Cara Gladia,
Avevo già letto questa bellissima poesia – non saprei descriverla davvero in altro modo – e trovo sia bellissima. Il punto di vista è quello di Azipharale, che osserva e ammira l’altra sua metà, Crowley. E il modo in cui presenti il demone, giocando con i suoi colori – il giallo degli occhi, la chioma rossa, la similitudine tra il fuoco e l’aria che creano incendi – è splendido. L’origine angelica del demone è esaltata dai “cieli stellati riflessi nel suo viso”, la componente più oscura nello sguardo nascosto, che viene però bilanciato dalla bellissima immagine del demone che giunge col cuore tra le mani, che nella nostra letteratura ha un preciso significato. Ne emerge una figura demoniaca ammantata di indubbio fascino, ma anche di struggente, umana tragedia.
Le riflessioni di Azipharale, voce narrante della poesia, sono ricche di rimandi alla questione della passione per come la intendevano i latini. Era Seneca, nel De ira, a dire che l’uomo dovrebbe evitare di lasciarsi trascinare dalle incontrollate passioni in favore di una via mediana, di una continenza delle passioni in favore della ragione. È quello che cerca di fare per una vita intera Azipharale. Lui cerca la quiete, ma Crowley è il fuoco e lui ne è attratto. Tuttavia, proprio come Icaro che vuole avvicinarsi al sole e si brucia, cadendo irrimediabilmente nel mare, Azipharale sa che la vicinanza, il contatto con la sua anima gemella (perché questo sono) è letale e terribile. E se il dolore per Crowley è infitto nella caduta e nel fuoco infernali, per il riflessivo angelo sono i ricordi e la nostalgia a fare male. Un’altra similitudine bellissima, quella dei libri, chiude la poesia, ma poiché parliamo di creature ultraterrene e al di fuori del tempo per come lo intendiamo noi, c’è ancora un luogo dove possono incontrarsi e quel sei ancora qui è struggente – e che sia nella memoria o davanti a lui, nel cuore o di fronte non ha importanza. Complimenti di cuore, mia cara, hai scritto una perla.
Shilyss |