Recensioni per
Il saccheggio di Roma
di Beatrix Bonnie
Degno epilogo di una storia (a proposito, davvero ottima la scelta dell’epigrafe, è una delle mie massime latine preferite) che per quel che può valere il mio parere, è stata davvero interessante da leggere, ho trovato ben descritta la scena dell’incontro tra Veiano (sinceramente immaginavo che Lucio non si sarebbe dimenticato del suo schiavo e amico e che gli avrebbe concesso la libertà) con quello che unirà il suo nome a quello del protagonista nel promuovere le leggi che passeranno alla storia come Liciniae- Sextiae (che imporranno un nuovo corso alla vita della Res Publica), come anche le scene (tipiche di ogni dopoguerra) degli esuli che tornano e vedono le loro case ridotte a un cumulo di macerie, aggirandosi tra esse chiedendosi se si possa salvare qualcosa e chi già pensa al futuro (proprio e non solo), un’ansia che per Lucio sembra non avere ragione, specie dopo aver visto gli ultimi avvenimenti, in questo caso le parole di Stolone sembrano davvero stonate, soprattutto per uno che ha visto da vicino una simile tragedia e che dopo aver combattuto allo stremo ha visto un esito piuttosto amaro, anche se concluso con la partenza dei galli, ma l’altro sembra avere una fiducia in lui e nel futuro davvero salda (dopotutto meglio lui che quel gradasso di Manlio, che si pavoneggia per l’apporto che non ha dato). Ho trovato particolarmente interessante anche l’incontro con Papiria, che ha deciso di unire formalmente il suo destino al suo (un gesto davvero coraggioso, se si pensa che nelle XII tavole erano chiaramente proibiti i matrimoni tra patrizi e plebei “conubia plebi cun patribus sanxerunt” vero che tale norma particolarmente iniqua era stata abolita dalla Lex Canuleia, però ciò non toglie che non dovevano essere molto comuni, dato il carattere di certi patrizi, come l’ex marito di Papiria, quanto alla giovane patrizia, credo che sia stato uno dei migliori personaggi della storia, mi sembra sia stato realizzato in lei un sapiente connubio di orgoglio patrizio e capacità di sapersi mettere in gioco nel momento, sostenendo quel giovane plebeo di cui aveva avvertito le qualità prima ancora che se ne accorgesse lui stesso, in lei Lucio ha trovato la persona giusta al momento giusto, quella che gli ha dato il coraggio necessario in questa impresa che poteva apparire molto più grande di lui), in quest’aria a metà tra lo scoramento nel vedere le rovine della scorreria e la speranza di un futuro migliore per lui, la sua classe sociale e la sua città il protagonista sembra scuotere, forse ha davvero la capacità di far qualcosa di buono in futuro, o almeno ci proverà (in questo caso, la storia gli darà ragione. |
E siamo giunti alla fine di questa storia! |
Ho trovato molto piacevole la lettura di questo capitolo, a cominciare dalla scena che mostra la raccolta dell’oro necessario per il riscatto della città e la mestizia insita in tale azione (forse i dubbi di Lucio sono fondati, ma in quel frangente non si poteva fare altro), interessante anche il momento dell’incontro con Brenno, dopo il primo incontro non certo amichevole all’Allia, posso immaginare che l’imperator non si sentisse del tutto a suo agio con simile interlocutore (se sperava in un approccio più diplomatico, deve aver immediatamente cambiato idea). Mi pare che tua abbia saputo ben cogliere il passaggio di stati d’animo che tale operazione deve aver comportato negli animi degli assediati, dalla speranza di potersi liberare finalmente di tali indesiderati ospiti alla tensione che comportava il vedere che non si era raggiunto il limite prefissato (con il timore purtroppo confermato che anche in tal frangente c’era chi pensava solo al suo particolare, purtroppo di gente che antepone l’oro alla vita altrui e propria sono pieni gli annali, in questo caso mi sembra che sia stata davvero ben decritta la scena della colluttazione tra Brenno e Capitolino, oltre che l’incendio della sua domus, frutto di atto incidentale, ma forse si può vedere l’atto di qualcuno o qualcosa che non sembra mai aver gradito gli avidi, purtroppo l’estensione dell’incendio al resto del colle non avrà fatto altro che frustrare ancora di più l’animo di chi su quella palizzata aveva più volte rischiato la morte, e non solo quella per mano di una spada o di un dardo dei nemici, che forse sarebbe stata la via più rapida ma anche quella per fame e per le condizioni non certo ottimali di residenza colà), devo dire che Manlio ha avuto quello che si meritava ( credo che sia molto triste la vita di un individuo che ha saputo dimostrare la propria volontà combattiva solo per difendere la sua sacca e non quando ve n’era bisogno sugli spalti), credo inoltre che sia stata una scelta molto felice quella di porre faccia a faccia i due comandanti, in effetti nonostante le differenze che vi sono, hanno qualcosa in comune, come il coraggio e l’amor di patria anche se lo esercitano in maniera piuttosto diversa (il primo vuole per sé e la sua città un grande futuro, il secondo arraffare quanto più bottino può, la storia, ammesso che su di essa possano farsi giudizi etici, sembrerà premiare il primo, la cui città dominerà su tre continenti, relegando il secondo ad un episodio che forse gli studenti di secoli dopo studieranno forse malvolentieri; ma in fondo, in numerose occasioni i romani non si comporteranno tanto diversamente, pur accompagnando le loro conquiste da ponti, strade, acquedotti e quella che Virgilio definiva “norma di legge eterna). Mi è piaciuta anche la parte relativa al dialogo concitato tra il protagonista e Camillo, il cui atteggiamento per le sorti della città anche in quel momento così drammatico sembrano essere irridenti verso coloro che pur avevano difeso strenuamente la città o quello che ne rimaneva (sinceramente, anche in chi conosce la storia, mi sembra che vi sia inserita la suspence adatta per il concludersi della vicenda). |
Ma è mai possibile che Manilo debba sempre combinare guai? Non gli importa proprio niente di niente! |
In primis, mi sembra che sia riuscita a trasmettere la tensione presente nei due campi, sia quello degli assediati che non vogliono demordere dalla decisione presa di resistere, sia quello dei loro nemici che mossi da un desiderio simile non desistono nemmeno se un’epidemia (evento tutt’altro che raro stando le condizioni di profilassi alquanto approssimative dell’epoca) sfoltisce le loro fila, |
Interessante l’idea di far assumere il ruolo dell’interprete ad un etrusco appartenente a quella che fu una delle tre dodecapoli in cui erano si divideva quel popolo (insieme a quella dell’Etruria propria e della Campania, la presenza etrusca tuttavia durò poco perché vennero sopraffatti appunto dalle invasioni dei galli (anche se un certo grado d’interazione tra i due popoli vi fu, come hanno dimostrato casi di sepolture congiunte, a volte l’archeologia è qualcosa di particolarmente triste se non macabro, ma purtroppo sovente non c’è altra via per conoscere il passato o almeno farsene un’idea), ho trovato poi ho trovato molto ben caratterizzato questo personaggio, sembra proprio che ne abbia passate tante che al confronto l’ambasceria sembra un nonnulla. |
O_O |
Bè, questo capitolo immagino che non farà altro che aumentare la tua alto-stima! XD |
E io che pensavo di leggerla un po' per volta! Invece ho letteralmente divorato questa tua storia! |
Il discorso di Lucio ai cittadini che stavano partendo mi ha commossa! |
Wowo, complimenti per la descrizione della battaglia! Ti è venuta benissimo! |
Si va in guerra! |
Da brava ex studentessa del liceo classico, non può non piacermi un'ambientazione niente meno che nell'antica Roma, e non solo perché è la mia città! |
Dunque, eccomi qui! |
Anche questo capitolo mi sembra ben scritto, ad esempio il coraggio disperato degli assediati (guidato da un Lucio nominato dai suoi concittadini capo in un momento di distretta in barba alle regole, per altro piuttosto arbitrarie, in vigore nella Res Publica in tempo ordinario e che allo stesso giovane plebeo sembravano ingiuste e per le quali desiderava un cambiamento), interessante anche la descrizione della tattica usata dagli assedianti (i galli non erano molto preparati nelle tecniche ossidionali, abitando perlopiù in strutture, dette oppida, che erano solitamente grossi villaggi difesi da palizzate e terrapieni, molto diverse dalle strutture urbane del mondo greco-romano, ed abituati comunque a scontri in campo aperto, l’unica loro alternativa era la presa per fame, essendo il Campidoglio difficile da assaltare e non possedendo gli attaccanti strumenti adatti alla conquista) che di fronte al luogo impervio e alla resistenza dei difensori decidono di passare ad altro sistema. |