La prima volta che ho letto questa originale mi ero ripromessa che sarei passata a recensire.
Mi conosci: sono la pigra per eccellenza, ma ci sono storie che non possono scadere nel silenzio. Ci sono storie che sento la necessità di recensire e questa è una di quelle.
Premetto che forse, forse, so da dove è nata, essendo in tema di ospedali; se così fosse (aspetto una tua conferma e nel caso io abbia sparato una stronzata, chiedo venia sin da ora), questo ti riconferma come ottima osservatrice. Quasi riesco a vederti, rannicchiata su una sedia a guardarti intorno, ad osservare, costruire castelli di storie su perfetti estranei. E ne sorrido, perché se così fosse, sarebbe uno degli infiniti punti che ci accomuna.
Ma, adesso, passiamo a noi.
La cosa che mi ha sempre colpita di te è questa capacità che hai di rendere originale tutto ciò che non lo è.
L'incidente, la vittima e chi resta a piangerla, diciamocelo, non è originale; impegnando un poco del nostro tempo in una veloce ricerca, sono sicurissima che otterremo numerevoli riscontri di storie affini.
Ma, per quanti risultati potremmo trovare, non ne troveremo mai, mai, uno che sia anche vagamente somigliante a "Melanzana".
Io, sul serio, non so come tu faccia, ma riesci a rendere situazioni scontate e banali originali e coinvolgenti. E questa, lo dico senza alcun problema, è forse una delle cose che ti invidio con tutta l'anima. Perché pare che tu sia nata apposta per elevare l'ordinario in straordinario.
Questa tua abilità è seguita immediata dallo stile, che è probabilmente la cosa che più ti invidio in assoluto.
È come se tu fossi un tecnologissimo macchinario che ha la capacità di leggere una fotografia e traslarla in testo scritto. Per quanto il paragone possa essere brutto e perfino indelicato, non trovo altre parole per esprimerlo. Perché è così. Il tuo stile - che altro non è che l'intreccio ben riuscito di proposizioni costruite appositamente per colpire il lettore - è immagine. Non solo parole e punteggiatura, ma anche forma, colore, spessore.
Il tuo stile è una fotografia che diventa parole.
E poi, una nota di merito se l'accaparrano anche i personaggi. C'è lui che vive nella sua bolla di incredulità, di shock sgomento, che è vittima incosciente di un potente meccanismo di difesa mentale che tende ad analizzare ciò che lo circonda come se non fosse la sua vita, come se a vederlo non fossero i suoi occhi. Come se fosse spettatore di un film che lo annoia.
Ma la tua straordinaria abilità è condensata tutta nelle falle di questo meccanismo: gli occhi di lei che desidera rivedere, sprazzi colorati e confusi dell'incidente. E a tal proposito, dannazione, questa è una cosa che mi ha colpito moltissimo: quante volte, in situazioni drammatiche, ci capita di focalizzarci su dettagli assolutamente inutili ma che, per un motivo o l'altro, il nostro cervello ha incanalato e conservato nella memoria a lungo termine? Ecco, il protagonista è vittima dello stesso scherzo mentale nel momento in cui parla della macchina che gli è andata addosso e, bada bene, non parla del modello, o della forma, ma del colore. Il colore melanzana. La cosa più inutile che uno possa ricordare di un incidente, eppure il fulcro di tutto quel che viene narrato. Insomma, non so se questo brillante stralcio di psicologia sia stato voluto o meno, ma io l'ho trovato assolutamente geniale (e forse sono io che vedo cose che non esistono. Probabilmente ho appena fatto una figuraccia di quelle kolossal).
E sullo stesso principio verte tutta la faccenda del neo, che il protagonista associa meccanicamente a Fausto. A questo ho dato questa fantasiosa interpretazione: mi sono chiesta: "Perché proprio un neo? Perché dare proprio ad un neo il nome dell'ubriaco?" e ho trovato questa risposta: perché un neo è un imperfezione, un grumo di cellula insane su una pelle altrimenti sana e florida. E così, Fausto è stato l'ultimo neo della loro vita. L'imperfezione di un attimo che ha inglobato e distrutto la perfezione di una vita. Quella di lei, quella di lui. Irrimediabilmente entrambe distrutte. Anche qui sono certa di vedere cose che non esistono (non perché la tua mente non sia capace di arrivare a questo, ma perché io sono sempre convinta che nei dettagli si nasconda la chiave di interpretazione).
Ultimo e poi chiudo. In questo mare di metafore, sgomento e "avanzi di poesia", come direbbe il Baglioni, sei riuscita a far percepire chiaramente tutta la drammaticità della situazione. L'hai concentrata tutta nel quinto paragrafo e da lì hai permesso che si irradiasse in ogni direzione possibile, avvolgendo come una guaina di tristezza l'intera narrazione. E per questo non posso farti che i miei migliori complimenti.
"Apro la finestra e fuori è più buio delle tue ciglia.": mi premeva dirti quanto ho amato questa frase, quanto essa sia la concretizzazione più tangibile della tua innata capacità di trasformare l'immagini in parole (o forse è il contrario?), di creare il connubio tra prosa moderna e accenni di poesia. Tutto qui.
Bene, ora vado. Spero che questa recensione non sia un'accozzaglia di parole insensate e spero che sia riuscita a farmi capire da te. Ci tengo particolarmente, lo sai.
Ti abbraccio forte love,
tua moglie che ti ama tanto. ♥ |