Ciao cara <3
Perdonami veramente per questo ritardo, ma sono giorni tremendi :’(
Ci tenevo però a lasciarti due parole – si spera il più sensate possibili – su questo primo capitolo, che già dal titolo mi ha completamente avvinta.
Del resto, come potevano queste semplici parole - “Figlia della Dea” - non suscitare immediatamente il mio interesse? Io sono cresciuta con le storie della Bradley, che del rapporto – se così vogliamo chiamarlo – tra uomini e dèi ha fatto uno dei capisaldi della sua narrazione. In particolare, e scusami se sto divagando, ricordo bene, in uno dei libri della saga di Darkover, il racconto di un rito iniziatico simile a quello da te descritto: in quel caso, i ragazzi e le ragazze (più o meno della stessa età dei tuoi protagonisti), passavano una notte intera a vagare in una foresta sacra, e alla fine, attraverso un segno ricevuto dagli dèi, capivano quale sarebbe stata la strada che avrebbero percorso nella vita (tra l’altro, la donna che racconta questo fatto è propria un’artista, una pittrice in particolare, proprio come sembra destinata ad essere la tua piccola Izar).
Fatta questa premessa, sono stata molto colpita dal background che hai immaginato, e del quale ci hai dato un succulento assaggio in questo primo capitolo. Innanzitutto, l’ambientazione esotica, questo arcipelago che porta con sé suggestioni quasi caraibiche – non quelle patinate che siamo abituati a vedere sui depliant delle agenzie di viaggio, ma qualcosa di più nascosto, arcaico, legato profondamente alle tradizioni di quelle isole solo all’apparenza paradisiache; proprio a questo proposito, metti subito in chiaro che a Pentidad c’è ben poco di cui gioire, la comunità è povera e a parte proprio la piccola Izar, che pare godere di una posizione un po’ più privilegiata in quanto figlia del Santero (il che significa che la “casta” sacerdotale, all’interno della comunità, può disporre di privilegi preclusi agli altri), gli altri abitanti dell’arcipelago sono niente di più che dei morti di fame, che si arrabattano come possono.
Mi è piaciuta moltissimo l’attenzione che hai dedicato al pantheon di divinità che “proteggono” l’arcipelago: è evidente che si tratti di un culto estremante radicato e “invasivo”, nel senso che la vita di ciascuno dipende proprio da questo legame fortissimo tra uomini e dèi. Izar, in particolare, in quanto figlia di quello che potrebbe essere definito un Sommo Sacerdote, avverte ancora di più questo peso, dato che il padre l’ha indottrinata fin da bambina e, evidentemente, nutre per lei delle precise aspettative.
Quanto all’atmosfera, sei riuscita a descrivere a pieno l’afa e l’aria opprimente di una notte equatoriale, che si accompagna perfettamente allo stato d’animo dei personaggi, che sembrano quasi schiacciati sotto il peso di un evento che, letteralmente, li segnerà per il resto della loro vita – circostanza della quale sono tutti estremamente consapevoli.
Questo tipo di narrazione porta sempre con sé quesiti interessanti, riguardanti nello specifico il rapporto dell’uomo con la divinità. Di primo acchito, gli dèi che ci hai presentato sembrano mostrare un volto benevolo ai loro adepti (chi più chi meno), ma non posso fare a meno di domandarmi se le cose possano davvero essere così semplici. E la storia dei due dèi in perenne lotta fra loro mi fa propendere per una risposta negativa.
Sono curiosa di sapere come si evolverà la situazione, mi hai molto incuriosita ** Spero di riuscire a proseguire presto la lettura, intanto ti faccio i miei più sinceri complimenti per questo capitolo così ricco e intrigante <3
Un bacione e a presto!
padme |