Recensione Premio per il contest "Ignotus - Indovina chi (Edizione Deluxe)"
Eccomi.
Spulciando nel tuo profilo, ho scovato questa storia sulla famiglia Paciock e ho deciso di fermarmi qui per la prima recensione che hai vinto.
Ultimamente sono in fissa con i componimenti brevi in sequenza, sarà che essendo testi brevi secondo me necessitano di una cura maniacale e di uno stile mai troppo semplice o si rischia di non avere proprio sostanza, sarà anche per quella necessità in più di usare molto percezione quando si leggono questi testi brevi, perché ogni singola parola diventa importantissima, fatto sta che mi piacciono moltissimo. E sono piaciute anche queste tre drabble.
A partire dal titolo della raccolta e dai tre sottotitoli, di cui innanzitutto ho apprezzato il filo conduttore: la luce, il sole.
Il "Lumos maxima", se non ricordo male, è quell'incantesimo che Harry utilizza nel terzo film per poter leggere di nascosto dai Dursley (ancora qualcuno deve spiegarmi perché questa magia il Ministero non gliela segnala, ma vabbè), quella luce che esplode, e mi piace moltissimo associarla per l'appunto al sole, la luce per eccellenza. Sole e luce sono il filo conduttore dei titoli e delle percezioni che aleggiano nelle drabble, è una sostanza che sa avere mille sfumature e che può essere benefica o nociva, può dare calore o bruciare, può confortare o tormentare. Mi è piaciuto moltissimo che questo semplice incantesimo diventi una prima bellissima metafora: la luce che illumina il buio, la luce più grande, che rischiara le tenebre, che disperde le nebbie.
Confesso che ho trovato il secondo titolo non esattamente in tono con gli altri due, per una mera questione di coerenza poetica, ma comunque è anch'esso forte, risalta proprio per contrasto, e forse era questa la tua intenzione: dare un titolo più sintetico e forte all'evento più doloroso, mentre le drabble che parlano di momenti più piacevoli, dolci hanno sottotitoli più soavi, più poetici per l'appunto.
Il primo titolo è un'immagine bellissima, che io trovo sempreverde, ed è di una delicatezza unica che perfettamente si adatta al ricordo e a quella metafora immensa del matrimonio che caratterizza la prima drabble.
Il sole tra le ciglia sembra quello che si vede quando si iniziano a socchiudere gli occhi, quando la nebbia si dirada e si viene baciati dal sole. Sembra quasi di vedere Alice risvegliarsi in un prato, il mondo intorno a lei riempirsi di colori e di allegorie, e sempre con quell’impalpabilità data dal mondo onirico, vivere il giorno del matrimonio. E sì, sei riuscita a creare perfettamente uno stile onirico perché le descrizioni passano attraverso poesia, immagini disconnesse, surreali a volte, eppure riferimenti inconfondibili.
Non so perché, ma quel primo posso mi dà un’idea così dolorosa:
Posso avere corone di fiori e lunghi capelli. -> quando dici “lunghi capelli” in qualche modo io immagino la Alice del presente con i capelli più corti, più scarmigliati, più sciupati, e istintivamente mi dà il senso di pazzia, e questo soffermarti su questi “lunghi capelli” non lo so, è come immaginarla in un momento di ordine, di pulizia interiore e mentale. Eppure, allo stesso tempo “corone di fiori” mi crea una doppia immagine in testa: la coroncina di fiori che adorna il capo delle spose, tipica di alcuni decenni fa, ma allo stesso tempo mi fa pensare a un senso di leggerezza e allucinazione in cui versano le persone nei manicomi, quel loro vagare felici e persi nei corridoi, quel loro toccare, abbracciare, sorridere tanto vuoto quanto pericoloso. In tal senso, anche la seconda frase che segue mi rafforza questo sentimento inquietante, Sarà suggestione, senz’altro, ma questo è il mio modo per dirti che ho davvero trovato intenso il tuo lavoro qui.
L’immaginazione, il ricordo – che in questo caso sembrano la stessa cosa – si fanno specchio della pazzia in cui abita perennemente la protagonista.
Della prima drabble, stilisticamente, ho apprezzato l’anafora – che io forse a torto considero un tuo marchio, comunque è qualcosa che ritrovo spesso nei tuoi scritti, e l’ossimoro finale (credo che sia un ossimoro, ma al momento potrei sbagliare figura retorica), comunque quel “l’oro del sole che bagna” qualcosa che dovrebbe seccare invece inumidisce, dà morbidezza, le scivola addosso.
Del secondo sottotitolo ho apprezzato la pluralità, come a dire che i momenti in cui il dolore si fa sentire, in cui la pazzia diventa frenetica e incontrollabile e si perde quella patina di pazzia dormiente e innocua, sono diversi e frammentano spesso quel vuoto di nebbia in cui Alice vive, o ancora meglio “incendiano la nebbia”. È un dolore che per Alice non ha nome, non ha neanche il profumo di immagini oniriche, confuse ma comunque una parvenza di ricordo. L’incendio è odore di bruciato, e sensazione inspiegabile e dolorosa, è una voce fuori campo. Le parole diventano più dure e secche, le immagini si fanno aride, e il campo semantico adoperato mi richiama il sangue e l’aridità. In tutto questo l’immagine finale è come acqua che spegne il fuoco, e sembra udire l’urlo straziante di Alice tramutarsi in estasi. L’immagine finale del parto, della dolcezza di tenere un figlio tra le braccia è di una tenerezza disarmante. È l’aria che torna nei polmoni è come un riprendere una boccata d’ossigeno dopo una lunga e bruciante apnea. Bellissima, davvero.
Di questa seconda drabble ho apprezzato da morire quel “ch’è” stroncato così, perché ha dato l’idea di qualcosa di duro e tagliente, ha reso più graffiante quelle due frasi. Le metafore che la fanno da padrone sono impregnate di potenza, e le due riflessione alla fine, sembrano davvero una lucidità nella pazzia, mi hanno conquistato, perché sembra assurdo immaginare Alice che riflette durante un momento di dolore in cui la immagino urlare e contorcersi e immagino accorrere i medimaghi (si chiamano così, spero) e di colpo in qualche modo calmarsi, fermarsi di botto. Quel “è curioso, il dolore” e “è straziante, il dolore” danno proprio quest’idea di riflessione durante un momento di frenesia assoluta. Folle, ma potentemente lucido da far paura.
Il terzo titolo è quello che mi ha stretto di più il cuore. Perché la terza drabble è fatta di momenti differenti al contrario della prima che ripercorre un unico momento, un unico ricordo, e della seconda che invece è composta da sensazioni e pensieri. La terza drabble è fatta di volti, e sembra quasi che con quei volti Alice vada a farsi una passeggiata. Sembra camminare in distese infinite di prati, sembra camminare nel sole. E il sole, che di solito lei associa alla felicità, alla serenità, viene per un attimo battuto dagli occhi del figlio.
Mi è piaciuto moltissimo come rendi quell’idea di felicità confusa con la nebbia che resta ai margini per smussare gli angoli. Forse perché ricordare tutto sarebbe troppo doloroso, sarebbe crudele, mentre quello stato di confusione, dove i volti non hanno nome ma vengono associati a delle immagini (l’avvoltoio, la carta delle caramelle) sembra quasi proteggerla, alleviarla. È quella serenità in cui la immagino durante le visite di Neville, un po’ quella che lei insegue nel quinto libro quando va a consegnare un’altra carta al figlio. Ogni cosa ha una dimensione e una consistenza surreale, immaginifica (becchi di rame, gemme, lingua di gesso). Simili allucinazioni si portano addosso sempre quell’inquietudine, a me fanno paura, perché sono immagini entrambe fredde, finte, che lei affronta approcciandosi con curiosità. È come vedere attraverso i suoi occhi il mondo, e mi ha davvero inquietato, scusami se mi ripeto, ma ho trovato queste immagini davvero molto belle.
Di questa terza drabble ho amato quindi le parole, questa creazione di associazioni artificiose eppure vivide, reali.
Ho adorato l’amore verso Frank che aleggia, quell’amore che durante la tortura sembri dire le ha impedito di morire, di perdersi del tutto. Forse è stato un amore crudele, questo, forse se sarebbe morta sarebbe stato meglio. Eppure l’amore è anche questo: è crudeltà, darsi completamente. E credo che questo effetto sia stato ambivalente, nel senso che anche Frank si sarà costretto a rimanere vivo, ad abbraccia la pazzia pur di non lasciare Alice, e questo loro stare vicini anche senza più potersi chiamare per nome fa malissimo. Altrettanto struggente, infine, è l’amore per il figlio. Neville, che è associato al dolore più bello, Neville, che non ha un nome ma che risplende più del sole, risplende come la cosa più amata, la cosa per la quale è ancora viva, la cosa che ha protetto, la cosa di cui andare più fiera.
Basta, sto soffrendo. È bellissima questa raccolta, e io probabilmente ho a stento sfiorato la superficie con questa recensione, ma non ho altre parole. Non esistono parole per esprimere, per disegnare le emozioni che sto provando io leggendo queste drabble. Complimenti, è tutto quello che so dire, è stupenda.
A presto! |