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Autore: Beatrix Bonnie    30/09/2010    2 recensioni
"Mio padre diceva sempre che un giorno la grandezza di Roma sarebbe dipesa da quei pochi valorosi pronti a difenderla a costo della vita. Ecco, io credo che quel giorno sia arrivato."
L'epocale saccheggio della città di Roma del 386 ac ad opera dei galli di Brenno, riletto attraverso gli occhi di un giovane sognatore plebeo.
Genere: Azione, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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- Questa storia fa parte della serie 'Historia docet'
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Epilogus




Per aspera ad astra.


Attraverso le asperità alle stelle.

L. Anneo Seneca




Lucio stava sistemando il tetto della sua domus con l'aiuto di Veiano, quando arrivò un uomo che, senza chiedere il permesso, entrò nella sala di ingresso e si fermò davanti all'implivium. -Sei tu Lucio Sestio?- domandò rivolto a Veiano, che stava tenendo ferma la scala a pioli sul quale si era arrampicato Lucio. -In un certo senso sì, ma non credo che tu stia cercando me.- rispose il ragazzo con un sorriso. D'altronde da quando Lucio l'aveva liberato, lui aveva assunto il nomen del suo vecchio padrone, com'era tradizione per i liberti, diventando così Lucio Sestio Veiano. L'uomo rimase un attimo perplesso. Lucio allora scese dalla scala e si presentò al nuovo arrivato. -Se stai cercando Lucio Sestio Laterano, sono io.-

-Io sono Caio Licino Stolone. Sono un romano di Cere.- rispose l'uomo. Lucio non riusciva a capire cosa volesse da lui Licino, ma non poteva mostrarsi scortese. -È meglio se usciamo di qui. L'aria è troppo stantia.- gli disse, accompagnandolo fuori. La vecchia domus di Marco Papirio era stata incendiata e depredata dai galli, ma era in condizioni migliori della casa dove Lucio aveva passato la sua infanzia, così lui e Papiria avevano deciso di trasferirvisi. L'unico problema era che alcune pareti erano crollate e le macerie invadevano le stanze come un'edera malefica, il tanfo di bruciato permeava l'aria a tal punto che si faceva fatica a respirare. Ma loro non avevano altro posto dove andare e non avevano altra scelta che rimettere in sesto la vecchia domus della famiglia Papiria.

La città stava lentamente riprendendo vita, man mano che tornavano gli esuli da Cere. I pochi disperati si aggiravano tra le macerie alla ricerca dei propri beni superstiti, o anche solo delle ceneri di quella che un tempo era stata la loro casa. Era stato grazie all'aiuto economico di Cere o di altre città etrusche che Roma stava cominciando a riprendersi. Sì, i galli se ne erano andati, ma avevano lasciato dietro di sé una scia di morte e distruzione. Ce la avrebbero fatta a rinascere dalle loro ceneri, o il sacrificio per difendere la città sarebbe stato inutile? Non avevano vinto, erano stati presi, la loro città completamente messa a ferro e fuoco. Ed era tutta colpa di Lucio e della sua testardaggine.

La gente che percorreva la lunga via, sembrava radunarsi in un sol punto. Lucio aguzzò la vista, per scoprire il motivo di tanto interesse: eccolo là, Manilo che si beava di aver sconfitto i galli, di aver salvato la città. Quando Licino capì che cosa avesse rapito lo sguardo del suo giovane interlocutore, gli mise una mano sulla spalla e disse in tono saggio: -Non ti dar pena per quell'idiota.-

-Sta fingendo di aver salvato Roma, quando non solo abbiamo dovuto pagare un riscatto ai galli perché se ne andassero, ma addirittura, è stato proprio quel codardo la causa dell'incendio sul Campidoglio!- protestò Lucio con furore. Manilo si era preso il merito di azioni che non aveva mai compiuto e il popolo credulone, sopraffatto dalla crudeltà degli eventi, non aveva bisogno di altro che di un eroe della patria. Esattamente come i pochi che avevano animato la resistenza si erano aggrappati alla figura di Camillo, sperando che il suo arrivo potesse risolvere la situazione a loro favore.

-Il mio cognomen, Capitolino, è perché ho salvato il Campidoglio dalla furia distruttiva dei barbari!- esclamò proprio in quel momento Manilo, sollevando il pugno al cielo tra le grida di giubilo della folla. Lucio scosse la testa rassegnato. -È inutile. Quel furfante sfrutterà la situazione finché potrà. Il popolo preferisce acclamare chi gli racconta luminose menzogne, piuttosto che rassegnarsi alla cruda verità.- commentò Licino. -Già, e la cruda verità è che abbiamo perso.- concluse Lucio sconsolato. Licino sorrise, un sorriso bonario e accondiscendente. -Non lo ammetteremo mai. Siamo troppo orgogliosi. Nasceranno leggende gloriose per nascondere ai posteri questo indegno passato.-

-Se saremo in grado di risollevarci.- sussurrò Lucio in tono sommesso. Licino lo guardò fisso negli occhi. -Gli uomini che hai comandato durante la resistenza mi hanno parlato tanto di te, il giovane comandante plebeo animato da una forza fuori dal comune. Dove è finito il Lucio Sestio Laterano che mi hanno descritto?- gli domandò in tono serio. Il ragazzo distolse lo sguardo e rimase a fissare gli stani giochi di luce creati dal sole che passava attraverso le rovine delle case e illuminava il lastricato della via. -Ero venuto qui per conoscere questo giovane dotato di tanto carisma, sicuro che avrei trovato qualcuno a cui affidarmi per le grandi rivendicazioni plebee. Ma a quanto vedo mi sbagliavo.- con quelle parole Licino Stolone fece per allontanarsi, quando la voce di Lucio lo fermò. -Guardati intorno, la città è distrutta! Io non ho nemmeno vent'anni e ho già visto la morte in faccia, ho dormito nella stessa stanza fianco a fianco con cadaveri e feriti gementi di dolore. Ho visto venire distrutto tutto ciò in cui credevo, tutto ciò per cui lottavo. Cosa pensavi di trovare in me? Sono solo uno sciocco sognatore plebeo. Cerchi un eroe? Vattene da Manilo, allora!-

Erano parole rabbiose, piene di risentimento per un sogno infranto, parole che si addicevano più a un vecchio senza più nulla da perdere che a un giovane nel fiore degli anni. Licino si avvicinò nuovamente a Lucio. Fece un lungo sospiro prima di parlare. -Certe volte nella vita ci troviamo difronte ad ostacoli che ci sembrano insormontabili. Eppure ricordati che è proprio attraverso le asperità che l'uomo raggiunge le stelle.- Con quella frase enigmatica, Caio Licino Stolone se ne andò.

Lucio rimase imbambolato in mezzo alla strada, perso nei propri pensieri. Per un attimo provò l'impulso di salire all'Aventino e sedersi sui gradini del tempio di Diana, come faceva un tempo quando aveva bisogno di schiarirsi le idee. Gli sembrava che fossero passati secoli da allora, eppure si trattava di poco meno di un mese. Quante cose erano cambiate, o meglio, quanto era cambiato lui. Camillo ce l'aveva fatta, l'aveva trasformato in un vecchio inacidito dai rimpianti. Nemmeno vent'anni e non aveva già più nulla in cui credere.

Proprio in quel momento uscì di casa Papiria. Aveva un sorriso tenero sulle labbra perché sapeva che il suo futuro sposo aveva bisogno di qualcuno che gli tirasse su il morale. -Ti ho portato dell'acqua.- gli disse con dolcezza, porgendogli una caraffa. Con quel caldo, bagnarsi la gola con un sorso di acqua era una sensazione meravigliosa. Anche Papiria notò che intorno a Minilo si era radunata una piccola folla. -Non dar peso a queste cose.- disse al fidanzato. -Si attaccano a lui perché sono dei disperati.-

-E perché è patrizio.- aggiunse Lucio, restituendo la brocca alla ragazza. Papira ignorò la brocca e invece cinse la vita di Lucio e lo strinse a sé. -Non mi importa se è patrizio. Il mio eroe resterai sempre tu, un giovane plebeo visionario.- gli disse con un sorriso. Poi gli si avvicinò e lo baciò.

-Non sarà sempre così, sai.- le sussurrò Lucio all'orecchio. -Un giorno i plebei avranno gli stessi diritti dei patrizi e, per la gloria di Roma, saranno i migliori a reggere lo Stato, indipendentemente dalla loro origine o estrazione sociale!- esclamò con ritrovato entusiasmo.

Sì, lui avrebbe cambiato le cose.

Avrebbe raggiunto le stelle.



Eccoci giunti all'epilogo! Per chi non lo sapesse o ricordasse, i tribuni della plebe Lucio Sestio Laterano e Caio Licinio Stolone portarono all'approvazione, nel 367 a.C., delle cosiddette Leges Liciniae Sextiae, che riformarono la figura dei consoli obbligando ad eleggere almeno uno dei due tra le file dei plebei. Questo portò il nostro Lucio a diventare console nel 366, primo plebeo della storia di Roma.

Anche questo racconto è ormai arrivato al termine. Spero, come sempre, che vi abbia lasciato qualcosa, un'emozione, un sorriso. Grazie a chiunque l'abbia seguita o anche solo sbirciata, leggiucchiata.

Uh, non ci crederete ma sono tecnologicamente molto avanzata! Ho messo le tre immagini che avevo su internet, quindi posso mettervi qui i link:

Camillo
Lucio
Papiria


Perché la memoria storica di certi eventi non sia mai dimenticata.

Con affetto, Beatrix

@ Julia Weasley: no, a Manilo non importa proprio niente di niente, tanto che poi, secondo Livio, sarà accusato di attentare alla repubblica... chissà che cosa aveva combinato! Camillo è proprio un tipo particolare, ma è per questo che mi piace un sacco: è imprevedibile! Purtroppo la storia ora è finita... spero che ti sia piaciuta! Ci sentiamo presto!

@ darllenwr: hai ragione, di gente come Manilo ce n'è fin troppa. Lui però è qualcosa di veramente vergognoso! Rischia non solo la vita degli altri, ma perfino la propria pur di non rinunciare al proprio oro. Sì, lui alla fine ha avuto quello che si meritava, ma ci ha rimesso tutto il Campidoglio che era stato strenuamente difeso. La scomparsa di Camillo è stata progettata da tempo e con molta attenzione: volevo che fosse la sua figura enigmatica a chiudere il racconto! Spero che ti sia piaciuto anche l'epilogo! A presto!

   
 
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