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Autore: Beatrix Bonnie    24/09/2010    2 recensioni
"Mio padre diceva sempre che un giorno la grandezza di Roma sarebbe dipesa da quei pochi valorosi pronti a difenderla a costo della vita. Ecco, io credo che quel giorno sia arrivato."
L'epocale saccheggio della città di Roma del 386 ac ad opera dei galli di Brenno, riletto attraverso gli occhi di un giovane sognatore plebeo.
Genere: Azione, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Historia docet'
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Liber VIII




Parcere subiectis et debellare superbos.


Perdonare a coloro che si sottomettono

e abbattere chi si ribella.

P. Virgilio Marone




Avevano passato tutta la giornata e la notte precedente a raccogliere e pesare la giusta quantità di oro da pagare come riscatto ai galli: mille libbre erano comunque una somma ingente e avevano dovuto mettere tutto quello che avevano, persino i doni votivi del tempio di Giove. Il giorno successivo, all'alba, caricarono l'oro su un carretto e si diressero verso la palizzata con il capo chino. Lucio non era sicuro che tutti avessero apprezzato la sua decisione, ma nessuno aveva avuto il coraggio di metterla in discussione. Aprirono le porte della palizzata e si avvicinarono al campo dei galli; quello che doveva essere il capo, accompagnato dalle sue guardie e dal piccolo interprete, si fece avanti. Aveva una benda intorno alla testa. Lucio lo riconobbe immediatamente: non aveva dimenticato facilmente quegli occhi penetranti e il ghigno feroce. Era il gallo che aveva tentato di ucciderlo alla battaglia di Allia, quello a cui era sfuggito per un soffio. Lucio deglutì per tentare di calmarsi, anche se il cuore gli batteva a mille nel petto.

I primi raggi del sole colpirono l'oro del riscatto, che si illuminò e rifletté la sua luce accecante su tutto il pendio. Alcuni galli portarono una rudimentale bilancia, per pesare l'oro, e sotto gli occhi dei romani sistemarono dei pesi ad una delle due estremità. Il capo diede uno spintone all'interprete, che squittì: -Brenno dice: mille libbre su bilancia.- Lucio rivolse un cenno del capo a Veiano, e insieme caricarono l'oro sull'altro braccio dell'arnese. Conclusa l'operazione, si allontanarono.

La bilancia cigolò piano per rimettersi in equilibro. Ondeggiò appena e poi si fermò.

Pendeva irrimediabilmente dalla parte dei pesi.

Per alcuni attimi regnò il silenzio più assoluto, poi Brenno, il capo dei galli, ululò di rabbia: stavano cercando di imbrogliarlo! Tutti i suoi uomini cominciarono a battere le spade e le lance contro gli scudi. Lucio si voltò verso Veiano con gli occhi sgranati: mancava dell'oro!

-VAE VICTIS!- sbraitò Brenno. Guai ai vinti. Poi sfoderò la spada e la sollevò al cielo. Lucio era convinto che quella volta non sarebbe riuscito a sfuggire all'ira del gallo. Invece Brenno non assalì nessuno di loro: impiantò la spada nel morbido terreno della collina e latrò qualche parola al suo interprete. L'omino si fece avanti tremante. -Brenno dice: quando ombra di spada sparisce, voi dovete aver portato mille libbre d'oro. Se non portate, battaglia. Se portate se ne vanno.-

Le frasi erano confuse e sconnesse, ma i romani avevano inteso il senso: avevano tempo fino a mezzogiorno, quando cioè l'ombra della spada sarebbe scomparsa, per recuperare la quantità d'oro mancante. L'unico problema era che non avevano più oro. Dove ne avrebbero recuperato altro?

Lucio si guardò intorno con apprensione: le facce dei galli non lasciavano presagire nulla di buono. L'ombra della spada si sarebbe accorciata rapidamente. -Com'è possibile che manchi dell'oro?- domandò con voce concitata Veiano. Papiria scosse la testa sconsolata. -Forse abbiamo sbagliato i conti.-

-No, li abbiamo ricontrollati migliaia di volte!- rispose Veiano. Un crescente senso di oppressione si stava impadronendo dei loro cuori. Dopo tanta fatica, possibile che stavano per crollare proprio ora che mancava un soffio alla libertà? -E ora dove lo recuperiamo tutto l'oro mancante in così poco tempo?- sospirò Papiria, portandosi le mani al petto con apprensione. Lucio continuava a guardarsi intorno, il ghigno dei nemici che rifletteva il suo sguardo corrucciato. -Com'è possibile che manchi dell'oro?- ripeté tra i denti. -Avevamo accumulato la giusta quantità!-

-Forse...- sussurrò una voce alle sue spalle. Lucio si voltò verso Camillo con sguardo interrogativo. -...non tutti hanno versato il loro contributo.- insinuò il vecchio condottiero, con aria convincente. Lucio si guardò intorno con un vago senso di nausea e un'ansia crescente: aveva capito dove voleva andare a parare il discorso di Camillo e la cosa non gli piaceva per niente. Una rapida occhiata confermò i suoi timori: mancava qualcuno all'appello.

-Manilo!- esclamò con foga. E prese a correre verso la palizzata.

Veiano e Papiria fecero per inseguirlo, ma Brenno li fermò, afferrando il braccio della ragazza. -Noi veniamo.- disse in tono che non ammetteva repliche. Con un cenno del capo, chiamò a sé due delle sue guardie e l'interprete etrusco. I romani non ebbero la forza di contraddirlo.

Lucio si diresse senza esitazione verso la domus di Manilo, sicuro che l'avaro patrizio avesse sottratto una ingente quantità dall'oro che era stato accumulato per pagare il riscatto. -Manlio, dove sei?- gridò, entrando in ingresso. Gli rispose solo l'eco della sue voce. Le tende bianche del portico interno ondeggiavano alla leggera brezza estiva, creando dei sinuosi giochi di colore. -Lo so che sei qui, lo so che hai rubato l'oro!- continuò Lucio con rabbia. Il silenzio della domus fu rotto dal tintinnio di qualcosa di metallico che cadeva sul pavimento di coccio. Lucio si avvicinò cauto alla fonte del rumore e vide una monetina d'oro rotolare lungo il corridoio. Si chinò per raccoglierla, quando il sui sguardo fu rapito da una figura accovacciata in una delle stanzette che si affacciavano sul corridoio: Manilo stava frettolosamente riempiendo un sacco di iuta con monete e preziosi monili dorati.

-Cercavi per caso questa?- domandò Lucio, rigirandosi tra le dita il piccolo soldo che aveva raccolto da terra. Manilo trasalì, conscio di essere stato colto in flagrante. -Oh, Laterano...- farfugliò, cercando inutilmente di nascondere il contenuto del suo sacco. -Mi hai sorpreso...-

-Ma davvero?- domandò Lucio, con falso interesse. -Dove te ne stavi andando?- aggiunse poi, accennando con il capo al sacco di iuta. -Io... oh, ehm... niente.- balbettò Manilo, stringendo la corda che legava l'estremità del sacco. Il patrizio si alzò da terra e si mise il bagaglio sulle spalle, ma Lucio non accennò a spostarsi dall'ingresso.

-Dammi l'oro, Capitolino.- gli intimò. -Non so di che parli.- rispose Manilo in tono di sfida. Proprio in quel momento delle urla rabbiose provenienti dall'ingresso li distrassero. -Lucio!- chiamò la voce sottile di Papiria. Il giovane si voltò, ma quello che sbucò dall'angolo non fu affatto confortante: Brenno correva loro incontro ringhiando come un animale ferito. Diede a Lucio una spinta tanto poderosa da farlo cadere a terra, poi si avventò contro Manilo. -Lasciami andare, lurido barbaro!- gridò con voce strozzata il patrizio.

Lucio si rialzò da terra ancora leggermente scosso, ma capì che Brenno era addosso a Manilo. -Prendi il tuo oro e vattene, gallo!- gli urlò. Manilo era un codardo e un avido, ma era pur sempre romano: la condanna per il suo delitto doveva essere decisa dall'assemblea dei cittadini, non da un barbaro giustiziere. Ma poi Lucio si accorse che Brenno non stava colpendo Manilo, ma cercava solo di strappare dalle sue braccia il sacco contenente l'oro del riscatto: il patrizio era pronto a morire, pur di non cedere al gallo il suo oro. Finalmente Brenno riuscì a rubare dalle mani del romano il sacco di iuta e, conquistato il suo bottino, si voltò per andarsene. Ma Manilo non si arrese: si asciugò con il dorso della mano il rivolo di sangue che gli colava dalla bocca e prese ad inseguire il gallo.

-Rozzo bastardo!- strillò in preda alla follia, saltando addosso a Brenno. -Manilo, no!- gridò Lucio, afferrandolo per la tunica. Lui, Manilo e Brenno ruzzolarono a terra. Nella colluttazione qualcuno urtò il braciere utilizzato per scaldare l'acqua, che rovesciò il suo contenuto incandescente sul pavimento. Le leggerissime tende bianche presero fuoco all'istante. In un battito d'ali, la domus del ricco patrizio si trasformò in un inferno di fiamme. I tre si trascinarono fuori, con le lacrime agli occhi per il fumo e i polmoni intossicati. I loro volti erano neri di fuliggine.

-Nooo!- ululò Manilo, lasciandosi cadere in ginocchio davanti alla sua casa che veniva divorata dalle fiamme. Brenno stringeva ancora tra le braccia il sacco di iuta contenente l'oro mancante. Lucio fece un violento colpo di tosse, ma poi si voltò verso il barbaro con rabbia. -Non erano questi gli accordi, gallo!- gli urlò contro. Brenno lo prese per la tunica e lo sollevò da terra ringhiando. I loro occhi si incrociarono e Lucio capì. Il gallo si ricordava di lui, si ricordava di averlo quasi ucciso. Erano nemici, eppure non erano poi così diversi: il destino li aveva messi l'uno contro l'altro, ma il cuore di entrambi batteva per il proprio popolo, per la vita, per la libertà. Rimasero a fissarsi per qualche secondo, poi Brenno lo lasciò andare. Si erano incontrati un'altra volta e si nuovo si separavano senza che nessuno dei due avesse ucciso l'altro. Forse c'era una sorta di intesa tra loro. Lucio osservò pensieroso la schiena del suo nemico che si allontanava per raggiungere l'esercito che lo attendeva ai piedi del Campidoglio.

-Lucio, il fuoco!- La voce di Veiano lo riscosse. Il ragazzo corse a prendere dei secchi con cui attingere l'acqua dal pozzo per spegnere l'incendio. Tutti i romani si affannarono per fermare le fiamme, ma il clima secco dell'estate giocava a loro sfavore. Quando riuscirono a debellare l'incendio era ormai il tramonto: tutto il Campidoglio che avevano strenuamente difeso era un cumulo di macerie e fumo. Avevano combattuto per niente. La città era distrutta, perduta per sempre. Roma si era davvero meritata la loro vita o si erano sacrificati invano?

Una rabbia cieca invase Lucio, una frustrazione per ciò che aveva perso. E gli tornarono in mente le parole di Camillo: lui glie lo aveva detto che quel sacrificio sarebbe stato inutile, lui lo sapeva già da tempo.

Ma dov'era finito? -Dov'è Furio Camillo?- domandò Lucio, guardandosi intorno. Solo facce annerite dalla fuliggine e provate dalla stanchezza. Ma l'eroe di Veio non c'era. Papiria scosse la testa sconsolata. -Se ne stava andando.- rispose qualcuno.

A quelle parole Lucio corse via, fino alla palizzata, e poi oltre, giù al foro, e tra le strade deserte e semidistrutte della città. -Camillo!- urlò con foga. E infine lo vide, una figura scura stagliata contro il sole al tramonto, appoggiata al suo bastone ricurvo.

-Dove te ne stai andando?- lo chiamò a gran voce Lucio. Camillo si voltò appena. Aveva quel suo solito sguardo indecifrabile e un sorriso leggero che gli increspava gli angoli della bocca. -Il mio tempo qui è finito.- rispose. Il sole morente gli illuminava le rughe sul viso, dandogli una strana espressione. -Ma che dici?- domandò Lucio, scuotendo la testa senza capire.

-Roma non fa più per me, giovanotto... non fa più per me.-

E con quelle parole si voltò verso il tramonto e se ne andò, così come era giunto, in un battito di ali. Era arrivato, aveva sconvolto le loro vite e poi era sparito. Pareva un ricordo sfumato, un fantasma appartenente ad un altro passato, che si allontanava così, camminando verso il sole rosso di sangue tra i fumi e le macerie di una città in rovina.



Ecco, questo era l'ultimo capitolo! Tra breve pubblicherò l'epilogo e poi anche questa storia sarà finita. Spero che vi sia piaciuta la conclusione: ho cercato di dargli un tono epico e nostalgico. Purtroppo, visto che la mia lettura dell'episodio tende a integrare eventi storici e leggenda, e visto che è attestato dall'archeologia che ci fu un incendio sul Campidoglio proprio negli anni del sacco di Roma, ho dovuto inserire un finale un po' malinconico. Però Camillo è il mio preferito!

Grazie a tutti, in special modo a:

@ Julia Weasley: già, stavo proprio raccontando delle oche del Campidoglio! Non temere, anche la mia conoscenza storica spesso lascia un po' a desiderare, ma quest'anno ho fatto il corso di Storia Romana, quindi ho ripassato bene tutto! Manilo è il personaggio che odio di più, soprattutto perché Livio lo descrive come l'eroe della resistenza, ma io me lo sono sempre immaginata come un grasso patrizio! A presto!

@ darllenwr: il dialogo tra Lucio e Camillo è la mia parte preferita, anche perché adoro quei personaggi! Sono contenta che ti sia piaciuto. Anche io sono sempre rimasta affascinata dall'episodio delle oche del Campidoglio, ma ciò che mi ha più colpito è che un libro storico sulle origini di Roma (di un certo Ogilvie) ritenesse l'episodio storicamente probabile: sosteneva infatti che è un aneddoto originale romano (non deriva cioè da altri esempi di storiografia) e che è possibile dunque che sia avvenuto qualcosa di simile. Perché, insomma, ce ne vuole ad inventare una roba del genere! Comunque hai ragione, a Manilo importa ben poco del bene comune, come ha dimostrato in questo capitolo. Alla prossima!

Grazie a tutti,

Baetrix

   
 
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