Ciao! Un racconto interessante, il tuo, che definirei un'allegoria su una crisi di coscienza, condita da una buona dose di distopismo/simbolismo à la Orwell.
Il tema, come ho detto, è molto peculiare e ricco di implicazioni: ho trovato vincente la tua decisione di ambientare questa vicenda in un luogo e un tempo diversi da quelli attuali/reali, così da creare una sorta di "zona franca" in cui far risaltare le sfumature morali del dilemma etico di Gabrahant, senza doverti attenere a un impianto realistico, ma costruendo tu stesso le regole del mondo in cui si svolge il processo - e la relativa condanna.
Non per questo hai trascurato di fornire i giusti dettagli al lettore: non troppi né troppo pochi - quanto basta per delineare un contesto dal sapore distopico e inquietante, che ricorda vagamente i nostri tempi, pur conservando echi del nostro passato, e mescolando il tutto con una fantasia e un estro molto accentuati. Bravo.
Venendo al tema del racconto, mi è piaciuto molto questo processo speculare a cui il giudice sottoone se stesso, facendosi sia da imputato che da accusa/difesa, fino a emettere la sentenza più severa; nella prima parte, Gabrahant sembra totalmente asservito al Sistema che contribuisce ad alimentare, e anzi - ne è un ingranaggio di prim'ordine, contribuendo alla demolizione e alla condanna di un innocente - o meglio, di un "elemento di disturbo", come avviene in ogni Dittatura che si rispetti (anche, qua, Orwell insegna).
Nella seconda parte, invece, si entra in un territorio crepuscolare - dai toni onirici e inquietanti, che mi hanno ricordato Kafka - dove si rileva un lato del giudice rimasto sepolto nel suo subconscio, e riportato alla luce dall'ultimo processo a cui ha presenziato: la sua Coscienza ha un guizzo etico che lo conduce allo scranno di imputato, per fronteggiare se stesso.
Questo evento ha in sé aspetti psicoanalitici - e non credo che siano casuali: la definirei, infatti, una vicenda "freudiana", dato che Gabrahant sembra analizzare se stesso - come sul lettino di uno psicologo - andando a fondo della sua coscienza, fino alle estreme conseguenze.
Devo dire che la vicenda mi ha presa, e mi ha dato da pensare, perché il racconto presenta un dilemma etico di portata non indifferente: l'annoso scontro tra opportunità e coscienza - e la risposta non poteva essere che drammatica, come drammatico è il finale di questo racconto, che non arriva inatteso, ma non per questo meno pregnante.
Se sui contenuti, dunque, ti faccio un plauso - per originalità e profondità - trovo che la forma, sebbene piacevole, risenta di numerose imprecisione che ne inficiano un po' la scorrevolezza.
Sono fermamente convinta che la forma debba rispecchiare perfettamente la sostanza - rappresentandone il recipiente nella quale la storia va ad adagiarsi come acqua nel letto di un fiume - e, in questo caso, la forma non è del tutto all'altezza della sostanza.
Ripeto, lo stile è piacevole e ben calibrato, ma vi sono piccoli errori che saltano all'occhio, e che rischiano di distogliere dal piacere della lettura. Nulla che non si possa sistemare con qualche rilettura, ma ti segnalo quelli che mi sono appuntata, sperando di farti cosa gradita, e magari aiutarti a migliorare il testo.
A seguire ti lascio i miei appunti/consigli, e ti ringrazio inoltre per la piacevole lettura che, come ti ho detto, mi ha dato anche spunto per una interessantissima riflessione. :)
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Noto che usi i trattini al posto del virgolettato per i dialoghi; al di là che, per gusto personale, non li amo, ho rilevato che a volte lasci uno spazio prima o dopo il trattino, a volte no; a quanto so, nell'editoria che adotta questa soluzione, è uso lasciare lo spazio prima e dopo il trattino, ma, in ogni caso, una volta che decidi per una soluzione dovresti adottarla sempre, così da dare uniformità formale al testo.
Sempre rimanendo in tema di dialoghi, a volte non chiudi la frase all'interno del trattino con un punto fermo, come in questo caso:
-ci ha mostrato dei documenti dei servizi segreti lui in persona-
I trattini, quando sostituiscono il virgolettato per i dialoghi, hanno comunque la stessa funzione, e il dialogo va chiuso con un punto fermo (o con una virgola, se la frase che viene dopo ne è diretta continuazione). Vi sono diversi dialoghi, nel testo, che mancano del punto (o della virgola), non te li segnalo tutti ma andrebbero sistemati.
sessantrè: si scrive con l'accento acuto.
Uso delle maiuscole: anche qua, a volte le usi, a volte no, e sarebbe buona norma adottare una regola e usarla sempre; parole come: re, sua maestà, governo, difesa (inteso come organo preposto alla difesa di un imputato), signor giudice ecc andrebbero tutte in maiuscolo, perché non indicano un oggetto generico ma un particolare soggetto che, come tale, assume connotazione di unicità.
Eufoniche: usi molte congiunzioni eufoniche, che sono ormai considerate desuete in narrativa moderna, e che conferiscono al testo un alone di "pesantezza" e leziosità, che oltretutto stona con il carattere asciutto e senza fronzoli della tua scrittura; non sono un errore di per sé, ma io personalmente le sconsiglio, a meno che la congiunzione non vada a collegare una parola che inizia con la stessa vocale ("ed era", per esempio); tutte le altre proverei a eliminarle, e vedrai che il testo ne guadagnerà in scorrevolezza. :)
La sua arringa difensiva è stata estremamente convincente- (Se Gabrahant è il Giudice, non può fare un'arringa difensiva - quella è riservata agli avvocati. Forse intendevi: il suo discorso di chiusura - che è quello nel quale si legge la sentenza)
le cui pareti mollicce alternavano colori che sembravano muoversi e lottare l'uno contro l'altro per ottenere la supremazia . (Hai messo uno spazio prima del punto. E anche qua: La pena è la morte .La sua esecuzione avverrà dove manca anche lo spazio dopo il punto.)
un opprimente pressione (manca l'apostrofo)
disse l'uomo seduto sulla sedia del giudice ("sedia del giudice" è un po' impreciso; sostituirei con "scranno")
riuscì a intuire che la creatura vestita di blu era il suo avvocato difensore. Una volta seduto, riuscì finalmente (ripetizione di "riuscì"; sostituirei il secondo con "fu in grado".)
tutta la sua lobby corrotta (in un contesto indefinito come quello del tuo racconto, l'uso di inglesismi stona un po', ed inoltre toglie credibilità all'ambientazione; puoi sostituire con "cricca" o altra parola analoga che non crei l'effetto "all'americana".)
Opporsi al re e poi tradirlo pensò che razza di imbecilli.
Che stupidaggini si disse. (Anche se queste frasi sono pensieri dell'io narrante, e anche se sono messi in corsivo, dovrebbero essere separati dal narrato con delle virgole.)
Diceva che non erano state realmente ricostruite e che le parole del re non fossero che propaganda (questo è un errore di concordanza verbale; invece del congiuntivo dovresti usare l'indicativo (che le parole del re non erano propaganda), perché l'asserzione di Jack deriva da una certezza - è *certo* che le parole del re siano propaganda - e non una ipotesi.)
Era quello la sua funzione (quella)
Ma non ha alcune prove per sostenerlo- (messa così, la frase non è corretta; ma non ha nessuna prova mi sembra più corretta.)
tutto è stato lasciato nello stato com'era!- (è una forma un po' gergale, che non si adatta bene al parlato di un giudice; nello stato in cui era è più formale.)
Gli Slums sono stati una delle prime preoccupazioni del re, quando salì al potere (errore di concordanza verbale: quando è salito al potere - dato che usi il passato prossimo nel resto della frase)
-Lei li ha forse visti, Signor Gabrahant?- replicò la creatura parzialmente immateriale.
-Tutti li abbiamo visti! Non ha mai visto le foto sul giornale? (Ripetizione di "visto"; l'ultimo potrebbe essere sostituito con "osservato".)
La sua esecuzione avverrà sedutastante, per mano dei nostri esecutori (seduta stante si scrive staccato; inoltre c'è una ripetizione esecuzione/esecutori; potresti sostituire "esecutori" con "addetti".)
Sentì un dolore che le parole non saprebbero descrivere. mentre tutti i presenti, (c'è un punto di troppo.) |