Il nostro orgoglio maledetto

di evelyn80
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Citazione utilizzata:

“Quando un'amore finisce, uno dei due soffre. Se non soffre nessuno, non è mai iniziato. Se soffrono entrambi, non è mai finito.” - Marilyn Monroe

 

Prompt n° 20

 

 

 

Prima di lasciarvi iniziare a leggere, faccio un piccolo riassunto per la giudice e per chi si avventuri fin qui senza conoscere la mia soap-opera XD.
Nella mia story line, ovviamente totalmente frutto della mia fantasia, Robert Lamm e Peter Cetera sono diventati amanti in una notte di fine agosto del 1977. Robert era già innamorato di Peter da parecchi anni ma non aveva mai avuto il coraggio di farsi avanti, convinto che il bassista fosse eterosessuale. In effetti, all'inizio, quando il tastierista si dichiara Peter è piuttosto incerto sul da farsi, ma dopo una notte di passione anche lui si rende conto di essere innamorato di Robert e i due iniziano una relazione clandestina, mantenendo i rapporti con le relative consorti per nascondere la scomoda verità. Una delle consuetudini durante i loro rapporti amorosi e quello di far sfregare insieme i loro petti, entrambi molto villosi, per produrre un fruscio che, soprattutto a Peter, ricorda moltissimo la risacca, il “rumore del mare”. Dopo alcuni anni di intenso amore – in cui però Peter comincia a essere insofferente per via dell'egoismo di Robert, che pensa quasi esclusivamente al proprio piacere e tornaconto – il bassista, nel 1984, per motivi personali decide di lasciare il gruppo e di intraprendere la carriera solista. Chiede a Robert di non lasciarlo, arrivando persino a decidere di fare coming out pur di non perdere il suo amore, ma il tastierista si rifiuta di rovinare la propria reputazione e decide di rinunciare a Peter piuttosto che perdere la rispettabilità. Peter rimarrà nel gruppo ancora per un anno, tutto l'amore per Robert trasformato in odio profondo, e da lì in poi non avranno più alcun tipo di contatti fino al 2015, nel momento in cui è ambientata questa storia.

 

 

Il nostro orgoglio maledetto

 

 

 

What you're missing could have been yours from the start
You won't listen when it's coming from the heart
Now you're missing me

You'll find that out when we're apart


What you're missing – Chicago (Chicago 16)

 

 

 

Nashville (Tennessee), 15 ottobre 2015

 


Un tuono secco e improvviso fece sobbalzare Robert nel letto, svegliandolo di soprassalto nel cuore della notte. Si mise a sedere, buttando le gambe giù dal materasso. Fuori, una pioggia scrosciante frustava le strade di Nashville. Si voltò verso la sagoma di sua moglie Joy, che dormiva profondamente e non si era accorta di nulla. *1)
Sì alzò a fatica dal letto, gli arti intorpiditi dall'età e dall'immobilità, e andò in bagno. Nel tornare verso la camera, però, fece una deviazione e si diresse all'ingresso della sua villa, dove i bagagli erano già pronti in attesa della partenza dal pomeriggio precedente. Dalla sera successiva, infatti, i Chicago avrebbero tenuto una serie di concerti negli Stati Uniti nord-orientali: Maryland, Pennsylvania, New York e Connecticut. Non sarebbe durato molto, solo una decina di giorni, ma per una band formata per la maggior parte da uomini sulla soglia dei settant'anni anche quella breve tournée appariva come una sorta di maratona.
Poggiò la mano su una delle valigie e sospirò, chiudendo gli occhi. Era incredibile che gli tornasse alla mente dopo tanti anni – trenta, per la precisione – ma mai come negli ultimi tempi si era ritrovato a pensare così tanto a Peter, l'uomo che aveva amato con talmente tanta intensità da farselo entrare fin sotto la pelle, ma nei confronti del quale era stato tanto egoista da arrivare a preferire la propria reputazione al sentimento che provava per lui. Meglio essere rispettati che felici: questo era ciò che aveva pensato a quel tempo. E per un po' era stato soddisfatto della sua scelta. Ma a mano a mano che gli anni passavano, e che leggeva di lui e dei suoi successi come solista sui giornali prima e in internet poi, aveva capito di aver fatto una grandissima cazzata.
Aveva sposato Joy in quarte nozze per mantenere segreta la sua omosessualità, e aveva cercato di reprimere ogni pensiero sull'ex amante cercando di convincersi che fosse andata meglio così, ma ora era arrivato al punto in cui Peter occupava ogni istante dei suoi pensieri. In ogni momento della giornata rivedeva il suo volto, ricordava i suoi gesti e i suoi piccoli vezzi, come lo scostarsi i lunghi capelli biondi dal viso o il toccarsi il fianco sinistro del naso quando era particolarmente pensieroso.
E, soprattutto, rimembrava il modo in cui si strofinava su di lui, petto contro petto, per sentire il rumore del mare. Quelli erano i ricordi più dolorosi, perché lo riportavano ai momenti più belli della sua vita che avesse mai vissuto.
Si mosse furtivo verso il salotto, per non fare rumore, mentre un altro lampo illuminava il suo cammino, subito seguito dal rombo ruggente del tuono. Frugò freneticamente nella credenza in cerca di uno dei suoi vecchi album di fotografie – quello che considerava il più prezioso di tutti – e, quando l'ebbe trovato, tornò nell'ingresso, per contemplarlo alla luce aranciata dei lampioni che penetrava dai vetri satinati della porta. Sollevò la copertina con trepidazione e si fermò a fissare la prima fotografia, che ritraeva lui e Peter seduti vicini su un autobus, le teste quasi accostate. Non ricordava chi avesse scattato quell'istantanea: molto probabilmente Danny, visto che il batterista era il loro fotografo ufficioso. Ai tempi in cui era stata scattata quella foto lui non aveva ancora dichiarato il suo amore al bassista, ma lo sguardo che quello gli rivolgeva pareva dire tutto il contrario: gli occhi di Peter erano languidi, la bocca dischiusa in un lieve sorriso; e lui avrebbe voluto coprire di baci la punta del suo naso rivolta all'insù. *2)
Sfiorò con la punta dell'indice la carta patinata, seguendo il profilo della sua mascella coperta di barba, per poi voltare lentamente le pagine: ognuna di esse era piena di foto di Peter. Alcune scattate in momenti divertenti; altre rubate da lui stesso mentre il bassista era distratto, come quella in cui era in piedi, abbarbicato su una pila di casse dall'equilibrio precario, in maglietta a righe orizzontali e pantaloncini cortissimi, intento ad aiutare alcuni dei roadies che stavano approntando l'impianto elettrico per un piccolo concerto al Caribou Ranch. *3)
Un altro tuono ruppe il silenzio della notte mentre la pioggia autunnale sferzava Nashville senza pietà, ma Robert non vi fece nemmeno caso intento com'era a sfogliare l'album di fotografie. Le ultime pagine erano occupate da foto scattate durante i concerti, nella maggior parte delle quali Peter aveva la testa rivolta all'indietro, gli occhi socchiusi e un'espressione estatica sul volto.
Nel guardare quelle immagini, il cuore aveva iniziato a galoppargli nel petto e ora il rimbombo dei suoi battiti gli inondava le orecchie. Avrebbe dato chissà cosa per poterlo abbracciare di nuovo, stringerlo contro il suo petto e passargli le dita tra i capelli, graffiandogli lo scalpo, proprio come quando erano giovani e si amavano alla follia. Ma aveva rovinato tutto. Quando Peter gli aveva annunciato che avrebbe lasciato il gruppo e lo aveva pregato – implorato – di continuare a dedicargli il suo tempo, Robert gli aveva voltato le spalle, dicendogli che se avesse lasciato i Chicago avrebbe lasciato anche lui. E quando Peter aveva gridato che era perfino pronto a dichiarare il loro amore a tutto il mondo, rivelando la loro omosessualità, lui gli aveva tappato la bocca con la mano e lo aveva obbligato a tacere, per non rovinare la sua perfetta reputazione da ipocrita. *4)
Ormai era troppo tardi, ne era consapevole, per quanto Walter – di tanto in tanto – si ostinasse a sostenere il contrario. Il sassofonista era l'unico a sapere quanto Peter gli mancasse ancora e più volte l'aveva spinto a tornare sui suoi passi e a mettersi alla sua ricerca. Ma lui, testardo, aveva continuato per la sua strada, ancorandosi a quella scusa per non essere costretto ad ammettere la verità: aveva paura. Paura che, se mai avesse trovato il coraggio di presentarsi di nuovo davanti a lui, lo avrebbe respinto. Paura di scoprire che aveva trovato un altro uomo che lo aveva amato – e che lo amava – più di lui. Che cosa avrebbe fatto, allora?
La voce di Joy lo fece trasalire. Chiuse di scatto l'album e lo ficcò nella tasca frontale di una delle valigie, nascondendolo alla vista della moglie.
«Tutto bene, Robert?».
«Sì, tesoro. Mi ha svegliato un tuono e, siccome non riuscivo a riprendere sonno, sono venuto a controllare se avevo preso tutto», le rispose mentre si raddrizzava, stampandosi sul volto un sorriso che lui avvertì molto più simile a un ghigno, per come sentiva le labbra stirarsi.
La donna gli posò la mano sul braccio. «Sei nervoso? Di solito partire per i tour ti ha sempre messo di buon umore».
«No, no, sto bene. Te l'ho detto, mi ha solo svegliato un tuono. Sono andato in bagno e prima di tornare a letto ho pensato di controllare se avevo messo tutto in valigia».
Joy sorrise nella semioscurità dell'ingresso, poi lo prese sottobraccio. «Torniamo a dormire, adesso».
Si allungò per dargli un casto bacio sulle labbra. Di solito, Robert avrebbe risposto con calore, schiacciando la bocca sulla sua, ma quella notte non se ne sentiva in grado. Non dopo aver guardato tutte quelle foto di Peter e aver immaginato di poterlo stringere di nuovo tra le braccia.


 

Buffalo (New York), 25 ottobre 2015


 

Robert sospirò, sfogliando le pagine dell'album e soffermandosi su ognuna delle foto di Peter, carezzando ogni volta il profilo del suo volto, l'arco delle sue sopracciglia, il piccolo rilievo del suo naso a patata. Ogni sera di quel breve tour, prima di salire sullo stage aveva compiuto quei medesimi gesti, come in una sorta di rituale.
La verità era che sentiva di dover fare qualcosa. Doveva trovare il coraggio di prendere il telefono e chiamare Peter, per dirgli quello che ancora provava per lui dopo tutti quegli anni. In realtà, una scusa per telefonargli gli era stata servita proprio quella mattina su un piatto d'argento: avevano saputo che, nella primavera successiva, i Chicago sarebbero stati inseriti nella Rock 'n' Roll Hall of Fame e avrebbero dovuto avvertire tutti i membri, anche quelli dei tempi passati – come Peter e Danny, e Michelle Kath in vece di suo padre Terry – perché prendessero parte alla cerimonia. E, come in un tacito accordo, con un solo sguardo gli attuali membri della band avevano incaricato Robert di quel compito, in qualità di più anziano del gruppo. *5)
Ora doveva solo prendere in mano quel dannato cellulare, comporre il numero di Peter e, non appena gli avesse risposto, dirgli subito che aveva bisogno di vederlo.
Invece, le sue dita continuavano a rimanere aggrappate a quell'album di fotografie, intente a carezzare la pelle patinata del bassista, mentre il telefonino giaceva, inerte, sul ripiano della specchiera e l'orario di inizio del concerto si avvicinava sempre più, inesorabile.
Qualcuno bussò alla porta e lui chiuse l'album di scatto, gettandolo dentro uno dei suoi borsoni: non voleva certo che qualcuno lo vedesse con le foto di Peter tra le mani, o sarebbe stato costretto a dover spiegare troppe cose.
«Avanti», disse con voce incerta. La porta si aprì e il viso di Walter fece capolino.
Robert gli fece cenno di entrare, e il sassofonista varcò la soglia e si richiuse la porta alle spalle.
«Ancora intento a guardare le foto di Peter?», gli chiese con naturalezza.
Il tastierista annuì: Walter era l'unico del gruppo a conoscenza della sua omosessualità e a sapere che il suo amore per Peter non era mai finito, quindi non aveva alcun bisogno di fingere, con lui.
«Gli hai telefonato?», chiese di nuovo Walt, e stavolta Robert scosse la testa.
«Non riesco a trovare il coraggio. E se mi dicesse che non vuole più avere niente a che fare con me?».
«Lo affronterai con caparbietà e tenacia, come hai sempre fatto», rispose il sassofonista, posandogli la mano destra sulla spalla. «Manca più di mezz'ora all'inizio del concerto, sei ancora in tempo per chiamarlo».
Robert alzò il viso per guardare il compagno di band negli occhi. «Rimani con me, per favore».
«Certo». Walter prese una sedia e si mise seduto al suo fianco, per poi porgergli il telefonino.
Il tastierista compose il numero con dita tremanti e mise in vivavoce: aveva le mani talmente sudate che, se se lo fosse messo all'orecchio, probabilmente il cellulare gli sarebbe scivolato e si sarebbe schiantato a terra.
Peter rispose dopo parecchi squilli, quando ormai Robert aveva quasi perso la speranza. La sua voce calda, stemperata dall'età, riempì il silenzio del camerino.
«Pronto?».
«Pe-Peter?», balbettò il tastierista, il cuore improvvisamente salito in gola nell'udire, dopo così tanti anni, il vero tono del suo ex amante e non quello stupido falsetto che era costretto a usare quando cantava. *6)
«Sì? Chi è che parla?».
«Sono Robert», riuscì ad articolare dopo essersi schiarito più volte la gola. Dall'altro capo del filo cadde il silenzio, tanto che il tastierista pensò che fosse caduta la linea o, peggio ancora, che il bassista avesse riattaccato. «Peter, ci sei?».
«Dove diamine hai preso il mio numero di telefono?».
«In internet. Mi è bastato andare sull'elenco degli abbonati».
«Lo sapevo che avrei dovuto negare il consenso a che pubblicassero il mio recapito», borbottò il bassista tra sé e sé prima di aggiungere: «Che cazzo vuoi da me, Robert?».
Quelle parole furono come una pugnalata al cuore per il tastierista: come aveva immaginato, Peter non voleva nemmeno starlo a sentire. Chiuse gli occhi e sospirò, ma Walter gli serrò la stretta sulla spalla in segno di incoraggiamento. Riaprì le palpebre e prese un lungo respiro.
«Stamattina abbiamo avuto una fantastica notizia: i Chicago saranno inseriti nella Rock 'n' Roll Hall of Fame l'anno prossimo», disse tutto d'un fiato, sperando di non essere interrotto.
Quando rispose, la voce di Peter era diventata tagliente. «E a me che cazzo me ne frega».
«Non puoi dire così, Peter!», ribatté il tastierista di slancio. Se voleva ottenere qualcosa doveva sfoderare tutta la sua grinta. «Anche tu sei stato invitato, sei stato il nostro bassista per diciotto anni!».
«Dici bene! Sono stato! Io non sono più uno dei Chicago».
«Cristo, Peter, non è vero! Tu sarai sempre uno di noi!», replicò Robert con veemenza, stringendo inconsapevolmente le dita sul cellulare. Se lo avesse avuto davanti, probabilmente in quel momento avrebbe afferrato il suo ex amante per il bavero della camicia e lo avrebbe scosso come una marionetta.
Peter si lasciò sfuggire una risata amara. «Non la pensavi così nel 1984».
Il tastierista serrò di nuovo le palpebre. «Sono cambiate molte cose da allora, mio piccolo Pete».
Si era lasciato involontariamente sfuggire il nomignolo con cui si era sempre rivolto a lui nell'intimità, e per questo trattenne il respiro. Lo stesso Walter, al suo fianco, si irrigidì.
Il silenzio all'altro capo del filo si protrasse per qualche secondo. Poi Peter ruggì.
«Non osare mai più chiamarmi a quel modo, hai capito? Io non sono il tuo piccolo Pete! Non lo sono mai stato!». E, con quelle parole, riattaccò senza nemmeno salutare.
Robert chiuse la chiamata e rimase col cellulare in grembo, gli occhi chiusi. Walter lo scosse piano e il tastierista sospirò rumorosamente.
«Lo hai sentito anche tu, no? Non è più uno dei Chicago».
«Io non presterei troppa attenzione alle sue parole: secondo me se le è lasciate sfuggire in un impeto di rabbia. Quando un'amore finisce uno dei due soffre. Se non soffre nessuno non è mai iniziato, ma se soffrono entrambi non è mai finito. E, secondo me, Peter sta soffrendo quanto te».
Il tastierista scosse la testa. «No, Walt. Forse avrà sofferto all'inizio, ma di sicuro ora non soffre più. L'amore di Peter per me è finito. Adesso mi odia con tutto il suo essere».
Fu il turno del sassofonista di scrollare il capo. «Appunto perché ti odia vuol dire che soffre. Se non gli importasse più niente di te non avrebbe avuto alcuna reazione». Prese il mento di Robert tra le dita della mano sinistra per costringerlo a guardarlo negli occhi. «Dammi retta: Peter ti ama ancora. Solo che non sa come dirtelo, proprio come sta succedendo a te. Se fossi nei tuoi panni lascerei passare qualche giorno e poi lo richiamerei. Sei sempre stato un uomo tenace, fin troppo: se insisti un po' vedrai che le acque si smuoveranno».
Dopo avergli stretto il braccio per un'ultima volta, Walter lo lasciò solo. Non appena la porta del camerino si fu chiusa alle spalle del sassofonista, Robert riprese l'album di fotografie tra le mani. Aveva ancora un po' di tempo prima dell'inizio del concerto: qualche minuto ancora per carezzare il volto di Peter e riflettere sulle parole di Walt. Di sicuro non avrebbe ceduto così facilmente: avrebbe riconquistato il suo bassista ad ogni costo.

 

 

Spazio autrice:

Innanzi tutto voglio ringraziare Inzaghina per aver indetto questo contest sull'amore, che mi ha permesso di approfondire quanto successo, secondo la mia personalissima story line, tra Robert Lamm e Peter Cetera – rispettivamente tastierista e bassista dei Chicago – dopo che si sono malamente lasciati nel 1984. Infatti, avevo già scritto una flashfic in cui i due in vecchiaia si sono ritrovati, e qui vediamo più nel dettaglio come è andata. Saranno presenti molti riferimenti a mie storie precedenti riguardo a questa coppia: ogni volta nelle note metterò il link alla storia a cui mi sono riferita, come metterò anche il link alle canzoni da cui ho tratto le citazioni all'inizio di ogni capitolo, nel caso in cui foste interessati ad ascoltarle.
Questo primo capitolo è incentrato su Robert Lamm.
E ora vi lascio alle note numerate.
*1) – In vecchiaia i Chicago si sono trasferiti quasi tutti a Nashville, nuovo polo musicale americano al posto di Los Angeles. Joy Kopko è la quarta moglie di Robert, sposata nel 1991.
*2) – Potete vedere la foto in questione a questo link: https://i.pinimg.com/564x/aa/ef/30/aaef30a104674afbadcca359f69f56a7.jpg. In effetti, sia Danny sia lo stesso Peter hanno scattato tantissime fotografie mentre erano in tour, in cui si mostrano i momenti più intimi e divertenti del gruppo.
*3) – Potete vedere la foto in questione a questo link: https://i.pinimg.com/564x/4d/5b/19/4d5b1911a0f57f7baf72c15781ee1cdf.jpg
*4) – Riferimento alla mia shot "Just you 'n' me", in cui si racconta l'ultimo incontro amoroso tra i due protagonisti.
*5) – L'8 aprile del 2016 i membri fondatori dei Chicago (Robert Lamm, Peter Cetera, Terry Kath, Lee Loughnane, Walter Parazaider, James Pankow e Danny Seraphine) sono stati finalmente inseriti nella “Rock 'n' Roll Hall of Fame”, dopo parecchi anni in cui erano stati snobbati. Secondo quanto ho letto su internet, è stato proprio Robert a telefonare a Peter per comunicargli la notizia. All'inizio il bassista gli ha risposto duramente, dicendogli che non era più uno dei Chicago. In seguito ha deciso di voler partecipare, ma poi pare abbia iniziato a pretendere che le canzoni cantate da lui fossero suonate con una tonalità diversa da quella originale, perché lui non riusciva più a raggiungere certi livelli con la voce. Gli altri membri hanno rifiutato, visto che loro continuavano a cantare con la stessa tonalità, e allora Peter si è offeso e non ha partecipato.
*6) Il vero tono di voce di Peter è molto più basso di quanto si possa immaginare ascoltandolo mentre canta. Questo perché, dal 1968, quando dei Marines gli sfasciarono la mandibola in una rissa e lui fu costretto a rimanere per mesi con la bocca semichiusa, iniziò a cantare in falsetto e la cosa ebbe tanto successo che il loro produttore lo fece continuare a quel modo anche quando ormai era completamente guarito.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


No one cuts through my soul like you can
I'm naked to the bone beside your empty hand
I see your face and I remember
I'm a prisoner of your fate, I'm a loser in the race
When you hear the thunder
When you hear the sounds of a mountain crashing down
It's just my heart in pieces


Heart in peaces – Chicago (Chicago 19)

 

 

 

Ketchum (Idaho), 25 ottobre 2015

 


Peter buttò la cornetta sul telefono di bachelite nero – un modello vecchissimo che gli ricordava la propria giovinezza – con malagrazia e si mise una mano sul petto. Quando aveva riconosciuto la voce di Robert il suo cuore aveva cominciato a galoppare come impazzito, peggio ancora di Dakota, la giovane puledra che sua figlia minore, Senna, aveva voluto comperare a tutti i costi, e che adesso lo stava facendo penare per essere domata. *1)
Trasse alcuni profondi respiri, cercando di calmarsi e far rallentare i battiti. All'inizio, nell'udire la sua voce, si era illuso che il tastierista volesse rivederlo, riavvicinarsi in qualche modo a lui ora che erano prossimi alla pensione. E, per quanto si ostinasse a sostenere il contrario, non sarebbe stato nemmeno in grado di dirgli di no. Perché doveva ammetterlo: Robert gli mancava da impazzire. Ne aveva bisogno come l'aria che respirava!
Invece, aveva solo voluto comunicargli che i Chicago sarebbero stati introdotti nella Rock 'n' Roll Hall of Fame. Sai cosa gliene importava...
Lui non era più uno di loro da trent'anni, ormai, e nessuno dei suoi vecchi compagni, nessuno, si era mai degnato di telefonargli in tutto quel lunghissimo lasso di tempo, neanche per fargli gli auguri di Natale. O meglio, solo Danny aveva tentato di riallacciare i contatti con lui, ma solo dopo che era stato malamente licenziato da quelli che considerava i suoi fratelli. E Robert davvero si aspettava che avrebbe fatto i salti di gioia? Che gli avrebbe risposto: «Sì, non vedo l'ora»? *2)
Tirò un lunghissimo sospiro. Il suo cuore stava finalmente rallentando e lui poteva tornare alla sua vecchia vita: la sua vita di sempre, fatta di lavoro, dedizione e, soprattutto, priva di Robert.
Eppure, davvero avrebbe fatto di tutto per poterlo avere lì con lui, per poter essere stretto di nuovo tra le sue braccia, per poter sentire ancora il rumore del mare.
Senna interruppe i suoi pensieri, raggiungendolo in cucina. «Chi era, papà?».
«Nessuno», rispose, ostentando una noncuranza che era ben lungi dal provare. «Avevano sbagliato numero».
La ragazza intrecciò le braccia sul petto e lo guardò inarcando le sopracciglia. «Ti ho sentito urlare fin dal cortile. Non mi sembra un atteggiamento da adottare con chi ha sbagliato a comporre un numero di telefono, ti pare?».
Peter fece roteare gli occhi, ma decise comunque di dirle la verità. «E va bene! Era uno dei miei vecchi compagni di band, che voleva informarmi che a primavera il gruppo verrà inserito nella Hall of Fame».
Il viso di Senna si illuminò di uno splendido sorriso. «Ma è fantastico! Ci andrai, non è vero?».
«Certo che no!», rispose secco.
«Perché no?», chiese la ragazza, il sorriso smorzato dalle parole dure del padre.
«Perché non mi va! Io non sono più uno di loro».
La figlia lo fissò con uno sguardo penetrante che lo mise a disagio, come se fosse improvvisamente divenuta capace di leggergli dentro. La vide aprire la bocca per replicare qualcosa e interruppe le sue parole sul nascere.
«Non hai nient'altro da fare che stare a sindacare le mie decisioni?».
«È solo che mi dispiace vederti così pieno di astio dopo tutti questi anni. Qualsiasi cosa ti abbiano fatto, dovresti averli perdonati, ormai. No?».
E come poteva perdonare Robert, dopo quello che era successo trentun anni prima? Dopo che lo aveva scacciato in malo modo dalla sua vita semplicemente perché lui aveva deciso di lasciare il gruppo per intraprendere la carriera da solista? Abbassò lo sguardo, le mascelle serrate in una smorfia cupa.
Senna capì che non era il caso di insistere oltre. «Okay, okay, lasciamo perdere. È quasi mezzanotte, io me ne vado a dormire». Si avviò verso la propria camera, ma si bloccò sulla porta della cucina nel vedere che il padre non la stava seguendo. «Tu che fai, non hai sonno?».
«Ancora qualche minuto e poi me ne andrò a letto anch'io. Buonanotte, tesoro».
«Buonanotte, papà».
Guardò la figlia sparire oltre la soglia della stanza, poi si mise a sedere al tavolo della cucina, prendendosi la testa tra le mani. Era inutile negarlo: Robert gli mancava da morire. Gli mancava da trent'anni e non aveva fatto altro, specialmente all'inizio, che cercarlo in altri uomini. Nei primi anni di separazione aveva annegato il suo dolore nel sesso, rifugiandosi tra le braccia di sconosciuti, perché solo in quei momenti di perdizione la sua mente riusciva a dimenticare l'uomo della sua vita. *3)
Poi, quando il tormento era stemperato in rassegnazione, e dopo aver lasciato Diane e sua figlia che non meritavano un marito – e un padre – come lui, incapace di amarle come avrebbe dovuto, era rimasto da solo per alcuni anni, la mente sempre rivolta a Robert. Fino a quando non aveva incontrato Blythe Weber. La donna aveva perso la testa per lui e Peter aveva immaginato che, forse, se si fosse trovato una nuova compagna avrebbe smesso di pensare al tastierista.
Purtroppo per entrambi non era andata così. Aveva dato una figlia a Blythe, perché la donna lo voleva con ogni fibra del suo essere, e poi l'aveva lasciata, ritirandosi a vita privata nel suo ranch. La sua passione erano sempre stati i cavalli, e quegli animali erano stati gli unici in grado di distrarlo dal suo pensiero fisso.
Da quando aveva compiuto sedici anni, Senna aveva deciso di andare a vivere con lui e da due anni a quella parte padre e figlia tiravano avanti il ranch, aprendo un maneggio e portando i turisti a fare passeggiate a cavallo. Solo in quegli ultimi tempi Peter pareva aver ritrovato, finalmente, quella tranquillità che fino ad allora gli era mancata. Ed ecco che, quando credeva di aver infine messo una pietra sopra al suo passato, Robert riappariva come un fantasma, chiedendogli di partecipare alla cerimonia della Hall of Fame.
«Sai cosa cazzo me ne frega, a me, della Hall of Fame...», mormorò nel silenzio della cucina.
Fuori, un soffio di vento si levò improvviso, staccando le foglie dagli alberi e facendone sbattere alcune contro i vetri della finestra sopra il lavello. Anche lui si sentiva come una di quelle foglie, rifletté. Fino a quel momento era rimasto aggrappato disperatamente, nel bene o nel male, al suo ramo. Ma sarebbe bastato un colpo di vento più forte degli altri a farlo volar via e a farlo perdere per sempre.
E quel vento aveva un nome: Robert Lamm.

 


 

Ketchum (Idaho), 31 ottobre 2015


 


Peter uscì dalla stalla dopo aver strigliato i cavalli e attraversò in fretta il cortile, diretto verso il ranch. Il forte vento autunnale gli scompigliò i corti capelli bianchi e gli stazzonò i vestiti, mentre le foglie rosse degli aceri turbinavano attorno a lui.
In cucina, Senna stava intagliando l'enorme zucca che aveva acquistato in paese quella mattina. Una volta finito, si sarebbe vestita da strega e sarebbe andata nella palestra di Ketchum, dove era stata organizzata una piccola festa per i bambini e dove lei avrebbe fatto da animatrice.
Peter sarebbe rimasto solo per un paio d'ore, ma la cosa non gli pesava affatto. Anzi, non vedeva l'ora che Senna se ne andasse per poter pensare in santa pace. Da quando Robert gli aveva telefonato, sei giorni prima, la sua nostalgia non aveva fatto altro che aumentare e aumentare, fino a raggiungere livelli critici. Ogni volta che il telefono squillava il cuore gli faceva le capriole nel petto, perché sperava di sentire ancora la voce del tastierista. Se solo si fosse fatto lasciare il suo numero di cellulare, pensava spesso, avrebbe potuto richiamarlo con la scusa della Hall of Fame. Ma nel momento in cui Robert gli aveva parlato al telefono, lui era stato troppo confuso e arrabbiato per pensare a una cosa del genere.
Lo aveva sentito così tranquillo, così distaccato, che non aveva fatto altro che rimproverarsi per aver pensato a lui per tutti quegli anni, mentre invece il tastierista lo aveva completamente rimosso dalla propria vita.
Quando un amore finisce uno dei due soffre, ma se non soffre nessuno non è mai iniziato”, rifletté per l'ennesima volta mentre fingeva di osservare sua figlia alle prese con la zucca. Doveva chiudere ancora una volta il proprio cuore, farlo diventare di pietra, per smettere di soffrire e convincersi che l'amore tra lui e Robert non ci fosse mai stato.
Ma non ci riusciva. Quando provava a indurire i propri sentimenti, ecco che la voce calda del tastierista tornava a fare breccia in lui e il ricordo dell'ultima volta in cui avevano fatto l'amore, l'unica in cui Robert gli si era concesso, appariva con prepotenza nei meandri della sua mente, facendolo tremare.
La voce di Senna lo riscosse dai suoi pensieri.
«Che te ne pare, papà?».
Peter fissò distrattamente la zucca prima di tornare a volgere lo sguardo oltre la finestra, alle foglie secche che turbinavano nel vento.
«Ottimo lavoro, tesoro», disse, senza troppa convinzione.
La figlia gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla. «Cos'hai, papà? Ultimamente sei molto distratto».
«Niente!», rispose, in tono più duro di quanto avrebbe voluto.
Senna lo fissò tanto intensamente che lui avvertì il suo sguardo penetrante sulla nuca.
«Non è vero. Tu stai pensando ai tuoi ex compagni di band, non è così? Anzi... a uno solo dei tuoi ex compagni, quello che ti ha telefonato l'altra sera. Si chiama Robert, giusto?».
Peter trasalì e la sua faccia scolorò di colpo. Continuò a voltare la schiena alla figlia perché il suo volto non diventasse un libro aperto, su cui lei avrebbe potuto leggere ciò che aveva dentro in quel momento, ma non poté impedire alla sua voce di tremare quando le rispose.
«Ma cosa ti salta in mente? Io, pensare ai miei ex compagni di band?».
«Papà, non sono scema! Anche ieri notte non hai fatto altro che ripetere il suo nome nel sonno».
Peter serrò le labbra. Se c'era una cosa che doveva evitare era proprio che la figlia scoprisse il suo più grande segreto: la sua omosessualità. Il suo ostinato mutismo convinse Senna a lasciar perdere, almeno per un po'.
La ragazza lavò i coltelli che aveva usato per intagliare la zucca e poi andò a cambiarsi. Una volta pronta salutò il padre con un bacio sulla guancia e se ne andò, e Peter approfittò della tanto agognata solitudine per salire nella propria camera da letto.
Frugò a lungo nell'armadio, sotto le lenzuola e le coperte dove lo aveva nascosto, e quando lo trovò lo contemplò per qualche minuto, carezzando la copertina di pelle ruvida prima di aprirlo: l'unico album di fotografie che aveva conservato dopo aver lasciato i Chicago. Gli altri li aveva distrutti tutti in un impeto di rabbia, ma non questo, dove conservava alcune delle foto di Robert che aveva scattato lui stesso quando aveva acquistato la sua prima Polaroid.
Ne sfogliò le pagine con lentezza, quasi con devozione. Erano anni che non lo apriva, e ora gliene era venuto un desiderio così intenso da poter addirittura sentirsi venir meno se non lo avesse fatto al più presto.
Il volto sorridente di Robert lo fissava da ogni pagina, i suoi lunghi capelli castano scuro mossi dal vento. Si soffermò su una fotografia ben precisa. Non era particolarmente ben riuscita: l'immagine era sfocata e il braccio destro del tastierista era stato tagliato fuori dall'inquadratura. Ma era quella che gli aveva sempre fatto battere il cuore e infiammare il basso ventre ogni volta che la guardava.
Ricordava ogni dettaglio: quando era stata scattata, dove, cosa stavano facendo, persino di cosa stavano parlando. Era il 4 settembre 1977 e si trovavano in Germania, in un piccolo paesino dal nome impronunciabile sperduto nella Foresta Nera, in cui erano andati in gita tra un concerto e l'altro. Erano diventati amanti da pochissimo – quattro giorni soltanto – e la loro pelle bruciava al solo pensiero di essere vicini. Lui era rimasto indietro di qualche passo per chiacchierare con Terry, Laudir e Danny – il chitarrista stava descrivendo la nuova pistola che aveva acquistato da poco, quella che poi gli sarebbe stata fatale – mentre Jimmy, Walt e Lee li precedevano di una decina di metri. Robert era rimasto per un attimo da solo a passeggiare sotto quella piccola loggia piena di negozietti; lui aveva estratto la macchina fotografica e l'aveva chiamato. Il tastierista si era voltato e aveva scostato le falde della camicia blu che indossava, mettendo in mostra il torso villoso. *4)
A quella vista, Peter si era sentito morire per il desiderio di saltargli addosso. Aveva dovuto attendere fino a dopo il concerto di quella sera, prima di poterlo realizzare; e dopo aver fatto l'amore aveva continuato a sfregarsi su di lui, per sentire il rumore del mare, quasi per tutta la notte.
Sfiorò il petto patinato del tastierista con la punta delle dita e pronunciò il suo nome in un gemito strozzato. Cristo, quanto lo desiderava ancora!
Continuò a sfogliare l'album di fotografie fino ad arrivare al fondo, per poi voltare le pagine a ritroso e tornare all'istantanea di Robert a torso nudo. Si fermò, e si incantò a osservare il suo volto sorridente e malandrino e il suo corpo perfetto. Lo sfiorò di nuovo con la punta delle dita, ricordando improvvisamente ancora una volta il rumore del mare, quel fruscio delicato che sempre aveva accompagnato i loro rapporti amorosi.
Si perse nei ricordi e il tempo passò senza che se ne rendesse conto. Quando Senna spalancò la porta della sua camera era ancora fermo lì, seduto sul letto, con i polpastrelli poggiati sul volto dell'ex amante.
«Papà! Eccoti! Sono dieci minuti che ti cerco!».
Peter trasalì al suono della sua voce e chiuse l'album di scatto. Ormai era troppo tardi per nasconderlo, così si limitò a poggiarlo sul letto dietro di lui, fingendo noncuranza.
«Cosa stavi facendo?», chiese la figlia, mettendosi seduta al suo fianco e prendendo il volume rilegato in pelle.
«Niente», rispose in fretta, cercando di strappare l'album dalle mani di Senna ma senza riuscirci. La ragazza se lo mise in grembo e lo aprì, trovandosi davanti le foto di un giovane uomo dai lunghi capelli castano scuro e il sorriso ammiccante. Le bastò guardare le prime pagine per capire che le immagini contenute lì dentro ritraevano tutte lo stesso soggetto.
«È lui Robert?», chiese con sincera curiosità, continuando a sfogliare e arrivando, infine, alla foto del tastierista col petto esposto. «Wow... mica male, però!», commentò, soffermandosi a osservare quell'istantanea in particolare.
Peter sentì le guance andare a fuoco suo malgrado: pensare che la figlia trovasse Robert attraente lo fece sentire strano, e si ritrovò perfino a provare un pizzico di gelosia. Senna lo scrutò attentamente.
«Dimmi la verità, papà. Quest'uomo ti piace, non è vero?».
Il bassista fu colto in contropiede: come aveva immaginato, sua figlia era stata in grado di capire ciò che gli passava per la mente soltanto con uno sguardo.
Il suo silenzio spinse la ragazza a insistere.
«Sei innamorato di lui?».
Peter boccheggiò, improvvisamente a corto di fiato. Senna aveva scoperto il suo segreto, un segreto che custodiva gelosamente da trentotto anni.
«Se ti dicessi di sì, cosa penseresti di me?», mormorò con voce roca.
La ragazza inclinò il capo di lato, come un uccellino curioso. «Niente. Perché, cosa dovrei pensare?».
«Che sono un pervertito. Ho amato un uomo per tutti questi anni, anche mentre stavo con tua madre». Sospirò e aggiunse: «Anche quando stavo con Diane, la madre della tua sorellastra».
«L'amore non ha confini, papà. Anche se sei innamorato di un uomo non significa mica che non sei un buon padre».
Peter guardò la figlia, stupito. Aveva immaginato che la rivelazione l'avrebbe sconvolta, che avrebbe iniziato a urlare e ad accusarlo di essere stato un ignobile, e invece Senna aveva accettato e digerito la notizia in modo talmente tanto semplice da risultargli quasi impossibile.
«Sei sicura di non essere arrabbiata con me?».
«Certo che sono sicura! Perché dovrei arrabbiarmi?».
«Perché ho tradito tua madre, anche se solo col pensiero. Non vedo Robert da più di trent'anni, ma non ho mai smesso di pensare a lui. Anzi... se mi sono fidanzato con tua mamma, è stato proprio per cercare di dimenticarlo», spiegò.
La ragazza scrollò le spalle, come a volersi far scivolare quelle parole di dosso, ma non lasciò comunque cadere l'argomento.
«Quello che c'è stato tra te e la mamma ormai è acqua passata, e non mi riguarda. Però adesso sono curiosa: perché volevi dimenticarlo?».
Peter sospirò prima di rispondere, lo sguardo posato sulla fotografia del tastierista a petto nudo. «Perché Robert non mi ha mai amato».
Senna inarcò le sopracciglia. «Perché dici questo?».
Lo sguardo dell'uomo si incupì. «Perché quando ho lasciato i Chicago, disposto a fare coming out e rivelare al mondo il nostro amore, lui ha preferito mettere al primo posto la sua carriera. Quell'uomo è sempre stato un pezzo di ghiaccio!».
Chiuse gli occhi. Che fosse un pezzo di ghiaccio aveva iniziato a pensarlo solo dopo che si erano lasciati, perché in realtà Robert era sempre stato un uomo focoso e passionale. Egoista, certo, perché non si era mai concesso fisicamente a lui se non l'ultima volta in cui avevano fatto l'amore, e per questo avevano anche litigato spesso, negli ultimi tempi della loro relazione. Non aveva mai dimenticato la violenza che aveva usato su Diane – la sua seconda moglie – per sfogare la propria frustrazione nei confronti del tastierista, obbligandola a concedersi in un modo che lei ripugnava. *5)
Eppure, nonostante tutto, lui aveva sempre accettato la propria passività, perché era proprio così che gli piaceva sentirsi: un oggetto tra le mani forti di Robert, plasmabile secondo la sua volontà. E benché avesse sempre accettato tutto quello che il tastierista gli imponeva, Robert aveva deciso comunque di buttarlo via come un giocattolo rotto.
«Quando un amore finisce, uno dei due soffre. Ma se non soffre nessuno, non è mai iniziato. Ecco perché volevo dimenticarlo. Se fossi riuscito a far finta di non soffrire, sarebbe stato come se non lo avessi mai amato», concluse.
Senna scosse la testa. «Oh, papà... non te l'ha mai detto nessuno che al cuore non si comanda? E poi, come fai a essere sicuro che Robert non stia soffrendo come te?».
«Perché in tutti questi anni non si è mai fatto vivo! E perché quando mi ha telefonato, l'altra sera, non mi ha chiesto nemmeno come stavo! Mi ha parlato subito di quella dannata Hall of Fame! Non mi ha dato proprio l'impressione che stesse soffrendo».
La ragazza alzò gli occhi al cielo ma non aggiunse altro. Si alzò dal letto, rese l'album di fotografie al padre e scese in cucina senza una parola. Peter contemplò per un ultimo istante la foto di Robert, per poi chiudere il volume di scatto e andarlo a riporre di nuovo in mezzo alle coperte. Prima di scendere a sua volta lasciò vagare lo sguardo fuori dalla finestra. Le foglie rosse degli aceri continuavano a volare sospinte dal vento. Strinse i pugni. Lui non doveva volar via come quelle foglie, non poteva lasciare che quel vento, chiamato Robert Lamm, lo strappasse dal ramo a cui si era tenacemente aggrappato per tutti quegli anni. L'autunno della sua vita era quasi finito e l'inverno della vecchiaia stava per iniziare. Ormai non era più la stagione dell'amore.

 

Spazio autrice:

Eccoci dunque giunti alla fine del secondo capitolo, incentrato stavolta su Peter Cetera. Il bassista è quello che, senza dubbio, ha sofferto di più in questo amore, anche quando i due uomini stavano ancora insieme, ed è convinto che Robert non stia affatto soffrendo per lui, anche se noi abbiamo scoperto che in realtà non è affatto così.
Vi lascio subito alle note numerate.
*1) – Subito dopo aver lasciato i Chicago, Peter si è trasferito a Ketchum, una piccola cittadina di montagna dell'Idaho. Visto che è sempre stato un amante dei cavalli, ho immaginato che potesse vivere in un ranch insieme alla figlia minore Senna, nata nel 1997, avuta dalla sua fidanzata dell'epoca, Blythe Weber.
*2) – Anche nella realtà, l'unico con cui Peter ha mantenuto un certo tipo di rapporto è stato Danny Seraphine, soprattutto dopo che anche il batterista è stato licenziato in malo modo dai suoi compagni di band. Solo in quel momento, infatti, Danny ha capito il motivo per cui Peter se ne era andato: appunto perché aveva compreso di essere diventato un personaggio scomodo (come lo stesso Danny) e quindi li ha prevenuti decidendo di andarsene di sua spontanea volontà.
*3) Questa idea, che io ho ripreso per la mia
story line, è frutto della fantasia di Kim WinterNight che, nel suo capitolo della raccolta “Multi-Feelings”, intitolato It’s awful, but sex is the only way to forget you, racconta di come Peter faccia ricorso al sesso occasionale esclusivamente per inebriarsi il cervello e dimenticarsi di Robert. Naturalmente l'autrice mi ha concesso di fare questo riferimento.
*4) Potete vedere la foto in questione a questo link:
https://i.pinimg.com/564x/16/40/d8/1640d8ab93dc4e63c5e97da4a89aee9f.jpg.
Parlo di una pistola fatale per Terry perché il chitarrista morirà pochi mesi più tardi, a causa di un colpo di arma da fuoco autoinflittosi per errore, mentre stava giocherellando con la sua semiautomatica convinto che fosse scarica.
*5) Il racconto di questa violenza, frutto della mia immaginazione, è narrato in questa mia shot:
"Un'anima da placare". Vi si narra il penultimo incontro amoroso tra Robert e Peter, quando il bassista, ubriaco, cerca di essere la parte attiva della coppia almeno per una volta. Bloccato dall'amante, che non ha nessuna intenzione di concederglielo, Peter racconta di aver violentato Diane, sua moglie all'epoca, obbligandola a farsi prendere da dietro nonostante lei non volesse, arrivando addirittura a prenderla a schiaffi per ottenere da lei ciò che avrebbe voluto da Robert.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Lookin' back down the road of love
We can still feel the heartache
Pain and joy of an unrelenting love
Hold us together

Only you
You've got control
Only you
You've got the key to my heart


Only you – Chicago (Chicago 17)

 

 

 

Nashville (Tennessee), 20 novembre 2015

 

 


Robert aspettò che Joy fosse uscita di casa per andare a far compere, poi si rinchiuse nel suo studio e prese l'album di fotografie di Peter. Aveva intenzione di telefonare di nuovo al bassista, per chiedergli ancora se volesse partecipare alla cerimonia della Hall of Fame, ma prima doveva trovare il coraggio necessario. E, dall'ultimo breve tour che i Chicago avevano fatto negli Stati Uniti nord-orientali, l'unico modo che aveva per farlo era sfogliare le pagine piene di istantanee del suo ex amante e ricordare ciò che era stato, nella speranza che ciò potesse essere ancora una volta in futuro.
Dopo aver contemplato il volto dell'amato per qualche minuto serrò le dita sul cellulare, compose il numero e se lo portò all'orecchio. Una voce femminile rispose dopo alcuni squilli, lasciando Robert sconcertato.
«Pronto?».
«Buongiorno. Parlo con casa Cetera?», chiese il tastierista, convinto di aver sbagliato numero.
«Sì, io sono Senna. Come posso aiutarla?».
«Sto cercando Peter».
«Mio papà è fuori in cortile, ma se aspetta un paio di minuti vado a chiamarlo. Chi è che lo cerca?»
Robert rimase in silenzio per un istante, sorpreso. Peter aveva avuto un'altra figlia, dunque, oltre a sua nipote Claire? Non aveva mai trovato alcuna notizia in merito, nel web. «Sono Robert Lamm», si costrinse a rispondere per non fare la figura dello scemo. *1)
La voce della ragazza all'altro capo della linea era intrisa di un sorriso quando disse: «Attenda solo un attimo!», prima di posare la cornetta.
Il tastierista fu costretto ad aspettare molto più di un paio di minuti. Evidentemente, quando la ragazza aveva annunciato al padre chi fosse a cercarlo, di primo acchito Peter doveva essersi rifiutato di parlargli, perché quando infine il bassista venne al telefono aveva la voce scocciata di chi vuole essere lasciato in pace.
«Si può sapere che cazzo vuoi, Robert?».
«Lo sai, Peter. Perché non vuoi venire alla cerimonia?».
Dall'altro capo del telefono, il bassista sbuffò. «Mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro, la volta scorsa. Io non sono più uno dei Chicago!».
«Peter, ti prego, non dire così! Io ho bisogno di vederti!». La voce gli uscì tanto accorata, cosa insolita per lui, che persino il bassista dovette accorgersene perché esitò un istante prima di rispondere.
«Se vuoi vedermi, allora vieni a farmi visita. Se sei riuscito a trovare il mio numero di telefono, penso che tu possa risalire anche al mio indirizzo senza alcuna difficoltà». E, senza aggiungere altro, Peter riattaccò.
Robert rimase col telefonino appoggiato all'orecchio ancora per qualche secondo prima di poggiarlo sulla scrivania. Volse lo sguardo alla finestra e si perse a contemplare il cielo di un azzurro slavato, punteggiato appena da qualche nuvola bianca. L'aria era fresca e gli alberi del suo giardino avevano perso quasi completamente le foglie: un tappeto giallo, arancione e rosso ricopriva tutto il prato. Avrebbe dovuto mettersi a rastrellarle, pensò. O, meglio ancora, avrebbe dovuto chiamare un giardiniere a farlo, perché l'autunno e le foglie dorate gli riportavano alla mente troppi ricordi con Peter come protagonista. Per esempio quella volta in cui il bassista aveva avuto la febbre a Vancouver, e lui se ne era preso cura dopo il concerto. O la sera in cui, a casa propria, lo aveva ricoperto di miele prima di fare l'amore con lui. E ancora tutte le volte in cui lo aveva accompagnato dal dentista, sempre nel mese di ottobre, per il solito controllo annuale alla sua dentatura fittizia, ricordo dello scontro che, da giovane, il bassista aveva avuto con un gruppo di Marines durante una partita di baseball. *2)
Trasse un rumoroso sospiro. Peter voleva che gli facesse visita? Bene, allora si sarebbe messo a cercare il suo indirizzo e lo avrebbe raggiunto anche in capo al mondo. Voleva stringerlo di nuovo nel suo abbraccio, baciare ancora una volta le sue labbra morbide, perdersi nei suoi occhi verdi come il mare in estate mentre i loro velli frusciavano insieme. E avrebbe esaudito questo suo desiderio, fosse stata l'ultima cosa che avesse fatto!

 


 

Ketchum (Idaho), 20 novembre 2015

 

 


Dopo aver riagganciato Peter rimase in piedi, le mani appoggiate al muro per sostenersi. Quando sua figlia gli aveva annunciato che Robert era in attesa al telefono il suo cuore aveva perso alcuni battiti, tanto che per un istante aveva temuto che stesse per venirgli un infarto. Aveva attraversato il cortile correndo, una foglia impazzita in mezzo alle altre travolte dal vento, giustificando a se stesso tutta quella fretta con il semplice desiderio di levarselo dalle scatole quanto prima. Ma in realtà ciò che bramava era esattamente il contrario. Voleva essere carezzato dalla sua voce dolce, voleva sentire il rumore del suo respiro caldo nella cornetta.
Gli si era rivolto con astio, ma solo perché non voleva fargli capire che lo desiderava ancora, così tanto che avrebbe potuto perfino morirne. E se fosse successo ne sarebbe stato contento, dopotutto.
La voce di Senna lo riscosse.
«Allora? Cosa ti ha detto?».
Si voltò verso la figlia, le mani ancora appoggiate alla parete. «Che ha bisogno di vedermi», disse in un soffio.
La ragazza sorrise. «Visto, che avevo ragione? Robert ti pensa ancora, anche lui ha bisogno di te. Quando un amore finisce, uno dei due soffre; ma se soffrono entrambi non è mai finito».
Peter scosse il capo. «Magari fosse vero...».
«Io ne sono sicura al cento per cento». Senna gli si avvicinò e lo abbracciò da dietro, posandogli la testa sulla spalla sinistra. «Perché non gli hai lasciato l'indirizzo?».
«Se davvero desidera così tanto farmi visita saprà come trovarlo. Sono stato tanto idiota da non negare il consenso all'elenco degli abbonati, quindi come ha trovato il numero di telefono troverà pure il nostro ranch». Peter si staccò dal muro e si scrollò la figlia di dosso.
La ragazza incrociò le braccia sul petto. «Oh, ma perché devi farla tanto difficile? Non potevi semplicemente lasciargli l'indirizzo e dirgli di correre qui perché non vedi l'ora di riabbracciarlo?».
Peter sgranò gli occhi per lo stupore prima di replicare. «Ma sei matta? Io, dovrei dire una cosa del genere a Robert?».
Senna sbuffò. «Papà, è chiaro come il sole che lo ami ancora come un tempo. E, secondo me, anche Robert ti ama ancora. Se lui non ha il coraggio di dirtelo, devi farlo tu!».
Il bassista scosse la testa. Avrebbe voluto tantissimo dar retta alla figlia, ma l'orgoglio glielo impediva. L'aveva sempre preso nel didietro, con Robert, letteralmente parlando. E, per una volta, non aveva nessuna intenzione di cedere.


 

 

Nashville (Tennessee), 10 dicembre 2015

 

 


Robert spulciò la ricerca di Google per l'ennesima volta, facendo ruotare la rotellina del mouse con gesti secchi e nervosi. Dell'indirizzo di residenza di Peter neanche l'ombra. Aveva cercato in lungo e in largo in internet, perdendosi nel web per interi pomeriggi, ma senza alcun esito. Un paio di volte aveva sussultato nel vedere il nome dell'amato abbinato ad altri risultati incoraggianti, ma cliccando sulle pagine di riferimento non aveva trovato altro che vecchie fotografie del bassista e alcune notizie di poco conto.
Alzò per un attimo lo sguardo dallo schermo del computer e lo lasciò vagare fuori dalla finestra. Alla fine, era stata Joy a radunare le foglie nel giardino in mucchietti ordinati, che poi aveva buttato nella compostiera per ottenere il concime necessario alle sue amate piante. Robert l'aveva osservata a lungo, mentre cercava di comporre qualche nuova lirica, sovrapponendo alla sua immagine quella di Peter.
Si passò una mano sulla faccia e si stropicciò gli occhi, che gli bruciavano per le troppe ore trascorse davanti al PC. Forse avrebbe fatto meglio a richiamare il bassista e a farsi dare quel dannato indirizzo, invece di perdere tempo a cercare inutilmente in rete. Ma l'orgoglio smisurato che aveva sempre avuto – e che non aveva perduto nemmeno in vecchiaia – gli impediva di abbassarsi a implorare Peter per farsi dare il nome di una strada e un numero civico. L'avrebbe trovato da solo, prima o poi, a costo di attraversare tutti gli Stati Uniti soffermandosi casa per casa, suonando ogni campanello in cerca di quello giusto.
Il trillo di quello di casa sua lo fece sobbalzare. Sua moglie era fuori per alcune commissioni e non sarebbe rientrata che dopo qualche ora, così si alzò lentamente dalla poltroncina e si spostò nell'ingresso per scoprire chi fosse a disturbarlo. Sulla soglia c'era Walter, intabarrato in un grosso cappotto di lana nero, col bavero alzato per difendersi dall'aria sempre più fredda che calava dal nord.
Si spostò di lato per farlo entrare e il sassofonista non si lasciò pregare. Robert chiuse la porta alle sue spalle, relegando quell'autunno ormai agli sgoccioli fuori dalla porta.
Walter andò dritto al sodo.
«Allora, hai trovato l'indirizzo di Peter?», chiese, togliendosi il cappotto e appendendolo all'attaccapanni.
Robert sospirò, precedendolo in salotto e andando diretto al mobile bar, da dove servì un Martini all'amico e un bicchiere di whisky per sé. «Non ancora. Ma non demordo».
«Perché non lo chiami e te lo fai dare direttamente da lui?», domandò ancora Walt, dopo essersi messo a sedere in poltrona e aver sorbito un sorso del suo liquore, esprimendo a parole il pensiero che il tastierista aveva avuto poco prima.
«Perché non voglio abbassarmi a pregarlo. Devo trovarlo da solo, e lo farò!».
Il sassofonista roteò gli occhi. «Ancora con questa storia dell'orgoglio? Sai, continuo a pensare che ho fatto bene ad approfittarmi di te, quella volta a Huston. Peter non si merita tutto questo». *3)
«Questo lo dici tu! Se non avesse lasciato i Chicago...».
«E basta, Robert! Ormai questa è storia vecchia!», lo interruppe Walter. «Vuoi deciderti una buona volta a mettere da parte la tua dannata presunzione e a correre tra le braccia dell'uomo che ami?».
Il tastierista sospirò. Il suo amico aveva ragione da vendere, fin troppa. Ma lui non voleva cedere, non ancora. Così addusse un'altra scusa.
«E con Joy come dovrei comportarmi?».
Walt sbuffò rumorosamente dal naso, corrugando le labbra al contempo. «Adesso non venirmi a dire che ti preoccupi per tua moglie. Non ti sei mai preoccupato per Julie, né ti sei mai preoccupato per Alex, quando avevi Peter a tua disposizione!». *4)
Robert chinò il capo. Walter lo conosceva da troppi anni, ormai, e gli aveva letto nel pensiero. «Cosa posso fare, allora?», chiese, con un filo di voce.
Il sassofonista sorrise, per poi mandar giù un altro sorso generoso di Martini. «Beh, si da il caso che l'altro giorno abbia telefonato a Danny. Sai anche tu che lui e Peter sono rimasti in contatto, soprattutto dopo che lo abbiamo licenziato, no?». Robert annuì e lui continuò. «Gli ho chiesto se sapesse dove abitava Peter, con la scusa di voler riallacciare i rapporti anche in vista della Hall of Fame, e lui mi ha risposto che vive a Ketchum, nell'Idaho. Non conosce l'indirizzo preciso, perché Belli Capelli non l'ha mai detto nemmeno a lui, ma sapere almeno il nome del posto in cui vive è già qualcosa, non trovi?».
Il tastierista aveva sorriso nel sentire il vecchio soprannome con cui Terry chiamava Peter per via della sua fissa per i propri capelli. E, nell'apprendere che poteva restringere di molto la sua ricerca, il sorriso si ampliò. *5)
«Grazie, Wally, sei un amico», disse sincero, sorbendo un goccio di whisky.
Walter scolò il bicchiere, si alzò e si strinse nelle spalle. «Se questo è l'unico modo per farti tornare da Peter...». Posò il calice sul mobile bar, poi andò nell'ingresso e prese il cappotto, avvolgendosi in esso prima di affrontare nuovamente il vento freddo di fine autunno. «Ti lascio solo. Immagino tu voglia subito metterti alla sua ricerca».
Robert annuì e salutò l'amico e compagno di band poi, dopo aver bevuto il suo liquore tutto d'un fiato, tornò davanti al computer. Ora più che mai aveva voglia di trovare l'indirizzo di Peter, e sapere che viveva in un paese di poco meno di tremila anime era confortante. Qualora fosse dovuto andare di persona a far suonare i campanelli delle case, almeno non ci avrebbe messo una vita intera, per trovarlo.
Aprì il motore di ricerca di Google e digitò: “Anagrafe Ketchum”. Subito gli apparvero i numeri di telefono dell'ufficio che gli interessava. Li appuntò su un foglietto e prese il cellulare, sicuro di essere ormai a pochi passi di distanza dal suo obiettivo.
Ancora non sapeva che, prima di riuscire a convincere l'impiegato dell'anagrafe a violare la legge sulla privacy e a rivelargli l'indirizzo di Peter, avrebbe dovuto lottare per quasi un anno.

 


 

Ketchum (Idaho), 15 dicembre 2015

 



Senna fischiettava allegramente una canzoncina natalizia, intenta a decorare l'enorme albero di Natale nel salotto del ranch. Per tutta la mattina non aveva fatto altro che togliere palle di vetro da uno scatolone, scartandole una per una dalle pagine di giornale in cui erano state imballate per proteggerle, per poi appenderle all'abete dai rami odorosi di resina.
Fuori, la neve aveva iniziato a cadere sin dalle prime ore dell'alba e aveva già ricoperto con un sottile strato candido la ghiaia del cortile, spolverando gli aghi verdi delle conifere e i rami spogli degli aceri. In Idaho l'autunno era ormai finito, anche se il calendario si ostinava a sostenere il contrario.
Una volta che fu alle prese con le luci, la ragazza chiamò il padre per farsi aiutare a sistemarle sull'albero.
«Ehi, papà, puoi venire a darmi una mano?».
Peter, seduto in cucina, chiuse l'album di fotografie di scatto. Erano giorni che non faceva altro che sfogliarlo, ogni volta in maniera più rude e violenta. Era passato quasi un mese da quando aveva detto a Robert di andare a fargli visita, se proprio ci teneva così tanto a vederlo di persona, ma il tastierista non si era ancora fatto vivo.
Buttò il volume in un cassetto – non aveva più bisogno di nasconderlo, tanto ormai sua figlia sapeva tutta la verità – e raggiunse Senna in salotto.
«Stavi ancora sfogliando quell'album, vero?», chiese la ragazza, intenta a sciogliere i nodi nella fila di lucine.
Peter rispose con un grugnito, afferrando nel frattempo la catena luminosa dall'altro lato e iniziando a passarla attorno all'abete.
«Prima o poi verrà, vedrai», riprese Senna in tono rassicurante, senza distogliere lo sguardo dal proprio lavoro.
«È passato quasi un mese da quando gliel'ho detto. A quest'ora, l'indirizzo avrebbe dovuto averlo già trovato da un pezzo, non pensi? No, te lo dico io: a Robert non gliene frega un cazzo, di me!».
La ragazza scosse la testa, smise di districare la fila di lucine e fissò il padre dritto negli occhi.
«Non hai mai pensato che potrebbe non essere poi così facile trovare il nostro indirizzo?».
«Il numero di telefono lo ha trovato in internet, su quel diamine di elenco telefonico!».
«La linea telefonica è registrata a tuo nome, mentre invece il nostro indirizzo è collegato al ranch!», replicò Senna, alzando un poco il tono di voce. Non le piaceva urlare contro suo padre, ma ormai le era chiaro che, se non fosse riuscita a farlo ragionare in fretta, quel testone avrebbe perseverato nella sua odiosa autocommiserazione fino al giorno della sua morte. «Robert lo sa che hai un ranch? E che si chiama Glory of love? Che razza di nome assurdo che gli hai messo...», concluse, quasi schifata.
«Quel nome è il titolo del mio più grande successo come solista!», ribatté Peter, piccato. *6)
«Va bene, okay, comunque sia è un nome di merda!», riprese la ragazza. Il padre fece per interromperla, inorridito dalla parola che aveva usato, ma lei alzò una mano per bloccare la sua replica sul nascere. «Non hai risposto alla mia domanda: Robert lo sa che hai un ranch dal nome idiota?».
Peter serrò le labbra, offeso per le critiche al nome del suo ranch, ma si obbligò a rispondere. «No».
«E allora, secondo te, come può quel povero disgraziato trovare il nostro indirizzo? Perché non lo chiami e glielo dici tu direttamente?».
Il bassista sospirò e volse lo sguardo alla cucina e al telefono di bachelite nero. «Perché non gli ho chiesto il numero di cellulare, e quell'anticaglia non ha certo la memoria delle chiamate».
«Guarda che sei stato tu a volere quell'anticaglia come telefono», ribatté Senna stringendosi nelle spalle.
Peter lasciò cadere le proprie, chinando lo sguardo a terra. Possibile che sua figlia avesse ragione? Che Robert non fosse ancora arrivato semplicemente perché non riusciva a trovare l'indirizzo? Chiuse gli occhi e sospirò per l'ennesima volta. “Robert, dove sei?”, pensò suo malgrado. Poi si raddrizzò e strinse le labbra in un'espressione dura. No, si disse, non doveva cedere ai ricordi. Il tastierista non si meritava il suo struggimento.
Se nessuno dei due soffre, l'amore non è mai iniziato”, ricordò a se stesso, prima di continuare ad aiutare la figlia ad addobbare l'albero di Natale.

 

 

Spazio autrice:

E siamo giunti alla fine del terzo capitolo, in cui abbiamo avuto un'alternanza tra i due protagonisti. Entrambi sono ancora innamorati l'uno dell'altro, forse ancora più che all'inizio della loro relazione; ma entrambi sono talmente orgogliosi da non voler cedere di un passo. Quindi gli equivoci tra di loro continuano, nonostante Walter da una parte e Senna dall'altra abbiano cercato strenuamente più volte di convincerli a lasciar perdere il loro orgoglio e a riavvicinarsi.
Ormai manca solamente l'epilogo; per ora vi lascio alle note numerate.
*1) – Claire Cetera, prima figlia di Peter, è nata dall'unione del bassista con Diane Nini. La donna è sorella di Julie Nini, seconda moglie di Robert. Quindi, Robert e Peter sono stati cognati per un certo periodo di tempo. Quando è nata la bambina, nel 1983, in realtà Robert e Julie avevano già divorziato (nel 1981) ma ho immaginato che Robert consideri comunque la prima figlia di Peter come sua nipote, a maggior ragione che, nella realtà, i membri del gruppo si sono sempre considerati alla stregua di fratelli, e che Sasha Lamm, figlia di Robert e Julie, è comunque cugina di Claire.
Ho scritto che Robert non sapeva niente di Senna perché, per mia licenza poetica, ho fatto in modo che Peter fosse stato molto riservato e che non avesse mai dato notizie sulla sua vita privata.
*2) – Qui ho fatto riferimento a tre diverse mie shot, tutte ambientate in autunno, e che sono, rispettivamente:
"La febbre della domenica sera", "Un gioco goloso" e "Vincere le proprie paure".
*3) – Questo è un altro riferimento a una mia shot: "Desideri frustrati" , nella quale si racconta di un rapporto sessuale tra Walter (anche lui omosessuale nella mia personalissima story line e impegnato in una relazione clandestina con James Pankow, trombonista della band), e Robert che, una sera in cui Walt era stato lasciato solo dal suo amante, si presenta ubriaco fradicio alla porta della camera d'albergo del sassofonista. Robert, confuso dall'alcol, immagina di avere Peter davanti e Walter se ne approfitta per sfogare la sua frustrazione nei confronti di James che lo ha lasciato solo durante il tour.
*4) – Julie e Alex sono, rispettivamente, la seconda e la terza moglie di Robert, con le quali il tastierista è stato sposato durante il periodo del suo amore clandestino con Peter.
*5) – “Belli Capelli” è il soprannome che ho creato io per Peter visto che, soprattutto nei primi anni di carriera in cui aveva i capelli lunghi, era solito toccarseli in continuazione, scostandoseli dal viso. In alcune storie comiche ho accentuato questo suo vezzo, rendendolo fissato maniacalmente con la sua messa in piega. E ho reso Terry come autore del nomignolo.
*6) – “Glory of love” è il primo singolo pubblicato da Peter Cetera dopo il suo addio ai Chicago, e fa parte della colonna sonora del film “Karate Kid II – La storia continua...”. In molti lo considerano il suo più grande successo come solista.

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Capitolo 4
*** Epilogo ***


If there's a life you want to live then live it now
'Cause it'll be gone, hold on
Don't you let your second chances get away, don't wait

'Cause now this is the time we must start living in
Let's make a change while it's not too late
Let's make a place where love is happening
The world is going by, there's no greater time than now


Now – Chicago (Chicago XXXVI - Now)

 

 

 

Robert trasse un sospiro e batté tre colpi decisi sul legno della porta.
Passarono alcuni istanti lunghi un'eternità. Poi l'uscio si spalancò con veemenza e l'uomo che aveva amato così intensamente per tutti quegli anni gli apparve davanti. Alla luce della luna piena gli parve ancora più bello di quanto non fosse mai stato in gioventù.
«Mio piccolo Pete...», mormorò, incapace di trattenersi.
Gli occhi verdi del bassista si sgranarono, la sua bocca si contorse in una smorfia. Fece per richiudere la porta ma Robert la bloccò con un gesto imperioso.
«Smettila di chiamarmi a quel modo!», gridò allora, agitando le braccia.
Il tastierista gliele afferrò, trascinandolo verso di lui. L'uscio si chiuse alle spalle di Peter e Robert ce lo spinse contro, aderendo poi al suo corpo.
«Non ho mai smesso di amarti...», sussurrò sulle labbra dell'amante.
«E allora perché non sei venuto prima, a cercarmi?», replicò Peter, la voce che tremava.
Si fissarono ancora, occhi negli occhi, e non ci fu bisogno di dire altro. Le loro labbra si incontrarono a metà strada e le loro lingue si intrecciarono di nuovo.

 

 


Ketchum (Idaho), 16 ottobre 2016

 

 


I sospiri di Peter e Robert riempirono il silenzio caldo della stanza. Subito dopo cena i due uomini si erano chiusi nella loro camera, lasciando Senna a lavare i piatti e a rigovernare la cucina. La ragazza li aveva guardati, illuminandosi di un sorriso radioso mentre si alzavano da tavola all'unisono, e loro le avevano risposto con un altro sorriso altrettanto splendido e solare.
Robert era rimasto molto sorpreso nello scoprire, al suo arrivo, che la ragazza era a conoscenza del loro amore segreto, e le aveva chiesto cosa ne pensasse. Senna aveva semplicemente scosso le spalle, rispondendogli che a lei bastava vedere suo padre felice. E se la sua felicità dipendeva dall'avere accanto quell'uomo bruno dagli occhi azzurri come il cielo di settembre, a lei andava benissimo.
Adagiato sul corpo nudo dell'amante, Robert si mosse lentamente su e giù, facendo sfregare insieme i loro petti. Con l'età gran parte della loro peluria era andata perduta, ma ne rimaneva comunque una quantità più che sufficiente per far sentire loro il rumore del mare, quella musica dolce che aveva sempre accompagnato ogni istante della loro intimità.
Sotto di lui, Peter protese la testa all'indietro, esponendo il collo e la piccola cicatrice che gli marchiava la mandibola. Robert la baciò con delicatezza, per poi raggiungere le labbra del bassista. Le loro lingue si unirono in una danza lenta, sensuale, focosa e passionale nonostante avessero entrambi ormai superato i settant'anni.
Al termine del bacio i due rimasero a fissarsi, occhi negli occhi, come erano soliti fare da giovani, mentre Robert continuava a muoversi, penetrando dolcemente nel corpo dell'amato e massaggiando al contempo col proprio basso ventre la sua virilità. L'età aveva forse indebolito il fisico, ma la loro passione pareva non aver perso nemmeno un briciolo della sua potenza e – sebbene con calma, lentezza e delicatezza – ben presto i due uomini raggiunsero l'apice del piacere. Un gemito strozzato sfuggì dalle loro labbra, mentre si stringevano in un abbraccio che la diceva lunga su quanto il loro amore fosse rimasto saldo, nonostante tutte le difficoltà e i malintesi che si erano susseguiti nel corso degli anni.
Entrambi convinti di non essere mai stati amati sul serio, e di essere dalla parte della ragione, non avevano mai voluto ammettere che forse, se si fossero comportati diversamente, le cose avrebbero potuto prendere una piega totalmente differente. E ora che il destino li metteva davanti a una seconda opportunità, non volevano certo mandarla sprecata.
I respiri ancora pesanti per l'orgasmo appena consumato, i due uomini si accoccolarono l'uno accanto all'altro nel letto matrimoniale. Peter poggiò la testa nell'incavo della spalla sinistra di Robert ed entrambi rimasero a osservare la luce della prima luna piena d'autunno che entrava dalla finestra.
«Ti ricordi?», chiese il tastierista, posando un lieve bacio sulla tempia dell'amante. «Anche quando sono arrivato qui, due mesi fa, c'era la luna piena». *1)
Peter annuì, crogiolandosi nel calore del corpo di Robert. «E quando ti ho visto fuori dalla porta avrei tanto voluto darti un pugno in faccia. Hai osato presentarti qui dopo quasi un anno dall'ultima tua telefonata».
Il tastierista sorrise al ricordo dell'espressione di Peter in quel momento: un misto di rabbia e incredulità che lo aveva fatto diventare paonazzo in volto.
«Ti ho già spiegato perché ci ho messo così tanto», rispose, carezzando distrattamente il petto del bassista. «Quel dannato impiegato dell'anagrafe di questo paesino del cazzo sperduto tra i monti non voleva violare la legge sulla privacy, e non ha voluto darmi il tuo indirizzo fino a quest'estate. Continuava a ripetermi che chi sceglieva di vivere a Ketchum, lo faceva proprio per non essere disturbato dal mondo esterno». Si fermò per un attimo, poi aggiunse: «E ho dovuto pure dire addio a Joy. Non è stato facile... anche se ne suoi confronti provavo solo una sorta di amore fraterno, siamo stati comunque sposati per venticinque anni. Avrei voluto risparmiarle tutto quel dolore, perché non se lo meritava, ma non potevo più rinunciare a te».
«Un po' è stata anche colpa mia», ammise Peter, gli occhi fissi sulla luna fuori dalla finestra. «Se ti avessi chiesto il numero di telefono avrei potuto chiamarti prima, ma non l'ho fatto perché credevo che non ti importasse niente di me. Che non te ne fosse mai importato, in verità».
«E io pensavo che tu mi avessi completamente dimenticato. Quando ti ho telefonato la prima volta e ti ho sentito così freddo, ho immaginato che tu avessi messo una pietra sopra il passato».
«In effetti sono stato tentato molte volte, di farlo», rispose Peter. «Ma ogni volta che ci provavo il tuo ricordo tornava con sempre maggior prepotenza. Ho distrutto tutti i vecchi album di fotografie, ma non sono mai riuscito a sbarazzarmi di quello pieno di tue polaroid».
Robert si voltò verso di lui e gli prese il mento tra le dita, per far sì che le loro labbra si incontrassero per un istante.
«Sono stato un egoista», disse subito dopo. «Ho sempre avuto a cuore solo il mio interesse, senza pensare ai tuoi bisogni».
«Finalmente lo ammetti!», ribatté Peter, ma nella sua voce non c'era alcuna traccia di risentimento. Ormai, ciò che era stato era acqua passata. Adesso dovevano solo godersi gli ultimi anni che la vita avrebbe loro riservato, e ne avevano di tempo da recuperare.
Il loro amore non era mai finito perché entrambi, anche se all'insaputa l'uno dell'altro, avevano sofferto per tutto quel tempo.
«Quando un amore finisce, uno dei due soffre. Se non soffre nessuno, non è mai iniziato. Se soffrono entrambi, non è mai finito», mormorò Peter, sull'onda di quel pensiero.
Robert lo strinse a sé ma non disse nulla. Quella frase riassumeva alla perfezione ciò che c'era stato tra di loro.
Il bassista tornò a perdere lo sguardo fuori dalla finestra. Illuminate dalla luce della luna, alcune foglie volteggiarono davanti ai vetri. Ma adesso Peter non aveva più paura di diventare come loro, perché quel vento che aveva tanto temuto ora era diventato il ramo dell'albero a cui aggrapparsi con forza. E quell'albero aveva un nome: Robert Lamm.

 

 

Spazio autrice:

E qui si conclude il racconto di come Peter e Robert si siano ritrovati, dopo 31 anni di lontananza, di incomprensioni e malintesi. Ormai entrambi nell'autunno delle loro vite i due ora devono recuperare il tempo perduto che il destino torna a concedergli con questa seconda occasione.
Voglio ringraziare di nuovo, e immensamente, Inzaghina per aver indetto questo contest e per avermi ispirato così tanto: in effetti, è solo la seconda volta che arrivo a scrivere una minilong per un contest, ma l'argomento mi stava molto a cuore e le parole sono fluite senza nemmeno che me ne rendessi conto, fino a farmi arrivare a poco meno del limite indicato di 10.000 parole.
Ringrazio anche tutti coloro che hanno avuto, e che avranno, il coraggio di spararsi tutte queste righe.
E ora, come sempre, vi lascio all'unica nota.
*1) – Riferimento alla mia flash
"Ti amo come allora", che narra l'arrivo di Robert a Ketchum proprio in una notte di luna piena, e della quale avete potuto leggere un piccolo estratto all'inizio del capitolo. Anche il 16 ottobre 2016, giorno in cui è ambientato questo epilogo, era luna piena. La prima luna piena d'autunno, appunto.

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