersi fatto cogliere sul fatto. Sperò che la ragazza non si fosse offesa.

-Se volete possiamo interrompere.- gli venne incontro quella, gentile. Se lo facesse solo perché era il Re o perché davvero ci tenesse alle sue condizioni non seppe dirlo.

-Ve ne sarei molto grato.- la accompagnò verso bordo pista, lasciandola con un inchino e rinnovando le scuse ma internamente sollevato. Ora avrebbe potuto avvicinarsi a quella sconosciuta senza dover inventare qualche scusa.

Si ritrovò a guardare tra la folla, ricercando quel contatto che tanto lo aveva scombussolato nell'ultimo punto in cui l'aveva lasciato, ma non trovando nessuno sguardo ad attenderlo. Si avvicinò a passo svelto a quel punto della sala, guardandosi spasmodicamente intorno, invano.

Finché non se li trovò di nuovo davanti agli occhi in un modo così inaspettato che lo fece sussultare sul posto.


La ragazza gli diede le spalle nel giro di qualche secondo e scomparve in mezzo alla folla, non lasciandogli il tempo di fare nulla.

Non la rivide mai più.


***


Peter si fermò sulla soglia dell'entrata ad osservare la figura di sua sorella affiancata da Caspian.

Aveva ancora in testa la conversazione con Dhemetrya e quel ricordo che era tornato a galla più vivido di quanto avesse creduto possibile, ma non poteva che pensare che la ragazza avesse ragione.

Sicuramente si stava confondendo o i ricordi gli stavano facendo un brutto scherzo, non era possibile che una ragazza di vent'anni avesse vissuto con le stesse sembianze per più di un millennio, nessuna creatura magica o della foresta possedeva tale longevità - che lui sapesse.

Inoltre era sicuro che avrebbe riconosciuto quello sguardo in mezzo ad altri mille se lo avesse rivisto, ma con il tempo il ricordo si era cancellato, finendo dimenticato in un angolo della sua mente, e lui aveva smesso di cercare tra le invitate, arrendendosi. Era stato qualcosa di intenso e fugace senza possibilità di un futuro.

Fece dardeggiare gli occhi per la radura, individuando le figure di Evelyn e del Principe insieme a qualche arciere davanti ai bersagli per allenarsi al tiro con l'arco.

Il biondo sospirò, sollevato, vedendo Eve ridere e scherzare indicando qualcosa che aveva a che fare con il tiro che aveva appena fatto, non potendo fare a meno di sentirsi coinvolto da quei sorrisi.

Sicuramente Caspian aveva notato quanto poco portata fosse la minore rispetto a Susan e la stava prendendo in giro, come talvolta era capitato a loro quando facevano a gara a Cair Paravel ed Evelyn perdeva quasi sempre – per quanto fosse testarda nel riprovarci ogni volta per migliorare. Non era un caso se l'arco era stato dato solo alla Dolce secoli prima. Erano cose che erano già state scritte nella storia, forse prima ancora che nascessero.

-Sembra stare bene.-

Il Re Supremo non ebbe bisogno di voltarsi, riconoscendo nel suono che gli arrivò alle orecchie la voce delicata e rassicurante di Susan. Sua sorella lo affiancò, non distogliendo lo sguardo dalla scena che lui stesso stava guardando da qualche minuto con così tanta attenzione.

Si limitò ad annuire, beandosi di quel momentaneo sprazzo di pace che gli veniva offerto senza l'intenzione di romperlo. L'aria era fresca, complice il cambio del tempo di qualche giorno prima e la fine della stagione estiva, l'erba verde si muoveva al tempo delle leggere folate di vento, ma nonostante ciò il sole aveva ancora il potere di rilassare i muscoli sotto il tepore che sprigionava.

-E' vero.- Si voltò leggermente verso Susan, posandole una mano sul braccio: la sorella lo fissò in viso qualche attimo, specchiandosi nel suo sguardo rilassato, domandandosi per quanto ancora avrebbe mantenuto quella serenità che anche solo con il suo tocco riusciva a trasmetterle.

Peter era fatto per le battaglie, per regnare, era sempre stato pronto a battersi per proteggerli, eppure in quel momento Susan si rese conto di quanto il non doversi preoccupare – seppur momentaneamente – di niente lo rendesse ancora più raggiante, di come quegli occhi azzurri liberi dai tormenti la facessero sentire più tranquilla senza bisogno di parole.

Era sempre stato il suo punto di riferimento e niente avrebbe cambiato ciò: nemmeno le decisioni sbagliate che aveva preso, o le sconfitte che avevano subito, o le litigate date dalla divergenza di opinioni. Avrebbe sempre trovato il modo di tornare a credere in lui, perché erano sempre stati loro due, fin da ragazzini, e non poteva ignorare il fatto che se lui era tranquillo automaticamente si sentiva anche lei più sicura.

La Pevensie si schiarì la voce, rendendosi conto che le proprie riflessioni le stavano facendo diventare gli occhi lucidi riportandole alla mente tutto ciò che avevano passato, sia a Narnia che a Londra. La guerra, i bombardamenti, il dover fare praticamente da genitori per Edmund, Lucy ed Evelyn... tutti quei compiti troppo grandi per due ragazzini senza nessuno se non loro stessi.

-Tutto bene?- Peter aggrottò la fronte, vedendo come Susan non avesse più detto niente per vari minuti. Quella sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di trovare la forza di ricacciare indietro quei pensieri ormai a briglia sciolta per la sua mente.

-Si, scusami. Riflettevo sugli ultimi avvenimenti.- mentì. Sperò che il fratello non la guardasse in faccia e la sua voce non risultasse troppo tremula – la conosceva troppo bene perché riuscisse a nascondergli qualcosa.

Il Pevensie le circondò le spalle con un braccio, facendo scorrere lo sguardo per la radura, individuando Lucy ed Edmund con Trumpkin che si avvicinavano ai soggetti delle loro attenzioni di poco prima.

Non seppe dire se non capì davvero o se fece solo finta di essersi bevuto quella spiegazione per non pressarla troppo.

-Ti capisco. Ma bisogna concentrarsi sul futuro ora. Ci aspetta una guerra, e dobbiamo vincerla.-


***


-Credo mi abbia riconosciuto.-

Lia sospirò pesantemente, lanciando delle occhiate in giro per essere sicura che non ci fosse nessuno nei paraggi.

-Sei sicura? E' quello che ha detto?- Antares le si avvicinò, allungando il collo verso il ramo su cui Dhemetrya continuava ostinatamente a restare ormai da giorni. Non era sfuggito a nessuno come il prendere una posizione elevata la facesse sentire più sicura.

Un lieve movimento di foglie scosse la chioma del grande albero secolare e la testa della riccia fece capitolino tra i rami.

-Non ha detto proprio così.- disse, individuando le due figure sotto di lei.

Lia storse leggermente il muso. Forse Dhemetrya si stava preoccupando troppo. In risposta a quei pensieri la ragazza le lanciò un'occhiataccia, poi sospirò.
-Mi ha solo chiesto se ci fossimo mai incontrati, perché gli sembrava di aver già visto i miei occhi.- mormorò, con un filo di voce. Quella confessione che le aveva fatto il Re la metteva in imbarazzo, per quanto le sue intenzioni fossero mosse solo da sincera curiosità.

Nessuno le aveva mai detto una cosa simile.

Anche se non lo avrebbe mai detto ad alta voce, anche se era una cosa che nemmeno avrebbe dovuto pensare, da qualche parte recondita di sé aveva trovato gratificante che qualcuno avesse riconosciuto la sua figura dopo millenni – seppur per un motivo che le sembrava così futile.

Lei che era sempre stata condannata ad essere uno spirito della foresta, una presenza di sottofondo ad eventi più importanti e incontrollati, per la prima volta nella propria esistenza aveva lasciato la propria presenza nella vita di qualcuno.

Sorrise inconsapevolmente e Lia tossì per rompere il silenzio e riprenderla.

-Ti avevo detto di non andare a quella festa.- le ricordò, memore della litigata che avevano avuto. Non era ancora il loro tempo e non potevano immischiarsi negli affari altrui rischiando di far alterare l'equilibrio degli eventi, per quanto pesante potesse risultare dover vivere come ombre.

-Si, si, lo so.- minimizzò la ragazza, irritata. Ormai era andata, che bisogno c'era di ricordarle ancora che non era stata d'accordo con la sua decisione?

Antares le lanciò un'occhiata eloquente e quella gonfiò le guance, irritata, voltando lo sguardo al cielo.

-Volevo solo vederli un po' più da vicino.- borbottò, incrociando le braccia al petto. Lia le diede le spalle, non intenzionata a riprendere quel discorso. Il fatto che Peter avesse dei dubbi le dava già ampiamente ragione e tanto le bastava.

-Comunque sia, non sembrava molto convinto di quello che diceva.- riprese la mora, pensierosa, ricordando gli sguardi incerti che le aveva lanciato.

Era normale che il ragazzo pensasse fosse impossibile che una persona potesse vivere per così tanti anni senza cambiare aspetto – e lei non aveva mai specificato a nessuno che non era umana, o che non era una elementale.

Tutti quelli che aveva conosciuto nella sua epoca d'oro erano morti, quindi anche quella ragazza misteriosa che tanto gli era rimasta in testa pur avendola vista di sfuggita se ne sarebbe ormai essere dovuta andare da tempo. Lei era andata la solo per spiarli un po', non pensava che quello scambio di sguardi fosse rimasto così impresso nella mente del Re.

-Cerca di stare attenta a quello che dici e avere ancora un po' di pazienza.- le suggerì Antares, dolce. La ragazza annuì, guardandolo con un misto di rassegnazione e stanchezza.

Il vento le accarezzò i capelli e lei prese a torturarsi le mani, occhieggiando Caspian insieme ai Sovrani del passato. Automaticamente il suo sguardo si fermò sulla figura di Peter e sbatté gli occhi, sorpresa, come se lo vedesse davvero per la prima volta.

L'Alto Re di Narnia era sempre stato affascinante a modo suo nel corso degli anni, ma vederlo in quel frangente, che rideva genuinamente, con il sole che gli illuminava il viso e gli occhi azzurri che spiccavano in contrasto con i capelli biondi, sembrava quasi una persona nuova. Una persona diversa.

Si perse vari minuti a fissarlo, inculcandosi negli occhi ogni gesto o espressione, tanto che sia Lia che Antares si schiarirono la voce per distoglierla da quella sua fissazione.

Dhemetrya arrossì d'imbarazzo sotto gli sguardi eloquenti dei due Narniani e si voltò, dando loro le spalle. Incrociò le braccia al petto e si rimise nella sua solita posizione, mordendosi un labbro per il nervoso.

A che diamine stava pensando?


***


La mattinata era passata in fretta, più veloce di quanto non fosse abituata a ricordare scorresse il tempo.

Evelyn non ricordava di essersi mai sentita così felice e sollevata negli ultimi giorni li a Narnia. Passare delle ore in compagnia dei fratelli e dei Narniani era stata la cura più buona e potente che avesse potuto prendere dopo quei giorni costretta a letto.

Si era anche sorpresa di come Peter si fosse unito a loro, lasciando perdere per un paio d'ore i doveri che tanto gli affollavano la testa. Aveva apprezzato sinceramente quel tempo che il fratello le aveva dedicato con gli altri, quasi fosse stato un regalo per la sua guarigione.

Eve si diresse all'interno del rifugio decisa a passare dei momenti in solitudine nella stanza della tavola di pietra lasciando scorrere liberamente le proprie riflessioni. Era come se le si fosse inculcato quel rituale e ora non potesse farne a meno.

Si incamminò verso il tunnel, quando una folata di vento la costrinse a coprirsi gli occhi per l'improvviso cambio di direzione della fiamma che ardeva sulla fiaccola che stava usando per illuminare la strada.

La luce del fuoco le portò all'attenzione i graffiti incisi nel muro e che tanto li avevano lasciati perplessi la prima volta che li avevano visti.

Evelyn posò una mano sulla pietra fredda, percependo il ruvido sotto i polpastrelli, facendola scorrere fino a quando non arrivò a passare le dita sulle figure di lei ed i fratelli all'incoronazione.

Si morse un labbro, riportando alla mente lo stato di rovina in cui si trovava Cair Paravel, sentendo una fitta al cuore che la costrinse a chiudere gli occhi per ricacciare indietro le lacrime che infide glieli stavano già facendo diventare lucidi.

Passò poi a cercare la figura di Tumnus sotto il lampione, sorridendo vedendolo disegnato con l'ombrello: quello stesso ombrello che gli era sfuggito di mano per lo spavento finendo in mezzo alla neve quando si era ritrovato faccia a faccia con lei e Lucy.

Certe volte dimenticava tutto ciò che si erano lasciati dietro, presa dai serrati ritmi di ciò che li aspettava ed i cambiamenti a cui si erano dovuti adattare, ma quando i ricordi ritornavano prepotentemente a galla come in quell'istante a sconvolgerle la mente, Evelyn aveva la netta sensazione che prima o poi si sarebbe lasciata andare per la troppa nostalgia.

Era come sentirsi annientata sotto il peso di quella vita che le aveva lasciato un grande vuoto, sentirsi sommersa da un mare in tempesta a cui non trovava le forze per opporsi.

Sospirò pesantemente, passandosi il dorso di una mano sulle guance per asciugarsele e cancellando le prove di quel momento di debolezza.

Occhieggiò solo di sfuggita il disegno di Aslan con in groppa Susan e Lucy, decisa a non volersi soffermare maggiormente davanti a quei ricordi.

Un'ennesima ventata d'aria fece tremare la fiamma tanto che Evelyn credette si sarebbe spenta e sbuffò, non capendo da dove venissero quelle folate di vento che non le sembrava ci fossero mai state all'interno del rifugio. E poi... da quando aveva iniziato a sentire freddo?

Una sensazione sinistra la fece mettere sull'attenti e si guardò intorno, sospettosa, constatando però di trovarsi da sola nel tunnel. Percepiva chiaramente che la temperatura si era abbassata e non ne capiva il motivo. Forse i fuochi si erano spenti a causa dell'aria improvvisa?

La Pevensie decise di muoversi, incuriosita nel cercare di trovare una risposta, percependo la temperatura scendere mano a mano che si avvicinava alla sala della tavola spezzata.

Un brivido le corse lungo la schiena, trovando quell'aria pungente e quasi rarefatta anormale per il periodo ed il luogo in cui si trovava. Le ricordava quasi il gelo che l'aveva accolta a Narnia la prima volta che...

-Oh no.- Evelyn si portò una mano alla bocca, sconvolta dai suoi stessi pensieri.

Possibile... ? No... impossibile. Era impossibile.


Istintivamente si spiaccicò più che poté contro il muro, strisciando nel modo più silenzioso possibile verso la stanza ed abbandonando la torcia esattamente dove si trovava. Si mosse tra i giochi di ombre e luci creati dai pochi fuochi ancora accesi, percependo il freddo penetrarle sempre più nelle ossa e congelarle il respiro.

Quando fu abbastanza vicina all'entrata iniziò a sentire delle voci e si bloccò, immobile, non riuscendo però a capire ciò che veniva detto. Percepiva i propri muscoli tesi come la corda di un violino e il cuore batterle all'impazzata nel petto tanto da farle male.

-Merda.- Cercò di sporgersi per vedere all'interno senza farsi vedere e restò imbambolata. Sbatté le palpebre un paio di volte, per capire se stesse sognando, mentre la paura iniziò a diffondersi in lei esattamente come il ghiaccio congelava sempre di più l'ambiente.

-...Jadis.-




































































































Ciao a tutti e ben ritrovati!
In anticipo di qualche giorno vi porto questo capitolo. Avrebbe dovuto essere di passaggio, ma in realtà ci sono dentro anche qui tante cosine carine.
Evelyn l'ho lasciata un po' da parte, cosa che succederà anche in alcuni punti dei prossimi capitoli, dando modo di uscire anche ad altri personaggi - Dhemetrya si è praticamente presa da sola gran parte della scena, maledetta -, anche se il fatto che fosse lei ad accorgersi di Jadis era una cosa che da anni aspettava di venire scritta.
Nel prossimo capitolo capirete perché io non sono adatta a scrivere dei combattimenti xD Anche se giuro ci ho messo il massimo impegno!
Sperando che nel frattempo questo sia stato di vostro gradimento e magari di sapere che ne pensate, vi ringrazio immensamente per tutto (recensioni, seguite, preferite, ricordate) e vi do appuntamento a fine mese per il prossimo capitolo. :)
Baci
D <3

PS: D
al momento che i primi 28 capitoli di questa li sto mano a mano rivedendo tutti sottoponendoli a una ristesura abbastanza profonda - e non sommaria come quella di qualche mese fa -, potete sapere a che punto sono nella mia pagina autore, dove sono presenti anche le notizie riguardanti le altre mie storie.

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Capitolo 31
*** Ombre dal passato. ***


Narnia's Spirits
Ombre dal passato.









Eve continuò a restare nascosta nell'ombra, cercando di dare una spiegazione logica a ciò che stavano registrando i suoi occhi.

Non era possibile.

Fece scorrere lo sguardo lungo la lastra di ghiaccio, analizzando con spasmodica attenzione ogni più piccola parte dell'algida figura della Strega Bianca.

Non era possibile.


Quella donna, quella pericolosa figura portatrice di morte e assetata di potere... sarebbe dovuta essere morta. Morta.

Era morta, dannazione!

Cosa ci faceva li? Evelyn non aveva mai pensato che ci sarebbe stata la concreta occasione di ritornare a provare la sensazione angosciante che le trasmetteva osservare quegli occhi gelidi. A volte aveva avuto degli incubi a riguardo, ma la realtà di quel momento era infinite volte peggiore.

Com'era possibile?


Fece scorrere lo sguardo per la stanza, per quel poco che riusciva a vedere rispetto all'angolazione in cui si trovava, cercando di ignorare il battito furioso del cuore e la voglia di prendere e scapparsene lontano facendo finta che si trattasse solo di un'allucinazione.

Notò principalmente Caspian davanti alla lastra di ghiaccio, imbambolato, che le tendeva la mano. Stava stringendo un patto con la Strega? Cornelius non gli aveva spiegato niente di come era stato difficile batterla, delle vite che si erano sacrificate affinché ritornasse la primavera, di come aveva provato a raggirare Aslan e tutti loro?

Sentì una fitta di rabbia, Evelyn, davanti all'evenienza che il ragazzo potesse starli tradendo con quella che era conosciuta come la principale nemica di quella stessa terra che aveva proclamato di voler liberare. Un'emozione che la sorprese per la violenza con cui le scoppiò nel cuore tanto che si costrinse a prendere un respiro profondo per cercare di restare lucida.

Chiuse gli occhi cercando di inspirare profondamente, percependo l'aria pungente grattarle la gola.

Sicuramente c'era un'altra spiegazione...

-Vieni, mio Re. Esaudirò i tuoi desideri. Sconfiggerò Miraz.-

Tornò ad osservare la scena nella stanza, Eve, vedendo come la mano del Principe fosse sempre più vicina a quella di Jadis, la quale osservava il ragazzo non nascondendo un ghigno di soddisfazione. Il suo corpo si mosse prima della propria ragione, scattando come quando in guerra vedeva uno dei propri fratelli in difficoltà.

-Non farlo, Caspian!-

Era stata lei a parlare a casaccio?

Senza che se ne rendesse conto si ritrovò vicino alla tavola di pietra, fissata da svariati paia di occhi che le riservarono delle note di astio e sospetto, ma lei non li ricambiò più di tanto, tenendo lo sguardo incatenato in quello della Strega Bianca – o era Jadis ad averla come ammaliata, riuscendo ad imporsi con la sola presenza?

La fredda indifferenza con cui la donna la stava studiando, senza un minimo di turbamento a irrigidirle i lineamenti del viso, le fece venire il dubbio che avesse percepito il suo arrivo fin quando aveva iniziato a spiarla, forse perfino prima che iniziasse a guardare i disegni sul muro e la prima ventata di aria gelida l'aveva colpita.

-Evelyn, cara, da quanto tempo. Beh, visto che a quanto pare sei sopravvissuta nel bosco unisciti a noi, stavamo giusto per arrivare al momento importante.-

La ragazza digrignò i denti, restituendo uno sguardo in cagnesco al tono suadente che la donna aveva usato nei suoi confronti. Nel bosco? Era stata lei ad attentare alla sua vita? Occhieggiò Caspian, cercando di reprimere le domande che le stavano nascendo e chiedendosi perché invece il moro non sembrava essere stato toccato dal suo arrivo e le continuava a dare le spalle.

Ma non aveva importanza... l'unica cosa che doveva fare era trovare una soluzione per cercare di uscire da quella situazione pericolosa.

-Ti piacerebbe, strega... ma non credo mi interessi.- mormorò, alzando il mento e guardandola con sufficienza, cercando di trasmettere una sicurezza che non possedeva. Sentiva le gambe molli, il freddo che le si posava sulla pelle come una carezza fintamente rassicurante, provocandole la pelle d'oca e una terribile voglia di sfregarsi le braccia per cercare di farsi un po' di calore.

Jadis sorrise, sinceramente divertita, sicura e tranquilla come quando il gatto sa di poter vincere con il topo e perde tempo a giocarci solo per prolungarne le sofferenze.

Evelyn fece appena in tempo a vedere la Strega fare un cenno. Si ritrovò intrappolata in una morsa prima ancora di percepire arrivare qualcuno alle spalle: due braccia le bloccarono il corpo e la strinsero talmente tanto con quelle che sembrarono delle unghie affilate che le sembrò di avere degli spilli che le si conficcavano nella carne.

Cercò istintivamente di portare la mano verso l'elsa della spada, spalancando gli occhi di sgomento quando si accorse che non aveva nessuna arma con sé e ad accogliere le proprie dita trovò il nulla. Era stata così impulsiva da non accorgersi di non avere niente per difendersi. Si mise a calciare all'aria, mentre veniva trascinata sempre più vicina alla figura di Jadis, cercando di ritardare quel momento il più possibile.

Doveva chiamare aiuto. Doveva cercare il modo di chiamare aiuto.

Venne spintonata malamente un paio di volte e inciampò in una pietra, perdendo l'equilibrio, restando senza parole quando i palmi delle mani cozzarono contro il pavimento di pietra provocandole vari graffi e pestò un ginocchio contro un sasso ghiacciato.

Si voltò, trattenendo il fiato per il dolore, decisa a rimettersi in piedi per fronteggiare il proprio aggressore. Prima ancora che si fosse alzata uno schiaffo la colpì con una violenza che nemmeno in battaglia ricordava di aver mai sentito, facendola cadere nuovamente al suolo. Ci mise qualche secondo a riprendersi e mettersi in ginocchio.

Sentì la guancia bruciare tremendamente, Evelyn, bruciare di dolore ed umiliazione per la situazione in cui si era cacciata – per l'ennesima volta in pochi giorni, si ritrovava in balia dei nemici. Si portò una mano al viso, sentendo la guancia pulsare sotto il proprio tocco e percependo gli occhi farsi lucidi di frustrazione ed impotenza.

Era una buona a nulla... Cosa pensava di fare senza nessuna arma?

Alzò lo sguardo con titubanza, trovando la figura di un lupo mannaro che si ergeva imponente sopra di lei, percependo il freddo dell'acciaio della spada che le puntava contro sfiorarle la gola. Analizzò l'ambiente con estrema cautela, rendendosi conto di come oltre a Jadis fossero presenti altre quattro – o forse cinque?  – figure incappucciate.

-Evelyn... Avresti dovuto accettare il mio invito.-

La Strega Bianca la guardò scuotendo la testa con finta delusione e la Pevensie ruotò leggermente il corpo per poterla osservare in faccia. Ora che si trovava ai suoi piedi le sembrò di essere completamente sotto il suo volere – nonostante praticamente non fosse nemmeno lì in carne ed ossa.

Se quello era stato solo l'inizio, non poté fare a meno di domandarsi quanto ancora avrebbe potuto umiliarla. Pregò che qualcun altro si accorgesse di ciò che stava accadendo prima che fosse troppo tardi.

-Ti ho detto che non mi interessa.- le sibilò nuovamente, riservandole uno sguardo carico di tutto l'astio che riuscì a racimolare e portando la sua attenzione su Caspian: il ragazzo in tutto quel tempo non sembrava aver mai distolto gli occhi dalla figura che eterea fluttuava nel ghiaccio.

Aggrottò la fronte, provando a muoversi verso di lui per scuoterlo da quel torpore, ma il ringhio che le arrivò alle orecchie le ricordò veloce come un fulmine che si abbatte su un albero di essere praticamente in trappola.

-Caspian... Caspian, riprenditi! Non farti ingannare!- provò allora, rivolta al ragazzo. Lo vide sussultare leggermente, senza trovare però la forza necessaria per smuoversi da quella posizione.

-Non... non riesco... Lei ha promesso...- lo sentì dire, in un soffio spezzato. La poca volontà che mostrò le ricordò di quanto anche Edmund si fosse fatto soggiogare. Jadis riusciva sempre a capire in che modo penetrare nella mente umana approfittando delle debolezze del momento.

Una leggera risata sfuggì dalla Strega Bianca, che la guardò con finta compassione.

-Non puoi fare niente per cambiare ciò che sta succedendo, Evelyn.- le spiegò, quasi come se parlasse con una bambina, tornando ad allungare la mano verso il Telmarino.

-Perché?- Jadis si bloccò, incapace di dare un significato a quella domanda e riportando lo sguardo sulla Pevensie con una studiata lentezza.

-Perché cosa, cara?- Alzò un sopracciglio, sbattendo le palpebre per mascherare con la sorpresa quanto quell'ennesima interruzione l'avesse infastidita. Ogni minuto che passava era prezioso e quella ragazzina le stava facendo perdere tempo rischiando di mandare all'aria il suo piano.

-Hai cercato di uccidermi.- Eve si morse un labbro, guardando con malcelata curiosità la donna. Perché aveva attaccato solo lei?

Jadis rimase qualche attimo a fissarla, pensierosa, poi stirò le labbra in un sorriso compiaciuto.

-Vedo che la tua conoscenza delle cose è sempre limitata. Tanto meglio.- decretò, pungente, tornando a guardare Caspian che fece qualche passo verso di lei, incerto.

Evelyn provò nuovamente a parlare per distrarla ancora, ma una presenza alle sue spalle bloccò sul nascere qualsiasi sua protesta, facendogliela morire in gola con la stessa velocità con cui le era nata.

-Ora stai zitta e osserva per bene.-

La Pevensie si voltò, chiedendosi se avesse sentito male. Fece dardeggiare lo sguardo per la stanza, notando gli sguardi assetati e spiritati che le restituirono quelle creature che per millenni non avevano fatto altro che tramare alle loro spalle, piantandolo poi sulla nuova figura che le era comparsa vicino e la osservava, ghignando.

A Lucy e Trumpkin non sarebbe piaciuto...


Evelyn sentì una stretta al cuore, incapace di provare la rabbia che invece le sarebbe dovuta nascere appena aveva posato gli occhi sul nano.

-Nicabrik...-

Sarebbero andate così le cose? Con Caspian imbambolato come un fantoccio per colpa del potere delle malie di Jadis e lei a terra, ad osservare impotente la liberazione della più grande disgrazia per Narnia?


***



Dhemetrya sospirò, abbassando l'arco ed incamminandosi per raggiungere il bersaglio e riprendere le frecce che vi spiccavano al centro.

Aveva approfittato della momentanea pausa che tutti sembravano essersi messi d'accordo di fare, dopo aver passato la mattinata tra scherzi ed allenamenti non troppo duri, per poter fare qualche tiro.

Temeva che quella prolungata lontananza dai propri doveri l'avesse messa fuori gioco, ma a quanto pareva si era fatta problemi per niente. La sua mira era sempre eccellente, i suoi tiri puliti, veloci – proprio come ci si aspetterebbe da una persona che ha passato tutti i giorni per più di mille anni ad addestrarsi per spingersi sempre al limite delle proprie capacità.

I tormenti della sera prima sembravano aver abbandonato la sua mente, ma la conversazione con Peter ancora le ronzava fastidiosa tra i ricordi: le aveva riportato alla memoria un passato pieni di dettagli che aveva sepolto per il proprio bene e per preservare un equilibrio mentale, limitando a lasciarsi guidare da ciò che sarebbe dovuto succedere.

Ed ogni giorno era succeduto ad un altro, ogni giorno sempre così simile al precedente ed al successivo. Ed i giorni erano diventati mesi, ed i mesi anni. Centinaia di anni passati a vagare per la foresta di Narnia come lo spirito come era, anni passati tra il dolore e la solitudine, figlia di una leggenda troppo lontana perché fosse ricordata.

Non aveva nemmeno finto di volere troppo la vicinanza di Lia o Antares. Loro stavano insieme da sempre, si completavano, lei... lei era sola.

Aveva sempre percepito di non combaciare come avrebbe dovuto con quei due compagni di vita, e tutto ciò che era successo sentiva che le aveva solo dato ragione. L'unica persona che avrebbe potuta comprenderla era sparita nel nulla da un giorno all'altro. Aveva deciso di scomparire, di annullarsi, troppo pressata dalla prospettiva di una vita immortale in quella terra fiabesca.

Se ne era andata e a lei non aveva minimamente pensato – e aveva fatto male, come una pugnalata che per tutto quel tempo non aveva mai smesso di sanguinare.

Tirò fuori con forza le frecce dal bersaglio, riponendole nella faretra con un gesto di stizza, facendo finta di non sentire la voragine di angosciante disperazione che le si era aperta alla bocca dello stomaco.

Non le capitava quasi mai di pensare a lungo, cercava di evitarlo il più possibile, perché si conosceva troppo bene ed era consapevole delle conseguenze che portava.

Inspirò profondamente per calmarsi, occhieggiando la figura di Lia con la osservava con attenzione, sentendo quegli occhi azzurri farle un'analisi fin troppo attenta. Non la sopportava quando la guardava così – in realtà, talvolta non ricordava nemmeno bene perché non si sopportassero.

Era passato troppo tempo.

“Sono così interessante da studiare?” Dhemetrya le lanciò un'occhiataccia, alzando le sopracciglia in una muta domanda.

“Ho visto cose più interessanti.” Fu la piccata risposta della lupa. Dhem la vide ruotare leggermente il capo di lato e non poté fare a meno di trovarla buffa, nonostante tutto.

“Come no...” Lasciò la frase in sospeso, dandole le spalle e tornando ad punto di partenza. Strinse l'arco, facendovi passare sopra le dita, percependo con i polpastrelli i particolati ghirigori arabeschi che erano incisi sulla superficie.

Quel minimo contatto bastò a rassicurarla per poterle permettere di calmarsi e aiutarla a far tornare la quiete necessaria per riprendere la concentrazione. Si preparò a tirare di nuovo una serie di dardi, ma si bloccò a metà del movimento, rimanendo immobile.

Qualcosa non andava.

C'era stato un cambiamento minimo nell'ambiente attorno a lei, qualcosa da poter essere accomunato ad una goccia di pioggia che cade nel posto sbagliato, ma che a lei, nonostante il poco potere che possedeva, non era sfuggito... qualcosa non andava.

Qualcosa in Narnia era cambiato.

Si tirò ritta, chiudendo gli occhi e concentrandosi: saggiò l'aria attorno a lei, percependo la sofficità del terreno sotto i calzari, ascoltando il vento tra le fronde degli alberi ed il sole posarsi sulla sua pelle.

Ma nonostante l'apparente quiete e il paesaggio silenzioso in cui era avvolta sentiva che qualcosa di brutto – un potere estremamente maligno e che avrebbe riconosciuto anche se fossero passati mille e mille anni ancora – stava nascendo li vicino, facendole tendere i muscoli come una corda di violino.

Tutto vibrava di allarme. Tutto intorno alla casa di Aslan, in un modo fin troppo vicino a tutti loro perché non potesse provare la sinistra sensazione della paura che ti striscia addosso.

Pericolo.


La terra sotto i suoi piedi tremò appena come scossa da un brivido, l'aria si era fatta più secca e pesante. Dhemetrya ebbe la sensazione di ritornare indietro di centinaia d'anni, percependo quel passato a fatica sepolto tornare a stendere i suoi lunghi artigli su tutti loro.

Pericolo.


Si voltò verso Lia, con la preoccupazione mal celata nello sguardo, e la trovò che annusava l'aria, le orecchie dritte e gli occhi puntati verso la casa di Aslan. E Dhemetrya ne ebbe la conferma, per l'ennesima volta, che il legame con tutto ciò che la circondava e faceva parte di Narnia era qualcosa che andava oltre ogni immaginazione, oltre ogni possibile spiegazione.

Stava succedendo qualcosa.


***



-Fermi!-

Peter quasi si lanciò addosso alla prima figura incappucciata che trovò sulla propria traiettoria, la quale andò a sbattere contro un mucchio di rocce sporgenti. Fece ruotare Rhindon per aria, costringendo i nemici a disperdersi per evitare di essere colpiti.

Possibile che nessuno li avesse visti entrare? Possibile che lui non avesse visto niente di tutto ciò che stava succedendo, che non avesse potuto prevederlo, nonostante i dubbi che sapeva circolavano tra l'esercito?

Strinse la mascella fino a sentire i denti stridere tra loro per il nervoso, avvicinandosi con passo deciso a quelle che sembravano essere due fattucchiere dagli occhi strabici ed ingaggiandole in un combattimento. Cercò di ignorare la sensazione di avere addosso lo sguardo, pronto a captare ogni sua minima reazione o emozione, di Jadis.

Percepì un brivido lungo la schiena senza il coraggio di guardare verso la lastra di ghiaccio che svettava tra due colonne di pietra.

Se quella donna... 

Cercò di colpire le due avversarie con una forza tale che quelle furono costrette a dividersi per evitare il suo affondo, rotolando di lato e rimettendosi in piedi nel giro di qualche istante. Estrassero entrambe un pugnale, mettendosi in posizione d'attacco e iniziando a girare in tondo studiando Peter, che rinsaldò la presa sull'elsa di Rhindon, in attesa.

Trattenne il fiato, il biondo, percependo il tempo stringere quando lanciò uno sguardo veloce in direzione di Caspian.

...se si fosse liberata non se lo sarebbe mai perdonato.

Appena entrò nella stanza e la visuale fu libera dalla schiena del fratello gli occhi di Edmund dardeggiarono ansiosi per l'ambiente. S'immobilizzò quando le sue pupille agitate si posarono sulla figura fluttuante nel ghiaccio.

Sentì la gola diventargli immediatamente secca e le gambe pesanti, incapace di distogliere lo sguardo da quello seccato che gli stava restituendo la strega.

Jadis.

La mente era come se gli fosse improvvisamente spenta, persa in un oblio di tormenti ed incubi senza fine. Sentì una fitta bruciante al cuore, Edmund, – la fitta bruciante del tradimento – che quasi gli fece mancare il respiro, tanto che si portò una mano alla gola.

Jadis.


Un senso angosciante, come di mani gelate che gli si chiudevano sul petto, pressandolo talmente pesantemente che pensò sarebbe soffocato sul posto. Percepì le spire del gelo insinuarsi sotto i vestiti in modo quasi graffiante, lambendogli le membra con la finta benevolenza che tanto lo aveva ammaliato tempo addietro – una sensazione per cui mai aveva trovato parole per poterla descrivere.

Il moro chiuse gli occhi, cercando di scacciare dalla mente la miriade di emozioni che si susseguivano in modo talmente brusco da farlo sentire profondamente spaesato, cacciando via il ricordo di quegli occhi spietati in cerca di potere che avevano sempre letto troppo bene il suo animo di ragazzino ribelle.

Cercò di trovare fin nel profondo la forza per calmare il proprio respiro, stringendo l'elsa della spada come se fosse l'unica cosa che potesse tenerlo ancorato alla realtà evitandogli di lasciarsi andare alla profonda voragine che il terrore e quel senso di colpa mai del tutto sparito stavano scavando nel suo animo.

E quando si decise ad aprire gli occhi dopo un tempo che gli sembrò infinito, deciso ad affrontare le proprie paure, la vide.

Fu come se in mezzo a quel turbinio di emozioni e figure fosse l'unica cosa che i suoi occhi fossero riusciti a cogliere davvero. Più di Peter che menava fendenti all'aria, più di Caspian imbambolato, più di Lucy in mezzo ad una lotta che non le sarebbe dovuta appartenere.

Evelyn.

Edmund si mosse in automatico, rendendosi conto si trovava in difficoltà, a terra e con gli occhi spiritati che riflettevano l'espressione più sconvolta che le avesse mai visto dipinta in faccia negli ultimi tempi.

Senza darsi nemmeno il tempo di riflettere o appurare che nessuno lo stesse per attaccare corse verso il lupo mannaro che la teneva sotto tiro, ferendogli una delle zampe posteriori con la spada per attirarne l'attenzione. L'animale ululò di dolore, spalancando gli occhi di sorpresa per quell'interruzione inaspettata, e si voltò per osservare in faccia il proprio avversario, ringhiando di indignazione.

Il Pevensie indietreggiò, evitando per pura fortuna una zampata diretta allo stomaco, per allontanare ancora di più il nemico dalla sorella. Il lupo gli ringhiò contro di insoddisfazione per quel gesto andato a vuoto, mostrando i denti affilati e giallastri, e si accovacciò per prepararsi con uno slancio a saltargli addosso.


***


Evelyn sbatté le palpebre un paio di volte, guardandosi intorno con il fiato bloccato in gola per l'ansia, incapace di dare un senso alle scene che stavano scorrendo davanti ai suoi occhi.

Si tirò in ginocchio quasi a fatica, percependo una fastidiosa fitta al punto della gamba che aveva urtato poco prima, non potendo fare a meno di sentirsi sollevata nel vedere le figure di Peter ed Edmund che si destreggiavano in quei combattimenti poco lontani da lei.

Quella leggerezza durò poco però, sentendo un grido provenire da poco più lontano, riconoscendo quella voce tra i mille ringhi e clangori di spade e metallo.

Lucy.

Lucy non era fatta per la guerra, Lucy non era fatta per uccidere e quella ne era solo l'ennesima dimostrazione.

Eve spalancò gli occhi di terrore, vedendo che alla sua sorellina veniva girato un braccio dietro la schiena in una posizione quasi innaturale, osservando con apprensione Trumpkin che le andava in soccorso.

Voltò lo sguardo allarmato verso Caspian, immobile dentro il cerchio di ghiaccio, consapevole che Jadis era sempre più vicina a prendere la mano del ragazzo e che l'unica persona che rimaneva per poterla fermare prima che si liberasse era lei. Fu allora che lo notò.

Un lupo mannaro.

L'animale era nascosto dietro le rocce, scivolava accompagnato dalle ombre, pronto ad attaccare la prima persona che sarebbe risultata più debole tra quelle presenti. Eve sentì il cuore dividersi in mille pezzettini alla sola idea di ciò che l'istinto aveva capito prima ancora della ragione.

Avrebbe dovuto scegliere, perché non c'era abbastanza tempo.

Salvare Narnia... o la sua famiglia?


***


Peter evitò un coltello lanciato nella sua direzione riparandosi dietro una roccia, per poi tornare allo scoperto e correre in direzione della nemica che glielo aveva lanciato contro. La Narniana indietreggiò, e in suo soccorso arrivò la compagna, che si frappose fra lei ed il Re.

La seconda cercò di pugnalare il Pevensie un paio di volte, ma i suoi colpi andarono a vuoto grazie a Rhindon che usò per fermare l'avanzata della lama. Per allontanarla da sé il biondo le tirò un calcio e menò un fendente in avanti, e quella istintivamente si allontanò con un movimento così rapido che Peter non avrebbe creduto possibile ad una figura tanto trasandata.

Deciso a non lasciarle tempo per riprendersi le andò incontro, facendo un paio di affondi che quella parò con la sua arma. La nemica ghignò, e a Peter sembrò tanto una presa in giro. La cosa gli diede fastidio tanto che sentì il nervoso fargli tremare la presa su Rhindon. Cosa aveva da ridere? Non c'era niente di divertente.

I suoi occhi chiari lampeggiarono di rabbia per quell'affronto, tanto che si buttò contro la sua avversaria quasi senza pensarci, deciso a porre fine a quella storia il prima possibile.

Un ululato si elevò per la stanza e Peter in automatico si voltò per cercare la figura di Edmund, trovandolo a qualche metro da lui con il lupo mannaro che lo stava lentamente mettendo all'angolo. Istintivamente cercò di correre in aiuto del moro, ma si ritrovò ad inciampare in qualcosa e cadere per terra, percependo subito una fitta alla tempia.

Si voltò, rendendosi conto che mentre era distratto le due nemiche ne avevano approfittato per avvicinarsi e fargli lo sgambetto, colpendolo poi alla nuca con l'elsa di un pugnale. Si ritrovò inchiodato a terra, con Rhindon a qualche metro di distanza e una dei nemici che lo stava soffocando a mani nude.

Nell'agitazione data dalla progressiva mancanza d'aria, Peter riuscì a formulare il pensiero che nonostante fossero più basse e sembrassero più anziane, la loro forza sembrava superare di gran lunga quella di un soldato. E puzzavano, di marciume e fogna...

Aveva bisogno d'aria.

Provò a levarsi di dosso quella creatura, sentendone il peso sullo stomaco, dimenando le gambe e provando a girarsi di lato con colpi di reni.

-Peter!-

Le graffiò il viso e le braccia, sentendo le proprie unghie penetrare nella pelle unta, ma quella non sembrava toccata e lo guardava con gli occhi ghignanti di chi sa di avere la vittoria in pugno. L'adrenalina probabilmente le pompava così prepotentemente il sangue nelle vene da renderla quasi immune al dolore.

Peter sentiva le braccia iniziare a formicolare, la vista diventargli appannata, le forze venirgli meno.

Aria...


***


Evelyn guardò allarmata Edmund messo all'angolo dai due lupi mannari e Peter disteso a terra che veniva soffocato. Sentì gli occhi farsi lucidi di frustrazione, mentre osservava le vite dei suoi fratelli in pericolo e senza sapere cosa fare.

Il panico e la paura si impossessarono di lei come poche volte gli aveva permesso e si sentì sperduta, impaurita come la bambina che di notte piangeva in braccio alla mamma sentendo le bombe esplodere vicino a casa.

Si odiò Evelyn, si odiò talmente tanto da sentire una tremenda rabbia accecarle la mente per non sapere cosa fare, sentendosi pressata da tutto ciò che sarebbe potuto succedere a causa di una sua decisione sbagliata. Per la prima volta nella propria vita Evelyn si sentì inchiodata a terra, incapace di muoversi e ragionare, dimentica di tutte le volte che si era impegnata per mantenere la calma in battaglia.

Aslan... Aslan, aiutaci, ti prego.


-Arrenditi, Figlia di Eva, e guardami mentre anniento i tuoi fratelli.-

La Pevensie sentì quella frase entrarle in modo ovattato nel cervello e a fatica staccò gli occhi dai Pevensie, posandoli sulla figura di Jadis con il braccio fuori dal ghiaccio che la guardava, vittoriosa e sicura come una cacciatrice che sa di avere in pugno la preda.

Eve strinse i pugni tanto da sentire male, sentendo nascere dentro di sé i germogli della rabbia e della vendetta per ciò che aveva cercato di fare loro in passato. Per come aveva tradito Aslan, per come aveva cercato di far rivoltare Edmund contro Peter, per come aveva trattato i Narniani e congelato Narnia.

Per tutto.


Senza pensarci con un movimento che perfino lei si sorprese per la velocità con cui l'aveva effettuato fu vicino alla lastra e con uno spintone fece cadere Caspian fuori dal cerchio. Jadis sgranò gli occhi, oltraggiata da quella reazione, occhieggiando il Principe ormai fuori dalla sua malia ed Evelyn che ne aveva preso il posto all'interno del cerchio.

Storse il naso, Jadis, in modo così impercettibile che nessuno lo notò. Evelyn non andava bene per il suo piano...


***


Edmund evitò il balzo del suo avversario rotolando di lato, rialzandosi immediatamente e rimettendosi in una posizione di difesa. Quello slittò sul lastricato, producendo un fastidioso stridio quando cercò con l'aiuto dei lunghi artigli di fermare la propria scivolata.

Il moro sorrise, preparandosi a colpire il lupo alle spalle, ma un colpo alla schiena lo fece volare di qualche metro, facendogli perdere l'equilibrio e rotolare a terra. Senza perdere la presa sull'elsa della spada Edmund cercò di tirarsi in piedi, portando l'arma davanti a sé e muovendola all'aria per precauzione, non capendo chi lo avesse colpito con così tanta forza.

Fece dardeggiare gli occhi per la stanza, sentendo il fiato mancargli per la botta, rendendosi conto tra la confusione nella propria mente della figura animalesca che era appena uscita dall'ombra. Si morse un labbro, nervoso, vedendo il nuovo nemico coalizzarsi con l'altro che si era rimesso in piedi e lo stava osservando, rabbioso e con la bava alla bocca.

Istintivamente fece qualche passo indietro, studiando la situazione e cercando di non far capire quando gli facesse male il fianco che aveva pestato contro la pietra. Probabilmente gli sarebbe venuto un livido. Uno dei due fece per dargli una zampata, costringendolo ad indietreggiare.

Non andava bene. Lo stavano mettendo all'angolo.

Edmund cercò freneticamente di pensare ad una soluzione, sapendo benissimo che nessuno probabilmente sarebbe venuto in suo soccorso. Percepì la presenza del fuoco dietro di sé e capì che non avrebbe potuto indietreggiare maggiormente. I due lupi si accovacciarono per prepararsi a saltargli addosso, tirando indietro le orecchie e mostrando i denti, ringhiando.

Si preparò ad approfittare della prima via di fuga che gli si sarebbe prospettata davanti, rendendosi conto che non aveva altra scelta. Affrontarli entrambi senza potersi muovere liberamente e con solo un'arma era praticamente un suicidio. Doveva essere veloce e sperare che i due gli lasciassero dello spazio per poter rotolare via.

Ci furono attimi di tensione, poi i due nemici si scambiarono un'occhiata, decidendo di balzare in avanti quasi all'unisono. Edmund si preparò al contatto, percependo già addosso le unghiate ed i morsi che probabilmente avrebbe subito, preparandosi al bruciore lancinante che gli avrebbero provocato le ferite.

Ma un'ombra saltò addosso ai due, scaraventandoli contro le rocce e strappandogli degli ululati di dolore.

Il Pevensie sgranò gli occhi, sorpreso, mettendoci qualche attimo nel riconoscere nella figura che si era frapposta fra lui ed i due nemici Lia.

Lia.

-Lia!-

La lupa ringhiò, un ringhio così basso ed animalesco che Edmund non le aveva mai sentito fare se non quando Evelyn era stata attaccata. I due lupi mannari sembrarono incerti sul da farsi, osservando la figura della Narniana con il pelo gonfio e gli occhi che non si staccavano dalle loro figure come se potesse leggergli l'anima, i denti ben in vista.

Senza nemmeno dar loro il tempo di reagire si lanciò all'attacco, in una lotta fatta di morsi, graffi e ululati strozzati. Edmund non poté nascondere dei brividi lungo la schiena, percependo la violenza delle fauci quando schioccavano a vuoto ed osservando le figure ammassarsi in un groviglio di peli e ringhi.


***


Aria.

Il biondo cercò, con l'ultimo barlume di ragione e di forze che gli rimanevano, di capire dove fosse finita Rhindon, tastando il pavimento roccioso alla cieca e senza trovare niente di utile. Anche una pietra gli sarebbe stata d'aiuto...

-Peter!-

Forse qualcuno lo stava perfino chiamando, ma i suoni stavano diventando così attutiti che non sapeva dire se si trattasse di allucinazioni... E improvvisamente si sentì libero dal peso che gli gravava sul petto, dalla stretta alla gola che gli rendeva sempre più difficoltoso respirare, percependo l'aria arrivargli improvvisamente ai polmoni in modo quasi graffiante.

Il Re tossì un po' di volte, prima di riuscire a tirarsi in piedi e notare la sua nemica a terra con un paio di frecce conficcate nel petto. Frecce bianche.

Dhemetrya.


Sbatté le palpebre, sorpreso, cercando la ragazza tra la confusione degli eventi che troppo velocemente si stavano susseguendo in quei pochi metri di spazio. La trovò che combatteva contro l'altra avversaria in un corpo a corpo. Cercò Edmund con lo sguardo, trovandolo affiancato a Lia, e sorrise, sollevato nel vedere il fratello stare bene.

Un campanello d'allarme iniziò a trillargli nella testa così forte da dargli quasi fastidio.

Caspian.

Si voltò in modo tanto brusco da sentire male al collo, fissando lo sguardo sulla lastra di ghiaccio e spalancando gli occhi.

Jadis.


La Strega conservava l'espressione algida ed altezzosa che mai la abbandonava, ma Peter aveva imparato a vedere oltre quelle iridi spietate che frenetiche si muovevano per osservare l'ambiente circostante.

Fretta. Jadis aveva fretta di concludere qualsiasi cosa stesse facendo per liberarsi. Fu allora che vide Evelyn correre verso Caspian e finire lei stessa davanti alla Strega.

No.

Non avrebbe permesso che si avvicinasse a qualcun altro dei suoi fratelli. Mai più.

Cercò disperatamente Rhindon, impugnandola e correndo verso la sorella. La spinse via in modo talmente impulsivo che quella cadde addosso ad un Caspian ancora confuso.

-Peter, no!- La sentì gridare, dal basso. Il Pevensie alzò la spada verso Jadis, minaccioso.

-Stai lontana da loro.- sibilò, puntandole l'arma contro. La Strega Bianca sorrise, quasi intenerita.

-Peter caro... era da tanto che aspettavo di rivederti.- gli disse, con tono materno, come se gli fosse davvero mancato. Il Pevensie chiuse gli occhi, percependo quella voce suadente soffiargli nelle orecchie come un sussurro lontano e reprimendo un brivido. Sentì il corpo farsi pesante e si morse un labbro, rendendosi conto della corruzione che la donna stava cercando di infilargli in testa.

-Vuoi vincere, vero? Io posso aiutarti.- continuò Jadis, cercando di volgere in suo favore il modo in cui le cose si erano complicate.

Alle spalle del ragazzo, Dhemetrya stava lottando con Edmund contro uno dei lupi mannari e Trumpkin aveva ucciso Nicabrik, Lia stava sbranando l'altro mannaro.

Peter si ritrovò a fissare il viso impassibile della donna, ricordando quanto con un semplice gesto fosse potente e temuta. La Strega tornò a sporgersi con il braccio e mezzo viso fuori dalla lastra di ghiaccio, non smettendo di fissare il Pevensie negli occhi, inchiodandolo sul posto con la propria magia.

-Vieni, una goccia basterà.- Peter tentennò, iniziando ad abbassare la spada, percependo la propria volontà venire meno ed i dubbi inondargli la testa. Forse era davvero l'unica speranza per Narnia...

Per quanto avrebbe voluto gridare di no, il Pevensie si sentiva immobilizzato, costretto ad allungare la mano verso quella che rappresentava uno dei suoi più profondi incubi. Era lei che per notti intere aveva sognato che ridendo gli portava via i fratelli, uno ad uno... era lei che aveva formato in Edmund un senso di colpa perenne.

Perché non riusciva a reagire, allora?

-Peter!-

Evelyn si alzò con uno scatto, andando vicino al fratello e prendendogli il braccio, quasi ancorandovisi addosso prima che si avvicinasse troppo alla lastra. Poi puntò lo sguardo incattivito su Jadis che la osservò, sbattendo le palpebre, rendendosi conto che la ragazza era all'interno del cerchio senza subire la sua influenza.

La Strega assottigliò lo sguardo, inviperita.

-Tu...- Prima che potesse dire altro l'espressione della donna mutò. Tutti non capirono il motivo di un cambiamento tanto repentino fino a che non seguirono dove stava guardando.

Al centro del ventre la punta di una spada fuoriusciva dal ghiaccio. Jadis urlò di dolore e disperazione, cercando inutilmente di afferrare l'oggetto metallico che stava inesorabilmente crepando il ghiaccio che usava come portale sul mondo.

Peter aggrottò la fronte, riprendendo il controllo di se stesso, Evelyn si portò una mano alla bocca sconvolta nell'osservare la donna come in preda alle convulsioni, gli occhi rivolti all'indietro e la bocca spalancata. Con un ultimo grido la lastra si ruppe in mille pezzi nel giro di pochi secondi.

-...Edmund.-

Evelyn era ancora attaccata al braccio di Peter ed osservava il fratello con la spada a mezz'aria, nel punto in cui prima era presente il corpo della Strega Bianca. Il moro fece passare lo sguardo da lei agli altri presenti nella stanza, provando un immediato sollievo nel vederli stare bene.

Inchiodò poi gli occhi su Peter, riservandogli una punta di risentimento, ancora sconvolto per ciò che rivedere Jadis gli aveva provocato e osservando come il Pevensie lo stesse guardando con un'espressione quasi allucinata.

-Lo so. Era tutto sotto controllo.-





















































































































Ciao a tutti! Eccomi di ritorno con questo capitolo che... beh, ora capite perché dicevo che scrivere dei combattimenti non fa molto per me? ^^''' Mi è stato molto "pesante" mettere giù questo pezzo, infatti credo si percepisca che la mia introspezione deve esserci un po' ovunque, ho cercato di dare il massimo cambiando anche qualcosina nonostante l'azione non sia un genere che mi appartiene e spero possiate apprezzare il mio sforzo.

Piccola spiegazione: il fatto che Jadis pensi che "Evelyn non va bene per il suo piano" è dato perché la formula dice "del sangue di Adamo basta una goccia", quindi io ho liberamente dedotto che per liberarsi serve un figlio di Adamo (e quindi Eve, femmina, non va bene e non subisce l'influenza dell'incantesimo anche se entra nel cerchio). Inoltre viene fuori che Evelyn davanti alla reale figura di Jadis si impanica totalmente. Non vi veniva voglia di gridarle "muoviti, stupida, cosa aspetti?!" - a me si lol. Rivederla davvero con tutto ciò che stava succedendo l'ha mandata un po' in panne.

Nel prossimo capitolo, che vi porterò per Natale, ci sarà un mini pezzo che la riguarda con Edmund e che spero possa piacervi e che personalmente ho trovato molto tenero scrivere, e un pezzetto su Lia, Dhem e Antares che spero troverete interessante. Purtroppo in queste settimane non sono stata molto bene quindi non ho più sistemato nessuno dei capitoli vecchi o scritto nulla di nuovo, cercherò di recuperare piano piano.

Nel frattempo spero di avervi portato una lettura gradita, vi ringrazio dell'attenzione, dei preferiti, ricordate, seguite e di coloro che si fermano a lasciarmi un parere. Ci tengo a dire che ogni commento, anche solo un paio di righe, è sempre ben accetto e aiuta la motivazione.
Grazie a tutti,
D. <3

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Capitolo 32
*** Il silenzio del dolore. ***


Narnia's Spirits
Il silenzio del dolore.









Edmund quasi si ritrovò a correre, per poter uscire il prima possibile da quel posto.

Aria.
 

Aveva un bisogno profondo di allontanarsi da quella stanza dalla temperatura troppo bassa per i suoi gusti.

Aveva sempre immaginato nei propri sogni la possibilità di poter rincontrare Jadis, della soddisfazione di poter finalmente avere l'occasione di fargliela pagare per tutto ciò che gli aveva fatto penare in passato e della pugnalata che gli aveva riservato durante la guerra.

Una parte di sé aveva forse sempre bramato la possibilità di vendicarsi, ripagandola con la stessa moneta.

Vendetta.


Jadis aveva inciso in lui, nel profondo del suo animo, cicatrici più profonde di una spada piantata nello stomaco durante una battaglia. Gli aveva instillato il seme del dubbio, il germoglio del tradimento, era riuscita ad insinuarsi nella sua mente come un serpente rivoltandolo contro i fratelli. Gli aveva fatto perdere del tutto l'innocenza di ragazzino incompreso, spingendolo a mettere in pericolo la cosa che più amava al mondo.

La sua famiglia.


E lui, come uno stupido, ci era cascato.

Aveva sempre pensato che si sarebbe sentito meglio, più leggero, ma ciò che provava dopo quel gesto che – per volere del destino? Della sua buona stella? – aveva sempre bramato, consapevole che non sarebbe mai riuscito a compiere perché era morta, era solo un gran senso di vuoto.

Una sensazione sgradevole che gli lasciava l'amaro in bocca.

Rivedere Jadis aveva riaperto quella ferita mai totalmente richiusa e che ora sanguinava di nuovo, tornando a pungolargli la mente e tormentarlo con quel senso di colpa che invano negli anni aveva convinto se stesso di aver sepolto.

No, non era stato per niente liberatorio come aveva creduto, soprattutto considerando le circostanze.

Edmund quasi andò addosso a Susan, preso com'era dalla fretta di lasciare quel posto, rischiando di darle una spallata. La sorella gli lanciò un'occhiata, percependo il disagio dal suo volto sempre così posato in quel momento indecifrabile, decidendo di lasciarlo andare senza fargli domande ed immaginando le possibili emozioni che poteva star provando.

Si voltò poi verso Peter e Caspian, riservando loro uno sguardo ben più piccato e deluso.

Il Principe non riuscì a sostenere la sua espressione di rimprovero a lungo, non sapendo cosa dire per scusarsi e sentendosi tremendamente responsabile per quella situazione che avrebbe potuto trasformarsi in un disastro. Forse, non c'erano nemmeno le parole adatte.

Aveva rischiato di far ammazzare tutti e liberare la più grande nemica di Narnia.

Sospirò, rendendosi conto che Evelyn lo stava guardando con una muta domanda negli occhi. Il moro si sforzò di sorriderle tra le emozioni che facevano a gara per emergere, poi lanciò uno sguardo ai resti della lastra e dei pezzi di ghiaccio sparsi in giro.

Si portò una mano alla nuca, grattandosela pensieroso, ragionando sul fatto che probabilmente sistemare quelli e far sparire i corpi dei nemici era la soluzione migliore per tenere la sua mente tormentata impegnata.

Eve si staccò da Peter, andando vicino a Lia, posandole una carezza sul pelo, ed osservando Dhemetrya raccogliere le proprie frecce dai cadaveri. Poi andò da Lucy, inginocchiata davanti al corpo di Nicabrik in religioso silenzio, aspettando che Trumpkin dicesse qualcosa.

Evelyn si limitò a posare una mano sulla spalla del Narniano in gesto di vicinanza, percependone la tensione, che però non alzò lo sguardo per guardarla, continuando a tenerlo fisso sul compagno.

Perché?


Trumpkin abbassò il capo se possibile ancor di più, sentendo la sconfitta affossargli il cuore insieme alla sensazione di perdita.

Perché Nicabrik li aveva traditi?


Rinfoderò il pugnale, cercando di non lasciarsi andare alle lacrime di frustrazione e alla rabbia per le azioni dell'amico.

-Mi dispiace.-

Lucy si alzò in piedi, congiungendo le mani in grembo e osservando il nano con i suoi occhioni pieni di tristezza. Trumpkin si limitò a farle un cenno del capo, senza il coraggio di guardarla in faccia, ricordando nella mente solo il momento in cui aveva affondato il pugnale nella schiena di quello che considerava uno dei pochi amici che aveva avuto nel corso della vita.

Perché l'hai fatto, Nicabrik?


-Si... anche a me.-

Evelyn osservò critica Lucy, constatando che stava bene e facendole cenno di uscire con lei dalla stanza. Ma la ragazzina negò con la testa, palesando l'intenzione di rimanere accanto al nano, ancora in veglia davanti all'amico a cui era stato costretto a togliere la vita.

L'aveva salvata.

Lucy chiuse gli occhi, cercando di calmarsi, percependo la temperatura della stanza iniziare ad alzarsi.

Trumpkin l'aveva salvata, si... ma a quale prezzo?

Peter continuò ad osservare Susan senza sapere cosa dirle, fino a che la sorella non gli scoccò un'ultima occhiata di fuoco e gli diede le spalle, lasciando lui e Caspian nel loro pesante silenzio.

I due si guardarono ed il biondo strinse un pugno, reprimendo un urlo di frustrazione e voltandosi verso il punto in cui pochi minuti prima c'era Jadis e in cui ora, al suo posto, svettava l'immagine di Aslan.

Peter osservò la figura nella pietra, pentendosi immediatamente della debolezza che aveva dimostrato nei confronti della Strega. Si era lasciato incantare. Aveva quasi reso vano tutto ciò che avevano fatto, tutto ciò per cui avevano combattuto, milletrecento anni prima.

Era imperdonabile.

Caspian andò verso le ragazze, chiedendo loro se stessero bene, lasciando Peter ai suoi pensieri. Il biondo continuò ad osservare Aslan, la testa piena di domande.

Era stato debole. Quando era stato il momento in cui aveva smesso di avere fiducia nel leone che aveva salvato lui e la sua famiglia? Quando aveva commesso un errore così grosso?

Peter si morse un labbro, rinfoderando Rhindon per avere un motivo valido per distogliere lo sguardo da Aslan, sentendosi troppo in difetto nei suoi confronti per sostenere il suo sguardo anche solo attraverso una rappresentazione.

Si voltò, incontrando le figure di Dhemetrya e Lia ed andando loro incontro, notando solo distrattamente l'assenza di Evelyn e Caspian. Quei passi gli risultarono tremendamente pesanti da fare, tanto che si domandò se non fosse ancora legato a qualche cosa che lo teneva fissavo al terreno.

-Vi ringrazio per essere intervenute.- disse, senza reale entusiasmo. L'unica cosa che voleva in quel momento era sistemare il prima possibile quel posto per potersene restare da solo con i propri pensieri.

-Non ti ci abituare.- gli fece Dhem, dandogli una pacca sul braccio. Nonostante il pessimo tempismo di quel gesto ironico, Peter non poté fare a meno di farsi scappare un mezzo sorriso.

In quel momento Glenstorm entrò nella stanza seguito da qualche Narniano, mandati su ordine di Caspian che gli aveva spiegato vagamente la situazione. Se rimase spiazzato da ciò che si trovò davanti nessuno seppe dirlo, perché con estrema calma e con il suo tono neutrale ordinò ai suoi subordinati di fare sparire i corpi dei nemici.

-Se mi è concesso... Vorrei occuparmi io di Nicabrik.- s'intromise Trumpkin, voltandosi a guardare in faccia direttamente l'antico sovrano. Tutti gli occhi si fissarono su Peter, in attesa della sua decisione.

Nicabrik li aveva traditi, magari avrebbe voluto bruciarne il corpo come sarebbe stato per gli altri.

Lucy attese con il cuore in gola, ben consapevole di quanto Jadis o chiunque collegato e lei fosse un punto dolente per il Pevensie e sapendo anche quanto Trumpkin ci tenesse. Contrariamente alle sue aspettative, il fratello annuì, strappandole un sospiro di sollievo.

-Miei Signori, e questo?-

Istintivamente gli sguardi di tutti si fissarono su un fauno che aveva parlato alle loro spalle. Ciò che catturò la loro attenzione, però, fu quello che teneva tra le mani.

Peter sentì improvvisamente la gola secca, osservando l'oggetto dalla forma arabesca e dai riflessi ghiacciati, mentre Lucy si portò le mani alla bocca, sorpresa da quella visione.

Lo scettro di Jadis.


***


Caspian percorse i lunghi e tortuosi cunicoli del rifugio di Aslan, scavati nella pietra nel corso dei secoli, in cerca di un luogo in cui pensare in solitudine.

All'esterno aveva scorto Susan scaricare la tensione – o la voglia di usare lui e Peter come bersagli – allenandosi con l'arco, e per quanto avrebbe voluto raggiungerla, il senso di colpa e l'imbarazzo per la situazione che aveva involontariamente creato l'avevano bloccato dall'andare a parlarle e fatto dimenticare di ogni proposito di aiutare a sistemare ciò che era rimasto di quell'incontro spiacevole.

Aveva capito dallo sguardo che la Regina gli aveva rivolto alla tavola spezzata che il possibile ritorno di Jadis le aveva fatto provare un profondo senso di delusione e rabbia nei suoi confronti, e non aveva potuto fare a meno di sentirsi tremendamente deluso da se stesso.

Sospirò, cercando di far lavorare la mente per cercare una soluzione a quella patina di tensione che era scesa su tutti loro. Obbiettivamente era consapevole di essere stato ingannato, che non aveva fatto niente, eppure... eppure essere stato così debole da farsi soggiogare da Jadis, da aver quasi creduto alle sue parole, consapevole dai racconti che era una bugiarda fin nelle ossa...

No.


Caspian scosse la testa vigorosamente, stringendo la torcia fino a farsi sbiancare le nocche. No, non si sarebbe mai perdonato quel momento di debolezza.

Percorse ancora una manciata di metri, arrivando alla fine di quel cunicolo incavato nella pietra, deciso a cercare di lasciarsi alle spalle quella storia il prima possibile. La luce del sole lo accecò per un istante e Caspian si bloccò, lasciando ai propri occhi il tempo di adattarsi all'esterno. Si osservò intorno, notando di aver raggiunto uno dei punti di vedetta in quel momento deserto.

Ringraziò di essersi fermato, perché se avesse fatto anche solo un metro in più sarebbe finito con il cadere di sotto – il che, forse, considerando come stavano le cose sembrava il minore dei mali.

Si sedette su delle pietre, osservando dall'alto la figura slanciata di Susan che centrava un bersaglio dopo l'altro. Passò lo sguardo sulle fitte chiome degli alberi della foresta che li isolava dal resto del mondo e li divideva momentaneamente dai Telmarini, facendo scorrere gli occhi fino ai profili delle montagne che si scorgevano in lontananza tra gli sbuffi di nuvole bianche che, placide e silenziose, passavano nel cielo azzurro del primo pomeriggio.

Se qualcuno gli avesse raccontato che avrebbe passato più di un giorno in quella terra che per millenni era stata maledetta dai suoi avi e dalle leggende non ci avrebbe creduto.

Ancor più se gli avessero detto che avrebbe aiutato i suoi abitanti a riprenderne il controllo, combattendo con loro, mangiando con loro, soffrendo con loro... - diventando, quasi, uno di loro, affezionato a Narnia ed ai suoi molteplici abitanti.

No, l'avrebbe definitivamente preso per pazzo.

-Ecco dov'eravate nascosto, mio Principe.-

Caspian sussultò, voltandosi quasi di scatto tanto che sentì il collo scricchiolare pericolosamente provocandogli un leggero fastidio.

-Maestro...- fu tutto ciò che riuscì a dire, osservando il precettore prendere posto accanto a lui. Il moro abbassò il capo, imbarazzato, rivolgendolo nuovamente a quel paesaggio in cui ogni volta gli sembrava di notare dei dettagli nuovi.

I due stettero così vari minuti, senza bisogno di parlare, beandosi della presenza reciproca e della complicità che avevano sviluppato negli anni.

Caspian percepiva su di sé i velati sguardi del maestro, il quale attendeva pazientemente che si aprisse con lui. Avrebbe scommesso senza problemi che già sapesse ciò che era successo poco prima, ma gli stava dando tempo per rimettere in ordine i pensieri sparsi per la sua testa.

Tutto ciò che riusciva a formulare la mente del Principe, però, era irrimediabilmente collegato al senso di colpa che vibrante gli affossava il cuore.

-Vi ho deluso.- Esalò, rompendo quella quiete quasi surreale, torturandosi le mani. Aveva deluso i Pevensie, aveva deluso i Narniani, aveva deluso l'uomo che per tanti anni gli era stato dietro, aiutandolo a crescere e maturare affinché diventasse un Re degno di possedere tale titolo e verso cui provava maggiore stima ed ammirazione.

Caspian corrugò la fronte, riflettendo sulla possibilità che quei sentimenti di confusione e rimprovero verso se stesso non fossero collegati solo all'incontro con Jadis, ma li stesse covando da molto prima, fin da quando, scoperta la verità su suo padre, si era lasciato guidare dall'impulsività.

-Non sono io la persona verso cui avete dei doveri, mio Sovrano.- Cornelius sospirò pesantemente, posizionando meglio gli occhiali sul naso e lanciando un'occhiata vispa in direzione di Caspian, intercettandone lo sguardo sconfitto che gli lanciò. Si ritrovò quasi a sorridere sotto la folta barba, notando lo sguardo del ragazzo virare verso una ben più rosea figura di un anziano con la pancia. 

-E nemmeno i Sovrani di un tempo.- Tossì un paio di volte, per far ritornare l'attenzione su di sé. Il moro si voltò completamente verso di lui, interessato su dove volesse andare a finire con quel discorso il Precettore e alzando un sopracciglio in una muta domanda.

-L'unica persona a cui dovete rendere conto per prima siete voi stesso.- Caspian prese a torturarsi le mani, abbassando il capo. La tensione creata dalla miriadi di domande con cui avrebbe voluto investire l'anziano sembrò permeare l'aria.

-Perché non mi avete mai detto di mio padre?- domandò, in un sospiro. Accettare di crescere senza i genitori era una questione difficile, ma scoprire che uno di questi era stato strappato via da una persona che invece avrebbe dovuto guardargli le spalle gli faceva ribollire il sangue nelle vene di collera.

Traditore.


Caspian strinse i pugni attorno alla stoffa pesante dei calzari, osservando ostinatamente il paesaggio per non incrociare gli occhi del suo maestro. Non voleva che vedesse l'uragano di emozioni che lo stavano scuotendo direttamente dall'interno.

-Mia madre discendeva dai nani delle terre del Nord.- Cornelius vide il ragazzo sussultare a quelle parole, come pungolato da una spada. Era sicuro che avrebbe compreso le sue ragioni oltre quelle parole senza bisogno che si perdesse in troppe spiegazioni.

Il Principe era un ragazzo sveglio ed intuitivo, doveva solo racimolare la fiducia in se stesso per diventare quel grande uomo che, secondo lui, era destinato ad essere.

-Tutto ciò che ho detto, o che non ho detto, l'ho fatto solo per una ragione. Perché sono certo che voi sarete un Re migliore di tutti i vostri predecessori. Sarete diverso, mio Principe.-

Il Precettore dovette soffocare un sorrisino compiaciuto osservando come gli occhi di Caspian avessero iniziato ad ardere a quelle parole, mostrando l'animo determinato che aveva spinto quel ragazzo a dare la propria parola d'onore alle creature di Narnia notti addietro.

-Diverso?- domandò, osservando con circospezione l'uomo accanto a lui, mostrando confusione. Gli occhi vispi del maestro luccicarono da sotto gli occhiali, come se conoscessero una verità già decisa da tempo.

-Sarete l'uomo di Telmar che ha salvato Narnia.-


***



Evelyn aumentò il passo, in modo da poter uscire da quel posto il prima possibile, seguendo l'esempio di Edmund e Caspian, spariti chissà dove già da vari minuti. Percepiva dietro di sé ancora le spire del gelo che le aveva ghermito l'anima, ma cercò di non farci caso, catalogando tutto ciò come frutto della sua fantasia.

Sospirò, evitando per un soffio un fauno che batteva il ferro, uscendo fuori senza degnare nessuno di uno sguardo, ignorando le fitte al ginocchio o il bruciore alle mani.

Respirò appieno l'aria esterna non appena varcò la soglia di quel posto che fino a quel momento l'aveva fatta sempre sentire al sicuro, ma che, dopo quell'incontro con il passato, non le riusciva più a trasmettere quella sensazione – seppur lieve – di casa.

Eve scosse la testa, portandosi una mano tra i capelli, permettendo allo sconvolgimento di venire a galla.

Jadis. Era davvero stata Jadis ad attaccarla nel bosco, giorni prima, come i suoi fratelli avevano ipotizzato.

Perché?


Non ne capiva la ragione. Ed era davvero stata Jadis quella che aveva riprovato a corromperli, approfittando della situazione di disperazione in cui si trovavano gli animi di Caspian e suo fratello, per cercare di tornare alla vita.

Evelyn strinse un pugno, reprimendo la frustrazione e pestando i piedi, tremando visibilmente per tutte quelle risposte mancanti.

Si incamminò senza nemmeno rendersi conto verso il prato dietro la casa di Aslan in cui era stata con Edmund, afflitta dai suoi stessi pensieri, camminando stancamente tra l'erba.

Non pensava che la Strega Bianca fosse ancora viva, intrappolata nel suo mondo di ghiaccio – in qualche modo a lei inspiegabile. Tutti loro avevano sempre creduto che Aslan l'avesse uccisa, divorandola durante la grande battaglia.

Ciò voleva dire che, se era davvero viva, ci sarebbe sempre stato il rischio che tramasse nell'ombra per riuscire a tornare?

Evelyn sbatté le palpebre, sconvolta, non riuscendo a frenare la sensazione di pericolo imminente che quell'eventualità le creò. Appena avrebbe avuto modo di vedere il leone era sicura che sarebbe stata una delle prime cose che gli avrebbe chiesto. Non era possibile che su Narnia vagasse ancora la possibilità che quella donna tornasse, sconvolgendo l'equilibrio già fin troppo fragile di quel mondo e rischiando di far tornare a galla tutti i problemi che avevano affrontato con estrema fatica con...

-Edmund-

Si congelò sul posto, incontrando la figura del fratello appoggiata ad un tronco caduto in quel luogo dove l'aveva guidata l'inconscio.

Il moro aveva gli occhi chiusi, ma le fu chiaro il tormento che doveva provare a causa di quell'incontro con il passato dai tratti rigidi del suo volto, la fronte aggrottata, un piede che dondolava ritmicamente... e ne ebbe la conferma quando Edmund le rese visibili quei baratri castani, fissandoli stancamente su di lei.

Evelyn si bagnò le labbra, indecisa su cosa fare e valutando la possibilità di tornare indietro e trovare un altro posto in cui rimuginare, lasciandolo solo con i propri pensieri. Per quanto immaginasse i tormenti del fratello, per quanto desiderasse solo abbracciarlo per fargli passare l'ombra che vedeva nei suoi occhi, in quella circostanza non fu sicura che avvicinarsi fosse la scelta migliore.

Ma il Pevensie interruppe quei suoi ragionamenti, indicandole con la mano il posto accanto a lui, senza però sforzarsi di sorridere.

La ragazza rilassò le spalle, avvicinandosi lentamente, non del tutto convinta. Si sedette, incapace assumere una posa rilassata e iniziando a torturarsi le mani, evitando di guardare Edmund negli occhi. Iniziava a sentire il groppo della responsabilità e del senso di colpa dilaniarla.

-Mi dispiace.-

Il Pevensie si girò verso di lei, alzando un sopracciglio in una muta domanda.

-Cosa? Perché?- si preoccupò, corrugando la fronte. Il pensiero che Evelyn potesse aver accettato qualcosa da Jadis prima che intervenissero gli passò come un flash nella mente.

-Se avessi reagito prima che arrivaste, se l'avessi sconfitta o avessi agito diversamente, tu... t-tu...- gli occhi della ragazza dardeggiarono per la radura, inquieti come poche volte Edmund li aveva visti.

Scattò sull'attenti automaticamente, allarmato, percependo il cambio nel tono di voce di Eve e voltandosi del tutto per guardarla in faccia. Quella non ricambiò lo sguardo, vergognandosi della frustrazione che l'aveva improvvisamente investita come un treno lasciandola senza fiato, restando con lo sguardo lucido puntato sulla foresta.

-Io cosa, Evelyn?- le domandò, posandole una mano sul braccio per obbligarla a guardarlo, non comprendendo il motivo della sua sofferenza. La vide sospirare pesantemente, voltandosi poi nella sua direzione, facendolo specchiare nei suoi occhi sull'orlo delle lacrime.

Sentì qualcosa dentro di sé spezzarsi a quella visione, percependo il tormento di Eve terribilmente famigliare. Era lo stesso che aveva provato lui per molto, molto tempo, quando aveva realizzato la sofferenza causata ai suoi fratelli.

-Tu non l'avresti vista.- si decise a confessare lei, in un sussurro. Abbassò lo sguardo, permettendo ai capelli di nasconderle il viso. Se non si fosse lasciata prendere come una stupida Edmund non avrebbe dovuto rifare i conti con quel passato che, lei sapeva benissimo, gli faceva così male.

Si morse un labbro, nervosa.

Non voleva che lui si ritrovasse braccato nuovamente da quel senso di colpa che per troppo tempo l'aveva accompagnato, non voleva vederlo pensieroso o insonne per notti intere. Non era giusto. Non se lo meritava.

Edmund le mise un braccio intorno alle spalle in un modo talmente naturale e veloce che rimase con il fiato sospeso quando si rese conto di avere la testa appoggiata alla spalla di suo fratello.

-Non dire più certe cose, stupida.-

Chiuse gli occhi, lasciandosi scappare una lacrima, percependo le mani gelide del senso di colpa abbandonarla lentamente.


***


Susan incoccò l'ennesima freccia, tendendo la corda dell'arco il più possibile fino a sentire le piume del sottile bastoncino di legno a contatto con la pelle del viso. Si prese qualche secondo per respirare, recuperando tutta la concentrazione di cui disponeva per prendere la mira.

A vari metri da lei, il bersaglio che aveva scelto per sfogare la frustrazione sembrava guardarla contrariato, spiccando nella radura con vari dardi piantati nel centro a distanza ravvicinata l'uno dall'altro.

Mollò il tutto e nel giro di un battito di ciglia anche quello andò a conficcarsi senza remore verso l'obbiettivo.

Susan sospirò, percependo la tensione nelle spalle renderla troppo rigida tanto da darle quasi dolore alla schiena, tastando con la mano a caso alle proprie spalle per cercare di prendere un'altra freccia dalla faretra, accorgendosi con una veloce occhiata che le aveva finite.

Si voltò, puntando lo sguardo davanti a lei ed incamminandosi lentamente verso il bersaglio, scrutandosi intorno con disappunto. Tirò fuori le frecce con forza, senza preoccuparsi di nascondere la collera che l'aveva assalita o del rischio di far rimanere la punta di ferro incastrata dentro.

Jadis.

Non pensava l'avrebbe mai rivista, e non pensava che, composta e padrona delle proprie emozioni come era sempre stata, la cosa l'avrebbe sconvolta in quel modo.

Si era ritrovata a piantare i propri occhi su quella figura algida ed eterea dal viso che non era stato schiavo del tempo, ad osservare il ghigno soddisfatto e lo sguardo compiaciuto nell'avere davanti Peter tenderle la mano. Era stata una frazione di secondo, il tempo di un respiro prima che Edmund trafiggesse la lastra da cui stava tentando di uscire, ma era bastato per far si che si facesse un'idea ben chiara su ciò che stava succedendo.

Susan si passò una mano tra i capelli, spostando delle ciocche ribelli dietro l'orecchio e togliendosi la faretra dalla schiena per poter mettere dentro le frecce appena recuperate.

Sbuffò, mordendosi un labbro, incapace di capire da dove provenisse tutto quel nervoso che sentiva scalpitare sotto la pelle, sentendosi quasi affogare da come quel turbine di emozioni le stesse mettendo a dura prova i nervi. Chiuse gli occhi, alzando il viso verso il cielo per poter sentire i raggi del sole sulla pelle, provando ad immergersi nella pace che trasmetteva la natura che le stava intorno e che un tempo conosceva alla perfezione.

Scosse la testa, cercando di cancellare dalla mente l'immagine di suo fratello e di Caspian ai piedi della Strega Bianca, scacciando violentemente la voglia di prenderli a schiaffi e il senso di tradimento che l'assaliva ogni volta che ci ripensava ed immaginava quelle che sarebbero potute essere le conseguenze.

Doveva calmarsi. Non era da lei lasciarsi trasportare così dalle emozioni.

Cercò di liberarsi da tutta la negatività che sentiva crescerle alla bocca dello stomaco in modo tanto pressante da darle quasi la nausea, domandando a se stessa perché non avesse notato nulla nei giorni precedenti che la avvisasse su ciò che sarebbe successo.

Non accettava l'idea che i suoi occhi sempre abituati a scrutare tutto in maniera fin troppo eccessiva e la sua mente intuitiva ed attenta non avessero colto dei gesti, degli sguardi, delle parole... qualsiasi cosa che potesse essere anche solo lontanamente un indizio che la mettesse in guardia su ciò che stava venendo tramato alle loro spalle.

Non poteva accettare di aver avuto quella debolezza, Susan, di aver abbassato la guardia in quel modo dopo ciò che era successo ad Evelyn.

Non voleva piegarsi all'idea che tutto quello avrebbe solo dovuto metterla maggiormente sull'attenti su ciò che circondava lei ed i fratelli, che sarebbe stato compito suo assicurarsi che tutto procedesse al meglio – che avrebbe dovuto avere maggiore controllo, quello stesso controllo che le stava mancando in quel momento, lasciandola in balia di quei pensieri ed emozioni.

Lanciò uno sguardo verso il rifugio, lasciando che i suoi occhi tormentati incontrassero la figura di Caspian che con passo lento camminava nella sua direzione, scorgendo la titubanza nel suo sguardo ed il viso contratto.

Susan ingoiò il rospo amaro della delusione, appigliandosi a quella visione come se fosse l'unico punto che le potesse dare un po' di pace in quel momento. Si sentì confusa, trovandosi spiazzata per il modo in cui la visione del Principe di Telmar avesse appianato un poco l'oceano in tempesta che si stava abbattendo nel suo animo.

Se Caspian e Peter si stavano facendo soggiogare le colpa era stata anche sua, che non era stata capace di stargli accanto come forse avrebbe dovuto, consapevole di quanto le ombre aspettino i momenti in cui la luce si fa più fioca per farsi avanti. Era stata una sprovveduta.


***
 


Lucy entrò a passo leggero nella cripta di Aslan, tanto da che quasi non fece rumore, cercando con lo sguardo la figura di suo fratello che sapeva esservi all'interno.

Peter aveva aiutato gli uomini più fidati di Glenstorm a portare via i resti di quello scontro cercando di far trapelare il meno possibile ai Narniani, per evitare che si agitassero, buttando i resti del ghiaccio nel fiume che settimane prima avevano incontrato durante il giro di perlustrazione della zona e bruciandovi li vicino i cadaveri.

I suoi occhi dardeggiarono per quella stanza immersa in un silenzio quasi innaturale, trovando la sagoma immobile di suo fratello adagiata su alcune rocce vicino alla tavola spezzata. La Pevensie fece passare lo sguardo da lui a ciò su cui era fissato, trovandolo in contemplazione della figura di Aslan incisa nella pietra.

Lo conosceva così bene che non le fu per niente difficoltoso percepire a pelle le motivazione dietro il mutismo in cui si era ostinatamente chiuso.

Si avvicinò con passo leggero, aggirando la tavola spezzata e posando una mano sulla pietra ruvida, notando la veloce occhiata che il biondo le lanciò per segnalarle di averla sentita. Lucy sospirò, accomodandosi accanto al fratello e prendendo a guardare nella sua stessa direzione.

Aslan li osservava, imponente nemmeno la metà di come le era apparso nel sogno, in quel varco dove fino a poco prima la Strega Bianca ne copriva la vista. Non ebbe problemi a sostenere lo sguardo di pietra, Lucy, riuscendo quasi a sovrapporvi il ricordo degli occhi dorati, sapendo nella parte più istintiva di sé che da qualche parte Aslan li stava osservando, aspettando un gesto da parte loro per tornare ad aiutarli.

-Sei fortunata, Lu.- Peter abbassò lo sguardo, sospirando, lanciando una profonda occhiata alla sorella minore accanto a lui.

-Perché?- Lucy studiò il profilo del Pevensie, che sospirò appena, con una nota di confusione negli occhi chiari, trovando il suo viso particolarmente stanco.

-Tu l'hai visto. Vorrei avere avuto anche io qualche tipo di segno da parte sua.- Il Pevensie tornò a fissare la figura di Aslan, sentendo la mano di Lucy accarezzargli il braccio per cercare di confortarlo. Si morse l'interno di una guancia, percependo addosso tutta la frustrazione per non essere riuscito ad agire diversamente affossargli il cuore per la prima volta da quando era tornato.

Era sicuro che se Aslan lo avesse visto in quel momento gli avrebbe riservato una profonda occhiata di disapprovazione per tutto ciò che aveva combinato, uno di quei suoi sguardi penetranti capaci di rendere al silenzio chiunque.

Da quando era li, mai come in quel momento Peter, sotto lo sguardo silenzioso del padre di Narnia, permise ai dubbi di inondargli la mente, facendogli vacillare quella sicurezza in se stesso che aveva sempre sbandierato senza problemi.

Jadis lo stava convincendo così facilmente...

Nascose gli occhi dietro le palpebre, cercando di ritrovare un punto fermo nel vortice di emozioni che lo stava travolgendo.

-Forse siamo noi a dovergli dimostrare qualcosa questa volta.-

Peter voltò il viso, posando lo sguardo su Lucy, trovando, a dispetto delle proprie aspettative, il viso sereno della sorella che lo guardava, incoraggiante. Il Pevensie non poté evitare di sentirsi rasserenato da quella visione, dal modo in cui, nonostante tutto, Lu gli stesse vicino, scaldandogli il cuore con la sola presenza quando avrebbe avuto tutte le ragioni per fargli qualche ramanzina.

Peter sfoggiò un'espressione pensierosa per qualche attimo, ripensando a tutto ciò che era successo, sentendo una fiammella di speranza riaccendersi nel vedere come la sorella sorridesse a quella che era solo una figura incisa nella pietra.

-Credo tu abbia ragione.-


***
 


-Ormai non dovrebbe mancare molto, giusto?-

Dhemetrya si rigirò lo scettro tra le mani, studiando quegli arabeschi ghiacciati incisi sulla superficie che le ricordavano vagamente gli stessi disegni che decoravano il suo arco. Quell'oggetto doveva essere sparito da anni, ma evidentemente, con il passare del tempo ed a furia di cercare, aveva avuto modo di tornare alla luce e finire nelle mani sbagliate.

Percepiva ancora dell'alone di magia provenire da quel bastone, le spire di freddo che cercavano di congelarle la mano pungendole il braccio come tanti spilli. Cercò conforto nel calore del corpo di Antares, immergendo la mano libera nella criniera e lasciandogli delle carezze sul collo.

Cedere al freddo che sprigionava era solo uno dei tanti modi per finire dalla parte del male. Se fosse stato impugnato da qualcuno di debole o corrotto, quell'oggetto maledetto che racchiudeva i rimasugli di volontà della Strega Bianca gli avrebbe fatto fare esattamente tutto ciò che voleva.

-No, siamo quasi arrivati.-

Lia saltò su un masso, annusando l'aria, sentendo l'odore di salsedine solleticarle l'olfatto. Stavano percorrendo a ritroso il cammino che i Pevensie avevano fatto per raggiungere il rifugio di Aslan, percorrendo quella distanza molto più brevemente di quanto i ragazzi non avessero fatto, nascosti tra la vegetazione e trasportati dal vento.

L'unico modo per disfarsi di quello scettro era consegnarlo nelle sapienti mani della Grande Magia.


***


-Noi possiamo occuparcene.-

Lia osservò lo scettro nelle mani del fauno, lanciando poi un'intensa occhiata a Dhemetrya, che si affrettò a raggiungere il Narniano con un paio di balzi. Gli prese l'oggetto dalle mani senza aspettare una sua risposta o quella di chiunque altro, tornando vicino alla lupa.

Si prese qualche secondo per osservare l'oggetto che aveva davanti agli occhi, provando una profonda sensazione di disagio e amarezza che le bloccarono il respiro in gola. Quello scettro era stato usato per creare così tanta sofferenza, così tante morti...

-Possiamo farlo sparire. Per sempre.-

Dhemetrya tornò a posare lo sguardo su Peter, trovandolo con i lineamenti contratti e gli occhi che non si staccavano dallo scettro, pensierosi. Effettivamente dire che potevano farlo “sparire per sempre” era una promessa fatta con parole dal peso non indifferente.

Vide il Pevensie sospirare, immaginando che stesse valutando la situazione, e lanciare una profonda occhiata a Lia senza preoccuparsi di nascondere una nota di scetticismo.

-Per sempre?- confermò i suoi pensieri Peter, e Dhem lanciò un'occhiata alla lupa, la quale sembrò perfettamente a suo agio nonostante le remore del Re.

-E' l'unico modo per non farla più tornare. Se non ci credi potrai chiedere ad Aslan... quando tornerà.-

Peter sembrò arrendersi all'idea di affidare a quei tre Narniani una cosa così importante, memore delle varie volte che li avevano aiutati nei momenti di difficoltà e della profonda conoscenza che Lia sembrava avere di Narnia, della pacatezza che sprigionava sempre intorno a sé, perfino in quel momento per un discorso così importante.

Sospirò pesantemente, fissando gli occhi azzurri in quelli di Dhemetrya che ancora reggeva lo scettro.

-Va bene.-


***


Antares fermò la propria marcia sulle sponde di una delle tante ramificazioni che andavano a formare il fiume che i Pevensie avevano percorso con la barca rubata ai Telmarini. Il manto nero faceva un bellissimo contrasto con la natura, facendo risaltare ancora di più la vividità dei colori che la ornavano.

Dhemetrya scese con un movimento veloce, non creando nessun rumore con i calzari quando sfiorò il terreno. Mosse qualche passo incerto, facendo scorrere lo sguardo su quell'ambiente che le smosse sotto la pelle un'incredibile senso di familiarità.

Era uno dei tanti luoghi in cui aveva passato quei lunghi anni immersa nel silenzio, abbastanza lontano dai confini di Telmar perché gli uomini fossero un pericolo e nelle vicinanze di Cair Paravel, tanto che spesso per nostalgia aveva raggiunto le rovine del castello e si era fermata ad osservare il mare dai ciò che rimaneva delle grandi balconate.

Dhemetrya sospirò, posando lo sguardo sul fiume che scorreva davanti a loro, ricordando quando le sue acque risplendevano delle risate delle naiadi e le driadi suonavano melodie rilassanti sedute sui rami di quegli stessi alberi ora chiusi nel silenzio. Osservò il proprio riflesso nello specchio d'acqua, facendo quasi fatica a immedesimarsi con la figura che vi vedeva all'interno.

Quella ragazza dal volto scavato, lo sguardo spento, la pelle così pallida da sembrare grigia e una speranza ormai gettata alle ortiche... non era lei. La lucente Figlia del Cielo.

Lucente...


Dhem chiuse gli occhi, irrigidendo i tratti di un viso che ricordava molto più delicato ed armandolo di un sorriso amaro, stanco come lo era il suo spirito, stringendo lo scettro che teneva in mano con così tanta forza che le nocche le sbiancarono.

Cosa le era rimasto di lucente?

“Figlia mia.”

Dhemetrya si irrigidì, aprendo gli occhi di scatto come se si fosse scottata, rimanendo abbagliata per qualche secondo dalla luce del sole riflessa sull'acqua. Rimase immobile, incapace di darsi una spiegazione sul motivo per cui le era sembrato che la voce sentita nella testa provenisse in qualche modo dall'acqua, studiando la superficie calma restituirle l'immagine di una ragazza dagli occhi agitati e pieni di confusione.

Si voltò verso Lia ed Antares, rimasti in disparte per decidere la strada migliore da percorrere, indecisi se avrebbero avuto più fortuna con il luogo in cui erano comparsi i Pevensie o in cui Dhemetrya aveva visto la Grande Magia.

I due Narniani la guardarono, sentendosi osservati, lanciandole degli sguardi interrogativi per la tensione che stava spargendo intorno a sé e che percepirono irradiarsi nel silenzio in cui erano immersi. La mora scosse la testa, non capendo, continuando a tenere gli occhi puntati sui due. Stava forse diventando pazza?

“Figli miei...”

Quando quella stessa voce per la seconda volta le penetrò nella testa come un sussurro leggero, con quella nota di dolcezza inconfondibile, Dhemetrya stava ancora osservando Lia ed Antares. Li vide irrigidirsi e tendere le orecchie, riuscendo a riconoscere nei loro sguardi la stessa miriade di emozioni che avevano preso a tormentarla.

Nessuno dei tre osò parlare, facendo calare tra di loro un silenzio carico di aspettativa.

“Figli miei, sono qui.”

Dhem voltò il viso, puntando gli occhi pieni di stupore nel fiume e trovando al posto del proprio riflesso il volto della Grande Magia che la guardava, sorridendo appena, i lineamenti eterei come li ricordava.

Sembrava galleggiare al di sotto della superficie, i lunghi capelli argentei che si fondevano in leggeri arabeschi con l'acqua.

“Madre? Cosa...”

La donna puntò gli occhi sapienti accanto a Dhemetrya, permettendosi qualche secondo per studiare quei visi che l'avevano affiancata ed a cui da troppo tempo non si era mostrata.

“So che avete bisogno di me.” Si limitò a dire, sfoggiando un sorriso mentre scrutava oltre l'apparenza, notando lo stupore che si dipinse sui visi dei tre ragazzi che la guardavano dalla sponda del fiume.

Dhemetrya portò avanti lo scettro, mostrandoglielo apertamente. Lo avvicinò all'acqua e degli arabeschi di luce e gocce si allungarono verso l'oggetto, inglobandolo in una bolla fatta di magia impalpabile che lo trascinò nelle mani della donna che stava sotto la superficie – oltre quel mondo che loro conoscevano, trascinandolo in una dimensione da cui nessuno sarebbe più riuscito a strapparlo via.

“Mi dispiace non potere fare di più per aiutarvi, Figli Miei...” Gli occhi della Magia si oscurarono di tristezza, osservando come quelle creature che erano così profondamente parte di lei fossero sciupate, stanche e deboli.

“Non preoccupatevi. Vi stavamo cercando proprio per questo motivo.”

Dhemetrya si voltò per osservare l'espressione che Lia poteva aver assunto, incuriosita dalla voce suonata leggermente diversa, strabuzzando gli occhi quando si trovò davanti il motivo per cui la donna riflessa nell'acqua sorrideva.

Trovò al posto della lupa la figura formosa di una ragazza dai lunghissimi e ricci capelli castani e gli occhi smeraldini.

Non è possibile...


Rimase a bocca aperta qualche secondo, incapace di sapere cosa dire ed ignorando il dialogo tra le due, girandosi poi di scatto dalla parte opposta, sentendo una stretta alla bocca dello stomaco. Si portò una mano alla bocca, sentendo il respiro che le si mozzava in gola, ricevendo in risposta un'ammiccante occhiata dai due profondi occhi nocciola, talmente chiari e vividi da sembrare quasi ambrati, che spiccavano sul volto del giovane uomo accanto a lei.

Quanto tempo era che non vedeva quei volti?

Sentì la testa vorticare, Dhem, tanto che dovette appoggiare una mano sul terreno per sostenersi.

“Figlia mia.”

La ragazza si sforzò di puntare lo sguardo nell'acqua, cercando di trovare in quella voce un appiglio per evitare di annegare nella marea che le stava sconvolgendo l'animo.

“Co-come è possibile?” Domandò, facendo passare lo sguardo sui due ragazzi accanto a lei. Temeva che li avrebbe dimenticati a furia dei secoli passati senza vederli.

Il ragazzo le mise una mano sulla spalla, ma ciò che vide nel profondo dell'occhiata rassicurante che le stava dando, Dhemetrya, fu solo una profonda tristezza. Una tristezza data dalla consapevolezza di essere rilegato in una forma che non gli apparteneva.

“Purtroppo la poca magia rimasta mi permette di farvi solo questo regalo. Appena me ne sarò andata... tutto tornerà come prima.”

La mora vide gli occhi della donna passare in rassegna i loro volti, riservandogli un'occhiata di scuse, notando l'immagine che iniziava a sbiadire e la stanchezza che ne segnava i tratti. In qual modo strano che era il legame tra loro sentì come se le forze venissero meno anche a lei.

“Non fatevene una colpa. Dovete rimanere fiduciosa, come ci avete sempre detto.” Il ragazzo si allungò verso l'acqua, immergendovi una mano come se volesse accarezzare il viso al di sotto di essa – senza riuscire, però, a toccarlo davvero. La donna sorrise nella sua direzione, divenendo sempre più confusa sotto i loro sguardi.

Avrebbero voluto riempirla di domande, sapere perché era successo tutto ciò, perché si era arrivati al punto in cui la magia in Narnia stava scomparendo, ma erano troppo consapevoli del fatto che non c'era tempo.

Essersi mostrata per quei pochi minuti doveva esserle costato un immenso sforzo, e l'acqua sempre più torbida davanti a loro era la prova di quanto rapidamente la sua presenza in quel pezzo di fiume stesse scomparendo senza la delicatezza a cui erano sempre stati abituati, rigettata indietro come se fosse fuori luogo.

Dhemetrya continuò a fissare gli occhi nel ruscello, incapace di muoversi, sentendosi ancora addosso il calore sprigionato da quegli occhi sapienti.

“Arrivederci, Madre.”


























































































































Tadadadannn!
Ciao a tutti :)
Non ho molto da dire in realtà su questo capitolo, credo sia abbastanza esplicativo da sé. Era necessario per me sondare i vari pensieri che prendono i Pevensie dopo Jadis, quindi mi scuso se potrebbe essere risultato un po' pesante da sopportare. La scena tra Eve ed Edmund se la sono gestita praticamente da soli e io li ho trovati teneriii... e li ho lasciati fare xD
Da dopo il prossimo capitolo inizierà un arco di almeno 4/6 capitoli che riveleranno parte della trama, quindi mi prenderò tutto il tempo necessario per sciogliere le varie situazioni che si andranno a creare. Nel frattempo spero che questo vi sia piaciuto. :)
Il prossimo aggiornamento sarà verso fine gennaio, se riesco un pochino prima. Nel frattempo vi ringrazio per aver letto e vi auguro buone feste.
Love,
D <3

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Capitolo 33
*** I cuori sotto la superficie. ***


Narnia's Spirits
I cuori sotto la superficie.











L'alba che annunciò quel giorno era particolarmente delicata, un susseguirsi di tenui tinte pastello che andavano via via a rischiare un cielo che fino ad appena un paio di ore prima era stato costellato dalle stelle della notte che, buia e silenziosa, era calata su Narnia.

Dhemetrya sospirò palesemente, scrutando l'orizzonte dalla piccola altura su cui si trovava, facendo scorrere lo sguardo sui profili dei boschi e delle montagne ancora immersi nella nebbia mattutina.

Il tempo stava cambiando. Le giornate iniziavano ad accorciarsi, l'aria ad essere più umida, a tratti perfino pungente, il cielo meno splendente... la natura che formava quel mondo sembrava stesse mutando espressione, assumendo delle note quasi malinconiche che riuscivano a farle nascere un grosso sentimento di nostalgia.

Presto, Dhemetrya lo sapeva bene, avrebbe cambiato i colori, assumendo quelle tinte in armonia con i tramonti infuocati di cui spesso era stata testimone.

Presto sarebbe arrivato l'autunno.

L'ennesimo autunno a cui avrebbe assistito, l'ennesimo passaggio di testimone tra una stagione e l'altra.

Dhemetrya spostò il peso del corpo da una gamba all'altra, godendosi il silenzio in cui era avvolta la foresta, assaporando quel momento di quiete assoluta che precede un nuovo giorno e in cui il tempo sembra fermarsi, come congelato, in cui si era trovata in mezzo.

Era passata un'altra manciata di giorni da quando Jadis aveva tentato di tornare in vita. Quell'evento, le cui voci si erano diffuse tra le truppe Narniane, aveva messo a dura prova l'equilibrio ancora neonato che si era appena ristabilito.

I soldati si erano guardati con rinnovato sospetto, lanciando occhiate di disprezzo sopratutto verso i nani, domandandosi se per caso non potesse esserci qualcun altro che stava tramando nell'ombra. Era risaputo che durante gli anni d'inverno in cui aveva governato la Strega Bianca i primi ad essere passati dalla sua parte erano stati proprio loro, per puro istinto egoistico di sopravvivenza.

I Pevensie avevano passato ogni momento di quelle giornate cercando di far tornare quelle creature coese verso quell'obbiettivo comune che sembrava sempre più vicino, evitando – lei l'aveva capito benissimo – il più possibile di far trapelare quanto fossero rimasti scombussolati da quell'incontro, incitandole a non perdere la speranza.

I Telmarini erano oltre la metà nella costruzione del ponte che gli avrebbe permesso di raggiungerli e la battaglia finale si sarebbe combattuta entro un paio di settimane, forse tre se erano un po' più fortunati.

A zittire i borbottii ed appianare gli animi sfiduciati l'intervento della pacifica e ammirata figura di Glenstorm era stato ciò che di più proverbiale Peter ed i fratelli avrebbero potuto desiderare.

Il centauro era rispettato, le sue spiegazioni e la profonda conoscenza degli eventi sia presenti che futuri riuscivano ad incantare anche la creatura più tormentata. Vederlo riporre, per l'ennesima volta, la piena fiducia negli antichi Re e in Caspian aveva agito da specchio, facendo si che anche tutti gli altri ne seguissero le orme – esattamente come quando, settimane prima, aveva giurato fedeltà al Principe di Telmar.

Le cose, quindi, con calma erano tornare ad appianarsi. Non sapevano altrimenti in che modo avrebbero potuto arginare il problema di un'eventuale rifiuto da parte dei Narniani di battersi al loro fianco in un momento così cruciale per un eventuale senso di tradimento che avrebbero potuto provare.

La ragazza chiuse gli occhi, nascondendo alla vista della foresta ancora addormentata gli assonati occhi blu, muovendo il collo per cercare di rilassare le spalle in tensione.

Allo stesso modo, il tempo anche per lei era tornato lentamente a scorrere.

Dopo l'incontro con la Grande Magia, dopo che li aveva degnati della sua presenza, dopo che aveva ricordato a Lia ed Antares che avevano una vita oltre quella in cui si trovavano, non avevano più parlato molto – soprattutto, non avevano più parlato del destino, della magia, o dei loro compiti. I due sembravano essersi chiusi in un silenzio malinconico, forse perfino rassegnato, un silenzio così pesante che Dhemetrya lo sentiva penetrarle fin dentro le ossa anche se non c'entrava nulla.

Una bolla di vuoto, come svuotati si erano ritrovati loro stessi quando erano ritornati al campo.

Non era da loro farsi abbattere, ma Dhem immaginò che essere messi davanti alla consapevolezza di tutto il tempo che avevano passato separati non dovesse essere piacevole. Per la verità, lo trovava triste. Immensamente. Le loro vite un'utopia, il loro legame proibito sospeso nei secoli... e forse senza occasione di riaverli indietro.

Erano passati anni da quando erano stati felici e spensierati, loro tre, ma mai si erano soffermati a pensare che le loro vite sarebbero potute giungere ad una fine, scomparire così come erano nati nel giro di un soffio di vento. Avevano sempre cercato di mantenersi neutrali, in attesa, cercando di conservare quella fiducia che non gli permetteva di lasciar andare tutto in malora.

Un richiamo istintivo, qualcosa a cui non potevano sottrarsi nemmeno con l'evidenza di tutto ciò che era successo perché più forte di qualsiasi altra emozione, una vocina che in testa gridava di tenere duro.

Dannazione, quelle cose pesavano.

Occhieggiò i borsoni che le penzolavano ai fianchi, passando le mani sotto le tracolle che aveva incrociate sopra il seno per dare sollievo alla pelle che sentiva tirata dal loro peso. Restò ferma qualche secondo, fissando quelle sacche senza vederle davvero, permettendosi di rilassarsi approfittando di quell'oasi di pace e cercando di scacciare la stanchezza che iniziava a percepire.

Avrebbe solo voluto chiudere gli occhi per qualche minuto. Era stata in giro tutta notte, ma finché non tornava alla casa di Aslan non poteva permettersi debolezze o perdite di tempo. Si trovava in una zona lontana dal guado di Beruna in cui sostavano i soldati, ma era ancora troppo vicina all'entrata della foresta per sentirsi totalmente al sicuro.

Si portò gli indici alle tempie, sentendo delle fitte alla testa, maledicendo se stessa e sentendosi tremendamente sconvolta per il modo in cui emozioni a cui non avrebbe dovuto dare ascolto le stavano da giorni scuotendo l'anima.

Chi glielo aveva fatto fare?


***


-Biscotti?-

Susan alzò un sopracciglio, smettendo di ripiegare la coperta che stava svogliatamente sistemando e voltandosi, puntando lo sguardo sulla sorella. Gli occhi chiari non nascosero una vena di scetticismo per quelle parole, ma si limitò ad osservare la minore delle sorelle senza concedere altre espressioni che facessero intuirne i pensieri.

-Si.- Lucy mimò un sorriso, consapevole di quanto potesse sembrare strana quella sua richiesta, sbattendo le palpebre e rimanendo seduta su una sporgenza di pietra che si trovava in quella che era stata la loro camera appena arrivate.

-Non mi pare il caso, Lu...- mormorò la Dolce, lanciando un'occhiata ad Evelyn, ferma a farsi allacciare i lacci del corsetto da Dhemetrya e notando lo sguardo perplesso che le stava rimandando e che, era sicura, avesse assunto anche lei.

La Narniana, invece, rimase a fissare il lavoro che stavano svolgendo le proprie dita, senza dare segno di volersi intromettere in quella discussione tra Regine ma sentendosi, in realtà, profondamente curiosa per quell'uscita particolare.

-Lucy, come può venirti in mente un'idea simile proprio ora?- sbottò Eve, con un moto di stizza, lanciandole un'occhiata palese e allargando le braccia indicando la stanza in cui si trovavano ma intendendo, in realtà, tutta la casa di Aslan e la situazione precaria in cui erano coinvolti. Certe volte non riusciva proprio a capirla.

-Io penso che se facciamo dei biscotti i soldati potrebbero apprezzare. Li aiuterà anche a migliorare l'umore.- Lucy si alzò in piedi, avvicinandosi alle sorelle senza paura di sostenere i loro sguardi.

Da quando era successo il fatto di Jadis i suoi fratelli erano tutti rigidi, sospettosi ed in allerta, e questo non aiutava né loro né i Narniani che dovevano guidare. Non era stupida, aveva capito che le cose non erano ancora tornate al loro posto, anche se non glielo avrebbero mai detto direttamente per non preoccuparla.

Lucy riusciva a leggere dietro i silenzi e i sorrisi della sua famiglia, sentendo il peso dei loro tormenti come se fossero suoi.

Voleva fare qualcosa per far tornare un po' di leggerezza, voleva riuscire a trasmettere un poco del calore della speranza che sentiva ruggirle nel petto, e quella le era sembrata la cosa più semplice e veloce da poter attuare tra tutte le idee che le erano balzate per la mente e che, sicuramente, non sarebbe stato possibile fare.

Era consapevole che non avrebbero di certo potuto mangiare come se fossero ad un banchetto, o ballare per ore, ma i fuochi c'erano, alcuni cibi anche, solo... mancavano alcuni ingredienti – e di altri se ne poteva fare a meno, viste le circostanze.

Perché no? Perché non rischiare, per portare un po' di spensieratezza? Non c'erano già state troppe cose brutte a cui assistere, troppo dolore da sopportare? Voleva solo avere dei pensierini da distribuire tra quella gente, come i sorrisi che non si era mai risparmiata di fare ma che, in quei giorni, nessuno sembrava vedere realmente, facendola sentire ancora più piccola rispetto all'età che dimostrava e a ciò che le era permesso fare.

Con quel corpo di ragazzina non poteva combattere, i fratelli glielo avevano evitato il più possibile anche durante l'Età d'Oro nononostante se la sapesse cavare egregiamente, non era adatta come compagna di allenamento perché se la situazione non lo richiedeva non riusciva a fare sul serio... l'unica cosa che le era sempre venuta bene e spontanea era regalare un po' della positività che sempre l'aveva accompagnata. E se quello era il compito che Aslan sembrava averle lasciato, se doveva riuscire a non far perdere la speranza nella prospettiva di un riscatto per Narnia e nel ritorno del leone, lo avrebbe fatto.

Avrebbe fatto tutto ciò che era necessario.

Lucy si morse un labbro, incerta, seguendo il filo dei propri pensieri. Aveva già controllato, ed era sicura che soprattutto non bastasse la farina.

-Non abbiamo abbastanza riserve di cibo. Come pensi di farli? Con l'aria?- la punzecchiò Evelyn, senza reale cattiveria. Già si immaginava dove Lucy sarebbe andata a parare e poteva benissimo sentire nella testa le risposte e gli assoluti divieti che sarebbero usciti dalla bocca di Peter, i lampi che avrebbero mandati i suoi occhi.

-Li prendiamo alla cittadella.- fu infatti la risposta della Pevensie. Eve si portò una mano alla tempia scuotendo la testa, per nulla sorpresa, e Susan aprì la bocca aggrottando elegantemente le sopracciglia, sfoggiando un'espressione d'indignazione che strappò un mezzo sorriso divertito a Dhemetrya.

-Assolutamente no. Sei matta? Lo sai che se ci scoprono è la fine? Sia per noi che per Narnia.-

Lucy strinse le labbra, consapevole nonostante tutto della verità intrisa tra le parole della maggiore. Abbassò lo sguardo a terra, sentendo l'impotenza strisciarle stancamente addosso.

Sapeva che Susan ed Evelyn avevano ragione, che sicuramente il villaggio era in allerta e pieno di soldati, però... però voleva fare qualcosa.


***

 

-Andate da qualche parte?-

Lucy s'immobilizzò sul posto, sussultando di sorpresa per non essersi accorta di non essere sola. Strinse le redini del cavallo che stava finendo di sellare, voltandosi, raccogliendo tutta la sicurezza di cui sapeva poteva disporre.

Faticò a mettere a fuoco la figura che la guardava a qualche metro di distanza avvolta dal buio della sera e dalla vegetazione. Per non farsi vedere dai suoi fratelli e per evitare che occhi indiscreti si intromettessero in ciò che stava facendo si era allontanata con una scusa dal rifugio, fingendo di voler far fare un giro al cavallo che avevano portato via dalle scuderie la notte dell'attacco a Miraz.

La Pevensie si rilassò, sfoggiando suo malgrado un sorriso, riconoscendo nella figura che aveva fatto qualche passo nella sua direzione la pacata persona di Dhemetrya. Non se lo spiegava, ma sapere di non essere più sola in quel bosco un po' troppo vicino alle truppe di Telmar un po' la rassicurava, anche se mentre raggiungeva quello spiazzo non aveva mai pensato alla possibilità di rischiare un'imboscata dai soldati nemici.

-E anche se fosse?- le domandò, alzando il mento in un'espressione che di arroganza aveva ben poco – se non nulla. Vide Dhem aprirsi in un sorriso compiaciuto, passandosi la lingua sulle labbra.

-Non credo i tuoi fratelli saranno contenti.- le disse, mettendosi le mani sui fianchi e calciando un sassolino. L'arco che portava ondeggiò per quel movimento, riflettendo sul legno lucido il chiarore della luna.

Non c'era bisogno che la Pevensie le desse troppe spiegazioni: a fronte di ciò che aveva sentito quella mattina, del luccichio di determinazione che le aveva visto nello sguardo nonostante il divieto, era ovvio ciò che stesse facendo senza dire niente a nessuno.

La ragazzina sospirò, accarezzando il cavallo senza rispondere.

-Devo farlo.- disse, dopo qualche minuto, senza guardare la Narniana in faccia. Non se lo spiegava, ma sapeva che era la cosa giusta da fare. Come sapeva che aveva visto davvero Aslan al burrone e non ne aveva dubitato nemmeno per mezzo secondo.

Seguirono dei minuti di silenzio, in cui si sentì addosso lo sguardo penetrante di Dhemetrya mentre tornava a sistemare le redini.

-Ti prego... di restarne fuori.- Lucy tornò a voltarsi verso la ragazza, specchiandosi nei suoi occhi rilassati. Ci mancava solo che facesse la spia e andasse a dirlo ai suoi fratelli e già sapeva cosa le avrebbe detto Peter.

Non aveva voglia che lui pensasse di doverle anche fare da balia, con tutto il resto delle cose che doveva gestire. In realtà, non voleva pesare sui suoi fratelli. Lucy si pentì di averne anche parlato con Susan ed Eve quella mattina, riflettendo sulla possibilità che poteva aver messo loro in testa che avrebbe fatto qualche gesto azzardato.

Dhem sospirò, modellando un lieve sorriso e chiudendo per qualche secondo gli occhi, rilassando le spalle, sapendo già in che modo si sarebbe concluso quel discorso.

Sicuramente era una faccenda che non la riguardava. Però...

Tornò a puntare lo sguardo sulla Pevensie, ancora ferma ad osservarla. Lucy era, in qualche modo, sempre stata la prediletta di Aslan. Era l'unica che ancora credeva fermamente in lui ed era l'unica a cui si era – apparentemente – mostrato settimane prima.

Perché? Perché a un'umana e non a lei?

La mora sospirò, posando una mano sul fianco, riflettendo di come la figura della Pevensie l'avesse sempre, in qualche strano modo, attirata. Tanto da salvarle la vita con l'orso senza pensarci due volte. Lucy rifletteva quella parte di giovane speranza a cui lei aveva dovuto rinunciare, un'innocenza e spensieratezza che ormai erano solo dei brandelli di ricordi a cui ogni tanto si attaccava.

Forse un po' la invidiava. Invidiava la caparbietà con cui non si faceva soggiogare a ciò che dicevano o pensavano agli altri, la sicurezza con cui faceva ciò che le diceva il cuore.

Se fosse andata davvero via, e le fosse successo qualcosa... non se lo sarebbe perdonato. Non poteva permettere che le succedesse qualcosa. Per Evelyn, per Aslan, per Narnia... perfino per se stessa.

-Andrò io.-


***


-Sicuro che fosse qui, Edmund?-

Eve si voltò per occhieggiare il fratello, sforzandosi di non alzare un sopracciglio con fare scettico. Intercettò la figura del moro a qualche metro di distanza da lei, intento ad osservare con cipiglio critico il terreno attorno a loro.

-Io...- provò a mormorare, senza nemmeno guardarla in faccia e mordendosi il labbro inferiore. Evelyn sospirò, osservando il circondario senza sforzarsi di vedere davvero ciò che incontravano i propri occhi.

Era impossibile che quella dannatissima collana fosse ancora integra, ma Edmund sembrava così deciso a volerla ritrovare che non osava dirglielo ad alta voce.

Erano passate più di due settimane! Ed aveva anche piovuto...

Non capiva perché improvvisamente, un paio d'ore prima, Edmund si fosse svegliato con di nuovo in mente quella collana e motivato a ritrovarla. Suo fratello non era stupido – anzi, era il più lungimirante e concreto di tutti loro –, sapeva benissimo che, con i giorni che erano trascorsi, se anche fossero riusciti a distinguerla da quel terreno immenso si sarebbero trovati davanti solo a dei rimasugli ormai appassiti di steli e petali rovinati.

Quindi perché? Cosa c'era nel comportamento di Edmund che le sfuggiva?

Eve riportò lo sguardo sul Pevensie, osservandolo ciondolare per il prato con fare assorto e riservando un'occhiata preoccupata alla schiena che le stava rivolgendo.

Forse c'entrava ancora Jadis?

La Pevensie scosse lievemente la testa, cercando di scacciare quel nome dalla testa senza staccare gli occhi da Edmund come se fosse potuto sparire da un momento all'altro. Sospirò nuovamente, rivolgendo lo sguardo all'erba e cercando d'ignorare la sensazione sinistra che rievocare quel nome le aveva procurato.

Sperava che, qualsiasi fosse il motivo che sembrava tediarlo, gliene avrebbe parlato.

Dannazione. Dannazione. Doveva esserci, doveva trovarla, voleva trovarla...

Si passò nervosamente una mano tra i capelli, Edmund, stringendo appena le ciocche tra le dita ed ignorando il lieve fastidio che si procurò con quel gesto.

Da qualche parte nella sua mente la parte più ragionevole di se stesso gli sussurrò che era passato troppo tempo perché quel regalo che non aveva mai visto indossato da sua sorella fosse ancora integro.

Chiuse gli occhi, assaporando i raggi del sole mattutino accarezzargli la pelle del viso e cercando di calmarsi, ritrovandosi a dar ragione alla propria coscienza. Avrebbe dovuto trovarla quel pomeriggio in cui poi si era perso nei ricordi, o se Evelyn non fosse stata in pericolo.

Forse, in quel modo...


Eve lo guardava, a qualche metro di distanza, senza preoccuparsi di nascondere la nota di apprensione che le luccicava nello sguardo e le sopracciglia lievemente aggrottate, i capelli appena smossi dall'aria settembrina.

Edmund si sforzò di sorriderle, inspirando profondamente ed avvicinandosi di qualche passo senza interrompere il contatto visivo. Gli sembrò come se tutto il resto intorno a lui fosse diventato sfocato, come se non riuscisse a vedere altro che il suo viso circondato da quella cascata mogano e gli occhi chiari.

Si ritrovò attirato dalla sua figura dimenticando per un breve lasso di tempo tutto il resto, lasciando fuori dalla mente ogni pensiero che non fosse quello d'imprimersi più dettagli possibili di Evelyn che lo guardava.

-Ed...- gli mormorò, quando fu a qualche passo di distanza da lei. Gli lanciò un'occhiata incerta, e lui annuì, capendo cosa si celasse dietro il silenzio paziente con cui la Pevensie l'aveva sopportato per quel tempo di ricerca vana e sforzandosi di ingoiare il boccone amaro della delusione.

-Lo so Eve, lo so.- confessò, arrendendosi e lasciando andare stancamente le braccia lungo il corpo.

Avrebbe voluto farle riavere quella collana che era stata uno degli ultimi momenti di gioia che avevano condiviso prima che tutto andasse a rotoli anche in quel mondo, avrebbe voluto vedergliela indossata, ammirare il bianco delle margherite in contrasto con il caldo castano dei suoi capelli eppure tremendamente simile al candore della sua pelle.

Le margherite non c'erano più in quel prato che era stato testimone dell'ennesimo momento segreto che Edmund avrebbe custodito negli antri del proprio cuore, spazzate via dal cambio del tempo. Tutto ciò gli procurava un senso di dispiacere talmente forte da fargli quasi venire la nausea, mentre osservava gli occhi di sua sorella guardarlo con un malcelato tormento.

Sapeva che Evelyn si era sentita in colpa per Jadis e che un abbraccio non avrebbe potuto fare niente. Lui lo sapeva bene, quanto le parole possano suonare vuote se non ci si crede quando le si ascolta.

Avrebbe voluto farle un regalo per tirarle su il morale, l'unico che quella situazione poteva concedergli – e invece quel regalo non c'era. Ed era stato stupido ad aver pensato di poter avere anche solo la minima possibilità di ritrovarlo dopo tutto il tempo che era passato.

Ma lui, per Evelyn, avrebbe tentato anche l'impossibile...

Edmund voleva renderla felice per quanto gli era possibile e invece in quel momento si sentiva inutile. Perché anche se non glielo diceva Eve era triste e lui lo sapeva, e lui odiava sapere che stava soffrendo senza poter fare nulla.

-Dai, siediti un po'.-

Qualcosa si riscosse nel ragazzo a sentire quelle parole. Il Pevensie sbatté le palpebre un paio di volte, intimandosi di darsi una svegliata e cercando la figura di Evelyn che, si rese conto, non si trovava più davanti a lui.

Ci mise qualche attimo a processare che la Scaltra si era allontanata da lui per avvicinarsi allo stesso tronco al quale lo aveva trovato appoggiato un paio di giorni prima e gli stava indicando il posto accanto a lei, battendo leggermente la mano sull'erba e guardandolo, in attesa.

Edmund sospirò, forse per l'ennesima volta in poco tempo tanto che si trovò infastidito da se stesso per quel gesto, ma occhieggiando Eve non la vide cambiare espressione: la sorella continuava ad osservarlo, silenziosa e con le labbra tirare in un sorriso, mentre seguiva con lo sguardo i suoi movimenti. Ad Edmund sembrò molto una bambina che attende qualcosa con curiosità e la cosa lo fece sorridere, ricordandosi di quando da piccola aspettava che Peter le mostrasse qualche trucchetto di strada che aveva imparato.

-La rifaremo.- disse lei, come per rassicurarlo, quando le si sedette accanto. Edmund accennò un sorriso amaro, senza guardarla, ed Evelyn trovò quel comportamento particolarmente strano.

Non era da Ed accanirsi così tanto per qualcosa che non poteva dipendere da nessuno. Lui era sempre stato quello che prendeva le cose come venivano, specialmente se poco c'era da fare per poterle cambiare. Era bravo a ragionare, elaborare piani e strategie, ma era anche abbastanza sveglio da capire quando valeva la pena sprecare sforzi per qualcosa.

Per l'ennesima volta in quella mattinata, ebbe la sensazione che qualcosa d'importante riguardante suo fratello le stesse sfuggendo e si ritrovasse davanti un muro che la teneva lontana. Non capirne il motivo la mandava in bestia, perché non si era accorta di nulla di diverso la sera precedente. E invece, ora, Ed era scostante e a stento parlava...

-Edmund.- riprovò, toccandogli un braccio, ignorando l'irritazione che sentiva iniziare a premere per uscire.

Catturò subito l'attenzione del moro, che si girò a guardarla di scatto, bloccandosi nel trovarla più vicino di quanto pensasse. Le punte dei loro nasi quasi si sfioravano. Eve si ritrovò incatenata nel castano dei suoi occhi tanto che ebbe quasi la sensazione di starci annegando dentro, e senza rendersene conto smise di respirare.

Una piacevole sensazione di oblio.

Tutto ciò che riusciva a percepire era il prepotente battito del cuore nelle orecchie e l'intensità dello sguardo che Edmund le stava rivolgendo, come se le stesse guardando fin dentro l'anima. Percepì un nodo alla bocca dello stomaco per l'intensità di quelle emozioni.

Edmund fu il primo a riprendersi, imponendosi un autocontrollo che non credeva sarebbe riuscito a racimolare un attimo prima di cedere alla tentazione di allungare un braccio verso di lei.

Nessuno dei azzardò a dire qualcosa riguardo quel momento di stasi che li aveva avvolti, troppo sconvolti ad analizzare ciò che avevano sentito in quei secondi per concentrarsi sull'altro.

-Hai ragione, la rifaremo.- ruppe il silenzio il Pevensie, distogliendo lo sguardo e cercando di scacciare dalla mente e dal corpo la voglia prepotente di protendersi per baciarla che l'aveva assalito. Evelyn era rimasta immobile a fissarlo... come se si aspettasse qualcosa? O forse era lui che aveva assunto un'espressione che poteva averlo tradito?

Si morse una guancia, socchiudendo gli occhi, riportandosi alla mente l'espressione di sua sorella mentre lo guardava e provando un brivido lungo la schiena. Quella situazione lo stava facendo diventare matto.

-Tutto bene? Qualcosa ti preoccupa?- si sentì domandare. Edmund si irrigidì, rendendosi conto che probabilmente stava avendo uno strano comportamento ai suoi occhi. Si sforzò di rilassarsi, cercando di ritrovare la calma appoggiandosi al tronco dietro di lui e fissando lo sguardo sul cielo, fingendo di non sentire i battiti accelerati del proprio cuore ed i dubbi tartassargli la mente.

-No, no... va tutto bene.- mentì, sforzandosi ad accennare un sorriso e schiarendosi la gola. Sentì su di sé lo sguardo di Eve che lo studiava e cercò di ignorarlo per non mostrare i propri turbamenti.

Non poteva permettersi di fare errori. Non poteva cedere... non doveva. Dannazione, perché da quando erano tornati gli risultava sempre più difficile comportarsi normalmente? Perché pochi momenti prima gli era sembrato che Evelyn... no, no. No. Era la sua mente che gli stava facendo brutti scherzi facendogli immaginare cose che non c'erano.

Sussultò sentendo l'inconfondibile suono del ferro di quando viene estratta un'arma e tese i muscoli, in allerta, portando istintivamente la mano all'elsa della propria e puntando lo sguardo sulla foresta circostante.

-Che stai facendo?- si sentì domandare, nuovamente, nel giro di pochi minuti. Edmund si voltò verso la sorella, credendo di essersi immaginato tutto e supponendo di star perdendo definitivamente la ragione.

-Eh?- biascicò, confuso. Eve gli fece dondolare innocentemente davanti al viso la propria arma.

-Volevo affilarla. Edmund, sicuro di stare bene? Mi sembri distratto.- fece quella, rispondendo al suo sguardo interrogativo e tirando fuori da un sacchetto una pietra.

-Ah, si. Va bene.- Il Pevensie mandò giù sonoramente la saliva, sentendosi particolarmente spaesato e poco padrone di se stesso tanto da darsi dello stupido. Osservò Eve portarsi la spada davanti al corpo, esaminandola con sguardo serio per una manciata di secondi prima di puntare verso il terreno la punta, iniziando a far scorrere la pietra lungo la lama.

Per un po' ad avvolgerli ci fu solo il silenzio, rotto dal vibrare del ferro contro la pietra o dal suono di qualche cinguettio in lontananza. Se non ci fosse stato il perenne pensiero della guerra imminente poteva quasi sembrare che si trovavano nella Narnia di milletrecento anni prima.

-Sai, non capisco perché stamattina ti sei fissato con la collana.- Ruppe quel momento Eve, continuando con il proprio lavoro senza guardare il fratello in faccia. Ci stava pensando da vari minuti e non riusciva più a contenere la curiosità che la stava assalendo.

-Come?- domandò lui, interrompendo i propri pensieri per concentrare la propria attenzione su di lei. La vide bloccarsi e roteare gli occhi.

-Si, insomma... sai anche tu che sono passati troppi giorni. Perché ti ci sei fissato? Hai combinato qualcosa?- indagò lei, alzando le spalle come per minimizzare ma lanciandogli, di sottecchi, una lunga occhiata. Voleva sapere. Era sicura che ci fosse qualcosa che non le stava dicendo e moriva dalla voglia di capire cosa fosse. Il tergiversare ed il silenzio dietro cui il ragazzo sembrava rifugiarsi le stavano dando solo conferma.

Edmund le nascondeva qualcosa.


-Non ho combinato niente.- iniziò lui, cercando di sfuggire allo sguardo indagatore che Eve gli stava riservando e portandosi le mani al petto in un vano gesto di innocenza.

-Oggi sei strano, Ed.- fu la piccata risposta che gli riservò sua sorella – ed Edmund in quel momento trovò particolarmente difficoltoso trattenersi dal risponderle che era lei, con la sua sola vicinanza, a renderlo strano.

-Da che pulpito.- cercò di sviare, sollevando un sopracciglio con fare scettico e guardandola con divertimento. Eve aprì la bocca un paio di volte senza però dire nulla, indispettita, osservando come il Pevensie stesse trattenendo una risata.

-Ehi! Io non sono strana!- Si sentì immediatamente più sollevata e si permise di dargli un leggero schiaffo sul braccio.

-Convinta tu...- borbottò il fratello, senza togliersi il ghigno che gli era spuntato sul viso e fingendo di massaggiare il punto offeso.

-Edmund non prender__-

-Zitta.-

Evelyn si bloccò all'istante, colpita dal sibilo brusco con cui le si era rivolto e sentendo una lieve fitta di sofferenza al petto. Ma osservando come il suo corpo si fosse irrigidito, il modo in cui repentinamente ogni forma di allegria era scomparsa dal suo viso, capì che qualcosa doveva aver attirato la sua attenzione.

Qualcosa di cui lei non si era accorta... forse dei Telmarini nelle vicinanze? Le sfuggivano parecchie cose, quel giorno.

Vide i suoi occhi dardeggiare per la foresta, analizzando un punto imprecisato della vegetazione, la mano già corsa all'elsa della spada. La Pevensie si mise in allerta di riflesso, vedendo con quanta serietà il moro fosse attento a ciò che li circondava, impugnando più saldamente la propria arma ed accennando una vaga posizione di difesa.

-Edmund...- provò, in un sussurro, lanciando occhiate al circondario. Non le sembrava ci fosse qualcosa di diverso. Quello non si voltò a guardarla, continuando a tenere gli occhi incollati alla foresta, limitandosi a fare un cenno del capo per farle capire di averla sentita.

-C'è qualcuno.- fu il basso mormorio che le diede come spiegazione. Eve trattenne il fiato, cercando di farsi attenta ai suoni circostanti ma senza sentire, però, nulla di insolito. Si domandò se non fosse così distratta da non accorgersi di qualcosa di palese o se Edmund non stesse dando di matto, quel giorno, visto il comportamento che stava tenendo.

Forse rivedere Jadis l'aveva allarmato più di quanto lasciasse intendere ed ora vedeva pericoli ovunque... Fu in quel momento, in cui si stava perdendo nei propri pensieri, che lo sentì.

Un fruscio.

Eve sbatté le palpebre, sorpresa, rivolgendo lo sguardo alle proprie spalle pensando di esserselo immaginata. Ma il modo in cui Edmund si era voltato a spada sguainata e le si era messo davanti le fece svanire ogni dubbio.

Qualcuno si stava avvicinando.


***
 


Il sole del mattino filtrava attraverso le grandi chiome degli alberi donando vari giochi di luce ed ombre, i rami sembravano sempre pronti a protendersi per accoglierla dolcemente ogni volta che saltava da un tronco all'altro evitandole di cadere.

Sotto il suo sguardo la foresta era silenziosa ed immobile, chiusa nel proprio dolore, eppure Dhemetrya non poteva che percepire quanto ancora vi fosse vita all'interno di essa, al modo materno con cui sembrava indicarle la via più veloce per raggiungere i luoghi che desiderava e a come le foglie sembrassero accarezzarla durante la notte.

Probabilmente era un'impressione, nessun ramo si allungava realmente verso di lei e nessun sospiro di vento la manteneva in aria quel tanto che le bastava per saltare agilmente tra una roccia ed un albero senza sentire la fatica.

Eppure, in quel momento, mentre tornava al campo con le borse piene di ingredienti rubati, le piaceva pensare che Narnia fosse tornata ad essere quella terra in cui era nata per proteggerla ed amarla.

Forse era colpa di Lucy, del modo in cui si ostinava a non lasciarsi abbattere, a farle credere che ci fosse ancora qualcosa in cui credere. Forse era stato aver rivisto la Grande Magia, forse era il modo in cui nonostante tutto quel mondo aveva continuato la sua vita a dispetto delle tragedie di cui era stata testimone.

Gli alberi si erano chiusi, gli elementali si erano nascosti, gli animali avevano perso la parola... eppure, c'era chi aveva continuato a vivere senza spegnere la fiammella di speranza.

Narnia era cambiata, si... ma non si era lasciata morire del tutto. Piuttosto, quel giorno Dhemetrya avrebbe detto che si era come congelata nel tempo, in attesa di un nuovo risveglio, di qualcosa che la facesse tornare allo splendore che la contraddistingueva e che rompesse quella barriera di silenzio dietro cui si era nascosta. Come milletrecento anni prima.

Non sapeva perché le fosse venuto in mente quel pensiero, Dhem, non sapeva cosa le fosse passato per la mente.

Le era sempre capitato di pensare che la magia nella sua terra stesse scomparendo come stava scomparendo la speranza, lentamente divorare dalle crudeltà che gli uomini di Telmar avevano portato, spingendo Narnia e le sue creature a nascondersi ed a lei di vivere di stenti. Aveva osservato gli alberi rimanere immobili sotto il suo tocco, l'aria diventare gelida, le acque scorrere senza fare da specchio al suo animo o deformarsi in arabeschi allegri.

Eppure, osservando l'alba che aveva dato vita a quel giorno, le erano tornati alla mente tutte le cose che erano accadute da quando i Pevensie erano tornati. La Grande Magia si era palesata ben due volte nel giro di poche settimane, Antares era tornato da loro, i Narniani si erano riuniti e anche le sconfitte non li avevano abbattuti...

Non aveva potuto fare a meno di provare un poco di sollievo, Dhemetrya, come da tempo non succedeva, in mezzo al caos ed al dolore che l'aveva accompagnata per tutto quel tempo come una seconda pelle. Perché dal modo prepotente con cui il sole aveva spazzato via la nebbia del mattino aveva sentito qualcosa germogliarle all'altezza del cuore – qualcosa che sembrava tanto simile alla felicità, ma dal sapore agrodolce, a cui non riusciva dare un nome.

In qualunque modo sarebbe andata a finire quella storia, andava bene, fintanto che avrebbero combattuto seguendo il disegno che era stato scritto per loro dall'alba dei tempi.


E, mentre aveva osservato con rinnovato interesse i raggi del sole mattutino illuminare la sua terra, aveva pianto.


***


-Ci hai spaventato.-

Evelyn rilassò i muscoli non appena riconobbe la figura di Dhemetrya sbucare dagli alberi. Osservò il viso della Narniana rivolgere loro un sorriso stanco, gli occhi lievemente lucidi ed arrossati – dimenticava l'ultima volta che non li aveva visti in quel modo, ma a quel punto non seppe dirsi se fosse per la mancanza di sonno o per il pianto o se, invece, era normale li avesse così.

-Ho notato, non volevo.- si scusò la ragazza, accennando alle spade che i due Pevensie ancora reggevano tra le mani e notando i tratti dei loro visi ancora rigidi.

Aveva riconosciuto subito le loro figure non appena aveva scorto la radura, ed era stata costretta ad annunciarsi per evitare che facessero mosse azzardate. Per lei, da sempre abituata a muoversi nel silenzio, era stato strano dover palesare la propria presenza, ma vederli guardarsi intorno come degli animali braccati le aveva fatto un po' pena.

Edmund le rivolse un sorriso imbarazzato, rinfoderando la spada con un gesto fluido e tornando a guardare la mora, cercando di capire cosa ci fosse nella sua figura che gli stesse procurando fastidio. Fu allora che notò i due borsoni che portava ai fianchi e che avevano l'aria che si sarebbero lasciati andare sotto il peso del contenuto.

-Cosa sono?- domandò, indicandoli con un cenno del capo ed avvicinandosi per alleggerirla del peso, ottenendo uno sguardo di ringraziamento.

Dhemetrya si occhieggiò intorno, cercando le figure di Lia ed Antares in quella radura nascosta, invano. Aveva capito che quello era una sorta di posto segreto in cui nessun altro, se non quei due ragazzi, si recava.

Non si spiegava nemmeno come si fosse ritrovata a tornare al rifugio sbucandogli dietro, convinta che invece se lo sarebbe trovato a lato. Forse si era persa troppo nei propri pensieri mentre vagava per la foresta.

Evelyn, avvicinatasi ad Edmund, storse la bocca in una smorfia quando la mora le lanciò un'occhiata incerta, facendole un mezzo sorriso, sviando lo sguardo della Regina per concentrarsi nuovamente sull'ambiente circostante. Decise che assicurarsi non ci fossero intrusi e che nessuno l'avesse seguita fosse la cosa migliore che potesse fare per evitare di sostenere lo sguardo indagatore della Pevensie.

Non ci mise molto, Eve, a dare un nome per il comportamento tenuto dalla Narniana.

-Lucy.- fece la ragazza, facendo suonare il nome della sorella più come una constatazione che come una domanda. L'occhiata colpevole con cui Dhemetrya non poté fare a meno di guardarla fu solo una conferma alle proprie supposizioni.

La minore delle sorelle si era alzata particolarmente presto, quel giorno, dopo essersi coricata più tardi del solito... e ora ne capiva il motivo.

-Cosa?- domandò Edmund, voltandosi a guardarla senza riuscire a decifrare il tono della sua voce, con un sopracciglio alzato. Fece passare lo sguardo dall'una all'altra, puntandolo poi sulla borsa che aveva preso e osservando la Pevensie con una muta domanda negli occhi.

Eve fece un gesto con la mano, alzando le spalle e rinfoderando Asterius, sospirando pesantemente per mantenere la calma e per nulla contenta di ciò che, era sicura, avrebbe comportato il gesto di Dhemetrya.

-Lascia stare.-
























































































































Ciao a tutti e ben ritrovati! Prima di tutto buon anno nuovo a tutti, anche se con un mese di ritardo! Spero ve la stiate passando bene. :)
Passando al capitolo: ho dovuto dividerlo perché altrimenti sarebbe risultato davvero troppo lungo, ma giuro che nel prossimo sarà presente quel benedetto bacio che ho promesso! Per questo motivo il presente capitolo è finito per risultare quasi di "passaggio", eppure spero di aver reso bene i pensieri di questi tre poveretti che sono finiti per esserne i soli protagonisti.
Soprattutto, spero che anche le motivazioni di Lucy siano abbastanza chiare: da sempre avevo pensato a questo espediente dei biscotti (che poi capirete è una scusa per far nascere un'altra scena abbastanza decisiva), ho cercato di limare un po' la cosa cercando di renderla fattibile per la situazione in cui si ritrovano.
Che altro dire... penso di aggiornare tra un mesetto, ma tra un paio di settimane inizierò a ristrutturare casa, quindi io sarò praticamente sfrattata fino a quando non sarà posato il pavimento, imbiancato e riarredato almeno la camera. Ergo, non avrò il mio "angolino di pace" e sarò presa a fare altro, quindi potrei essere latitante per un paio di mesi per questo motivo. Cercherò di evitare questa cosa, comunque, ma non si sa mai.
Nel frattempo vi ringrazio delle letture, recensioni, preferite, seguite e ricordate e vi do appuntamento al prossimo capitolo!
Love, D. <3   

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Capitolo 34
*** Biscotti al sapore di bacio. ***


Narnia's Spirits
Biscotti al sapore di bacio.










I sibili delle frecce sferzarono l'aria mattutina per l'ennesima volta, prima che i dardi andassero a conficcarsi nei bersagli producendo una serie di suoni attutiti dall'imbottitura di paglia. Sotto lo sguardo attento di Susan, gli esili bastoncini di legno rifletterono la luce del sole.

-Va bene, può bastare. Siete stati bravi.-

La Pevensie vide le espressioni degli arcieri distendersi alle sue parole, rincuorati da quell'apprezzamento. Sapevano benissimo quanto la Regina e tutti gli altri si aspettassero da loro e quanto, in quelle settimane, avevano dovuto imparare sotto i suoi rigidi insegnamenti: alcuni di loro, fino a qualche tempo prima, nemmeno avevano mai tenuto in mano un arco.

Con dei brevi cenni del capo il gruppo di Narniani iniziò a disperdersi, lasciando, nel giro di qualche minuto, Susan da sola davanti alla file di bersagli. La Pevensie soppesò ancora per qualche secondo le frecce ancora conficcatevi all'interno, rimuginando.

La situazione sembrava essersi appianata, i compiti di ognuno erano ripresi come sempre, lo scettro di Jadis era stato fatto sparire – ancora si domandava come fosse possibile, ma Lia aveva detto in un tono fin troppo sicuro che avrebbero potuto chiedere conferma ad Aslan, e sicuramente l'avrebbe fatto non appena il leone si fosse palesato –, tra Peter e Caspian andava tutto bene, ma...

Susan si morse un labbro, frustrata. C'era qualcosa che la tormentava e non le faceva passare le notti tranquilla – per quanto tranquilla potesse definirsi quella situazione.

Non capiva se dipendesse ancora dall'essersi sentita in difetto per non essere riuscita a prevedere quello che stava accadendo, per aver abbassato la guardia e permesso al nemico di agire sotto i suoi occhi. Non sapeva se l'agitazione dipendesse dalla strana richiesta che Lucy aveva fatto il giorno prima, conoscendo la testardaggine di cui era capace e che l'aveva costretta ad osservarla con maggiore attenzione. Non capiva da cosa le nascesse la fastidiosa sensazione che qualcosa, intorno a lei, non fosse al proprio posto, causandole un nodo allo stomaco...

Caspian.


Susan chiuse gli occhi, intimandosi di respirare lentamente e ritrovandosi ad ascoltare il suggerimento che le diede una vocina fastidiosa nella sua mente.

Già, Caspian. Da dopo Jadis sembrava che tra loro si fosse costruito una sorta di muro, un silenzioso imbarazzo che non riuscivano a rompere se non con delle frasi di circostanza che stavano piano piano sgretolando quella strana confidenza che con non poche difficoltà erano riusciti a creare.

La Pevensie poteva immaginare la tensione che il Principe probabilmente provava nei suoi confronti – dopotutto, aveva messo a rischio l'incolumità di tutti – ma non sapeva cosa potesse fare. Non era brava ad aiutare persone che non fossero la sua famiglia o gli amici più stretti, perché per loro era pronta a dedicare ogni più piccola fibra della sua attenzione e del suo tempo mettendo da parte la propria persona. Ma Caspian... cos'era Caspian?

Susan avanzò pensierosa verso i bersagli, carezzando le piume delle frecce, persa nei propri pensieri senza rendersi conto che il soggetto dei propri tormenti la stesse osservando da lontano, indeciso se avvicinarsi. Cos'era... o chi era, per lei? Perché sembrava avere tutta quella rilevanza nei suoi ragionamenti?

Come se lo avesse chiamato, scorse il protagonista dei propri pensieri tormentati poco lontano da lei, e rimase per qualche attimo interdetta, senza riuscire a camuffare la sorpresa che le brillò negli occhi nel vederlo e il breve sfarfallio che le si mosse nel petto. Susan si irritò con se stessa per quella reazione incontrollata, sperando di non aver assunto qualche smorfia strana.

-Come vanno? Mi sembrano migliorati molto.- ruppe il ghiaccio il Principe, soppesando i bersagli ed iniziando a togliere le frecce ancora conficcatevi all'interno con gesti decisi. La mira dei Narniani era sicuramente migliorata, rispetto agli inizi, dove gran parte dei dardi finiva persa nel prato o in qualche corteccia.
La casacca gli aderiva al petto in un modo che Sue trovò fin troppo perfetto ed il sole gli illuminava il viso, facendo brillare gli occhi scuri.

-Mh.- si limitò a commentare la Pevensie, ricordando la sensazione di sconfitta che l'aveva accompagnata per gran parte del tempo le prime settimane. Aveva cercato di non farci caso ma, riflettendoci a mente fredda, aveva dovuto fare un grande sforzo per cercare di racimolare quel poco che di positivo la faceva andare avanti.

Sicuramente la presenza di Caspian e l'impegno dei suoi fratelli nell'organizzare gli allenamenti erano stati una grande fonte di sostegno ed ispirazione. Non era stata da sola, a mettere insieme delle truppe decenti. Non era stata sola.

Quindi ritornava di fronte alla domanda che le girava nella testa: chi era Caspian, per lei? Solo un ragazzo che le aveva fatto compagnia? Da cui era riuscita a trarre un po' di forza e speranza per andare avanti? Un amico?

Solo un amico, Susan? Ne sei sicura?


La Regina scosse la testa, scocciata per quella domanda rivolta a se stessa con un tono che assomigliava fin troppo a quello di Evelyn. Quasi poteva vedersela davanti, mentre si scambiava delle occhiate palesi con Lucy – cosa che negli ultimi tempi avevano fatto parecchie volte, quando la vedevano insieme al Principe.

Ma Susan non avrebbe mai parlato apertamente dei propri sentimenti. Parlare di qualcosa finisce con il renderlo reale e lei... lei non voleva. Una parte di sé era bloccata, per quanto desiderasse il confronto con qualcuno che non fosse se stessa.

Caspian viveva letteralmente in un altro mondo, un mondo che già una volta li aveva fatti andare via senza provare a fermarli. Un mondo di cui facevano parte, ma per quanto? Narnia li avrebbe tenuti con sé, quella volta? No, decisamente non c'era tempo per abbandonarsi al romanticismo. Troppe cose ben più importanti erano in sospeso.

-Susan, stai ascoltando? C'è qualche problema?- La ragazza riportò lo sguardo su Caspian, notando l'espressione interrogativa che gli si era formata in viso. Il ragazzo non si era avvicinato molto da quando l'aveva raggiunta, ma gli occhi penetranti ed il modo apprensivo con cui la stavano scrutando gli davano un'aria quasi ansiosa.

La Pevensie si sentì un po' in colpa per essersi persa nuovamente nei propri pensieri e per non riuscire più ad abbandonare la rigidità che l'accompagnava. Caspian non se lo meritava, e a lei dispiaceva avere perso la spontaneità che aveva fatto si che il loro rapporto crescesse.

-Si... si, va tutto bene. Stavo solo riflettendo su quello che hai detto.- provò a giustificarsi, rimuovendo anch'essa alcune frecce dai bersagli ed andandogli incontro. Il vestito seguì docilmente i suoi movimenti strisciando leggermente a terra.

Il Principe non disse niente, limitandosi a lanciarle una lunga occhiata, ma capì che c'era dell'altro che non voleva dirgli. Tuttavia, nonostante si sentisse osservata, Susan lo ringraziò mentalmente per non cercare d'indagare oltre e si rilassò un poco, sentendosi accettata anche nei propri silenzi. Il ragazzo era stato in grado di farle abbattere i muri che aveva attorno semplicemente capendo che facevano parte di lei. E la Pevensie aveva apprezzato tutto ciò, perché non aveva bisogno di fingere sorrisi o frasi di circostanza.

Ed era stato proprio quello che aveva affascinato Caspian, di Susan: oltre all'eleganza dei suoi gesti e l'intelligenza dei discorsi, agli occhi determinati, e tutte le belle qualità che si potevano scorgere all'esterno, c'era una parte nascosta di sentimenti e pensieri che non mostrava a nessuno. E che lo intrigava, lo intrigava moltissimo.

-Sono stati dei giorni... difficili.- provò a continuare il discorso, deciso a non lasciare che il silenzio che già troppe volte era calato tra loro prendesse nuovamente il sopravvento.

Doveva parlare con Susan. Ne aveva bisogno. Voleva recuperare quel rapporto che avevano prima che avesse mandato quasi tutto a rotoli per colpa di Jadis. Perché Susan era diventata importante. Perché gli piaceva parlare con lei e stare in sua compagnia. E gli mancava, molto. Si era stancanto di starla a guardare da lontano e scambiarsi giusto dei monosillabi di circostanza.

-Si, molto.- gli rispose la Regina, lanciando un'occhiata alle proprie spalle. Il suo sguardo si fermò sui Narniani sparsi per la radura.

-Siamo stati fortunati che non ci siano state... conseguenze.- continuò, posando gli occhi su Caspian. Non c'era bisogno di approfondire il discorso, entrambi sapevano bene a cosa si riferisse la ragazza.

Molte volte nei giorni precedenti se ne era discusso a riguardo tra i regnanti ed i principali comandanti, cercando di evitare di farsi sentire da orecchie indiscrete. Gli era andata molto bene, perché se le cose avessero prego una piega negativa durante la battaglia nella cripta avrebbero potuto subire delle perdite o delle rivolte, trovandosi a dover fronteggiare un'altra situazione critica. Come se la guerra contro Telmar che era ormai alle porte non fosse sufficiente.

Caspian abbassò leggermente il capo, colpevole.

-Mi dispiace, sono stato uno sciocco. Non era mia intenzione...- ormai lo aveva ripetuto talmente tante volte quel discorso che gli sembrava di risuonare sempre più falso alle proprie orecchie. E ogni volta gli era stato detto di non preoccuparsi, che non avrebbe potuto prevedere le intenzioni di Nicabrik – come nessun altro di loro lo aveva fatto.

Ma il senso di colpa e l'umiliazione per essersi lasciato soggiogare non volevano allentare la presa sul suo animo, rendendolo inquieto e cercando, per quanto possibile, un contatto umano con l'unica persona che in quel periodo era riuscita a fargli dimenticare – o, per lo meno, pesare un pochino meno – tutte le cose che erano successe da quando era dovuto fuggire da Telmar.

Susan era diventata forse più importante di quanto aveva immaginato inizialmente e per quello ne cercava la presenza appena possibile. Con lei tutto assumeva un tono più leggero, facendogli vedere le cose meno negativamente. Così, la loro lontananza, l'indifferenza apparente con cui parlavano gli lasciava l'amaro in bocca e una fastidiosa sensazione di sconfitta.

Quella consapevolezza lo colpì così repentinamente da lasciarlo spaesato per qualche secondo di fronte all'evidenza dei fatti.

Susan...

Perché era stato tanto stupido da non averlo capito prima? Alzò gli occhi verso la ragazza, fissandola intensamente e socchiudendo leggermente le labbra di sorpresa.

Si era innamorato di Susan.

-Non è colpa tua. Jadis è sempre stata capace di infiltrarsi nella mente umana, riuscendo a tirarne fuori le debolezze per poterle usare a suo vantaggio.- Caspian ci mise qualche attimo a riprendere il filo di quello pseudo discorso che stava tenendo con la Pevensie, ma si mostrò subito interessato a ciò che gli stava dicendo.

-Ti riferisci a...?- provò, non sapendo se fosse il caso di continuare. Susan annuì, semplicemente, finendo di raccogliere le ultime frecce e facendosi più vicina al ragazzo. Ora gli stava praticamente di fronte e Caspian cercò di non farsi vedere irrigidito.

-Si, ad Edmund. Ma era un periodo difficile e particolare. Per lui, come per tutti noi.- La ragazza sospirò, memore di tutti gli eventi che li avevano poi portati a scoprire Narnia. Alle litigate di Peter ed Edmund, allo scappare in campagna, ai piagnistei di Lucy, il mutismo di Eve.

Jadis si era solo approfittata di una situazione delicata, in passato così come una decina di giorni prima.

-Nessuno di noi gliene ha mai fatto una colpa. E nemmeno a te.- lo guardò, accennando un sorriso e porgendogli i dardi raccolti. Caspian li prese, indugiando quando con le dita sfiorò la mano della Pevensie, che, con cui sorpresa, non si spostò come credeva avrebbe fatto. Prese quel gesto come un segno di rinnovata pace e si sentì più leggero.

-Grazie.-


***


Lucy si era svegliata particolarmente presto quel giorno, elettrizzata e un poco ansiosa per ciò che quella giornata avrebbe riservato. Aveva passato il tempo sistemando i giacigli e ciò che poteva essere messo a posto in giro per la Casa di Aslan, parlando amabilmente con Trumpkin e lanciando, più e più volte ed appena le era possibile, delle occhiate impazienti verso la radura.

Il nano aveva passato qualche giorno più taciturno del solito, ma nessuno glielo aveva fatto notare ed avevano sopportato pazientemente le sue frasi brusche e stizzite.

Il tradimento e l'essere stato costretto ad uccidere Nicabrik bruciavano ancora.

Aveva seppellito il nano vicino ad una grande quercia, molto simile a quella che condividevano come casa con Trufflehunter. Ma, da quel giorno, nessuno dei due era più tornato a fare visita alla tomba. Lucy immaginava che dovesse costar loro un grande sforzo.

Quando il sole era ormai sorto da qualche ora illuminando a giorno la valle qualcosa, in Lucy, iniziò a vibrare d'inquietudine. Si affacciò all'entrata di pietra, camminando lentamente verso l'esterno, venendo investita in piena faccia dal sole settembrino.

E se qualcosa era andato storto? La Pevensie si morse un labbro, occhieggiando la vasta prateria dall'entrata del rifugio.

Di Edmund ed Evelyn non c'era l'ombra, Peter era impegnato con le truppe, Susan e Caspian erano invece presi a parlare accanto ai bersagli. Nonostante quella visione le facesse molto piacere – per giorni aveva osservato gli sguardi mogi che il Principe riservava a sua sorella –, Lu si ritrovò a sorridere tra sé solo per un brevissimo lasso di tempo, tornando poi a concentrarsi su ciò che la circondava.

Forse non era stata una buona idea, quella che aveva avuto. Le sue sorelle l'avevano avvertita che era pericoloso addentrarsi nella cittadella e probabilmente avevano ragione. Accettare che andasse Dhemetrya era stata una pessima scelta. E se le fosse accaduto qualcosa? Se l'avevano catturata? O peggio, uccisa? Lucy non si sarebbe mai perdonata di avere sulla coscienza la morte di quella ragazza per colpa di un'idea che aveva avuto lei stessa.

Eppure, Dhem l'aveva guardata così tranquilla, così disposta e decisa a farle quel favore, che aveva accettato il suo aiuto. Sicuramente aveva avuto modo di conoscere Telmar meglio di lei, che era mancata per più di un secolo, senza contare l'agilità che possedeva quella ragazza.

La Pevensie si morse l'interno di una guancia, riflessiva: sarebbe stato più semplice se si fosse infiltrata a Telmar di giorno, per compare il necessario. Sarebbe stato forse meno sospetto, perché non ci aveva pensato?

Qualcosa nella mente di Lucy le ricordò che non avevano denaro, né i suoi fratelli l'avrebbero fatta allontanare volutamente per quell'impresa. Per quello aveva deciso di andare di notte. Senza contare le guardie che sorvegliavano il fiume o la possibilità che le entrate fossero sorvegliate e qualcuno la riconoscesse come nemica.

Lucy sospirò pesantemente, puntando lo sguardo crucciato sul bosco attorno a lei e stringendosi una mano al petto.

Dhemetrya... torna presto.


***


-Allora, mi volete spiegare? E cosa c'entra Lucy?-

Edmund si voltò a mezzo busto verso Eve e Dhem, che camminavano poco più dietro di lui. Si era offerto di liberare la Narniana dal peso di uno dei borsoni, ma ancora non aveva capito cosa ci fosse al loro interno. All'inizio aveva ipotizzato delle armi, ma non proveniva nessun tintinnio mentre si muoveva, quindi aveva scartato quell'ipotesi quasi subito. Non riusciva proprio a capire cosa avesse a che fare, poi, la minore delle sorelle.

Evelyn lanciò un'occhiata di sott'occhio a Dhemetrya, sospirando.

-E' un'idea di Lucy. Appena arriviamo al rifugio ti spiego tutto.- Più che altro, era curiosa di sapere come sarebbe stato spiegato il tutto a Peter. Eve lanciò uno sguardo al cielo che si intravedeva tra le fronde degli alberi, pregando di non finire in mezzo a discussioni che non avevano niente a che vedere con lei. Aveva già abbastanza pensieri.

-E' stata una mia scelta, vostra sorella non c'entra.- provò a spiegare Dhem, pacatamente, seguendo i due fratelli nella radura. A differenza dei suoni prodotti dai passi dei due, sembrava che lei appena sfiorasse il terreno, tanto che un paio di volte Ed provò a lanciarsi un'occhiata alle spalle per assicurarsi della sua presenza.

Quasi si stupì di averla percepita arrivare poco prima mentre stava parlando con Evelyn. Forse era stata solo questione di fortuna.

La Pevensie liquidò la Narniana con un gesto della mano, più perché ormai erano quasi all'entrata della Casa di Aslan che per disinteresse o perché fosse stizzita.

In realtà, l'interesse per come Dhemetrya fosse finita coinvolta in quella faccenda era abbastanza presente... era stata così spavalda Lucy da andarle a chiedere aiuto, consapevole che loro gli avrebbero detto di no se lo avesse chiesto? O Dhemetrya si era ficcata volutamente in quella situazione, come aveva provato a spiegare? E se si, perché?

Eve scosse la testa, non capendo le ragioni di quel gesto – probabilmente non le avrebbe mai nemmeno sapute. Dhem era troppo sfuggente, alle volte, perché le sue intenzioni fossero chiare. Ancora faticava a capirne l'essenza.

-Dhemetrya! Ce l'hai fatta!-

Edmund fece appena in tempo a spostarsi prima che un uragano dai capelli castani gli passasse accanto, alzando una lieve corrente d'aria e fiondandosi sulla mora che procedeva a poca distanza da lui.

-Ero così in pensiero, iniziavo a preoccuparmi.- La Narniana rimase immobile, irrigidendosi quando capì che Lucy la stava stringendo in un abbraccio piuttosto stretto. Rimase perplessa per qualche attimo, percependo il lieve tremolio che la Pevensie cercava di contrastare.

Evidentemente si aspettava di vederla tornare molto prima
...
 

Optò per posarle le mani sulle spalle, allontanandola gentilmente da sé e sfoggiando un'espressione serena.

-Ovviamente.- La calma della Narniana riuscì a strappare a Lucy un sorriso, la quale occhieggiò il borsone che ancora portava. La Pevensie si morse un labbro, esibendo uno sguardo apprensivo.

-E'... è andato tutto bene? Non hai dovuto...?- provò ad indagare, senza terminare la frase. La ragazza negò con la testa.

-No, è andato tutto bene.- la rassicurò, provando un moto di tenerezza di fronte alla ragazzina. Il giorno prima sembrava così fiera e decisa della propria idea che vederla in quello stato le fece domandare se fosse la stessa persona. Probabilmente a mente fredda aveva pensato fosse stata una cattiva idea.

Ma non lo era. Non era una cattiva idea voler provare a portare un po' di pace e serenità.

Dhemetrya avrebbe voluto dirglielo apertamente, ma qualcosa la trattenne dal dare sfogo ai propri pensieri.

-Lucy.-

La Pevensie smise all'istante di sorridere non appena la voce tagliente di Evelyn s'intromise tra loro. Cercò di recuperare tutta la sicurezza che sapeva di possedere, prima di girarsi per fronteggiare la sorella. Sapeva che non sarebbe stata contenta, lei e Susan erano state abbastanza eloquenti il giorno prima.

Non si sorprese, quindi, di trovarsi di fronte un'Evelyn spazientita e con le braccia incrociate al petto. Le occhiate eloquenti ed il sopracciglio alzato non avevano bisogno di altre parole per farle capire cosa volesse dirle – ed a Lu ricordò terribilmente Susan.

-Mi dispiace, ma dovevo farlo, io...-

-Aspettate, aspettate: fare cosa?- s'intromise Edmund, senza preoccuparsi di celare l'impazienza e occhieggiando le tre. Non ci stava capendo niente ed iniziava ad allarmarsi. Evelyn aveva un cipiglio di rimprovero e questo l'aveva messo sull'attenti, facendolo preoccupare. Temeva fosse successo qualcosa di grave e non riusciva a capire cosa fosse. Sentirsi escluso dalla conversazione non lo stava aiutando per niente.

Eve mosse una mano in aria e scoccò la lingua contro il palato, spazientita, lanciando un'occhiata eloquente verso Lucy e Dhemetrya, attenendo che rispondessero alla domanda. Edmund continuava ad avere un'aria interrogativa in volto e tra i quattro s'intromise un silenzio pesante.

-Cosa state combinando?-

Fu quando Dhemetrya provò a rompere il ghiaccio, dopo aver preso un profondo sospiro, che venne interrotta da una voce esterna al quartetto.

Susan.

La Narniana si morse un labbro, incerta. Quello che aveva fatto lo aveva fatto per Lucy ed era sicura non ci fosse nulla di male, ma era ben consapevole che la Dolce avrebbe avuto da ridire e, onestamente, non aveva voglia di discutere o rendere conto a qualcuno di ciò che faceva.

-Bella domanda.- esclamò ironico Edmund, ancora all'oscuro di tutto, scrutando la sorella farsi sempre più vicina con Caspian affianco. La vide occhieggiare i borsoni che portavano e corrugare la fronte, perplessa, mentre il Principe si limitò ad accennare un saluto ai presenti.

Lucy sospirò, quasi esasperata da quella situazione che sembrava iniziare ad essere troppo ridicola.

-Dhemetrya ha procurato il necessario per fare i biscotti.- disse con un filo di voce e tenendo lo sguardo fisso sulla sorella maggiore. Non vide l'occhiata interrogativa che il fratello fece verso Evelyn o il sopracciglio alzato di Caspian.

Susan rimase in silenzio, come assorta nei propri pensieri, tanto da attirare l'attenzione di tutti su di sé. Lu la guardò con una nota implorante nello sguardo, ma la Pevensie sembrava decisa a non far trapelare ciò che stava provando.

-Prima che diciate qualsiasi cosa, volevo avvisare che l'idea è stata mia. Mi sono offerta io di andare dopo avervi ascoltato... ieri mattina. Ho pensato fosse una buona idea.- Susan arricciò il naso, seria, soppesando le parole della Narniana.

-Avevamo detto che era pericoloso.- fu la semplice constatazione che fece, rendendosi conto di aver sottovalutato le intenzioni della sorella e che, nonostante i suoi propositi, non era stata abbastanza attenta.

Avrebbe dovuto conoscerla abbastanza bene da intuire che non avrebbe lasciato perdere facilmente. E Dhemetrya si era offerta di aiutarla perché sicuramente stava per combinare qualcosa da sola. Qualcosa di stupido e pericoloso. Dubitava fosse stata Lucy a chiedere a Dhemetrya di aiutarla, mettendola in una posizione poco piacevole o facendole rischiare la vita. Non sarebbe stata capace di arrivare a quel punto.

La Pevensie rimproverò se stessa per la poca attenzione che stava mostrando in quel periodo. Si rese conto, con amarezza, che se Dhem non fosse intervenuta Lucy avrebbe provato ad infiltrarsi a Telmar da sola.

Susan sospirò cercando di scacciare la sensazione di difetto che le pungeva nel petto, percependo che Caspian le aveva posato una mano sulla spalla, come per calmarla.

-Biscotti?- domandò Edmund, spaesato. Era pronto alla peggiore delle ipotesi, ma tutto si era aspettato meno che quello.

-Si! Non credi che possano aiutare a riportare il buonumore?- domandò la più piccola delle Pevensie, come rianimata. I suoi occhioni luccicarono, immaginando già le facce sorprese dei Narniani nel sentire il profumo di biscotti spargersi nell'aria.

Edmund ci mise qualche attimo a rispondere, annuendo semplicemente, ancora confuso per quella situazione e non sapendo esattamente cosa risponderle. Come aveva fatto Lucy a pensare ad un'idea simile?

-Peter lo sa?- domandò semplicemente, ma immaginando già da sé la risposta. Evelyn si morse il labbro, mentre Dhemetrya e Lucy si scambiarono un'occhiata.

-No.- fu la semplice risposta che diede la sorella. Sapeva che avrebbe dovuto raccontarglielo, né era mai stata sua intenzione mentire ai fratelli.

-Non c'è bisogno che lo sappia. Non subito, almeno.- in suo soccorso venne la Narniana, ma si corresse, vedendo l'occhiata fulminante che le lanciò Susan, ancora intenta ad osservarle.

-Potrà dirglielo Lucy con calma più tardi. Per il momento faremo finta che ho trovato queste cose in giro.- provò ad intercedere per la ragazza. La minore delle Pevensie annuì per quell'idea, sorridendo ampiamente in direzione di Dhemetrya.

Susan sospirò, non sapendo bene che dire. Era inutile farle una ramanzina, arrivati a quel punto. Alla fine, Lucy voleva solo fare del bene per quella che considerava ancora la sua gente, il suo popolo. Il loro popolo.

Alzò gli occhi al cielo, cercando di accantonare tutto ciò che avrebbe voluto dirle e quasi stordita dalle sue stesse emozioni.

-Va bene.- concesse la Dolce, rilassandosi ed accennando un sorriso. Caspian si allontanò da lei per prendere il borsone a Dhemetrya, avviandosi verso il rifugio con Edmund ed Eve. Lucy li precedeva con rinnovato entusiasmo, sollevata che tutto si fosse risolto per il meglio e sicura che Peter avrebbe capito le sue ragioni.

-Ehi, Dhemetrya.- La Narniana si sentì toccare un braccio e si fermò, trovandosi di fronte Susan che la osservava. Alzò le sopracciglia, in attesa, percependo l'imbarazzo che la Regina cercava di camuffare dietro i suoi occhi chiari e l'atteggiamento composto. Quasi le fece tenerezza, capendo quanto fosse difficile per lei abbassarsi ad aprirsi con una quasi sconosciuta.

-Ti ringrazio, per... beh, per aver aiutato mia sorella. So che le sue intenzioni sono buone, ma a volte sembra non capire che la situazione è davvero grave e non possiamo permetterci errori.- provò a spiegare le proprie ragioni. Dhem annuì, capendo il discorso che stava facendo la Pevensie.

-Si, capisco cosa intendi. Ma proprio perché è grave abbiamo bisogno anche di questi momenti di leggerezza. Per questo l'ho aiutata. Non avrei mai fatto qualcosa che io stessa ritengo stupido o sbagliato.- disse, pacata. Susan sembrò rassicurata da quelle parole, tuttavia alzò il mento, un poco indispettita dal comportamento nascosto che aveva tenuto.

-Eppure sapevi che non eravamo d'accordo. Avresti dovuto parlarcene.- la rimproverò, senza reale cattiveria, ricordando che fosse presente durante quella conversazione.

-Senza offesa, Vostra Grazia... sappiamo benissimo dove avrebbe portato parlarvene. Inoltre, non è nel mio stile fare la spia.- Susan rimase qualche attimo in silenzio, pensierosa, dopodiché si portò una mano alla bocca per camuffare un sorriso.

Una spia era proprio ciò che temeva fosse Dhem all'inizio, anche se non lo aveva detto a nessuno, ma quella ragazza tutto sembrava meno che avere le qualità da spia. Certo era discreta, ma parlava troppo quando non doveva e spesso spariva per degli intervalli di tempo non indifferenti. Una spia avrebbe dovuto stare attenta a qualunque cosa che potesse essere importante da riportare.

Tornò composta, congiungendo le mani in grembo e riprendendo a camminare verso il rifugio. L'importante, alla fine, era che fosse andato tutto bene.

Si voltò indietro, rendendosi conto che Dhemetrya era rimasta ferma.

-Vieni? Ci sono dei biscotti da fare.-


***


La giornata, nonostante il risveglio un po' brusco e confuso, era passata in modo tranquillo. Il caldo torrido dell'estate si stava affievolendo, lasciando spazio a quella piacevole brezza dal sapore un po' nostalgico che precede l'arrivo del freddo pungente. Anche stare distesi al sole, per quel poco di tempo che ce lo si poteva concedere, era piacevole, in quanto il calore non era così asfissiante da farti mancare il respiro o bruciare la pelle.

Come per molte delle giornate che l'avevano preceduta anche quella dava la falsa sensazione che tutto fosse a posto, se si riusciva a togliersi dalla testa la guerra.

I ragazzi avevano portato i borsoni nello spazio adibito alle cucine e le ragazze, dopo averli ringraziati per l'aiuto, li avevano mandati ad aiutare Peter, impegnato insieme a Glenstom ad organizzare gli allenamenti e controllare come procedeva la produzione di armi nuove.

Avevano anche pensato di organizzare delle brevi spedizioni per Narnia, in modo da cercare eventuali superstiti e sperando che questi volessero unirsi in battaglia: la possibilità che ci fossero altri Narniani era molto scarsa, specialmente perché il centauro credeva che chiunque avesse ormai saputo del loro ritorno e tutto ciò che lo aveva seguito. Se avessero voluto farsi avanti, si sarebbero già presentati giorni addietro. Tuttavia, non era mai detta l'ultima parola e qualsiasi aiuto trovato poteva essere decisivo, così si era ritrovato d'accordo con Peter.

Il Pevensie era talmente preso dal proprio lavoro da non essersi accorto di nulla che non lo riguardasse, e Lucy ne fu felice. In quel modo, sperava, quando i biscotti sarebbero stati pronti per il dopo cena sarebbe potuta essere una piacevole sorpresa anche per lui.

Susan, con sorpresa di tutti, si era fatta aiutare da Dhemetrya a sistemare e mettere insieme gli ingredienti mentre Lucy creava le forme con un coltellino – Sue le aveva detto di farle abbastanza piccole in modo da creare più biscotti possibili – mentre Evelyn, decisamente meno avvezza alla dote della cucina, era sgusciata via appena possibile, finendo con l'allenarsi nel corpo a corpo insieme a Caspian per gran parte del pomeriggio.

Fu solo quando il sole si apprestava ad oltrepassare l'orizzonte, che tutti fecero caso al piacevole odore che si stava spargendo nell'aria.

Peter si avvicinò con fare incuriosito alle cucine, sudato e stanco dalla giornata intensa che aveva passato, attirato come gli altri ed intenzionato a capirne la provenienza.

-Cos'è questo odore?- domandò senza troppi giri di parole, affacciandosi sulla soglia di pietra. Ora poteva sentire bene quel profumo inconfondibile di cibo. No. Di dolce. Sbatté per un paio di volte le palpebre, intento a processare ciò che i suoi occhi stavano vedendo.

Susan e Dhemetrya, insieme, che sistemavano su dei vassoi qualcosa. Peter ci mise qualche attimo a capire che si trattava di biscotti. Ma, ciò che lo stava lasciando basito in quel momento, era proprio la vicinanza delle due ragazze. Avrebbe giurato settimane addietro che non si sarebbero mai sopportate.

-Ti piacciono? Ho fatto io le forme.- gli si avvicinò Lucy, festosa, mostrando due biscotti a forma di cuore. Peter rimase interdetto a guardarla, rendendosi conto solo in quel momento che per quasi tutto il giorno non aveva incontrato nessuno dei fratelli. Preso com'era, non ci aveva fatto troppo caso.

-Quindi è questo che combinate mentre io lavoro?- domandò retorico, scompigliando i capelli della sorellina ed avvicinandosi al tavolo. Susan alzò gli occhi al cielo, mentre Dhem gli sorrise, distogliendo poi lo sguardo e finendo di sistemare i biscotti. Lucy la guardò divertita senza che se ne accorgesse.

-Non è stato facile, sai? Non è come avere a disposizione una vera cucina.- gli spiegò la Pevensie, passandosi una mano sulla fronte. Con i fuochi che andavano da tutto il giorno faceva parecchio caldo all'interno della stanza.

Avevano dovuto mettere più volte i vassoi sopra i fuochi, aiutandosi con delle assi, e per capire come poter fare il tutto senza rischiare di bruciarli o farli cadere c'era voluto del tempo. Non era stato facile come avevano pensato. Se c'era stata una cosa che aveva rimpianto quel pomeriggio di Londra, Susan, era stato il forno.

Peter osservò le ragazze, poi il suo viso assunse un'aria dubbiosa.

-Non sapevo avessimo ingredienti a sufficienza.- constatò. A Narnia non mancava la selvaggina, quindi trovare del cibo per tutti non era troppo difficile, ma raccattare degli ingredienti specifici per fare un impasto... Gli occhi di Peter si assottigliarono, indagatori, riflettendo i ragionamenti che stava compiendo la sua mente.

-E' stata una mia idea.- interruppe i suoi pensieri Lucy. Conosceva abbastanza bene il fratello maggiore da sapere a cosa stesse pensando e che era inutile mentirgli – né era mai stata sua intenzione farlo. Il biondo la guardò, spaesato, lanciando poi un'occhiata verso Susan, la quale si limitò ad alzare le spalle.

Lucy? Come...?

-Ho detto ad Eve e Sue che potevamo fare dei biscotti per cercare di fare contenti i Narniani. Ma alcuni ingredienti andavano rubati dalla cittadina di Telmar, cosa che volevo fare ieri notte.- Lu vide il fratello maggiore serrare le labbra ed irrigidirsi a quelle parole. Non c'era bisogno che le dicesse a cosa stesse pensando, la ragazzina poteva già sentire i rimproveri di suo fratello, così si affrettò a continuare.

Cercò di esibire l'espressione più convincente che possedeva.

-Ma Dhemetrya si è offerta di andare al posto mio.- soffiò fuori, semplicemente. Ci furono degli attimi di silenzio, in cui Peter fece passare lo sguardo tra le tre ragazze ed i vassoi con i biscotti che si stavano raffreddando. Improvvisamente faceva troppo caldo, li dentro.

-Siete matte? Hai idea del pericolo che hai corso, Dhemetrya? E tu, Lucy, come ti è venuto anche solo in mente di pensare di andare da sola a Telmar?!- le additò, più sconvolto all'ipotesi di quello che sarebbe potuto succedere che realmente arrabbiato.

I suoi occhi azzurri scintillarono, scoccando alle due delle occhiatacce ben assestate. Si morse un labbro rimproverandosi internamente per essere stato talmente preso dai suoi doveri da non essersi accorto di ciò che lo circondava.

-Dovevi ascoltare Susan ed Evelyn.- si rivolse poi alla più giovane.

-Beh Peter, ormai è fatta. E' inutile pensarci ancora.- intervenne la Dolce, cercando di calmare il maggiore. Non era propriamente arrabbiato, ma sapeva che per scatenare una tempesta nel Pevensie ci voleva davvero poco, quindi poteva già immaginarsi la sfuriata che ne sarebbe derivata se nessuno lo avesse fermato dal covare la collera. Anche se capiva perfettamente i suoi motivi.

Forse fu la pacatezza di Susan, o lo sguardo colpevole di Lucy, che fece desistere Peter dall'andare avanti a sgridare le due, consapevole che non avrebbe portato a nulla.

Il Pevensie rilassò le spalle, cercando di inspirare l'odore familiare di quei biscotti. Quante volte a Cair Paravel Sue li aveva cucinati insieme alla Signora Castoro e Tumnus...

-Non fate mai più una cosa simile. Sono stato chiaro?- inchiodò sul posto Lucy e Dhemetrya con lo sguardo, strappandosi bruscamente a quei ricordi. Le due si limitarono ad annuire, accennando a delle scuse, ma l'espressione di Peter era talmente seria e determinata che ebbero la sensazione di sentirsi come messe a nudo.

La Narniana si morse la lingua per evitare di rispondergli male, ritenendo fuori luogo specificare in quel momento che lei prendeva ordini solo da Aslan o dalla Grande Magia.

Susan gli si avvicinò, catturando la sua attenzione e facendogli interrompere il contatto visivo: gli mise tra le mani un vassoio, ignorando lo sguardo confuso che le lanciò il fratello.

-Forza, aiutaci a portarli nella sala comune.-


***


Dhemetrya cercò di sgusciare fuori dalla sala comune senza dare troppo nell'occhio. Le presenza all'interno del rifugio erano più del solito e il calore sprigionato dai fuochi era ancora troppo per quella stagione – non faceva poi così freddo, nonostante fosse ormai sera.

Gran parte dei Narniani si era radunata intorno ai tavoli per cenare e, effettivamente, le previsioni di Lucy non si erano rivelate del tutto sbagliate.

Quando le creature di Narnia avevano visto i vassoio ricolmi di biscotti sui loro visi erano comparse delle espressioni che Dhem avrebbe definito stupore e felicità di fronte a quella sorpresa. Qualcuno si era anche scambiato delle occhiate perplesse, come a domandarsi cosa fossero quelle cose e per chi.

Ci aveva pensato Susan a chiarire le domande di tutti, prendendo in mano la situazione e spiegando le cose con poche e semplici parole.

-La Regina Lucy ha pensato fosse una buona idea farvi questo regalo per ringraziarvi dell'impegno e della fiducia riposte nei nostri confronti.- Aveva iniziato, ed accanto a lei si erano avvicinati anche gli altri Pevensie.

-Sappiamo che non è molto, e che non vi ripaga dalle perdite subite recentemente, ma speriamo vi faccia capire quanto è importante l'aiuto di ognuno di voi in un momento cruciale come questo.-


Alcuni visi si erano rattristati, ricordando la battaglia al castello di Miraz, ma nessuno aveva osato obiettare alle parole della Regina. Lucy aveva ringraziato la sorella per quel discorso con un'occhiata.

I dolci erano stati distribuiti da qualche fauna al termine della cena, cercando di non dimenticare nessuno e di farli bastare per tutti. Una piacevole atmosfera di serenità era calata sull'ambiente, rischiarato dalle torce e riscaldato dai fuochi che, allegri, scoppiettavano alle pareti. I Narniani parlavano tra loro con pacatezza, talvolta erano perfino scoppiati a ridere.

Dhemetrya aveva osservato con attenzione come quel semplice pensierino che aveva aiutato a realizzare avesse potuto creare quell'effetto, e si sentì felice. Si sentì pienamente felice di aver reso reale tutto quello che quasi le salì in nodo in gola per la commozione.

Ma c'era qualcosa, in tutta quella felicità momentanea, che le stonava. C'era qualcosa che non andava bene, che non la faceva sentire tranquilla come avrebbe dovuto.

Si osservò in giro, lanciando un'occhiata quasi ansiosa ai Narniani che si stava lasciando alle spalle e sentendo la gola secca. Si stava sentendo quasi una ladra per il modo in cui, di soppiatto, stava cercando di andarsene. Strinse tra le mani il fazzolettino di stoffa dove aveva riposto con cura qualche biscotto, dandosi della stupida per non averci pensato prima.

Dov'erano Lia e An
tares?

-Te ne vai?-

-Edmund! Brutta testa di rapa, se ti prendo vedi cosa ti faccio!-

-Sei troppo lenta!-

Dhemetrya fece appena in tempo ad irrigidirsi per essere stata interrotta in quella che assomigliava tanto ad una fuga – anche se, in realtà, non c'era niente da cui scappare – prima che due ventate di aria fredda le passassero accanto con poca grazia. Fece qualche passo di lato per non essere colpita, rischiando di inciampare su una pietra sporgente e battere la schiena contro il muro, ma si ritrovò avvolta da una stretta piuttosto decisa.

-Non correte!-

Ci mise qualche attimo di troppo a rendersi conto che colui che l'aveva fermata – sia dall'uscire dal rifugio, che dal farsi male – era stato Peter, tanto che quando focalizzò la sua attenzione sul ragazzo questi già l'aveva lasciata andare, allontanandosi di un passo da lei.

-Stai bene?- le domandò, vedendola che continuava a non parlare e si limitava a fissarlo senza una reale espressione. Dhem si umettò le labbra, cercando di recuperare il controllo del proprio corpo e sforzandosi di sorridere.

-Si, grazie. Ma erano...?- provò a domandare, guardandosi alle spalle e osservando il corridoio che conduceva all'uscita e da cui i ragazzi erano appena corsi via.

-Evelyn ed Edmund. Le avrà fatto qualche scherzo.- le confermò Peter, quasi rassegnato e ricordando i punzecchiamenti che avevano iniziato a farsi a tavola poca prima. Probabilmente dopo li avrebbe raggiunti per riprenderli, non potevano permettersi di comportarsi come se fossero in giro da soli. Ogni tanto si domandava che cosa passasse nella testa dei suoi fratelli per comportarsi come bambini.

Dhemetrya sorrise un po' di più, addolcendo lo sguardo.

-E' bello che qualcuno si diverta. Lucy voleva proprio questo, sai?- gli disse, stringendosi nelle spalle. Osservò il viso del Pevensie, gli occhi chiari che avevano perso la durezza espressa quel pomeriggio e ora la guardavano, sereni. Le ricordò molto il colore del cielo in primavera. Abbassò lo sguardo, imbarazzata per quel suo pensiero, ma la lieve risata di Peter la sorprese tanto da farglielo rialzare immediatamente.

-Lucy, Lucy... è sempre stata quella più fantasiosa di tutti. All'inizio pensavamo che Narnia fosse solo una sua invenzione, sai?- le confessò, grattandosi la nuca, quasi imbarazzato. Dhemetrya rimase sorpresa da quell'affermazione, tanto che sbatté le palpebre un paio di volte.

-Oh...- Gli occhi blu luccicarono di stupore e un poco di amarezza.

Solo un'invenzione...


Evidentemente il mondo da cui provenivano era molto diverso da quello, come più volte Aslan aveva provato a spiegarle, talmente diverso che un luogo come Narnia, con le sue creature, non era qualcosa di facile da accettare. Anzi, non era nemmeno concepibile potesse esistere realmente.

E quanto doveva essere triste il mondo da cui provenivano i Pevensie? Più volte ci aveva pensato, o aveva ascoltato i discorsi impregnati dai loro ricordi portatele dal vento, ma mai ci si era soffermata più del necessario. L''importante era che loro fossero li, tutto il resto era secondario.

-Beh, immagino che il vostro mondo sia molto diverso.- provò a dar voce ai propri pensieri.

Dhemetrya non sapeva bene come immaginarsi un'altra terra, perché lei era nata da Narnia e mai avrebbe potuto immaginare di vivere da qualche altra parte. Ed osservando la reazione di Peter, il quale si limitò a tirare le labbra in un mezzo sorriso e sospirare, fu ancora più certa che non avrebbe mai rinunciato alla terra a cui apparteneva.

Gli occhi di Peter si velarono di frustrazione al ricordo di quegli ultimi anni passati sempre in compagnia della frustrazione per quel mondo troppo diverso da quello che aveva imparato ad amare.

-Si, molto. Troppo.-


***


-Edmund! Edmund! Fermati!-

Evelyn si fermò quasi di botto, portandosi una mano allo stomaco ed inspirando pesantemente. Mettersi a correre dietro a suo fratello appena finito di mangiare non era stata una buona idea. Le era salita una grande nausea ed aveva seriamente paura che avrebbe finito con il vomitare.

Cercò di rilassarsi e si accorse, con una veloce occhiata, di trovarsi nel solito spiazzo dietro la Casa di Aslan.

-Ti arrendi?- le gridò Edmund, da lontano. Eve lo vedeva solo grazie alla luna che ne illuminava in parte al profilo e al cielo, che non aveva ancora assunto le tonalità scure e buie tipiche delle notti invernali. Aveva anche notato, però, che le giornate sembravano iniziare a farsi più corte e l'aria ad essere più fresca.

Da una parte sperava che la resa dei conti arrivasse in fretta, perché non poteva immaginare quali sarebbero state le condizioni con cui avrebbero passato l'inverno se fossero stati costretti a rimanere in quel rifugio d'emergenza.

-Quindi?- la incalzò lui, senza essersi ancora avvicinato. Eve scorse il suo petto alzarsi velocemente e dedusse si fosse stancato di cercare di scapparle. Tuttavia, sapeva quanto Eve fosse vendicativa e per questo, probabilmente, voleva prima sincerarsi che non gli avrebbe fatto niente.

Si portò una mano al braccio, accarezzandosi da sopra l'abito il punto in cui Edmund le aveva fatto un pizzicotto. E, dannazione, le aveva fatto parecchio male quella volta. Evelyn sorrise amabilmente.

-Si, si. Mi arrendo.- gli disse, rilassando le spalle e guardandolo negli occhi. Lo vide assottigliare lo sguardo, studiandola, e cercò con tutto l'autocontrollo che possedeva di non fare smorfie strane.

Il Pevensie si umettò le labbra, come indeciso.

-Prometti?- indagò, attento. Vide la sorella alzare gli occhi al cielo e sbuffare, spazientita.

-Si Edmund, prometto. Sono stanca.- fu la lapidaria risposta che gli diede, prima di mettersi a cercare qualcosa per terra. Ed rimase qualche attimo a studiarla, cercando di capire cosa stesse facendo, prima di iniziare ad avvicinarsi.

La ragazza si mosse per qualche minuto nella piccola radura, finendo per ritrovarsi vicina al tronco caduto: era stanca e voleva sedersi per riprendere fiato, ma la voglia di farla pagare a suo fratello ancora non l'aveva abbandonata del tutto.

Si finse interessata al terreno, approfittando per riflettere mentre Edmund la raggiungeva.

Era stata sollevata di non aver dovuto dare troppe spiegazioni a Peter e che questo, soprattutto, non si fosse arrabbiato come pensava. In realtà, l'aveva visto parecchio rilassato durante la cena e la cosa – a lei come ai fratelli – aveva fatto piacere. Evelyn non sapeva nemmeno come la sorella gli avesse spiegato la situazione, ma poco le importava, in quel momento.

Lucy era stata ringraziata più volte per il pensiero che aveva avuto dai Narniani, ringraziamenti a cui aveva risposto con molti dei suoi sorrisi e gli occhioni trepidanti di felicità e soddisfazione – ed i biscotti, nonostante mancassero alcuni ingredienti, non erano venuti poi così male.

A Eve era bastato quello per capire che andava tutto bene.

Ed era andato tutto bene finché Edmund non aveva iniziato a punzecchiarla, rubandole i biscotti di mano e facendole pizzicotti ai fianchi. Aveva provato a rispondergli, ma l'evidente differenza di forza fisica aveva fatto si che ogni suo tentativo di attacco fosse parecchio inutile.

La Pevensie cercò di mantenere la calma, percependo che ormai il ragazzo era alle proprie spalle. Doveva agire d'astuzia.

-Che cosa fai?- provò a domandarle lui, incuriosito. Evelyn poteva immaginarsi lo sguardo perplesso con cui la stava guardando mentre restava li, in piedi, ad aspettare non si sapeva cosa – a giudicare dal suo tono di voce.

-Io...- sussurrò, umettandosi le labbra e iniziando a voltarsi con un lento e studiato movimento verso Edmund. Fece schioccare la lingua contro il palato e poi fece uno scatto in avanti, afferrandolo per la casacca.

-Pensavi che avrei lasciato perdere così?!-

Il moro si sorprese di quel movimento repentino e provò a tirarsi indietro istintivamente, tuttavia Evelyn era stata abbastanza agile da riuscire a prenderlo, bloccando in quel modo il suo tentativo di fuga. Vide distrattamente gli occhi di sua sorella luccicare di vittoria e sentì la mano tirargli la casacca verso il basso, prima di capire che stava perdendo l'equilibrio per il peso improvviso che si era sentito addosso e rischiando di cadere entrambi.

Fece qualche passo scomposto, ma fu inutile. Si ritrovò semi seduto a terra, provando un dolore fastidioso alla schiena per il contraccolpo, con Eve che gli era caduta addosso.

-Ma sei matta? Che diavolo ti è saltato in mente?!- sbottò, d'istinto. Si portò una mano a massaggiarsi le cosce doloranti, cercando di ignorare la presenza della Pevensie così vicina – così tanto vicina, in così poco tempo. Praticamente gli era caduta tra le braccia.

Si ritrovò a pensare che decisamente sembrava che qualcuno ce l'avesse con lui e provasse a metterlo alla prova.

Non ricevendo nessuna risposta né un'occhiataccia iniziò a preoccuparsi.

-Ohi, stai bene?- provò a chiederle, posandole una mano sulla spalla e scuotendola leggermente. I capelli ondeggiarono nel vuoto per quel movimento, ma Edmund iniziava ad essere troppo in pensiero per soffermarcisi. Eve continuava a tenere lo sguardo rivolto in basso, verso la mano che era restata ancorata alla casacca.

Il Pevensie deglutì, mordendosi un labbro senza capire la piega che stava prendendo quella situazione e percependo un formicolio al basso ventre.

-Edmund... hai un pessimo senso dell'equilibrio.-

Il moro ci mise qualche attimo a capire che era stata sua sorella, a parlare. La sua voce aveva un'intonazione strana, forse perché attutita o forse perché... sembrava quasi che...

-Stai ridendo? Stai ridendo di me?- Edmund allontanò la mano come scottato, irrigidendo il busto. Evelyn si stava prendendo gioco di lui! Si sentì quasi offeso ed arricciò le labbra, come indignato.

-E' stata colpa tua, sei tu che mi hai fatto cadere. E comunque senti chi parla.- Il Pevensie incrociò le braccia al petto, voltando lo sguardo e posandolo sul bosco circostante.

Se stavano in silenzio quasi si potevano sentire le voce dei Narniani provenire da poco lontano. Ma, a parte ciò, per il resto sembrava che ci fossero solo loro due. Era un qualcosa a cui aveva imparato a fare caso per evitare che ci fosse la possibilità di venire fraintesi ad occhi esterni.

Fu a quell'ennesima presa in giro che Evelyn alzò di scatto la testa, gli occhi che scintillavano per quanto quella frase l'avesse colpita. Tutta la possibile ilarità che stava provando pochi secondi prima sembrava scomparsa.

-Non è vero!- provò a difendersi, spalancando la bocca in un'espressione di sdegno. Edmund alzò un sopracciglio, scettico, cercando di non fare troppo caso al viso della ragazza: gli occhi lo stavano fulminando, i capelli erano vagamente scomposti e ricadevano lungo le spalle, la fronte era aggrottata.

Anche in quel modo, lui la trovava comunque bellissima. Non c'era espressione di Eve che non avesse imparato ad amare con il passare degli anni.

-Si, si.- fu la semplice risposta che la sua mente, persa in altri pensieri, gli permise di concepire. Esasperata ed offesa nell'orgoglio, pur sapendo che aveva ragione, Evelyn gli diede un pizzicotto sul fianco e sul braccio. Edmund si limitò a toccarsi le parti lese lamentandosi apertamente, mentre la Pevensie, soddisfatta, incrociò le braccia al petto e si fermò a fissarlo, in silenzio.

-Dovresti chiedermi scusa.- la rimproverò il moro, dopo qualche attimo, guardandola di sbieco.

-Io? Sei tu che hai iniziato!- Edmund si pentì di quelle parole non appena il tono di voce più alto del normale di sua sorella gli trapanò le orecchie senza pietà.

-Va bene, va bene, ho capito!- gridò, esasperato, mostrando i palmi in segno di resa. Vide Evelyn sorridere soddisfatta e, nonostante tutto, qualcosa dentro di lui si mosse di contentezza. Eve continuava a fissarlo, come in attesa.

In attesa di cosa?


Sentì il cuore rimbombargli nelle orecchie e avvertì un improvviso nodo allo stomaco. Percepì la gola improvvisamente secca e una vampata di calore gli diede quasi i giramenti di testa.

Tutto ciò che riusciva a focalizzare era il viso di Eve. Il viso di Eve sempre più vicino.

Vicino?


Sbatté le palpebre un paio di volte, accorgendosi che involontariamente si stava protendendo verso la sorella. E quella, ancora una volta, non si stava spostando.

-Beh, io direi che possiamo and__- iniziò, ma le parole gli morirono in gola. Tossì per schiarirsi la voce e fece un movimento per iniziare ad alzarsi.

-Edmund.- quasi sussultò quando sentì la mano della Pevensie trattenerlo per il polso. Questa continuava a guardarlo intensamente – iniziava a chiedersi se non si trattasse tutto di un grande scherzo.

Sospirò, cercando di buttare fuori la tensione e tornando a rivolgerle la propria attenzione.

-Non devi dirmi qualcosa?- Edmund socchiuse le labbra, pensieroso. Qualcosa? Cosa poteva mai volersi sentire? Percepì un brivido gelido corrergli lungo la colonna vertebrale. Possibile che Eve avesse capito? Aveva sbagliato qualcosa?

Si morse una guancia quasi a sangue, nervoso, provando a ragionare nel modo più veloce possibile. Doveva mantenere la calma.

Ma Evelyn continuava a guardarlo con quegli occhi chiari così particolari, e la sua mano era ancora attorno al suo polso e non riusciva a tirarla via, e lei gli era praticamente seduta quasi addosso tanto che poteva sentirne l'odore...

Fu più forte di lui.

Il suo corpo si mosse praticamente da solo, come se conoscesse a memoria ciò che doveva fare. Prima ancora che se ne rendesse conto. Prima ancora di riuscire a fermarsi. Prima di trovare una buona scusa per quello che stava per fare.

La baciò.

La Pevensie rimase immobile, strabuzzando gli occhi senza tuttavia avere il coraggio di compiere alcun movimento. Edmund...

Edmund la stava baciando.


La stava baciando sul serio, non come in uno di quei sogni ad occhi aperti che era solita fare. Com'era possibile? Perché? Così tante domande senza risposta le si stavano affollando nella mente che la paralizzarono sul posto. Aveva desiderato per tanto, troppo tempo quel momento, che viverlo le stava procurando quasi dolore fisico.

Era un sogno, un sogno che si avverava... un sogno che poteva diventare presto un incubo. Qualcosa nella testa di Eve le gridò era sbagliato, ma era una vocina lontana, a cui decise di non fare caso.

Ed la stava baciando e non c'era nient'altro che contasse in quel momento.

Chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi ed ispirando. Il profumo del Pevensie le stordì la testa tanto da darle le vertigini.

Il contatto durò giusto una manciata di secondi prima che Edmund si tirasse indietro, come scottato. Aveva le guance rosse e gli occhi febbricitanti di imbarazzo. Fissava le sue mani, in cerca delle parole adatte per... per cosa? Come avrebbe spiegato quello che aveva appena fatto?

Si portò un mano tra i capelli e li strinse, nervoso ed a disagio.

Aveva combinato un disastro. Aveva rovinato tutto.

Non seppe dove trovò il coraggio di lanciare un'occhiata ad Eve. La osservò sfiorarsi le labbra con le dita e, quando guardò meglio il suo viso, vide che aveva gli occhi lucidi e le guance arrossate. Tuttavia, la gentilezza con cui ricambiò il suo sguardo lo lasciò spiazzato.

E capì.

Fu come se un macigno lo colpisse in pieno.

Evelyn... Evelyn, lei... possibile?

Tuttavia la sensazione di sollievo durò poco, perché non appena fece per dire qualcosa si sentì improvvisamente in difetto. Edmund ebbe la fastidiosa senzazione di sentirsi trapassare da parte a parte e voltò il viso di lato, sentendo qualcosa di sinistro salirgli lungo la schiena. Deglutì a forza, cercando di ricordarsi come si facesse a respirare.

Evelyn seguì il suo esempio, notando l'improvviso cambiamento nel fratello, e si sentì mancare la terra sotto i piedi. Improvvisamente, fu come se fosse finita dal paradiso all'inferno.

Anche nella penombra, avrebbero riconosciuto quella figura ovunque.

Quel viso affilato, quello sguardo in tempesta. L'espressione di delusione che traspariva dai lineamenti del volto, le labbra tirate in una smorfia di profonda amarezza.

-Peter.-


















































































































Ciao a tutti cari e care e bentornati in questa storia!
Probabilmente non ci speravate più - e nemmeno io, lol. Ma non vi libererete facilmente di me. Sono stati dei mesi abbastanza difficili, pensavo sarei mancata per molto meno tempo ma in realtà non è stato così. Purtroppo ho ancora delle cose in sospeso nella rl, casa non è totalmente a posto e anche sul piano lavorativo sono un po' sull'incerto andante. Questo sicuramente non ha giovato e tutt'ora non giova alla mia ispirazione, che solo ultimamente ha deciso di tornare.
Ma ho voluto provare a ributtarmi e, quindi, eccomi qui, con questo capitolo molto sospirato. Era dal 2010 che aspettava di prendere forma, fate voi. ^^''' Alla fine è venuto pure più lunghetto di quello che credevo ma spero che la cosa non vi dispiaccia. :)
Piccola nota: tenete conto che sono otto mesi che non scrivo, quindi qualche frase o passaggio potrebbero risultare un po' meccanici. Mi scuso in anticipo, posso solo dirvi che ho in mente appena possibile una revisione totale sul piano stilistico della storia (un'altra volta, si), quindi anche questo subirà delle revisioni. In ogni caso, non volevo farvi aspettare ancora e quindi... eccolo qui! Allora, che ne pensate?
Edmund ed Evelyn si sono baciati, ve lo aspettavate in questo modo? E cosa avrà visto Peter? Da qui, come vi anticipavo, ci saranno dei capitoli abbastanza importanti per la trama... stay tuned!
Spero di tornare presto con un altro aggiornamento, ma non so dirvi le tempistiche. In ogni caso siete tutti nel mio cuore e vi ringrazio per la pazienza che state portando, in particolare ringrazio chi, anche a distanza di tempo, mi lascia una piccola recensione o mette la storia in una delle tre liste. Per me è sempre una motivazione in più sapere che i miei sforzi vengono apprezzati.
Grazie mille a tutti.
Love, D.

PS: Qualche anima pia può dirmi dei siti da cui poter ricaricare le immagini?

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Capitolo 35
*** Collana di sentimenti. ***


Narnia's Spirits
Collana di sentimenti.
[Capitolo collegato allo spin-off Necklace of Feelings]









-Peter.-

Evelyn sbatté le palpebre cercando di mettere a fuoco la figura del Pevensie, cercando di cogliere, tra le ombre della sera, ogni particolare di quell'espressione contrita che gli si era dipinta in faccia. Cercò, inconsciamente, una qualsiasi dimostrazione di affetto su quel volto che conosceva fin troppo.

Uno spiraglio di comprensione, un segno – qualcosa che fungesse da ancora in quel mare di caos che si stava abbattendo senza pietà su di loro.

Ma Peter era rimasto fermo immobile nello stesso punto in cui lo avevano visto, le braccia molli lasciate cadere lungo il corpo – ed Eve scorse, tra il vorticoso appannamento che stavano diventando i propri pensieri ed i propri sentimenti e la penombra della sera, come le sue mani fossero strette a pugno.

Due pugni rabbiosamente serrati, come rabbioso era il modo in cui la mascella gli si era contratta, gli occhi che, se avessero potuto, i due Pevensie erano certi avrebbero lanciato fulmini per poterli folgorare sul posto.

Avevano commesso un errore. Un errore enorme.

Non ci sarebbe stato nessun sorriso d'incoraggiamento, nessuno sguardo di comprensione, per loro, quella volta. Niente.

Peter.

Si sentì montare l'ansia, Eve, percependo i battiti del proprio cuore accelerare per il panico esattamente come il proprio respiro, così tanto violentemente che boccheggiò, portandosi una mano al petto, angosciata. Cosa aveva visto, Peter?

Incapace di fare qualsiasi cosa rimase lì, immobile nell'erba ancora tra le gambe di Edmund, come congelata sul posto. Strinse in modo spasmodico il corsetto, aggrappandosi al tessuto come se potesse essere l'unica fonte a poterle dare del sostegno in quel momento.

Peter.


Si morse un labbro, la Pevensie, per cercare tramite il dolore di riportare ordine nella propria mente tormentata. Le sembrava di stare annegando, trascinata inesorabilmente a fondo dall'improvviso macigno che le si era posato crudelmente sul cuore.

E fu come se un treno la investisse quando realizzò ciò che era successo, quando captò l'ironia di quel tempismo che molte volte l'aveva tirata fuori dai guai ma che, in quella circostanza, stava mandando a monte tutto. Lo capì osservando per l'ennesima volta gli occhi rabbiosi e delusi di suo fratello, nello scorgere nel viso di Edmund, nei suoi occhi sgranati, lo stesso sconcerto che doveva essere specchio del suo.

Edmund l'aveva baciata... e Peter li aveva visti.

Le cose non sarebbero potute andare in modo peggiore.

Silenzioso com'era arrivato, il Pevensie diede loro la schiena e se ne andò.

Edmund rimase attonito ancora qualche minuto, incapace di ragionare lucidamente esattamente come Evelyn. Le emozioni ed i pensieri da processare erano troppi, troppi e troppo diversi tra loro, e venirne a capo si stava rivelando parecchio difficoltoso. Un attimo prima era felice per essersi finalmente tolto un peso, quello dopo si sentiva completamente soggiogato dalla piega che aveva assunto il tutto.

Non sarebbe dovuta andare così.

Sapeva che non sarebbe stato facile, sapeva che ci sarebbero state conseguenze e per anni aveva immaginato di affrontarle nella propria testa, in mille e più modi differenti.

Ma credeva che il problema principale sarebbe stata Evelyn, doverle spiegare le motivazioni consapevole che avrebbe dovuto mettersi completamente a nudo, che avrebbe dovuto dare voce a quella parte di sentimenti che aveva custodito sempre gelosamente dentro di sé, non... non Peter.

Deglutì rumorosamente, tenendo gli occhi sbarrati nel punto esatto in cui il biondo era sparito, inghiottito dalla fitta e sempre più buia vegetazione che l'aveva sputato fuori così improvvisamente – e così crudelmente.

Dannazione, perché Peter li aveva raggiunti proprio in quel momento? Perché?

Si schiarì la gola, prendendo coraggio e spostando lo sguardo su sua sorella. Quel gesto gli costò uno sforzo che non si aspettava, il corpo sembrava non volerlo ascoltare, improvvisamente troppo pesante per fare anche solo un gesto così semplice.

Evelyn era attonita quanto lui, bianca in volto e con le labbra tremanti, e il modo in cui lo guardava... il modo in cui lo guardava, lo sguardo spaesato che gli stava rivolgendo, la muta richiesta di aiuto che vi scorse all'interno lo lasciarono totalmente inerme. Edmund si sentì svuotato anche dell'ultima briciola di sollievo che aveva provato capendo che a Eve, probabilmente, il bacio che si erano dati non aveva fatto del tutto schifo.

Era tutta colpa sua. Era solo colpa sua.

Evelyn si stava trattenendo in tutti i modi ma lui aveva capito che avrebbe voluto scoppiare in lacrime nell'esatto momento in cui aveva posato gli occhi lucidi su di lui.

Si allungò verso di lei consapevole che, a quel punto, qualsiasi suo gesto non avrebbe potuto venire frainteso. La vide osservare con particolare attenzione i suoi movimenti, studiarlo mentre si allungava per prenderle una mano tra le sue. Evelyn non si mosse: il suo corpo era lì, vedeva cosa stava facendo Edmund, sentiva il pollice che le accarezzava il dorso della mano in un impacciato gesto di conforto, eppure era come se non si sentisse totalmente presente.

Era una cosa che aveva sempre desiderato, eppure quel momento era troppo sbagliato perché potesse apprezzare quei gesti. Troppe cose insieme si stavano accavallando. Troppe.

L'aria sembrava trafiggerle i polmoni ad ogni respiro.

Aveva bisogno di riflettere. Di stare del tempo da sola per poter fare chiarezza con se stessa. Aveva bisogno di aria. Di poter sfogare tutta la frustrazione senza essere giudicata, senza sentirsi osservata, senza che Edmund continuasse a rivolgerle imperterrito quello sguardo colpevole che le si stava scolpendo nella testa.

Voleva stare da sola.

Sola.


-Vado a parlare con Peter. Andrà tutto bene, vedrai.- Evelyn nemmeno gli annuì, quando le strinse maggiormente la mano prima di lasciarla, a malincuore, per andare a parlare con il fratello maggiore. Perfino a se stesso era chiaro quanto fossero intrise di dubbiosità e spavento quelle poche sillabe.

Edmund iniziò a preoccuparsi di quell'assenza che stava dimostrando ma si impose di non pensarci troppo, raccogliendo le briciole di coraggio che ancora possedeva ed alzandosi. Fece quasi violenza su se stesso per non restare li, in quella radura, a stringere Evelyn in un abbraccio – per cullarla, e forse egoisticamente per trovare del conforto per se stesso.

In quel momento era più importante che agisse e c'era solo una cosa che poteva fare. Arrivati a quel punto i nodi andavano sciolti. Tutti. 

Doveva parlare con Peter.


***


Fu solo quando anche la figura di Edmund venne inghiottita da bosco che ad Evelyn sembrò che il tempo riprendesse il proprio corso e lei tornasse a respirare.

I passi del fratello erano risuonati attutiti sul terreno e, una volta che anche il fruscio provocato dal contatto con i cespugli più bassi si fu allontanato del tutto, nella radura già silente calò un silenzio quasi innaturale. L'unico rumore che lo spezzava era il suo respiro. Un suono affannoso, agitato, che rispecchiava perfettamente come si stesse sentendo: in panico, spaesata, con l'opprimente sensazione che il mondo fosse pronto a crollarle addosso.

Tra i fiumi di pensieri odiò se stessa per il poco autocontrollo che sentiva di possedere in quegli istanti.

Eve sbatté le palpebre, facendo cadere un paio di lacrime dal bordo degli occhi e portandosi le mani in grembo. Le sentì quasi bruciare mentre scorrevano lungo le guance secche.

Cosa era accaduto?

Con un gesto seccato si passò la manica del vestito sulla faccia, cercando di riprendere lucidità e cancellando le tracce di quel pianto pieno di frustrazione che stava prendendo forma. Avrebbe voluto urlare, eppure stava annegando nel silenzio dei suoi tormenti.

Edmund l'aveva baciata.

Senza volerlo Evelyn sentì uno sfarfallio al petto, colpita in pieno da dei flashback: il suo viso improvvisamente vicino, il suo profumo, le sue labbra che gentili, quasi paurose, la sfioravano appena... Sentì le guance andare a fuoco, la Pevensie, e nascose il sorrisino d'imbarazzo dietro una mano che, inconsciamente, si portò a coprire la bocca.

Molte volte aveva immaginato quel momento ma... averlo vissuto era stata una cosa completamente diversa.

Edmund l'aveva baciata.


Si sentì spiazzata, Evelyn, da quella constatazione che sembrava non volesse lasciarle la mente. Perché aveva fatto una cosa simile? Si trattenne dal tirarsi un pizzicotto per cercare di allontanare la sensazione di torpore che la stava avvolgendo.

Edmund l'aveva baciata...

Aggrottò la fronte, cercando di afferrare quella consapevolezza che sembrava continuasse a sgusciarle via fra il turbine di pensieri che era diventata la sua mente. Non riusciva ad afferrarla. Aveva avuto la verità davanti agli occhi per tutti quei minuti e ancora non ci era arrivata.

L'aveva baciata… perché provava qualcosa per lei?

Sbatté le palpebre, Eve, sentendo gli occhi tornarle lucidi per lo strano sentimento di commozione che sentì nascerle nel petto, portandosi meccanicamente una mano al ciondolo.

Fu come se una luce di speranza si fosse fatta spazio tra il buio opprimente che l'aveva assalita in quegli istanti.

Ripensò ad Edmund, a tutte le volte che aveva sperato ci fosse un doppio significato per certi suoi comportamenti, a tutte quelle situazioni fraintendibili che avevano vissuto. Le tornarono in mente i segreti, le risate, i pianti e le litigate. Ripensò allo sguardo di suo fratello poco prima.

Evelyn lasciò cadere la mano in grembo fissando un punto davanti a sé senza vederlo davvero, completamente immersa in un mondo tutto suo, l'espressione indecifrabile.

Perché provava qualcosa per lei.


***


-...Evelyn.-

Mh... ?

-Eve! Alzati!-

Chi diavolo era che la chiamava così insistentemente a notte fonda?

-Dai, svegliati!-

Dalle coperte arruffate provenne uno sbuffo mal celato e dei lievi movimenti, poi tutto tornò immobile. Ci aveva messo pochi secondi, la Pevensie, a capire chi l'aveva svegliata. Aveva socchiuso gli occhi quel tanto per permettersi di capire che no, probabilmente non era piena notte come credeva, ma semplicemente aveva le coperte tirate fin sopra la testa. Doveva aver avuto freddo durante le ore notturne, per essersi raggomitolata in quel modo nel letto.

No che non aveva intenzione di alzarsi, si stava così bene li...

-Evelyn, vuoi tirarti su o no?- Lucy si avvicinò alla grande finestra della stanza, impaziente, tirando senza pietà le tende che fino a quel momento avevano nascosto la luce del sole come potevano. I raggi mattutini inondarono l'ambiente.

-Oh insomma, Lu! Che diamine...- la Pevensie non fece caso alle maledizioni che sua sorella aveva iniziato a mandarle contro borbottando, avvicinandosi invece al letto in cui si ostinava a rimanere rifugiata.

-Lo sai che giorno è?- domandò retorica, afferrando le coperte per poterle tirare indietro. Si bloccò a metà di quel movimento rischiando di perdere la presa, perché Evelyn era stata più furba: nonostante il corpo ancora addormentato aveva artigliato le lenzuola con tutte le forze che era riuscita a raccogliere.

-Dai Lucy, lasciami dormire.- fu il lamento implorante che le uscì. Tuttavia, ormai la sua mente era abbastanza sveglia ed aveva già iniziato a lavorare e pensare. Alzò gli occhi al cielo, abbassando lievemente le coperte e mostrando parte del viso, arrendendosi. La Pevensie sorrise, portandosi le mani sui fianchi e sospirando.

-Sei sempre la più pigra di tutti.- la prese in giro, immaginando la smorfia imbronciata che sicuramente nascondeva sotto le lenzuola. Eve sospirò, iniziando ad abbassare le coperte. L'aria fresca - anzi, fredda - che aleggiava per la stanza le fece venire dei brividi.

-Visto che è il mio giorno potevi lasciarmi dormire di più.- si limitò a dire, occhieggiando la figura di Lucy ancora in piedi accanto al letto per nulla toccata dai suoi lamenti. Come tutte le volte che si soffermava a guardarla, si rese conto di quanto fosse cresciuta. Il viso le si era fatto più affilato, era diventata più alta, i corpetti degli abiti avevano iniziato a modellarle maggiormente la vita ed i fianchi.

Lu aveva iniziato ad abbandonare le forme di bambina dando inizio al cambiamento che l'avrebbe portata a diventare una donna. Se avesse ricordato anche solo lontanamente Susan, come già era capitato qualche volta, Evelyn era certa che sua sorella sarebbe diventata bellissima senza niente da invidiarle. Anche se la sorella maggiore era quella che riscuoteva ancora maggiore successo nei Regni limitrofi – e a ragione.

Susan era una figura da cui prendere ispirazione, ma con la consapevolezza che non la si sarebbe mai potuta raggiungere.

Non che a lei importasse più di tanto, in ogni caso.

Sospirò, iniziando a sistemarsi aiutata dalla sorella. Erano passati tre anni da quando erano arrivati a Narnia. Tre lunghi e bellissimi anni.

Le stagioni si erano susseguite lente ed equilibrate – c'era stata un po' d'ansia tra i Narniani durante il primo inverno dopo la sconfitta della Strega Bianca, in realtà, ma il freddo era durato giusto il necessario.

Evelyn si perse nei propri pensieri mentre Lucy le raccoglieva i capelli in una treccia laterale e l'aiutava a vestirsi.

E mentre Narnia rinasceva ogni giorno più forte, loro erano cresciuti, maturati, cambiati... avevano imparato le strategie di guerra, le musiche, le tradizioni, gli abitanti, i cibi e tutto ciò che faceva parte di quel regno di cui si erano ritrovati Sovrani quasi per caso. Un caso fortuito... o destino, come diceva la leggenda? Due figli di Adamo e due figlie di Eva... C'era qualcosa che non le era mai stato ben chiaro in quelle parole. Perché quattro? Forse c'era qualcosa di sbagliato nella predizione?

Aslan non ne aveva mai parlato e lei non aveva mai avuto possibilità di domandare, dal momento che era sparito.

-Sei silenziosa. E' perché sei emozionata?- commentò ad un certo punto Lucy, mentre le stringeva il corsetto. Evelyn si ridestò da quei pensieri, voltando il viso quel tanto che bastava per scorgere la figura della sorella dietro di lei. Qualche centimetro e l'avrebbe raggiunta in altezza.

Evelyn sospirò, socchiudendo gli occhi, indagatrice. Tutti erano cresciuti, ma lei era rimasta bassa.
Bassa.

-Mi ero distratta.- le confessò, sbadigliando. La risatina di Lucy la strappò definitivamente dai propri dubbi ed Eve fece spallucce con se stessa.

-Dovresti esserlo... emozionata intendo. Dopotutto è il tuo compleanno! Ho finito, girati.-

Un giorno come un altro.

Si prese il viso tra le mani mentre roteava su se stessa, mostrando teatralmente una smorfia angosciata.

-Non è bello sapere di stare invecchiando!- Lucy roteò gli occhi al cielo, sorridendo suo malgrado e prendendo qualcosa che aveva lasciato sul comò li vicino sotto lo sguardo scrutatore di sua sorella. Evelyn non l'aveva vista portare niente in mano, probabilmente perché era rimasta ostinatamente nascosta sotto le coperte a lamentarsi. La vide nascondere qualcosa dietro la schiena ed alzò un sopracciglio, indagatrice.

-Manca l'ultimo tocco.- fu la sola spiegazione che le diede, prima di avvicinarsi nuovamente. La Pevensie non capì cosa avesse fatto ma attese pazientemente finché sua sorella non le piazzò uno specchio davanti al viso.

Tra la treccia spuntavano dei fiorellini azzurri e all'orecchio le aveva messo una margherita.

Si sfiorò l'acconciatura, emozionata per quei piccoli dettagli che Lucy le aveva riservato, reprimendo un lieve nodo di commozione e specchiandosi nel riflesso di una giovane ragazza che non immaginava potesse appartenerle. Si era sempre soffermata sui cambiamenti dei suoi fratelli, raramente sui propri.

-Buon diciassettesimo compleanno, Evelyn.-


***


Si diede un leggero slancio quel tanto che bastava per riuscire a smontare da cavallo. Le foglie sotto i calzari scricchiolarono leggermente, quando le calpestò, eppure era riuscita ad essere abbastanza aggraziata da non disturbare troppo la natura che la circondava con quel gesto.

In autunno, con il terriccio secco, era decisamente più rumorosa, tanto che i suoi fratelli più volte l'avevano rimproverata perché aveva fatto scappare qualche preda – non che le importasse più di tanto, in realtà, dal momento che cacciare lo trovava una perdita di tempo. Non capiva perché gli uomini fossero così fissati. Non era più emozionante leggere qualche bel libro davanti al camino acceso o nel giardino del castello?

Accarezzò il collo del destriero, assorta, allungando poi una mano verso la bisaccia che pendeva dalla sella. L'animale sembrò capire le sue intenzioni, perché girò il muso e nitrì leggermente, dandole un colpetto sul braccio.

-Si, si. Tieni. Bravo ragazzo...- lo lodò, allungandogli un pezzo di carota. Gli diede un altro paio di carezze mentre l'animale iniziava a brucare l'erba, poi gli voltò le spalle, osservando con attenzione lo spiazzo di radura che le stava davanti, soppesando se ci fosse qualcun'altro.

Una leggera brezza le scompigliò i capelli ed Evelyn rabbrividì, cercando di coprirsi maggiormente le spalle con il mantello che indossava. Non era ancora piena estate, non si sorprese quindi che ogni tanto potesse fare freddo anche in pieno giorno. Inoltre, nelle giornate precedenti aveva anche piovuto e le temperature si erano abbassate.

Sospirò, iniziando a camminare, allontanandosi dal bordo della foresta da cui era spuntata ed avvicinandosi con passo lento verso il cumulo di rocce abbandonato in mezzo alla piana.

Ad avvolgerla c'era solo il silenzio, rotto talvolta dai suoni della natura. Nonostante tutto, però, quel luogo rimaneva comunque il più silenzioso di Narnia, come se perfino i suoi abitanti non volessero disturbare la quiete che vi regnava.

Anche in mezzo al nulla però l'unica cosa che provava era una sensazione di serenità. Narnia non le faceva paura. Non avrebbe mai potuto. E la solitudine che l'avvolgeva non le dava fastidio, accogliendo i suoi pensieri portandola come in una bolla personale.

Sfiorò la roccia quando fu abbastanza vicina, soppesando le crepe che ne frastagliavano la superficie con sguardo malinconico, osservando per l'ennesima volta la spaccatura che l'aveva divisa come se fosse ancora la prima volta. La tavola su cui si era sacrificato Aslan. Il luogo in cui era morto... e risorto.

La mattina della battaglia lei ed i suoi fratelli avevano saputo della morte del leone tramite i messaggi portati dagli alberi. Lo sgomento per quell'evento era stato troppo perché potesse dargli una voce.

Solo molti giorni dopo, e facendosi coraggio per soddisfare quella punta di curiosità che la stava tediando da tempo, aveva raccolto quel poco di forza per andare a domandare a Lucy e Susan come fossero andate le cose e cosa avevano visto. Aveva osservato gli occhi delle sorelle rattristarsi ricordando quella che a detta loro era stato un tentativo brutale di umiliare il Re di Narnia, ed Eve si era sentita trafiggere dal senso di colpa per aver riportato loro a galla quelle immagini.

Era sicura che ogni tanto le tormentassero ancora nei sogni. Non erano cose che si potevano dimenticare facilmente.

Tuttavia, lo sguardo della minore si era illuminato nuovamente in quel modo particolare che le veniva solo quando pensava ad Aslan, raccontandole come fosse riapparso dopo il boato che aveva fatto la pietra spezzandosi.

Evelyn si morse un labbro, pensierosa, sedendosi su uno dei sassi che formavano i resti di quello strano altare e fissando lo sguardo davanti a sé ed iniziando a torturarsi le mani.

Aslan...

Non sapeva bene perché fosse andata nuovamente in quel luogo, Eve. Ogni tanto le era capitato di tornare in quell'angolo di mondo che avevano volutamente lasciato intoccato, come a ricordare e testimoniare tutti gli eventi che dal loro arrivo a Narnia si erano susseguiti e che sarebbero, poi, diventati racconti e leggende.

Non poteva immaginare che quel posto più di mille anni dopo sarebbe diventato testimone degli eventi che avrebbero cambiato per sempre la sua vita.


Forse era perché nessuno vi si avvicinava senza una valida motivazione. Forse era per cercare di immergersi in quello che avevano potuto provare le sue sorelle quella terribile notte, sentendosi in difetto per non essersi accorta di quello che stava accadendo. Forse perché quello era diventato un luogo sacro, e sperava in qualche modo che vi aleggiasse la presenza di Aslan pronta a darle un qualche tipo di conforto. O, magari, era il luogo in cui sarebbe finalmente riapparso... quanto tempo era passato da quando era sparito?

Sospirò, spostando lo sguardo sul cielo che la sovrastava.

Più di quattro anni, ormai. Non era un po' troppo per farsi una vacanza? Forse gli era capitato qualcosa.

Avevano provato a cercarlo, ovviamente senza risultati. Lucy era quella più ottimista: secondo lei sarebbe tornato quando meno se lo aspettavano, e nessuno dei fratelli aveva osato alzare dei dubbi a quelle affermazioni.

Evelyn alzò le braccia al cielo, socchiudendo gli occhi per via del sole e cercando di allontanare quei pensieri con poca convinzione.

Scavando un po' più a fondo ed ammettendolo a se stessa senza troppi problemi, seppe darsi la risposta che cercava: si sentiva inquieta. E non sapeva spiegarsi il motivo.

Egoisticamente aveva pensato che raggiungere quel posto le infondesse una qualche sorta di pace interiore come succedeva tutte le volte che rimaneva da sola a riflettere. Tuttavia, in quelle giornate, affrontare se stessa e la sua mente non stava portando i buoni risultati che avrebbe voluto e non ne capiva il motivo.

C'era qualcosa che le sfuggiva e non riusciva ad afferrarla, dandole la stessa percezione di quando non viene in mente una parola ma con la brutta sensazione che ci fosse dietro qualcosa di molto peggiore.

Perché?

Evelyn si grattò la nuca ed allontanò una mosca, occhieggiando velocemente il cavallo poco distante come per sincerarsi fosse ancora nei paraggi. Usò un ginocchio come appoggio per il gomito e poggiò il viso su una mano, concedendosi nuovamente di lasciare andare i propri pensieri ed il proprio sguardo. Si perse ad osservare la vasta vallata che si estendeva ai piedi di quell'altura senza mostrare un interesse particolare, conoscendola ormai a memoria, quasi accartocciata su se stessa per la posizione assunta.

Fu forse il tintinnio che stavano facendo le briglie del suo destriero, ormai poco distante da lei, o forse l'osservarne di sfuggita il manto castano scuro, che ad Eve balenò in testa un solo pensiero incontrollato.


Edmund.


Una singola parola – no, un singolo nome,
il nome di suo fratello – capace di ghiacciarle il sangue nelle vene all'istante. Evelyn sentì il proprio corpo irrigidirsi in modo innaturale e quasi si spaventò per quella reazione tanto che smise di respirare.

Che cosa stava succedendo? Cosa le stava succedendo?

Scosse violentemente la testa cercando di scacciare il malessere che sentiva crescerle dentro, portando una mano al ciondolo che portava al collo. Sicuramente era colpa di quello che era successo. Non c'era altra spiegazione.

Per i suoi diciassette anni Edmund le aveva regalato una collana.

Ricordava di esserne rimasta sorpresa perché già ne portava una – quella stessa collana che portava anche in quel momento – regalatagli per l'incoronazione dal popolo di Narnia. Tutti loro avevano ricevuto qualcosa che, secondo i Narniani, li rappresentava: Lucy una sciarpa vellutata, Susan un bracciale, Edmund una spada dagli intarsi particolari e Peter un elmo nuovo che ricordava il pomo di Rhindon. E, salvo rare occasioni, non se ne era mai separata.

Per quel motivo era rimasta un po' spiazzata davanti al regalo che il Pevensie le aveva riservato per il suo penultimo compleanno – in realtà, ricordava di aver sentito una punta di amarezza per quell'idea che sapeva di riciclato, sentendosi in colpa subito dopo per quel sentimenti di ingratitudine.

Nonostante quei pensieri aveva iniziato ad indossarla sempre più spesso, le aveva tenute perfino nella festa che le avevano organizzato un paio di mesi prima per i diciotto anni.

Le due E spiccavano appena sopra l'incavo dei seni, talvolta attirando anche le attenzioni di qualche nobile particolarmente curioso. Eve aveva imparato a leggere negli sguardi che le venivano rivolti il lieve disorientamento che li trapassava quando si posavano su quei due gioielli giudicati probabilmente così tanto
anonimi per una Regina.

La Pevensie sorrise senza allegria, ricordando distrattamente anche i loro tentativi di non soffermarsi troppo palesemente ad osservarle il seno.

Eppure...

La bocca di Evelyn s'increspò in una smorfia e delle rughe le si formarono in mezzo alla fronte, rendendo la sua espressione improvvisamente tirata, gli occhi che, amareggiati, continuavano a sondare l'orizzonte.

Eppure, non aveva potuto nascondere il dispiace quando, qualche giorno prima, le si era rotta. In realtà, era stata una brutta coincidenza.

Stava combattendo nel giardino insieme a Peter, dopo averlo portato all'esasperazione per fare un po' di esercizio con lei. Aveva da fare, il Supremo Re di Narnia, era pieno di impegni come sempre ma alla fine aveva accettato: Edmund non c'era quel pomeriggio e Susan preferiva di gran lunga l'arco, e a Lucy, ad Evelyn, nemmeno passava per l'anticamera del cervello di chiedere.

Dopo pochi minuti si era ritrovata contro la serie di cespugli ed aiuole che dividevano quello sprazzo di prato dal giardino in cui le ragazze si trovavano spesso per rilassarsi. Avevano continuato come se niente fosse, perché entrambi cercavano di rendere quei duelli il più reali possibile.

Imparare ad aprirsi dei varchi quando ci si ritrovava con le spalle al muro era importante tanto quanto saper attaccare per poter sopravvivere.

Non si era accorta dei rami che in qualche modo le si erano incastrati tra i capelli e sul collo fino a quando non si era abbassata di scatto per cercare di sgusciare via: aveva sentito un dolore alla gola e per un attimo le era mancato il respiro, finendo poi a terra di botto.

Peter aveva lasciato cadere la spada all'istante, chinandosi e mettendole una mano sulla schiena mentre tossiva e aiutandola a tirarsi su un po' su. Evelyn si era sentita i suoi occhi indagatori addosso mentre si ripuliva la bocca dalla saliva ed inspirava grandi boccate d'aria, percependo sotto il palmo della mano con cui si stava sostenendo il terreno ancora umido di pioggia.

-Tutto bene?- le aveva domandato dopo qualche minuto, senza staccarle lo sguardo di dosso. La Pevensie aveva alzato gli occhi verso di lui, ancora incapace di realizzare cosa fosse accaduto e sentendo i capelli scompigliati sulle spalle.

-Si... si, credo. Cosa è successo?- si portò una mano alla gola, percependo un lieve bruciore sulla pelle. Rivolse a Peter uno sguardo spaesato mentre si rimetteva in piedi, in cerca di risposte.

Lo vide sospirare ed osservarla criticamente, probabilmente ricordando la scena di pochi minuti prima, poi lo sguardo del biondo virò drasticamente verso il terreno, nascondendo quell'alone di preoccupazione che ancora vi si leggeva. Aveva preso un infarto.

-Te lo avevamo detto di non metterle in queste circostanze.- Evelyn non capì quelle sue parole fino a quando non lo vide chinarsi e raccogliere qualcosa da terra che, all'istante, rifletté la luce del sole che animava quella giornata.

Oh...

Automaticamente si portò nuovamente la mano al petto, in un gesto involontario per sincerarsi della presenza delle collane come ogni tanto faceva quando le veniva il dubbio di non averle indossate, con una sensazione sgradevole alla bocca dello stomaco.

Le sue dita ne strinsero soltanto una.


***


Edmund ci aveva messo poco a capire che la persona che stava cercando non si trovava all'interno di Cair Paravel: una volta attraversata la sala con i troni il suo corpo si era mosso in automatico verso la biblioteca, il giardino e la stanza di Evelyn, convinto di poterla scovare in uno di questi tre luoghi in cui spesso si rintanava, senza successo.

Passò accanto allo studio di Peter e rallentò il passo solo per qualche secondo, sentendo la voce del fratello borbottare qualcosa con qualcuno e suoni di pagine girate di tanto in tanto. La porta rigorosamente chiusa, però, non gli permise di sentire altro se non delle frasi confuse.

Edmund proseguì la sua ricerca cercando di scacciare il senso di colpa che sentiva all'altezza dello stomaco per aver lasciato il biondo a svolgere i propri doveri da solo, in quella giornata, nonostante le sue richieste. L'aveva fatto per un buon motivo. Peter stesso l'aveva lasciato andare quando gli aveva spiegato la sua motivazione sul perché quel pomeriggio proprio non potesse restare.

Non c'era motivo che si sentisse in difetto.

Serrò la mascella, promettendosi che appena possibile sarebbe tornato a dare una mano al Pevensie nell'organizzazione delle trattative che stavano portando avanti, stringendo la scatolina che portava in una mano.

Il suo istinto lo portò, pochi minuti dopo, alla balconata che dava sulla spiaggia, iniziando ad avere il dubbio che anche Eve potesse essere andata chissà dove e non fosse ancora rientrata.

Edmund si concesse qualche attimo per osservare il mare estendersi in maniera infinita poco sotto di lui. Le onde si infrangevano delicatamente sulla sabbia, riflettendo i raggi del sole che, splendente nel cielo, aveva iniziato a calare verso la linea dell'orizzonte.

Ogni tanto si immaginava cosa dovesse aver provato Lucy il giorno in cui aveva osservato Aslan allontanarsi. Un attimo prima c'era... e quello dopo era sparito - aveva detto.

Immaginò la scia delle impronte sul bagnasciuga, il profilo regale della sua figura farsi sempre più piccolo, la criniera al vento, i raggi che accompagnavano il suo percorso... fu facendo scorrere lo sguardo sulla porzione di spiaggia poco distante che gli occhi di Edmund incontrarono una figura.

Oh.

Non ci mise che qualche secondo, la mente del Pevensie, nel riconoscere il profilo di Evelyn nella sagoma accovacciata sulla sabbia. Strizzò gli occhi per metterla a fuoco, incuriosito, ma per quanto la vista fosse buona l'unica cosa che riuscì a capire era che la sorella stesse osservando il mare, probabilmente pensierosa.

Si morse l'interno di una guancia, indeciso, soppesando se andarla a disturbare fosse una buona idea. Quando era partito qualche ora prima per raggiungere il villaggio di fabbri che gli era stato consigliato le aveva rifilato una scusa, sperando in quel modo di farle una sorpresa gradita – o, se le cose fossero andate male, di non deludere delle eventuali aspettative.

Già che c'era, mentre attendeva, aveva davvero fatto limare anche la propria spada, approfittando di quei momenti di attesa per fare un giro per quella piccola – piccolissima, molti abitanti ancora vivevano distanti gli uno dagli altri, nelle cave degli alberi o nascosti tra le montagne ed i boschi – cittadella e soppesare l'umore dei Narniani. Per lui e le sue sorelle era importante che non ci fossero malcontenti tra la popolazione.

-Sei tornato prima di quanto pensassi. E' andato tutto bene?-

Edmund si girò, colto di sorpresa. Si ritrovò davanti la figura di Susan, le mani congiunte in grembo e le labbra piegate in un sorriso. Indossava un elegante vestito azzurro con ricami argentati. Gli occhi della Pevensie lo scrutarono velocemente, come a sincerarsi che nelle condizioni del fratello non ci fosse nulla di anomalo, poi tornò ad osservarlo con quella nota di silenziosa aspettativa con cui l'aveva accolto.

Edmund le diede la sua totale attenzione, strappato ormai dai propri pensieri.

-Ah si, tutto bene. Grazie.- mosse la mano in cui teneva la scatolina davanti al viso di Sue e dall'interno provenne un lieve tintinnio metallico. Sorrise compiaciuto, osservando gli occhi della maggiore brillare.

-Non era una tragedia, come le avevamo detto.- fu la constatazione che fece, avvicinandosi di qualche passo alla Dolce. La ragazza annuì, ricordando lo sguardo mortificato che Evelyn si era trascinata dietro quella manciata di giorni. Sembrava che avesse commesso un crimine imperdonabile.

-Dai, vai a dargliela, nel frattempo cerco Lucy e Peter. Mangiamo qualcosa insieme, ti va? Sarai stanco ed è quasi ora di cena.- spezzò il silenzio lei, dopo qualche attimo, mettendo in risalto le proprie capacità di osservazione. Lo sguardo che gli stava rivolgendo era quello di una persona che già sapeva perfettamente quale sarebbe stata la risposta senza bisogno di sentirsela dire.

Edmund, semplicemente, annuì.


Impiegò pochi minuti a fare il giro a ritroso del castello, scendere le scalinate e raggiungere la spiaggia tramite il sentiero che la collegava al giardino. Sperò di non essere risultato troppo impaziente di uscire agli occhi dei servitori che aveva incrociato suscitando loro dei dubbi – o, peggio ancora, in Susan.

La brezza che lo accolse quando si affacciò sul mare gli fece venire una lieve pelle d'oca, insinuandosi sotto la casacca e percorrendogli il profilo della schiena. Non era ancora piena estate e, quando arrivava la sera, se c'era il vento dava fastidio.

Senza starsene troppo a rimuginare aveva raggiunto Eve, imprecando silenziosamente per i calzari che affondavano nella sabbia bianca e sentendosi particolarmente impacciato nei movimenti. Soppesò la figura della Pevensie in silenzio, rimanendo a qualche metro di distanza e trovandola esattamente come l'aveva vista dalla balconata.

Non si accorse di aver trattenuto il respiro fino a quando l'acqua non gli raggiunse gli scarponi.

Maledizione.

Lanciò un'occhiata a Eve, avvicinandosi leggermente, rendendosi conto che non si era accorta della sua presenza e continuava ad osservare il mare persa in chissà quali pensieri, l'aria abbattuta e gli occhi socchiusi.

Edmund si permise di osservarne il profilo solo per qualche attimo ancora, stringendo la scatoletta che teneva in mano in maniera quasi spasmodica per sfogare la tensione che percepiva. Il sole che tramontava le illuminava il volto, donando ai capelli quei riflessi più chiari che a lui piaceva tanto osservare – gli piacevano così tanto da volerli toccare con mano.

Si morse un labbro, nervoso, cercando di scacciare quel pensiero dalla testa con tutta la volontà di cui era capace.


Maledizione.


Le si avvicinò ancora di qualche passo, cercando di cancellare dal proprio viso qualsiasi traccia di turbamento che potesse farle sorgere qualche domanda. Evelyn lo stava imparando a conoscere sempre di più, ma in quella circostanza non poteva permettersi che gli leggesse dentro scoprendo il suo segreto.

Non poteva.

La vide sussultare quando la sovrastò con la propria figura, pentendosi di non averle annunciato la propria presenza, spaventandola – ma fu solo una frazione di secondo, perché nel momento in cui Evelyn alzò il viso per capire chi fosse l'intruso che aveva rotto la sua quiete lui percepì il respiro venirgli a mancare quando incontrò i suoi occhi chiari.

Si trattenne dal leccarsi le labbra secche, percependo le parole morirgli in gola insieme a tutta l'indifferenza che aveva raccolto. Non andava bene così. Doveva stare calmo.

-Dove sei stato?- gli domandò, senza guardarlo in faccia. Edmund le si sedette accanto, smuovendo la sabbia con i calzari ancora bagnati e lanciandole una fugace occhiata, ringraziando mentalmente che fosse più interessata al mare. Non seppe decifrare il tono di voce con cui gli aveva posto quella domanda, chiedendosi se quello che aveva percepito tra le parole fosse un principio di stizza.

-In giro.- fu la laconica risposta che si permise di darle, cercando di fare spallucce per dissimulare. Non voleva che Evelyn percepisse quanto lo rendesse orgoglioso di se stesso quello che aveva fatto quel pomeriggio. In realtà, non aveva nemmeno molto senso ciò che stava provando in quel momento, alla fine non era nulla di che.

Chissà che faccia avrebbe fatto, sua sorella...

-Tieni.- si decise ad allungarle la scatoletta, non facendo caso al silenzio in cui Eve era rimasta immersa per tutti quei minuti. Era troppo curioso di vedere la sua reazione.

La Pevensie prese la scatoletta dalla sua mano dopo averla soppesata per qualche secondo, lanciandogli delle occhiate interrogative di sottecchi a cui volutamente non fece caso, limitandosi ad indicarle con un gesto eloquente di aprire la confezione.

Edmund sentiva la trepidazione bruciargli nelle vene, ansiosa, iniziando a percepire la paura di un possibile fallimento ogni secondo che passava. Ma di cosa si preoccupava, poi? Evelyn sarebbe di sicuro stata contenta.

Vide la faccia spiazzata di sua sorella, gli occhi che per qualche attimo si strabuzzavano, sorpresi, per poi posarsi su di lui in una muta richiesta di spiegazioni.

Ad Edmund ricordò fin troppo la scena che si era svolta quando si era trovata di fronte quello stesso ciondolo la mattina del suo compleanno. L'aveva trovata bellissima, con gli occhi chiari sgranati di stupore e il volto incorniciato dalle ciocche volutamente lasciate libere da Lucy quando le aveva fatto la treccia. Eppure, i lineamenti che aveva assunto il suo viso l'attimo subito dopo l'avevano lasciato stranamente spiazzato.

Una sensazione di inquietudine gli chiuse lo stomaco in una morsa esattamente come era capitato quel giorno.

Forse era stato troppo ottimista. Forse si sarebbe arrabbiata perché era andato a ficcare il naso tra le sue cose – in realtà, non aveva nemmeno dovuto cercare troppo. La collana rotta era in bella vista sulla cassettiera e una volta presa era filato via dalla camera per paura di essere visto. Forse aveva capito male il muso che aveva piantato in quei giorni e non le fregava niente che si fosse rotta, o di rimetterla.

Era esattamente la sensazione che l'aveva colto l'anno precedente. Di aver sbagliato qualcosa, di aver fatto un errore.

Edmund deglutì, cercando di non lasciar trapelare l'insicurezza che iniziava a tediarlo.

-L'ho fatta riparare.- si decise a dirle, quando fissò lo sguardo su di lui per l'ennesima volta e protendendosi per afferrare il ciondolo. Egoisticamente, voleva che Evelyn tornasse a rimettere quella collana. La collana che lui le aveva regalato. La collana con la sua lettera. La E di Evelyn. Ma anche la E di Edmund.

Era un sentimento ingiusto, che un fratello non avrebbe dovuto provare – non in quel modo, ne era fin troppo consapevole. Eppure tutto nella sua testa si era azzerato, svuotandola da ogni ragionamento logico come ormai sempre più spesso capitava.

Edmund aveva in fretta capito come convivere con quelle emozioni, cercando di dargli un freno per quanto possibile ed imparando a simulare una tranquillità che in realtà non possedeva. Un po' come quando doveva strappare qualche accordo durante una trattativa e sfoggiava quel suo sguardo distaccato pronto a captare ogni possibile bluff o inganno.

Ma Evelyn non era un nobile qualunque o un pezzo di contratto ed i sentimenti che provava per lei non potevano contenere menzogne.

Si sforzò di concentrarsi sull'agganciare la collana stando ben attento a non appoggiarsi a lei o toccarle la pelle. Era invitante, la porzione di pelle liscia  candida che aveva lasciato scoperta quando aveva tirato di lato i capelli, tanto che Edmund fece quasi violenza su se stesso per non soffermarcisi con gli occhi o le dita. Chissà se era morbida come quella delle mani che ogni tanto aveva sfiorato per sbaglio...

Se fosse stato meno preso dai propri pensieri avrebbe anche notato che Eve stava parlando con una voce più acuta del solito, balbettando ed incapace di guardarlo in faccia per più di qualche secondo.

La Pevensie sospirò leggermente e le mani di Edmund tremarono, mentre il dubbio che si stesse spazientendo per il tempo che stava impiegando ad agganciare un semplice anello gli attanagliò le viscere di agitazione.

No, doveva stare calmo. C'era quasi. In verità pensava sarebbe stato più semplice, dann_ Ah!

-Finito!- esultò senza trattenersi, allontanandosi come scottato da quella vicinanza troppo prolungata. Cercò di far riprendere al proprio cuore un ritmo sostenibile.

-Non dici niente?- domandò dopo qualche attimo rivolto alla sorella, accorgendosi che lo fissava. Per il disagio si alzò in piedi. Quella sembrò riscuotersi, sbattendo le palpebre e voltando lo sguardo.

-Grazie.- disse, mentre sorrideva ed osservava la mano che gli porgeva. Edmund le fece un segno di vittoria, sollevato che non avesse mosso obiezioni sulla sua decisione di rimetterle il ciondolo senza interpellarla, dandole le spalle ed incamminandosi verso il castello.

Non vedeva l'ora di togliersi le scarpe umide e farsi un bagno.

Occhieggiò il mare, il sole ormai a metà sulla linea dell'orizzonte ed il suo riflesso arancione che si rifletteva sull'acqua, il cielo tendente verso un forte colorito rosato.

Un bel tramonto... chissà quanto tempo era passato da quando era tornato a Cair Paravel. Non gli sembrava fossero trascorsi più di una decina di minuti. Accanto ad Evelyn il tempo sembrava passare fin troppo velocemente.

Edmund corrugò la fronte, improvvisamente pensieroso.

Tempo... ?

Il ricordo della discussione con Susan lo trapassò da parte a parte come un fulmine, esattamente come era sicuro avrebbe fatto il suo sguardo se li avessero fatti aspettare per troppo tempo.

Si voltò alla ricerca di Evelyn, trovandola inaspettatamente dove l'aveva lasciata. Iniziò a sbracciarsi per attirarne l'attenzione.

-Eve, muoviti! Gli altri ci staranno sicuramente aspettando!-


***


Evelyn sospirò, circondandosi le ginocchia con le mani ed appoggiandovi sopra il mento. Perché proprio in quel momento le tornavano in mente quei ricordi? Era sicura che quello era solo il primo di una lunga serie di coincidenze che si sarebbe messa a guardare con occhi diversi – e non sapeva bene se potesse permetterselo o meno.

Dannazione.


Continuò a fissare il punto in cui Peter ed Edmund erano spariti non sapeva nemmeno quanto tempo prima, immobile, nascondendo gli occhi lucidi dietro le palpebre per qualche istante.

Una sensazione di gelo l'avvolse dandole i brividi, eppure era sicura che non facesse freddo.

Si sentiva sperduta. Travolta da quello che stava succedendo. Angosciata per le conseguenze. Eppure, da qualche parte dentro di lei, era come se il grosso peso che l'aveva sempre accompagnata si fosse un po' dissolto. Solo un po'.

Non era sola.

Era stato Edmund a baciarla per primo. Non era da sola. Non era solo lei. Non era solo lei a essere la difettosa della famiglia.

Eppure non andava bene lo stesso. Eppure avevano fatto qualcosa che non avrebbero dovuto. Non era giusto provare quella sensazione di sollievo che ogni tanto sentiva affiorare.

-Andrà tutto bene, vedrai.-

Eve aggrottò la fronte, riaprendo gli occhi e tirando la bocca in una smorfia amareggiata, mettendosi a fissare il cielo stellato sopra la sua testa e sentendo un magone in gola.

No, che non sarebbe andato tutto bene.

























































































Benritrovati a tutti cari e care! Come state? Visto il periodo, spero vi stia andando tutto bene.
Personalmente con la scusa della quarantena mi sono messa a recuperare un bel po' di roba, molti anime in primis. Poi, come potete vedere, ho cercato di far tornare anche l'ispirazione. Spero che vi sia gradita come cosa e di avervi fatto un pochino di compagnia in questo periodo un po' pesante e un po' infelice.

Note sulla storia: questo capitolo da come avete potuto leggere è il primo che si collega a uno degli spin off a cui ho voluto dare un'anticipazione - ormai molti anni fa. La one shot l'ho revisionata perché altrimenti non mi sarei trovata con alcuni dettagli sulle tempistiche - che spero vi siano chiari -, e vi consiglio di leggerla nel caso non l'abbiate fatto, in quanto tratta l'ultima parte degli eventi dal punto di vista di Evelyn. Per il resto, credo sia tutto chiaro, mi scuso se è molto riflessivo come capitolo ma come avrete letto dal titolo la collana la fa da padrona e veniamo a sapere che il primo ad innamorarsi è stato Edmund. Ricordo inoltre che Eve è nata a fine gennaio, quindi siamo ambientati verso metà aprile, stagione ancora non troppo calda.
Nota inutile: dato che la maggior parte degli eventi che avrebbero dovuto arrivare alla conclusione con il finale che avevo in mente - non questo, mannaggia -, li ho già scritti qui, potrebbe essere che il prossimo sia un pochino più corto rispetto alla media per raggiungere quel punto nella storia - non vorrei sembrasse che lo butto li così tanto per aggiornare, ecco.

Vi ringrazio per le recensioni, i preferiti, le ricordate ed i seguiti e l'immensa pazienza che dimostrate.
Spero di tornare presto. <3
D.

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Capitolo 36
*** La distruzione di un mondo. ***


Narnia's Spirits
La distruzione di un mondo.












-Peter!-

Il ragazzo strinse i pugni, ignorando il richiamo che in quel momento stava avendo solo l'effetto di fargli salire maggiormente l'irritazione che gli serpeggiava prepotentemente sotto la pelle. Sentì le mani tremare e accelerò il passo.

-Peter, aspetta!-

In quel momento aveva una moltitudine di pensieri che gli giravano per la testa, ma la sensazione che spiccava maggiormente era quella di mettere più distanza possibile tra lui e la figura che lo stava inseguendo.

Edmund, un po' trafelato, cercava in tutti i modi di raggiungere il fratello consapevole che catturarne l'attenzione sarebbe stata un'impresa ardua. Quando era arrabbiato – e Peter in quel momento lo era davvero molto – l'unica cosa che potevano fare era lasciarlo sbollire in solitaria prima di cercare di approcciarlo nuovamente. Eppure il Pevensie sentiva l'impellente bisogno di parlare. Di spiegare. Non poteva aspettare ancora, anche perché temeva che, se fosse passato del tempo, quel poco di coraggio che era riuscito a raccogliere per poter affrontare il fratello maggiore sarebbe scomparso.

-Peter, per favore!- provò ancora, invano, e la sua voce suonò particolarmente rotta e implorante esponendo quell'ultima preghiera nel silenzio della sera che era calata su Narnia. Come il lamento di una bestia ferita, ma Edmund non era completamente sicuro di chi tra lui e Peter fosse effettivamente la vittima della situazione.

Ormai la figura del biondo era a pochi metri da lui. Sperava di fermarlo prima, Edmund, in modo da poter avere una conversazione in privato e senza orecchie indiscrete ad ascoltarli, ma con un picco di panico si rese conto che Peter si stava dirigendo nel luogo che riteneva meno adatto per quella circostanza.

La casa di Aslan.

Dove stavano i Narniani, dove stava Caspian. Dove stavano le loro sorelle.

Ad Edmund mancò il fiato tanto che si strinse una mano sulla casacca all'altezza del cuore, mentre percepiva sempre più pesantemente il germoglio del pentimento spingere per uscire.

-Dobbiamo parlare!- lo esortò per l'ennesima volta, allungando una mano verso il fratello in un gesto inconscio. Come se lo avesse davvero toccato dentro il Pevensie si fermò di scatto, voltandosi nella sua direzione. Edmund sentì un brivido lungo la schiena vedendo la sua espressione distorta, gli occhi rabbiosi che sembravano volerlo trapassare da parte a parte.

-Si. Dobbiamo.-


***


-E' successo qualcosa.-

-...Mh?-

Dhemetrya si sporse dal ramo su cui era accucciata, puntando lo sguardo mezzo assonnato verso il basso. Solitamente l'avrebbe presa a male parole per averla strappata dal torpore in cui si stava lasciando andare, ma il tono grave che aveva percepito permeare le parole di Lia l'avevano in qualche modo messa in allerta.

Osservò la figura della lupa ai piedi della grande quercia che da giorni condividevano come riparo per la notte, soppesandone i movimenti. Lia aveva le orecchie alzate puntate in avanti, un'espressione – per quel che riusciva a scorgere nella penombra della notte – indagatrice che le induriva i lineamenti lupoidi. Rimase in silenzio qualche attimo.

-Io non percepisco nulla.- osservò calma, soppesando i dintorni. Gli alberi e la natura di Narnia non stavano comunicando niente – niente più del solito dolore che ormai si era abituata a sentire, quantomeno – quindi non riuscì a capire a cosa si riferisse la Narniana.

-Lia?- si intromise Antares, altrettanto spaesato. La lupa si limitò a indicare un punto imprecisato nella radura con un gesto secco del muso, e gli occhi brillarono nella penombra per quel movimento.

Facendo scorrere lo sguardo verso la direzione che gli era stata indicata, i due scorsero un paio di figure che tornavano in direzione del rifugio.

-Sono... Re Peter e Re Edmund?- domandò Dhemetrya, strizzando gli occhi. Il buio che era ormai calato e la luna semi nascosta dalle nubi non aiutavano la sua vista in quell'impresa, ma non c'erano molti uomini che passeggiassero in giro per Narnia, quindi non potevano che essere loro.

Eppure, anche da quella distanza, le fu abbastanza chiaro cosa avesse turbato Lia dalla quiete in cui si trovavano quel giorno.

I due avevano delle espressioni che non gli aveva mai visto, in volto. Le trovò indecifrabili da quella distanza. E a giudicare dai movimenti, dal modo in cui camminavano, sembrava quasi che Peter stesse lasciando indietro apposta il fratello, come a volerlo a tutti i costi tenere lontano da sé.

Avevano litigato?

Dhem sentì un nodo alla bocca dello stomaco. Aveva una brutta sensazione.


***


Cercò di ignorare gli sguardi spaesati che gli vennero rivolti quando entrò nel rifugio con passo accelerato, il suono dei calzari che venivano pesantemente pestati a terra ad ogni passo che rimbombava tra le pareti del cunicolo che conduceva alla stanza con la tavola di pietra.

Chiunque gli avesse rivolto un'occhiata avrebbe capito da quel semplice comportamento di sfogo che era successo qualcosa.

Qualcosa aveva turbato Re Peter, facendogli mutare l'espressione solitamente sempre calma e fiera che portava, facendogli assumere quei movimenti stizziti di chi cerca in ogni modo di trattenersi per non esplodere.

Qualcosa lo aveva fatto arrabbiare profondamente.

Bastò un'occhiata a Susan e Lucy, ancora in compagnia di alcuni Narniani e Caspian mentre finivano di sistemare i rimasugli di quella che era stata una serata più riuscita di quello che immaginavano, per capire che c'era qualcosa che non andava.

Il Pevensie non le degnò di uno sguardo mentre scompariva nello stretto cunicolo fulminando chiunque gli capitasse sotto gli occhi. Nessuno ebbe il coraggio di domandare nulla, semplicemente le due sorelle si scambiarono uno sguardo preoccupato, indecise se raggiungerlo o lasciare che fosse lui ad andare da loro per renderle partecipi.

Come avevano potuto?

Peter sbatté rabbiosamente un pugno sulla pietra spaccata, ignorando il dolore per essersi graffiato a sangue le nocche e la sensazione di calore che iniziò a pulsargli nelle dita.

Come avevano osato?

Prese a calci dei sassi sparsi sul pavimento, facendoli volare contro il muro, cercando di dare sfogo in qualche modo a tutta la rabbia che sentiva ribollirgli nelle vene.

Non ci credeva. Non voleva crederci. Non era possibile.

Eppure, quella dannata scena continuava a ripresentarsi davanti ai suoi occhi senza che lui potesse farci nulla, inesorabilmente. Il cervello gliela riproponeva ancora e ancora, in una lenta tortura che gli stava annebbiando la mente come un veleno.

Edmund ed Evelyn... loro...

Si portò una mano alla bocca, sentendo l'aria venirgli meno, percependo il nodo allo stomaco stringersi in una morsa e procurandogli un fastidioso spasmo all'altezza del cuore tanto che per un attimo pensò di stare avendo un principio di infarto. Forse sarebbe stato meglio così, morire subito, invece di doversi ritrovare ad affrontare quella situazione che mai avrebbe immaginato.

Lo avevano tradito. Lo avevano deluso.

Il biondo si morse un labbro, appoggiando i palmi alla tavola di pietra come per cercare un appiglio nel mare in tempesta che erano diventati la sua mente e il suo cuore. Chiuse gli occhi, cercando di inspirare profondamente, provando – inutilmente – a recepire un po' di quella familiare sicurezza che la presenza di Aslan gli avrebbe sicuramente dato.

Ma Aslan non c'era da decenni, non ci sarebbe stato per lui in quel momento, e Peter si ritrovava tra le mani una situazione così complessa che non sapeva nemmeno quale emozione fosse più prepotente, in quel momento.

Sentiva la rabbia, una rabbia feroce annebbiargli i sensi, scoppiettare nella pancia, fargli tremare le gambe e le mani per la voglia di prendere la prima cosa che gli capitava tra le mani e spaccarla. Quella sensazione così simile a quella che aveva provato nei confronti di Jadis quando l'aveva vista pugnalare Edmund. Solo che, in quel momento, quella furia così potente era rivolta verso i suoi fratelli. Nei confronti della sua stessa famiglia, sangue del suo sangue.

Ma c'era qualcos'altro che lo disturbava, che gli faceva mancare l'aria come se non stesse respirando abbastanza. In realtà, realizzò Peter, c'erano molte altre cose – molte altre emozioni inspiegabili che si accavallavano.

Percepiva la morsa del tradimento, consapevole che loro avevano mentito, che avevano tenuto nascosta a lui – lui, il fratello maggiore, quello sempre pronto a tendergli una mano in ogni situazione, il punto più fermo della famiglia – una cosa così importante.

Non si erano fidati. Gli avevano mentito.

E se da una parte in fondo al suo cuore – molto in fondo, in quel momento – Peter poteva cercare di capire le ragioni del perché non fosse stato un argomento da poter affrontare con semplicità, dall'altra non poteva evitare di sentirsi raggirato, di sentirsi bellamente preso per il culo su tutta la linea. In qualsiasi modo la guardava, con tutte le giustificazioni che avrebbe potuto trovare... loro avevano tradito la sua fiducia.

Il Pevensie realizzò che, qualunque cosa avessero fatto, a lui non sarebbe andata bene. Né parlargliene, né tenerglielo nascosto.

Strinse nuovamente le mani a pugno, conficcandosi le unghie nei palmi tanto era il nervoso che provava. Sentì qualcosa spezzarsi dentro di lui, una consapevolezza che lo lasciò cristallizzato per vari secondi in quella posizione, un lampo di lucidità che gli animava i burrascosi occhi azzurri.

Possibile che lui era stato così cieco da non accorgersi di nulla? Da quanto andava avanti quella situazione? Quante cose non aveva visto, in tutto quel tempo, quante cose gli erano sfuggite da davanti agli occhi?

-Maledizione!-

-Peter...-

Si costrinse a respirare, il Pevensie, tuttavia non poté impedire alle proprie spalle di irrigidirsi nuovamente. Sentì che le unghie stavano nuovamente spingendo contro la carne tanta era la forza che vi stava mettendo nello stringere i pugni. Ed era meglio così, altrimenti non era sicuro di garantire l'incolumità di suo fratello, in quel momento, forse per la prima volta nella sua vita.

Nemmeno quando faceva la pecora nera da piccolo aveva provato una tale voglia di prenderlo a schiaffi e gridargli in faccia che cosa gli fosse saltato in mente.

Lui ed Evelyn non potevano... e lei, lei...

Non si voltò e non diede una risposta, percependo la figura del minore dei Pevensie fare qualche passo – non lo vedeva, ma era sicuro gli si fosse avvicinato un minimo per cercare di parlargli.

-Mi dispiace.- Edmund ebbe l'improvvisa voglia di posare una mano sulla spalla del maggiore per farlo girare e guardarlo così in faccia, ma non trovò il coraggio per quel gesto. Era già difficile cercare di spiegare – spiegare cosa, poi? Non c'era né più né meno di ciò che aveva visto. Solo in quel momento il moro si rese conto della possibilità che chissà quali pensieri potevano star tormentando il fratello maggiore, le emozioni che poteva stare provando, le domande che lo assillavano.

La sola idea gli fece venire la nausea.

-Posso spiegare.- si affrettò ad aggiungere in un sussurro. Si umettò le labbra, sperando che Susan e Lucy, che aveva visto appena era entrato, rimanessero ancora per un po' impegnate in ciò che stavano facendo e trattenessero la curiosità e la preoccupazione per quella situazione anomala che sicuramente avevano percepito.

Era sicuro che fosse solo questione di minuti prima che le sorelle li raggiungessero, per cercare di capire se fosse tutto a posto. Edmund doveva approfittarne, parlare con Peter prima di quel momento... altrimenti non sapeva con quale coraggio avrebbe affrontato anche loro due, con quale faccia tosta avrebbe potuto guardarle in faccia mentre diceva apertamente di essere innamorato di loro sorella.

Il suo pensiero corse ad Evelyn, lasciata sola, e si sentì in colpa per la situazione in cui l'aveva trascinata. Per colpa sua, per colpa dei suo egoismo. Perché non era riuscito a trattenersi.

-Dubito che qualsiasi spiegazione potrà essere sufficiente.- fu il lapidario commento di Peter.

Edmund percepì l'astio intriso in ogni parola, tuttavia cercò di non farsi abbattere. Lo sapeva che sarebbe andata così. Ogni volta che aveva immaginato le conseguenze di quella verità scomoda raramente aveva previsto che la sua famiglia sarebbe stata semplicemente comprensiva. Era molto più facile e coerente pensare che avrebbero reagito con la stessa forza di una bomba che scoppia dopo anni di immobilità – e non si era sbagliato, specialmente su Peter.

-Da quanto?-

Il moro venne riscosso dalle proprie riflessioni e tornò a puntare lo sguardo sulla schiena del fratello. Non aveva intenzione di girarsi e lui non lo avrebbe preteso. Immaginò che il biondo facesse anche solo fatica a reggere la sua presenza, in quel momento, trovandola disgustosa. Come biasimarlo?

-Cosa?- domandò, pur avendo sulla punta della lingua già la consapevolezza di cosa fosse sottinteso in quella domanda.

-Da quanto tempo va avanti?- incalzò il Pevensie, senza esitazione. La sua voce suonava come una lama ghiacciata per la stanza, un sussurro che Peter cercava di tenere ben controllato, consapevole che, altrimenti, si sarebbe messo ad urlare.

-Non abbiamo una relazione, se è questo che pensi.- si affrettò a spiegare il moro, portando le mani in avanti come per difesa. Peter non rispose né si mosse dalla sua postazione, ed Edmund deglutì, capendo che stava aspettando che continuasse.

-E' stata... la prima volta. Non so cosa mi sia preso, non sono riuscito a trattenermi. Lei mi è sempre piaciuta. Sono anni che mi piace.-

Non ci credeva di stare dando voce a quei sentimenti che aveva sempre cercato di reprimere. Non ci credeva che era, alla fine, arrivato davvero quel momento. Forse era un bene che Peter non potesse guardarlo in viso, perché Edmund non poté evitare di percepire un lieve imbarazzo nell'affrontare quel discorso. Ed era sicuro che quella fosse l'ultima cosa da provare, in quel momento.

I suoi occhi si abbassarono verso il terreno, colpevoli, mentre cercava le parole per continuare. Voleva evitare di sconvolgere il Pevensie ancora di più... per quanto ormai gli fosse possibile. Dubitava che ci sarebbe riuscito.

-Sono innamorato di Evelyn, Peter.-


***


-Sono innamorato di Evelyn, Peter.-

-Ho sentito bene? Non me lo sono immaginato?- Antares grattò uno zoccolo contro il terreno, nervoso. Sbuffò leggermente, percependo le figure di Dhemetrya e Lia come congelate sul posto.

-Non... non me lo aspettavo.- sussurrò la ragazza, con le guance stranamente in fiamme. Il cuore le batteva all'impazzata e per un attimo le sembrò di perdere la presa dal ramo, tanto che grattò le unghie contro la corteccia per rinsaldare la presa.

In quel momento si sentiva una ladra per aver utilizzato l'aria per far trasportare cosa stesse accadendo all'interno delle mura. Ed in imbarazzo. Insomma, i sentimenti erano cosa privata, non immaginava che avrebbe ascoltato quella che era, a tutti gli effetti, una confessione - per quanto non le fosse nuova.

Lia strinse la mascella, riflettendo e dimostrandosi come sempre la più obiettiva.

-Deve essere successo qualcosa per spingere Re Edmund ad esporsi.- ragionò, immaginando i possibili scenari che avrebbero potuto prendere vita da quella svolta inaspettata. Tuttavia, non riuscì ad immaginarsene molti, se non che Evelyn c'entrava qualcosa e questo avrebbe potuto essere un problema.

Intimamente, Dhemetrya ed Antares concordarono con quei suoi sentimenti consapevoli che avrebbero dovuto controllare di persona cosa stesse succedendo. Era loro dovere.

Ancor prima che si muovessero dalle loro posizioni in un silenzioso assenso, però, una figura fece capolino dal bosco. Si muoveva con passo incerto e teneva una mano stretta al petto, i capelli un po' arruffati e gli occhi lucidi.

Ai tre Narniani fu chiaro, pur senza poterla vedere da vicino, il tormento che si agitava intorno ad Eve mentre, ciondolante, si dirigeva verso la Casa di Aslan.


***


-... Cosa?-

Peter si girò lentamente, incrociando le braccia al petto ampio. I muscoli del suo viso erano ancora contratti, le sopracciglia aggrottate, lo sguardo arrabbiato ed un po' spiritato – come se non fosse totalmente presente con i pensieri. Ma ciò che fece gelare il sangue nelle vene ad Edmund nuovamente, nel giro di pochi minuti, era la voce che, titubante, si era introdotta in quella conversazione spinosa.

Il Pevensie non ebbe il coraggio di girarsi, osservando Peter puntare lo sguardo poco dietro di lui. Ed percepì la gola seccarsi terribilmente.

Susan.

-Che cosa sta... succedendo?- fu la domanda spaesata che gli sopraggiunse alle orecchie, percependo i passi incerti della sorella affiancarlo. La Pevensie fece vagare lo sguardo tra i due fratelli, cercando di carpire, per quanto le fosse possibile, la scena che si trovava davanti e le parole – doveva aver sentito male, per forza – che le si erano conficcate nel cervello come coltelli.

Vagò con lo sguardo sul viso del fratello minore, indagatrice e con la bocca socchiusa in un'espressione sorpresa, un sopracciglio elegantemente alzato.

-Hai sentito bene, Susan.- fu la lapidaria sentenza che uscì dalle labbra di Peter, probabilmente vedendo il volto della sorella mutare lineamenti di fronte a quella che era stata, a tutti gli effetti, una confessione. Lui aveva visto abbastanza per prendere quelle parole come veritiere, ma immaginava benissimo le domande che di li a poco avrebbero preso vita da Sue.

-Tu... cosa? Come?- Susan si sentì mancare la terra sotto i piedi, come se improvvisamente fosse stata catapultata in un altro universo. Non capiva cosa stava succedendo. Come si era arrivati a quel punto? Perché?

Edmund si infossò nelle spalle, sentendosi improvvisamente sporco fin dentro l'anima. Una parte di lui avrebbe voluto scappare da quell'interrogatorio, dalle accuse che gli sarebbero sicuramente piovute addosso seduta stante.

Anche venire inghiottito dal terreno e tornare sulla terra in quel momento sembrava una possibilità molto più liberatoria che doversi trovare ad affrontare Susan e Peter – e Lucy. Sarebbe sicuramente arrivata anche lei, lo sapeva. Sempre che non stesse già ascoltando accovacciata da qualche parte. Edmund s'immaginò quegli occhioni lucidi scrutarlo con indignazione e sentì una fitta potente al petto. Era difficile farsi effettivamente odiare da Lucy, ma era sicuro che lui ci sarebbe riuscito, dopo quella sera.

Scosse lievemente la testa, stringendo i pugni e respirando pesantemente. Ormai era fatta. Peggio non poteva andare.

-Sono innamorato di Evelyn, da... molto tempo.-

Peter serrò la mascella a quelle parole ed immaginò l'irritazione – e sicuramente molto altro – che poteva star provando dai brividi che gli vide scuotergli le spalle, come se gli avesse infilato il coltello nella piaga. Susan, al suo fianco, trattenne il fiato in un mezzo singhiozzo e si portò la mano alla bocca, strabuzzando gli occhi chiari pieni di sconvolgimento.

-Non potete impedirmi di provare ciò che sento.- continuò, vedendo che dopo vari minuti i fratelli non avevano ancora parlato. Si limitavano a guardarlo, probabilmente troppo surclassati dalle emozioni che stavano provando per poter riuscire a dar loro una voce concreta.

Fu a quel punto che con un colpo di reni Peter si diede la spinta necessaria per staccarsi dalla tavola a cui era stato appoggiato fino a quel momento, rompendo la rigida posizione in cui si era stato come cristallizzato.

-Tu non... come... quando?- furono i sussurri confusi di Susan, che ancora cercava di processare quello che aveva ascoltato.

Peter le lanciò uno sguardo comprensivo, capendo appieno ciò che poteva stare provando in quel momento e sentendosi un po' in colpa – in colpa, lui! Non era mica stato lui a volere quella situazione – per come aveva appresso quella notizia. Poi i suoi occhi tornarono su Edmund, mutando nuovamente. Il fratello non riusciva a reggere il suo sguardo per più di qualche secondo, eppure, quelle poche volte che provava ad alzare il proprio su di lui, Peter aveva scorto quel lampo di determinazione che animava tutti loro quando avevano un obbiettivo da raggiungere.

Al Magnifico fu chiaro che, dentro di sé, Edmund avesse già compiuto la sua scelta.

-E'... è difficile.- provò a spiegarle il moro, ma Peter lo bloccò prima che potesse dire altro.

-Non puoi! Non puoi, Edmund! E' nostra sorella! E' tua sorella!- sputò fuori, improvvisamente, tanto che sia lui che Susan trasalirono sul posto per la veemenza intrisa in quelle parole. Ed serrò le labbra, respirando nervosamente e mordendosi l'interno di una guancia.

-Che cazzo stai dicendo?- sputò fuori, alzando il volto e fronteggiandolo. Lo fulminò con lo sguardo, assottigliandolo quel tanto che bastava per assumere un'espressione vagamente minacciosa.

-Siete cresciuti insieme!- continuò Peter, ignorando la domanda retorica che gli era stata rivolta e la verità che sapeva essere nascosta dietro di essa. Edmund ed Evelyn erano fratelli. Erano suoi fratelli, e nessuna spiegazione avrebbe potuto fargli cambiare quella visione delle cose. E il fatto che fossero innamorati... non andava bene, non andava bene per niente.

-Siete fratelli!- tuonò per l'ennesima volta, e si sentì tanto un disco rotto che ripete sempre lo stesso pezzo di canzone. La rabbia stava lasciando lentamente posto alla consapevolezza a tutto ciò che sarebbe potuto accadere di lì in avanti.

Tutto rischiava di andare in pezzi. Troppe cose rischiavano di essere cambiate – e forse già lo erano, a cominciare proprio da loro stessi. La famiglia Pevensie rischiava di rompersi, sfaldarsi, andare in frantumi in un modo che non era mai capitato prima. Non poteva permetterlo... ma non sapeva esattamente cosa fare per evitarlo.

Edmund sentì qualcosa animarlo dalla punta dei piedi fino all'ultima fibra capillare che non riuscì a trattenere.

-Non è nostra sorella di sangue, e tu più di tutti lo sai benissimo, Peter! Aslan ti aveva spiegato le sue origini, o sbaglio a ricordare?!-

Susan trasalì a quelle parole, ricordando fin troppo bene il peso che quel segreto aveva comportato a tutti loro. Alla fine, negli anni, non erano mai riusciti a trovare il momento adatto per poterlo affrontare. Avevano troppa paura di sconvolgerla, di rompere il bellissimo rapporto che avevano instaurato tra di loro quando la minaccia di Jadis era sparita e avevano fatto pace.

Evelyn aveva sempre fatto parte della loro vita, fin da che ne avevano memoria.

Era stato Aslan a rivelare a Peter, dopo l'incoronazione, che i loro genitori l'avevano trovata appena nata mentre erano di ritorno verso casa, una sera, e l'avevano tenuta con loro dopo alcune pratiche burocratiche. Forse c'era stato persino qualche zampino per rendere il tutto più facile da attuare, questo non avrebbe mai saputo dirlo ma l'istinto le suggeriva che era stato così.

Ma il fatto che l'avesse trovata la famiglia Pevensie non era stato un caso. Eve era destinata a Narnia quanto – e forse più – di loro.

-Non parlar___-

-Cosa vorrebbe dire le mie origini?-

Il maggiore spostò lo sguardo ancora furibondo oltre le figure dei due fratelli, incontrando, con una nota prepotente di orrore che gli strinse lo stomaco nella ferrea morsa della paura, la sagoma dell'ultima persona che avrebbe voluto partecipasse a quel discorso. Percepì un nodo in gola mentre specchiava i propri occhi nello sguardo vacuo che gli stava rivolgendo la sorella. Aveva una delle espressioni più tetre che le avesse visto indosso.

-Evelyn...-

Edmund si scambiò uno sguardo spaventato con Sue, mentre entrambi si giravano verso quella nuova presenza inaspettata, non senza qualche incertezza. Quanto aveva sentito? Cosa aveva sentito? A giudicare dallo sguardo lucido che gli stava rivolgendo, le mani strette a pugno e le guance gonfie, abbastanza.

Aveva ascoltato abbastanza per farsi un'idea.

I tre sentirono il fiato mancargli, accorgendosi dell'errore che avevano fatto nell'affrontare quel discorso in quel modo così superficiale, ed Edmund e Peter si pentirono della semplicità con cui avevano permesso alle parole di fuoriuscire e finire per essere ascoltate da orecchie che non avrebbero dovuto.

Evelyn fece saettare lo sguardo tra tutti e tre, fulminandoli sul posto, per poi posarsi sul moro con astio.

-Cosa significa, Edmund?- la sua voce suonò particolarmente indifferente, improvvisamente dimentica di tutti i pensieri precedenti che l'avevano accompagnata mentre raggiungeva il rifugio.

Voleva solo sapere. Voleva solo capire. Di cosa parlavano? Perché lei non ne sapeva nulla? I suoi fratelli non potevano averle tenuto nascosto qualcosa che la riguardava direttamente. Si fidava, non l'avrebbero mai fatto, tra loro c'era assoluta sincerità... giusto?

Improvvisamente, scrutando Edmund boccheggiare per cercare di trovare le parole, il suo sguardo indirizzarsi verso un Peter altrettanto immobilizzato sul posto, si rese conto che, forse... forse c'era qualcosa che le avevano tenuto nascosto.

Evelyn sentì qualcosa dentro di sé spezzarsi, osservando Susan guardarla con gli occhi lucidi di colpevolezza e torturarsi le mani in grembo, percepì come un velo frapporsi tra lei e quelli che fino a quel momento aveva considerato la sua famiglia. Inconsciamente fece qualche passo indietro, incespicando, allontanandosi da loro come se potesse, in quel modo, cacciare via anche il dolore che sentiva farsi strada dentro di lei scavandole fin dentro l'anima.

Le avevano mentito.

-Eve, aspetta! Possiamo spiegare!- provò Edmund, allungando un braccio verso di lei. Peter gli mise una mano sulla spalla forse capendo, dallo sguardo che la sorella gli stava rivolgendo, che probabilmente non era la persona adatta per cercare di farla ragionare in quel momento.

-Ascolta...- provò, superando il minore, cercando di lasciare da parte il motivo principale per cui era successo tutto quello e le sensazioni che ancora albergavano in lui. Ma ciò che ottenne fu solo uno sguardo di disapprovazione e due occhi furibondi che lo trapassarono sul posto.

-Cosa? Cosa vuoi?! Mi avete mentito, vero?!- Peter distinse perfettamente la nota di disperazione che animava quelle parole e si sentì colpito profondamente. Evelyn lo guardava sconvolta, con gli occhi pieni di lacrime, la tensione le faceva tremare la voce e le spalle. I capelli arruffati ed il volto contratto in una smorfia per non scoppiare a piangere le davano un'espressione ancora più spiritata e iniziò a temere che avrebbe avuto un crollo proprio davanti a loro.

Susan sentì una stretta al cuore, non sapendo cosa dire. Era sicura che qualsiasi parola, qualsiasi tentativo di conforto, in quel momento, non sarebbero andati bene. Era una storia troppo complicata... e ne mancava un pezzo.

-Avete tradito la mia fiducia.- Evelyn tirò su con il naso, passandosi nervosamente una manica sugli occhi per cacciare via le tracce di lacrime che premevano per uscire. Sentì la rabbia scemare improvvisamente, lasciando posto ad un enorme sconforto e alla sensazione opprimente di aver subito una coltellata alla schiena.

Si sentiva presa in giro. E bruciava, qualcosa dentro di lei bruciava tremendamente, consumando la poca lucidità che ancora possedeva.

Senza degnarli di un altro sguardo diede loro la schiena e corse via.



Edmund vide Evelyn andarsene senza avere il tempo di dirle nulla di tutto ciò che sentiva di dover buttare fuori. Le scuse, le giustificazioni, la verità che sentiva premere sulla punta della lingua. La osservò evitare per un soffio Lucy e Dhemetrya, ferme all'entrata della sala di pietra, e sparire nelle ombre del cunicolo con sguardo basso e passo veloce.

I fuochi continuavano a scoppiettare inclementi di ciò che accadeva attorno a loro.

Per parecchi minuti, un'aria pesante si posò tra i ragazzi, rendendo l'ambiente silenzioso in modo inverosimile. La tensione che vi aleggiava si sarebbe potuta tagliare con un coltello. Nessuno di loro sapeva cosa dire, come rompere quella bolla in cui erano caduti.

Si sentivano strani, senza forze, prosciugati, come se fossero stati sballottati da un luogo all'altro senza sosta. Eppure non si erano mossi dallo stesso punto in cui erano rimasti immobilizzati.

Ciò di cui erano sicuri, però, era che le cose non sarebbero dovute andare in quel modo. Evelyn non avrebbe dovuto venire a conoscenza di quel piccolo ma significativo dettaglio sulla sua vita in quella maniera brusca ed improvvisa.

Peter percepì il sapore amaro del rimorso risalirgli lungo la gola per tutto il tempo che aveva passato a rimandare quel momento. Per cosa, poi? Strinse le labbra, sentendo il senso di colpa per il proprio egoismo pungolarlo. Gli scoppiava la testa.

Lucy sospirò, rilasciando il fiato che aveva trattenuto fino a quel momento e voltandosi verso il punto in cui aveva visto sparire sua sorella, intuendo ciò che poteva essere successo. Sentì una fitta di preoccupazione darle un brivido lungo la schiena immaginando come si potesse sentire in quel momento la Pevensie, ed ebbe l'impulso di volerla seguire per farle sentire la propria vicinanza. Prima che potesse muoversi, però, scorse con la coda dell'occhio Edmund e Peter fare lo stesso.

-No, meglio di no.- Dhemetrya si mise in mezzo, frapponendosi tra loro e il cunicolo. Il biondo serrò la mascella, irritato, ma la Narniana non lo stava guardando più di tanto, per nulla toccata dai lampi di indignazione che le stava lanciando con gli occhi per quell'intrusione. Il suo sguardo era posato sul fratello minore, in un tacito ordine di lasciare perdere tutto ciò che avrebbe voluto fare in quel momento.

La situazione era troppo tesa e i sentimenti che Edmund ed Evelyn provavano non potevano che peggiorare le cose se si fossero scontrati nuovamente.

La mora lanciò ad entrambi un'occhiata eloquente, come a voler comunicare loro qualcosa – ma erano troppo presi a far fronte con i propri pensieri, per poter cogliere il messaggio che Dhemetrya stava cercando di dargli.

La ragazza mise una mano sulla testa di Lucy, in un vago gesto di conforto, prima di abbandonare la stanza.

Edmund non potè evitare di sentirsi trafitto da quegli occhi blu così calmi – eppure così lontani, così spietati e decisi, per come l'avevano guardato ed inchiodato sul posto – che sentì tutto il poco coraggio che aveva raccolto scemare via. Il senso di colpa tornò prepotentemente a tormentarlo, sovrapponendosi allo sguardo sconvolto e tradito che Evelyn gli aveva rivolto mentre gli domandava di rivelarle quella verità scomoda che per troppo tempo le aveva tenuto nascosta.

Gli si stava piantando nel cervello secondo dopo secondo. Il loro rapporto era sempre stato molto complice – fin troppo, e forse ora ne capiva maggiormente il motivo – eppure le aveva taciuto una cosa così importante... Serrò gli occhi, Ed, cercando di scacciare il malessere che sentiva crescergli in corpo e trovando la forza di occhieggiare i fratelli accanto a lui.

Lucy lo guardava con gli occhi sbarrati e le labbra tremule, Sue era sbiancata all'inverosimile tanto che si domandò come facesse a non essere ancora svenuta, e Peter... Peter aveva l'espressione più indecifrabile che gli avesse mai visto in viso, mentre probabilmente cercava di domare il mare di emozioni che vedeva riflesso nei suoi occhi chiari ancora piantati verso il corridoio.

Il Giusto deglutì un boccone amaro di saliva, mentre una consapevolezza più affilata rispetto alla precedente gli strisciava addosso come un predatore.

Aveva fatto un errore, forse più di uno.


Si era lasciato andare alla debolezza facendosi sopraffare dai sentimenti e da quel gesto, da quell'azione egoista che non era riuscito a trattenere, aveva messo in pericolo tutti loro. Aveva rovinato l'unica cosa che era sempre stata un punto fermo nella sua vita, aveva rotto gli equilibri della sua famiglia tenendo nascosto quell'amore che non avrebbe dovuto provare, aveva bruciato la fiducia incondizionata che Eve nutriva nei suoi confronti.

Lo seppe dopo aver osservato i fratelli, nel riportarsi davanti agli occhi lo sguardo che Dhemetrya gli aveva rivolto, nel sentirsi esattamente come quando era poco più che ragazzino e aveva incrociato il cammino con la Strega Bianca, come se tutti quegli anni non fossero mai passati.

Edmund sentì il pavimento mancargli sotto ai piedi e dovette appoggiarsi al muro per non cadere, mentre sentiva bloccarsi in gola un urlo silenzioso. Percepì le lacrime della disperazione salirgli agli occhi e le guance andare in fiamme.

Sentiva di averli traditi. Di nuovo.































































































Ciao a tutti e ben ritrovati! Allora, come state? Spero vada tutto bene... Io ho ripreso a lavorare, ma dopo più di un mese di fermo è un po' dura stare dietro agli orari. ^^''
Passando al capitolo: avrei voluto pubblicarlo il 16, per festeggiare i miei 11 anni su Efp - anche se ho iniziato a scrivere proprio questa storia solo nel luglio 2010 -, ma purtroppo sono stata poco bene... In ogni caso, visto il periodo, ci tenevo a portarvi questo capitolo abbastanza importante - come avrete notato, ve lo aspettavate? cosa pensate succederà ora? - perché immagino che lo scorso potrebbe avervi lasciato un po' così dato che non c'era niente di particolare.
Come potete vedere anche questo non è un capitolo proprio corto, alla fine, e unirlo al precedente non mi avrebbe permesso di dedicargli lo spazio che secondo me meritava ogni scena. Vista la situazione in cui si trovano ora i Pevensie per me sarà estremamente importante prendere i prossimi 2-3 capitoli per sviscerare questo gruzzolo di cose che si andranno a sovrapporre e darvi finalmente qualche risposta più concreta al tutto. Ho immaginato una reazione per ogni Pevensie e spero di averla azzeccata, senza contare la presenza non indifferente di Caspian, Lia, Dhemetrya e Antares. Ci sta volendo un po', ne sono consapevole, e vi ringrazio per la pazienza promettendovi che entro la fine della storia ogni cosa andrà al proprio posto.
Ringraziandovi per essere arrivati fino a qui, per le letture, i preferiti, i seguiti e le ricordate vi do appuntamento al prossimo capitolo - che spero di portarvi altrettanto presto.
Love,
Dhi. <3

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Capitolo 37
*** Lacrime dal cielo. ***


Narnia's Spirits
Lacrime dal cielo.










-Avete combinato un bel casino.-

I Pevensie, rimasti all'interno della stanza a crogiolarsi nei propri pensieri, si voltarono quasi in contemporanea verso la provenienza di quella voce che, celando una lieve ironia nelle parole, irruppe nel silenzio che si era creato tra loro.

Da quando Eve era sparita non avevano osato fare ancora nulla, troppo terrorizzati – terrorizzati, colpevoli, delusi, non sapevano nemmeno bene loro cosa provassero di preciso, ognuno preso a far fronte alle proprie emozioni ed i proprio ragionamenti – dalle conseguenze che anche solo muovere un muscolo o dire qualsiasi cosa avrebbero potuto portare.

Le cose erano precipitate in un modo così veloce e inesorabile che temevano che, qualsiasi cosa avessero fatto, non sarebbe andata che peggio.

L'aria si era fatta pesante e tetra, i fuochi che, incuranti della disgrazia che si stava abbattendo su di loro, continuavano a scoppiettare lungo il perimetro della sala. Per loro parere, iniziava a fare troppo caldo e quell'ambiente stava diventando troppo stretto, troppo piccolo, troppo soffocante.

Incontrarono la figura di Lia, in quello stesso punto che fino a pochi minuti prima era occupato dal corpo di Dhemetrya. La lupa li scrutava dal basso della sua statura, gli occhi che restituivano loro uno sguardo compassionevole mentre li scrutava in viso, soppesandoli.

Eh si, avevano complicato un bel po' le cose.

-Cosa... cosa è successo?-

Lucy si permise di rompere quel mutismo dietro cui si erano trincerati i fratelli, lanciando loro delle occhiate alla ricerca di spiegazioni. Percepiva il cuore sfarfallarle nel petto per l'agitazione. Era stata l'ultima a raggiungere la stanza di Aslan e aveva colto solo l'ultima parte della conversazione. Come si era arrivati a quel punto le mancava totalmente.

Vide Peter aprirsi in un ghigno amareggiato, passandosi una mano sul viso e sospirare pesantemente, dandole le spalle per nascondersi al suo sguardo. Con uno sforzo che trovò immane in quel momento, il maggiore si morse la lingua, per evitare di dire qualcosa di cui si sarebbe potuto pentire.

Susan si limitò a cercare appoggio su un masso, lasciando che il suo corpo tremante ci cadesse sopra con poca grazia. Il pallore della sua carnagione era fin troppo pallido. Sentiva il fiato mancarle, la vista appannata e la fronte sudata ed ebbe il dubbio di avere una crisi di ansia – o forse un principio di svenimento.

Vedendo il muro dietro cui si ostinavano a restare i due fratelli maggiori, Lucy rivolse l'attenzione ad Edmund, ancora appoggiato al muro e con lo sguardo ostinatamente puntato in basso. Era come se la sua domanda, lui, non l'avesse sentita nemmeno per sbaglio.

-Ed?- provò, cercando di avvicinarsi di qualche passo e posandogli una mano sulla spalla. Il moro trasalì a quel contatto improvviso, scostandosi più bruscamente di quanto avesse voluto e facendo impallidire Lucy. La ragazza si portò le mani al petto, sbattendo le palpebre per quella reazione inaspettata.

Tuttavia, vedendo l'espressione spiritata e gli occhi lucidi del ragazzo di fronte a lei, non se la sentì di fargliene una colpa. Tentò di sorridere per quel che riusciva – anche se, in quel momento, non c'era proprio niente per cui farlo.

-Scusa.- fu la risposta tra i denti che le diede il moro, scostando il suo sguardo altrove. Non riusciva a sostenere gli occhi di Lu, non riusciva a vedere quell'alone di comprensione che vi aleggiava, quell'innata speranza che vi scorgeva brillare. Sapeva cosa pensava la sorella minore, aveva imparato a conoscere come ragionava. Poteva immaginare perfino le frasi che avrebbe potuto dirgli.

Che sarebbe andato tutto bene. Che le cose si sarebbero risolte. Che avrebbero affrontato anche quello.

Eppure, Edmund ebbe il sospetto che ciò che sapeva Lucy non era ciò che avevano sentito anche Peter e Susan poco prima.

-L'ha scoperto?- fu la semplice domanda che gli fece, senza staccargli gli occhi di dosso. Edmund aprì la bocca secca per parlare, ma dalla gola non risalì nessun suono.

-Si.-

Lucy si voltò leggermente, facendo dardeggiare lo sguardo per la stanza prima di posarlo su Peter. Lesse nei suoi lineamenti contratti, nella forza con cui le braccia si erano nuovamente incrociate al petto, nel modo in cui li stava guardando, così tante emozioni che non seppe decidere quale fosse quella che primeggiava.

Lu fu certa, però, di percepire la sgradevole sensazione che qualcosa le stesse sfuggendo da sotto gli occhi e riportò l'attenzione sul moro vicino a lei. C'era qualcosa che non riusciva a carpire, nel modo in cui Peter continuava ad inchiodare Edmund sul posto con lo sguardo, nel respiro che si faceva pesante ogni qualvolta i suoi occhi si posassero sulla sua figura.

Ed era certa che non fosse per la frase che si era lasciato sfuggire, dal momento che tutti loro erano colpevoli allo stesso modo del peccato di omertà e Peter, per quanto arrabbiato, non era così stupido da non essere consapevole di essere colpevole quanto lui – quanto tutti loro.

Quindi, cosa... ?

Si fece coraggio, ingoiando il nodo che sentiva in gola.

-C'è altro, vero?-


***


Corse.

Corse nel modo più veloce che conosceva, con gli occhi appannati di lacrime, senza una destinazione. Corse finché non sentì più la fatica, finché le gambe non cedettero per lo sforzo. Corse anche se sentiva il fiato mancarle, la milza lanciarle delle fitte al fianco.

Non si fermò nemmeno quando inciampò in varie radici, cadendo e pestando le mani, o quando i rami più bassi le tagliarono le guance. Si mischiò al buio della foresta, scorrendo tra la fitta vegetazione come un animale selvatico scappa da un predatore, forse sperando di perdercisi dentro per non fare più ritorno.

Non le sarebbe importato. Tutto ciò che voleva era andarsene. Scappare. Non tornare più.

Inciampò di nuovo, sentì una fitta alle dita dei piedi ed emise un lamento strozzato che si perse nel silenzio. Rotolò lungo il pendio del sentiero che stava percorrendo alla cieca, scontrandosi con legni e sassi che le cozzarono contro la pelle, percepì gli arbusti frustarle le mani e sentì il fiato mancarle per il contraccolpo contro il terreno duro. Il terriccio le andò negli occhi, nel naso, ne sentì il sapore in bocca e tossì convulsamente, mentre tutto il suo corpo protestava per il dolore.

Evelyn rimase sdraiata sul fianco su cui si era fermata per un tempo che le parve infinito, socchiudendo gli occhi ed ascoltando il proprio respiro accelerato, i muscoli tirati e tremanti per lo sforzo. Attorno a lei, solo il silenzio pesante della vegetazione chiusa in un sonno profondo e millenario che nemmeno le creature notturne osavano disturbare.

L'aria si era fatta più gelida e le fece venire i brividi. Percepì il viso accaldato, umidiccio, polveroso e non seppe dire se fosse per il sudore o le lacrime mischiati al terriccio che si ritrovava addosso – o tutto insieme.

In alcuni punti la pelle bruciava, soprattutto uno zigomo e la fronte. Il polso le faceva male se provava a ruotarlo, forse l'aveva slogato. Respirare era doloroso, sentiva l'aria vibrare in gola, e sicuramente era per i sassi che le si erano conficcati inclementi nella schiena e i legni che le avevano colpito l'addome e le gambe – sperò comunque, con un lampo di lucidità, di non avere niente di rotto.

Evelyn cercò di calmarsi per abituarsi al dolore che sentiva pulsarle per il corpo, rimanendo immobile in posizione fetale, impaurita che qualsiasi movimento avesse fatto sarebbe tornata a sentire le fitte lacerarle i muscoli.

Chiuse gli occhi, percependo la marea di emozioni incalzare, travolgendola in ogni più piccola cellula che possedeva. Il dolore che provava fisicamente era solo lontanamente paragonabile a quello straziante che la dilaniava all'interno, aggrappandosi senza riserve fino alla sua anima per frantumargliela pezzo dopo pezzo.

Strinse i pugni, torturandosi le dita ed ispirando l'odore della terra fredda. Percepì un pesante groppo in gola che le fece venire la nausea e la testa, inclemente, le riformulò nelle orecchie quelle frasi che avrebbe voluto tanto dimenticare.

-Non è nostra sorella di sangue.-


Perché? Perché non glielo avevano mai detto? Perché glielo avevano tenuto nascosto?

Evelyn tremò, non riuscendo a reprimere un singhiozzo. Ebbe la terribile sensazione che si vergognassero di lei, che non le avessero mai detto niente perché non la consideravano abbastanza importante da meritarsi di sapere la verità. Eppure, quella parte che aveva sempre vissuto con i Pevensie, quella che voleva loro bene, quella che l'avrebbe spinta a sacrificare la vita se necessario, le gridò aspramente che non era così.

Non era così, loro non erano cattivi. Non le avrebbero mai tenuto nascosto qualcosa che la riguardava. Qualcosa di così importante, così fondamentale.

Sicura?

Eve sentì la rabbia accumularsi nel petto, addensarsi sottopelle dandole tanti piccoli brividi di irritazione.

Eppure, lo avevano fatto. Le avevano mentito. Per molti, molti anni.

Per lei fu come se le si conficcasse una spada nella schiena ogni volta che ricordava quelle parole.

-Aslan te lo aveva spiegato...-

-... le sue origini!-


Socchiuse le palpebre, guardando senza emozioni la vegetazione che aveva davanti attraverso gli occhi appannati di lacrime e confusione. Respirare le costava fatica e ogni tanto l'aria la sentiva così graffiante che le provocava dei rantoli. Le palpebre pesanti, la testa una massa informe di pensieri. Aveva freddo? Si, aveva freddo, l'aria le si infilava sotto la schiena sfiorandole la pelle come una mano ghiacciata e lei tremava.

Evelyn si aggrappò al dolore che sentiva come una disperata per non perdere conoscenza. Sentì un tuono in lontananza, il vento spirare in modo sempre più forte facendole arrivare in faccia qualche foglia caduta. Stava per piovere?

Le sue origini...


Strabuzzò gli occhi quanto riuscì, sentendo il tempo attorno a lei cambiare repentinamente, condensarsi e dilatarsi e non capì se fossero passati parecchi minuti o solo pochi secondi. Se possibile, le sembrò che il buio si fosse infittito ancora di più, agglomerando tutto in una massa distorta di ombre e suoni confusi che a mente fredda avrebbe trovato inquietanti.

Ma in quel momento avrebbe solo voluto confondercisi insieme, venire inghiottita e sparire.

Evelyn si sentì sprofondare in un abisso per la domanda che le spaccò la mente, squarciandogliela in modo definitivo e facendola cadere in un incubo da cui era sicura non si sarebbe – ne avrebbe voluto – risvegliarsi. Dopo aver conosciuto Narnia non si sorprendeva più di niente. Se Aslan si era messo in mezzo...

Percepì scivolarle sulla pelle le prime gocce di pioggia mischiate alle lacrime e le sembrò che la terra sotto di lei avesse vibrato nello stesso istante in cui il suo cuore mancò un battito.

… voleva dire che non era umana?


***


-...Cosa?-

Sgranò gli occhi, Lucy, senza avere il coraggio di staccarli dalla figura di Edmund a pochi metri di distanza. Si lasciò cadere stancamente sul primo sasso che trovò ed improvvisamente capì perché Susan avesse avuto la stessa idea. Le tremavano le gambe.

-Sono innamorato... di Evelyn...-

Lucy chiuse gli occhi passando una mano tra i capelli. Ricordò come Peter si fosse irrigidito a quella frase e il silenzio sembrava essersi agglomerato in una condensa ghiacciata che era calata tra loro. Nessuno aveva detto nulla dopo quelle parole e lei pensò tanto di essersele sognate.

Ma poi Edmund aveva stretto i pugni, facendosi sbiancare le nocche, e lo aveva ripetuto.

-Sono innamorato di Evelyn. E credo mi ricambi.-

Fece scorrere lo sguardo sulla pietra spezzata, pensierosa e angosciata. Quello non se lo aspettava proprio... o forse un pochino si?

Strinse la labbra, corrugando le sopracciglia e passandosi nuovamente una mano tra i capelli. Aveva sempre avuto sotto gli occhi il rapporto quasi simbiotico che avevano Evelyn ed Edmund. Senza contare che lui aveva sempre saputo non fosse davvero loro sorella

Avrebbe mentito a se stessa dicendo che quel pensiero, quel sospetto, non le aveva mai sfiorato la mente. Lo aveva fatto. Molte volte. Specialmente, le era rimasta in testa la storia di Simon, il gelo improvviso che aveva diviso per qualche tempo i due Pevensie. Ricordava lo sguardo di Edmund, quando lo aveva raggiunto nel giardino di casa per dirgli che l'aveva invitata ad uscire.

Ricordava molti dettagli e molti puntini le si stavano unendo come tasselli nella sua testa. Era come se un raggio di luce avesse fatto breccia in una coltre di nubi.

E intuì perché Peter fosse così arrabbiato. Così offeso. Così indignato. Lo capiva, ma non sapeva dirsi se riuscisse anche a comprenderlo.

Lucy sospirò, sfiorando la pietra fredda, osservandola con sguardo sconsolato. Una parte di lei si domandò cosa avrebbe pensato Aslan di quella situazione, cosa gli avrebbe detto, cosa avrebbe fatto.

-Non è importante quello, ora. Non così tanto... almeno.-

Come se fosse stato colpito da un fulmine Peter si voltò, di scatto, serrando la mascella.

-Come sarebbe a dire non è importante?- sbottò rabbioso, in direzione della lupa che si era intromessa nel silenzio. Come poteva dire che non era importante? Come poteva non rendersi conto di ciò che avevano appena scoperto?

Susan trasalì senza il coraggio di dire nulla, portandosi la testa tra le mani e fissando ostinatamente a terra per nascondere gli occhi lucidi.

Lia mosse qualche passo in direzione del Pevensie, soppesandolo con sguardo piatto. Sospirò, sentendo un tuono squarciare la quiete che aleggiava per l'accampamento e fu costretta a reprimere l'impellente istinto di uscire da lì. Si stavano mischiando troppe cose insieme e immaginò che i Pevensie non sapessero da che parte girarsi.

-Pensa a ciò che ha invece appena scoperto Evelyn.- ribatté la lupa, gelida, incatenandolo con lo sguardo sul posto. Peter la fulminò, tuttavia lo vide scuotere la testa in un gesto di esasperazione e rinchiudersi nuovamente in se stesso, a fare i conti con i propri pensieri e sentimenti. Non era un idiota, lui. Lia lo sapeva bene. Intuì che probabilmente si stava mangiando i gomiti perché tutto si stava sgretolando e non sapeva come fare per sistemare le cose, anche se non lo avrebbe mai ammesso.

Lasciandosi dietro quelle supposizioni dietro cui immaginava si fosse trincerato il Pevensie, soppesò Edmund velocemente, riservandogli un'occhiata di comprensione, vedendolo irrigidito e bianco come un lenzuolo ancora attaccato al muro in cerca di sostegno.

-Cosa ne puoi sapere tu? Non sono comunque affari tuoi.-

Lia tornò a fissare lo sguardo su Peter, accigliata per quel mormorio senza tono che le era stato dedicato. Se avesse avuto le sopracciglia le avrebbe alzate elegantemente mostrandogli una smorfia di compassione davanti alla sua ignoranza degli eventi. Cercò tuttavia di non farci caso e non prendersela, data la situazione stressante.

-Invece credo siano anche affari miei.- Lucy le dedicò un'occhiata stralunata e Susan alzò la testa quel tanto che bastava per occhieggiarla di sbieco, improvvisamente risvegliata dal suo stato catatonico.

-Che intendi?- le domandò Edmund, dedicandole la propria attenzione. Peter aveva assottigliato lo sguardo, sospettoso.

Lei sospirò, facendo dardeggiare lo sguardo per la stanza. Sentì che stava iniziando a piovere.

-Credo sia giunto il momento di darvi delle spiegazioni. Ricordate ciò che vi ha detto Aslan?-


***


Lia uscì dalla Casa di Aslan e si sentì subito investita dall'acqua che stava cadendo dal cielo. Annusò l'odore di terra ed erba bagnata, percependo le gocce di pioggia picchiettarle sul capo e sulla schiena infradiciandole il pelo.

Fece dardeggiare lo sguardo per la radura ed individuò la figura di Antares sotto la chioma di un albero. Non appena la scorse, il Narniano avanzò verso di lei, raggiungendola.

-Glielo hai detto?- le domandò, quando le fu abbastanza vicino per farsi sentire. Quella gli dedicò un'occhiata, limitandosi ad annuire.

-Sarà dura, da ora in poi.- lo sentì commentare. Lia affilò lo sguardo in un vano tentativo di proteggere gli occhi dalla pioggia, mentre iniziava ad avanzare nella radura guidata dall'istinto.

-Doveva succedere, ma non me l'aspettavo in questo modo. Non pensavo si sarebbero accavallate le due situazioni, sono già difficili se prese singolarmente.- Sentì Antares sbuffare al suo fianco mentre la seguiva pazientemente verso la foresta. La pioggia cadeva e saltuariamente si alzavano delle folate di vento. L'erba ed il terreno erano ormai zuppi e Lia percepì le zampe affondarle nel fango.

-Come l'hanno presa? Male, eh?- La lupa si voltò verso il compagno, schioccando la lingua contro il palato e abbassando le orecchie. Non ebbe bisogno di dire nulla.


***


-Mi aveva parlato dopo l'incoronazione.- Peter si era fatto avanti, incrociando le braccia al petto e mettendo momentaneamente da parte l'immagine di Edmund ed Evelyn che si baciavano.

I fratelli si scambiarono delle occhiate incerte, puntando poi lo sguardo su Lia che era rimasta ferma, in attesa di avere la loro attenzione.

-Ti aveva detto che era stata adottata.- Lucy sentì la gola secca, riportando a galla i ricordi di quella conversazione. Lo vide mordersi un labbro e annuire.

-E che non era nata sulla terra, ma a Narnia.- Lu ebbe l'istinto di alzarsi per sfogare la tensione, ma si trattenne e si limitò a ripuntare lo sguardo sgranato su Lia esattamente come stavano facendo i suoi fratelli. La lupa annuì.

-Non vi ha spiegato tutto nei dettagli, però.- I Pevensie sentirono come una doccia ghiacciata riempirli da capo a piedi. Peter corrugò le sopracciglia, sospettoso, ed affilò lo sguardo. Aveva la sensazione che non gli sarebbe piaciuto ciò che avrebbe sentito uscire dalla bocca della Narniana di lì a poco. Aveva la sensazione che non gli sarebbe piaciuto niente, di quella serata, ne fu immediatamente certo non appena vide la sua espressione.

-Disse che avremmo saputo a tempo debito.- intervenne Susan, sollevando lo sguardo incavato e prendendosi a torturare le dita. Edmund, lanciandole uno sguardo, sentì una fitta di senso di colpa attanagliargli lo stomaco per le condizioni in cui versava.

-Si, credo sia ora.- Lia si sedette, circondandosi le zampe con la coda. Cercò nella propria mente le parole adatte, ma si rese presto conto che non ce n'erano.

-Evelyn è nata sulla terra, in realtà. Nel vostro mondo.- capì di aver confuso i Pevensie dalle espressioni dubbiose con cui la iniziarono a guardare. Vide Peter aprire bocca per parlare ma gli scoccò un'occhiata che lo fece stranamente stare in silenzio.

-È la sua anima che è nata a Narnia.- precisò.

-Che significa?-

Lia si domandò se Aslan fosse stato vago apposta nelle spiegazioni, seppellendo un passato che sapeva prima o poi sarebbe tornato a galla per quanto gli fosse stato possibile. Decise di non pensarci e cercò la soluzione più rapida per spiegarsi. Non era facile e c'erano tante, davvero tante cose da raccontare, ma qualcosa dentro di lei le suggerì che non era il momento adatto. Forse sarebbe stato proprio Aslan, con il suo ritorno, a spazzare definitivamente le nubi di quella storia.

E poi, doveva raggiungere Evelyn il prima possibile. Il temporale che si stava riversando su Narnia non le piaceva per niente e delle sgradevoli sensaizoni le si stavano aggrovigliando nel petto, iniziando a diventare insistenti e difficili da ignorare.

-Vostra sorella è... no, sarebbe più corretto dire che nella sua anima si sono reincarnati gli spiriti delle Guardiane di Narnia. In particolare dell'ultima, che a sua volta conteneva già quelli delle Guardiane che l'avevano preceduta. Come sapete, la magia è qualcosa su cui Narnia si è sempre fondata. È complicato da spiegare, e mi dispiace se risulto confusionaria.- Lia si prese un momento per ordinare nuovamente i pensieri.

-Millenni fa la Grande Magia permise all'essenza degli elementi di incarnarsi in creature che avrebbero avuto il compito di guidare Narnia. Nacquero così le Guardiane, legate fin nel profondo a questo mondo perché ne incarnavano gli spiriti degli elementi che l'hanno sempre mantenuto in equilibrio.-

-Stai scherzando.- la interruppe Peter, aggrappandosi all'assurdità di quella cosa che aveva appena sentito. Si rifiutava di credere ad una sola parola di ciò che gli stava tartassando le orecchie.

-Lasciala finire.- intervenne Edmund, che stava ascoltando come si trovasse davanti ad un oracolo. Quella storia non la sapevano, non l'avevano mai saputa, non era scritta nemmeno nei libri più antichi.

Susan e Lucy si portarono una mano alla bocca e sgranarono gli occhi, spaesate.

-Le Guardiane avevano il compito di vegliare su Narnia, ne erano figlie e madri al tempo stesso. Tuttavia, le cose non andarono come previsto. La Grande Magia non tenne conto che Narnia era viva, e di conseguenza le creature a cui aveva dato origine provavano sentimenti ed emozioni. E fu la loro rovina.-

Magia? Guardiane? Reincarnazioni? Evelyn era Evelyn e basta, sorella di sangue o meno. Ai Pevensie sembrò tanto di stare sprofondando in un incubo e Peter sentì vacillare quel poco di sanità mentale e calma che ancora riusciva a mantenere in apparenza.

-Sei seria?-

La lupa gli concesse un'occhiata sbieca.

-Mai stata più seria, Peter Pevensie.-

-Come sai queste cose?-

Ci fu qualche attimo di silenzio, poi Lia distolse lo sguardo da Lucy, colpita dai ricordi.

-Perché sono lo spirito madre che avrebbe dovuto guidare l'ultima Guardiana nel suo compito.-

-E... e chi era?-

-Si chiamava Ahislyn.-


***

 
Dhemetrya scoccò la lingua contro il palato, calcandosi il mantello sulla testa per cerca di sfuggire alle gocce di pioggia che avevano iniziato, inclementi, a inzupparla qualche minuto prima. Dandosi una piccola spinta balzò giù dal ramo su cui si era fermata, atterrando con i calzari sul sentiero in cui la terra era ormai diventata un miscuglio di fango e foglie secche.

Occhieggiò con sguardo dubbioso la vegetazione che le stava intorno: la foresta si era rabbuiata, le nubi avevano coperto la luna che sembrava essere stata inghiottita dal cielo. Il ticchettio incessante dell'acqua che s'infrangeva contro la terra e le foglie dei grandi alberi che la circondavano era l'unico suono che fosse rimasto a spezzare il silenzio della foresta altrimenti silente, conficcandosi con ritmo incessante nelle sue orecchie come tanti piccoli spilli.

In un'altra occasione, Dhem avrebbe trovato quel momento quasi confortevole, perché dopotutto l'acqua era sempre stata parte di lei.

C'era stato un tempo in cui la rinvigoriva donandole forza, in cui le accarezzava la pelle anche se scendeva con violenza dal cielo, tempi passati in cui le lambiva le membra in quella che le aveva sempre ricordato una dolce carezza in cui perdersi e confondersi. In cui lasciarsi andare per sempre senza mai perdersi davvero.

Dhem affilò lo sguardo, avvicinandosi ad una serie di rami spezzati e terriccio smosso e sospirò, osservando con cipiglio critico il percorso addentrarsi nella foresta in un miscuglio di cespugli, sassi e radici. I suoi piedi si mossero da soli, come attirati da una calamita, un richiamo a cui il suo corpo non poteva resistere mentre nella sua mente si formulavano accozzaglie di ragionamenti intrecciati e malmessi.

Ma non era più così.

Nel corso dell'ultimo millennio la pioggia di Narnia sembrava essere diventata il riflesso delle lacrime che non aveva più avuto la forza di versare. E mai come in quel momento, mentre seguiva le tracce di rami spezzati e impronte infangate che Evelyn si era lasciata dietro, il suo cuore le ricordò con una dolorosa fitta che le spezzò il fiato quei momenti che avrebbe tanto voluto seppellire.

Dhemetrya accelerò il passo, per non rischiare di perdere i segni che stava seguendo, percependo l'ansia che venissero cancellati dall'acqua salirle come un groppo in gola. Le fischiavano le orecchie e le mancava il fiato e per un attimo si sentì stordita, quando una nuova ondata di emozioni la travolse come un treno in corsa costringendola a fermarsi e tenersi il petto.

Era insopportabile. Sentiva tutto. Stava sentendo tutto. Tutto il dolore di Narnia, la terra che vibrava d'indignazione, le gocce come pugnali gelati che sembrava voler cancellare ogni cosa su cui si conficcavano.

Non poteva permetterlo. Doveva trovarla, non aveva tempo da perdere.

Quella pioggia di dolore le stava fracassando l'anima fin nel profondo, era come se si fosse rotto l'argine di un fiume che non sapeva come fermarsi e travolgeva tutto, e Dhemetrya sentiva di stare soffocando sotto quel peso ad ogni secondo che passava.

Batté le palpebre, percependo gli occhi umidi, guardandosi intorno e sentendosi mancare per qualche attimo. Un tuono le rombò nelle orecchie ronzanti e osservò il cielo, posando una mano sulla corteccia dell'albero vicino cui si era fermata per reggersi in piedi, respirando con il cuore che batteva nella gabbia toracica in modo così fremente da farle male.

Gli occhi blu pieni di preoccupazione e angoscia si scontrarono con l'inesorabile macchia di nero che era ormai diventata la distesa che fino a poco prima era brillante di stelle.

Nero.

Nero come l'oblio che sentiva annebbiarle la mente ad ogni minuto che passava.

Dhemetrya si morse un labbro, cercando di trovare un appiglio in quella marea di emozioni che le si stavano ammassando dentro e strizzò gli occhi più che poté, tornando a guardarsi intorno.

Calma. Doveva stare calma e concentrarsi.

Si umettò le labbra secche, riprendendo la sua ricerca e cercando di scacciare la vocina che nella sua testa le gridava che ci stava mettendo troppo. Non doveva farsi distrarre dalla pressione. Non doveva lasciarsi distrarre dalle emozioni.

Percorse con passo incerto quella strada nella foresta, addentrandosi in quello che si rese conto non era un vero e proprio sentiero, cercando di analizzare ogni più piccolo particolare che riusciva a catturare facendo dardeggiare lo sguardo attorno a sé. I rami bassi le graffiarono le guance e il mantello varie volte s'impigliò negli arbusti, tanto che con uno strattone ne ruppe un pezzo, i calzari si erano infradiciati d'acqua e fango.

La pioggia e il buio non la stavano aiutando, rendendo un'azione che aveva ritenuto sempre semplice da fare come seguire le tracce una lotta contro la propria pazienza ed esperienza. Dhemetrya dovette richiamare a sé tutti i ricordi e gli insegnamenti che aveva imparato negli anni a suon di sbagli e sgridate per districarsi in quella situazione senza rischiare di confondersi o perdere l'orientamento.

L'aria ogni tanto si condensava in forti raffiche di vento che le facevano sbattere contro la pelle del viso terriccio e rami vaganti. Si calò maggiormente il cappuccio in testa, Dhem, sentendo gli occhi bruciare e lacrimare, osservando le tracce confondersi davanti al suo sguardo smarrito.

Ma dove si era cacciata? Non doveva essere lontana, ormai...

-Evelyn!-

Percepì la propria voce uscire come un grido roco, perdendosi tra il rumore della pioggia e delle chiome vibranti. Si morse la lingua, frustrata, prendendo un respiro profondo e cacciando via a forza il nodo che sentiva comprimerle la gola.

-Evelyn!-

A quel secondo tentativo la voce le uscì più squillante e si guardò intorno, quasi sperando che la ragazza rispondesse subito al suo richiamo. Irrigidì il corpo, pronta a scattare, e tese le orecchie per poter cogliere ogni più piccola traccia di rumore che potesse darle qualche indizio su dove fosse.

Silenzio.


Rimase in attesa per un tempo che le sembrò infinito, ansiosa che se si fosse distratta avrebbe perso l'occasione di sentire ciò che cercava, prima di infossarsi nelle spalle e battere un pugno contro l'albero a cui si stava reggendo, amareggiata. Sentì l'insoddisfazione accumularsi nel petto insieme a un calore che le ricordò molto la rabbia.

Dannazione. Non ci voleva.


Dhemetrya abbassò lo sguardo, socchiudendo le palpebre. Sentì la stanchezza mischiarsi alla delusione e lasciò che della sue labbra scappasse un ennesimo sospiro spezzato, percependo un tremito salirle dalle gambe.

Crack.


La Narniana sentì il corpo congelarsi immediatamente sul posto. Quasi smise di respirare, mentre assumeva una posizione di difesa e tutto ciò che la circondava diventava sempre più sfuocato. Socchiuse gli occhi, concentrandosi su quell'unico rumore che era sicura, era sicura di aver sentito provenire da qualche parte attorno a lei.

Telmarini?


Dhem scosse leggermente la testa, portando tuttavia con un gesto automatico la mano al pugnale che teneva legato in vita, sentendo la pioggia continuare a picchiettarle sulla testa e scivolarle lungo la pelle. Saggiò la consistenza dell'elsa umida sfiorarle il palmo della mano, riflettendo. Solo degli idioti si sarebbero addentrati nella foresta con quel tempo.

Tirò le labbra in una smorfia, irrigidendo i muscoli e appiattendosi contro la corteccia dell'albero come se avesse potuto diventarci un tutt'uno.

Fu mentre si osservava intorno per essere sicura di non essere in compagnia che lo sentì. Riconobbe il suono che le arrivò alle orecchie come se improvvisamente il resto del mondo si fosse fermato, sospeso nel tempo.

Un singhiozzo.

Dhem si osservò intorno, sgranando gli occhi, lasciandosi guidare da quei suoni che le si stavano inchiodando nella testa e che avevano cancellato tutto il resto.

Dei singhiozzi.

Arrancò tra la vegetazione, evitando le radici ed i sassi che spuntavano dal terreno, sentendo i calzari infossarsi nel fango e notando i cespugli spezzati, fino a che sotto i propri occhi spaesati la terra piana non si modificò all'improvviso, trasformandosi in una ripida discesa che terminava in uno spiazzo su cui si chiudevano i rami degli alberi e dei cespugli.

Dhemetrya sgranò gli occhi, sconvolta, quando li fece dardeggiare con agitazione per quella piccola radura nascosta tra tronchi e arbusti, riconoscendo immediatamente, anche tra la confusione dell'ambiente che la circondava e tutto ciò che stava percependo, la figura distesa a terra.

Evelyn.

Sentì il fiato spezzarsi in gola, Dhem, e il cuore saltarle vari battiti. Si sentì sprofondare in un vortice di paura che le diede dei brividi lungo tutto il corpo.

Senza nemmeno rifletterci iniziò a correre, quasi tuffandosi giù per la collinetta, cercando di non cadere, inciampando e accompagnandosi con i rami degli alberi per fare più veloce, per riuscire nel minor tempo possibile ad azzerare quella distanza che improvvisamente le sembrava troppo grande.

-Eve!-

La vide sussultare, cercandola con lo sguardo. Le lacrime le impastavano il viso sporco di sangue e terriccio, la pioggia le aveva inzuppato l'abito e notò che in alcuni punti era anche strappato. Dhemetrya tirò le labbra in una smorfia e corrugò la fronte, sentendosi impotente davanti allo sguardo vacuo che le stava rivolgendo la Pevensie.

La stava guardando, ma non la vedeva davvero. I suoi occhi erano persi in chissà quali ragionamenti e pensieri.

-Perché?-

Per Dhemetrya fu come ricevere l'ennesima coltellata dritta nel cuore, un sussurro appena accennato ma che ebbe la forza di farle male come se l'avessero pugnalata. Tentò qualche passo, avvicinandosi, incerta, portando un braccio in avanti. Qualcosa nel suo stomaco vibrò e ricacciò indietro il conato di vomito che sentì risalirle la gola.

Cosa avrebbe dovuto dire?

-Perché?-

Evelyn tremava e singhiozzava e tutto in lei trasudava dolore e sofferenza, Dhemetrya lo sentiva posarsi sulla sua pelle e aleggiare nell'aria più di quella stessa pioggia che cadeva dal cielo.

Tutto era dolore, tutto era sofferenza.

La vide puntellarsi su un gomito, fare forza per alzarsi e mordersi un labbro tanto da farlo sanguinare. I capelli le si erano appiccicati al viso e notò che aveva i lineamenti contratti in un'espressione insofferente. Le ricordò una creatura sputata direttamente dagli inferi più profondi, mentre cercava di raccogliere la tenacia che ancora sentiva scorrerle nelle vene per provare a non arrendersi.

-Perché mi hanno mentito? Cosa c'è di diverso in me?-

Dhemetrya mosse qualche passo, arrivandole di fronte e lasciandosi cadere sulle ginocchia. Sentì il bagnato che spurgava dalla terra attraversare i pantaloni e l'aria fredda schiaffeggiarle il viso, facendole cadere il mantello scoprendole la faccia, ma in quel momento non le importò di rimetterlo a posto.

Tutta la sua attenzione era catalizzata sul viso di Evelyn, sullo sguardo che le stava rivolgendo e in cui vi scorgeva accavallarsi troppi sentimenti per poterli percepire tutti. Li sentiva provenire da Eve, provenire da Narnia.

Era insopportabile.

Strinse i denti, affrontando quello sguardo accusatorio e leggendovi all'interno l'incorreggibile amarezza e delusione di un'anima tremendamente offesa e ferita e alla ricerca di risposte.

Dhemetrya si sentì trapassare da quelle emozioni e quello stesso sguardo le si conficcò nel cervello e nell'anima con crudeltà, facendo riemergere ricordi che non aveva mai davvero dimenticato e trasportandola indietro nel tempo. In un'altra vita, un altro dolore, un'altra sofferenza.

Ed era colpa sua, perché non era stata in grado di alleviare la frustrazione di quella creatura che invece avrebbe dovuto proteggere e guidare e che aveva sempre considerato una sorella.

Che stata era sua sorella.


-Scusami, scusami...-

L'abbracciò, incapace di trattenere le lacrime, immergendo le mani tra i suoi capelli e portandosela più vicino che poté per farle sentire la sua presenza. Evelyn s'irrigidì e mugugnò un lamento per staccarsi, ma non la lasciò andare. Non l'avrebbe lasciata andare ancora.

Sentì distintamente che si era spezzato qualcosa nella ragazza che stringeva tra le braccia, era una sensazione a cui non avrebbe saputo dare una spiegazione ma di cui non si sarebbe mai posta il dubbio, perché l'avrebbe riconosciuta ad occhi chiusi e la sentiva, la sentiva talmente bene che non avrebbe potuto sbagliarsi. L'argine rotto, l'anima spezzata, il cuore frantumato.

Narnia vibrò nuovamente di sofferenza e sentì riflettersi nella propria anima l'origine di quei lamenti.

Eve...

La sentì tremare e scoppiare in un pianto disperato che le squarciò le orecchie, conficcandosi nel suo cuore con la stessa prepotenza con cui la Pevensie le si stava aggrappando alle spalle, con la stessa disperazione implacabile con cui il cielo stava riversando secchiate di pioggia su di loro e tutt'attorno.

E non poteva fare niente, niente, per alleviare quella sofferenza.

Dhemetrya sentì l'angoscia aggrovigliarle lo stomaco e percepì gli occhi pizzicare. Immerse il viso nella spalla di Eve, lasciando che il mare di emozioni che le si agitavano addosso – addosso, dentro, intorno, che le mozzavano il respiro – e che aveva cercato di contenere si potessero, finalmente, liberare.

Fu come se un'esplosione la investisse da capo a piedi e iniziò a piangere in silenzio, sentendosi improvvisamente spossata, accompagnata dai singhiozzi della ragazza che le stringeva gli abiti come se fosse il suo unico appiglio. Sentì la terra tremare e un tuono più forte squarciare la quiete del cielo che le sovrastava, riflettendo sulla terra il loro stesso dolore.

Pioveva. A dirotto. A Narnia non pioveva mai in quel modo, la pioggia era sempre stata una dolce melodia che accompagnava soprattutto le giornate delle mezze stagioni, ma era sempre stata magica, nella sua malinconica tristezza.

Quella, invece, ogni singola goccia era il riflesso della sofferenza, del dolore, dell'amarezza, del senso di colpa che scuoteva le anime tormentate di Evelyn e Dhemetrya e che Narnia riusciva a sentire come se fossero proprie.

Un legame indissolubile, un legame scritto dal destino fin dalla notte dei tempi e che niente avrebbe potuto spezzare.

Eve e Dhem piangevano e Narnia piangeva con loro.




























































































*ZanZanZaaan!*
Ehilà a tutti e ben tornati! Come state? Spero tutto bene!
Che dire, capitolo piuttosto frizzantino, non trovate? Per questo vi avvertivo che le cose si complicheranno leggermente, è una situazione spinosa e Evelyn non ha ancora sentito tutta la verità, quindi vi lascio immaginare, senza contare la situazione con Edmund. A tal proposito, spero che per il momento sia tutto chiaro in ciò che ha detto Lia, poi approfondirò nel prossimo capitolo con qualche dettaglio in più, insomma sono stata vaga apposta per non scrivere troppe volte le stesse cose.
Non ho molto da dire stavolta, sono capitoli abbastanza importanti e credo di avere un po' di ansia da prestazione. ^^'' In ogni caso spero di rivedervi presto,
Ringrazio chi legge, commenta, preferisce, segue e ricorda.
See yaa
D <3


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Capitolo 38
*** Legami scritti dal destino. ***


Narnia's Spirits
Legami scritti dal destino.












Erano le prime ore del mattino, ma il sole non accennava a voler fare la sua comparsa attraverso le nubi grigiastre che ancora costellavano il cielo plumbeo. L'odore di terra ed erba bagnata impregnava l'aria fredda e l'unico rumore che rompeva il silenzio che lambiva la vegetazione attorno alla radura erano le gocce di pioggia che, lentamente, cadevano a terra, scivolando lungo le foglie e gli arbusti con lenti ticchettii.

Era stata una notte burrascosa, di quelle che accadono raramente, che ancora si trascinava dietro i rimasugli della tempesta che si era abbattuta senza pietà intorno alla Casa di Aslan e nei boschi circostanti.

I Narniani avevano osservato il cielo riversarsi sulla terra con sguardi quasi attoniti, spiazzati per quell'improvviso cambio di tempo in un mondo solitamente sempre pacifico, e i più superstiziosi avevano interpretato quell'evento come un segno del destino, il simbolo di una possibile catastrofe imminente. I Pevensie avevano potuto giurare di aver sentito talvolta mormorii sommessi invocare Aslan ed il suo aiuto in preghiere che si erano perse tra i rombi dei tuoni e le mura di pietra.

Il temporale era andato avanti per varie ore prima di quietarsi alle prime ore del mattino, divenendo una pioggia sempre più leggera fino a scomparire. Tuttavia, il grigiore di quella giornata non sembrava volersene andare, rendendo l'ambiente tetro e spento.

Edmund si appoggiò allo stipite di pietra all'entrata della Casa di Aslan, osservando la natura senza reale interesse: i suoi occhi dardeggiarono lungo i confini del bosco, in una ricerca infruttuosa delle figure che fin dalla notte precedente erano scomparse e non avevano ancora fatto ritorno. Più di tutte, il suo istinto gli faceva cercare spasmodicamente Evelyn, come se avesse potuto sbucare fuori dal nulla ad una sua minima distrazione.

Il cuore di Edmund sussultava ogni volta che vedeva qualche movimento che alla fine si rivelava un Narniano qualunque che tornava dalla ronda, facendogli tirare le labbra in una smorfia amareggiata che non riusciva a trattenere.

Evelyn.

-Non seguiteci. Sarebbe solo peggio.-


Lia era stata chiara. Poche parole ma concise che avevano freddato sul posto qualsiasi loro tentativo di ribattere o anche solo muovere un muscolo, congelati come se dagli occhi color ghiaccio della lupa fosse uscito un qualche strano incantesimo che li aveva resi obbedienti dopo il discorso sulle Guardiane.

O forse semplicemente dei codardi, perché sapevano di aver sbagliato nei confronti di Eve e non avevano il coraggio di affrontarla di persona.

Non che ci fosse stato bisogno di convincerli, comunque. Susan era stata portata di peso a sdraiarsi da Peter ed era stata poi raggiunta da un Caspian alquanto confuso, Lucy si era limitata a lanciare delle occhiate preoccupate sia a lui che al fratello maggiore prima di raggiungere la sorella spiegando a bocconi la situazione al Principe.

Il biondo aveva passato la notte seduto sulla tavola spezzata, un fascio di nervi unico con lo sguardo piantato nella pietra come se avesse potuto scavarci attraverso solo con il pensiero facendosi comparire Aslan davanti. Aveva un sacco di domande, Peter, e altrettanto rabbia repressa che gorgogliava per esplodere verso chiunque gli fosse capitato a tiro.

Edmund aveva passato le ore a rigirarsi nelle coperte, sentendo il peso al cuore farsi sempre più opprimente mano a mano che il temporale incalzava.

Nessuno di loro aveva chiuso occhio, persi nei propri ragionamenti e tormenti che li avevano costretti a farsi vari esami di coscienza alla luce di ciò che avevano scoperto, i pensieri che gli rimbalzavano in testa come palline da tennis portandosi dietro i repentini cambi di umore a cui erano stati sottoposti. Avrebbero potuto evitare tutto quello? No. Forse era già passato fin troppo tempo senza che saltasse fuori e alla fine era stato inevitabile.

Inevitabile.


Come il bacio che le aveva dato. Edmund aveva sentito il tempo accorciarsi ogni giorno di più e il suo sesto senso gli aveva fatto capire di stare arrivando al punto limite. Starle lontano e comportarsi normalmente era diventato sempre più difficile e per quello aveva pensato settimane prima di doversi dare una mossa per parlare.

Perché sapeva che avrebbe fatto qualche errore, che era una situazione delicata e che andava presa con le pinze, mentre veniva sempre più attirato verso Eve lasciandosi andare a comportamenti fraintendibili. Non aveva potuto farci nulla.

E, adesso, era tutto un casino.

Una grandissima montagna di detriti che non sapeva come rimettere insieme.

-Come stai, Ed?-

Il moro rilasciò un breve sospiro, continuando a tenere puntata l'attenzione davanti a sé senza il coraggio di spostare lo sguardo per incrociare il volto di Lucy.

Lucy.


Sempre così buona, sempre così comprensiva, sempre pronta a tendere una mano anche nelle situazione più complicate, alle creature meno meritevoli. Il tono basso e dolce con cui gli aveva parlato sentiva di non meritarselo, Edmund. Scrollò le spalle, incrociando le braccia al petto ostentando un'indifferenza che non gli apparteneva, rivolgendo lo sguardo il più lontano possibile.

Quel gesto, tuttavia, la rese solo più determinata a voler penetrare nella corazza di silenzio che si era costruito attorno, vedendone gli occhi persi ed i tratti rigidi. Lucy non riusciva a vedere i suoi fratelli così spenti, così vuoti, senza provare a fare nulla.

La sentì avvicinarsi e posargli una mano sul braccio per richiamare la sua attenzione, le dita che stringevano leggermente la stoffa della casacca in una muta preghiera di guardarla. Anche solo per un attimo, anche solo per dirle di andarsene e lasciarlo in pace – cosa che non avrebbe comunque fatto, lo sapeva, lo sapevano entrambi.

Edmund, però, non ce la faceva. Non poteva. Non ne aveva il coraggio. Perché Lucy stava li da lui, quando era l'ultimo che avrebbe avuto bisogno di sostegno? Quando era stata colpa sua, quando era lui che aveva dato inizio a tutto, creando quella frattura nella loro famiglia?

-Sto bene.- mormorò dopo qualche attimo, stanco di sentirsi trafiggere dagli occhi di sua sorella e cedendo sotto il peso che gli mettevano addosso. Lucy ritrasse la mano, avvicinandosi maggiormente e cercando di infilarsi tra le braccia che teneva ancora incrociate come da bambina faceva con Peter quando litigavano per qualcosa e voleva tornare a farlo sorridere.

Edmund provò a divincolarsi, rifuggendo quel calore che stava provando a dargli nonostante le proprie proteste senza averne la reale intenzione.

Un abbraccio, solo un abbraccio.

-Lo so che non è vero. Non si dicono le bugie.- Edmund ingoiò un groppo in gola sentendo la bocca improvvisamente secca, lasciando cadere le braccia lungo il corpo e facendo si che Lucy l'avesse vinta in quella lotta a senso unico. Qualcosa lo pungolò nello stomaco mentre sua sorella lo abbracciava. Bugie, solo bugie.

Era quello tutto ciò che gli usciva dalla bocca?

Bugie.


Era quella la sua reale natura?

Un traditore.

-Mi dispiace, Lu. Ho fatto un casino.- bisbigliò, appoggiando la guancia sulla testa della Pevensie ed inspirandone l'odore familiare con un lungo respiro mentre le passava stancamente una mano tra i capelli. Sentì gli occhi pizzicare e sbatté le palpebre varie volte per scacciare quella sensazione, ricacciando indietro il magone che gli bloccava la voce e ricambiando la stretta.

Lucy chiuse gli occhi, ascoltando per vari secondi il battito del cuore che le arrivava alle orecchie, immaginando lo sfarfallio agitato che lo stava accompagnando da varie ore. Si morse un labbro, addolorata di non poter far nulla più che dimostrare la propria vicinanza.

-Non è solo colpa tua. Tutti abbiamo taciuto.- Edmund puntò nuovamente lo sguardo sulla radura che si trovava davanti, perso nei propri pensieri mentre sentiva la stretta di Lu farsi più forte intorno alla sua vita e lasciando che quella gli si spalmasse contro come se volesse dargli tutto il sostegno che riusciva.

Un abbraccio.

Si morse un labbro, sentendo il calore di quel gesto quietare il nodo agitato che gli si dibatteva nello stomaco. Un gesto silenzioso, ma che in quel momento per lui valeva più di mille parole.

-No, io intendevo... per l'altra cosa.- disse, sospirando pesantemente, immaginando già di dover rinunciare a quel momento di stasi che si era creata. Lucy si staccò leggermente puntando lo sguardo in alto e senza volerlo Edmund si ritrovò inchiodato dalla sua espressione. Per un attimo si ritrovò perso e fu come se avesse ricevuto una pugnalata. Sentì il respiro spezzarsi osservando la serietà che sprigionava, la bocca tirata e gli occhi che gli scandagliavano il viso con movimenti veloci.

-Si, è un po' strano.- la Pevensie interruppe il contatto visivo per un breve attimo, immaginandosi la scena e sentendosi leggermente imbarazzata. Edmund vide le sue guance arrossarsi lievemente e non poté impedirsi di sentire la nuca pizzicare per l'ansia e la vergogna. Avrebbe voluto gridarle di non pensare certe cose, ma non riuscì a dire niente e ingoiò a vuoto.

-Però io... ecco, lo immaginavo.- Edmund aggrottò le sopracciglia, allontanandosi maggiormente dalla Pevensie per poterla osservare meglio mentre si staccava del tutto e iniziava a torturarsi le dita delle mani.

-Tu... cosa?- domandò, spalancando leggermente gli occhi e riservando un'occhiata stralunata al suo viso rivolto altrove. Il cuore iniziò a battergli più velocemente, inesorabilmente divorato dall'ansia. Cosa voleva dire che lo immaginava? Che cosa immaginava, Lucy?

Edmund sentì le domande accavallarsi in testa e correre verso la punta della lingua come tante onde che si infrangono contro gli scogli allo stesso tempo.

-Che voi due... insomma... che c'era qualcosa tra voi. Avete sempre avuto un rapporto particolare, quindi...- sputò fuori, in un mormorio sommesso e lasciando la frase in sospeso. Si morse il labbro, non sapendo bene come dare vita a quei pensieri che si era sempre tenuta per sé senza mai dar loro una vera e propria voce.

Aveva sempre avuto quel sospetto, Lu, soprattutto considerando il fatto che il moro sapeva benissimo che Eve non era loro sorella di sangue. Li aveva osservati, aveva visto il loro rapporto mutare, crescere e solidificarsi, ma ne aveva anche scorto la fragilità con cui in certe circostanze ne veniva messo alla prova senza una reale motivazione.

All'inizio non ci aveva dato peso, perché erano sempre stati loro cinque, un po' di gelosia verso Peter la provava anche lei perché era il suo fratello preferito quindi immaginava di capire cosa Evelyn sentisse, quando si chiudeva in se stessa lanciando occhiate brucianti a qualsiasi donna si presentasse alle serate di ballo per tentare di avvicinare i due Pevensie. Narnia era praticamente il loro segreto ed Eve era sempre stata abbastanza possessiva verso le cose che riteneva proprie. Una sconosciuta che provava ad infilarsi nel quadro perfetto che considerava la propria famiglia e il proprio regno era un elemento di disturbo di cui non riusciva a nascondere la mal sopportazione.

Lucy non si era mai fatta troppe domande in quei quindici anni, persa a vivere la propria vita circondata da amici e animali parlanti danzando a tempo di flauto con gli alberi del mondo da lei stessa scoperto.

Ma poi qualcosa era mutato. Quando erano tornati a casa. Quando era comparso Simon. Era stata in quella circostanza che Lucy aveva iniziato ad osservare con occhi diversi i due ragazzi che aveva per fratelli e i loro comportamenti. Li aveva trovati sempre più fraintendibili.

Ed occhieggiò i dintorni per assicurarsi che nessuno li stesse sentendo, percependo un brivido lungo la schiena, riavvicinandosi alla sorella con una falcata desideroso di saperne di più. Lucy sapeva.

Non capì cosa quella constatazione gli lasciò addosso, troppo preso da quella confessione per dare ascolto allo sconcerto che sentiva mischiarsi al sollievo in un miscuglio letale che gli fece venire le vertigini. La sua testa si svuotò di tutto, improvvisamente, mentre continuava a ripetersi quelle parole come se si fosse bloccata su di esse.

-Perché non hai detto niente?- chiese alla fine, incapace di darsi una spiegazione. Cosa pensava Lucy? Lo aveva sempre schifato senza farlo trasparire? O gli faceva pena? Per quello non lo guardava? Non poteva certo darle torto. Se avesse potuto si sarebbe preso a sberle da solo, ma era troppo provato anche per avercela con se stesso. Si sentiva solo vuoto, perso. Non sapeva cosa fare e sapeva di non poter contare su nessuno.

-Beh, non ero sicura.- Lucy lo occhieggiò dal basso, mordendosi l'interno di una guancia per scaricare la tensione. Non capì perché, ma davanti al volto allucinato di Edmund si sentì tanto come una spia che deve confessare di aver origliato qualcosa che non doveva. Si sentì in colpa nei confronti dei suoi fratelli, domandandosi se non avrebbe potuto fare di più. Provare a capire di più, parlargli di più, ascoltarli di più.

-Scusami.- gettò fuori, picchiettando un piede a terra e provando a sorridere. Il suo stiramento di labbra durò giusto un battito di ciglia, prima che scomparisse così come le era venuto naturale farlo sommerso dalla sofferenza che sentiva stringerle il cuore in una morsa.

Edmund alzò un sopracciglio e negò con la testa, posandole le mani sulle spalle costringendola a guardarlo dritto negli occhi.

-No, scusami tu. Avrei dovuto essere più sincero.- forse avrebbero evitato di finire in quel casino se lui fosse stato abbastanza acuto da rendersi conto che Lucy era sempre stata parecchio empatica nei confronti altrui, forse non avrebbe dovuto sottovalutarla fino a quel punto. Forse avrebbe solo dovuto fidarsi della Valorosa, dei gesti cortesi e di quelle mani sempre tese verso gli altri, gli occhi rivolti verso un futuro radioso che vedeva solo lei.

Ma la paura era sempre stata più grande.

-Immagino ti farò schifo, comunque…- borbottò, passandosi una mano tra i capelli e tornando ad allontanarsi. Una parte di lui non voleva saperne niente di ciò che pensavano gli altri, consapevole che non avrebbero potuto provare altro che risentimento e disgusto nei suoi confronti. Sarebbe stato logico, naturale, come gli sguardi infuocati di Peter ogni volta che lo incrociava anche solo per sbaglio. Era qualcosa che non aveva nemmeno bisogno di essere spiegato a parole.

Una piccola parte, però, sperava che tutto andasse come l'abbraccio che Lucy gli aveva dato poco prima. Inaspettato, caldo, confortevole. Anche se sentiva di non meritarlo. La parte più irrazionale ed emotiva desiderava comprensione. Solo comprensione. Quella che per tutti quegli anni sapeva non essergli dovuta. Non per quel sentimento.

-Non dirlo nemmeno per scherzo!- Edmund trasalì per la potenza con cui quelle parole gli si conficcarono nei timpani. Scosse la testa, distogliendo l'attenzione dai propri pensieri e puntando lo sguardo su Lucy. Aveva stretto le mani a pugno, le guance leggermente gonfie, e l'espressione offesa con cui lo stava guardando lo lasciò qualche attimo spiazzato con il respiro bloccato in gola.

-Come puoi anche solo immaginare che io possa pensare una cosa simile?- continuò, inchiodandolo con gli occhioni sgranati per l'indignazione. Edmund aprì e chiuse la bocca un paio di volte, incapace di dire qualsiasi cosa, le parole portate via dalla brezza che s'infilò nel cunicolo portandosi dietro il freddo di quel mattino grigio e cupo.

-Ti fidi così poco di me?- Il moro sentì come se un pugno lo avesse colpito direttamente nello stomaco. Si portò una mano al petto, percependo il peso acuirsi mentre quelle parole gli si inchiodavano nella mente insieme all'occhiata angosciata con cui lo stava guardando Lucy.

Lucy che aveva sempre saputo. Lucy che aveva sempre fatto finta di niente, continuando a parlargli e comportarsi come se tutto fosse normale senza giudicarlo.

-No, certo che no.- le sorrise leggermente, sicuro che gli fosse uscita più una smorfia che altro, prima di ritirarsela addosso per ricambiare la gentilezza che gli stava offrendo. La sentì sospirare di sollievo e fu contagiato da quella leggerezza, confortato di averla vicino e sentendo un nodo di commozione incastrarsi in gola. Gli occhi tornarono a pizzicare.

-Ti voglio bene, Ed. Te ne vorrò sempre, non importano le circostanze.-

Non avrebbe potuto aspettarsi nient'altro, da lei.


***


-Fa male, sorella. Perché fa così male?- Dhem si morse un labbro, osservando il viso della ragazza di fronte a lei completamente angosciato.

Aveva gli occhi lucidi e i capelli scompigliati, il rosso di cui erano colorati che si confondeva con il tramonto che si stagliava all'orizzonte donando riflessi aranciati alla carnagione pallida. Gli occhi azzurri si chiusero di botto, mentre si portava una mano alla testa con espressione sofferente.

-Aspetta! Dove vai?- gridò, vedendola incespicare nei propri piedi mentre le dava le spalle.

Azzardò qualche passo, non capendo cosa stesse succedendo, sentendo la terra vibrare sotto di lei e l'aria darle una sferzata violenta alle braccia. Dhem sentì quasi male, esterrefatta per quella crudezza che non apparteneva al vento di Narnia e provando una profonda angoscia che le strinse il cuore in una morsa.

Sua sorella non stava bene, lo sapeva. Ma quel giorno... quel giorno c'era qualcosa di diverso.

-Ahislyn! Che ne sarà di Narnia?- provò a chiamarla, vedendola allontanarsi, il tono più alto del normale che fremette sotto il peso della preoccupazione. La figura davanti a lei sussultò, infossandosi nelle spalle e voltandosi leggermente.

Aveva l'espressione più tetra che le avesse mai visto in viso e Dhemetrya, per la prima volta nella sua vita, ebbe paura, mentre ne osservava gli occhi vacui guardarla con rammarico.

Una paura folle, reale, sinistra, che le mozzò il respiro in gola e le diede un brivido di freddo lungo tutto il corpo. Fu come una scossa che la mise di fronte a una delle verità più crudeli, a una di quelle che aveva cercato di ignorare per molto, troppo tempo.

Lo sapeva.

Lo sapevano entrambe, come una realtà taciuta ma sempre stata presente, visibile, sotto gli occhi di tutti.

Dhemetrya si morse il labbro percependo gli occhi pizzicare e si portò una mano alla bocca per reprimere un singhiozzo.

-Non voglio più sentire niente, non ce la faccio. È troppo da sopportare.-

La realtà che Ahislyn si stava lasciando morire.


-Mi scoppia la testa.-

Dhemetrya sbatté le palpebre, fissando gli occhi sul cielo nuvoloso che si riusciva ad intravedere dalle fronde degli alberi e provando una fitta di fastidio per la luce improvvisa. Una leggera folata di vento le accarezzò la pelle e percepì distrattamente qualche goccia trasportata dall'aria caderle sulle guance.

Provò a muovere un braccio, sentendolo particolarmente pesante, le dita che accarezzarono il terriccio ancora umido passandoselo tra i polpastrelli per riprendere contatto con la realtà. Sentiva tutto il corpo addormentato, spossato. Gli occhi le bruciavano e aveva sete. E quel sogno... no, quel ricordo. Faceva male, come se vi fosse ancora completamente immersa.

-Sarebbe strano il contrario.-

Dhem voltò leggermente la testa, accorgendosi della figura di Antares dietro di lei che le aveva fatto da appoggio durante la notte, Evelyn seduta poco distante con una mano sulla tempia. Lia era accoccolata davanti a loro, come se insieme al Narniano avessero costruito un bozzolo che le aveva circondate le ore precedenti per cercare di proteggerle da ciò che stava intorno a loro.

Sentì i vestiti appiccicati alla pelle e un brivido le diede la pelle d'oca per il freddo che le stavano lasciando addosso. La mora lo percepiva penetrarle fin dentro le ossa, ora che aveva riacquistato abbastanza lucidità, congelandole le membra in una morsa inclemente a cui non era più abituata. A nulla era valso tentare di coprirsi con il mantello.

Evelyn non si era voluta muovere, andando avanti a piangere tutta la notte, e lei non aveva potuto fare altro che seguirla in quelle ore di tormento, troppo confusa anche solo per provare a pensare che sarebbe stato meglio trovare un posto coperto.

Si tirò leggermente seduta, appoggiandosi meglio al fianco che l'animale le stava offrendo e attirando l'attenzione di Lia che si limitò a lanciare un'occhiata, prima di tornare a osservare la Pevensie.

-Ciao.- la salutò la ragazza, lanciandole uno sguardo veloce accorgendosi che si fosse svegliata seguendo la direzione in cui stava guardando la lupa. Tornò a massaggiarsi la fronte, per alleviare il fastidio pressante che le pulsava a intermittenza.

-Mh... ciao.- mugugnò, poco convinta, tirandosi addosso il mantello fradicio. Scosse le spalle, cercando di scacciare la sensazione di angoscia che sentiva ancora serpeggiarle sotto la pelle se ripensava ai propri sogni.

Fece dardeggiare lo sguardo lungo la piccola radura, ispirando l'odore di terra bagnata e fogliame, per cercare di riacquistare una mera apparenza di equilibrio in mezzo al caos che erano le sue emozioni e il contatto con Narnia. Sentiva il legame più vivo che mai, e più sofferente che mai. Narnia soffriva, era stanca, la magia scomparsa. Ma più di tutto sentiva anche un senso di tradimento, l'aria fitta che tagliava i polmoni e qualcosa di anomalo nell'atmosfera, qualcosa di pesante che si posava su di lei rendendo il tutto angustio.

Giusto, sbagliato, non sapeva dargli un termine.

Forse c'entrava che Evelyn fosse venuta a conoscenza della cosa, come se in qualche modo il suo spirito si fosse risvegliato toccato dalla consapevolezza che la terra che aveva sempre conosciuto non era la sua casa. Come sorta di richiamo a cui aveva risposto inconsciamente.

Insomma, Aslan non era mai stato chiaro su come quel tornare alle origini dovesse avvenire e le conseguenze che ne sarebbero scaturite, si era limitato a metterli al corrente delle cose e che tutto avrebbe avuto una sua strada da percorrere. Non che ne fosse sorpresa. A lui interessavano gli equilibri di un mondo che però molte volte si era lasciato alle spalle.

Un controsenso.

E loro ne pagavano le conseguenze. Lo avevano sempre fatto.

Dhemetrya iniziò a domandarsi quanto ci fosse di giusto nella propria esistenza millenaria, nel disegno che la grande magia aveva tessuto per lei dall'alba dei tempi.

Scosse la testa per cercare di scacciare quei pensieri traditori, alzandosi in piedi con non poca fatica. Stirò le braccia e salutò Antares con un cenno del capo, tornando poi a rivolgere l'attenzione alla Pevensie, tenuta pazientemente sotto osservazione dalla lupa.

Lia non aveva dormito, quella notte, e aveva passato il tempo sentendo la pioggia infradiciarle il pelo mentre concedeva a se stessa di perdersi nei ricordi.

-Mi fa male tutto.-

La mora occhieggiò Eve, sentendo la gola secca e accovacciandosi nuovamente da parte a lei per osservarla più da vicino. Aveva i vestiti zuppi, come lei, vari tagli sul viso e le escoriazioni sulle mani erano ancora arrossate.

-Dovremmo tornare, almeno per cambiarci e medicarti.- forse sarebbe stato meglio portarla da Lucy e farle prendere la sua medicina per evitarle ulteriori dolori e possibili malanni.

-No!- Dhem bloccò a mezz'aria la mano che le stava offrendo come appoggio, congelata dal tono rabbioso con cui quelle parole lasciarono la bocca di Eve come se fossero rivolte direttamente a lei.

-Non voglio tornare! Non voglio vedere nessuno!- incalzò la Pevensie, e il ringhio intriso in quelle frasi si espanse nell'aria come un tuono mentre incrociava le mani al petto per sottrarsi ad un eventuale contatto. La Narniana si umettò le labbra, turbata. Giusto... Evelyn non sapeva ancora tutto.

-Va... va bene, possiamo rimanere qui.- mormorò, lanciando un'occhiata implorante a Lia chiedendole tacitamente aiuto. Era sempre stata quella che ascoltava di più.

Eve socchiuse gli occhi, nascondendo il viso tra le ginocchia che si portò al petto. I muscoli del corpo le dolevano incredibilmente come se avesse passato le ultime giornate a combattere senza sosta, la caviglia si era ingrossata. Strinse i denti, ignorando le fitte alle tempie sempre più frequenti e i lampi di luce che ogni tanto le scoppiavano davanti agli occhi, lasciandola stordita.

Doveva calmarsi. Doveva solo calmarsi e il dolore sarebbe passato.

Respirò profondamente, concentrandosi sui rimasugli di pioggia che cadevano attorno. Tutto il resto della foresta era silenzioso, chiuso in quel mutismo ermetico che ormai aveva imparato a conoscere fin troppo bene. Avrebbe voluto sparire insieme a quel vuoto, inghiottita dal peso che sentiva sul cuore pur di non doverlo più sentire. Appena aveva ripreso contatto con la realtà era stato lì, pronto a toglierle il respiro e farla ribollire di rabbia e delusione.

Perché le avevano mentito? Quante cose le avevano tenuto nascoste?

Evelyn strinse i pugni, domandandosi come avesse fatto a non accorgersi che c'era qualcosa che non andava tra di loro. Come erano riusciti a mantenere così bene quel segreto?

Il segreto che lei non era una Pevensie. Non era una di loro.

Non era nemmeno nata in quel mondo che non aveva mai sentito totalmente proprio, troppo rumoroso, pericoloso e violento, ma che era l'unico che avesse mai conosciuto – almeno, prima di Narnia. Quella sensazione, almeno, adesso sembrava aver trovato una motivazione valida.

Lei non era... cosa non era? Chi era? Se non era una Pevensie, chi era?

Evelyn si sentì vuota, persa nei propri pensieri e in balia dell'insicurezza che prendeva lentamente il sopravvento su tutta la tormenta di emozioni che l'avevano scossa senza tregua le ore precedenti. Tutto ciò che conosceva era una bugia. Non era più sicura di nulla. Nemmeno di se stessa.

-Perché? Perché mentirmi?- si lasciò sfuggire insieme ad un sospiro, gli occhi socchiusi che osservavano il terreno ai suoi piedi ed il vestito sporco. Gonfiò leggermente le guance, inclinando il viso senza staccare lo sguardo dal terreno.

-Se non sono una Pevensie, chi sono?- non vide i tre che la circondavano guardarsi per vari secondi mentre era intenta a smuovere il terreno con un piede.

Dhemetrya si morse un labbro, aprendo la bocca per parlare ma sentendo le parole bloccarsi in gola insieme al poco coraggio che era riuscita a raccogliere. Si schiarì la voce, distogliendo lo sguardo per puntarlo sul cielo plumbeo. Temeva come avrebbe reagito Evelyn una volta che le avessero raccontato tutto.

-Noi... possiamo aiutarti. Possiamo spiegarti.- la Pevensie voltò leggermente il viso, fissandolo su Antares senza cambiare espressione. Osservò il Narniano con sguardo perso, aggrottando le sopracciglia per un breve attimo, rimanendo in silenzio mentre questi la osservava, serio.

-Cioè?- soffiò fuori, dopo un po', affilando leggermente lo sguardo con sospetto. Dilatò le narici per respirare ed Antares fu certo si fosse messa sulla difensiva da come si immobilizzò sul posto, come se le sue parole l'avessero colpita solo dopo interi attimi e temesse di poter ricevere altro dolore.

-Ciò di cui parlavano i tuoi fratelli, noi lo sappiamo. Non è colpa loro...- provò ad intercedere il Narniano, ma la vide tirare le labbra a quell'ultima frase e si fermò, smorzando ciò che stava per dire.

Che avrebbe dovuto perdonarli.


Evelyn non l'avrebbe mai accettato, non con quella ferita ancora vivida e sanguinante che le tediava la testa e il cuore. Certo che lei pensava fosse colpa loro. Erano loro ad aver taciuto.

La Pevensie scoccò un paio di sguardi a Dhemetrya e Lia, forse cercando di captarne i pensieri, prima di tornare a guardare Antares di sottecchi dopo aver analizzato brevemente la natura circostante. Si morse il labbro, guardinga, sentendo la brama di conoscenza accendersi come una piccola fiammella tra i cocci che erano il suo cuore e la sua anima.

-Spiegati, per favore.-

Se qualcuno poteva darle delle risposte le avrebbe ascoltate. Non aveva senso che si nascondesse ancora dietro delle bugie. Più male del tradimento dei propri fratelli non ci poteva essere nient'altro, potevano pure dirle che fosse un alieno e non le sarebbe importato.

Lia sospirò, occhieggiando il compagno e annuendo, lasciando che fosse lui a parlare, quella volta.

-Perché mentirmi? Perché non dirmi nulla?- incalzò nuovamente, sembrando tanto un disco rotto. Sembrava che la sua mente si fosse fermata a quel particolare, incapace di formulare altri pensieri al di fuori di esso; probabilmente era ancora sotto shock.

-Immagino avessero... paura della tua reazione.- azzardò Antares, cercando di infonderle un po' di calma con il suo tono di voce neutro. Non era sicuramente una situazione facile essere divisi tra sapere la verità e nasconderla dietro una facciata di quotidianità sperando non saltasse mai fuori.

Evelyn s'infossò nelle spalle, non potendogli dare torto. In ogni caso non avrebbe reagito bene, ma avrebbe preferito saperlo anni prima. Molti anni prima. Avevano passato quindici anni a Narnia. Le cose con Edmund non gli avevano insegnato niente? Pensava che la trasparenza fosse un aspetto fondamentale della loro vita dopo mesi e mesi di discorsi mal interpretati e sentimenti repressi che li avevano messi tutti in pericolo quando erano ancora bambini.

Eve sospirò, socchiudendo gli occhi ed appoggiando nuovamente il viso sulle ginocchia. Nemmeno lei era stata sincera con loro, se la metteva sotto quel piano. Aveva taciuto un sentimento per anni ed era come se avesse sempre mentito in faccia ad ognuno di loro ogni volta che gli rivolgeva parola.

Scosse la testa, percependo l'abito umido procurarle dei brividi e i capelli appiccicati alle spalle.

No.


No, erano due cose completamente diverse. Non si potevano nemmeno paragonare.

Evelyn tornò ad osservare i tre Narniani, mugugnando un assenso tra i denti.

-Quindi, cosa sapete su di me?- domandò, prendendo coraggio e affilando lo sguardo. Dhemetrya fremette davanti a quel cambio di comportamento, percependo l'aria farsi più elettrica attorno a loro. Le sembrò di sentire la terra vibrare leggermente, ma fu un pensiero talmente veloce che pensò di esserselo immaginata.

-Sei la reincarnazione delle Guardiane di Narnia.- tagliò corto il Narniano, senza girarci troppo intorno. Evelyn ammutolì, boccheggiando a vuoto varie volte mentre processava quelle parole. Si rese presto conto di capirci meno di prima, mentre una strana sensazione di angoscia e agitazione prendevano piede dentro di lei. Che diavolo voleva dire? Che storia era?

-Antares!- fu il richiamo allarmato di Lia che ruppe il silenzio che li circondava. La lupa sospirò esasperata, ricordandosi come mai fosse sempre stata lei quella che portava le notizie in giro, mentre scoccava un'occhiata bruciante al compagno a cui questi non fece caso.

“Un po' di tatto era chiedere troppo?”

“Non vale la pena girarci intorno ancora.”


Lia sbuffò, tirando indietro le orecchie e sbattendo la coda contro il terreno con nervosismo, puntando lo sguardo su Eve che si passò una mano tra i capelli per togliere i ciuffi da davanti agli occhi.

-C__Cosa... che intendi?- soffiò fuori, la bocca semi aperta in un'espressione che sembrava tanto stupore.

-Prima del lungo Inverno, quando Narnia era ancora alle origini, Aslan e la Grande Magia diedero la possibilità agli elementi che mantengono questo mondo in equilibrio d'incarnarsi. Diedero vita alle Guardiane, nate dall'essenza più pura di un elemento e della magia.-

Evelyn aggrottò le sopracciglia, non capendo quella storia assurda ma sentendosene suo malgrado irrimediabilmente rapita. Si permise di lasciare da parte i tormenti per ascoltare.

-Le Guardiane? Nessuno ne ha mai parlato.- constatò, cercando di ricordare tra i meandri della propria mente se fosse effettivamente la prima volta che sentiva quell'argomento. Le sembrava come se si fosse aperta una porta che la collegasse direttamente a millenni prima.

-Sono ormai leggende, dubito ci sia ancora qualcuno che ricordi le fondamenta su cui si basa l'equilibrio di Narnia fin dall'alba dei tempi. Le Guardiane avevano l'ingrato compito di sorvegliare questo mondo, mantenerne intatto l'equilibrio preservando la loro stessa purezza di animo, perché erano nate da esso e dagli elementi che lo costituiscono ed erano irrimediabilmente collegate. Una vita... non vita.- provò a spiegare Lia, persa nei propri ricordi.

Il legame che univa quegli spiriti sempre erranti alla terra a cui appartenevano era qualcosa di simbiotico. I loro pensieri, le loro emozioni, i loro turbamenti... tutto era collegato. E per questo doveva essere sempre tutto equilibrato, al fine di mantenere Narnia sempre viva e pulsante.

La Pevensie formulò un'espressione dubbiosa che non riuscì a reprimere.

-Ancora non capisco... cosa c'entro io?- chiese, in un mormorio sommesso e scuotendo la testa. I suoi occhi brillarono in cerca di risposte, spaesati.

-Tutto a Narnia è collegato.- interruppe Dhemetrya, con la voce roca. Toccava a lei dire quella parte, lo sapeva. Era compito suo. Tossì un paio di volte per schiarirsi la gola, ma la voce le uscì graffiante allo stesso modo.

-La fine non è mai una vera fine e anche quando le Guardiane scomparvero non... non morirono. I loro spiriti tornarono a collegarsi all'elemento da cui avevano avuto origine. Come un cerchio, ecco. Tu immagina un cerchio.- le disse, puntando un dito a mezz'aria per facilitarsi. Eve seguì la punta del dito davanti al proprio viso, concentrandosi per quanto possibile.

Dhemetrya chiuse gli occhi, riportando a galla la propria storia e iniziando a raccontare.

-La prima Guardiana a prendere vita fu quella nata dalla Terra. Quando scomparve si riunì al proprio elemento. La Grande Magia li fece passare tutti e quattro, ma nessuna di loro fu immune dai problemi e prima o poi finirono tutte con il fallire, rischiando di mandare Narnia nel caos. Pensò fosse perché un elemento singolo fosse instabile per un carico così pesante da sopportare. Quindi raccolse le essenze di tutti e quattro, reincarnandoli in una quinta Protettrice.- Dhem deglutì, sentendo la voce venire meno, lo sguardo perso a millenni prima.

Ricordava la prima volta che aveva aperto gli occhi e la prima cosa che aveva potuto vedere era stata la mano che le veniva offerta, il viso etereo che le sorrideva magnanimo. Scosse la testa, rimandando quelle memorie a un altro momento.

-Ma fu inutile. Era una vita di sofferenze, e avere delle guide vicino non alleviava la solitudine e la sofferenza che sentivano quelle anime. Senza contare che, essendo tutto collegato, nello spirito della quinta Guardiana erano conservate le essenze di quelle che l'avevano preceduta, come dei ricordi andati a male che ne intaccavo l'anima che invece doveva restare pura. Quando scomparve lasciò Narnia in balia del gelo... e di Jadis.-

-Un circolo vizioso.- mormorò Evelyn, ancora scossa per quel racconto. Voleva saperne di più. Che fine avevano fatto le Guardiane? Perché se ne erano andate lasciando il posto che gli aveva dato la vita a sé stesso? Se tutto ciò che dovevano fare era proteggere Narnia, perché non ci erano riuscite? Lia annuì, grave.

-Dal momento che è tutto un grande cerchio... anche lo spirito dell'ultima Guardiana ha dovuto reincarnarsi... in te. Per continuare il compito che le era stato dato. È stato qualcosa di inaspettato, ma si è andato a mischiare con la profezia dei tuoi fratelli.- La Pevensie si ritrovò a riflettere, suo malgrado.

-Un po' come se fossi stata creata per questo momento?- chiese, titubante. Dhemetrya aggrottò le sopracciglia, non capendo subito a cosa si riferisse Evelyn. La osservò mentre si teneva il mento tra indici e pollice, i graffi che iniziavano a fare le prime crosticine.

-Può darsi. La Grande Magia ha sempre mosso le cose che poteva a piacimento, il resto... credo sia una storia già scritta che nessuno di noi sa come deve andare.- I quattro si ritrovarono in silenzio, persi nei propri ragionamenti.

Le Guardiane avevano sempre fallito, per un motivo o per l'altro. E millenni dopo Narnia aveva bisogno di aiuto, esattamente come lo aveva avuto per sconfiggere Jadis. Era come se il destino avesse fatto in modo che ci fosse nuovamente la presenza di quelle che erano state le sue guide in quei periodi di profonda crisi.

-Quindi... non sono umana perché sono una Guardiana?- provò Eve, ancora frastornata, sentendo la voce cedere sotto il peso di quella domanda. Antares scosse lievemente la testa, sbuffando leggermente.

-No... non proprio. Il tuo spirito, indubbiamente. Ma prima di tutto tu resti Evelyn.-

Dhemetrya si morse il labbro, sentendo una fitta al cuore a quelle parole. Si passò una mano sugli occhi con stizza per scacciare il principio di lacrime che percepiva iniziare ad offuscarle la vista.

Già... Eve era semplicemente Eve.

Aveva sempre creduto che avrebbe ritrovato la sorella, una volta che tutto fosse venuto alla luce, ma mai come in quel momento, mentre la vedeva osservarsi in giro con occhi spaesati raggomitolata su se stessa, l'abito infradiciato e l'espressione ancora mezza spiritata, Dhem capì di essersi sbagliata. Per tutti quegli anni, si era sbagliata, attendendo qualcosa che non sarebbe mai arrivato.

Poteva anche essere tutto collegato, poteva anche condividerne lo spirito... ma Evelyn non sarebbe mai stata Ahislyn.

Ahislyn se n'era andata. Molto tempo prima.


-Mi dispiace, Figlia mia. Speravo sarebbe andata diversamente, questa volta.-

Dhemetrya tirò su con il naso, puntando lo sguardo pieno di lacrime sulla figura eterea che le era comparsa davanti. Non avrebbero dovuto provare niente, avrebbero dovuto essere immuni alle sensazioni per evitare di complicare le cose, eppure... poteva il dolore della mancanza essere così letale?

La Grande Magia la osservò per un lungo istante, studiandone i tratti distorti dalla sofferenza e gli occhi arrossati, le labbra tumefatte per i morsi che si era data pur di ricacciare indietro le urla di frustrazione che avrebbe voluto fare esplodere.

La donna tirò le labbra esibendo per una rara manciata di secondi un'espressione tesa, indecisa se muovere un passo verso la figura inginocchiata di fronte al piccolo stagno da cui aveva preso vita, totalmente incapace di fare qualsiasi cosa dinanzi a quella visione.

L'acqua del lago si increspava in onde agitate in simbiosi con il tormento che percepiva provenire dalla Narniana e candidi fiocchi di neve iniziarono a scendere dal cielo coperto di nuvole bianche.

Eppure era piena estate.

Dhem li osservò posarsi su Narnia in modo sempre più fitto e sentì quello stesso gelo lambirle il cuore, l'anima, congelarla fin nella parte più profonda che aveva allo stesso modo in cui prepotentemente prendeva il sopravvento su quel mondo.

La Grande Magia congiunse le mani in una preghiera che avrebbe dovuto concedere ancora un po' tempo prima di quel nuovo capitolo per Narnia, allungandone poi una verso la ragazza per costringerla a guardarla negli occhi.

Non seppe bene cosa dire, incapace di provare reali sentimenti e tutto ciò che riuscì a rivolgerle fu un mezzo sguardo compassionevole.

-Fatti forza, Dhemetrya Selenya. Vederti così mi spezza il cuore, e Narnia soffre.-



-Eve?-

I quattro si girarono contemporaneamente verso un angolo del piccolo spiazzo in cui erano rifugiati ormai da ore. Evelyn si irrigidì di colpo, sbiancando visibilmente, mentre Dhem scattò in piedi come se fosse stata punta da qualcosa. Si mise di fronte alla ragazza, nascondendola leggermente dietro le proprie gambe esili e puntando lo sguardo improvvisamente attento sul ragazzo sbucato fuori dal nulla.

Edmund.


Come aveva fatto a trovarli? Li aveva cercati?

-Ed...- sentì dire da Evelyn, e ne captò la poca convinzione con cui il nome del fratello le era uscito dalle labbra. La Narniana strinse i pugni, percependo una chiara irritazione gorgogliarle nel petto. Non erano stati chiari a dire di lasciarli stare? Che cosa volevano combinare, ancora?

-Vattene, Edmund.- ringhiò improvvisamente Eve, ritraendosi inconsciamente ancor di più contro Antares per cercarne il calore. La Pevensie interruppe il contatto visivo, rivolgendo l'attenzione altrove, lasciando che per vari secondi un silenzio esterrefatto si annidasse tra le tre figure che le stavano vicino.

Dell'espressione pensierosa e quasi tranquilla di poco prima non era rimasto nulla. I tratti le si erano irrigiditi e si potevano sentire i denti sfregare tra loro per il nervoso, le mani strette a pugno sulla gonna del vestito e gli occhi gelidi.

-Volevo solo sapere come st__-

-Cosa non hai capito del fatto che te ne devi andare?- incalzò nuovamente, scoccando la lingua contro il palato palesemente scocciata e parlando più veloce del solito. Lia notò che le tremava il labbro inferiore ed era sicura si stesse trattenendo pur di non scoppiare a piangere, improvvisamente turbata da tutto ciò che per un attimo aveva lasciato da parte e che la comparsa del fratello aveva riportato a galla.

Edmund abbassò lo sguardo, colpevole, sentendosi trafitto da sei paia di occhi – e nessuno di loro era lo sguardo che invece stava cercando e che si era preparato ad affrontare. Voleva solo sapere se stesse bene.

Si ritrasse, infossandosi nelle spalle e domandandosi perché mai avesse tentato di avvicinarsi. Evelyn era arrabbiata con loro. Con tutti loro. Lui non faceva eccezione. Poteva comprenderlo, ma il suo rifuto gli faceva male comunque. Dannatamente.

-Mi dispiace.- mormorò, mordendosi un labbro. La sua mente gli urlava di girarsi e andare via, di non farsi ancora più male, ma non ci riusciva. Alzò lo sguardo, sentendo il respiro mozzarsi e sgranando gli occhi, colpito dall'angoscia.

Era come se stesse guardando la scena dall'esterno. Lui da una parte, diviso irrimediabilmente dai quattro poco distanti come se vi fosse appena calato un muro insormontabile. Ebbe l'inconfondibile impressione di non essere il benvenuto e cercò nuovamente lo sguardo di Evelyn per cercare di scacciare quella sensazione, contatto visivo a cui questa volta lei non si sottrasse.

Forse avrebbe preferito avesse continuato a farlo, Ed, lasciandolo beato nella sua ignoranza. Perché l'espressione che gli stava relegando gli fece gelare il sangue nelle vene e piuttosto avrebbe preferito morire, invece che essere guardato con quegli occhi che gli diedero la sensazione di volerlo annientare sul posto.

-Vattene, Edmund.-

















































































































































Holaa! Benvenuti o bentornati! Come vi procedono le cose? Spero tutto bene!
Allora, che dire... ho fatto un pochino fatica con questo capitolo, spero che la spiegazione sia più chiara ma non temete, la storia delle Guardiane tornerà fuori e verrà approfondita per capire bene cosa sia successo. Per il resto... ve la aspettavate la reazione di Lucy? Spero risulti abbastanza IC con il personaggio, ecco.
Ringrazio le persone che leggono, preferiscono, ricordano, seguono e un grazie anche a coloro che ogni tanto si fermano a lasciarmi qualche parere! Fa sempre piacere sapere che nonostante il tempo trascorso questa storia riesca ancora ad interessare qualcuno. :)
Alla prossima,
D. <3
 

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Capitolo 39
*** Verso il cielo da una folata di vento. ***


Narnia's Spirits
Verso il cielo da una folata di vento.












La giornata era passata senza altri eventi particolari, in un susseguirsi di silenzi troppo lunghi ed allenamenti rattoppati insieme senza la concentrazione necessaria.

Caspian aveva dovuto prendere in mano la situazione ed aveva sostituito Peter nell'elargire ordini e fare il punto della situazione, in quanto il Re Supremo era stato impegnato tutto il giorno a prendersela con i manichini che gli arcieri usavano come bersagli, scaricandogli addosso tutto il nervoso che aveva raccolto senza un minimo di pietà sotto gli sguardi attoniti dei Narniani.

Il cielo plumbeo era stato spazzato via da una leggera brezza innalzatasi sempre più gradualmente solo verso il primo pomeriggio, e il sole aveva fatto il suo capolino dietro un paio di nubi, venendo accolto con sospiri di gioia: molti si erano infradiciati, colti alla sprovvista dal temporale mentre erano di ronda, e speravano di mettere i propri vestiti ad asciugare al vento senza dover utilizzare i fuochi all'interno della Casa di Aslan in modo da poterli lasciare liberi per i fabbri.

La luce aveva avvolto Narnia illuminandola completamente, ma il freddo lasciato dalla notte prima era più persistente e ancora aleggiava nell'aria rendendola più tagliente del solito. Il sole splendeva, ma non sembrava averne realmente voglia, mentre all'orizzonte era ancora visibile il grigiore cupo che si allontanava.

L'arrivo imminente dell'autunno sicuramente influiva in tutto ciò: la temperatura calava ed i giorni si accorciavano visibilmente, la natura iniziava ad adattarsi a quel cambiamento chiudendosi sempre più in se stessa.

Susan sospirò, passando una mano tra le piume rubino delle sue frecce per lisciarle con cura cullata dallo scoppiettare del fuoco che si trovava davanti e in cui si era rifugiata per alleviare il freddo che le tediava le ossa. Era stanca. No, era esausta. Sentiva gli occhi pesanti e le palpebre calare sempre più spesso, oscurandole la vista, ma non voleva cedere.

Non voleva dormire.

Non ne sarebbe neppure stata in grado. Aveva passato la notte prima preda di incubi, continuando a svegliarsi troppo spesso in balìa del proprio animo tormentato e delle parole che per troppi anni aveva taciuto. Il temporale non aveva fatto altro che aumentarle la sensazione sinistra che sentiva percorrerle la schiena senza darle un attimo di tregua, facendole credere nel dormiveglia di essere tornata sotto i bombardamenti di Londra.

Sue si era alzata di soprassalto varie volte, pronta a tendere una mano in direzione di Lucy con il cuore in gola e la fronte imperlata di sudore per svegliarla in modo da poterla portare nel bunker insieme agli altri fratelli e alla madre. Ma erano solo sogni. E lei era a Narnia. E fuori c'era solo il temporale.

Uno dei temporali più violenti che avesse mai visto abbattersi su quella terra.

La Pevensie si lasciò scappare un altro sospiro, umettandosi le labbra ed alzando lo sguardo per osservare senza interesse l'ambiente che la circondava. I fuochi erano accessi e qualche Narniano stava finendo di limare le spade, altri stavano iniziando a coricarsi per riposare in modo da prepararsi alla ronda notturna.

Si allungò verso la faretra, appoggiata su un masso da parte a lei, rendendosi conto fosse ormai passato il tramonto dal cielo violetto che riuscì a scorgere da un'apertura nella roccia poco lontana e che le dava modo di scorgere un pezzo di paesaggio esterno.

Quante ore aveva passato, lì?

Quando era entrata, rifugiandosi in quella nicchia con la scusa di sistemare le punte dei propri dardi già perfettamente conservati, era poco più che tardo pomeriggio. Forse qualcuno le aveva offerto da mangiare, ma aveva semplicemente negato con la testa senza nemmeno alzare lo sguardo da ciò che stava facendo per vedere chi fosse, totalmente estraniata da qualsiasi cosa le stesse succedendo intorno ed intrappolata nella propria mente.

Aveva lo stomaco chiuso, rigirato su se stesso, ed era sicura che avrebbe vomitato se avesse ingoiato qualsiasi cosa che non fosse acqua.

Susan non aveva pace, preda di una lenta agonia che la stava divorando dall'interno. Come aveva fatto ad essere così stupida? Lei, che solitamente era sempre quella più attenta ai dettagli e riusciva a tenere tutto sotto controllo, come aveva fatto a farsi sfuggire non una, ma ben due situazioni da sotto mano?

Come se non fosse bastato l'evento di Jadis.

Sembrava che tutta la la sua prontezza di spirito si fosse lentamente sciolta fino a scomparire, rendendola solo un fantoccio che si limita a seguire il corso degli eventi senza fare nulla per fermarlo. Susan si sentiva tanto un involucro vuoto, incapace di afferrare il lento scorrere del tempo per inserirsi e lasciare la propria impronta.

Evelyn era scappata, Edmund era l'ombra di se stesso e Peter era inavvicinabile. Come si era arrivati a quel punto? Come aveva potuto lasciare che si arrivasse a quel punto? Per non parlare di Ed, che... che... non riusciva nemmeno a formulare quel pensiero, Sue, sentendo il sangue congelarsi nelle vene ogni volta che ci provava. Come aveva fatto a non accorgersi di nulla?

-Come stai?-

La Pevensie si morse un labbro, strizzando gli occhi quasi fino a farsi male e stringendo la faretra con un tremolio di rabbia.

Era una buona a nulla.

Non era riuscita a fare niente per nessuno e la frustrazione la stava soffocando, accusandola subdolamente di essere un'egoista. Era stata troppo concentrata su se stessa tanto da non accorgersi di ciò che le accadeva intorno, aveva sprecato la giornata a piangersi addosso invece di fare qualcosa per cercare di rimettere a posto le cose.

Ma c'era qualcosa che poteva essere riportato com'era?

-Susan?-

Evelyn molto probabilmente li odiava, per averle taciuto la verità. Susan si era sentita trapassare dai suoi occhi e dall'espressione di delusione che le aveva rivolto fino allo sfinimento, e l'incubo che più volte l'aveva tormentata tempo addietro sembrava aver improvvisamente preso vita. Lo aveva detto, lei, che dovevano dirglielo subito altrimenti sarebbe stato solo peggio.

Lo sapeva, l'istinto glielo aveva gridato, con quella vocina che accompagnava sempre le sue azioni giudicandogliele senza pietà e facendole scattare il sesto senso sempre sull'attenti non appena Peter li aveva messi al corrente della questione. Era una cosa troppo grande perché potessero affrontarla da soli, fare finta di niente e continuare come se niente fosse. E, infatti, non si era sbagliata.

-Susan?-

Sue sussultò, rendendosi conto della mano che le si era posata sulla spalla e la stava scuotendo leggermente per attirare la sua attenzione. Vagò qualche attimo con lo sguardo, mettendo a fuoco la persona che l'aveva affiancata con non poca difficoltà e sentendo la testa preda di una vertigine.

-Caspian...- mormorò, spiazzata dalla sua presenza e percependo il cuore saltarle un battito. Ingoiò a vuoto, distogliendo lo sguardo per concentrarlo nuovamente sulle armi che teneva tra le mani.

-Stai bene?- domandò quello, sedendosi dove poco prima aveva lasciato la faretra senza smettere di fissarla. Susan aveva l'espressione persa, le sopracciglia perennemente crucciate su quel viso altrimenti sempre fiero e imperturbabile. Caspian non l'aveva mai vista in quello stato, nemmeno dopo l'attacco al castello di Miraz. E la cosa lo preoccupava da morire.

Odiava vederla in quel modo e non poter fare nulla, sentiva il cuore stringersi in una morsa e avrebbe solo voluto prenderla tra le braccia per rassicurarla. Ma le sue parole sembravano non raggiungerla. Non del tutto, non nel modo in cui avrebbe desiderato.

 

-Maestro, avete visto i Pevensie?-

Caspian si avvicinò a Cornelius, seduto su una roccia in mezzo alla radura a fissare il cielo plumbeo con aria assorta. L'uomo si portò una delle mani che teneva in grembo a riposizionare gli occhiali sul ponte del naso, donando un'occhiata vispa al ragazzo che gli si era appena avvicinato.

-Tutti o ne cercate uno in particolare?- gli domandò, nascondendo un sorriso sotto i baffi e la lunga barba. Il moro si mosse sul posto, passandosi una mano sui capelli e facendo dardeggiare lo sguardo verso la casa di Aslan. L'aria fredda gli solleticò il collo e sospirò, prendendo posto accanto al suo Maestro sulle rocce ancora umide.

-Penso sia successo qualcosa. Cioè, è successo qualcosa, ma non so cosa. Vorrei aiutare.- disse, guardando l'erba ai propri piedi. Ricordava di aver visto Eve correre via e gli sembrava stesse piangendo, Peter ed Edmund con le espressioni più truci e sconvolte che gli avesse mai letto addosso circondati da una tensione visibile anche per lui che era un estraneo e non li conosceva. Lucy bianca come un cadavere, e Susan... Susan gli aveva fatto paura, gli occhi spiritati mentre mormorava parole sconnesse che non era riuscito a capire. L'aveva accompagnata a dormire perché temeva che gli sarebbe svenuta davanti da un momento all'altro ma non era riuscito a chiudere occhio.

Era successo qualcosa tra i Pevensie, ma non sapeva cosa. Non li aveva mai visti in quel modo, ognuno per i fatti propri, che non guardavano nessuno. Il loro cambio di umore era stato palpabile e repentino, un cambiamento che gli sembrava si sarebbe perfino potuto toccare se solo avesse allungato un braccio.

Caspian si morse l'interno di una guancia, massaggiandosi la fronte per cercare di sciogliere la tensione che percepiva irrigidirgli i nervi e sentendosi addosso il peso del sonno agitato della notte appena trascorsa.

-La Regina Susan è andata da quella parte. Prima però, fareste meglio a rassicurare le truppe, mio Principe.- Cornelius non lo guardò quando alzò di colpo il viso da terra per fissarlo con occhi sgranati, le parole morte in gola, limitandosi a rivolgere il volto verso la direzione che gli stava indicando senza aggiungere altro. Gruppi di Narniani mormoravano tra loro lanciandosi occhiate e alzamenti di spalle, mentre Glenstorm passava tra loro cercando di trovargli un'occupazione ignorando volutamente i Sovrani per non far percepire il velo di perplessità che altrimenti gli si sarebbe letto negli occhi.

Il centauro era bravo a dissimulare, ma non avrebbe potuto fare miracoli contro una folla di Narniani che prima o poi avrebbe chiesto spiegazioni su ciò che stava succedendo.

Il ragazzo si lasciò sfuggire un piccolo sorriso mentre si alzava, posando una mano sulla spalla del vecchio Precettore. Cornelius lo conosceva meglio di quanto pensasse e lo sapeva, ma ogni volta ne rimaneva sorpreso.

-Vi ringrazio, Maestro.-


Caspian ci aveva messo poco, a dispetto di quello che credeva, ad organizzare le attività di quella giornata e dividere i compiti dei Narniani sotto lo sguardo attento di Peter che, però, non si era mai intromesso, limitandosi a fissarlo con la braccia incrociate al petto.

Varie volte gli aveva lanciato delle occhiate, presupponendo che prima o poi avrebbe avuto da ridire su qualcosa come suo solito, ma il Pevensie non aveva mai cambiato espressione. In altre circostanze avrebbe reagito sentendosi orgoglioso del suo operato, ma quel giorno non aveva dato modo a quel sentimento di prendere vita più di quanto fosse minimamente necessario.

La preoccupazione sovrastava tutto il resto.

Peter fissava davanti a sé, la schiena rigida e la mascella serrata tanto duramente da poter scorgere la vena sul collo pulsare, ma era come se non fosse realmente lì, perso in chissà quali pensieri. Caspian lo aveva capito quando tutti se ne erano andati e lui non aveva nemmeno sbattuto le palpebre per accennare un saluto.

Fortunatamente i Narniani si fidavano abbastanza anche di lui da averlo ascoltato senza porsi troppi quesiti, complici quelle giornate che condividevano da ormai più di un mese e che avevano cambiato radicalmente il modo in cui la pensavano sulla sua persona e gli avevano permesso di farsi esperienza concreta.

Se avesse dovuto rapportarsi con gli abitanti di Narnia che aveva incontrato la prima volta non era sicuro di come sarebbe riuscito a gestire quella situazione.

Le persone sospettose, pronte a linciarlo, che gli riservavano sguardi pieni di odio e rancore che l'avevano accolto con dubbiosità avevano lasciato spazio a delle creature amabili, coraggiose e rispettose che non avrebbe mai creduto di poter incontrare prima di quel momento. Non capiva come i suoi antenati avessero potuto compiere atti osceni come dargli la caccia senza tregua arrivando a farli quasi estinguere.

Scosse la testa, Caspian, aiutandosi con un braccio a scostare i rami più bassi che gli ostacolavano la vista del sentiero che stava percorrendo e che Cornelius gli aveva indicato poco prima.

Il suo corpo era come scattato, pungolato dalla sensazione sinistra che potessero esserci dei pericoli, ma quando aveva riconosciuto la direzione verso cui si era diretta Susan si era istintivamente rilassato, ricordando dove portasse quella strada che di poco si allontanava dalla Casa di Aslan ed intuendo volesse passare del tempo da sola.

Proseguì lungo la strada incespicando tra qualche radice, accompagnato dallo scricchiolio del fogliame sotto i calzari e qualche goccia solitaria che gli finiva sul viso cadendo dagli alberi.

Con le fronde che si aggrovigliavano tra loro la giornata sembrava più scura di quello che era in realtà, donando un aspetto fortemente malinconico alla foresta che lo circondava non lasciando passare la luce già flebile. Caspian preferiva di gran lunga le giornate soleggiate, dove il verde della vegetazione risplendeva sotto il sole e si poteva passare il tempo all'aria aperta senza preoccuparsi del maltempo.

In quei momenti si rilassava allenandosi con la balestra o cavalcando con Destriero insieme a quelli che un tempo riteneva fossero i suoi fidati Comandanti, prima che tentassero di ucciderlo rivoltandoglisi contro senza alcun rimorso.

Il Principe calciò un sassolino, scuotendo la testa amareggiato a quel pensiero e tornando a concentrarsi sul presente.

Non aveva senso che rimuginasse ancora su quella storia, aveva già avuto modo di buttare fuori il rancore e l'incredulità che gli aveva lasciato con il proprio Maestro dopo averlo salvato dalle prigioni, esplodendo in una serie di insulti e gesti stizziti che Cornelius si era guardato bene dal rimproverare.

-Susan?-

La vegetazione si diradava attorno a lui sempre più frequentemente, facendolo sbucare davanti a quel fiume che settimane prima era stato testimone di una delle loro prime conversazioni. Ricordava come la ragazza si fosse immersa nella quiete di quel posto assaporando con malinconia la Narnia che aveva conosciuto millenni addietro.

Non gli fu strano, quindi, che fosse tornata lì in cerca di solitudine.

-Susan?- riprovò, scostando uno degli ultimi rami e piantando lo sguardo sguardo sul piccolo spiazzo in cui era finito. L'erba incolta portava ancora in segni della pioggia, inumidendogli le punte degli stivali mano a mano che vi camminava attraverso, l'acqua del fiume scorreva placida ma Caspian notò di come fosse visibilmente ingrossato in certi punti e del fango lungo la riva. Probabilmente spesso usciva dagli argini quando pioveva troppo.

-Che ci fai qui?-

Il Principe si voltò di scatto, interrotto nei propri ragionamenti, facendo dardeggiare lo sguardo finché non si scontrò con la figura della Pevensie. Era seduta sul tronco di un albero a vari metri di distanza, leggermente nascosto dalla vista altrui grazie a dei cespugli che gli erano cresciuti tutt'attorno formando una fitta rete di fogliame e rami più o meno filiformi.

Sue lo guardava con la fronte crucciata, lo sguardo particolarmente spaesato che lo raggiungeva attraversando le ultime diramazioni coperte da foglie ancora acerbe e una mano tenuta sopra il seno che stringeva quel poco di stoffa che riusciva a trattenere, il petto che si muoveva più veloce del solito.

Si era spaventata.

Caspian sentì la gola seccarsi immediatamente al pensiero, un profondo senso di disagio che gli diede la consapevolezza di aver fatto una cavolata a raggiungerla dal cenno del capo che lei gli fece per invitarlo a parlare. Boccheggiò un paio di volte, azzardando alcuni passi particolarmente misurati per colmare il vuoto lasciato dalla domanda a cui non aveva ancora risposto.

Sospirò, raggiungendola, senza il reale coraggio di prendere posto accanto a lei. Solo in quel momento si rese conto di poter essere di troppo. Di non essere gradito.

Susan continuava a guardarlo con occhi sgranati senza staccargli gli occhi di dosso, come se volesse trapassarlo da parte a parte, lasciandogli la strana sensazione che la stesse turbando.

Caspian evitò di ricambiare, tirando le labbra e lanciando un'occhiata ai dintorni per sincerarsi non ci fosse alcun pericolo – in realtà, le pattuglie avevano già passato quella zona per assicurarsi che nessun Telmarino si avvicinasse al loro rifugio, anche se era improbabile riuscissero a passare il fiume prima di aver terminato il ponte. Specialmente dopo il temporale della notte prima.

Tornò a fissare la Pevensie, stringendo i pugni, deciso a non cedere di fronte all'evidente riluttanza che vi leggeva nei suoi confronti.

-Sono venuto a cercarti. Cosa c'è che non va?- domandò, imponendosi di dare un tono neutrale alla propria voce. Moriva dalla voglia di sapere cosa fosse successo tra quei ragazzi sempre uniti, ma ancor più sentiva il bisogno di dimostrare la propria vicinanza a quella ragazza che gli aveva lentamente rubato il cuore, ricambiando il sostegno che gli aveva offerto quando lui stesso si era trovato in preda ai propri problemi.

Si rese conto che gli avrebbe dimostrato anche più di quello, Caspian, se solo lei glielo avesse permesso.

Era pronto a fare di tutto per Susan, tutto ciò che riteneva necessario per aiutarla, sostenerla, confortarla e starle vicino, non importava la situazione. Tutto ciò che riteneva necessario per poterla amare, perché mai si era sentito così legato ad una persona e desiderava dimostrarle quanto anche la sua sola presenza lo facesse stare bene, calmandolo nel profondo senza fargli sentire la necessità di cercare altro – come se avesse tutto, anche se non aveva proprio niente.

Il moro respirò pesantemente, colpito dalla potenza dei propri pensieri e sedendosi accanto a Sue in un gesto impulsivo che non riuscì ad evitare. La vide mordersi un labbro, distogliendo lo sguardo da lui per puntarlo ai propri piedi.

Qualcosa nella sua espressione era cambiata, facendola tendere come una corda di violino.

-Io... non sono nella posizione, forse, per entrare così nel privato. Però sai che poi parlare con me. Di qualsiasi cosa.- buttò fuori, cercando di imprimerci tutta la sincerità che riuscisse a tirare fuori esortandola ad aprirsi con lui. Susan annuì distrattamente, lanciandogli un'occhiata così veloce che pensò di essersela immaginata.

Restarono in silenzio per vari minuti, Caspian osservando il lento scorrere del fiume mentre percepiva con la coda dell'occhio Susan torturarsi le dita delle mani trattenendo la voglia di parlare nuovamente imponendoselo con la forza. L'unica cosa che poteva fare era aspettare, dimostrandole con pazienza che di lui si poteva fidare.

-È successa... ieri sera è successa una cosa.- quello di Sue fu solo un mormorio borbottato senza reale intenzione di farsi sentire, forse più per la voglia di buttare fuori a voce quello che continuava a girarle per la testa che per volerne effettivamente parlare con qualcuno. Caspian lo intuì da come non lo stesse guardando, continuando ad osservarsi le mani come se stesse ragionando da sola, gli occhi persi in qualcosa che gli era ancora negato e di cui aveva sentito solo delle frasi confuse.

Fece per dire qualcosa, ma s'interruppe vedendo le spalle della Pevensie scosse da un tremito, rimanendo congelato sul posto con un terrore che gli si annidò nello stomaco.

Stava piangendo?

-Io e i miei fratelli abbiamo litigato... per una questi__ no, per due questioni.- Susan tirò su con il naso, percependo gli occhi pizzicare ed odiando se stessa. Non avrebbe dovuto cedere, non avrebbe dovuto lasciarsi andare. Non così, non davanti a Caspian, con cui cercava di mantenere sempre un'immagine formale e rispettabile... era per quello che se n'era andata, in modo da potersi permettere di riversarsi addosso tutte le sensazioni che sentiva, tutte le colpe che le pesavano sul cuore senza preoccuparsi dei giudizi altrui, di risultare una povera ragazzina da compatire.

In modo che la fragile Susan, la spaventata Susan potesse emergere, travolgendola con il mare di emozioni che si agitavano sotto la superficie e lasciando che la lasciassero stravolta, stanca, vuota. In modo da non sentire più nulla, come il silenzio spettrale lasciato dopo lo scoppio di una bomba.

-Litigare è normale...- provò a dire Caspian, mordendosi la lingua quando la vide roteare gli occhi al cielo. No, di sicuro dalle reazioni di tutti non era un litigio normale, lo poteva dire pure lui che era figlio unico e non ne sapeva nulla dei rapporti tra fratelli e sorelle.

Represse un brivido, non sapendo bene cosa aspettarsi.

-Per quello Evelyn è scappata?- azzardò, rilassandosi sul tronco per cercare di alleviare la tensione che percepiva avvolgerlo. Per l'ennesima volta la Pevensie si limitò ad annuire, esprimendo un'espressione amareggiata che le increspò la bocca in una smorfia.

-Sei preoccupata?- Susan sospirò, battendo le palpebre un paio di volte e passandosi una mano tra i capelli, cercando di cullarsi con il rumore dell'acqua poco distante.

-Si... e no. Con lei ci sono Dhemetrya, Lia e Antares.- e la sentì, la propria voce, vibrare di risentimento a quei tre nomi che articolò con un groppo in gola mentre ne ricordava l'aspetto. Le costava ammetterlo, ma loro, in quel momento, erano molto più vicini ad Evelyn di quanto avrebbero potuto esserlo lei e i suoi fratelli, e la cosa la lasciava con l'amaro in bocca e qualcosa che le pungolava nell'anima, rendendola inquieta.

La Pevensie si ritrovò divisa, consapevole dell'ambivalenza di emozioni che stava provando. Se non altro, Evelyn non era da sola, consapevole che né le né nessun altro di loro avrebbe potuto fare qualcosa, probabilmente. Non Peter, troppo preso dalla propria rabbia, non Lucy... nemmeno Edmund, nonostante il sentimento che diceva di provare, probabilmente sarebbe stato in grado di raggiungerla.

Il respiro di Susan tremò a quel pensiero, congelandola sul posto come se si fosse trovata di fronte un nemico da affrontare.

Edmund ed Eve...

Chiuse gli occhi, turbata, scuotendo la testa e percependo una sensazione di disagio.

Nemmeno lei sarebbe stata in grado di trovare le parole adatte per farsi ascoltare, nelle condizioni in cui era, perché oltre al senso di colpa che la stava tartassando non avrebbe potuto impedirsi di guardare sua sorella in faccia risentendo nella testa le parole di Edmund.

Susan s'infossò nelle spalle, sentendosi sperduta senza la propria lucidità che l'aveva sempre aiutata a ragionare mantenendo il sangue freddo.

Troppe cose, erano successe troppe cose.

Lei li aveva visti crescere, insieme, li aveva sempre avuti sotto gli occhi... e non si era mai accorta di niente. Che stupida. Che stupida che era stata. E quanto dolore dovevano aver subito, prima di quel momento? Da quanto andava avanti quella storia? Tutto ciò che sarebbe stato diverso, se avessero detto ad Eve la verità fin dal principio?

Strinse le mani a pugno, mordendosi l'interno di una guancia per cercare di dare una calmata ai propri pensieri. Non sarebbe cambiato niente, probabilmente. Ne sarebbe stata scossa allo stesso modo.

Che Edmund ed Evelyn provassero dei sentimenti l'uno per l'altra... non sapeva se fosse una cosa che avrebbe mai potuto accettare.

-Eve ha scoperto che non è nostra sorella di sangue.- spiegò, intercettando l'occhiata che le stava ancora rivolgendo Caspian. Lo vide aprire la bocca con stupore, per poi annuire come se avesse intuito la portata di quella verità e perché la ragazza si fosse arrabbiata tanto da scappare.

Non era una cosa da poco, effettivamente.

-Questo però non cambia le cose per voi, giusto?- Susan annuì, tornando a guardarlo per un breve istante e indurendo lievemente i tratti.

-Ovviamente. È cresciuta con noi, le vogliamo bene e non ci importa. Siamo una famiglia.- avrebbe desiderato che anche Evelyn sentisse quelle parole che non era riuscita a dirle. Che non importava. Non importava da dove venisse, o la storia che aveva raccontato Lia la sera prima, le sue fantomatiche origini.

Non aveva mai avuto importanza, per nessuno di loro.

Ma per Evelyn? Per Evelyn importava, eccome. Dopotutto si trattava della sua persona e loro tacendo era come se avessero deciso per lei, relegando la cosa lontano come se fosse di poca utilità quando, guardando in faccia la realtà, non era poi così. La presenza di Lia, Antares e Dhemetrya ne era una prova. Era una cosa più vicina di quanto avessero potuto immaginare e ormai li stava colpendo senza che potessero impedirlo.

Erano stati stupidi a sottovalutarla solo per il sentimento che provavano nei suoi confronti, pensando che fosse più forte di qualsiasi altra cosa e avrebbe potuto superare qualsiasi situazione. Che avrebbe potuto combattere il destino.

-C'è dell'altro?- domandò il moro, inclinando leggermente la testa e rivolgendole un breve accenno di sorriso per cercare di regalarle un po' conforto. Susan tirò le labbra, non sentendosi contagiata da quella serenità fittizia.

-È una storia complicata, ma sembra che Eve sia in qualche modo collegata a Narnia e a degli spiriti chiamati Guardiane... che ne sia una sorta di incarnazione. Cornelius ti ha mai detto nulla a riguardo?- domandò, improvvisamente incuriosita, ricordando di come il Maestro sembrasse ben informato sulla storia di quelle terre.

Caspian rimase un attimo spaesato, soppesando quelle parole senza capirne appieno il collegamento con la Pevensie.


Reincarnazione?


-Non che io ricordi, ma posso chiedere.- il Principe provò un moto di curiosità a quella storia, suo malgrado attirato come tutte le volte in cui il suo Precettore gli apriva davanti un libro colmo di leggende e si prestava a raccontarne gli aneddoti e a rispondere alle sue domande. Quella era, effettivamente, una storia nuova.

Arricciò il naso, non capendo da dove saltasse fuori e osservando la ragazza di fronte a sé che si era nuovamente rinchiusa nel suo mutismo. Susan era ancora bianca in viso, con gli occhi lucidi per le lacrime che faticava a trattenere circondati da profonde occhiaie e l'aspetto scompigliato di chi non ha passato delle ore serene.

Allungò una mano, prendendogliene una e passandole il pollice sul dorso, in una mero gesto di consolazione che la lasciò per un qualche secondo immobile. La vide mordersi un labbro e strinse la presa, impaurito che decidesse di allontanarsi per nulla intenzionato a interrompere il contatto.

-Sono certo che per lei sia stato un duro colpo.- fu la sua semplice constatazione, immaginando come dovesse essersi sentita Eve e capendo perché tutti i Pevensie fossero come alienati da ciò che gli stava accadendo intorno.

-Ma... come ha fatto a scoprirlo? Avete deciso di dirglielo?- domandò, corrugando le sopracciglia e domandandosi interiormente il perché di quel gesto. Perché far saltare fuori la verità in un momento così delicato, con una guerra alle porte? Non aveva senso. Peter la pensava meglio di così, non se lo immaginava rischiare di buttare all'aria tutto intraprendendo un discorso così delicato senza che pensasse alle conseguenze che avrebbe comportato.

Susan s'irrigidì visibilmente, allontanandosi di qualche centimetro dal corpo del Principe. Giocherellò con i capelli, attorcigliando una ciocca intorno ad un dito, soppesando la situazione e percependo nuovamente un fastidio alla bocca dello stomaco.

-Beh, ecco...- non sapeva quanto avrebbe potuto dire a Caspian, quanto quella verità di cui era venuta a conoscenza solo da poche ore avrebbe influito sul suo giudizio nei loro confronti. Non voleva che il ragazzo che le stava accanto iniziasse a pensare male dei suoi fratelli, solo perché lei non riusciva ad affrontare la situazione da sola senza sentire il bisogno di aprirsi con lui, che la guardava in quel modo così dolce che le faceva suo malgrado sciogliere il cuore.

-Non fare così, dai. Puoi dirmi tutto, sono qui per te.- Susan si accorse di avere iniziato a piangere solo quando la prima lacrima le scivolò lungo il viso fino a finirle sul dorso della mano. Sbatté gli occhi, osservando l'ambiente circostante divenire sempre più offuscato e un nodo in gola bloccarle qualsiasi tentativo di scuse che volesse dire.

-Peter ha visto Edmund ed Evelyn che... che si... si ba_ baciavano.- singhiozzò un paio di volte, passandosi la mano libera sugli occhi per cercare di ritrovare un minimo di contegno. Ebbe solo il potere di iniziare a piangere più forte.

-Ah.- fu tutto ciò che uscì dalle labbra di Caspian, e Susan tra la sofferenza che le stava procurando tutta la situazione, sentì pizzicare il germoglio del pentimento per averglielo raccontato.

Il moro rimase in silenzio, guardandola cercare di fermare le lacrime e tirare su con il naso, provando a nascondere il viso arrossato alla sua vista voltandolo il più possibile dall'altra parte per non dover incontrare i suoi occhi.

-Immagino si sia arrabbiato, e poi... sia saltata fuori la storia di Eve?- azzardò, ricordando di aver sentito Edmund e Peter urlare nella sala della tavola spezzata. Le cose iniziavano ad avere un loro senso.

Susan represse un brivido, riportando a galla le espressioni dei due fratelli e le frasi che erano volate senza riflettere.

-Non so cosa fare.- mormorò, e un ennesimo tremito le scosse il corpo. Si portò entrambe le mani al viso, tremando visibilmente per i singhiozzi, spezzandosi sotto il peso del dolore.

-Non so cosa devo fare...- ripeté, sentendosi totalmente incapace di far fronte a quella cosa. La stava distruggendo. La stava annientando. L'idea che Eve non volesse più parlarle, l'idea che avrebbe dovuto rinunciare a un componente della sua famiglia... era qualcosa che la terrorizzava, che le prendeva il cuore sbatacchiandolo da tutte le parti senza ritegno.

Lei viveva per i suoi fratelli.

Caspian l'abbracciò, spiazzato da quel pianto sommesso e  reprimendo la sofferenza che vederla in quello stato gli stava procurando, la vista della ragazza chinata su se stessa che gli s'imprimeva con crudezza nella mente.

Troppo presa dai propri pensieri per cercare di mantenere quella distanza necessaria che aveva sempre cercato di imporre tra loro non s'irrigidì nemmeno né ebbe alcuna reazione.

Tirò le labbra espirando pesantemente, sentendola tremare tra le proprie braccia, rivolgendo uno sguardo al cielo ancora plumbeo.

-Andrà tutto bene... andrà tutto bene, vedrai.-


-Mi spiace per stamattina, non volevo tediarti con i miei problemi.-

Caspian strinse le labbra per cercare di scacciare il senso di impotenza che percepiva, occhieggiando i dintorni e notando Lucy insieme al suo Maestro e scorgendo distrattamente Dhemetrya che correva fuori dal rifugio senza guardare nessuno.

Non ci aveva capito molto, di quello che era successo, e ancora faticava a dare un senso concreto alle spiegazioni che gli aveva dato Susan – ma, a giudicare da come stava, non era solo un suo problema.

-Non dirlo nemmeno, lo sai che non devi preoccuparti.- disse, tornando a fissarla e sedendosi accanto. Tirò fuori la sua spada e una pietra da un sacchettino che portava attaccato alla cinta dei pantaloni, mettendosi a lisciare la lama per passare il tempo.

Restarono in silenzio per un po', ognuno perso nei propri pensieri, senza la presunzione di parlare di nulla. Sarebbero state solo parole sterili, inutili, e lo sapevano benissimo entrambi.

La Pevensie finì di sistemare le ultime frecce, ascoltando le vibrazioni stridenti provenire dal ferro che sfregava contro il sasso e scorgendo il moro concentrato sul proprio lavoro, la fronte crucciata, lo sguardo penetrante sulla spada che teneva tra le mani e  il corpo leggermente protesto in avanti, i muscoli tesi per lo sforzo.

Il Principe non le aveva più detto nulla dopo il suo sfogo, limitandosi ad accompagnarla al rifugio quando si era calmata nuovamente e non ritirando più fuori quella storia né facendo domande scomode o imbarazzanti, immergendosi negli allenamenti delle truppe. La discrezione che aveva mostrato era qualcosa che l'aveva colpita profondamente, facendole intuire quanto di buon cuore fosse il Telmarino che le stava affianco a dispetto dei pregiudizi che si potevano avere sulle sue origini e che per vari giorni dopo averlo conosciuto le erano sempre tornati in mente.

Sorrise leggermente, sentendo uno strano calore all'altezza del cuore alleviarle il magone che sentiva.

-Grazie, Caspian.-


***


“Ma dove sei finita?”

Dhemetrya s'inerpicò su un ramo, saltando tra un albero e l'altro con dei movimenti precisi e veloci e finendo con il saltellare sulle radici nodose che uscivano dal terreno come se fosse un'equilibrista. La sua sagoma esile e longilinea coperta dagli abiti scuri si mimetizzava perfettamente con il fitto della vegetazione, se non fosse stato per il bagliore degli occhi blu che si sarebbe distinto anche nell'oscurità più nera.

Erano sempre stati magici, velati da una luce che li faceva brillare come se fossero due fiamme di fuoco fatui, ma nelle ultime ore Dhem li sentiva cambiati, più vispi ed attenti ai movimenti della foresta mentre saettavano da una parte all'altra con trepidazione. Piccoli segnali del cambiamento che si era messo in moto.

“Sto arrivando, quante storie per un po' di freddo.”

Scosse la testa, tirando le labbra in un sorrisino che si costrinse a non fare e scendendo dai rami cambiando direzione drasticamente per essere sicura di non venire seguita.

Verso sera avevano convinto Eve a cambiare posto ed erano già un paio di volte che faceva avanti e indietro dal rifugio per andare a prendere vestiti puliti, qualcosa da mangiare e con cui bendarle le ferite, evitando accuratamente di incrociare qualcuno dei Pevensie e sentendosi tanto una ladra, mentre rovistava tra i bauli e le scorte mediche raggruppate su un piccolo scaffale trafugando ciò di cui aveva bisogno.

Non era stato un compito facile, comunque, trascinarsi dietro la Regina: Evelyn si era rifiutata molte volte prima che la convincessero, passando dalla rabbia al pianto e tutta un'altra gradazione di emozioni che non erano riusciti a fermare insieme alla sequela di domande ed obiezioni a cui non sempre erano stati in grado di dare delle risposte soddisfacenti.

Più di tutte, era stato difficile spiegarle il loro collegamento con Ahislyn, perché se davvero ci tenevano così tanto per Eve, cresciuta in una famiglia così unita dove nessuno veniva lasciato indietro e si faceva quanto più possibile per aiutarsi, era impensabile che l'avessero lasciata andare senza fare nulla, loro che ne ne erano sorella e guide, nati con lo scopo di aiutare e sostenere e vivere un'eternità serena in quel mondo a cui erano profondamente legati.

E invece era successo.

Perché se Ahislyn avesse continuato a vivere profondamente sofferente e turbata Narnia avrebbe finito con il pagarne il prezzo. E la Guardiana lo sapeva bene, quel dettaglio su cui si basava tutta la sua esistenza.

Ma era successo anche qualcosa di diverso. Loro non erano scomparsi con lei, finendo relegati in una vita di attesa, come se dovessero scontare la pena per aver fallito nel loro compito. Ed erano passati più di mille anni.

Non sapendo cosa dirle e come riuscire a fare breccia nella corazza di sospetto con cui si metteva a guardarli in quei momenti avevano finito sempre con il cedere, lasciandola sbollire senza insistere troppo e limitandosi a scambiarsi delle occhiate mentre si perdeva nei propri pensieri e probabilmente rimuginava sulle informazioni avute nelle ultime ore.

Non potevano permettersi che si rendesse inavvicinabile anche a loro, non in quello stato sbilanciato in cui versava.

Dhemetrya percorse gli ultimi metri che la dividevano dal luogo designato camminando, stringendo la borsa che portava a tracolla a sé ed osservando la piccola radura aprirsi davanti ai suoi occhi. Al centro vi stava un grosso albero secolare e dietro di esso una serie di cespugli cresciuti su un cumulo di rocce, occludendo alla vista di estranei l'entrata per una piccola nicchia probabilmente usata come rifugio anni addietro e che avevano deciso di sfruttare per quell'occasione.

Posò la mano sulla corteccia, lasciandosi cullare dalla ventata di aria che la salutò passando tra le fronde e rivelandole il cielo della sera ormai inoltrata distinguibile tra le foglie che vennero smosse. Dhem osservò il tappeto blu scuro sempre più fitto di puntini luminosi, così diverso da quello della sera precedente da darle un sollievo che le fece quasi male al cuore.

Narnia...

“Dove siete?”


La ragazza si guardò intorno, provando a scorgere le due figure che stava cercando affilando lo sguardo per metterle a fuoco tra la foresta illuminata dal chiaro bagliore lunare, portando istintivamente una mano al pugnale che le pendeva al fianco con un gesto automatico.

“Girati.”


Vide un fruscio tra i rami e lanciò la sacca con un movimento deciso, facendola volare fin oltre il bordo dello spiazzo e finendo per incastrarla tra alcuni rami.

Sospirò, incrociando le mani al petto ed attendendo con le braccia incrociate, appoggiata mollemente al tronco dell'albero secolare, perdendosi ad osservare il cielo ed incanalando la calma che percepiva provenire da quel luogo accarezzarle la mente. Era come se avessero trovato un pezzo di terra racchiuso in una bolla – e dopo la notte prima era quasi un miracolo.

Chissà se era perché...

-Dhemetrya... dove sono Lia e Antares?- la Narniana staccò la schiena dal tronco, occhieggiando Eve e poi i dintorni, non sapendo cosa rispondere e torturandosi le dita nascoste dietro la schiena. Ne studiò il viso ancora emaciato e gli occhi arrossati, i graffi che iniziavano ad essere meno visibili e i capelli raccolti in una mezza coda.

Dhem si umettò le labbra, sentendosi trapassare dal tono indagatore con cui le aveva parlato, non riuscendo a sostenere lo sguardo spaesato che le stava rivolgendo e lanciando una veloce occhiata di lato.

-Sono... ecco, loro...-

-Non sono andati a chiamare qualcuno dei miei fratelli, vero?- la mora portò le mani in avanti, staccandosi del tutto dall'albero per fronteggiare Evelyn e l'espressione a metà tra l'indignato e l'offeso che stava rapidamente mettendo su.

-No! No, figurati, non lo faremmo mai.- con tutta la fatica che avevano fatto per non far cacciare via anche loro l'ultima cosa che volevano era farle qualche torto. Sapevano benissimo quanto volesse rimanere da sola e non potevano far altro che rispettare quel desiderio. Anche se quella situazione sarebbe dovuta essere risolta il prima possibile. Ma potevano aspettare ancora un po'.

-Siamo qui.-

Evelyn sguainò istintivamente la spada, facendo un paio di passi indietro tirandosi dietro Dhemetrya dopo averla affettata brutalmente per una manica e puntando l'arma verso le due figure sbucate dal nulla. Non si era nemmeno accorta della loro presenza.

Che cosa ci facevano due umani nel fitto della foresta di notte?

-Chi siete? Cosa volete?- sbraitò, gli occhi ridotti a due fessure, mettendosi davanti alla ragazza e sventolando la lama per non farli avvicinare maggiormente in gesti sconnessi. Il suo sguardo mutò rapidamente, passando dallo frastornato al sospettoso nel giro di qualche attimo, relegando i pensieri che l'accompagnavano in un angolo della mente per riacquistare la lucidità necessaria.

-Calma, calma!- portò le mani avanti l'uomo, mettendosi di fronte alla compagna come se dovesse difenderla. Eve ringhiò tra i denti notando il cipiglio divertito con cui la stava guardando, sentendosi profondamente frustrata dinanzi a quella sfrontatezza e al sorriso sghembo che le stava rivolgendo.

-Aspetta!- si mise in mezzo Dhemetrya, ignorando il pizzicore al braccio che le aveva lasciato la Pevensie. La vide scuotere leggermente il capo, stizzita, non capendo quel suo comportamento e continuando a lanciare delle occhiate palesemente contrariate alle spalle della Narniana. Dhem posò la mano sulla lama, in un tacito ordine di abbassarla, ricanalizzando l'attenzione di Eve su di sé.

-Sono... loro sono Lia e Antares.- sussurrò, spostandosi leggermente per permetterle di osservarli meglio. Evelyn corrugò la fronte, analizzando le due figure appena sbucate dal bosco strizzando lievemente gli occhi per la fatica. Sentiva la testa scoppiare.

No, non era possibile.


-Tu menti.- fu la sua constatazione, lanciando un'occhiata di sbieco alla ragazza accanto a lei per tastare la sua reazione. Quante cose le stavano tenendo nascoste ancora?

Dhemetrya sussultò a quelle parole, roteando gli occhi al cielo e costringendosi a non farci troppo caso, mordendosi un labbro per la fitta di sofferenza che le diede sapere che non si fidava abbastanza da crederle sulla parola. Ci mancava solo quello.

-Siamo noi, Eve. Davvero.- la Pevensie tornò a guardare la ragazza che aveva appena parlato, riconoscendo nel tono pacato di voce con cui le si era rivolta qualcosa di estremamente famigliare.

Ne studiò la figura formosa, il seno coperto da un pezzo di stoffa che le lasciava pancia e spalle scoperte e la gonna che dai fianchi le arrivava ai piedi scalzi, i capelli ricci lunghi oltre la vita e il viso rotondeggiante, fissandosi poi sugli occhi. Smeraldi che brillavano su un viso diafano e che le ricordarono terribilmente il verde delle calde giornate primaverili.

L'essenza più pura della terra.


-Lia?- domandò, sentendo la gola secca e il fiato venirle meno. Com'era possibile? Cosa stava succedendo? Evelyn si ritrovò a fissare la ragazza – Lia. Quella era Lia? – senza riuscire a muovere un muscolo, riconoscendo nel fondo dell'occhiata penetrante che le stava restituendo la silenziosa sicurezza che le aveva sempre comunicato con la sola presenza fin dalla prima volta che si erano incontrate.

-Deve essere per quello che è successo ieri. In qualche modo la magia di Narnia deve aver reagito facendoci tornare normali.- soppesò l'uomo, portandosi una mano al mento e sfoggiando un'espressione pensierosa che gli indurì i tratti già marcati.

La Pevensie si ritrovò suo malgrado a studiarlo, soffermandosi sul petto scoperto e passando poi ad osservargli il viso reprimendo un brivido per l'imbarazzo. Aveva gli occhi chiari, le sembravano castani, ma brillavano di una luce diversa che non riusciva a mettere a fuoco da quella distanza a causa dell'oscurità, la mascella ben delineata come i muscoli delle braccia ed i pettorali.

Eve si domandò tacitamente se non avessero freddo, semi nudi nella notte settembrina con i primi venti autunnali che iniziavano a muoversi per Narnia.

Fece passare lo sguardo sulle tre figure che le stavano davanti, analizzandoli con cipiglio critico e sentendo qualcosa di strano invaderle la cassa toracica. Le sembrava di essere lì, ma non essere effettivamente lì, come se guardasse la scena dall'esterno.

Tre ragazzi, tre... Narniani?

-Certo che potevi trovarci qualcosa di meglio.- borbottò l'uomo – Antares, era Antares –, ed Eve si accorse con uno sguardo più attento al suo viso che in realtà non dimostrava più di una trentina d'anni. Lo vide portarsi le mani a stringere la stoffa dei pantaloni strappati che indossava, tastandone il tessuto rigido invitando Dhemetrya a fare lo stesso in una tacita lamentela.

-Ho cercato di fare prima che potevo. La prossima volta ti lascio nudo.- commentò, acida, alzando un sopracciglio con stizza e posando una mano sul fianco, per nulla intenzionata a dargli corda.

-Per Aslan, anche no.- la mora lanciò un'occhiata sbieca verso la riccia, che aveva strabuzzato gli occhi. A Eve sembrò fosse arrossita e la trovò tenera senza nemmeno riuscire a capirne il motivo. Sembrava una bambola, con i capelli che le ammorbidivano i tratti già pieni e gli occhi grandi, come se all'interno vi fossero incastonate due pietre preziose, salvo poi avere un corpo florido e decisamente femminile coperto da una stoffa che le ricordava quella dei sacchi in cui ci mettevano le scorte di cibo e che ne sottolineava le curve.

Accanto a Dhemetrya quella differenza abissale di corporatura tra le due si notava ancora di più, donando a Lia un aspetto decisamente più maturo, trasposizione fedele della sua personalità.

Eve fece un paio di passi in avanti, cercando d'ignorare la soggezione che le metteva addosso essere osservata da due volti nuovi.

Era abituata agli occhi freddi di Lia, azzurri come il ghiaccio che si formava sui rami degli alberi in inverno, e vederla con quei due smeraldi che sembravano sprizzare vitalità da ogni parte la lasciava sconcertata, non riuscendo ad attribuirla ai modi posati con cui si esprimeva.

Per non parlare del perenne ghigno sul volto di Antares. Era quello stato sempre più taciturno, con cui aveva avuto modo di confrontarsi meno, ma così... Evelyn si morse un labbro, lanciandogli una breve occhiata mentre  incrociava le braccia al petto, assumendo una posa ben piantata nel terreno e marcando i muscoli delle braccia.

Tutto in lui gridava sfrontatezza, esplosività, forza. Sembrava tutt'altra persona, così diversa dall'animale mansueto in cui era stato relegato.

Nel giro di una giornata tutto sembrava cambiato, esattamente come repentino era stato lo sconvolgimento che in poche ore le aveva ribaltato la vita, spazzando via tutte le certezze che aveva avuto per anni.

Per quanto Eve avesse cercato di aggrapparsi come una disperata ai rimasugli di quella quotidianità che era rimasta, ai pochi volti che per lei erano l'ultima certezza, ai sentimenti che provava ancora per i suoi fratelli – nonostante tutto, nonostante la ferita del tradimento –, vedere Lia ed Antares in forma umana le diede l'improvvisa consapevolezza che niente sarebbe stato più come prima, che qualcosa si era irrimediabilmente spezzato, esattamente come si era sentita rompere qualcosa direttamente nell'anima la sera precedente.

Sentì una stretta allo stomaco che le diede degli spasmi dolorosi.

Niente sarebbe stato più come prima. Nemmeno lei.




















































































































Ciao a tutti. :)
Ad ogni capitolo ce n'è una nuova, eh? Come potete notare, sto cercando di tirare le fila di un po' tutte le reazioni, nel prossimo capitolo si faranno un paio di punti della situazione. Se riesco cercherò di mantenere gli aggiornamenti nella prima settimana del mese. In base alla scaletta, inoltre, mancano una quindicina di capitoli alla fine - massimo venti. La strada è ancora lunga ma inizia a intravedersi una fine - spero!
Se avete voglia fatemi sapere cosa ne pensate di come sta procedendo il tutto, sono sempre aperta a nuovi pareri. Ringrazio chi legge, segue, preferisce e ricorda e chi è ancora qui dopo tanti anni.
Love, D. <3


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Capitolo 40
*** Sotto lo scintillio delle stelle. ***


Narnia's Spirits
Sotto lo scintillio delle stelle.















-Dorme?-

Antares spostò lo sguardo dal bosco verso il terreno, sporgendosi quel tanto che bastava con il busto per poter osservare in faccia la causa dell'interruzione dei suoi pensieri dal grosso ramo su cui stava provando a rilassarsi, invano, ormai da parecchi minuti.

Dhem lo raggiunse con l'agilità di una gatta nel giro di pochi secondi e gli si sedette accanto, i suoi movimenti accompagnati solo da una leggera brezza che sentì sfiorargli la pelle nuda. Chiunque non l'avrebbe sentita arrivare, ed era in quel modo sfuggente che era sempre riuscita a defilarsi dai Telmarini – specialmente quando, proprio sotto i loro nasi, si intrufolava nella cittadella per cercare qualcosa da mangiare durante gli inverni più rigidi.

Dhemetrya, con il corpo esile e slanciato ed i capelli neri come le piume dei corvi, riusciva a confondersi nelle ombre con la stessa facilità con cui il resto del mondo respirava.

Ma Antares era abituato da millenni alla sua presenza da riconoscerla ormai anche ad occhi chiusi negli impercettibili cambiamenti di ciò che gli stava intorno: una brezza leggera, l'increspatura di uno stagno, un tremore leggero del sottosuolo... tutti modi in cui Narnia aveva sempre accolto la loro presenza.

-Non credo, però è insieme a Lia. Immagino che il tuo giro di ronda sia andato bene invece.- constatò, tornando ad osservare il bosco circostante e lasciandosi dietro quei ricordi veloce tanto quanto li aveva evocati, quando si accorse di come Dhem lo stesse osservando per quel silenzio prolungato.

Se ci fosse stato qualche pericolo l'avrebbe sicuramente sentito.

Era vero che Narnia era come morta nel suo silenzio, chiusa in uno stato catatonico come mai l'avevano vissuta prima, ma la stessa presenza degli ultimi Narniani parlanti era l'unica prova di cui necessitava per credere che ci fosse ancora speranza. Una tenue fiammella, tenuta a bada dalla rigida crudezza oggettiva degli eventi che si erano susseguiti durante quei secoli, ma che non riusciva a far spegnere – esattamente come l'essenza del fuoco che gli scorreva ancora tra le vene.

Due facce della stessa medaglia: se ne fosse mancata una, se la speranza per una Narnia dei tempi d'oro e delle Guardiane si fosse spenta, anche la sua stessa esistenza si sarebbe accartocciata come carta bruciata.

Antares non riusciva a togliersi dalla mente che, forse, non tutto era davvero perduto come invece sembrava averlo sempre creduto Dhemetrya. Altrimenti, sarebbe stata la fine. Per Narnia. Per loro. E non voleva nemmeno vagliare quell'ipotesi, per quanto vicina alla realtà fosse: immaginare di tornare a fondersi con l'essenza di quel mondo, per quanto pacifico sarebbe stato, rinunciando a tutto ciò a cui era abituato, a tutto ciò che lo rendeva lui... lui, era un pensiero angosciante.

Non voleva rinunciare alla propria esistenza, non voleva lasciarsi andare come successo ai loro antenati, Antares. Non era pronto, perché... perché voleva continuare a vivere.

E desiderava che lo facessero anche Lia e Dhemetrya, insieme a lui, compagne di una vita che potenzialmente poteva essere eterna.

La ragazza si passò una mano tra i capelli per sciogliere qualche nodo, lanciandogli l'ennesima occhiata da quando l'aveva raggiunto per soppesare il velo di tensione che sentì improvvisamente provenire dall'amico e che la mise istintivamente in allerta.

-Sembra che non ci sia nessuno in giro.- sussurrò, ripercorrendo con la mente i propri spostamenti. Socchiuse gli occhi per mettere a fuoco la vegetazione circostante, ad accogliere quel gesto solo la penombra. Erano abbastanza distanti dal fiume dove i Telmarini avevano quasi terminato il ponte, ma allo stesso modo erano lontani dalla Casa di Aslan e dalla sicurezza delle sentinelle appostate nei dintorni di essa pronte a segnalare eventuali pericoli. La foresta era troppo silente perché li potesse avvertire in anticipo e con sicurezza se arrivava qualcuno di sgradito, secondo il suo giudizio, quindi aveva smesso di farci affidamento da svariato tempo.

Dhemetrya si era quindi dovuta spingere fino al limite della foresta, osservando da una piccola sporgenza sopra una cascata l'accampamento delle truppe di Telmar cadere progressivamente preda del sonno. Solo le poche torce che si muovevano nel buio segnalavano i movimenti dei soldati che ne controllavano il perimetro, qualche frase spezzata dei loro discorsi portatale da dei soffi di vento: Dhem li aveva ascoltati con quel poco di interesse che era riuscita a racimolare nel caso potesse trattarsi di informazioni preziose, ma la sua espressione si era presto mutata in una smorfia di disgusto mista a noia e disprezzo. I soldati già pensavano di avere la vittoria in pugno, decantando i loro piani futuri una volta sconfitte “quelle creature del demonio inutili anche ad essere esposte come trofei”.

-Dovresti riposare.- constatò Antares, attirando nuovamente la sua attenzione. Dhem socchiuse la bocca, senza ribattere, lanciandogli solo una breve occhiata prima di fissare lo sguardo al cielo scuro ed accorgendosi di aver iniziato a digrignare i denti per il nervoso che ripensare a quelle frasi le aveva inevitabilmente portato.

Come osavano...?

Qualche timida stella faceva capolino tra le nubi sparse, dei fari che provavano a ravvivare con scarso successo quelle notti particolarmente pesanti.

-Sono stati giorni intensi.- percepì uno spasmo nella zona del petto che le chiuse la gola e si costrinse a prendere un profondo respiro. Poteva ancora rimembrare le emozioni che aveva provato, sentendole vibrare sottopelle, pronte ad esplodere al minimo cambio d'umore – segnale inconfondibile di quanto Eve fosse ancora scossa, nonostante non avesse più ritirato fuori ciò che era accaduto e preferendo isolarsi nei propri pensieri.

Dhemetrya si umettò le labbra, cercando di mettere un muro tra il suo animo e quello di Narnia in cui a sua volta vi veniva riflesso quello della Pevensie. Era qualcosa di leggero, un legame – Dhem aveva dovuto ammetterlo a se stessa ingoiando un boccone parecchio amaro – per niente paragonabile a quello che per millenni aveva condiviso con sua sorella e i due Narniani, eppure abbastanza solido da farla rimanere sconvolta ad ogni cambiamento che investiva l'umore della Pevensie e che rischiava di mischiarsi con i suoi sentimenti.

Si chiese come facessero Lia e Antares ad essere così tranquilli quando avrebbero dovuto attingere a quello stesso bacino di emozioni e magia.

Chiuse per brevi attimi gli occhi, espirando pesantemente, e riposandoli poi sul Narniano per scrutarne il volto.

No, c'era qualcosa nel modo in cui era seduto, nelle braccia tese e l'espressione impassibile...

Antares era sempre stato bravo a nascondere ciò che provava dietro una leggerezza palesemente esagerata e dei silenzi troppo alti da poter essere superati. Era stato così fin dai tempi che furono, da quando Ahislyn li aveva abbandonati e quella sorta di maledizione era ricaduta su lui e Lia relegandoli a forma animale – perché senza la presenza della Guardiana le Guide, gli elementi che dovevano fungere da madre e padre, non avevano motivo di esistere...

Quanti muri aveva retto Antares, trasformando in cenere quello che provava, per farle da spalla sicura in cui andare a rifugiarsi, quando Narnia era in balia del gelo sempre più inespugnabile e il dolore per la perdita della sorella la mangiava viva?

Dhemetrya si rese conto, con una fitta al cuore, di quanto dolore la circondasse da secoli. Cosa avevano fatto per meritarsi delle sofferenze simili?

Provando dolore, dolore, dolore, solo dolore.


Cos'era rimasto di bello nella sua esistenza, se nemmeno ne capiva più la ragione dietro essa?

-Sai...- iniziò, e nel giro di un battito di ciglia si ritrovò gli occhi del ragazzo puntati addosso. Nel profondo delle sue iridi di un nocciola talmente chiaro che ricordava l'oro, le parve di vedere il fuoco che lo animava riversarsi all'interno della pupilla.

Piccole pagliuzze che scintillavano e scoppiettavano come le fiamme di un falò.

Dhemetrya restò qualche attimo a fissarlo, la bocca semiaperta in un'espressione di puro stupore. Le sembrò di essere ricatapultata a millenni prima, quando ogni fibra di loro stessi ricordava l'animo elementale da cui avevano avuto origine. Allungò le braccia prendendogli una mano tra le proprie. La trovò calda, esattamente come ricordava, e si sorprese di come gli occhi le diventarono lucidi senza preavviso quando si rese conto, tra le ombre della notte, che la sua espressione si era addolcita, avvolgendole il cuore con lo stesso calore del fuoco da cui era nato e che le era sempre rimasto accanto come lo spirito protettore che era.

-Nonostante le circostanze... è bello rivedervi.-


***


-Quindi... mi spiegate?- Eve si sedette appoggiando la schiena al tronco del grande albero che fino a pochi istanti prima aveva sorretto Dhemetrya, sentendo una fitta di dolore partire dalla caviglia che la Narniana le aveva bendato dopo averci messo dell'unguento. Qualche escoriazione le bruciava e faceva fatica a muovere alcune dita delle mani, respirare le dava delle lievi coltellate e la consapevolezza di non essere totalmente padrona del proprio corpo e la sensazione di vulnerabilità che ciò le provocava non la faceva stare tranquilla.

Dubitava di riuscire a tenere in mano una spada, in quelle condizioni, figurarsi sostenere una battaglia contro dei soldati.

Per ironia, tutto ciò le ricordava le conseguenze di un paio di battaglie particolarmente tediose che si erano ritrovati ad affrontare durante il loro regno. Un po' come la guerra che sentiva essere iniziata giusto un paio di giorni prima, i nemici invisibili del tradimento e del dolore che continuavano a pungolarla affondando senza sosta lì dove sapevano si trovasse il suo punto debole. Il cuore.

Sospirò profondamente, cercando di non fare caso alla pesantezza delle palpebre e la lentezza con cui il suo corpo eseguì il semplice gesto di mettersi seduta. Si sentiva spossata. Totalmente svuotata di ogni energia. Piangere e rimuginare guardando il vuoto erano state le uniche cose che aveva fatto in quelle ore ed aveva la sensazione che non fosse ancora finita, sentiva l'istinto che molte volte l'aveva guidata sussurrarle che un'ombra scura troneggiava su di lei, come una catastrofe che ancora deve prendere vita.

Occhieggiò i dintorni velocemente, posando poi nuovamente l'attenzione sulle tre figure che le si erano avvicinate. Dal basso della sua visuale indagò ancora per qualche secondo sui corpi di Lia e Antares.

-Solo se la smetti di guardarci male.- ironizzò il secondo, alzando un sopracciglio. Lia gli diede una gomitata nelle costole a cui il Narniano volutamente non si sottrasse, limitandosi a lanciarle un'occhiata per nulla turbato.

-Scusatemi, avete ragione... solo che...- Eve abbassò lo sguardo per un breve momento, rilasciando un grosso sospiro e stringendosi nelle spalle per cercare di darsi un conforto che non provava davvero.

-Cercate di capire.- mormorò, studiandoli di sott'occhio. Era tutto così inspiegabile. Narnia era sempre stata magica, strana ed incredibile nel suo modo di essere praticamente unico, un connubio perfetto tra elementi reali e fantasiosi che nel mondo in cui era cresciuta erano trattati solo nei libri. Non era quindi illogico che degli animali potessero trasformarsi in esseri umani – o il contrario? Ma nei quindici anni di regno un evento simile non era mai capitato, ed era sicura che se fosse stato un evento abitudinario l'avrebbe scoperto durante quel periodo. Come le Naiadi, o le Driadi.

Ma questo era
diverso.

La mente metodica di Eve iniziò a ragionare, alienandosi dalla realtà.

C'era quindi da supporre la possibilità che non fosse, forse, una particolarità diffusa in Narnia – e quello spiegava come mai né a lei né ai suoi fratelli fosse mai giunta voce o fossero stati testimoni di qualunque cosa fosse successa a Lia e Antares, negli anni in cui erano Sovrani. Si, era piuttosto sicura che tutti gli animali parlassero, ma nessuno aveva mai detto potessero prendere sembianze umane.

Forse c'entrava il discorso delle Guardiane?

Strinse la mascella a quel pensiero tanto da sentire i denti scricchiolare. In quel caso era tutta un'altra storia. Una storia di cui faceva parte e di cui non conosceva assolutamente nulla. Cercò di non fare caso a come le mancasse il fiato ogni volta che tornava con i propri pensieri su quell'argomento.

E se invece i suoi fratelli le avessero nascosto anche quello?

Eve assottigliò gli occhi, mordendosi un labbro finché non lo percepì pizzicare per l'irritazione che si stava procurando con quel gesto. Era un'ipotesi che non aveva senso, ma quante cose potevano averle tenuto segrete?

-È normale se ti senti spaesata.- la rassicurò Lia, pacata, percependo i dubbi di Eve insinuarsi tra loro. La Pevensie sospirò nuovamente, fissandola profondamente per una manciata di secondi imprimendosi meglio che poteva l'espressione pacifica che aveva nello sguardo.

-Ammetto di non capire come sia possibile.- Era stanca di non sapere. Di non capire. Le sembrava che il mondo si fosse improvvisamente capovolto facendola cadere in un universo parallelo. Ogni fibra di se stessa si tendeva e gridava per avere giustizia per quello che considerava un enorme torto alla sua persona.

Chi era lei? Evelyn Pevensie – o non più Pevensie? O mai stata Pevensie?

Le scappò un mezzo ghigno isterico a quel pensiero. E come se non fosse bastato l'aver scoperto di essere stata praticamente adottata da un altro mondo, c'era anche la questione Edmund. ù

Evelyn non capiva cosa provasse, un miscuglio di rabbia e mancanza, fiducia ed orgoglio feriti che puntualmente la trascinavano nell'oblio della solitudine e della tristezza. Mandarlo via era stata la cosa più naturale che le fosse venuta fare, perché era arrabbiata, tremendamente arrabbiata e delusa, e tutto ciò che desiderava era proteggersi dal dolore che sentiva inciderle il cuore, mettendo più distanza possibile tra lei e uno dei motivi delle sue sofferenze.

Nemmeno il labile ricordo del loro bacio aveva avuto il potere di ammorbidirla – in realtà, aveva fatto finta non fosse mai successo nulla, perché se oltre a tutto aggiungeva anche il dettaglio del bacio con Edmund, e Peter che li aveva visti, e tutto quello che ne era scaturito... Tutto era nato per uno stupido bacio. Quello che nella sua testa aveva sempre immaginato e sognato, non dovendosi mai preoccupare delle conseguenze.


Edmund...

Eve si sfiorò inconsapevolmente le labbra, percependo gli occhi pizzicare e una morsa allo stomaco. Difendersi dalle emozioni che la stavano travolgendo l'aveva fatta scattare prima ancora di pensare a tutto ciò che quel gesto avrebbe comportato.

E se Ed non le avesse più voluto parlare? Se non fosse più tornato, per lei, decidendo che fosse tempo perso, che era meglio provare a rabbonire Peter e le sorelle? Perché lei non era mai stata veramente parte di quella famiglia – Eve sapeva che in fondo non era vero, che probabilmente se non fosse successo nulla non avrebbe mai sospettano niente, ma l'orgoglio ferito era troppo forte in quel momento perché potesse ignorarlo.

Ed era stata una mossa codarda, andarsene senza dare a nessuno la possibilità di spiegare.

Ma la rabbia, la delusione, l'incredulità, il senso di vuoto, tutto le si era appeso addosso, infiltrandosi come veleno, e lei... lei era semplicemente scappata, perché sentiva che ne stava venendo avvelenata. Se le fosse stato possibile, avrebbe voluto arrivare nella parte più recondita di Narnia senza guardarsi più indietro, fermare il tempo e cadere in un sonno lungo dei secoli.

Era incazzata, incazzata nera con ognuno di loro e il ricordo di ciò che aveva sentito le faceva venire voglia di spaccare qualunque cosa le capitasse a tiro – ma il pensiero di essere improvvisamente sola, e di aver allontanato l'unica persona che aveva provato a parlarle, l'unica che nel profondo sapeva avrebbe potuto aiutarla ad alleviare tutti i sentimenti negativi, che le era sempre stata vicino, iniziava a pesare terribilmente.

Perché, a quanto pareva, condividevano lo stesso peccato...

Evelyn sentì una punta di incertezza far vacillare lo scudo di malumore e rancore che la stava accompagnando da quella fatidica sera, così come ogni volta che si trattava di Edmund si ritrovava a provare delle emozioni contrastanti, il peso dei suoi sentimenti che inevitabilmente le offuscava i giudizi.

Se con gli altri riusciva ad arrabbiarsi per molto tempo, se voleva isolarsi perché non necessitava la vicinanza di nessuno, con Ed la sua testardaggine non riusciva fare presa: in qualche modo finiva sempre per cedere, sconfitta dalla necessità di volerlo sentire vicino per quanto poteva, piegata dalla sensazione della mancanza che finiva per toglierle il fiato. Edmund era il suo punto debole, ma anche colui che le aveva sempre dato la forza necessaria per andare avanti. E l'aveva mandato via, ritrovandosi completamente sola. Ad affrontare qualcosa di cui non conosceva praticamente nulla se non ciò che le stavano raccontando quelli che, a tutti gli effetti, erano praticamente degli sconosciuti.

Poteva andare peggio? Era abbastanza sicura di no.

Amava Edmund. Da anni. E amava i suoi fratelli, in un modo che qualcuno avrebbe potuto definire quasi morboso. Eppure le avevano nascosto forse la cosa più importante della sua vita.

Perché? Perché farle vivere una menzogna?

Evelyn si prese la testa fra le mani, massaggiandosi le tempie per cercare di non perdere il poco di lucidità che era riuscita a raccattare. Si concentrò sul proprio respiro per evitare che le emozioni prendessero nuovamente il sopravvento sulla sua mente.

Forse c'era un motivo. Evelyn ammise a se stessa che sapeva che tra di loro ognuno voleva il bene dell'altro. Erano sempre stati così. Non avevano mai avuto altri se non loro stessi, erano scappati dalla guerra, avevano combattuto battaglie, avevano rischiato di perdersi a causa di Jadis, condividevano l'aver vissuto in un mondo tutto loro, un racconto che ad orecchie esterne gli avrebbe fatto guadagnare un posto eterno in manicomio.

In una parte nel profondo del cuore ancora dolente, Eve era consapevole che non le avrebbero tenuto nascosto qualcosa così alla leggera, perché probabilmente anche lei avrebbe fatto lo stesso se il rischio di dire la verità era troppo grande e rischiava di mandare all'aria la sua famiglia. Ma era un pensiero così debole, così leggero e veloce, da venire irrimediabilmente annegato da tutto il resto, una voce soffocata senza possibilità di appello.

Evelyn si stropicciò gli occhi, stanca di tutti quei pensieri che iniziavano a farle pulsare la testa già appesantita. Sentendosi praticamente divisa in più pezzettini tra i sentimenti che si alternavano dentro di lei come onde che si annientano tra loro alzò gli occhi verso i tre Narniani che le stavano di fronte, consapevole di dover prendere una decisione.

Un passo alla volta, un tassello alla volta

Fu dalla scintilla che le aveva animato lo sguardo per un breve istante che Lia capì le intenzioni della Pevensie. Si sedette nel prato, anticipando qualsiasi domanda.

-Cosa vuoi sapere?- L'erba le solleticò le gambe nude e si beò di quella sensazione che per troppi anni le era mancata. I fili erbosi tra le mani, il vento che spirava lungo la schiena dandole la pelle d'oca, i capelli che le solleticavano le braccia... poteva sentire quei pochi rimasugli di magia provenire da ogni singola cellula che le stava attorno in modo nettamente migliore, in forma umana, per quanto deboli e solitari fossero.

Dhemetrya saltò su un ramo, sentendosi più a suo agio a controllare i dintorni mano a mano che calava la notte, rimanendo tuttavia visibile e a portata d'orecchio.

-Siete umani? O animali?- Domandò Eve, indicando i due Narniani con un cenno del capo. Antares si appoggiò al tronco, incrociando le braccia al petto nudo e sospirando. La risposta di Lia, tuttavia, fu qualcosa che nessuno di loro si aspettava.

-Siamo Narniani.-

Eve storse il naso, osservandola passare il palmo tra gli steli verdi come se ci stesse giocando, lo sguardo distante. Il dettaglio della collana che le aveva dato le tornò sotto gli occhi quando la vide ondeggiare all'altezza dell'incavo dei seni, riflettendo pigramente la luce della luna. Eve rimase spiazzata qualche attimo, riflettendo tra sé. Come aveva fatto a non notarla prima?

-Beh, questo mi sembra scontato.- obbiettò, grattandosi una guancia e riservandole uno sguardo risentito. Tutti coloro che abitavano Narnia erano Narniani. Era sempre stato così, li avevano sempre chiamati in quel modo.

-Perdonami, forse non mi sono spiegata bene.- la interruppe Lia, tornando a guardarla. Evelyn la osservò mentre si portava i lunghi ricchi dietro le spalle per non avere ostacolata la visuale. Gli smeraldi che aveva al posto degli occhi la piantarono sul posto come se fosse sotto incantesimo. Anche nelle ombre della notte luccicavano in modo innaturale, decretando senza dubbi che non erano occhi umani. Come quando aveva incontrato Dhemetrya la prima volta, gli zaffiri che aveva per iridi l'avevano ammaliata all'istante, perché era un colore così innaturale da sembrare finto, eppure... eppure le comunicavano qualcosa.

Eve trovò i due incontri molto simili ed ebbe la stessa sensazione di quando, una volta tornata a Londra, quel mondo non le appartenesse per niente. La sensazione che le mancasse un pezzo fondamentale per potersi sentire completa, un dolore pungolante e familiare.

Quindi era lo spirito di Ahislyn dentro di lei che aveva riconosciuto Lia quando l'aveva incontrata settimane prima? Era Ahislyn il motivo per cui aveva passato due anni a struggersi per Narnia, preda della frustrazione non per il Quando come Peter, quanto piuttosto del Perché?

-Quando dico che siamo Narniani, intendo dire che siamo nati da Narnia.- la Pevensie scosse la testa, continuando a non capire dove volesse andare a finire con quel discorso e domandandosi inevitabilmente quanto di ciò che provava, quanto della sua persona, fosse influenzato dallo spirito di cui era la reincarnazione.

-Ti ricordi il discorso sulle Guardiane?- Intervenne Antares, inginocchiandosi di fronte a lei. Evelyn indietreggiò con il busto finendo contro il tronco dell'albero, a disagio per la vicinanza improvvisa e deviando lo sguardo intenso che le stava rivolgendo. Le sembrava che dal suo corpo provenisse del leggero calore e cercò in tutti i modi di non guardargli i pettorali, puntando lo sguardo sul suo viso. Annuì.

-Le Guardiane nacquero da un elemento, tranne l'ultima. Scomparvero tutte.- mormorò, non capendo. A disagio, cercò nuovamente lo sguardo di Lia.

-Forse eri ancora troppo sconvolta ed è comprensibile. Comunque abbiamo accennato a delle guide che avevano il compito di alleggerire il peso di una vita di solitudine.- Eve socchiuse gli occhi, cercando di ripescare tra i ricordi le informazioni necessarie.


"-La prima Guardiana a prendere vita fu quella nata dalla Terra. Quando scomparve si riunì al proprio elemento. La Grande Magia li fece passare tutti e quattro, ma nessuna di loro fu immune dai problemi e prima o poi finirono tutte con il fallire, rischiando di mandare Narnia nel caos. Pensò fosse perché un elemento singolo fosse instabile per un carico così pesante da sopportare. Quindi raccolse le essenze di tutti e quattro, reincarnandoli in una quinta Protettrice.-

-Ma fu inutile. Era una vita di sofferenze, e avere delle guide vicino non alleviava la solitudine e la sofferenza che sentivano quelle anime.-"


Le Guide...

Evelyn smise di respirare per quelli che le parvero minuti interi, passando lo sguardo sui volti dei due Narniani di fronte a lei. Attorno sentiva il silenzio che li circondava diventare sempre più opprimente, portatore di una verità taciuta per fin troppo tempo e che faticava a prendere suono.

Deglutì un paio di volte, percependo un brivido che le diede la pelle d'oca correrle lungo la schiena. Si tese sul posto, attonita, accorgendosi di essersi persa per strada dei pezzi di verità che le erano sempre stati davanti agli occhi.

-Siete voi.- sembrò che nello spiazzo fosse improvvisamente esplosa una bomba. Tutto le fu improvvisamente più chiaro: il racconto, i comportamenti, quegli occhi così innaturali che tanto avevano catturato la sua attenzione e che sembravano suscitarle delle emozioni che non sentiva appartenerle.

-Siete le Guide.-

A quella constatazione susseguirono vari minuti di silenzio: Dhemetrya guardò ostinatamente verso la foresta, mordicchiandosi le labbra senza il coraggio di infilarsi in quel discorso. Il solo sentirlo le provocava dei brividi di emozioni non ben identificate e che avrebbe volentieri affogato nell'apatia. Antares si grattò il collo, tirando le labbra in un finto sorriso e avvicinandosi di più a Lia, ancora inginocchiata di fronte ad Eve. La lupa gli lanciò un breve sguardo di ringraziamento percependo la sua mano sulla spalla, in un muto supporto incoraggiante.

Lia sembrava sempre imperscrutabile, vigile e saggia, la più matura tra tutti loro, salda come la terra e ben ancorata come gli alberi con le loro radici, riflesso quasi perfetto dell'elemento che le aveva dato la vita – tuttavia, qualche volta c'erano i terremoti. Quei minuti erano uno di quei momenti, ed Antares la conosceva troppo bene per non notarlo.

-Già. Eravamo gli spiriti guida di Ahislyn... e Dhemetrya.- mormorò la riccia, stirando le labbra in un sorriso che svanì con la stessa rapidità di un battito d'ali di farfalla. Per qualche istante, il suo sguardo si adombrò, mentre si perdeva in una manciata di ricordi che quel discorso stava inevitabilmente riportando a galla.

Aveva fallito nel suo compito... non era stata una buona madre.

Lia socchiuse le palpebre, le lunghe ciglia che con quel gesto s'inumidirono delle lacrime che le si erano formate agli angoli degli occhi. Percepì Eve irrigidirsi di fronte a sé e si costrinse a ricacciare indietro il groppo di sofferenza che le aveva chiuso la gola.

-Quindi... Dhem non è come voi? Per quello era già... umana?- domandò la Pevensie, titubante, cercando la figura della mora tra gli alberi. I suoi occhi blu catturarono il suo sguardo ed Evelyn intuì si fosse voltata di scatto dopo quella domanda. La sentirono borbottare qualcosa di indecifrabile e strizzando gli occhi Evelyn intuì si fosse nuovamente voltata, dando loro le spalle. Lia e Antares ridacchiarono.

-No, esatto. In realtà anche noi siamo sempre stati umani. Ma le prime Guide erano animali.-

La lupa osservò come Eve stesse ascoltando avidamente ciò che diceva, le poche frasi che la rendevano partecipe di un mondo che aveva sempre ignorato che venivano accolte dallo sguardo ridotto a due fessure indagatrici e la bocca leggermente aperta per lo stupore.

-Quindi... come mai siete diventati... beh...- provò la Pevensie, non capendo. Se non era una Guida, Dhemetrya era quindi una Guardiana? Antares sospirò stanco, prendendo il ponte del naso tra indice e pollice e corrugando la fronte. Percepì lo sguardo di Lia su di sé.

-Quando Ahislyn è scomparsa parte del potere di Narnia è sparito con lei. È complicato da spiegare ma come avrai intuito è un legame molto particolare, quello tra noi, le Guardiane e Narnia stessa.- cacciò fuori il ragazzo, muovendosi lentamente avanti e indietro di fronte alle due ed ottenendo da Eve un cenno del capo.

Lia si alzò per prendere posto contro la corteccia dell'albero, approfittando dell'intervento del compagno per calmare le sensazioni che sentiva scorrerle sottopelle. Stava diventando difficile riuscire a rimanere neutra con quel discorso, ma Antares era sempre stato bravo ad essere per tutte loro la luce nei momenti di buio.

-Non sappiamo bene perché, ma è come se fosse mancato anche a noi parte di quel potere. O almeno, questa è l'ipotesi.- Di motivazioni, in realtà, ne avevano ipotizzate molte: da una sorta di maledizione, per non essere stati in grado di portare a termine il loro compito, a una cosa più semplice come il fatto che senza la Guardiana le Guide non avevano senso di esistere, alla sofferenza di Narnia che in qualche modo doveva manifestarsi, al semplice scorrere del destino già deciso prima della loro nascita. Tutte cause papabili e per niente improponibili.

-Quindi adesso siete tornati normali? Perché?-

Antares scoccò la lingua contro il palato, facendo dardeggiare lo sguardo lungo il perimetro dei cespugli, nervoso. Si osservò poi le mani, stringendole a pugno come da tempo non avevano potuto fare.

-Probabilmente è colpa tua.- mormorò, perso nei propri pensieri. Evelyn si grattò la testa, non capendo, cercando una spiegazione da parte di Lia e percependo un lieve senso di colpa darle le vertigini.

-Crediamo sia stata colpa di ciò che è successo l'altra sera. Mi spiace per il modo in cui sei venuta a conoscenza di tutta questa storia, ma era qualcosa in cui non potevamo intervenire. Dovevamo attendere che il destino facesse il suo corso, Aslan è stato chiaro su questo.- La Pevensie si umettò le labbra, processando quelle parole. Aveva la sensazione che la Narniana si stesse trattenendo dal raccontarle proprio tutto, ma non disse nulla – non aveva proprio voglia di discutere, né di pensare al leone di cui tanto si agognava il ritorno e che, capì tra la nebbia che le offuscava i ragionamenti, era la ragione dietro quella situazione di cui ne stavano soffrendo lei e la sua famiglia.

Continuò ad osservarla, alzando un sopracciglio per farle capire di continuare quel discorso quando la vide scrutarla per vari attimi.

-Tutto è stato un grande shock e la magia e Narnia devono aver risposto a ciò che stavi provando. Probabilmente tra qualche ora torneremo come prima, non appena ti sarai calmata.- Lia si sedette a terra, alzando lo sguardo verso il cielo scuro e trattenendo un sospiro. Quella situazione era destinata a durare per poco, lo sapeva benissimo. Non c'era nemmeno bisogno di discuterne con Antares.

Era una gioia passeggera, come lo era stata quando avevano incontrato la Grande Magia lungo il fiume dopo lo scontro con Jadis.

Ma per quanto fosse consapevole di meritarselo, per quanto si fosse adattata alla sua versione lupoide senza lamentarsene mai, il pensiero di doverci ritornare sotto quella che era praticamente una costrizione imposta dall'alto le stringeva lo stomaco in una morsa.

Si morse un labbro, socchiudendo gli occhi e tornando ad osservare la Pevensie, trovandola pensierosa come tutte le volte che l'aveva guardata in quelle ultime ore. Così giovane, imprigionata in un qualcosa che le aveva spezzato l'anima e il cuore.

Lia si rattristò a quel pensiero, empatizzando con la motivazione che aveva spinto Dhem ad isolarsi da tutto durante quegli anni.

-Sappiamo che è molto da capire, ma... non so nemmeno io come spiegarti al meglio le cose.- mormorò la Narniana, catturando l'attenzione di Eve. La ragazza le sorrise leggermente, ma negli occhi non c'era felicità. Solo una profonda stanchezza e un'ultima questione in sospeso, più un dubbio che una reale domanda. Era andata ad intuizione e non sapeva se si sarebbe pentita di ciò che stava per dire, ma la tentazione fu troppo forte per resisterle.

-Se Dhemetrya non era una Guida, chi era per Ahislyn?-

Nella foresta silente fu come se il tempo si fosse fermato per vari minuti. Antares si umettò le labbra e Lia si preparò a rispondere, ma Evelyn si ritrovò a fissare due occhi blu oceano che inglobarono completamente la sua attenzione. Con il fiato corto per quella presenza inaspettata e le mani rigide per la tensione, si rese conto che la punta della lingua ancora formicolava, dopo che quel nome per anni taciuto le aveva graffiato la gola per prendere vita, prendere suono proprio da lei.

Dhemetrya la osservò intensamente con un'espressione indecifrabile, come un cacciatore studia la sua preda senza tuttavia avere voglia davvero di farle del male.

-Era mia sorella.-



***


-Vado a dare il cambio a Lia.- Dhem si alzò in piedi e, senza aspettare una risposta, scese dall'albero scomparendo in un manciata di secondi nel sentiero da cui era arrivata poco prima.

Antares poteva ancora sentire sulla pelle della mano il fresco che gli aveva lasciato il contatto con i palmi della ragazza. Aveva sempre avuto le mani fredde, Dhemetrya, gelide come le acque che nascono direttamente dalle fonti più pure e nascoste delle montagne, e uno spirito così cristallino da lasciare intravedere qualsiasi sentimento gli germogliasse all'interno.

Sorrise tristemente, consapevole che l'acqua pura a cui era sempre stata associata si era fatta sempre più torbida con il passare del tempo. Dhemetrya poteva provare a nasconderlo, ma basta davvero poco perché anche la fonte più limpida venga sporcata.

Antares non si sarebbe mai sognato di considerarla debole, ma indubbiamente era la più fragile tra tutti loro, colei che di tutta quella storia ne aveva risentito di più.

E il legame che condividevano non mentiva – la sua sofferenza trascinata nei decenni era qualcosa che l'aveva consumato vivo, tanto quanto la propria. Ricordava bene i momenti in cui si era sentito spossato, come se avesse passato giorni insonni, la voglia di chiudere gli occhi per cercare di cancellare il pungolìo costante all'altezza del cuore. Aveva provato a fare ciò che riusciva meglio, cercando di infondere un po' del suo calore per equilibrare il più possibile quella sofferenza a cui, però, non c'era mai stato un vero rimedio.

Antares ci aveva provato, ci aveva provato davvero a tenere insieme i pezzi, ma dubitava che Dhemetrya sarebbe mai tornata limpida come un tempo e Narnia rigogliosa come millenni prima.

Da quando Ahislyn se n'era andata, da quando Narnia aveva iniziato a rinchiudersi nel silenzio del gelo perenne, era come se un grande buco nero fosse nato nei loro spiriti, pronto ad inghiottire tutto ciò che di buono e positivo potevano provare e riversare su quella terra che era la loro casa.

La scomparsa della quinta Protettrice era la prova dell'ennesimo fallimento della Grande Magia. Perfino lui era la prova di come le cose fossero sbagliate, consapevole di provare un sentimento di cui non avrebbe dovuto nemmeno sapere l'esistenza.

Una leggera brezza gli portò sotto il naso l'odore tipico di selvatico misto ad erba bagnata, un profumo che sentiva spesso risalire dal terreno dopo un temporale.

Antares assottigliò gli occhi, puntando lo sguardo sulla vegetazione da dove proveniva quel misto di aromi che gli annebbiò l'olfatto, un richiamo a cui non riuscì a resistere e che trovò particolarmente coincidente con le proprie riflessioni.

Lia.

La figura della Narniana spuntò al limitare dei cespugli qualche attimo dopo, il riflesso delle iridi smeraldine che saettava per sondare i dintorni come lo sguardo di un predatore. Fu quando lo scorse sopra il ramo che fermò il girovagare dei suoi occhi, rimanendo ferma a fissarlo come se avesse trovato la sua preda. Antares sentì un brivido corrergli lungo la schiena e strinse la presa sulla corteccia su cui era seduto, risucchiando l'aria e percependo le narici pizzicare per l'odore fattosi più pungente.

Percepì l'aria diventare improvvisamente elettrica attorno a loro.

Aveva cercato tutta sera di non farci caso, ma erano secoli che non la vedeva... eppure, Lia era proprio come la ricordava. Bella, circondata da quell'alone di distacco che la rendeva imperscrutabile proprio come il suo sguardo, le movenze naturali e senza malizia che catturavano inevitabilmente l'attenzione.

Ricordava quando, prima di Jadis, degli esploratori provenienti da sud provarono a rapirla per cavarle gli occhi e rivenderli perché secondo loro erano gemme frutto di qualche incantesimo. Strega, l'avevano chiamata. Quando era ciò che di più diverso si potesse definire la sua persona, uno spirito pacifico che aveva il compito di aiutare la terra a germogliare assicurandosi che la vita facesse il suo corso.

La osservò restare in piedi a qualche metro di distanza, ammutolendo di fronte all'evidenza di come la sua figura si posasse perfettamente con ciò che la circondava, la presenza leggiadra che si riprendeva una piccola parte del posto a cui apparteneva. Ne sondò la pelle nuda della vita circondata dai ricci lunghissimi, i fianchi formosi, i vestiti di emergenza che indossava che le stavano irritando la pelle dove sfregavano i bordi, procurandole delle chiazze rossastre, i fili d'erba che le accarezzavano i piedi nudi come per salutarla.

Balzò giù con un movimento fluido e le fu davanti nel giro di pochi secondi.

Lia arrossì sotto il suo sguardo, ritenendolo particolarmente intenso e fuori luogo, e alzò la testa per poterlo osservare in viso nonostante la differenza di altezza. Si costrinse a reprimere i brividi che sentì nascerle lungo le braccia, evitando volutamente di ascoltare quell'istinto primordiale che le gridò di come i propri sentimenti nei confronti del ragazzo fossero ancora vividi nonostante i millenni di separazione.

-Non poss...- Antares la tirò contro di sé facendole morire ogni protesta, sentendosi immediatamente più leggero quando, immergendo il naso nei suoi capelli, percepì il corpo formoso della lupa adattarsi al suo.

-Mi sei mancata... amore mio.-


***


Era calata la notte sull'accampamento di Narnia, una pausa dalle attività ormai svolte quotidianamente ma che i Pevensie avevano aspettato con particolare impazienza.

Per quanto lo scorrere del tempo fosse sempre stato causa di preoccupazione e dubbi, dal momento che il confronto con Telmar era sempre più vicino, quando il sole di quella giornata particolarmente pallida e fiacca era iniziato a calare lasciando posto alla sera avevano tirato tutti un sospiro di sollievo. Nessuno di loro si sentiva in grado di reggere le aspettative dei Narniani nei loro confronti, ognuno ancora perso nei propri pensieri e tormenti.

Se gli abitanti di Narnia avessero percepito qualcosa di diverso, la patina di tensione improvvisamente scesa tra i quattro Sovrani che di punto in bianco non comunicavano più tra loro, non ne avevano dato segno, continuando ad addestrarsi sotto la guida pacifica di Caspian – dimostrando quanto, durante quelle settimane insieme, il Principe fuggiasco fosse stato effettivamente accettato nonostante le rimostranze dei primi incontri.

Con la sera settembrina resa ancora più pungente dalle piogge dei giorni precedenti, Caspian si strofinò le braccia per cercare di farsi un po' di calore con il tessuto della casacca, lasciandosi alle spalle gli ultimi fuochi mentre usciva nella prateria che fronteggiava la Casa di Aslan.

Si era congedato da Susan, dopo averla aiutata a riporre le armi che stava ricontrollando e lasciandola davanti alla stanza che utilizzava come camera provvisoria, intuendo dalle poche sillabe che era riuscito a strapparle che non fosse propriamente in vena di parlare – e come darle torto? Caspian l'aveva accompagnata mentre stancamente si trascinava lungo i cunicoli con la pazienza che solo per altre poche persone si era ritrovato in grado di avere, osservandone le labbra screpolate per averle torturate troppo e l'espressione spaesata di chi è perso nel proprio mondo: solo quando le aveva dato la buonanotte una volta raggiunta la soglia la Regina aveva alzato lo sguardo, sbattendo le palpebre sugli occhi circondati da pesanti occhiaie che non le aveva mai visto addosso e che, per l'ennesima volta in quella giornata, gli avevano procurato una fitta al cuore.

A Caspian vedere Susan in quelle condizioni non piaceva per niente. Ma ciò che gli pesava maggiormente era la consapevolezza di non poter fare niente per migliorare quella situazione che le dava il tormento.

Il ragazzo sospirò, ravvivandosi i capelli e mettendo a fuoco la natura circostante: il cambio turno era appena stato fatto e scorse dei fauni addentrarsi nel bosco, dei nani appostati su dei massi rialzati ed era sicuro, inoltre, che se avesse alzato lo sguardo dietro di sé avrebbe trovato dei minotauri nella parte più alta del rifugio. Poche torce illuminavano il perimetro, ma era ancora abbastanza chiaro perché non vi fosse un buio profondo ed i contorni della vegetazione fossero ancora visibili con un minimo di sforzo – la differenza con le giornate estive di pieno agosto, però, iniziava a farsi sentire.

Caspian ripensò al freddo che l'aveva accolto appena messo piede all'esterno e l'idea di dover passare l'inverno in quelle condizioni gli diede un brivido lungo la schiena. Con tutta la buona volontà, non erano attrezzati per un'eventualità simile. Dubitava anche che i Telmarini li avrebbero lasciati andare se si fossero ritirati negli antri più lontani della foresta, ora che sapevano che le leggende non facevano più così tanta paura.

Si addentrò nella radura di qualche passo, sentendo il proprio corpo abituarsi al cambio di temperatura, cercando di cogliere, tra le ombre della sera e la calma che lo circondava, l'occasione per provare a rilassarsi un po' e togliersi di dosso la stanchezza per la giornata appena passata.

Si morse internamente una guancia, incrociando le braccia al petto e respirando pesantemente con naso: Peter era stato inavvicinabile e forse, consapevole di poter dire cose di troppo e non essere dell'umore, si era isolato per buona parte della giornata, Edmund e Susan avevano passato buona parte delle ore lontani dall'accampamento. Solo Lucy era rimasta, cercando di comportarsi il più naturale possibile, ma era palese che ci fosse qualcosa che non la lasciava totalmente serena.

Caspian non poteva dire di conoscerli tutti alla perfezione, ma ci aveva passato insieme ogni giorno degli ultimi due mesi, ed era abbastanza sicuro di poter intuire se qualcosa fosse fuori posto – e, dopo il discorso di Susan, di cose fuori posto ce n'erano parecchie.

La cosa lo preoccupava, perché per quanto lui potesse essere ormai in armonia con i Narniani era stata la presenza decisiva dei Re di un tempo a convertire anche i più restii a partecipare alla rivolta contro Telmar. Non poteva che sperare che il tutto si risolvesse il prima – e il più positivamente – possibile.

Facendo dardeggiare lo sguardo per l'ennesima volta lungo lo spiazzo erboso, notò una figura seduta sopra dei massi poco lontani.

Caspian strizzò gli occhi quel tanto che bastava per riconoscere, nel buio nella sera, la casacca blu scuro di Edmund. Il ragazzo gli dava le spalle, muovendo la testa di tanto in tanto verso l'alto, forse per osservare il cielo o perdendosi nei propri pensieri.

Vederlo lì, solo in mezzo alla radura, ricurvo su se stesso, gli fece tornare alla mente l'espressione addolorata di Susan.

Prima ancora di essersene reso conto, il Principe aveva iniziato a muoversi verso la figura del Pevensie che gli stava di fronte, ignaro della presenza che stava per rompere la sua bolla di solitudine. Caspian si fermò solo quando gli fu a un paio di metri di distanza, mordendosi l'interno di una guancia e domandandosi se effettivamente potesse fare qualcosa, consapevole che, in tutta quella storia, lui non c'entrava assolutamente nulla.

Socchiuse gli occhi, guardando dietro di sé la Casa di Aslan, studiandone i contorni illuminati dalle torce e le sentinelle appostate sulle mura.

Ricordò i Narniani rimasti imprigionati al castello, il senso di rabbia e disperazione che per giorni lo aveva accompagnato, la sofferenza sui volti di quella gente per troppo, davvero troppo tempo maltrattata ed esiliata.

Una scarica di adrenalina gli fece muovere un ennesimo passo.

Quelli erano affari suoi.


Se poteva anche solo dare una spinta per una eventuale riconciliazione non si sarebbe tirato indietro. Non avrebbe permesso che una faida famigliare fosse il motivo della loro sconfitta, avrebbe provato a fare tutto ciò che poteva per preservare più vite possibili.

E se ciò voleva dire immischiarsi negli affari dei Re di un tempo, l'avrebbe fatto ad occhi chiusi. Narnia e i suoi abitanti avevano estremo bisogno che i Pevensie tornassero ad organizzare le truppe e le guidassero nella battaglia contro Telmar, e lui aveva fatto una promessa a quel popolo che aveva intenzione di mantenere con tutto se stesso.

Ne andava della vita di tutti.






























































































































FINALMENTE CE L'HO FATTA!
Allora ragazzi, è davvero passato troppo tempo dall'ultimo aggiornamento. Sono imperdonabile, come sempre. A mia discolpa, mi sento di dire che questo è stato il capitolo più difficile che io abbia mai scritto e gli impegni della vita vera mi stanno uccidendo (Sono le tre e mezza di notte e ho la sveglia alle sette, piango).
Davvero, ci sono dietro da marzo, ma aveva preso una piega che mi ha lasciato un po' perplessa perché, nonostante accada esattamente ciò che mi ero prefissata, non è scritto come l'avevo immaginato. L'ho letto e riletto moltissime volte, cambiato e sistemato, perché comunque non me la sentivo di cancellarlo totalmente. E' parecchio pesante, tra l'altro, perché concentrato molto sui pensieri di Lia e Antares, cosa che fino ad ora non era mai successa.
Spero di portarvi presto il prossimo capitolo e di aver superato questo blocco che mi era venuto, ma non so darvi delle tempistiche: in ogni caso, spero che la storia continui a piacervi e posso anticiparvi che nel prossimo torneranno i Pevensie - ed i Telmarini. La battaglia finale si avvicina!
Ringrazio chi ha la pazienza di leggermi ancora, chi mi lascia un pensierino (cercherò di rispondere il prima possibile ma sono un po' impegnata in questi giorni!)
Love
D. <3



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Capitolo 41
*** Cuori a confronto. ***


Narnia's Spirits
Cuori a confronto.













Edmund sospirò, torturandosi le dita delle mani e percependo gli occhi pizzicare per la secchezza ogni qualvolta sbattesse le palpebre. Le rare correnti d'aria serale che puntualmente si alzavano per la pianura Narniana erano abbastanza fredde da graffiargli le guance pallide e le occhiaie profonde sopra di esse.

Ad uno sguardo esterno, sembrava un cadavere da poco tornato alla vita a causa di qualche maledizione.

Non aveva chiuso occhio da quando Evelyn era scappata e il mal di testa che gli pulsava sotto le tempie stava diventando sempre più insopportabile. Avrebbe potuto chiedere a Lucy di dargli una goccia della pozione regalatale da Babbo Natale – sicuramente lo avrebbe rimesso a nuovo, almeno fisicamente – ma una parte di sé era convinta che quella sofferenza se la fosse meritata – e non aveva nessuna intenzione di evitarla.

Il Pevensie sospirò pesantemente, sentendo il macigno che da ormai più di ventiquattr'ore aveva preso posto nel suo petto mandargli una fitta di sofferenza. Istintivamente si portò una mano al cuore, percependo vagamente il profilo di qualche costola attraverso la casacca, lì poco sotto a dove aveva iniziato a sentire quello strano fastidio. Forse erano i segni di un infarto? Che Aslan o chi per lui glielo mandasse in fretta, allora, così poneva fine a quel dolore e toglieva il disturbo dopo il casino che aveva combinato e a cui non aveva idea di come porvi rimedio.

Scosse impercettibilmente la testa, grattandosi i capelli e voltando lo sguardo in alto, cercando in qualche modo di trovare un conforto in quella distesa scura che non sembrava intenzionata a rilasciare non più che una manciata di stelle sul tappeto nero che era diventato il cielo.

Edmund molte volte vi aveva trovato consolazione, specialmente quando aveva bisogno di pensare a dei piani mentre era in guerra e c'era bisogno di qualche mossa inaspettata per vincere o era lontano da casa con Peter per qualche visita. Pensare che anche Eve osservasse lo stesso cielo che vedeva lui rendeva la mancanza da Cair Paravel e dalla sorella un po' più agrodolce e sopportabile.

Evelyn... vedeva anche lei ciò che vedeva lui in quel momento?

Edmund si torturò nuovamente le pellicine delle dita, mordendosi il labbro inferiore senza staccare lo sguardo dal nero. Se ne sentiva sempre più inglobato e avrebbe desiderato perdervisi dentro per non tornare più, intrappolato in quel buco oscuro senza dover più pensare a nulla.

-Posso?-

Il Pevensie trasalì all'istante senza preoccuparsi minimamente di nascondere il tremito che gli aveva percorso l'intero corpo per quell'interruzione, percependo il seme dell'imbarazzo fargli formicolare la pelle come se fosse stato colto a fare qualcosa che non doveva. Voltò il busto quel tanto che bastava per osservare in faccia la presenza che si era intrufolata nella sua bolla di solitaria autocommiserazione.

-Caspian?- domandò retoricamente, sbattendo le palpebre ancora in stato confusionale. Notò in quell'istante che, effettivamente, era da un po' di tempo che non parlava con il Principe – più precisamente, dalla serata dei biscotti.

-Scusami, non volevo spaventarti, ma non pensavo che davvero non mi avessi sentito arrivare.- mormorò il Telmarino, avvicinandoglisi maggiormente ed osservando il posto vuoto sul sasso accanto al Pevensie. Sapeva che il moro era perso nei propri pensieri, ma credeva che i sensi di guerriero lo avrebbero avvisato che non era più da solo.

A quanto pareva, invece, si sbagliava...

Caspian sospirò mentre ripensava anche al modo in cui Susan non l'aveva visto arrivare al fiume. Era una fortuna che non fossero in giro per la foresta da soli in quelle condizioni, altrimenti non immaginava in che guai sarebbero potuti finire, persi in loro stessi da rischiare di incappare in qualche nemico senza accorgersene.

-Oh...- Edmund osservò il punto in cui il Principe stava guardando e in quell'istante si rese conto che stava pazientemente aspettando una risposta alla sua domanda.

-Siediti pure.- mormorò, picchiettando la pietra e studiando le mosse del ragazzo. Si umettò le labbra, non capendo il motivo per cui il Principe avrebbe dovuto cercare la sua presenza. Sperò non fosse per fargli qualche discorso, ma aveva la sensazione che, da come si era posto nei suoi riguardi, dal silenzio protratto che li stava circondando e la poca capacità di guardarlo in faccia per più di qualche istante, Caspian sapesse.

Caspian sapeva, ed Edmund non fu del tutto sorpreso da quella constatazione: dopotutto, l'aveva visto stare appiccicato a Susan tutto il giorno, andandole dietro con quello sguardo apprensivo e il volto impensierito non appena ne aveva occasione. Era facile giungere alle conclusioni.

Edmund distolse lo sguardo dalla sua figura, tornando ad osservare i propri piedi giocare con il terreno e sentendo l'angoscia risalirgli lo stomaco, stringendoglielo in una morsa che diede nuovamente vita a una fitta allo sterno. Forse avrebbe dovuto prendere qualche erba per fare una tisana per cercare di rilassarsi...

-Allora... cosa c'è?- ruppe il silenzio, cercando di concentrarsi su un eventuale discorso, non sapendo bene come porsi nei confronti del ragazzo. Il Principe al suo fianco sospirò, dondolando ritmicamente una gamba e portando le mani poco dietro di sé, in modo da fare leva sui palmi e sulle braccia per osservare quello stesso cielo che fino a pochi minuti prima aveva catturato così tanto la sua attenzione.

-Ho saputo quello che è successo.- mormorò con tono basso, senza guardarlo in faccia direttamente ma lanciandogli delle continue occhiate con la coda dell'occhio. Contrariamente a quanto aveva pensato, Edmund si limitò ad annuire senza dimostrare nessuna emozione particolare e il maggiore si ritrovò a soffocare il dispiacere che vederlo in quelle condizioni gli stava portando a galla. Però, doveva ricordarsi il motivo per cui gli era andato a parlare.

-Immaginavo...- gli rispose quello, tirando le labbra senza tuttavia cambiare espressione. Si grattò gli occhi per scacciare la pesantezza che percepiva sulle palpebre, consapevole che tanto non sarebbe riuscito a riposare nemmeno se il suo corpo avesse implorato pietà.

-Cosa... ? Come... ?- biascicò Caspian, tendendosi lievemente senza preoccuparsi di nascondere lo stupore. La lungimiranza del re Giusto lo colse sul vivo.

Edmund alzò semplicemente le spalle, indicando con un cenno del capo la casa di Aslan poco dietro di loro prima di osservarlo palesemente in volto senza alcun segno di imbarazzo.

-Ti ho visto con Susan.- a quella constatazione il Principe si chiuse nel mutismo per quelli che gli sembrarono minuti interi. Guardò il volto scavato di Ed, come nel suo sguardo spento e stanco non vi fosse nessun segno di accusa di fronte a quella verità che non riusciva più a celare. Si era innamorato di Susan, e non riusciva a starle lontano – specialmente se aveva bisogno di aiuto per non stare sola, o una persona amica con cui sfogarsi.

Caspian avrebbe fatto tutto il possibile per starle vicino ed Edmund non era così ottuso da non avere capito la sincerità dietro le azioni del Principe.

A dire la verità, era grato della sua presenza, sicuramente più stabile di lui o Peter in quel momento, a cui era sicuro avrebbero potuto rivolgersi le sue sorelle per qualsiasi evenienza.

-Beh si, ecco, io...- mormorò il Telmarino, cercando di riprendersi e cacciare fuori qualche frase che avesse un senso. S'imbarazzò al ricordo di come l'aveva seguita nel bosco e decise che, forse, quel dettaglio fosse meglio tenerlo per sé, prima che il Pevensie pensasse che aveva qualche inclinazione ossessiva.

 -Vi ho sentiti litigare, poi non siete più stati, come dire... voi stessi.- si giustificò, non sapendo bene quanto esporsi. Era vero che voleva mettere una buona parola con tutti per cercare di appianare le cose, ma allo stesso tempo si rendeva conto di quanto fosse delicata la situazione e di come, in realtà, lui non avesse effettivamente nessun diritto d'immischiarsi. Aveva anche voglia di chiedere dove fosse Evelyn, ma dubitava che sarebbe stato proprio con Edmund di riuscire a parlare della ragazza.

-Susan mi ha raccontato cosa è successo. Sappi che non è mia intenzione giudicarvi.- tagliò corto alla fine, tornando a guardare il Pevensie dritto negli occhi per riprendere il discorso lasciato in sospeso. Quello annuì leggermente, infossandosi nelle spalle e tirando leggermente le labbra in un'espressione rassegnata. Spostò lo sguardo nuovamente verso il terreno e sospirò, sentendo la gola seccarsi per il disagio.

-Capisco. Ti ringrazio per esserle stato vicino.- Ed gli mise una mano sulla spalla, stringendogliela e inchiodandolo con quegli occhi spiritati che luccicavano tra le ombre notturne. Ci volle qualche attimo, a Caspian, per rendersi conto del gesto del Re Giusto nei suoi confronti e della tacita richiesta impressa nel fondo di quello sguardo fino a pochi attimi prima completamente vacuo.

Un messaggio che solo due persone che tengono particolarmente a qualcuno potevano scambiarsi senza bisogno di parole.

Non lasciarla sola.


Caspian strinse la mascella, posando la propria mano su quella del moro al suo fianco per cercare di infondergli un po' di sostegno.

Capiva perché Peter e Susan fossero rimasti così sconvolti, ma lui veniva da un'epoca diversa... lui era abituato ai matrimoni tra parenti stretti per evitare di disperdere il sangue reale e preservare il potere. Era quasi abitudine. Gli ci era voluto qualche attimo per processare quello che gli aveva raccontato la Pevensie, ma in cuor suo aveva dovuto ammettere che non lo trovava poi così strano, una volta abituatosi all'idea. E poi, non erano parenti di sangue...

-Spero che le cose si risolvano in fretta tra voi, e che Evelyn ritorni presto.- mormorò, più a stesso che al Pevensie che aveva accanto. Saperla dispersa per la foresta da sola gli stringeva il cuore. Li conosceva solo da un paio di mesi, ma non aveva potuto fare a meno di affezionarsi a quella bizzarra famiglia, complice forse l'ammirazione che da sempre provava nei loro confronti quando Cornelius gli raccontava le leggende.

-Non so se deciderà mai di perdonarci.-

Di perdonarmi.

Edmund si massaggiò le tempie, sentendo una fitta alla testa particolarmente pesante dagli un senso di vertigine e nausea nel ricordare di come lo avesse guardato, completamente indignata e angosciata, prima di cacciarlo via.

Ripensarsi gli faceva male, terribilmente. Aveva bisogno di stendersi, ma la spossatezza era più forte di qualsiasi motivazione ad alzarsi per camminare fino alla Casa di Aslan per riposare. Inoltre, non era ancora pronto all'ipotesi di incontrare Peter... Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto intavolare nuovamente un discorso con il fratello, eppure... eppure non aveva il coraggio di andare a cercarlo e il fatto che Peter stesso si fosse isolato lo aveva, in qualche modo, tranquillizzato.

Non aveva avuto nemmeno il coraggio di provare a parlare con Susan, solitamente molto più pacata e riflessiva del maggiore e incline al dialogo. Ricordava troppo vividamente il modo sconvolto con cui lo avevano guardato quando aveva confessato apertamente di essersi innamorato di Evelyn – la malcelata accusa nascosta dietro l'espressione sconvolta gli si era incisa a sangue dietro le palpebre.

Sapere di averli delusi pesava come un macigno che gli faceva affondare il cuore nell'oblio più profondo e la consapevolezza che sarebbe andato a mettere il dito nella piaga riprendendo in mano quel discorso lasciato a metà lo congelava sul posto prima che potesse anche solo provare a fare un passo in direzione dei fratelli.

-Sono sicura che prima o poi lo farà...-

Caspian ed Edmund si girarono all'unisono, non nascondendo la sorpresa di trovarsi a incrociare lo sguardo con la più piccola di casa Pevensie.

-Lu...- mormorò Ed, sbattendo le palpebre per scacciare la sensazione di secchezza agli occhi e i ricordi dei visi dei fratelli che puntualmente gli davano il tormento.

Lucy li raggiunse in poche falcate, girando intorno alle rocce e andando a sedersi tra i due ragazzi, lì dove Caspian aveva avuto l'accortezza di farle spazio in modo che potesse mettersi vicino al fratello. La Pevensie sospirò pesantemente, prima di tornare a guardare Edmund direttamente negli occhi.

-Eve è testona, ma non stupida. Sono sicura che capirà e tornerà da noi.- disse, inchiodandolo con lo sguardo. Gli prese una mano tra le proprie, stringendogliela per dargli un tacito conforto, e si voltò verso Caspian.

-Tu non credi?- domandò retoricamente, ma il Principe capì che Lucy non aspettava una vera risposta, quanto più un supporto per cercare di calmare l'animo del Re Giusto. Tuttavia, non fu difficile per lui annuire in modo abbastanza vigoroso: era sicuro anche lui, come aveva detto a Susan, che le cose si sarebbero sistemate – sperava nel modo più indolore per tutti.

-Sono convinto che troverete il modo per chiarirvi.-

Edmund sospirò, stropicciandosi gli occhi con la mano libera ed infossandosi nelle spalle, sentendosi in difetto: Lu era sempre buona con tutti, quindi ragionando a mente fredda non si sarebbe dovuto sorprendere del suo discorso di quella mattina e di come non l'avesse giudicato, ma non si aspettava la stessa comprensione da Caspian e quella consapevolezza fu come un balsamo per il suo animo tormentato. Gli lanciò un'occhiata, sforzandosi di fare un mezzo sorriso per mostrargli la propria gratitudine.

-Quello che sto per dire non ti piacerà, Edmund.- interruppe quel momento Lucy, e i due ragazzi tornarono a fissarla. La Pevensie osservò il paesaggio che li circondava per qualche secondo, mordendosi il labbro inferiore prima di alzarsi in piedi per sciogliere la tensione che le aveva attanagliato le viscere. Respirò profondamente, facendo qualche passo.

-Cosa?- ebbe il coraggio di domandare Caspian, dopo aver lanciato uno sguardo ad Edmund e averlo trovato teso come una corda di violino. Il Pevensie sembrava come congelato sul posto e per un attimo gli venne il dubbio che non stesse respirando, lo sguardo nuovamente spiritato fisso sulla sorella che si muoveva di fronte a loro.

Lu si grattò la nuca, sbattendo le palpebre sui grandi occhioni e senza preoccuparsi di mostrarsi meno apprensiva di quello che era. No, ad Edmund non sarebbe piaciuto quello che stava per dire... ma era una cosa che andava fatta e se nessuno di loro aveva il coraggio di mettere da parte l'orgoglio, la rabbia ed il dispiacere allora li avrebbe costretti a farlo.

Odiava vedere i suoi fratelli in quello stato e voleva che Evelyn tornasse da loro il prima possibile, e la cosa non sarebbe stata possibile se non iniziavano a risolvere le cose in qualche modo: solo una volta che sarebbero stati di nuovo tutti insieme avrebbero potuto discutere e capirsi – e cercare di far capire ad Eve che non avevano mai avuto cattive intenzioni nel tenerle nascosta la verità.

A costo di passare per egoista, per una persona che non rispetta le tempistiche o i sentimenti altrui, in quel momento non le importava. Rivoleva indietro la sua famiglia e niente le avrebbe potuto far cambiare idea.

-Bisogna parlare con Peter.-


***


-Non ho intenzione di parlare con te.-

Edmund sospirò pesantemente, sedendosi su una roccia che stava ai piedi dei resti della tavola di pietra e lanciando uno sguardo sconsolato alla sagoma del leone scolpita nella roccia. Non era sorpreso per nulla della cosa, quindi si limitò a stare in silenzio raggomitolandosi in se stesso più che poteva, consapevole che non avrebbe potuto dire niente per far cambiare idea al fratello.

Lucy era stata troppo convincente, con quel suo sguardo da cucciolo abbandonato pieno di speranza e la convinzione che alla fine Peter avrebbe ceduto vinto dall'affetto che provava per loro. Forse, quella volta, si era sbagliata...

-Peter... ti prego.- provò la più piccola, avvicinandoglisi di qualche passo e mettendogli una mano sul braccio in modo da farsi guardare e cercando di implorarlo con quello sguardo che, era sicura, sarebbe riuscito a fare breccia nella corazza che si era costruito addosso.

Ma l'attenzione del Pevensie era tutta per Edmund, chino su se stesso con Caspian a qualche passo di distanza. Peter non aveva nemmeno la voglia di domandare cosa ci facesse lì o ribadire il concetto che non c'entrava nulla con quella storia, quindi si limitò a scoccargli un'occhiata ammonitrice a cui il Telmarino non rispose per quieto vivere

Se gli sguardi avessero avuto potere di uccidere, chiunque lo conoscesse era sicuro che il Re Supremo avrebbe combinato un casino, in quelle ore. Per fortuna aveva trovato un mezzo di sfogo nei manichini con cui si allenavano, unico metodo che aveva trovato utile per tenere a freno i propri istinti.

Caspian si umettò le labbra, faticando a trovare negli occhi del Pevensie traccia di quel ragazzo che con determinazione aveva organizzato le truppe degli ultimi Narniani e gli aveva tenuto testa nei primi giorni della loro conoscenza: colui che si trovava davanti era la figura sconvolta e pregna di rabbia e sdegno di una persona che non avrebbe accettato nessun'altra opinione al di fuori della propria, qualcuno che difficilmente avrebbe lasciato andare le proprie ragioni per amor del prossimo.

Peter era arrabbiato. Molto arrabbiato. Furibondo.

Caspian si domandò se cercare un dialogo dopo così poco tempo fosse stata una mossa saggia e fu in qualche modo sollevato di non avere provato a fare quel passo da solo, perché non avrebbe saputo come comportarsi. Forse il Pevensie avrebbe avuto bisogno di più tempo per sbollire.

Però...

Lucy lo conosceva sicuramente più di lui, e lei stessa la sera prima aveva proposto di provare a intavolare un discorso, quindi l'unica cosa che poteva fare era stare a guardare come si mettevano le cose e sperare che la più piccola dei Sovrani fosse una motivazione abbastanza forte affinché Peter non perdesse completamente la pazienza nei loro confronti. In ogni caso, lui sarebbe stato pronto ad intervenire in caso di problemi... anche se sperava non ci fossero.

Caspian si osservò intorno, sentendo la tensione che aleggiava nella stanza appiccicarglisi addosso come una seconda pelle facendolo rabbrividire internamente.

Immaginò Susan ancora a letto, ignara di ciò che stava succedendo a pochi metri di distanza e si sentì in difetto nei suoi confronti. Era convinto che avrebbe voluto partecipare anche lei a quella discussione, ma tacitamente avevano tutti deciso che non fosse il caso di coinvolgerla.

Era ancora troppo sconvolta, e già Peter da solo era un avversario ostico con cui avere a che fare. Di Susan, che sicuramente gli avrebbe dato ragione e ne avrebbe condiviso i pensieri, in quel momento non c'era bisogno.

Così Edmund quella mattina si era convinto a seguire Lucy nel cercare Peter all'interno del rifugio, nonostante la controvoglia che provava. Non era riuscito a dirle di no, forse perché involontariamente la presenza della sorella fungeva da appiglio di salvataggio da cui trarre la forza necessaria per provare a fare qualche passo avanti e durante la notte aveva cercato di raccogliere quel poco di coraggio che aveva trovato per compiere quel gesto.

Ed si era vergognato profondamente di se stesso, una volta resosi conto che stava provando a nascondersi dietro la figura della piccola Pevensie per sentirsi meno solo.

-Peter...- riprovò Lucy, stringendo maggiormente il braccio del fratello maggiore. Il biondo strinse la mascella, spostando finalmente lo sguardo dalla figura del moro alla ragazzina che gli stava di fronte. Suo malgrado, sospirò, cercando di calmarsi per non essere troppo brusco nei suoi confronti quando vide l'apprensione con cui lo stava guardando. Fu una questione di attimi, però, appena il tempo di rendersi conto di ciò che celava il gesto di Lu. L'espressione del Pevensie divenne nuovamente imperscrutabile.

-No, Lucy.- fu la lapidaria risposta che le diede, allontanandosi di qualche passo e costringendola in quel modo a mollare la presa sulla sua casacca. Peter incrociò le braccia al petto, incapace di trovare un angolo in cui rilassarsi e sentendosi braccato come un animale in trappola, mentre lanciava occhiate ai tre che non si erano mossi dai loro posti e che lo scrutavano con i volti angosciati.

Sapeva cosa stavano cercando di fare.

L'idea lo indispettì e sentì la rabbia pervaderlo.

-Mi credete stupido forse?- domandò retoricamente, sentendo la gola raschiare per cercare di mantenere un tono di voce pacato. Per quanto si sentisse implodere, non aveva voglia di allarmare il resto dei Narniani. La situazione era già abbastanza disastrata da sé.

-Cosa... no, perché?- domandò in un sussurro Lucy, corrugando le sopracciglia e sbattendo le palpebre perplessa. Ciò che ottenne da Peter fu solo uno stiramento di labbra e sentì una punta di disagio pizzicarle la nuca, tuttavia non si mosse dal proprio posto e continuò a fissare il fratello dritto negli occhi.

-Lo so cosa state cercando di fare.- disse, e fu chiaro il veleno dell'accusa intriso in quelle parole.

Edmund sollevò il viso, racimolando il coraggio necessario per osservare il fratello in viso. Ciò che vi trovò fu la stessa maschera di disprezzo e freddezza con cui l'aveva guardato fin da quando l'aveva visto nel bosco con Evelyn. Difficile sapere quale fosse l'emozione principale che stesse provando il Pevensie. Conoscendolo, il suo animo era un maremoto di sentimenti e si meravigliò di come non lo avesse ancora preso a pugni.

-Vogliamo solo parlare.- riprovò Lucy, catalizzando l'attenzione del biondo su di sé, ma ottenne solo uno sguardo indignato. Peter dilatò visibilmente le narici, aggrottando la fronte ed espirando pesantemente per il nervoso. Strinse le mani in pugni talmente stretti che le nocche gli sbiancarono e tutti pensarono che avrebbe finito per rompersele, talmente tanta era la forza che stava imprimendo in quel gesto.

-Non c'è niente di cui parlare.- tagliò corto, ostico, voltando le spalle ai tre interlocutori con cui stava condividendo lo spazio in quella sala che, improvvisamente, gli sembrò troppo piccola e soffocante. Si morse l'interno di una guancia, socchiudendo gli occhi e percependo la tensione attanagliargli le viscere facendolo tremare da capo a piedi.

Aveva cercato di sfogarsi tutto il giorno... per tutto il santo giorno aveva accuratamente evitato di entrare in contatto con qualsiasi persona che potesse fargli perdere la pazienza, si era impegnato a fare forza su se stesso per restarsene da solo a smaltire la rabbia e l'indignazione che sentiva ribollirgli nel sangue e a darsi dell'idiota per aver permesso che Evelyn venisse a conoscenza di quella maledetta storia di cui ci capiva ancora poco.

Ci aveva provato davvero, Peter, a fare ordine nella confusione che gli appannava i pensieri per cercare di trovare un modo che potesse calmarlo riportando la pace nel suo animo sempre pronto a scattare per qualsiasi evenienza e che continuava a dargli il tormento perché non c'era più niente al proprio posto.

Susan era un fantasma, Lucy aveva girato tra loro come una trottola apprensiva, di Eve non c'era traccia... ed Edmund, la causa di tutta quella situazione, era venuto a cercarlo, buttandosi direttamente nella fossa dei leoni.

Peter s'infossò nelle spalle, digrignando i denti e restando impalato nel punto in cui era come un chiodo battuto nel legno.

A malapena riusciva a guardarlo in faccia, in quel momento: ogni volta che ne incrociava lo sguardo, in ogni frangente in cui ne scorgeva l'espressione addolorata, non riusciva a fare a meno di sovrapporre quell'immagine a quella di quel ragazzo che solo diverse ore prima l'aveva guardato dritto negli occhi dicendogli chiaramente che... che... Non riusciva nemmeno a pensarlo, Peter.

Non ci riusciva.

L'unica cosa di cui si preoccupava era il non sapere dove fosse scappata Evelyn, ma la parte di lui prepotentemente offesa per quello che considerava un tradimento verso la sua persona faceva si che anche quel pensiero si assopisse, soffocato dal risentimento. Glielo avevano tenuto nascosto. Una cosa così importante.

Come avevano potuto?


-So che non c'entro nulla, ma... forse dovresti ascoltarli.-

Peter si girò con uno scatto così fulmineo che gli diede le vertigini, tuttavia non gli sfuggì la mano di Caspian posata sulla spalla del fratello in segno di conforto. I suoi occhi mandarono scintille per quell'intromissione, tuttavia s'impose un autocontrollo che non possedeva per non retrocedere di un passo dalla propria posizione.

Era sicuro che se avesse iniziato a parlare o a muoversi si sarebbe lasciato trasportare dai sentimenti, e non voleva. Era arrabbiato, e tanto doveva bastare ai suoi fratelli come spiegazione per non testare troppo i suoi nervi scoperti.

Tuttavia, incrociò lo sguardo di Lucy, e tanto bastò per farlo sospirare di rassegnazione nello scorgere la punta di determinazione che le luccicava in fondo agli occhi. La osservò per una manciata di attimi, studiandone il viso scavato e stanco per la mancanza di sonno. Non era ai livelli di quello di Edmund, che sembrava molto l'ombra di se stesso, ma era chiaro che anche lei stesse passando delle brutte nottate.

Spinto da un moto di pietà nei suoi confronti, con un cenno del capo le fece intendere che l'avrebbe ascoltata.

Lu socchiuse gli occhi, trattenendosi dal sorridere e sentendosi immediatamente sollevata per quella piccola vittoria – se non altro, era un inizio. Capiva perché Peter fosse così restio all'idea di avere a che fare con Edmund, in fondo al cuore lo capiva davvero e non riusciva a fargliene una colpa, ma il suo obbiettivo in quel momento era solo quello che facessero pace con Evelyn.

-Avanti, parla.- esortò Peter, stanco di quel silenzio e senza nascondere una punta di stizza per quell'imboscata in cui si era, suo malgrado, ritrovato.

-Dobbiamo trovare Eve.- mormorò, guardandolo dal basso della sua altezza, tuttavia alzò il mento quanto bastava per fargli intuire quanto fosse seria. Peter emise un piccolo ghigno, lanciando un'occhiata verso i due ragazzi e leccandosi le labbra come un predatore di fronte alla preda.

-Mi pare di aver capito che voglia essere lasciata in pace. Giusto, Ed?- sputò, lapidario e più velenoso di quanto in realtà avrebbe voluto essere. Per quanto quella consapevolezza lo ferisse, dimostrando quanta distanza avesse messo la Pevensie tra loro, sapere che aveva rifiutato anche la presenza del fratello preferito in qualche modo lo ammansiva.

Lo considerava il prezzo che i due dovevano pagare per averlo tenuto all'oscuro di ciò che stava accadendo sotto il suo tetto.

Edmund strabuzzò gli occhi, sorpreso, sentendo il cuore fare una capriola. Quindi sapeva che aveva provato a cercarla? Lo aveva sentito confidarsi con Lucy quando era tornato?

-Peter!- lo riprese la più piccola, portandosi le mani alla bocca e sentendosi offesa lei stessa per la cattiveria con cui il maggiore stava parlando. Si voltò giusto in tempo per vedere Caspian sussurrare qualcosa all'orecchio del Giusto, riservando al biondo uno sguardo palesemente ostile.

-No, ha ragione, Lu.- parlare costò un grande sforzo, ad Edmund. La voce gli uscì raschiante e gli mancò il fiato per qualche attimo. Si concentrò a contare le crepe nel terreno ai suoi piedi.

-Mi ha cacciato via, te l'ho detto.- mormorò, mordendosi l'interno di una guancia senza il coraggio di guardare in faccia suoi fratelli.

-È normale, è arrabbiata.- la giustificò Caspian, allontanandosi dal moro di qualche passo e cercando di indorare la pillola. Peter li osservò, trincerato dietro il suo muro di mutismo, cercando di ignorare la fitta di dispiacere che sentiva prendere vita mano a mano che osservava i volti dei due fratelli.

-Quindi bisogna andare da lei e spiegarle!- riprovò Lucy, avvicinandosi alla tavola spezzata e carezzandola con la mano per cercarvi conforto. Se solo ci fosse stato Aslan... come avrebbe agito? Cosa avrebbe detto?

-Non è così facile, Lu. Non credo cambierà idea in tempi brevi.- osservò Peter. Ci aveva pensato a lungo, in quel paio di giorni. Evelyn era testarda ed orgogliosa quasi quanto lui, sotto quell'aspetto gli somigliava terribilmente. Non avrebbe lasciato scorrere quello sgarbo – quell'immensa bugia – molto facilmente.

Lucy iniziò a girare in tondo, sentendo l'ansia crescerle dentro come le onde sul mare e un brutto presentimento spazzare via tutta la speranza che fino a quel momento aveva cercato di mantenere viva. Nel giro di pochi secondi gli occhi le si riempirono di lacrime.

-Però dobbiamo fare qualcosa. Noi dobbiamo spiegarle, e... e non può rimanere da sola nella fo__foresta, noi siamo la sua famiglia! E ci sono i Telmarini, ci sarà una gue___-

-Lucy, calmati, per l'amor di Aslan!- suo malgrado, Peter le fu accanto in poche falcate e l'avvolse in un abbraccio, abbandonando repentinamente tutta la facciata di freddezza che aveva continuato a mantenere in quei minuti e sentendo una coltellata nel petto mano a mano che la vedeva dare sfogo ai propri pensieri.

Non ce la faceva a vederla in quello stato.

La sorella gli si aggrappò alla casacca in modo febbrile, piangendo silenziosamente la frustrazione che aveva sentito fino a quel momento e provando a calmarsi concentrandosi sulla mano con aveva iniziato ad accarezzarle la nuca. Il biondo sentì una nota di senso di colpa attanagliargli il petto per non aver pensato ai sentimenti delle sorelle, a come quella situazione doveva aver sconvolto anche loro. Era sicuro che anche Susan non se la stesse passando bene – e lui, per loro, non c'era stato.

Che razza di fratello era?


Lanciò uno sguardo ad Edmund, il quale osservava ansiosamente la figura della Pevensie che ancora stringeva tra le braccia. Peter tirò le labbra, sentendo la bile rimestarsi nello stomaco per la collera che ancora provava nei suoi confronti, ma riuscì a trattenersi dal dire qualsiasi cosa per non turbare nuovamente la sorella minore.

-Scusate, mi sono fatta prendere dalle emozioni.- disse Lucy, dopo qualche minuto. Si voltò verso Caspian ed Edmund, non rinunciando tuttavia al calore ed al senso di sicurezza che stare attaccata al petto di Peter le dava. Aveva gli occhi e le guance arrossate, ma l'ansia che l'aveva sconvolta poco prima era completamente svanita, mentre sentiva le mani del Pevensie stringerle le spalle, in un gesto che sapeva di casa e quotidianità.

-Mi spiace Lu, è colpa mia. Tutto è partito per causa mia.- mormorò Edmund, guardandola con imbarazzo da sotto le palpebre pesanti e cercando di scacciare il senso di colpa che vederla in quello stato gli aveva provocato. Vide Peter lanciargli un'occhiata palese e Caspian tossì per dissimulare la tensione che sentì scaturire da quello scambio di sguardi.

-Non è vero. Avremmo dovuto essere sinceri anni fa.- obbiettò quella, e sentì il biondo dietro di lei trattenere il respiro. Gli strinse una mano per cercare di farlo rilassare.

-In ogni caso, ormai è andata così. Bisogna pensare a un modo per risolvere le cose.- prese parola Caspian, prendendo posto su uno dei massi vicino ad Edmund e lanciando uno sguardo a Peter in cerca di approvazione. Lucy, contro il suo petto, mosse la testa vigorosamente in segno affermativo. Tra i quattro calò il silenzio per una manciata di attimi.

-Prima di andare avanti con questa conversazione, devo dire una cosa.- disse il Re Supremo, distaccandosi leggermente da Lucy in modo che anche lei potesse guardarlo in faccia. Le mise una mano sulla testa e si sforzò di sorriderle per quanto riuscisse a fare, tuttavia percepì che la sua espressione era parecchio rigida ed era sicuro di non essere in grado di mascherare ciò che provava sul serio.

-Per quanto mi scocci ammetterlo, sono d'accordo sul fatto che dobbiamo convincere Eve a tornare all'accampamento.- le espressioni di stupore che gli riservarono i tre dopo quella frase lo indispettirono nel profondo: diavolo, era sua sorella, parte della sua famiglia. Era ovvio che fosse preoccupato anche lui su dove fosse e cosa diavolo stesse combinando – e soprattutto cosa pensasse.

Non sopportava l'idea che li odiasse solo perché avevano tentato di non far caso a ciò che aveva detto loro Aslan, provando a continuare la loro vita come se non fosse mai successo nulla, come una famiglia normale.

-Questo non vuol dire che vi ho perdonato per... per...- Peter faticava a trovare le parole adatte per riuscire a esprimere quel concetto che ancora rifiutava di esporre palesemente. Istintivamente fulminò Edmund con un'occhiataccia, così come tutte le volte in cui gli occhi avevano mandato lampi ogni volta che ne aveva scorto la sua figura sfuggente, e fu chiaro a cosa si stesse riferendo.

-Non l'ho mai pensato.- disse il fratello cogliendo l'occasione per parlare, alzandosi in piedi per poter guardare Peter in modo più ravvicinato.

-Non lo accetterò mai. Non posso  e non lo farò, lo capisci?- continuò il biondo, incisivo, portandosi le mani al petto per cercare di allontanare quell'immagine che lo tormentava e tutti i sentimenti che si portava dietro, un modo ormai spontaneo con il quale cercava di creare una barriera invisibile che mettesse distanza tra sé e ciò che gli creava un disturbo.

Il modo in cui lo stava guardando Edmund lo spezzava dentro, perché si rendeva conto di quanto quella situazione lo stesse facendo soffrire. Ma non poteva, non riusciva davvero a provare a conciliare l'idea di loro due insieme. La sola ipotesi gli faceva mancare il respiro.

-Lo capisco Peter, davvero. Non preoccuparti.- Edmund si sforzò di sorridere per quanto riuscisse, sentendo la pelle tirare per lo sforzo e la secchezza e mettendo a tacere le voci che nella testa e nel cuore gli urlavano contro per farsi dare ragione, per far sì che Peter ascoltasse ciò che aveva da dire. Anche se Lucy era convinta che ci voleva solo un po' di tempo ai fratelli maggiori per accettare l'idea, il solo aver potuto scambiare delle parole con lui e il pensiero che, forse, insieme sarebbero riusciti a convincere Eve a tornare gli bastava per distogliere l'attenzione per qualche momento da tutto ciò che lo aveva tormentato fino a quel momento.

Non gli importava se Peter non avrebbe mai compreso. Non importava. La cosa a cui teneva di più era trovare il modo per farsi perdonare da Evelyn e saperla in salvo in mezzo a loro.

-Bene, sono felice.- mormorò Lucy, abbracciando prima l'uno e poi l'altro, sollevata per quella tregua momentanea.

-Dove si trova?- domandò poi al secondo. Edmund deglutì, ripensando al percorso che aveva fatto nel fitto della foresta e cercando di essere il più chiaro possibile nella spiegazione. Non era complicato arrivarci e la luce del giorno sicuramente avrebbe aiutato nell'orientamento.

-Non credo sia una buona idea che io vada, comunque. Sicuramente ascolterà di più te.- ragionò il moro, pensieroso. Per quanto l'idea lo ferisse, dovette ammettere a se stesso che Lucy avrebbe avuto più possibilità. Eve aveva sempre avuto un debole per la sorella minore.

-Non può andare da sola nella foresta. Vado con lei.- obbiettò subito Peter, avvicinandosi, come se in quel modo potesse proteggerla da eventuali pericoli. Edmund negò con la testa.

-Come non vuole vedere me... credo non voglia vedere nemmeno te...- provò a spiegargli, lanciandogli uno sguardo di scuse ed ottenendo dal maggiore un'espressione improvvisamente ostile. Peter tirò le labbra, pronto a rispondere e per nulla intenzionato a lasciare cadere l'argomento o farsi mettere da parte.

-Ha ragione, non possiamo rischiare di farla arrabbiare di più.- catalizzò la sua attenzione Lucy, aggrappandosi nuovamente a una manica per farsi guardare. Il biondo si passò la mano libera tra i capelli, sospirando pesantemente per niente concorde all'idea di lasciarla andare da sola nel bosco con il rischio che incontrasse i Telmarini.

-Posso accompagnarla io.-

-Caspian? Sei sicuro?-

Il Principe di Telmar si fece più vicino al gruppo per la prima volta da quando si trovava in quella stanza, intromettendosi attivamente nella conversazione. Sorrise a Lucy e le scompigliò i capelli per cercare di sollevarle il morale.

-Sarebbe perfetto. Con Caspian non può arrabbiarsi, non ne ha motivo.- ragionò la Pevensie, indicandolo ai fratelli. Edmund e Peter si scambiarono uno sguardo e il moro annuì.

-Per quanto mi scocci ammetterlo, credo sia l'unica soluzione.- ammise il più grande, arricciando le labbra e distogliendo lo sguardo più volte per accettare l'idea di doversi mettere da parte. Fissò lo sguardo su Caspian, in una muta ammonizione.

-Se le succede qualcosa, io...- iniziò, stringendo la mascella e guardandolo male, non riuscendo a trattenere la parole per sé.

-Non succederà nulla, tranquillo.- tentò di rassicurarlo il Telmarino, costringendosi a non roteare gli occhi al cielo per la scocciatura. Peter non sarebbe mai cambiato. Quanto ci voleva perché si fidasse completamente di lui?

-Cosa sta succedendo?-

All'unisono, i quattro si bloccarono, scambiandosi delle occhiate stralunate e sentendosi punti sul vivo come se stessero commettendo un reato. Con fatica, Edmund si sforzò di non cedere all'impulso di abbassare lo sguardo, puntandolo verso l'entrata della stanza come fecero gli altri.

-Susan!- esclamò Lucy, ma aggrottò la fronte quando notò che la sorella era in compagnia di due fauni e Trumpkin. Sembrava ansiosa. Il cuore della piccola Pevensie ebbe uno spasmo per l'agitazione che le saettò nelle viscere in modo improvviso. Fu come se la presenza improvvisa di Sue le avesse fatto accendere un campanello d'allarme impossibile da spegnere.

Peter e Caspian si avvicinarono ai nuovi arrivati in poche falcate, intuendo fosse successo qualcosa e cercando di non fare caso alla muta domanda che aleggiava silenziosamente nelle occhiate che la Pevensie stava riservando al biondo e al fratello minore ancora in disparte.

Decisamente, non si aspettava di trovarli tutti insieme... soprattutto non si aspettava che Peter si sarebbe messo a conversare con Edmund nella stessa stanza senza rischiare di commettere un omicidio. Ricordava troppo bene la rabbia che aveva sprigionato quando Evelyn era scappata e lo conosceva troppo bene per credere che gli fosse passata.

Susan sospirò, scuotendo la testa prima che i pensieri la tartassassero nuovamente e tornando a concentrarsi. Non c'era tempo da perdere.

-È successo qualcosa?- domandò il Re, rivolto a quelle che riconobbe come le sentinelle del turno mattutino. Era la prima volta che venivano a cercarlo da quando stava lì, solitamente erano sempre lui o Caspian ad interessarsi su come procedevano le cose perché non c'era mai stato nulla da segnalare.

L'istinto gli diceva che si, doveva essere successo qualcosa, e parte di lui corse con il pensiero ad Eve. Peter strinse i pugni e trattenne il fiato, teso come una coda di violino e percependo Lucy ed Edmund avvicinarsi alle sue spalle per poter ascoltare meglio.

I due Narniani si scambiarono uno sguardo carico di agitazione che mise i cinque in allerta, tuttavia fu Trumpkin a parlare, riportandoli alla realtà che stavano vivendo e di cui sembrava si fossero scordati fino a quel momento. Per tutti fu come ricevere una doccia gelata in pieno inverno.

-Vostre Maestà... l'esercito di Telmar ha concluso il ponte.-


***


-Non hai dormito stanotte?-

Eve si rigirò nella coperta che le aveva portato Dhemetrya, sbuffando e finendo con il guardare il soffitto della piccola caverna in cui si erano rifugiati quando aveva finalmente deciso di rimettersi in piedi e cercare un luogo dove potersi riprendere e restare riparata dal maltempo. Lo scoppiettare delle braci le aveva fatto compagnia tutta la notte, tuttavia non era stato abbastanza perché la cullasse trasportandola nel mondo dei sogni.

-Non prendevo sonno. Si è notato?- domandò in un mormorio sommesso, posando un braccio sugli occhi e sentendo le palpebre pesanti. C'era qualcosa che l'aveva resa inquieta per tutta la notte, facendola risvegliare più volte appena iniziava ad addormentarsi.

-Un pochino.- ridacchiò Dhem, lanciandole uno sguardo veloce e ritrovandosi suo malgrado vagamente intenerita. Anche se aveva cercato di non farsi sentire, aveva percepito la tensione ansiosa provenire dalla ragazza per tutte le ore in cui l'aveva vegliata in rigoroso silenzio.

-Mi dispiace.- fu la risposta rassegnata che le diede la Pevensie.

-Non fa niente. Cosa ti ha turbato?- domandò la mora, sedendosi a un paio di metri di distanza e controllando la punta delle frecce per passare il tempo mentre aspettava il momento buono per ravvivare il fuoco. Di notte, ormai, iniziava a fare parecchio freddo. Senza contare la pioggia dei giorni precedenti che aveva abbassato di parecchio la temperatura. Erano le prime ore del mattino e il sole iniziava a rischiarare il cielo, ma preferiva tenere il falò acceso fino a mattina inoltrata per evitare fregature che il tempo ballerino di quei giorni avrebbe potuto portare.

-Tutto, io... non ci capisco più niente. La storia delle Guardiane, chi sono... la situazione con i miei fratelli. È tutto un casino e mi sento una trottola che gira senza meta.-

Dhem rischiò di pungersi e per poco non le scappò il dardo che stava osservando con cura quasi maniacale. Era la prima volta che Evelyn parlava così apertamente, e suo malgrado fu contenta che si stesse confidando proprio con lei. Non si aspettava che avrebbe dato realmente una risposta alla sua domanda. Si umettò le labbra, prendendosi del tempo per cercare le parole adatte.

-Non mi sorprende, non è una situazione facile quella in cui vi siete cacciati.- osservò, voltandosi suo malgrado verso la Pevensie senza tuttavia volerla accusare di qualcosa. Eve non la stava guardando, continuando a stare a pancia in su con un braccio a schermare gli occhi e parte del viso. La mora poteva solo immaginare che espressione potesse avere, ma a giudicare da come era stata in quei giorni intuì che non fosse molto diversa da quella apatica che aveva mostrato fino a poco prima.

Sospirò, ripensando alle questioni in sospeso che gravavano tra i Sovrani dell'Età d'Oro, e fu con sconsolazione che riprese ad affilare la punta di una freccia secondo lei poco appuntita. Socchiuse gli occhi lasciandosi cullare dal calore sprigionato dal fuoco, percependo il tepore delle fiamme riscaldarle la pelle sotto i vestiti e annidarle una sensazione di pacifica sonnolenza nello stomaco.

Evitò di domandarsi, per l'ennesima volta, il motivo per il quale quel discorso non avesse potuto farglielo direttamente Aslan ai tempi dell'incoronazione, allo stesso modo con cui aveva preso da parte Peter per parlargliene. Era più importante che lo sapesse la diretta interessata, no?

-Secondo te cosa dovrei fare?- Eve si puntellò su un gomito e si ritrovò ad osservarla. Si sistemò su un fianco, incuriosita. Anche senza guardarla alla Narniana arrivò limpida la nota di interesse intrisa in quel movimento e come fosse un modo per iniziare a cercare di fare chiarezza in tutto quel casino.

Forse ci sarebbe voluto molto più tempo, ma era un inizio.

Tuttavia, per quanto fosse concorde con Antares sul fatto che avrebbe dovuto provare a riavvicinarsi ai suoi fratelli, se non altro in vista di quella battaglia maledetta ormai alle porte, decise di tenere quel pensiero per sé per evitare di indispettirla ulteriormente.

-Non posso darti una risposta precisa... devi fare quello che ti senti.- mormorò, tornando concentrata sul proprio lavoro e restando volutamente vaga e disinteressata. Le fu chiaro che Eve non fu soddisfatta della sua risposta da come esalò un sospiro, ma Dhemetrya non si fece toccare da quel sentimento: era una cosa che doveva fare da sola. Accettare la storia delle Guardiane, accettare che i suoi fratelli le avessero mentito, accettare che ora la sua famiglia era a conoscenza di un sentimento che per anni aveva conservato gelosamente... era un percorso che doveva fare da sola.

Nessuno di loro avrebbe potuto aiutarla, nemmeno le Guide, nonostante l'istinto di protezione che provavano nei suoi confronti.

-Hai ragione...- mormorò dopo qualche minuto di silenzio Evelyn, come se solo in quel momento avesse davvero processato le parole della Narniana. Si mise seduta, portandosi una mano alle tempie per massaggiarle e pregando non le venisse un mal di testa a causa del poco riposo. Stanca di aver perso tempo, si scostò la coperta con un gesto deciso e si mise in piedi.

Aveva bisogno di prendere aria per cercare di fare chiarezza nella sua mente. Non le piaceva l'idea di dover andare a incontrare i suoi fratelli, ma una parte di sé sapeva che prima o poi sarebbe dovuto succedere per avere le risposte alle domande che da giorni la tormentavano.

Eve non capiva se si sentisse più terrorizzata dagli eventuali giudizi che avrebbero potuto darle per la storia con Edmund o arrabbiata all'idea di tutto ciò che le avevano tenuto nascosto.

-Dove vai?- le domandò Dhemetrya, improvvisamente in allerta. La vide incamminarsi verso l'ingresso della caverna zoppicando leggermente e ne seguì la figura finché le fu possibile.

-Fuori.-


***


La prima cosa che percepì Evelyn non appena mise piede fuori dalla piccola grotta fu l'aria settembrina stuzzicarle la pelle del viso, dandole una serie di brividi da pelle d'oca lungo le braccia ed il collo. Socchiuse gli occhi, infastidita dalla luce improvvisa che li investì e che segnava quella che sicuramente sarebbe stata una giornata particolarmente serena.

Osservandosi intorno, notò che in alcuni punti la vegetazione iniziava ad appassire su se stessa, preparandosi all'arrivo dell'autunno: l'erba non era più brillante e rigogliosa e alcune foglie sulle fronde degli alberi che la circondavano iniziavano a mostrare la tipica sfumatura giallastra che segnava l'arrivo di quella stagione per lei particolarmente malinconica – ma che sentiva così tanto, adatta alla sua anima, che non poteva fare a meno di adorarla.

Evelyn sospirò, provando a stiracchiarsi leggermente per godersi il sole sulla pelle ma percependo subito una fitta al fianco che la fece immediatamente pentire per quell'idea. Si portò una mano alla parte dolente, aggrottando le sopracciglia ed osservandosi le dita attorno al vestito ancora escoriate per la caduta.

Sperò di non avere un aspetto troppo trasandato, ma era consapevole che fosse una speranza vana.

Si portò una mano alla fronte, rialzando lo sguardo appena in tempo per scorgere qualcosa muoversi tra i cespugli. Eve aggrottò le sopracciglia, paralizzandosi sul posto e seguendo febbrilmente il frusciare degli arbusti.

-Buongiorno, Evelyn.- anticipò la sua presenza Lia, uscendo alo scoperto una manciata di attimi dopo. La Pevensie sospirò pesantemente, percependo la tensione che le aveva irrigidito il corpo andarsene e guardando la figura della lupa avvicinarsi seguita da Antares. Aprì la bocca per lo stupore.

-Siete... tornati animali.- mormorò, prima ancora di ricambiare il saluto, scorrendo con lo sguardo sulle loro figure. I due si scambiarono un'occhiata, poi Lia fece un lieve cenno di assenso.

-Si. Sapevamo che era una transizione temporanea.- le spiegò, andandosi a sedere accanto al grande albero. Lo avevano sempre saputo, che non sarebbe durata. Era stata una bella bolla in cui crogiolarsi per qualche ora destinata fin da subito, però, a scoppiare. Ciò significava che Narnia e la magia che ancora l'animava si erano assopite nuovamente, riflettendo l'animo, in quella giornata decisamente più sotto controllo, della Pevensie.

-Mi dispiace.- mormorò la ragazza, senza saperne bene il motivo ma sentendosi, per qualche strana ragione che andava oltre la sua logica, responsabile per quella situazione. Antares nitrì leggermente, come a simulare una risata.

-Non fartene un cruccio, non è colpa tua.- disse, ricordandosi di come, in realtà, la sera prima le avesse detto il contrario. Era vero che in qualche modo la causa era stata la Pevensie, ma non intendeva davvero accusarla. Il legame tra Narnia e le Guardiane era particolare, bastava un niente perché venisse sollecitato e, probabilmente, tutto ciò che era successo aveva fatto si che inconsciamente gli spiriti che si portava dietro rispondessero al dolore che stava provando, cercando conforto nel mondo che aveva dato loro vita.

Improvvisamente, gli occhi di Lia saettarono verso il sentiero che s'inoltrava nel bosco. Antares pestò uno zoccolo a terra, tendendo le orecchie.

-Cosa c'è?- domandò Eve, percependo la tensione che li aveva avvolti attanagliarle le viscere.

-Arriva qualcuno.- le mormorò la lupa, alzandosi e raggiungendola istintivamente. Inconsciamente, Evelyn le si fece più vicina mentre Antares si mise loro davanti, schermandole parzialmente. Eve cercò di distinguere qualcosa, ma i rami e gli arbusti che s'intricavano tra loro non le permettevano di vedere oltre una certa distanza.

La lupa tese nuovamente le orecchie, annusando l'aria, poi si rivolse verso la Pevensie. Si prese qualche attimo per riflettere.

-È qualcuno di pericoloso?- le domandò la ragazza, intercettando la sua occhiata e alzando le sopracciglia, perplessa.

-No.- le disse, sospirando, e la osservò dritta negli occhi per qualche secondo come se volesse comunicarle qualcosa solo con lo sguardo. Eve aggrottò la fronte, cristallizzata nell'agitazione che quella risposta le aveva provocato e l'espressione di rassegnazione che vi leggeva in fondo a quel ghiaccio che la Narniana aveva per occhi.

Se non era un nemico... Istintivamente, tutto il suo corpo si tese, preparandosi a dare battaglia e non volendo ancora accettare l'eventualità di quell'incontro.

-Evelyn! Evelyn! Sei qui?-

La Pevensie strabuzzò gli occhi, rilassando le spalle quando la voce della sorella proveniente dal fitto degli alberi le colpì i timpani come un tuono. Sembrava... preoccupata? A Eve nacque un groppo in gola che si costrinse a soffocare prima che le offuscasse i pensieri che fino a quel momento aveva portato avanti.

-Lucy? Lu!- rispose istintivamente, senza il coraggio di muovere un passo. Si sporse quel tanto che bastava per avere la visuale completamente libera sullo spiazzo di erba, sentendo l'aspettativa montarle dentro senza che potesse fare nulla per fermarla.

-Finalmente ti ho trovato!- rimarcò Lucy, uscendo finalmente dal bosco Narniano seguita da Caspian. Eve fissò la figura del Principe rimanendo interdetta per qualche secondo, faticando a capire la motivazione dietro la sua presenza – si sarebbe aspettata Peter, se doveva essere del tutto onesta.

-Ciao.- salutò il Telmarino, facendo un cenno del capo verso i due Narniani al suo fianco e seguendo Lucy come un'ombra. La più piccola di casa Pevensie si osservò intorno, rivolgendo un sorriso verso Lia ed Antares prima di tornare a guardarla con uno sguardo febbricitante. La studiò qualche attimo, corrugando le sopracciglia e sentendo il dispiacere darle una fitta al cuore nel notare le condizioni pietose in cui riversava il suo viso ancora tumefatto sullo zigomo e le occhiaie nate dal poco riposo.

La Scaltra storse il naso, non riuscendo a capire cosa provasse in quel momento la sorella. Le sembrava sollevata, ma c'era una punta di qualcosa che non riusciva a definire. In ogni caso, non poté fare a meno di accigliarsi, tornando sulla difensiva una volta appurata che entrambi stavano bene e non sembravano essere in pericolo o seguiti da qualcuno.

-Cosa ci fate qui?- sibilò, e percepì una corrente d'aria dietro la schiena che le anticipò l'arrivo di Dhemetrya, attirata dalla tensione che aveva sentito permeare l'atmosfera come una nebbia soffocante.

-Devi tornare al campo.- disse Lucy, senza il coraggio di avvicinarsi. Aveva notato il cambiamento di espressione di Eve e non voleva fare nulla che la mettesse a disagio. Come immaginava, la Pevensie la fulminò con lo sguardo senza troppe cerimonie.

-No.- fu la lapidaria risposta che le riservò, e a Lu parve di percepire l'offesa ed il risentimento che provava pugnalarla come tanti spilli. Sentì Caspian posarle una mano sulla spalla, lì come Peter aveva sempre fatto per darle conforto.

-È davvero importante, Eve. Dovresti tornare.- il ragazzo si sentì trapassare dall'occhiata furibonda con cui Evelyn lo guardò come se gli avesse messo a nudo direttamente l'anima. La vide irrigidirsi, la vena del collo che iniziava a essere visibile sotto la pelle per la tensione che stava provando a tenere sotto controllo e che gli ricordò quella di Peter.

Evelyn sospirò visibilmente, scuotendo la testa e mordendo a forza un labbro. Come osavano? Come potevano anche solo pensare di presentarsi lì come se nulla fosse e chiederle di tornare?

-Quasi quanto era importante non mentirmi, mh?- sputò fuori, rancorosa. Strinse le mani a pugno varie volte, percependo le dita tremare per la necessità di sfogarsi con qualcosa. Non avrebbe ceduto. Inoltre, non aveva ancora fatto pace con se stessa per poter essere in grado di provare ad ascoltare ciò che i sui fratelli avevano da dirle.

Prima Edmund, ora Lucy... non potevano imporle la loro presenza in quel modo. Dovevano piantarla di decidere per lei.


-Hai ragione ad essere arrabbiata. Ci dispiace moltissimo, noi... noi credevamo di fare del bene.- sussurrò Lu, facendo dardeggiare lo sguardo da ogni parte meno che sul suo viso.

-È tardi per chiedere scusa.- mormorò Eve, guardandola di sottecchi. La vide mordersi un labbro a sua volta, sbattendo le palpebre sui grandi occhi lucidi.

-Però è davvero importante che tu torni.- rimarcò, ed Evelyn sentì il nervoso pervaderla nuovamente senza che potesse fare qualcosa per fermarlo. Fu come se fosse stata buttata benzina sulle ceneri di un fuoco non ancora assopito.

-Perché? Perché ora?! Non vi è mai importato cosa penso, altrimenti mi avreste raccontato subito tutta la verità, quindi non venirmi a dire che ora per voi è importante la mia presenza!- sbottò, totalmente in preda alla collera, e Lucy sussultò per quell'accesso di rabbia che non si aspettava le avrebbe riversato contro.

La più piccola si strinse nelle spalle, sentendosi ferita e guadagnandosi le occhiate compassionevoli dei tre Narniani che stavano assistendo alla scena.

-Eve!- la riprese Caspian, parandosi di fronte alla Regina in un moto di protezione. Trovava ingiusto che Evelyn si stesse sfogando con Lucy, quando probabilmente quel discorso avrebbe dovuto farlo a Peter, il primo ad aver saputo di quella storia e il primo ad aver deciso di tenergliela nascosta per paura delle conseguenze, e con cui sicuramente avrebbe avuto una discussione più produttiva.

Evelyn socchiuse gli occhi, ricacciando indietro le lacrime che sentiva iniziare a farle pizzicare gli occhi e il groppo in gola che le spezzava il fiato.

-Perché è così importante che torni? Non potete aspettare i suoi tempi?- s'intromise Lia, pacata, cercando di capire come mai fossero tanto ostinati ed intuendo ci fosse qualche ragione dietro quel comportamento.

Lucy spuntò da dietro la schiena del Telmarino che l'aveva accompagnata in quella missione che si era rivelata particolarmente dolorosa, delle lacrime che le rigavano il volto divenuto improvvisamente pallido: quella visione s'inchiodò nella mente di Eve come incisa a fuoco e si vergognò di aver perso la pazienza in quel modo, ma non ebbe modo di rifletterci troppo perché Caspian attirò nuovamente la sua attenzione. Era teso e serio come poche volte lo aveva visto e intuì che dovesse essere successo qualcosa di grave.

-Perché sono arrivati i Telmarini.-




































































































Buongiorno a tutti :)
Allora, che dire... sono contenta di essere riuscita a portarvi questo capitolo in tempi decenti. Rispetto al precedente, è stato decisamente più facile da scrivere ed è anche abbastanza corposo. In ogni caso, sono in degenza perché due settimane fa sono stata operata d'urgenza di peritonite, quindi spero che queste settimane di riposo mi portino abbastanza ispirazione per continuare questa storia e non farvi aspettare troppo.
Spero anche che le reazioni di Peter, Lucy e Edmund siano capibili: non hanno fatto pace, semplicemente è un quieto vivere perché ci sono cose più importanti da affrontare al momento. Peter è un testone, non abbandonerà facilmente le proprie posizioni, mentre Lu poverina si è ritrovata in mezzo a una cosa forse più grande di lei. Come vi avevo avvisato, le cose da sviscerare erano molte e non sono ancora del tutto finite, quindi sono stati capitoli con momenti di transizione che hanno preso molto spazio e che stanno per avere una prima conclusione in vista della battaglia.
In ogni caso, ringrazio chi continua a leggere e seguire questa storia, spero di non deludere le vostre aspettative!
Baci
D <3

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Capitolo 42
*** Occhi che parlano. ***


Narnia's Spirits
Occhi che parlano.













Susan uscì dalla Casa di Aslan giusto in tempo per osservare i Narniani che formavano le fila del loro esercito iniziare a radunarsi nella prateria di fronte al rifugio, trepidanti di agitazione per l'imminente arrivo dei Telmarini.

Erano così tanto impegnati a sistemare le loro cose e dare direttive ai più piccoli che avrebbero dovuto inoltrarsi nella foresta insieme agli anziani – i primi troppo giovani per combattere e l'ultima speranza che le loro specie non scomparissero del tutto, i secondi troppo deboli per poter partecipare e portatori di esperienza –, che a lei nemmeno fecero caso, mentre vi passeggiava in mezzo osservandoli iniziare a lavorare come formiche impazzite sotto le direttive dei comandanti.

Sospirò, la Pevensie, scuotendo la testa rassegnata e pensando che quella era proprio la reazione che lei e i suoi fratelli avrebbero voluto evitare.

A nulla era valso il tentativo suo e di Peter di tenerli il più possibile all'oscuro per cercare di prendere tempo e iniziare ad ideare un piano da esporre, sicuri che prima o poi sarebbero sorte delle domande su come avrebbero dovuto agire; i mormorii sommessi, le occhiate angosciate che si scambiavano le madri e il continuo osservare con spasmodica attenzione i confini della foresta da parte delle sentinelle erano i segni inequivocabili che la notizia che l'esercito di Telmar sarebbe arrivato – sarebbe arrivato davvero, quel giorno – era diventata di pubblico dominio, e i Narniani avevano già iniziato a mettere in pratica ciò che da tempo era stato deciso: salvare chi non poteva effettivamente combattere, iniziare ad impugnare le armi ed indossare le armature per essere pronti ad ogni evenienza.

Sue si umettò le labbra, socchiudendo gli occhi per la luce del sole ed appoggiandosi a peso morto sopra una delle tante rocce che formavano il rifugio. Non poté impedire al proprio sguardo di soffermarsi nel punto in cui sapeva che erano andati Caspian e Lucy, seguendo esattamente la direzione che Evelyn aveva preso giorni addietro.

Percepì le le gambe molli per l'ansia che le era tornata ad attanagliare le viscere a quel ricordo e non riuscì a fermare il tremore continuo a cui erano sottoposte le sue dita.

Come avrebbe fatto a combattere con l'arco se non fosse più riuscita a tenerle ferme?

Susan fece un respiro profondo, dardeggiando con lo sguardo assottigliato ed in attenzione per la radura illuminata dal sole da non più di una manciata di ore ed aspettandosi di vedere comparire da un momento all'altro le divise dei soldati di Telmar.

Ancora le ricordava bene dalla notte in cui avevano provato a prendere possesso del castello di Miraz. La sensazione di impotenza ed annullamento che i soldati le avevano provocato quando erano stati circondati dagli arcieri sulle mura era stato il suo incubo per giorni.

Percependo l'ansia comprimerle il petto per l'aspettativa che cresceva attorno a lei in modo palpabile, realizzò di non potersi assolutamente concedere di dubitare di se stessa in un momento così critico.

Non poteva permettersi di crollare, di mollare proprio in quel momento, andando ad alimentare il desiderio di ritornare alla tranquilla vita di Londra che ogni tanto era venuto a farle visita in quelle notti insonni, solo perché si ritrovava con il peso di una realtà che non riusciva a gestire e sentiva scivolarle via dalle mani mano a mano che il tempo scorreva.

Mancava così poco, ormai, per sapere quale sarebbe stato il suo destino... il destino di tutti.

L'arco era parte di lei, le frecce che scagliava il prolungamento delle sue braccia, l'arma a cui il suo corpo e la sua mente si erano plasmati crescendo in simbiosi per quindici lunghi anni e che le aveva sempre permesso di proteggere da lontano i suoi fratelli ed il loro esercito.

Non aveva mai fallito e non avrebbe di certo iniziato quel giorno.

Cullandosi in quei pensieri, Susan sentì la tensione allentarsi leggermente, permettendole di tornare a respirare l'aria frizzante del mattino e riuscendo, per un solo breve attimo, a ritrovare la sensazione di essere nuovamente nella Narnia che aveva amato, con le fronde degli alberi danzanti e i suoni dei flauti a rallegrare il bosco.

L'illusione di essere nuovamente a casa le sbocciò nel petto e non poté impedirsi di godere di quell'emozione che, si rese conto, le mancava come l'aria.

Si stava abituando a Londra, ma mai la sensazione di appartenenza che quel mondo le aveva sempre donato avrebbe potuto venire eguagliata da qualsiasi altro posto. Ora che l'aveva lì, che la percepiva addosso come se facesse parte di lei, desiderava non perderla più.

Avrebbe pagato oro pur di poter tornare alla vita vissuta nella Narnia di milletrecento anni prima.

Occhieggiò nuovamente i dintorni, soffermandosi in particolare sullo stesso punto di poco prima, quello da dove aveva visto sparire sua sorella e il Principe di Telmar.

Doveva essere fiduciosa.

Anche se la prospettiva di rivedere Eve la metteva a disagio, facendole assorbire l'indignazione di Peter per ciò che aveva visto e che lei poteva solo immaginare come una spugna, avevano bisogno di tutto l'aiuto possibile: ed Evelyn in battaglia era brava – forse non possedeva il carisma di Peter o l'acume di Edmund – ma nessuno poteva negare che fosse un aiuto prezioso, un alleato che avrebbe fatto il possibile per coprirti le spalle.

E, dopotutto – Susan si arrese a quel pensiero sospirando rassegnata tutta la frustrazione che le circolava in corpo – per lei rimaneva pur sempre sua sorella.


***
 

-L'esercito di Telmar sta arrivando.-

Lucy si scambiò un'occhiata allarmata con Edmund, mentre nel giro di un paio di falcate Caspian e Peter avevano già raggiunto i nuovi arrivati appena entrati nella sala della tavola di pietra.

Per qualche secondo sembrò che l'atmosfera si fosse come congelata nel tempo, facendo calare un velo di freddezza nonostante i fuochi che eterni ardevano lungo il perimetro donando quella particolare sensazione di trovarsi in un ambiente intimo.

-Davvero?- mormorò infine Edmund, incredulo, sentendo il battito accelerare per l'agitazione. Non c'era più tempo da perdere.

Trumpkin si limitò ad annuire tirando le labbra, serio, lanciandogli uno sguardo che fece pentire il Pevensie per aver fatto quella domanda, anche se non vi era accusa nella sua espressione. Era ovvio che fosse vero, non avrebbero mai scherzato su una cosa simile.

-Quando?- volle sapere Peter, pratico, facendo distogliere l'attenzione dei fauni e del nano dal fratello e catalizzandola su di sé: se non avevano terminato il ponte da troppe ore, forse avevano ancora un po' tempo per prepararsi prima che tutto l'esercito attraversasse il fiume.

-Questa mattina presto, Mio Signore. Le prime truppe sono già sulle nostre sponde.-

Il Pevensie, come tutti i presenti, spostò la propria attenzione su Glenstorm, arrivato pochi secondi prima ed ancora sulla soglia.

Aveva mandato delle sentinelle ad osservare a che punto fosse la costruzione, ma quelle erano tornate prima del solito, facendogli capire che qualcosa non andava – e non si era sbagliato. I Telmarini si stavano già preparando per entrare nella foresta e per evitare di essere scoperte le sentinelle erano dovute tornare subito al campo. Sospettava, inoltre, che presto alcuni soldati sarebbero arrivati al limitare del bosco, mandati in avanscoperta per raccogliere informazioni sulla loro situazione.

Il suo intervento colpì i Re come un dardo scoccato con feroce maestria, adombrandogli i visi in un'espressione cupa.

Peter cercò automaticamente lo sguardo di Caspian a quelle parole, trovandolo già intento a fissarlo come se si aspettasse quel gesto: gli indicò la porta con un cenno del capo, lanciando una veloce occhiata a Lucy, che gli si era affiancata.

-Andate.- si limitò a dire, distogliendo lo sguardo e sospirando rassegnato. Non gli piaceva ancora, quell'idea, ma non c'era più tempo ed era consapevole che se ne sarebbe dovuto fare una ragione, che fosse d'accordo o meno.

I due si limitarono ad annuire senza perdersi in chiacchiere, ma quando gli passarono accanto Peter fermò la sorella prendendola per un polso, ottenendo solo una stretta di mano ed un cenno di sorriso prima che si divincolasse dalla presa per raggiungere il Principe di Telmar.

Temeva l'eventualità che incontrassero l'esercito mentre erano nel bosco da soli. Non avrebbero avuto scampo.

-Aspettate!- Susan osservò la scena senza capire, seguendo con gli occhi le figure dei due immettersi nel corridoio senza darle ascolto. Caspian la guardò dispiaciuto mentre Lucy li salutò lasciandosi alle spalle la promessa che sarebbero tornati presto.

Sue sentì una punta di nervoso risalirle il corpo per non essere ascoltata. Con un unico movimento si voltò verso il fratello maggiore, gli occhi che mandavano lampi di rimprovero.

-Andate? Andate dove?- domandò, con voce strozzata, indicando con un dito l'uscita. Il volto le si contorse lievemente, dando vita ad un'espressione angosciata che rese ancora più pallido il viso già trasudante di stanchezza. Non capiva cosa stava succedendo ed intuì che la cosa aveva a che fare con il fatto di averli trovati tutti insieme a confabulare.

Si sentì offesa per non essere stata resa partecipe di qualsiasi cosa stessero decidendo senza di lei.

-È pericoloso, Peter! Ci sono i Telmarini! Peter? Mi stai ascoltando?!- rincarò, come un martello contro il ferro caldo, sbattendo le mani sulla pietra per dare enfasi alle sue parole affinché la guardasse. Cosa avevano in mente? Non avrebbe accettato l'idea che altre persone che amava si mettessero in pericolo, come già Eve era persa chissà dove e non sapeva se avrebbero avuto tempo per cercarla.

I Narniani restarono perplessi per la sorpresa nel vederla perdere la compostezza che si ostinava sempre a mantenere, tuttavia Edmund non fu sorpreso della reazione. La sorella era terribile, se perdeva seriamente la calma.

-Dannazione Sue, lo so!- sbottò il Pevensie, stanco della pressione che Susan gli stava mettendo addosso impedendogli di concentrarsi su un piano per non cadere vittime della guerra.

Perché? Perché non capiva che avevano altro a cui pensare, in quel momento?

La Pevensie sussultò per quella rabbia improvvisa che vide gonfiargli le vene del collo e arrossargli le guance, rimanendo con la bocca spalancata per vari attimi, incapace di formulare una frase e continuando a osservare il modo cagnesco con cui il fratello stava ricambiando il suo sguardo carico di sgomento.

Si riprese, accigliandosi per quei modi bruschi ed arricciando il naso, in quei gesti particolari che precedevano sempre l'inizio di una discussione che avrebbe portato quasi sicuramente ad una litigata. Non avrebbe accettato di essere ancora messa da parte. Non si sarebbe accontentata di stare a sentire.

Voleva sapere.

Fece il giro della pietra spezzata per fronteggiare meglio Peter, e gli occhi ridotti a due fessure sembrarono essersi oscurati di colpo, prendendo il colore plumbeo del cielo che li aveva sovrastati i giorni precedenti. Susan risucchiò l'aria pretendendo da se stessa di non perdere completamente la pazienza, fumante di una collera che così poco si adattava alla sua persona sempre controllata.

Era stufa, stufa che decidesse sempre per tutti.

Se erano finiti in quella situazione era anche colpa sua, che aveva taciuto convincendoli a stare zitti – per poi essere il primo a pretendere di sapere sempre tutto ciò che accadeva.

Susan odiò Peter per un breve attimo, ritenendolo incoerente e percependo la rabbia per ciò che la sua impulsività aveva causato farle tremare le mani dalla voglia di tirargli uno schiaffo pur di sfogare tutto il tormento a cui era stata sottoposta in quei giorni. Afferrò i lembi della gonna per trattenersi.

-Stanno andando a cercare Eve.- Edmund le si avvicinò di qualche passo, entrando nel suo campo visivo e facendo in modo, così, che la sorella arrestasse il passo, come se avesse schiacciato un pulsante di spegnimento. La vide lanciare uno sguardo al biondo, occhiata a cui il maggiore rispose alzando le sopracciglia come se ciò che aveva sentito fosse tutta la spiegazione di cui necessitava per calmarsi, per nulla turbato dalle reazioni della Regina a cui ormai era abituato.

Susan scoccò la lingua contro il palato, per nulla soddisfatta, rivolgendo la propria attenzione verso Edmund, sopprimendo la perplessità che le dava il fatto che le avesse rivolto la parola per primo, addirittura facendo in modo che non litigasse con Peter. Le poche volte che l'aveva incrociato aveva fatto sempre in modo di evitarla, dettaglio che non le era sfuggito e che l'aveva mortificata, ma di cui non riusciva a fargliene una colpa.

-Cosa hai detto?- domandò, e fu chiaro che pretendeva delle risposte un po' più articolate di cinque parole mormorate con indecisione.

Edmund sussultò per l'imbarazzo, sentendo le guance imporporarsi al pensiero che anche Sue sapeva ed odiando se stesso per non riuscire a controllare quelle reazioni. Non era proprio il momento di vergognarsi...

Susan continuò a fissarlo, mordicchiandosi un labbro per il disagio che sentiva provenire dalla figura del Giusto e che le stava facendo tendere i nervi, percependo l'atmosfera farsi pesante. Occhieggiò Peter, trovandolo preso a parlare con i Narniani, totalmente dimentico della sua presenza e non si stupì della cosa: dopotutto era pur sempre il Re e l'esercito necessitava di iniziare a prepararsi, senza contare che se credeva di avere ragione era sordo a qualsiasi contestazione.

La Pevensie ripuntò l'attenzione verso Edmund, dopo aver scosso lievemente la testa, decidendo di cogliere l'occasione per parlarci.

Lo vide sussultare per quel gesto improvviso che non si aspettava e abbassare lo sguardo, e Sue sentì una fitta di senso di colpa attanagliarle le viscere, dandole la sgradevole sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato. Le diede l'impressione di un animale messo in gabbia che cerca in ogni modo di scappare.

Povero Ed...

Gli si avvicinò, cauta, guardandolo per esortarlo a parlare cercando di addolcire lo sguardo più che poté.

-Caspian e Lucy sono andati a cercare Eve.- le spiegò, calmo, grattandosi la nuca ed osservandosi intorno per evitare di dover sostenere il suo sguardo. Sapeva che lei non gli stava domandando nulla di quello che era successo, ma Edmund non riusciva comunque a sentirsi in pace con se stesso, percependo l'agitazione pungolarlo poco sotto il petto.

Il Pevensie socchiuse gli occhi e rilasciò un grosso sospiro di frustrazione, raccogliendo il coraggio di guardare in faccia sua sorella almeno per vedere con quale espressione lo stesse osservando. Contro ogni sua peggiore prospettiva, vi lesse un sollievo genuino raddolcirle i lineamenti.

-Sanno dove si trova? Per questo eravate qui?- Susan sembrò rianimata per quelle parole, e gli occhi le luccicarono per l'aspettativa di rivedere sua sorella e il conforto nel sapere che non era dispersa come aveva sempre immaginato nei suoi peggiori incubi. Edmund annuì, mordendosi un labbro.

-Ho provato... ho provato a parlarci, ma mi ha cacciato via.- mormorò, ricordando la sensazione di fallimento che l'aveva investito quando era stato costretto a tornare al rifugio senza aver potuto concludere nulla come se gli fosse stata incisa addosso.

La consapevolezza di non essere stato in grado di poter risolvere la situazione che aveva creato l'aveva tediato vivo per parecchie ore ed accettare il fatto che Evelyn ce l'avesse a morte anche con lui era stato un boccone amato con cui imparare a convivere.

-Oh...- Sue si portò una mano alla bocca, schermando le labbra schiuse per la sorpresa. Non sapeva che Ed avesse provato a raggiungere Eve... era stata troppo intenta a piangersi addosso. Ancora una volta, non era stata in grado di capire ciò che le succedeva intorno.

Stupida, stupida Susan...

Ingoiò il groppo di rimorso che le bruciava in gola e si avvicinò al fratello ancora di più, cercando di scacciare ciò che le aveva detto Peter e percependo il dolore e la solitudine sprigionati dalla sua figura come se fossero propri: Edmund era bianco come un cadavere, con la voce roca di chi non riesce a parlare senza rischiare di spezzarsi sotto il peso delle proprie parole e lo sguardo spiritato di chi sembra aver visto il proprio peggior nemico.

A Susan ricordava i volti dei bambini sconvolti dalla paura a causa dei bombardamenti notturni e le si strinse il cuore per la tristezza nel riportare a galla quei tormenti subiti.

Cercò di scacciare tutte le sensazioni sgradevoli che aveva coltivato fino a quel momento.

-Sono certa che non avrebbe ascoltato nessuno di noi. È una testona, lo sai.- provò a rassicurarlo, cercando di infondergli un po' di sollievo esattamente come Caspian aveva fatto con lei. In fondo, non credeva nemmeno lei a ciò che diceva: Eve era sì una testona impulsiva, ma ciò non cambiava il fatto che fossero loro ad essere in torto nei suoi confronti ed avesse tutte le ragioni del mondo per voler prendere le distanze.

Edmund sospirò, stanco, percependo le palpebre pesanti per la stanchezza. Mugugnò un assenso, stropicciandosi gli occhi, facendo poi dardeggiare lo sguardo su Peter ancora impegnato a dare le prime direttive ai Comandanti. Non si sforzò di capire cosa gli stesse comunicando, troppo impegnato a rimuginare.

-Spero solo che Lu e Caspian facciano in fretta e che accetti di tornare.- commentò poco dopo, catalizzando l'attenzione di Susan nuovamente su di sé e sondando la sua espressione con un'occhiata in tralice.

La sorella rimase in silenzio qualche attimo, torturandosi le dita delle mani e picchiettando un piede a terra, nervosa, riflettendo sulle sue parole e percependo il disagio e l'ansia che Edmund emanava con ogni fibra del suo corpo, il dispiacere inchiodato in fondo allo sguardo che le dava una fitta al cuore ogni volta che ne percepiva la presenza.

Avrebbe voluto dirgli che non ce l'aveva con lui per ciò che era successo, che l'importante era solo che fossero felici e tornassero uniti come prima, ma non ci riuscì e preferì tacere, sentendo ancora acerbo il seme dell'accettazione totale.

-Già...-



***


Susan si riscosse da quel ricordo percependo una mano sulla spalla. Sussultò per la sorpresa, sbattendo la palpebre varie volte e mettendo a fuoco la figura che le si era affiancata, riconoscendolo non senza una certa fatica dovuta alla poca attenzione che stava riservando a ciò che la circondava.

-Sue... ?- la chiamò Edmund, accorgendosi dello sguardo spaesato che gli stava rivolgendo e ritraendo la mano, come scottato dal suo stesso gesto.

-Si?- domandò quella, non capendo il motivo di quell'intromissione. Era convinta che fosse con Peter per vedere a che punto fossero con la costruzione di armi, per essere sicuro ce ne fossero abbastanza per tutti, e che non si sarebbe liberato tanto presto dal compito di assicurarsi che le prime direttive del Re Supremo venissero eseguite.

Peter aveva deciso con Glenstorm di far conteggiare armi e armature, i viveri rimanenti in caso di un eventuale assedio, le scorte di erbe medicinali per i feriti che ci sarebbero sicuramente stati... e da quelle poche richieste i Narniani avevano capito che c'era nell'aria qualcosa di diverso.

Susan sospirò. Non che avrebbero potuto tenerglielo nascosto per molto...

-Peter chiede se puoi andare da lui per discutere degli arcieri.- le disse, seguendo con lo sguardo due minotauri sorpassarlo e raggiungere un gruppo di nani per dar loro alcune asce. L'aria del mattino gli schiaffeggiò il viso, dandogli la spiacevole sensazione della pelle tirata per la troppa secchezza.

Edmund si grattò una guancia, tornando a guardare Susan, che non aveva ancora parlato.

-Sue?- riprovò, notando come non desse cenni di volersi spostare. La Pevensie sussultò sul posto, alzandosi di scatto dal masso su cui stava seduta come punta da uno scorpione.

-Ah si, si... ora vado.- mormorò, ravvivandosi i capelli ma lanciando, tuttavia, un ultimo sguardo alla prateria.

-Stavo controllando... per vedere se tornavano Lucy e Caspian...- si giustificò, accorgendosi dell'apprensione che adombrava i lineamenti del volto di Edmund. Il moro annuì, comprendendo la sua agitazione, cullandosi nella certezza che non fosse l'unico a nutrire la speranza di vederli ricomparire seguiti dalla figura di Evelyn.

Si perse ad osservare il cielo azzurro, le chiome degli alberi smosse dal lieve vento autunnale che davano vita al sibilo inconfondibile dell'aria che faceva frusciare le foglie tra loro. In un'altra circostanza, quella sarebbe stata una bella giornata di cui godere, approfittando dell'ultimo calore estivo sprigionato dal mondo che ancora tentava di resistere all'arrivo dell'inverno.

-Sai, Ed...- lo richiamò Susan, rompendo la sua bolla di pensieri e catalizzando tutta la sua attenzione in una manciata di attimi. La vice mordersi un labbro e distogliere lo sguardo un paio di volte, in un chiaro gesto di indecisione.

-Mi dispiace non aver capito che qualcosa non andava.- borbottò sua sorella, mantenendo un filo di voce basso per non farsi sentire da orecchie indiscrete e abbassando lo sguardo sui suoi piedi. Edmund ci mise qualche attimo a recepire il senso di quelle parole.

-Non che abbia accettato l'idea, o sia d'accordo... la penso come Peter. Però mi spiace non esservi stata d'aiuto e che le cose si siano scoperte in questo modo.- tentò di spiegarsi, senza capire il motivo che l'aveva spinta a tirare fuori quell'accozzaglia di giustificazioni e scuse che suonò contorta perfino per lei.

Si malediva per non essere stata in grado di recepire che qualcosa non andasse, proprio davanti ai suoi occhi, e si malediva ancora di più per non essere stata in grado di prendere la decisione di tirare fuori tutta la verità non appena se ne presentava l'occasione, preferendo cullarsi nella sua bolla di paradiso ignorando volutamente l'inferno che avrebbe potuto scatenarsi al di fuori.

Finché con i suoi fratelli era sempre andato tutto bene il resto non le era mai importato. Ed era stato un errore enorme.

Era stata superficiale.

-Non fa nulla. Non credo sarebbe cambiato molto, almeno per me, e conoscendo Eve sono certo che pensi le stesse cose.- le disse il moro, avvicinandosi leggermente per poter continuare a mantenere la voce bassa. Susan corrugò la fronte, non capendo quella risposta.

-Ero convinta che tu e___- iniziò, ma Edmund la interruppe, reprimendo un sorriso di ilarità prima di scoppiare a riderle in faccia. Davvero Susan pensava che avessero mentito a tutti loro volutamente?

-Io ed Evelyn non ci siamo mai avvicinati prima dell'altra sera. Non avreste mai potuto sapere nulla perché nemmeno noi sapevamo di essere ricambiati nei nostri sentimenti. È stata una sorpresa.- le spiegò, e sperò che capisse che, se avevano taciuto, era perché fortemente consapevoli delle brutte conseguenze che confessare quel segreto avrebbe comportato. Non volevano rovinare il rapporto tra tutti loro, non volevano rischiare di perderli per una cosa così intima che per molto tempo avevano sempre cercato di confinare in un cassetto. Se aveva imparato a conoscere Evelyn  bene come credeva, era sicuro che anche lei aveva avuto quei tipi di pensieri.

Edmund ebbe una fitta al cuore immaginando quanto tormento doveva aver sopportato, se come aveva intuito provava qualcosa che fosse anche solo un pizzico del suo sentimento per lei.

Evelyn...


-Io... non so cosa dire, Ed.- confessò Sue, socchiudendo gli occhi e percependo una grande desolazione annientare tutto ciò che aveva covato fino a quel momento. Si era lasciata trasportare troppo dalla rabbia di Peter, senza nemmeno dare la possibilità ai due di spiegarsi. Rimaneva sempre un concetto di difficile digestione, qualcosa a cui la sua mente rispondeva mandando tutto in cortocircuito quando vi ripensava, ma aveva la sensazione di riuscire ad intuire la motivazione che li aveva spinti alla segretezza, al perché erano giunti al momento dello scoppio.

Se trattieni troppo qualcosa, alla fine esplodi. E loro erano esplosi, attirati inesorabilmente come calamite. Era stata solo questione di tempo.

Quanto? Quanto tempo in cui lei avrebbe potuto mostrarsi più attenta nei loro confronti, in cui avrebbe potuto fungere da appoggio per confidarsi?


Susan sospirò, non capendo da che parte pendesse il suo giudizio, arrovellandosi la mente per cercare di rimanere salda sulle convinzioni a cui si era aggrappata fino a quel momento e che le avevano tolto il sonno e annebbiato la mente. La convinzione che non sarebbe mai riuscita ad accettare quella situazione. La convinzione che se fosse stata sincera fin da subito Evelyn non ce l'avrebbe avuta con loro – e forse anche quella storia dell'essere innamorati avrebbe avuto una sfumatura diversa agli occhi di tutti.

La Pevensie si prese la testa tra le mani, tirandosi alcune ciocche di capelli per la frustrazione. Edmund le posò entrambe le mani sulle spalle, obbligandola in quel modo a guardarlo negli occhi.

-Tranquilla, Sue. Non è colpa tua.- la rassicurò, notando gli occhi lucidi che tentava di nascondere dietro le palpebre e le guance arrossate. La sorella sospirò lievemente, lottando contro la vocina nella sua testa che le gridava di allontanarsi. Abbracciò Edmund in uno slancio di dispiacere, cercando un appiglio per sfogare la tristezza che la stava nuovamente investendo come un treno in corsa e senza capire se quel gesto fosse più per lei o per il fratello.

-Mi dispiace, mi dispiace...- mormorò, sconnessa, travolta da tutta la marea di emozioni che stava provando. La tensione aggiuntasi per la guerra imminente non aiutava.

Aveva paura, una paura terribile che sarebbero morti senza riuscire a perdonarsi a vicenda. Non voleva passare gli ultimi istanti della propria vita con il rimorso di non aver fatto il possibile per provare a sistemare le cose e con l'angosciante sensazione della rabbia che le gorgogliava nello stomaco, incapace di provare a trasformarla in un sentimento più pacifico. Non che improvvisamente fosse tutto cancellato, ma non voleva nemmeno vivere con la certezza che avrebbe potuto impegnarsi per provare a reagire in modo differente a tutto quello.

Tra l'eventualità di dover scegliere tra rischiare di perdere i suoi fratelli e dover accettare in futuro che magari si sarebbero amati, era sicura che la prima le avrebbe portato più dolore. Voleva loro troppo bene per sopportare l'idea di non vederli più.

Edmund le picchiettò la mano sulla schiena, cullandosi suo malgrado in quell'abbraccio che sapeva di casa e sentendosi nuovamente in colpa per ciò che il suo gesto avventato aveva causato. Non pensava che Susan sarebbe tornata a parlargli in così poco tempo.

Sorrise tristemente, nascondendo il viso contro la sua spalla e lasciandosi andare alle carezze sui capelli ed i mormorii di scuse che Susan gli sussurrava all'orecchio.

-Andrà tutto bene.-


***


Peter uscì dalla casa di Aslan non seppe bene dopo quanto tempo aver ricevuto la notizia che i Telmarini stavano arrivando, ma rivedere la luce del sole e l'azzurro del cielo dopo quella che gli era sembrata un'eternità di tempo passata al buio con la compagnia dei fuochi, sforzando la vista per colpa della penombra, gli diede l'impressione di aver ricevuto un secchio di acqua gelida in pieno viso.

Grazie all'aria fresca e pulita sentì immediatamente le palpebre perdere il torpore a cui si stavano abbandonando ed i sensi tornare in allerta, attenti ad ogni particolare di ciò che gli succedeva attorno.

Si passò una mano tra i capelli arruffati e bevve avidamente dell'acqua dalla borraccia che portava in vita, percependo immediatamente il sollievo che gli diede la bevanda scorrere lungo la gola secca. Gli sembrò di essere un disperso nel deserto che trova da bere dopo giorni di digiuno.

Percepì in viso i raggi del sole scaldargli la pelle e chiuse gli occhi, prendendosi dei secondi per fare in modo che la tensione che sentiva circolargli in corpo allentasse la sua morsa: non si era ancora fermato un attimo ed aveva la sensazione di essere stato sballottato in giro come una trottola, complice l'adrenalina che aveva iniziato a scorrergli nelle vene rendendolo incapace di fermarsi. Aveva sempre trovato qualcosa da fare, qualche cosa da controllare o di cui accertarsi... non voleva tralasciare nulla.

I Narniani erano arrivati ad un momento di stasi, dopo essersi dati da fare per sistemare le ultime cose, ed il gruppo di coloro che non avrebbero combattuto aveva già eseguito l'ordine di mettersi al sicuro.

Peter aveva convenuto con Edmund e Glenstorm che sfruttassero ogni minuto disponibile per mettere distanza tra loro ed i nemici, non senza qualche remora da parte di quelli più inclini a voler restare: era riuscito a convincerli a partire affidandogli il compito di proteggere il resto del gruppo – anche se, contro un esercito, non avrebbero avuto scampo.

Sospirò, occhieggiando i propri piedi e smuovendo la terra con i calzari, incapace di stare fermo nonostante la pausa che si era concesso prima di rischiare di crollare da un momento all'altro: ora non gli rimaneva che aspettare che Caspian tornasse, in modo da ideare un piano con gli altri.

Aveva anche già vagliato l'ipotesi che Lucy e il Telmarino potessero non tornare in tempo, motivo per cui la sua mente aveva iniziato a ragionare sulle possibili tattiche con cui avrebbero potuto affrontare la guerra, ma era un'ipotesi a cui non aveva concesso di prendere troppo spazio nella sua mente.

Dal momento che Caspian sicuramente conosceva meglio di tutti loro i Telmarini grazie alla posizione sociale che aveva ricoperto fino a pochi mesi prima, sicuramente era a conoscenza anche delle tattiche utilizzate in guerra – magari non aveva mai combattuto seriamente prima di allora, ma di sicuro aveva studiato le strategie in vista di un futuro da condottiero e si era allenato per anni.

Non pensava che sarebbe mai arrivato a formulare un pensiero simile, Peter, ma dovette ammettere a se stesso che quel ragazzo era la risorsa più importante che avevano in quel momento così delicato per non lasciarsi cogliere impreparati.

Non voleva ripetere l'errore fatto quando aveva deciso di attaccare il castello.

Non si era ancora perdonato per quell'eccesso di orgoglio che gli aveva annebbiato i giudizi, facendolo entrare a gamba tesa in un mondo ormai completamente diverso da come l'aveva lasciato, andando così incontro ad una strage che, forse, poteva essere evitata. Il Pevensie sentiva ancora sulle spalle il peso di tutte quelle vite spezzate e il ricordo dei pianti dei sopravvissuti era risuonato nelle sue orecchie per giorni.

Narnia si era evoluta, a suo modo, e con lei i suoi abitanti e coloro al di fuori dei confini, ed era giunto alla conclusione che avrebbe dovuto imparare a riscoprire quel mondo esattamente come aveva fatto milletrecento anni prima, sotto la guida pacifica di Tumnus e dei Castori.

Peter fissò lo sguardo al cielo, osservando le nuvole scorrere placide nell'infinita distesa azzurra, ignare del caos che di lì a poche ore si sarebbe consumato sotto di loro.

Con un ultimo respiro particolarmente profondo decise di tornare all'interno del rifugio in modo da continuare ciò che aveva lasciato a metà, ma un movimento a lato della radura lo bloccò dal dare completamente le spalle al bosco che lo circondava, attirando completamente il suo sguardo.

Il Pevensie rimase immobile sulla soglia di pietra, strizzando gli occhi per osservare meglio, riconoscendo all'istante le figure che si stavano avvicinando nonostante la luce del sole che gli puntava dritta in faccia.

Caspian e Lucy.


Non poté impedire alla propria bocca di farsi secca per l'agitazione nel momento in cui, alle loro spalle, il suo sguardo dardeggiò febbrilmente, carico di aspettativa, incontrando nel giro di qualche attimo le sagome di Lia e Dhemetrya, seguite da quelle che automaticamente capì fossero Antares con Eve.

Evelyn.


Peter percepì il sollievo prendere il posto dell'ansia, donandogli la sensazione di una pace statica che in quei giorni gli era profondamente mancata: la consapevolezza che Eve fosse tornata, che avesse accettato di rivederli, sapere di averla nuovamente lì, dove poteva proteggerla in caso di pericoli, gli fece sfarfallare lo stomaco di una felicità che non si sarebbe aspettato di provare in modo così viscerale.

Deglutì a vuoto, incapace di fare qualsiasi cosa di diverso dall'aspettare che il gruppo lo raggiungesse, consapevole di non riuscire a staccargli gli occhi di dosso e non rendendosi conto di essere stato raggiunto da Edmund e Susan fino a quando la sorella non gli mise una mano sulla spalla, invitandolo con un cenno del capo a seguirli per andare ad accoglierli.

Peter si grattò la nuca, sentendosi spaesato come un bambino che perde la mamma e non capendo la motivazione dietro quell'improvviso macigno che sentiva attanagliargli lo stomaco in una morsa sempre più ferrea.

Aveva paura. Temeva ciò che a mente fredda avrebbe potuto dire Evelyn, perché sapeva di avere sbagliato a mentirle.

-Peter?- lo richiamò Edmund, a un paio di metri di distanza, riuscendo a controllare a stento la voglia di correre incontro ai nuovi arrivati sfogando la tensione mordendosi il labbro. Il maggiore dei Pevensie lo osservò in viso, notando le guance leggermente imporporate per l'agitazione e frenando l'istinto di dirgli qualcosa a riguardo quando intercettò l'occhiata truce con cui Susan lo stava studiando.

Sue lo conosceva abbastanza profondamente da avere intuito il cambio di emozioni solo dal modo in cui l'aveva visto tendere il collo e dilatare le narici. Ma non avrebbe accettato che Peter facesse altre scenate, non in un momento così delicato.

Fu la prima a dargli le spalle, raccogliendo il coraggio e la lucidità necessari per compiere quel gesto, iniziando ad avanzare nella radura. Ingoiò il groppo che sentiva pesarle in gola e si occhieggiò alle spalle, percependo i fratelli raggiungerla nel giro di pochi secondi, avidi nel voler sapere come avessero fatto Lucy e Caspian per farsi ascoltare da Eve e non sapendo cosa la ragazza provasse nei loro confronti.

Era ancora arrabbiata? O c'era la minima possibilità che la sua presenza significasse che era pronta a perdonarli?

Non sapeva cosa aspettarsi, Susan, e nello spazio sempre più ristretto che la separava dalla sorella s'immaginò cosa avrebbe potuto dirle in centinaia di modi diversi, facendo vagare la mente in scenari di ogni tipo.

Sentì Edmund bloccarsi di colpo, trattenendo il respiro e mugugnando un verso strozzato in gola per la sorpresa. Sbatté le palpebre varie volte, perplessa, non capendo il motivo di quella reazione e preoccupandosi della possiblità che si fosse fatto male contro qualche roccia sporgente.

Si voltò in cerca del viso del fratello con una muta domanda negli occhi. Lo trovò intento a fissare davanti a sé, la fronte crucciata e un'ombra ad oscurargli il viso che fino a pochi istanti prima aveva ripreso un aspetto più vitale. Susan strabuzzò gli occhi sentendosi colpita come da un macigno, ed ebbe all'istante la brutta sensazione che qualcosa non andasse.

Con il corpo teso come se fosse stato punto da tanti spilli per l'improvvisa sensazione di pericolo che le aveva fatto venire i brividi, seguì la direzione dello sguardo di Edmund, ritrovando a specchiarsi nientemeno che direttamente negli occhi di Eve.

Susan aprì la bocca per parlare, accorgendosi di avere la gola secca e il fiato corto per l'ansia che le strinse il cuore in una morsa.

Evelyn, ancora in groppa ad Antares, gli stava dedicando una delle espressioni più truci che le avesse mai visto in viso in tutti gli anni passati assieme. La collera che provava sembrava venire sprigionata da ogni poro, posandosi tra loro come una patina appiccicosa e impossibile da mandare via.

Una folata di vento passò tra gli alberi e il fruscio tra le foglie che ne scaturì andò a riempire il silenzio con un suono che risultò particolarmente inquietante.

Come se avesse ricevuto una coltellata Sue si rese conto che in quel lasso di tempo passato lontano dal campo la Pevensie aveva solo covato ancora più risentimento nei loro confronti.

Chissà quali pensieri le erano girati in testa senza che potessero fare qualcosa per farglieli cambiare.

La Regina chiuse la mani a pugno, conficcandosi le unghie fin dentro la carne per sfogare la delusione a cui era andata a sbattere contro, rendendosi conto che, probabilmente, avevano sottovalutato la situazione. Quanto si erano sbagliati, a pensare che avrebbero finalmente avuto la possibilità di potersi spiegare...

-Ho saputo che sta per scoppiare la guerra.- Evelyn fece passare lo sguardo sui visi dei fratelli, soffermandosi volutamente meno tempo su Edmund e decidendo, infine, di fronteggiare Peter con la nuova consapevolezza di non essere solo lei quella in difetto.

Aveva ascoltato Caspian e Lucy senza potersi impedire che l'ansia per ciò che sarebbe successo di lì a poco la mangiasse viva, tuttavia durante il tragitto verso il rifugio aveva cercato di raccattare ogni fibra di freddezza che sapeva di possedere per non lasciarsi troppo andare ai sentimentalismi, ricordandosi che era ancora arrabbiata, e che se aveva deciso di rispondere a quella chiamata era solo per il senso del dovere radicato a fondo nella sua anima a causa dell'amore che nutriva per quella terra.

Avrebbe fatto di tutto per non lasciare Narnia in mano ai Telmarini.

Evelyn sentiva di essere ancora pericolosamente in bilico tra l'irritazione e la preoccupazione, e cercava in tutti i modi di conservare la lucidità necessaria per affrontare quella battaglia a cui aveva, alla fine, deciso di partecipare nonostante tutto il resto, cercando di ignorare la disarmante sensazione di sentirsi spezzata a metà proprio all'altezza del cuore, in un punto profondo dell'anima che non ne voleva sapere di sanarsi nemmeno un po'.

Lucy l'aveva pregata di tornare con le lacrime agli occhi, cercando di scusarsi in ogni modo per ciò che era successo e finendo per riuscire a farle aprire un minimo quella porta che aveva chiuso senza possibilità di appello, esortandola a bere un po' della bevanda che si portava sempre dietro per cercare di guarire le ferite che ancora le davano dolore.

Aveva sempre avuto un debole, per Lu, e gli occhioni affranti che non le staccava di dosso e la sincerità con cui le parlava offrendole il cuore le avevano smosso qualcosa nel profondo, una fiamma di affetto che non credeva si sarebbe mai riaccesa. Forse era per quel motivo, sapendo bene quanto le sue difese fossero nulle nei suoi confronti, che i suoi fratelli l'avevano mandata a cercarla per cercare di rabbonirla.

Con non poca dubbiosità su come si sarebbe comportata davanti al resto della famiglia, alla fine Eve aveva accettato, percependo immediatamente il dolore alla caviglia e il torpore alle dita passare mentre si alzava in piedi per montare su Antares.

Si ripeteva da tutto il tempo che aveva deciso di farlo solo per Narnia, incapace di accettare il pensiero che in certi momenti la rabbia che animava i suoi pensieri veniva completamente assorbita dall'amore che ancora provava per i Pevensie e la voglia di tornare alla serenità di tutti i giorni. Non le era mai piaciuto avere conti aperti con qualcuno per troppo tempo.

-I Telmarini hanno terminato il ponte. Dobbiamo prepararci e pensare ad un piano.- confermò Peter, pratico, lanciando uno sguardo anche agli altri tre Narniani che avevano fatto compagnia alla sorella in quei giorni. Il maggiore dei Pevensie decise che non era tempo per perdersi in chiacchiere. Per quanto sapeva che a mente fredda avrebbero dovuto sviscerare per bene la cosa, la cosa più importante in quel momento era uscire vivi dalla guerra. Altrimenti non avrebbero più potuto parlare di nulla.

Dhemetrya lo guardò con angoscia, portandosi una mano al petto, terrorizzata al pensiero di dover risentire, per l'ennesima volta, la propria terra ed i suoi abitanti soffrire per il dolore. Sapeva che sarebbe arrivato quel momento, prima o poi, che il tempo scorreva inclemente e avrebbe dovuto scendere a patti con il proprio tormento anche quella volta, ma sentirlo dire a voce era stato come ricevere una doccia ghiacciata.

Si morse un labbro, cercando il conforto di Lia tramite un'occhiata veloce al suo fianco.

Evelyn scoccò la lingua contro il palato, tirando le labbra in un'espressione particolarmente cupa che fece congelare i fratelli e incitando Antares ad avanzare verso la Casa di Aslan.

Dava l'impressione di comportarsi come una persona che con loro non aveva mai avuto nulla a che fare prima di quel momento. Fu chiaro che non volesse perdere tempo parlando con i Pevensie più del necessario.

-Allora direi che non c'è tempo da perdere.-


***


-No, no e ancora no.-

Lucy posò una mano sulla spalla di Trumpkin, cercando, con quel gesto, di confortarlo e farlo ragionare.

-Non mi succederà niente.- tentò di convincerlo, ma lo vide corrugare la fronte e guardarla con un'espressione implorante che mai avrebbe pensato di vedergli in viso. Il nano era sempre stato piuttosto distaccato, fin da quanto lo avevano salvato, eppure in quelle settimane si era affezionato a loro più di quanto pensava. Non avrebbe accettato che colei che gli aveva ridato la vita la rischiasse a sua volta in una missione praticamente suicida.

-Non abbiamo già perso troppo?- mormorò, e i Pevensie capirono che si riferiva a Nicabrik, a cui era stato costretto a togliere la vita perché vittima di una speranza ormai morta e lasciatosi influenzare dalla magia nera, all'esercito dimezzato nel castello di Miraz, alla manciata di sopravvissuti che ancora provavano a resistere alle persecuzioni perpetrate nei secoli.

Un mormorio serpeggiò tra i presenti in sala, rompendo il silenzio che era calato pesante come il calore sprigionato dai fuochi. L'atmosfera si fece tesa, i dubbi s'insinuarono tra i Narniani, in ansia tanto quanto i Sovrani.

-È l'unica speranza che abbiamo per vincere.- s'intromise Peter, scambiandosi uno sguardo con la sorella minore, il volto rischiarato dalle fiamme dei fuochi che trasudava una compostezza che cercava di convincersi di provare ad ogni costo. Come tutte le volte in cui si trattava di Lucy, non gli piaceva per niente l'idea di lasciarla andare da sola incontro a possibili pericoli, ma sapeva di non avere altra scelta.

Lu era l'unica a cui Aslan si era mostrato, la sua diletta, colei che mai aveva dubitato della sua presenza adorandolo quasi al pari di una divinità. Se c'era qualcuno che poteva trovarlo, facendolo tornare per salvare Narnia, era solo lei.

Lucy Pevensie portava sulle spalle il peso della speranza di un mondo intero.

-Se posso permettermi, ci sarebbe un modo per prendere tempo.-

Nella sala della tavola di pietra calò nuovamente il silenzio.

Trumpkin, ancora di fronte alla piccola ragazzina per cercare di farla desistere con ogni mezzo dall'idea di andare nella foresta per trovare il leone, si voltò. Il suo sguardo angosciato si piantò sulla figura di Caspian, trovandolo in piedi vicino a Peter.

-Cioè?- domandò Edmund, esortandolo a continuare. Lanciò istintivamente un'occhiata in un angolo della sala, cercando tra i Narniani presenti la figura di Eve, seduta su un sasso accanto a Dhem, sondando l'eventuale reazione che il suo commento avrebbe potuto provocare. La Pevensie non aveva ancora fiatato, rimanendo ad ascoltare pazientemente tutto ciò di cui avevano discusso: del modo in cui avrebbero organizzato l'attacco, l'eventuale ritirata, la disposizione degli arcieri... fino al fatto che Lucy sarebbe andata a cercare Aslan.

Edmund era convinto che avrebbe obiettato, Eve, consapevole di quanto fosse unita alla sorella e di come si preoccupasse per lei. Invece era rimasta zitta, impassibile e con gli occhi fissi sulla figura di Peter esattamente come aveva fatto fin quegli ultimi istanti. Si accorse che la Pevensie ricambiò il suo sguardo e il moro si affrettò a distoglierlo, sentendosi troppo imbarazzato ed in colpa per riuscire a sostenerlo.

Si morse un labbro, a disagio.

Da quando era tornata non avevano ancora parlato. Edmund moriva dalla voglia di sapere cosa avesse significato per lei il loro bacio, voleva capire se avesse intuito giusto, ma sapeva benissimo che quello non era il momento adatto e si ritrovò a pregare che dopo la guerra avrebbero avuto tutto il tempo per confrontarsi.

Ingoiò il groppone che gli bloccava il fiato, cercando di non fare caso al cuore che aveva iniziato a battere impazzito ed obbligando se stesso a concentrarsi sul presente, accorgendosi di essersi perso nei propri pensieri.

-Un combattimento con Miraz?- sussurrò Susan, attirando su di sé lo sguardo di Caspian, che annuì per confermare le proprie parole.

-Se Peter è d'accordo, ovviamente.- tentennò, guardando il Pevensie per cercare la minima traccia di dubbio nella sua espressione. Non voleva che si sentisse obbligato a rischiare la vita a causa di una sua idea. Visto come erano andate le cose l'ultima volta, preferiva di gran lunga che fossero tutti d'accordo su come agire. Era già abbastanza critica la situazione tra i vecchi Sovrani, che a malapena riuscivano a parlare tra loro, non aveva intenzione di far peggiorare la situazione.

-Lo farò.- rispose subito il biondo, stringendo un pugno, e alle sue parole s'innalzarono altri mormorii per la sala. Alcuni erano preoccupati dell'eventualità di perdere la figura del Re Supremo, altri concordarono che era l'unica soluzione papabile per provare ad evitare spargimenti di sangue inutili.

-Come Re non può rifiutare, giusto?- continuò, serrando la mascella e guardando il moro con un sopracciglio sollevato. Caspian abbassò il capo, in una muta affermazione, cercando poi lo sguardo di Cornelius come sostegno prima di continuare. Era stato confrontandosi con il Precettore nei giorni precedenti che si era ricordato di alcune tradizioni tramandate tra i Sovrani di Telmar.

-Come Re deve rispettare ciò che il popolo si aspetta da lui.-

Lucy non poté impedirsi di lanciare al fratello un'occhiata angosciata, preoccupata che si facesse male durante lo scontro, ma il Pevensie non sembrò curarsi dell'eventualità di poter perdere la vita. Avrebbe fatto il possibile per limitare le perdite e chiudere il prima possibile quella guerra e, se ciò significava che avrebbe dovuto sacrificarsi, sarebbe stato lieto di accogliere il fato che era stato scelto per lui ad occhi chiusi.

Lui e soltanto lui.

Non avrebbe permesso che toccassero la sua famiglia.

Serrò le labbra in un'espressione decisa e si voltò verso Dhemetrya, ignorando volutamente di soffermarsi a guardare come avessero preso quella decisione i suoi fratelli.

-Puoi accompagnare Lucy e Susan?- le chiese, e la ragazza sussultò per quella richiesta inaspettata. Sbatté le palpebre un paio di volte, incapace di formulare una frase, percependo gli occhi dei Narniani fissi sulla sua persona. Non voleva lasciare Evelyn da sola durante la battaglia... Lanciò alla Pevensie un'occhiata di sottecchi, cercando di non far trapelare i propri pensieri.

-Anche io mi sentirei più tranquilla se andassi con loro.- le mormorò il soggetto dei propri turbamenti, cogliendola di sorpresa.

Eve si girò a guardarla, celando in fondo agli occhi la supplica di andare con le sorelle perché, dopotutto, ci teneva al fatto che fossero al sicuro da eventuali pericoli, anche se in quelle circostanze non avrebbe mai accettato di dare voce a quel pensiero.

Dhem conosceva la foresta a memoria, aveva vissuto giorno per giorno il cambiamento che avevano fatto i boschi, era agile e silenziosa come uno spettro e si sapeva difendere: Peter ci aveva visto lungo domandandole di accompagnare le Regine ed Evelyn non poté che ritrovarsi d'accordo con le conclusioni a cui era arrivato. Non potevano fare altro che fidarsi.

-Si... si, certo.- accettò la Narniana, ricevendo un sorriso di gratitudine da parte di Lucy. Non sapeva se era la persona più adatta per accompagnarle a cercare Aslan, ma se serviva per tenere tranquilla Evelyn lo avrebbe fatto, in ricordo di un legame che a lei era stato negato secoli addietro.

Decise che si sarebbe fatta accompagnare da Antares, mentre Lia sarebbe rimasta accanto a Evelyn, decisamente più utile in guerra rispetto alla Guida relegata in forma equina.

Si alzò, sistemandosi meglio l'arco in spalla e avvicinandosi al centro della sala con passo leggero e ispirando profondamente l'aria tiepida che riscaldava l'ambiente di un tepore casalingo.

Non sapevano se Miraz avrebbe accettato effettivamente l'incontro, c'era la possibilità che rifiutasse di scendere a una trattativa con quelli che considerava degli scherzi della natura da eliminare ad ogni costo. Ogni secondo era prezioso.

Si rivolse direttamente a Susan e Lucy, prendendo in mano le redini di quella piccola missione che le era stata affidata come un fiore prezioso da proteggere ad ogni costo.

Tutto dipendeva da loro.

-Sarà meglio partire subito.-






























































































Ciao a tutti e ben ritrovati! :)
Capitolo all'apparenza molto semplice e lineare ma in realtà piuttosto complicato da scrivere: stare dietro alla coerenza delle reazioni di tutti, dargli il giusto spazio perché non sembri che abbiano risolto a tarallucci e vino e far proseguire anche la trama non è così facile come sembra.
Spero di tirare le fila di tutto il discorso in modo abbastanza decoroso senza dimenticare dettagli e che sia tutto abbastanza chiaro delle dinamiche che si stanno svolgendo tra i protagonisti. Essendo un po' tanti sto cercando di farli confrontare tra loro un po' alla volta, vagliando il punto di vista ed i pensieri di ognuno in base agli eventi che succedono. Ho provato anche a non perdere troppo tempo su ciò che già si sa, insomma, lo sappiamo tutti quale piano creano Peter e gli altri, quindi mi sembrava superfluo soffermarcisi più del dovuto.
Ringrazio chi continua a leggere, seguire, ricordare, preferire e commentare, mi fa sempre immensamente piacere!
Spero di portarvi presto un altro capitolo.
Love, D. <3

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